GUSTARE L'ITALIA 20 - MAGGIO 2012

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di

cultura

enogastronomica

e

turismo

Anno

3

-

Numero

20

-

Maggio

2012

Copia di cortesia

Poste Italiane S.p.a. Spedizione in abbonamento postale -70% DCB Milano

Periodico

Con il patrocinio di

Speciale Cibus



In occasione del Cibus 2012 che si svolgerà a parma dal 7 al 10 maggio “Gustare l’Italia” vuole ricordare Peppino e Mirella Cantarelli, due personaggi che nella Bassa Parmanse hanno contribuito in modo decisivo ad esaltare la gastronomia italiana. La prima volta che mi resi conto che l’Italia poteva mettersi alla pari o addirittura superare la distanza che da secoli ci separava gastronomicamente dalla Francia (non certo nella sostanza ma nello stile, l’eleganza, la raffinatezza della proposta) senza perdere nessuno dei valori che legano la nostra cucina al territorio, anzi affinandoli ed esaltandoli, fu quando conobbi i Cantarelli, Peppino e Mirella, lui perfetto maitre e sommelier, lei favolosa cuoca, nel loro ristorante di Samboseto in provincia di Parma un’isola golosa nascosta nel mare nebbioso della Bassa parmense. Mi era stato detto che mi sarei trovato in un relais di campagna che nulla aveva da invidiare ai grandi d’oltralpe, ma ero piuttosto scettico; in quel tempo (siamo alla metà degli anni ’50) si pensava che un ristorante di prestigio non avrebbe mai potuto sopravvivere lontano dalle città più importanti; potevano contare su una discreta clientela solo le trattorie appena fuori porta che legavano il nome e la fama ad una robusta cucina tradizionale, un paio di vini accettabili, un conto non astronomico, un ambiente quanto più possibile “paesano” senza alcuna concessione al lusso e alla raffinatezza. Era esattamente quello che mi aspettavo. Mi trovai invece in un luogo di assoluta piacevolezza; l’edificio che lo ospitava era un casolare dall’aspetto esterno piuttosto dimesso, ma superato il negozio di alimentari che fungeva da anticamera si entrava in un luogo raffinato: sui tavoli tovaglie e piatti di alto artigianato, preziosi bicchieri di Baccarat erano pronti ad accogliere i vini che Peppino Cantarelli aveva scelto fra i migliori della regione, e i liquori fra i più prestigiosi del mondo (non ricordo di aver mai più visto una tale ricchezza di marche di whisky e di Porto). La cucina della signora Mirella fu all’altezza dell’ambiente: nel rigoroso rispetto della tradizione i suoi piatti erano cucinati con antica sapienza e con ingredienti di prim’ordine. Fu una cena esaltante di cui conservo un ricordo vivo e grato. “Le stelle sono venute più vicine” dice un personaggio di Karen Blixen al termine di un fantastico pranzo cucinato da una grande cuoca. Mai come quella sera sentii anch’io vicine le stelle nell’aria quieta della Bassa. I Cantarelli aprirono la strada poi a poco a poco, con coraggio e spesso con grandi sacrifici, arrivarono gli altri: Cesare, Angelo, Tonino, Gualtiero, Ezio, Lamberto, Gianfranco…tutti con un debito di riconoscenza, tutti concordi nel riconoscere che la storia della gastronomia italiana si divide in a.C. e d.C. (avanti Cantarelli e dopo Cantarelli). Ecco perché “Gustare l’Italia” vorrebbe ricordarli con qualcosa di speciale che resti nel tempo, e abbiamo lanciato l’idea di un premio a loro dedicato. Abbiamo chiesto la collaborazione di illustri critici e operatori gastronomici e tutti si sono dichiarati entusiasti Nel prossimo numero pubblicheremo il regolamento del “Premio Cantarelli”; sarà un modo di dire grazie a chi si è tanto adoperato per far conoscere la cucina di una grande regione contribuendo in modo decisivo a far compiere alla ristorazione italiana quel salto di qualità che l’ha portata ai massimi livelli internazionali. Un grazie a Peppino e alla signora Mirella che ci piace pensare in Paradiso mentre, con i suoi tortelli e i suoi “savarin di riso” sta incantando gli angeli. La redazione

