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Damien Daudry Franco Balan, un valdostano artista, un artista valdostano

Franco Balan, un valdostano artista, un artista valdostano

In molti hanno scritto di Franco Balan e della sua apprezzata attività artistica: egli è oggi un artista nel campo grafico-pittorico molto noto in Italia e all’estero. Dalle sue opere balza evidente lo sfondo dal colore chiaro-scuro, tra il grigio e il nero, degli anfratti rocciosi delle nostre pietraie e delle pareti delle nostre montagne tormentate dal vento, dal gelo e dallo scorrere delle acque. Le immagini che vi si sovrappongono presentano però sprazzi vivaci e variopinti, una vera iride di colori, gemme preziose incastonate, poste ad arte a impreziosire l’opera. Le mille e mille sfaccettature e figure che ricoprono le sue tele, riempiendole all’inverosimile, quasi glifi di un discorso da decifrare, seppur suddivise e riquadrate da tratti ben marcati, rivelano un’idea omogenea, come le tessere di un mosaico o, meglio, le parti di una vetrata gotica, colte in controluce dall’interno della navata austera di una cattedrale. Il tutto, lo si legga a monosillabi o come un breve saggio descrittivo, parla della nostra valle, della Sua valle, negli aspetti più genuini, più autentici e meno sofisticati. Il racconto è incentrato sulle cose d’antan, su una civiltà le cui radici si perdono nella notte dei tempi, nella quale lo scorrere della vita era scandito dai rintocchi delle campane, e sulla città, ove il nostro artista è nato e nel cui cuore è vissuto quasi ininterrottamente, città che conserva in ogni suo angolo testimonianze di avvenimenti che ne hanno segnato la storia. Ragazzino, Franco abitava con la sua famiglia a Villa Chicco, sulla collina est della città, stupenda località prospiciente la catena dell’Emilius, nota ufficialmente col nome di Beau-Regard, e prima ancora, nel Medioevo, con quello di Pulchra videre, vale a dire, tradotto liberamente, da qui è possibile vedere cose belle. E perché non pensare allora che, in questo luogo privilegiato, il cui toponimo la dice lunga, il nostro abbia attinto la sua vena artistica? L’ambiente, nel senso più ampio del termine, influisce spesso indelebilmente sull’indole delle persone e noi sappiamo, da testimoni diretti, che sin dai banchi di scuola l’attività preferita da Franco era quella di riempire fogli con schizzi, disegni, ideogrammi. Le cose belle che vedeva, volgendo lo sguardo attorno, egli le traduceva, nel suo linguaggio artistico, al fine di condividere con gli altri le sensazioni che queste suscitavano nel suo animo. E non dimentichiamo che dal suo podio il nostro artista in erba ha potuto osservare l’andirivieni dei contadini del luogo, intenti alle loro faticose occupazioni, o mentre scendevano in città nei giorni di fiera e di mercato; notare in lontananza gli operai della Cogne che a ore stabilite si recavano a piedi o in bicicletta al lavoro, inghiottiti dai cancelli della fabbrica che si chiudevano dietro di loro, per poi riaprirsi all’uscita di quelli che avevano finito il turno; seguire con lo sguardo incantato dei ragazzini della sua età le volute di fumo nerastro che dalle alte ciminiere si innalzavano un poco nel cielo prima che la brezza del Gran San Bernardo le ripiegasse per poi spingerle verso est in una grande coltre opaca a ricoprire il fondovalle. E non potrebbero essere state queste immagini che hanno suscitato nell’animo sensibile di un artista in nuce l’idea di collocarsi dalla parte dei lavoratori e di schierarsi per la difesa dell’ambiente che lo circonda? Così come è possibile che a queste stesse immagini si ispiri per un certo periodo la pittura di Balan che culminerà in una mostra a Roma agli inizi degli anni settanta. Sceso in città per lavoro, vi si stabilisce. L’Aosta delle fiere e dei mercati lo affascina, come pure quella delle tradizioni locali, e questi temi si ripetono in un susseguirsi continuo, ma sempre rinnovati e reinterpretati, nelle sue opere, siano esse manifesti o quadri: la fiera di Sant’Orso e in particolare la produzione di artigianato di tradizione che vi è esposta, lo Charaban, il teatro dialettale, il carnevale, gli aspetti della religiosità popolare, i santi locali, la bataille des reines, la vita contadina e pastorale in genere. Franco Balan è ormai un artista la cui fama ha travalicato la cerchia dei monti che lo circondano. In contatto con molti artisti del suo tempo, italiani e stranieri. Si parla di lui ovunque; mostre delle sue opere, sempre più importanti, vengono allestite non solo in Italia, ma all’estero, fino a raggiungere il lontano paese del Sol Levante, il Giappone, ove egli sarà presente con una mostra di ventagli da lui decorati! Ma di questo, così come delle sue esperienze giovanili all’estero, in particolare in Polonia, hanno già scritto e scriveranno ancora altri. Personalmente concluderò con alcune riflessioni su quell’opera monumentale che a un dato momento lo coinvolge e che magistralmente egli realizza, la Via Crucis, e sulla Serigrafia storica dedicata a dodici grandi valdostani che, a modo loro, hanno illustrato la Valle; due opere che hanno aperto a Franco Balan le porte della prestigiosa Académie de Saint-Anselme, della quale è stato nominato socio effettivo.

