Giorno della Memoria

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Giorno dell a Memoria Si tratta di una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto. La data del 27 gennaio in ricordo della S h oa h , lo sterminio del popolo ebraico, è indicata quale data ufficiale dagli stati membri dell’ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005. Si è scelto di proclamare proprio questo giorno come giornata della memoria perchè il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Arrivarono per prime nella città polacca, scoprendo il terribile campo di concentramento e liberandone i superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta a tutto il mondo l’orrore del genocidio nazifascista. I nazisti, qualche giorno prima, avevano battuto la ritirata da Auschwitz portando via tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante quella che fu ricordata come una marcia della morte. L’apertura dei cancelli di Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati in quel lager nazista. In Italia gli articoli 1 e 2 della legge 20 luglio 2000 n. 211 definiscono così le finalità e le celebrazioni del Giorno della Memoria: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere». Chi è sopravvissuto ai campi di concentramento ed è riuscito a tornare a casa è stato fortunato. O forse no. Perché chi è tornato si è ritrovato nella paradossale condizione di sentirsi in colpa nei confronti di chi non ce l’ha fatta e si è ritrovato ad avere a che fare con l’assurda considerazione di chi non capiva, non credeva, non poteva comprendere, perché non aveva visto con i propri occhi. Credere è stato difficile per chi non aveva vissuto quella esperienza in prima persona, ma è stato ancora più difficile, per gli italiani, per i tedeschi, capire come fosse potuto accadere. Capire perché la maggior parte della gente non sapesse dove erano finite tutte quelle migliaia di persone, ebrei soprattutto ma non solo, sparite nel corso di quegli anni bui. Prima i ghetti, poi le leggi razziali, poi le deportazioni: l’escalation era è stata veloce e terribile, e, cosa ben più grave, era avvenuta sotto gli occhi di tutti, ma pochi hanno fatto qualcosa per evitarla. Pochissimi. Gli altri si sono semplicemente tappati gli occhi, cullandosi nel “non sta accadendo a me e non ci posso fare nulla“. P r i m o L e v i , il grande scrittore italiano deportato e sopravvissuto al lager di Auschwitz ha scritto che ogni qualvolta si pensa che uno straniero, o un diverso da noi è un Nemicoco, si pongono le premesse di una catena al cui termine c’è il L ag e r , il campo di sterminio. A proposito del genocidio del popolo ebraicongono le premesse di una catena al cui termine c’è il L ag e r , il campo di ster-

minio. A proposito del genocidio del popolo ebraico, ne “I sommersi e i salvati” Primo Levi ha detto: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.

I L ag e r si dividono in cinque categorie: campi di lavoro, di transito (in Italia il più importante fu Fossoli), di detenzione per prigionieri di guerra, di concentramento e di sterminio. La storia dei campi si divide in tre grandi periodi: 1)

1 9 3 3 - 1 9 3 6 : carcerazione degli oppositori politici del regime nazista, soggetti a subire una “rieducazione” politica.

Furono rinchiusi in questi campi anche altre categorie di persone, vagabondi, mendicanti e criminali comuni.

2) 1 9 3 6 - 1 9 4 2 : vennero creati campi più capienti, delineando l’intenzione di sfruttamento dei prigionieri come mano d’opera a costo zero per necessità belliche. L’aspetto “economico” prende così il sopravvento su quello di “rieducazione”. Aumenta il numero di prigionieri categorizzati come non politici, si aggiungono omosessuali, prostitute, zingari e disoccupati. Vennero imprigionati anche Testimoni di Jeovah e coloro che si erano battuti in Spagna per la Repubblica. Dal 1 9 3 8 si aggiunsero anche gli ebrei in quanto tali. Dalla fine del 1 9 4 1 furono creati i campi di sterminio, dotati delle apposite strutture: camere a gas e forni crematori opportunamente agglomerati; Auschwitz fu contemporaneamente campo di concentramento e sterminio. 1 9 4 2 - 1 9 4 5 : alcune categorie di prigionieri furono costrette a lavorare per fabbriche statali o private tedesche,

alcuni campi di lavoro furono costruiti ad hoc per le industrie. Per altre categorie di prigionieri invece, in particolare per ebrei, fu deliberato lo sterminio sistematico: quelli giudicati inutili (donne, vecchi, bambini e malati) venivano selezionati all’arrivo nei campi e mandati alle camere a gas; gli altri venivano costretti ai lavori forzati ed erano destinati a deperire velocemente a causa della denutrizione, delle epidemie e dei maltrattamenti subiti e ad essere inviati alle camere a gas in selezioni successive.