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Gustare l’Italia

Editoriale

“Premio Cantarelli”


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La manifestazione Cibus, dove il cibo incontra il business

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Sommario maggio 2012

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Mamme in cucina Federica, mamma cuoca

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Attualità S.O.S (Save Our Sons)

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Le “lune” di Gustare l’Italia “Da Giovanni”

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Non solo cibo Parma fra cibo e cultura 36

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Tradizioni culinarie Parma a tavola Gustare l’Italia

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Il personaggio Il “Genio” della “cucina molecolare”


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La formazione Al via il Master della Cucina Italiana

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La provocazione Gli chef “fantasma”

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la provocazione/2 La Tv insegna a mangiare?

GUSTARE L’ITALIA - Periodico di cultura enogastronomica e turismo - Anno 3 - Numero 20 - Maggio 2012 Reg. Trib. di Milano n° 201 del 14/04/2010 - Editore: Linea Editoriale srl - Via Milanese, 5/11 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) - Iscrizione ROC (Registro Operatori della Comunicazione) 21940 - ISSN code 2279-7998 Direttore Responsabile: Massimo Balletti - Direttore Responsabile: Cino Tortorella - Art Director: Daniele Colzani Impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio - Segreteria di Redazione: Rodolfo Puoti Concessionaria pubblicità: Linea Editoriale Advertising Responsabile Trattamento Dati Personali: Dina Lietti - L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo a: info@lineaeditoriale.it Hanno collaborato: Fabrizio Cimino - Javier Echezarreta - Luca Fregoso - Herbert Hortner - Felice Maratea - Prazman - Mario Rebeschini - L. Rossi - Piero Valdiserra - Comune di Parma - Consorzio del Parmigiano Reggiano Consorzio del Prosciutto di Parma - Disney Enterprises, Inc. Pixar/Animation Studios - Esac Ente Servizi Associazione Commercianti Spa - IAT Informazioni e Accoglienza Turistica Comune di Parma - Let’s move - Museo del Parmigiano Reggiano - Museo del Pomodoro - Museo del Prosciutto e dei Salumi Tipici - Museo del Salame Felino - Ufficio Stampa Cibus 2012 - Ufficio Stampa Mediaset

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di Piero Valdiserra

La manifestazione

Cibus, dove il cibo incontra il business Chi visiterà la sedicesima edizione di CIBUS (in programma a Parma da lunedì 7 a giovedì 10 maggio 2012) troverà un quartiere fieristico potenziato rispetto al passato, con maggiori servizi, nuovi parcheggi, un’area espositiva di 120mila metri quadrati. Cresce il numero di espositori che rappresentano le realtà più dinamiche della produzione italiana, come i prodotti biologici, i prodotti freschi di quarta e quinta gamma, i prodotti pronti freschi, con tante novità espositive, dallo spazio per i surgelati a quello del vending. L’esposizione è organizzata seguendo la logica di un continuum coerente con le merceologie fresche, più il nuovo polo dei surgelati nei padiglioni 2 e 3, mentre il grocery (pasta, oli, condimenti, dolciario, ecc.) sarà riunito nei padiglioni 5, 6 e 7. Tra le novità di rilievo, segnaliamo “CIBUS Frozen” (surgelati), “Micro Malto” (birrifici artigianali) e “Venditalia Self Expo” (negozio automatizzato). Rilevante come sempre sarà la presenza delle tipiche produzioni italiane di carne, salumi, prodotti lattiero - caseari e pomodoro.

Grande risalto sarà dedicato alla “Piazza dei prodotti Dop e Igp”, realizzata in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura, in cui esporranno i Consorzi di Tutela italiani. Sul fronte del lattiero - caseario, la “Scuola Internazionale di Cucina Italiana Alma” ha organizzato il Concorso “Alma Caseus”, che premierà i migliori formaggi italiani.

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l’importanza dell’educazione alimentare fin da i primi anni di vita.; • “Sana nutrizione, elisir di lunga vita” è un altro importante argomento perché un’alimentazione non corretta è causa di malattie che riducono le aspettative di vita. Verranno presentati studi clinici che dimostreranno come una sana alimentazione possa contribuire ad allungare sia le aspettative che le qualità della vita stessa.