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La Via Crucis, soggetto quanto meno inusitato per il laico Balan, dirà forse qualcuno. Eppure la sua anima di artista non è stata insensibile davanti alla tragedia del Golgota. Da vero maestro ha saputo rappresentare le varie stazioni, illustrando il percorso della salita al Calvario in un tragico film, nel quale il condannato, accerchiato da uomini, donne, soldati, plebaglia, cavalli, non ha sempre una posizione privilegiata, ma la macchina da presa dell’artista ha saputo comunque soffermarsi sul suo viso diafano ed esangue. Presto potremo forse ammirare quest’opera esposta definitivamente in una chiesa moderna e meditare davanti a questo autentico capolavoro. La scelta dei personaggi storici da illustrare nella sua Serigrafia non fu certamente facile per il nostro artista tra la miriade di personaggi degni di nota che nei secoli sono apparsi sulla scena della nostra storia. Eppure questa scelta pare mirata ed esaustiva, da Bernardo, apostolo delle Alpi, ad Anselmo, il più grande dei valdostani; da Ibleto a Giorgio e Renato, sintetizzanti la grandezza e la potenza di casa Challant, fedelissima di casa Savoia; a Caterina, donna ribelle e guerriera quanto nobile e fiera; dal “principe” Lazier o Lascaris, originario di Perloz, al conte De Pléoz, personaggi forse minori, avventurieri, ma pur sempre intriganti e degni di nota; al De Tillier, il padre della storia valdostana, che con i suoi scritti ha tracciato per primo la storia, nel senso moderno del termine, della Petite Patrie; e, in tempi più recenti, dal patriota Chamonin all’idealista Cerise, per concludere con l’anticonformista sacerdote e alpinista, nonché scrittore di montagna, Aimé Gorret, l’Ours de la montagne. L’interpretazione che Franco Balan ci propone per ogni personaggio non potrebbe essere più pertinente: magistrale la scelta dei colori, più che azzeccata la posa in cui ogni personaggio è sorpreso e rappresentato. Queste brevi considerazioni su Franco Balan giustificano, a mio modesto modo di vedere, il titolo che ho dato a questa nota: il nostro è un vero artista valdostano che ha saputo e sa cogliere e tradurre nelle sue opere i tanti aspetti, quelli più genuini, che hanno caratterizzato e caratterizzano la valle che gli ha dato i natali. Damien Daudry

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