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LO ST E R M I N I O D E G L I E B R E i Si inizia con la “ghettizzazione”, creando ghetti e speciali campi di lavoro. Uno dei piani operativi per lo sterminio degli ebrei fu redatto dai vertici nazisti nel 1 9 4 1 : fu compiuto un massacro immenso con fucilazioni di massa in enormi fosse comuni, in alcuni casi le vittime vennero sepolte vive. Nel 1 9 4 2 iniziò la ritirata tedesca, i nazisti tentarono di cancellare ogni traccia delle fosse comuni, riesumando e bruciando i corpi. Si pervenne così all’uso delle camere a gas già sperimentate dai tedeschi nel 1939 sui malati di mente, per approvazione del “decreto sull’eutanasia” del primo settembre, che prevedeva l’eliminazione fisica dei malati di mente nei manicomi tedeschi. Circa 7 0. 0 0 0 furono i malati sottoposti ad eutanasia tra il 1940 e il 1941. A partire dal 1 9 4 3 iniziò la messa in pratica della “soluzione finale” degli ebrei (eliminazione totale della razza considerata “inferiore” dagli standard della politica nazista).

p r e g h i e r a d e l d e p o rtat o

in “Federazione Giovanile Ebraica d’Italia (a cura di), MEDITATE CHE QUESTO È STATO. Testimonianze di reduci dai campi di sterminio” A L B E RT O M I E L I

Oh Dio onnipotente, tu che sei al di sopra di noi tutti, ascolta questa mia preghiera. Fa sì che a nessun ebreo o uomo di buona volontà venga mai in sogno ciò che i miei occhi furono costretti a vedere, cioè le sofferenze e la degradazione del mio popolo e di uomini eroi che sacrificarono la loro vita per l’uguaglianza e la libertà dei popoli. Oh Signore, pur non dimenticando non porterò odio essendo Tu il giudice supremo che giudicherai i malvagi che, come belve assetate di sangue, tanta offesa portarono all’intera umanità. Ti ringrazio Buon Dio.

a n n i v e rs a r i o d i l i b e r a z i o n e h t t p : // w w w. g i o r n o d e l l a m e m o r i a . r a i . i t / d l / p o r ta l i / s i t e / pag e / Pag e - c 6 8 5 6 6 3 9 0a37 - 4 e 4 3 - 8 0 6 4 - d 5 8 7 7 b 0 9 4 bac . h t m l

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Home Page del sito Il Giorno della Memoria nel 72° anniversario della liberazione del Campo di concentramento di Auschwitz.


il silenzio dei vivi

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E l i sa S p r i n g e r Elisa Springer è stata una scrittrice d’origine austriaca, naturalizzata italiana. Nasce a Vienna nel 1918 da una famiglia di commercianti ebrei. Con le persecuzioni ebraiche in Austria - dopo che i suoi genitori vennero deportati ai campi di sterminio dai quali non fecero mai più ritorno - Elisa decide di rifugiarsi in Italia, dove si trasferisce nel 1940. Denunciata alle SS da una donna italiana, viene arrestata e deportata ad Auschwitz, «deserto di morte senza speranza». All’età di ventisei anni, Elisa vive le atrocità del regime nazista, cominciando un raccapricciante cammino verso la spersonalizzazione, vittima di un mondo che «stava perdendo il suo io, il suo Dio». Tuttavia la forza fisica e spirituale della donna ne rivelano una capacità di resistenza straordinaria, un bisogno incontenibile di credere ancora nella vita, nonostante il supplizio di quei giorni. Elisa sopravvive e costruisce una nuova vita in Italia. Come molti altri reduci dai campi di sterminio, vive, decide di soffocare il suo dolore nel silenzio: per paura di non essere accettata nasconde sotto un cerotto il marchio tatuato nel campo di Auschwitz sull’avambraccio sinistro. La paura di sentirsi diversa, osservata da chi, non potendo comprendere a pieno il significato di quell’esperienza, rispondeva con scherno e indifferenza, la portano a tacere fino a che Silvio, il figlio di vent’anni, volendo capire il passato della madre, la interroga cercando verità fino ad allora represse. Elisa decide così, all’età di settantotto anni, di parlare «per non dimenticare a quali aberrazioni può condurre l’odio razziale e l’intolleranza, non il rito del ricordo, ma la cultura della memoria». Il racconto dei giorni trascorsi nei lager, redatto in italiano, non solo rende giustizia ai martiri che ne fecero esperienza, non solo permette a Elisa di riacquistare un’identità celata ormai da cinquant’anni, ma parla anche alla coscienza di ogni suo lettore. Inno alla forza della vita, le parole di questa donna non lasciano spazio all’incredulità e all’indifferenza; lucido ricordo di una vita dominata dal silenzio, il libro di Elisa Springer Il silenzio dei vivi diventa testimonianza di un passato, anche italiano, da non rimuovere. Trascorre buona parte della sua vita a Manduria, in provincia di Taranto. Il 20 settembre 2004 si spegne a Matera in Basilicata all’età di 86 anni.

Oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e comprendano: è l’unico modo per farci uscire dall’oscurità. E allora, se la mia testimonianza, il mio racconto di sopravvissuta ai campi di sterminio, la mia presenza nel cuore di chi comprende la pietà, serve a far crescere comprensione e amore, anch’io allora, potrò pensare che, nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà essere servito come riscatto per il sacrificio di tanti innocenti, amore e consolazione verso chi è solo, sarà servito per costruire un mondo migliore senza odio, né barriere. Un mondo in cui, uomini liberi, capaci e non schiavi della propria intolleranza, abbattendo i confini del proprio egoismo avranno restituito, alla vita e a tutti gli altri uomini, il significato della parola Libertà.

e s s e r e s e n z a d e st i n o I m r e K e rt é s z

Imre Kertész è stato uno crittore ungherese (Budapest 1929 - ivi

Tuttavia né l’ostinazione né la preghiera, né alcun’altra specie di evasione avrebbero potuto liberarmi da una cosa: dalla fame. Anche a casa avevo sempre avuto fame – o almeno avevo creduto di averne [...]ma così ininterrotta, diciamo così a lungo termine, non l’avevo mai conosciuta prima. Mi trasformai in un buco, in un vuoto e ogni mio sforzo, ogni mio tentativo mirava a superare, a riempire, a far tacere le continue richieste di quel vuoto senza fondo, quel vuoto incolmabile. Non avevo occhi che per quello, tutto il mio intelletto serviva soltanto a quello, soltanto quello determinava ogni mia azione, e se non mangiavo legno, ferro o pietre era solo perché sono cose che non si

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lasciano masticare né digerire.

2016), noto per il resoconto semiautobiografico dell’Olocausto che costituisce l’argomento della trilogia “Sorstalanság” (trad. it. Essere senza destino, 1999), “A kudarc” (1988; trad. it. Fiasco, 2003) e “Kaddis a meg nem született gyermekért” (1989, Kaddisch per il bambino non nato). Premio Nobel per la letteratura (2002). Proveniente da una famiglia borghese ebrea, nel 1944 venne deportato ad Auschwitz e poi trasferito in altri campi di concentramento rientrando, dopo la liberazione, in Ungheria. Tra il 1948 e il 1951 collaborò con la rivista “Világosság” (Chiarezza) e lavorò come operaio in una fabbrica. Dal 1953 si dedicò alla traduzione di prosa austriaca e tedesca. Il già citato “Sorstalanság”, suo primo romanzo terminato nel 1973 dopo dodici anni di lavoro, è stato pubblicato nel 1975 non senza resistenze da parte del mondo politico-editoriale. Protagonista è un ragazzo ebreo deportato nel 1944 ad Auschwitz e poi in altri lager. Lo stile, spesso ironico e autoironico, l’ostentata oggettività, è il magistrale travestimento letterario che conduce il lettore a inorridire di fronte al silenzio. Rifiuta ogni accostamento ideologico al tema, sia esso politico o religioso; l’Olocausto degli ebrei non è più questione di un singolo popolo, ma il trauma dell’intera civiltà occidentale. Tra le altre opere, oltre a quelle citate: “Az angol lobogó” (1991; trad. it. Il vessillo britannico, 2004); “Felszámolás” (2003; trad. it. Liquidazione, 2005). Della sua produzione saggistica vanno ricordati i testi: “A Holocaust mint kultúra” (1993, L’Olocausto come fenomeno culturale), “Gondolatnyi csend, amíg a kivégzõosztag újratölt” (1998, Il silenzio del pensiero fin quando il plotone dei giustizieri è di nuovo al completo), “A számûzött nyelv” (2001, La lingua bandita); è inoltre autore dell’autobiografia “Gályanapló” (1992; trad. it. Diario dalla galera, 2009). Nel 2012 ha annunciato la sua intenzione di abbandonare la scrittura.


l e favo l e d i Au s c h w i t z Museo Statale di Auschwitz – Birkenau

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Preghiera Negli anni 60 del secolo scorso al Museo di Auschwitz sono giunte le prime fiabe realizzate in gran segreto dai prigionieri del campo. Fino ad allora quasi nessuno era a conoscenza di quest’incredibile vicenda. Dalle testimonianze degli ex prigionieri di Auschwitz risulta che l’idea di realizzare fiabe per i bambini rimasti a casa sia maturata negli uffici del cosiddetto Bauleitung (dal ted.: amministrazione edilizia, responsabile per la realizzazione dei progetti e delle costruzioni nell’area del campo) all’interno del quale lavoravano anche dei prigionieri. Con ogni probabilità nel 1942 (secondo alcune testimonianze potrebbe trattarsi invece del 1943 se non perfino del 1944) qualcuno introdusse nell’ufficio dei libricini colorati per bambini in lingua ceca, trovati nei pressi dei magazzini in cui si ammucchiavano gli averi depredati agli ebrei deportati nel campo. Il fatto che questi libricini appartenessero ai bambini uccisi nelle camere a gas sconvolse moltissimo i prigionieri e il pensiero andò ai propri figli rimasti a casa che – come credevano – non avrebbero mai più rivisto. Alcuni prigionieri decisero di scrivere delle fiabe, corredandole di illustrazioni e successivamente trovarono il modo di trasmetterle alle proprie famiglie. Alla realizzazione delle fiabe parteciparono almeno 27 prigionieri. I compiti erano così suddivisi: alcuni scrivevano oppure traducevano i testi, altri le vergavano con una bella calligrafia ed eseguivano le illustrazioni, copiavano, cucivano insieme le carte e realizzavano le copertine, mentre altri ancora facevano da palo, vigilando affinché non si approssimassero le SS o qualche testimone scomodo di una simile procedura vietata, per la quale sarebbero potuti andare incontro a una punizione severissima se non alla morte. Vennero realizzate almeno una cinquantina di copie delle fiabe. I libricini pronti venivano condotti all’esterno in gran segreto dai prigionieri e, approfittando della distrazione delle SS, trasmessi ai fidati lavoratori civili coi quali a volte entravano in contatto durante l’orario di lavoro. Questi ultimi, a loro volta, rischiando sovente la vita, facevano sì che giungessero agli indirizzi segnalati. Alcune fiabe giunsero nelle mani di quei bambini i cui genitori aiutavano di nascosto i prigionieri di Auschwitz, rifornendoli di cibo e medicinali nei luoghi dove lavoravano, siti all’esterno del campo. La seguente pubblicazione è un reprint delle copie delle sei fiabe che provengono dalle collezioni del Museo Statale di Auschwitz-Birkenau e dalle collezioni private di Andrzej Bęć e Czesław Czekajski.