La comunicazione Completamente rinnovata sarà la comunicazione di CIBUS 2012, che si avvarrà di un sito (www.cibus.it) totalmente rivisto e dell’accesso ai principali social network: Twitter, Facebook, LinkedIn (sulla cui piattaforma un gruppo, “inCibus”, utilizzerà la tecnica del passaparola virale per creare una community di utenti fidelizzati, al fine di alimentare dibattiti, discussioni e interazione intorno ai temi inerenti l’agroalimentare).

© Ufficio Stampa Cibus (2)

Un’area dedicata alla ristorazione fuori casa (bar, ristoranti, mense, ecc.) sarà inoltre organizzata in collaborazione con Fipe/Confcommercio. Complementari a CIBUS 2012 saranno la quinta edizione del “Salone del Dolciario” e il forum scientifico “Pianeta Nutrizione”. Per quanto riguarda il “Salone del Dolciario”, realizzato in collaborazione con Aidepi, l’Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane, Fiere di Parma ha iniziato a lavorare a un rilancio strategico di questo evento, favorendo l’attività di incoming dei buyer del settore. Alla terza edizione di “Pianeta Nutrizione”, forum multidisciplinare sulla sana e corretta nutrizione, parteciperanno medici, nutrizionisti e società scientifiche. Tra i temi principali che verranno trattati: • “Differenze tra maschi e femmine” nel modo di alimentarsi, e le possibili conseguenze sulla salute; • l’”Obesità infantile” che rappresenta un problema estremamente preoccupante per la società in quanto gli studi indicano che in Italia siamo i primi in Europa per sovrappeso ed obesità e che un bambino obeso ha 80 probabilità su 100 di essere obeso da adulto; da ciò deriva

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ma, con le squadre rappresentative dell’industria alimentare, della grande distribuzione e della formazione delle “Mediaset Stars”. L’incasso sarà interamente devoluto in favore di progetti e iniziative solidali di associazioni e fondazioni della città di Parma. Per info: www.cibus.it

© Comune di Parma

Anche quest’anno sarà organizzato “CIBUS in città”, un fuori salone nelle strade e nelle piazze di Parma con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Parma. L’obiettivo dell’evento è quello di offrire ai tanti visitatori che affolleranno le vie di Parma la possibilità di assaggiare i prodotti e di vederne l’applicazione concreta in cucina, uscendo quindi dall’ottica professionale di CIBUS (riservato ai soli operatori del settore agroalimentare). Oltre alla degustazione di prodotti sarà possibile partecipare a eventi interattivi e formativi, e ad attività ludiche e culturali: dalle degustazioni di dolci e succhi di frutta alle esibizioni di maestri pasticceri, dalle esposizioni di attrezzature antiche per la preparazione degli alimenti a gare sportive a tema gastronomico, da forme di pane create ad hoc alla possibilità di sperimentare nuovi prodotti nei temporary shop allestiti per l’occasione. Non mancheranno infine lezioni e seminari nutrizionali su come seguire un’alimentazione sana e corretta. “CIBUS in città” vedrà anche un importante e inedito evento di charity: un triangolare di calcio allo Stadio Tardini di Par-

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di Cino Tortorella

S.O.S. (Save Our Sons) Uno degli argomenti che verrà trattato in “Pianeta Nutrizione” al Cibus 2012 è quello dell’obesità infantile; tra i relatori Cino Tortorella, il direttore editoriale di “Gustare l’Italia” che da anni si occupa con il dottor Lucio Catamo, presidente dell’Associazione Onlus “Amici di Mago Zurlì” di questo gravissimo problema che riguarda i bambini italiani. L’Associazione ha in progetto “S.O.S. (Save Our Sons)” che sta per arrivare a una felice realizzazione.

Attualità

“Let’s move” (diamoci una mossa, svegliamoci!) è l’appello che Michelle Obama sta lanciando da qualche mese dal suo sito “Let’s move” a tutte le mamme americane. “Un bambino su tre è afflitto da obesità infantile - è la denuncia - e tra le minoranze ispaniche e afro si toccano anche punte del 20%, è un dramma che si deve affrontare e risolvere al più presto perché continuando così un terzo dei bambini nati dopo il 2000 corre seri rischi di andare incontro a malattie anche gravissime legate al sovrappeso”.