Nella casetta un buio fitto s’insidia in ogni angolino Sulla soglia ormai è notte e non più sera E con voce fresca un ragazzino Al Signore rivolge un’infantile preghiera. Grazie Signore per il sole dorato E per aver camminato tutta la giornata Grazie per i fiori colorati sul prato E per esser amato dalla mia mamma adorata. Grazie per questa estate e per i salutari giorni Per tutto ciò che è intorno a me – ma ti prego, fa in modo mio Dio Che il mio papà da me ritorni Ormai da tanto tempo è scomparso in un mondo d’oblio. La testolina si curva sul letto Sugli occhi assonnati calano le palpebre pesanti Non dimenticherai, o Signore- mio diletto Di far tornare quel papà da quelle strade distanti? Nido

Nella verde boscaglia, ove non v’è alcun cammino Dove né i gatti né i monelli riescono a penetrare Si costruisce la sua povera casetta un uccellino Il più dolce dei nidi – un focolare. A breve sarà tutto un cinguettio chiassoso Di becchi spalancati che gridando chiedono nutrimento Possa solo preservarli il Signore misericordioso Dalla sventura e da un precoce annientamento.

F i n o a q ua n d o l a m i a st e l l a brillerÁ Liliana Segre

Dico ai ragazzi: «Se uno di voi si ricorderà di me quando non ci sarò più, sarò già felice». Mi basta anche solo un ragazzo, perché a sua volta, seminerà altra memoria. Io le chiamo “le candele della memoria”. Perché più i giovani avranno ascoltato una testimonianza dalla viva voce di chi l’ha vissuta, più potranno contrastare le tesi di chi racconta che la Shoah non è esistita. Noi testimoni dobbiamo seminare fino all’ultimo i ricordi, sperando che le generazioni continuino a trasmettere a loro volta

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ciò che hanno ascoltato in noi.

Liliana Segre, antifascista italiana (Milano 1930), reduce dell’Olocausto, orfana di madre, nel 1938, vittima delle leggi razziali fasciste, fu costretta ad abbandonare la scuola elementare. Nel 1943 ha cercato di fuggire insieme al padre in Svizzera, ma furono respinti e a tredici anni è stata arrestata a Selvetta di Viggiù e da qui è stata trasferita nel carcere di Varese, poi in quello di Como e infine a Milano. Nel 1944 fu deportata nel campo di concentramento di Birkenau-Auschwitz con il padre e i nonni paterni, con cui viveva. Nel campo di concentramento il padre e i nonni morirono, le venne tatuato il numero di matricola 75190 e fu impiegata nei lavori forzati nella fabbrica di munizioni Union. Venne liberata dall’Armata Rossa nel 1945. È una dei venticinque sopravvissuti dei settecentosettantasei bambini italiani di età inferiore ai quattordici anni che furono deportati nel campo di concentramento di Auschwitz. Dal 1990 ha iniziato la sua infaticabile attività di divulgazione della sua esperienza di sopravvissuta, partecipando a molti incontri con gli studenti e convegni di ogni tipo, convinta che l’indifferenza sia peggiore della violenza. È Presidente del comitato per le Pietre d’inciampo - Milano, che raccoglie tutte le associazioni legate alla memoria della Resistenza, delle deportazioni e dell’antifascismo. Nel 2008 ha ricevuto la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall’università degli Studi di Trieste e nel 2010 quella in Scienze pedagogiche dall’università degli Studi di Verona. Nel 2018 è stata nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale.


l a n ot t e

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Elie Wiesel

che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

Elie Wiesel è uno scrittore statunitense di origine romena e di lingua francese (Sighet, Maramureş, 1928 - New York 2016). Dopo avere iniziato l’attività di giornalista, si è dedicato a quella di scrittore, frutto della duplice esigenza da un lato di testimoniare la sua personale esperienza dell’olocausto, dall’altro di tramandare il patrimonio di tradizioni e di cultura delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, annientate nel corso della seconda guerra mondiale. Figlio di un commerciante ebreo, fu indirizzato agli studi religiosi e si familiarizzò, per influsso del nonno materno, con la tradizione hasidica e cabalistica. Vittima della persecuzione nazista contro gli ebrei, a causa della quale perse i genitori e una sorella, dopo la liberazione dal campo di concentramento di Buchenwald è vissuto per alcuni anni in Francia, dove ha studiato letteratura e filosofia alla Sorbona (1948-51) e ha cominciato a dedicarsi al giornalismo. Recatosi a New York (1956) come corrispondente di un giornale israeliano presso le Nazioni Unite, dal 1963 ha assunto la cittadinanza statunitense. Insignito di numerosi titoli accademici onorifici (nel 2000 dall’Università di Bologna), ha insegnato materie religiose e umanistiche presso numerose università americane (New York, 1972-76; Boston, dal 1976) e straniere. Nel 1986 ha ricevuto il premio Nobel per la pace, in riconoscimento del suo impegno a favore della convivenza tra i popoli e contro ogni discriminazione, e nel 1992 ha fondato, a Parigi, l’Académie Universelle des Cultures. Il suo libro d’esordio, scritto in yiddish, “Un di velt hot geshvign” (E il mondo rimase in silenzio, pubbl. a Buenos Aires nel 1956), opera di vasto respiro che egli stesso condensò e tradusse in francese col titolo “La nuit” (1958; trad. it. 1980) risponde soprattutto all’esigenza di offrire una testimonianza personale dell’olocausto. Ugualmente semiautobiografici sono i romanzi “L’aube” (1960; trad. it. 1996) e “Le jour” (1961; trad. it. 1999), che completano una trilogia al centro della quale non è soltanto l’esperienza della violenza subita, ma anche il senso di colpa dei sopravvissuti allo sterminio nazista. Tra le opere successive, romanzi e saggi sospesi tra impegno di testimonianza ed evocazione leggendaria: “La ville de la chance” (1962; trad. it. 1990); “Les portes de la forêt” (1964; trad. it. 1989); “Les chant des morts: nouvelles” (1966; trad. it. L’ebreo errante, 1983); “Les Juifs du silence” (1966; trad. it. 1985), testimonianza sulla condizione degli ebrei nell’Unione Sovietica; “Le mendiant de Jerusalem” (1968); “Entre deux soleils: textes” (1970; trad. it. Al sorgere delle stelle, 1985); “Célébration hassidique: portraits et légendes” (1972; trad. it. 1983); “Le serment de Kolvillàg” (1973); “Célébration biblique: portraits et légendes” (1975); “Un juif aujourd’ hui” (1977; trad. it. 1985); “Le testament d’un poète juif assassiné” (1980; trad. it. 1981); “Le cinquième fils” (1983; trad. it. 1984); “The Golem: the story of a legend” (1983; trad. it. 1986); “Célébration talmudique: portraits et légendes” (1991); “Célébration prophétique: portraits et légendes” (1998); “D’où viens-tu?” (2001), raccolta di articoli, commenti e conferenze. Oltre a una cantata, “Ani Maamin” (musica di D. Milhaud, 1973), ha scritto per il teatro “Zalmen ou la folie de Dieu” (1968) e “Le procès de Shamgorod tel qu’il se déroula le 25 février 1649” (1979; trad. it. 1982), e ha pubblicato un volume di colloqui con F. Mitterrand, “Mémoire à deux voix” (1995; trad. it. 1996). Dal 1990 ha cominciato a raccogliere le sue memorie, di cui sono apparsi finora due volumi: “Tous les fleuves vont à la mer” (1994; trad. it. 1996); “Et la mer n’est pas remplie” (1996; trad. it. 1998). In Italia ha pubblicato “Sei riflessioni sul Talmud” (2000). Successivamente ha pubblicato “Wise men and their tales” (2003, trad. it. 2006); “The time of the uprooted” (2005); “Un desir fou de danser” (2006; trad. it. La danza della memoria, 2008).

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Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,


I l t r a m o n t o d i F osso l i in “AD ORA INCERTA”

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Primo Levi

A circa sei chilometri da Carpi, in località Fossoli, è ancora visibile il Campo costruito nel 1942 dal Regio Esercito per imprigionare i militari nemici. Nel dicembre del 1943 il sito è trasformato dalla Repubblica Sociale Italiana in Campo di concentramento per ebrei. Dal marzo del 1944 diventa Campo poliziesco e di transito (Polizei und Durchgangslager), utilizzato dalle SS come anticamera dei Lager nazisti. I circa 5.000 internati politici e razziali che passarono da Fossoli ebbero come destinazioni i campi di Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Dachau, Buchenwald, Flossenburg e Ravensbrück. Dodici i convogli che si formarono con gli internati di Fossoli, sul primo diretto ad Auschwitz, il 22 febbraio, viaggiava anche Primo Levi che rievoca la sua breve esperienza a Fossoli nelle prime pagine di “Se questo è un uomo” e nella poesia “Tramonto a Fossoli”. Fossoli è stato il campo nazionale della deportazione razziale e politica dall’Italia. Tra il 1945 e il 1947 è campo per “indesiderabili”, ovvero un centro di raccolta per profughi stranieri. Dopo la fine della guerra il Campo è utilizzato a scopo civile. Dal 1947 al 1952 è occupato dalla comunità dei Piccoli Apostoli di Don Zeno Saltini che a Fossoli danno vita a Nomadelfia. Dal 1954 alla fine degli anni ‘60 vi giungono i profughi giuliani e dalmati provenienti dall’Istria e vi fondano il Villaggio San Marco. Di proprietà dello Stato, il Campo dopo il 1970 cade in uno stato di abbandono. L’apertura a Carpi nel 1973 del Museo Monumento al Deportato spinse il Comune a richiedere l’acquisto dell’area che, nel 1984, venne concessa “a titolo gratuito” grazie ad una legge speciale.