La first lady Michelle Obama

Per combattere questo problema Michelle invita i genitori americani a seguire le raccomandazione che dietologi e nutrizionisti indicano sempre: dare ai figli una corretta alimentazione (dichiarando guerra ai cibi fritti o ipercalorici) e obbligarli a svolgere quotidianamente un’attività fisica. Anche l’Associazione Onlus “Amici di Mago Zurlì”, presieduta dal dottor Lucio Catamo, è dalla parte di Michelle perché sono anni che denuncia i pericoli dell’obesità infantile, da quando nel 2007 il Consiglio Nazionale delle Ricerche, dopo un’accurata indagine, era giunto alla drammatica conclusione che “i bambini italiani sono i più obesi d’Europa”. Il 35 % in sovrappeso o a rischio di obesità (contro il 27% degli spagnoli, il 20% degli inglesi, il 14% dei tedeschi), e le cause: scorretta alimentazione, poca attività fisica, scarsa attenzione da parte delle famiglie. La fascia d’età più colpita: tra i 6 e gli 11 anni, e i maschi più interessati rispetto alle coetanee. Per quanto riguarda la distribuzione su territorio il problema aumenta da Nord (1 bambino su 4) a Sud (1 bambino su 3).

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I dati del CNR avrebbero dovuto preoccupare seriamente le famiglie se si considerano i rischi che corrono i piccoli: diabete, ipertensione, infarto, ictus, patologie di tipo respiratorio, di tipo articolare dovute al carico meccanico, ridotta mobilità… e soprattutto disturbi di carattere psicologico: l’obesità comporta spesso una diminuzione dell’autostima nel bambino che può sentirsi a disagio e vergognarsi, fino ad arrivare ad un rifiuto del proprio aspetto fisico; spesso è deriso, vittima di scherzi, emarginato dai giochi e perciò portato ad isolarsi, a non uscire di casa, a trascorrere più tempo davanti alla televisione, in un circolo vizioso che li porta ad una iperalimentazione. E l’obesità infantile continua, nella gran parte dei casi, nell’età adulta, esponendo i soggetti a patologie di natura cardiocircolatoria, all’artrosi precoce, al diabete, fino all’insorgere di tumori. Senza considerare le conseguenza di tipo psicologico che si trascinano dall’infanzia e si

amplificano fino ad arrivare a stravolgere la vita del soggetto e dei suoi rapporti sociali. Combattere questo pericolo non è così difficile; a parte malformazioni congenite dovute a fattori ereditari, dietologi e pediatri sono d’accordo nell’indicare gli elementi chiave per la protezione ed il trattamento dell’obesità infantile sono le tre A:

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• A come Attenzione da parte delle famiglie; • A come Alimentazione corretta; • A come Attività fisica; Non sono condizioni difficili o proibitive; basterebbe un po’ di buona volontà, ma troppo spesso manca nei genitori che pure sono convinti di fare tutto il necessario per il bene dei loro bambini, e che reagirebbero con veemenza se li si accusasse di non amarli e di preparare per loro un futuro di sofferenze e di dolori. Dovrebbe arrivare chiara e decisa la denuncia dei pericoli ai quali i loro figli vanno incontro se non si adottano le semplici misure necessarie prima che sia troppo tardi, misure che oltre tutto non sono per niente costose, anzi fanno addirittura risparmiare. E poiché questa denuncia che pur viene spesso fatta attraverso i giornali e la Scuola non ottiene nessun risultato, sarà bene ricorrere ad altri mezzi di comunicazione, i più importanti: televisione e cinema. Ed è per questo che l’associazione “Amici di mago Zurlì” presieduta dal prof. Lucio Catamo ha pensato di realizzare il film documentario