Io so cosa vuol dire non tornare. A traverso il filo spinato Ho visto il sole scendere e morire; Ho sentito lacerarmi la carne Le parole del vecchio poeta: «Possono i soli cadere e tornare: A noi, quando la breve luce è spenta, Una notte infinita è da dormire». 7 febbraio 1946

SHEMà

in “SE QUESTO È UN UOMO” Primo Levi

Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza piu forza d ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo

Se questo è un uomo, scrive Primo Levi nell’Appendice del 1976 alla sua prima opera di testimonianza sulla Shoah, «è stato accettato dagli studenti e dagli insegnanti con un favore che ha superato di molto le aspettative dell’editore e mie. Centinaia di scolaresche, in tutte le regioni d’Italia, mi hanno invitato a commentare il libro, per iscritto o possibilmente di persona: nei limiti dei miei impegni ho soddisfatto queste richieste, tanto che ai miei due mestieri ne ho volentieri aggiunto un terzo, quello di presentatore e commentatore di me stesso, o meglio di quel lontano me stesso che aveva vissuto l’avventura di Auschwitz e l’aveva raccontata». Da quegli incontri emergevano ogni volta «molte domande: ingenue o consapevoli, commosse o provocatorie, superficiali o fondamentali»; tali in ogni caso da alimentare un intenso dialogo che è proseguito anche dopo la scomparsa dello scrittore torinese. Le sue opere, amche in edizione scolastica, sono infatti fra i libri più letti nei diversi ordini di scuola e in genere fra i giovani, in primo luogo in Italia, ma anche in Francia, negli Stati Uniti e in altri paesi. L’interesse per Primo Levi nel mondo dell’educazione è dimostrato inoltre dalle numerose scuole e biblioteche a lui dedicate.

come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa e andando per via, coricandovi alzandovi; ripetetele ai vostri figli o vi si sfaccia la casa, i vostri nati torcano il viso da voi. 10 gennaio 1946

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SHOAH

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la malattia vi impedisca,


n o n r acco n t e r e m o m a i a b basta n z a

in “Giovanni Tesio (a cura di), NELL’ ABISSO DEL LAGER. Voci poetiche sulla Shoah: un’ antologia”

i l passat o

F e r r u cc i o B r u g n a r o

oggi alla luce d’autunno, con lo stesso silenzio di animali spinti in avanti con violenza. Andiamo verso i reparti sparpagliati simili a un gregge sbattuto, in balia della fame. Non sapremo mai dire completamente ciò che i nostri occhi hanno toccato su queste strade di ferro e monomeri. Non racconteremo mai abbastanza cosa abbiamo sentito, cosa ci è mancato.

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Dall’inizio degli anni 1950 Ferruccio Brugnaro è operaio a Porto Marghera, entrando a far parte del Consiglio di Fabbrica Montefibre-Montedison e diventando uno dei protagonisti delle lotte per i diritti dei lavoratori. La sua attività di scrittore inizia nel 1965, quando distribuisce ciclostilati di poesia, racconti e pensieri presso i quartieri e le scuole frequentati dai lavoratori in lotta. Parte del suo impegno civile è archiviato presso il Centro di Documentazione di Storia Locale di Marghera. È un poeta appartenente alla Beat Generation. Negli anni settanta escono i primi volumi: “Vogliono cacciarci sotto”, 1975; “Dobbiamo volere”, 1976; “Il silenzio non regge”, 1978. Nel 1980 lavora a Milano producendo i quaderni di scrittura operaia “abiti-lavoro”. Nel 1984 pubblica l’opera prima “Poesie”. Una sua poesia divenne famosa nell’ottobre del 1990 quando compare su oltre cinquecento manifesti in segno di protesta contro la guerra a Venezia e Mestre. Nel 1993 torna a pubblicare un libro, dal titolo: “Le stelle chiare di queste notti”. A partire dalla seconda metà degli anni novanta le sue pubblicazioni vengono tradotte in molte lingue, nel 1996 in spagnolo da Carlos Vitale sulla rivista Viceversa, a Barcellona, nel 1997 in inglese da Kevin Bongiorni e Reinhold Grimm, che inseriscono 11 sue poesie nella rivista dell’Università del Nord Carolina. Nel 1998 esce una sua antologia negli Stati Uniti, “Fist of Sun”, tradotta da Jack Hirschman. Troverà spazio anche in Francia grazie all’amico Jean-Luc Lamouille che traduce le sue opere nell’antologia “Le Printemps murit lentament”. Nel 2004 in Spagna esce il libro “No puedo callarte estos dìas”, mentre nel 2005 esce a Berkeley “Portrait of a Woman”, tradotto sempre da Jack Hirschman. Alcune sue poesie sono presenti nei murales di Orgosolo. È il padre di Luigi Brugnaro, patron dell’Umana S.P.A., nonché sindaco di Venezia dal 15 giugno 2015.