S.O.S. (Save Our Sons) nel quale abbiamo coinvolto autorità nel campo scientifico e noti personaggi dello spettacolo e dello sport. Anni fa Erich Shosser pubblicò negli Stati Uniti il libro-denuncia “Fast Food Nation” (il Paese del Fast Food) che ebbe un buon riscontro di critica ed una certa attenzione da parte del pubblico, ma diventò un successo internazionale soltanto quando Morgan Spurlock ne trasse il docu-film “Super size me”. Nel film sono illustrate le avventure di un personaggio (interpretato dallo stesso regista) che decide di nutrirsi per 4 settimane esclusivamente nei fast food - in particolare McDonald - con il risultato di ritrovarsi ingrassato di 11 chili, affetto da disfunzioni sessuali e cardiache e danni quasi irreversibili al fegato. Il film ottenne uno straordinario successo di pubblico e di critica (costato circa 500.000 dollari ne ha incassati in tutto il mondo quasi 50 milioni), ha avuto anche una nomination agli Oscar e, sarà un caso, la tendenza all’obesità

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negli Stati Uniti ha incominciato lentamente a diminuire. Il nostro S.O.S. si svilupperà in modo esattamente contrario al percorso di “Super size me”: si seguiranno le vicissitudini di un gruppo di piccoli obesi che, in un villaggio vacanza, verranno coinvolti in un fantastico gioco che li farà diventare agili e snelli come la gran parte dei loro coetanei. Il gioco sarà condotto da un personaggio del mondo dello spettacolo caro ai bambini, coadiuvato da un bizzarro assistente, il “police food” Ciccio Mangialamela, lontano parente di Topo Gigio, un cartone animato disegnato da…; i due aiuteranno i bambini a raggiungere il risultato desiderato senza che debbano sottoporsi a diete o a estenuanti sacrifici, ma semplicemente seguendo i consigli di un simpatico nutrizionista e di noti

campioni sportivi. Il primo suggerirà ai genitori l’alimentazione corretta da dare ai figli, gli altri giocheranno insieme ai bambini facendo con loro ginnastica e sport all’aria aperta. All’inizio del docu-film il conduttore ricorderà ai genitori i rischi ai quali i piccoli obesi vanno incontro e li inviterà a seguire attentamente le raccomandazioni del nutrizionista se desiderano che i suoi consigli non si rivelino inutili. Ricorderà anche che una alimentazione corretta non soltanto aiuterà i bambini, ma potrà anche portare qualche piccolo risparmio nelle famiglie; non certo milioni, soltanto pochi euro, ma quel poco denaro potrebbe aiutare bambini che in tante parti del mondo hanno problemi opposti. A questo punto ci si collegherà con una località di una nazione del Terzo Mondo dove vedremo bambini con problemi di sottonutrizione ; anch’essi saranno insieme a una divertente animatrice che realizzerà con loro la magia di ritrovare una forma perfetta giocando e nutrendosi con i cibi ottenuti con il del denaro risparmiato dai bambini italiani. Nei circa 90’ della durata del docu-film vedremo quindi i piccoli obesi che ritroveranno il loro peso-forma e dall’altra parte si assisterà al rifiorire dei bambini denutriti; e sarà questo un ulteriore incentivo per i bimbi italiani a vivere l’avventura nella consapevolezza di dare un aiuto ai loro compagni più sfortunati. Siamo certi che proiettare un film così in tutte le nazioni dove è presente il grave problema contribuirà notevolmente ad avviare una seria campagna contro l’obesità infantile, perché la forza delle immagini varrà più di centinaia di articoli, conferenze e lezioni scolastiche.

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© Consorzio del Parmigiano Reggiano

di Fabrizio Cimino

Non solo cibo

Parma fra cibo e cultura (Parmigianino e Parmigiano)

Il Cibus non poteva che nascere a Parma, come il Vinitaly a Verona, e non un caso che sia stato realizzato per le prime edizioni nel parco del Palazzo Ducale di Maria Luigia, con una perfetta sintesi fra Storia, Arte e Gola. Fellini, nel suo film “Casanova” fa dire al protagonista a colloquio con la bella Henriette in viaggio verso Parma: “Chiunque intraprendendo un viaggio in questa terra deve prepararsi a far conoscenza con tre divinità: il salame, il prosciutto e il parmigiano”. A queste divinità, Indro Mondanelli in una inchiesta svolta negli anni ’60, aggiungeva altri quattro punti cardinali che hanno contribuito

ad arricchire spiritualmente Parma: “Una è Correggio - scriveva - nei cui quadri e affreschi gelosamente vegliati questa piccolo metropoli rispecchia i propri umori capricciosi, morbidi e sfumati. Il secondo è Verdi, gli altri due sono Stendhal e Maria Luigia “la Materna”, “la Magnanima”, “l’Illuminata” che i parmigiani ricordano ancora oggi come se l’avessero conosciuta”. Maria Luigia, donna bella e passionale, moglie di Napoleone, di un altro paio di mariti nonché partner di un ragguardevole numero di amanti, fu a capo del Ducato di Parma Piacenza e Guastalla dal 1815 al 1847.