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Oltrepassiamo i cancelli,


G A R I WO

la Foresta dei Giusti

il pRESENTE

Celebrare il Giorno della Memoria significa non solo

l a m e m o r i a d e i g i u st i

ricordare la tragedia della S h oa h , ma anche soffermarsi sul bene fatto da persone giuste durante i genocidi del Novecento e le tragedie della contemporaneità, in un percorso che pone al centro l’idea forte di G a r i wo : l a M e m o r i a d e i G i u st i . Ci sembra questo il modo migliore per indicare una strada di speranza. La lezione del passato deve valere anche nel nostro travagliato presente. Non basta affermare che non si devono ripetere mai più gli orrori del passato, occorre anche indicare un modo per raggiungere quell’obiettivo. Anche oggi, come ieri, c’è bisogno dell’esempio dei Giusti. Le loro azioni possono ispirare anche oggi le scelte di quanti devono confrontarsi con le guerre, il terrorismo, le emergenze umanitarie. Il termine G i u st o è tratto dal passo del Talmud che

c h i so n o i g i u st i

afferma “chi salva una vita salva il mondo intero” ed è stato applicato per la prima volta in Israele in riferimento a coloro che hanno salvato gli ebrei durante la persecuzione nazista in Europa. Il concetto di G i u st o è stato ripreso per ricordare i tentativi di fermare lo sterminio del popolo armeno in Turchia nel 1915 e per estensione a tutti coloro che nel mondo hanno cercato o cercano di impedire il crimine di genocidio, di difendere i diritti dell’uomo - in primo luogo la dignità umana - nelle situazioni estreme, o che si battono per salvaguardare la verità e la memoria contro i ricorrenti tentativi di negare

Presidente Gariwo

gabrie le n iss im

la realtà delle persecuzioni.

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MEMORIALE

un ricordo ai sopravvissuti della SHOAH, deceduti nel 2019

A l b e rt o S e d – 7 dicembre 1928 / 2 novembre 2019

“Da Auschwitz-Birkenau siamo tornati in pochi”, raccontava qualche anno fa all’Ansa. Lui lì ha visto uccidere la madre e due sorelle (una sbranata dai cani delle SS). Come detto, per cinquant’anni ha taciuto sull’orrore vissuto, persino con la moglie e con i figli. Poi si è sbloccato ed è “uscito”, come diceva lui, da Auschwitz, raccontando la sua storia prima in un libro scritto dal giornalista e ufficiale dei carabinieri, Roberto Riccardi, intitolato “Sono stato un numero”, poi in centinaia di incontri con scuole, giovani, detenuti, gente comune. “Non sono mai riuscito a prendere in braccio un neonato, nemmeno i miei figli, perché ad Auschwitz i nazisti ci facevano tirare in aria bambini di pochi mesi e si divertivano a ucciderli, come nel tiro a piattello”, racconta. “Non sono mai riuscito a entrare in una piscina, perché ho visto un prete ortodosso massacrato e annegato dai carnefici”, raccontava. E i suoi racconti rimarrano per sempre nelle coscienze di chi ha voluto ascoltarlo.

P i e r o T e r r ac i n a – 12 novembre 1928 / 8 dicembre 2019

“I prigionieri non lavoravano, ma imparai come dovevo morire: vidi un ufficiale sparare un colpo in testa a un deportato che conoscevo. Fu la prima morte che vidi nella mia vita”. Comincia così il viaggio che li porterà ad Auschwitz. Sul percorso, a Siena, ci fu un bombardamento e uno dei deportati riuscì a fuggire. Una volta ripartiti da Fossoli, dopo giorni di fame e di fatica, “ci ricordarono che se qualcuno avesse provato a fuggire, i familiari sarebbero stati tutti uccisi, così come altre dieci persone del carro”. “Non era tanto la fame, ma la sete a sfiancarci: si sentivano i lamenti dai carri, soprattutto dei bambini. Sul nostro eravamo in 64, e non venivano mai aperti: facevamo tutti i bisogni a bordo”.

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Separato dai fratelli, ad Auschwitz non vide più i genitori e il nonno di 85 anni. “Svestiti, depilati, tatuati. Senza scarpe. Stipati a rispondere alle domande incalzanti di persone vestite che ci dicevano che i fumi del camino erano già i nostri cari”, questo l’arrivo al campo di concentramento dove le punizioni cominciarono subito. “Ho pianto in una sola occasione: quanto i miei fratelli mi raggiunsero la sera dopo il lavoro e mi dissero che mio zio, entrato con noi al campo, era stato selezionato per andare a morire nelle camere a gas. Mi riferirono che aveva detto di non essere tristi per lui, perché le sue sofferenze sarebbero finite presto”, ricordava.


LINK UTILI

approfondimenti in classe

h t t p : // w w w. p r i m o l e v i . i t

Centro internazionali di studi dedicato a Primo Levi. Il Centro promuove la conoscenza di Primo Levi, testimone di Auschwitz, scrittore fra i più noti dell’Italia contemporanea, chimico e intellettuale sempre attento alle domande delle nuove generazioni. In questo si rivolge sia ai cultori di discipline umanistiche e scientifiche, sia al vasto pubblico di chi, fra i giovani e i meno giovani, può apprezzare la sua opera, il suo pensiero e la sua personalità. h t t p s : //www. i t. g a r i wo. n e t

Visitare soprattutto la sezione “educazione” per conoscere percorsi didattici, approfondimenti, richiedere materiali, programmare una visita. h t t p s : //www. i t. ga r i wo. n e t / e d i to r i a l i / t e st i m o n i a n z a - d i - l i l i a n a - s e g r e - 2 13 1 6. h t m l

Il discorso tenuto dalla Senatrice a vita Liliana Segre in occasione dell’inaugurazione del Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano dopo la riqualificazione, 4 novembre 2019 h t t p : // w w w. m e m o r i a l e s h oa h . i t

Memoriale della S h oa h di Milano. h t t p s : // w w w. f o n da z i o n e f oss o l i . o r g / i t / c a m p o. p h p

Fondazione ex campo Fossoli. h t t p : // w w w. t r e n o d e l l a m e m o r i a . i t

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L’idea del Treno della Memoria nasce nel 2004 e prende vita dalla fortissima la necessità di ragionare su una vera risposta sociale e civile da dare alle guerre e ai conflitti attraverso l’educazione alla cittadinanza attiva e la costruzione di un comune sentire di cittadinanza europea. Il Treno della Memoria è innanzitutto un percorso educativo e culturale. Da sempre un’esperienza collettiva unica, un viaggio “zaino in spalle”. Non è una semplice gita scolastica, bensì un circuito di cittadinanza attiva. Le tante ore di viaggio divengono la distanza ed il tempo necessari a distaccarsi dal mondo da cui si è partiti per la formazione di una vera e propria comunità viaggiante composta dai partecipanti e da una rete di organizzatori ed educatori “alla pari”.


l a st e l l a d i a n d r A e tat i E’ il primo cartoon che racconta la Shoah vista con gli occhi di due bambine di 4 e 6 anni: trionfa Il film italiano L a st e l l a d i A n d r a e Tat i al prestigioso Banff World Media Festival, in Canada, dove la pellicola ha vinto il Rockie

Award quale miglior produzione in animazione per ragazzi. La pellicola è stata realizzata della società di produzione di Palermo L a r c a da rt e , per la regia di R os a l b a V i t e l l a r o , che ha curato anche la sceneggiatura insieme ad A l e s s a n d r a V i o l a e Va l e n t i n a M a z zo l a . Prodotto in collaborazione con Rai Ragazzi e col Miur, il film si è imposto come prodotto di eccellenza di tv e contenuti digitali, all’interno di un festival che ogni anno vede partecipare oltre 45 paesi del mondo, con una giuria internazionale di 150 professionisti dell’intrattenimento e dei media. L a st e l l a d i A n d r a e Tat i racconta la storia vera delle sorelle A l e ssa n d r a e Tat i a n a B u cc i ,

ebree italiane di Fiume. Avevano solo 6 e 4 anni quando il 29 marzo 1944 vennero deportate ad Auschwitz insieme alla madre, alla nonna, alla zia e al cuginetto. Scambiate per gemelle dal dottor Mengele, Andra e Tati riuscirono a sopravvivere alle prime selezioni nel campo di concentramento e furono portate nel Kinderblock, la baracca dei bambini che venivano destinati agli esperimenti di eugenetica. “Appena arrivate al campo – ricorda oggi Tati – ci fecero indossare vestiti grandi e sporchi. Poi ci marchiarono con il numero che ancora oggi portiamo sul braccio. E che non abbiamo mai voluto cancellare”. A lei fu tatuato il numero 76484, alla sorella il 76483. Furono l’incoscienza dell’età, il grande amore reciproco e il fare affidamento sulla loro unione le risorsa che permisero alle bambine di proteggersi dagli orrori del campo di sterminio. Grazie anche alla compassione di una guardiana del lager le bambine riuscirono così a sopravvivere e vennero liberate insieme il 27 gennaio 1945. Dopo una permanenza prima a Praga e poi in Inghilterra, riuscirono anche a riunirsi con i loro genitori. Il film racconta, così, la loro storia intersecando il racconto con quello di una visita di liceali ad Aushwitz. Un efficace gioco di piani temporali dove passato e presente si intrecciano per ricordare di non cedere mai all’odio, alla violenza, alla paura. Per non dimenticare.

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h t t p s : // w w w. m i u r . g ov. i t / w e b / g u e st /- / s h oa h - i l - c a r t o o n - l a - st e l l a - d i - a n d r a - e tat i - t r i o n fa - a l - ba n f f - wo r l d - m e d i a - f e st i va l


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