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Giuseppe Verdi

© Consorzio del Prosciutto di Parma

Ancora oggi si ricorda il felice periodo del suo regno oltre che in molti monumenti ed edifici fra i quali il Teatro Regio da lei voluti, nella “erre” della gente di quelle parti, una “erre” che ricorda quella francese ma meno aggressiva, più musicale, più delicata. Di riflesso anche Maria Luigia ha avuto molto da Parma dove la sua sensualità che nelle corti di Francia e di Austria era repressa, ha potuto esplodere in modo allegro e naturale, favorità dal temperamento dei suoi sudditi e dalla piacevolezza della cucina. Maria Luigia non ci mise molto a innamorarsi di Parma; era stata battezzata con una caterva di nomi: Maria Luisa Leopoldina Francesca Teresa Giuseppa Lucia ma a Parma volle essere chiamata soltanto Maria Luigia. Anche in cucina il suo arrivo creò una certa rivoluzione; a Parma avevano regnato i Farnese di stirpe romana, i Borbone di Spagna e di Francia; alla corte si erano gustati i migliori piatti delle cucine di quelle nazioni sapientemente rivisitati grazie al gusto e ai prodotti locali, ma con l’avvento di Maria Luigia anche la cucina esplose dando vita a un ricchissimo repertorio di prelibatezze. Ecco perché è stato del tutto logico e naturale che la grande kermesse del Cibus nasces-

se proprio nei giardini Palazzo Ducale, che lo scrittore Alberto Bevilacqua ha definito “l’incantevole e sensuale Parco della lussuria”. Un gourmet di classe e di cultura che la prima volta si rechi a Parma in occasione del Cibus dopo aver visitato i padiglioni del Salone Internazionale, deve recarsi in pellegrinaggio a Palazzo Ducale e rivolgere un pensiero alla memoria della bella Maria Luigia; subito dopo,

Maria Luisa d’Austria

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Stendhal


© Herbert Hortner

Il Palazzo della Pilotta

anni è diventato il terrore di autori e cantanti a causa del suo loggione frequentato da intenditori che non perdonano, pronti all’applauso ma anche a clamorosi dissensi. Si ricorda ancora il battibecco fra i loggionisti e un tenore che dopo una salve di fischi si presentò al proemio: “ Ma che volete da me?” domandò e gli spettatori in coro: “Cat canti ben!” (che tu canti bene). Lasciato il Regio ci si dovrebbe recare in piazza Duomo a visitare il Battistero in marmo rosa di Benedetto Antelami, il più importante monumento medioevale d’Italia, e naturalmente il Duomo una delle più belle cattedrali romaniche, costruito nel 1074, consacrato nel 1106 e ristrutturato dopo il terremoto del 1117.

© Prazman

ricordando di trovarsi in una città di tradizioni artistiche, ricca di monumenti, di preziose opere díarte con le memorie di un glorioso e raffinato passato, incomincerà un percorso attraverso la città per ammirarne le bellezze díarte e di cultura. Nei secoli scorsi Parma è stata capitale di un piccolo ducato cuscinetto fra i domini pontifici e la Lombardia, da secoli punto di transito privilegiato attraverso l’Appennino per i collegamenti tra nord e sud díItalia e d’Europa; da qui transitava la via Francigena che già nel Mille conduceva i pellegrini a Roma. Un percorso ideale dovrebbe partire dal centro storico dominato dal Palazzo della Pilotta, una importante costruzione eretta nel XVI secolo dai Farnese come palazzo dei servizi di corte; oggi è il centro culturale della città che racchiude il suggestivo Teatro Farnese, il Museo Archeologico, la Galleria Nazionale e la Biblioteca Palatina. Lasciando piazza della Pilotta per dirigersi verso via Garibaldi si incontra il Teatro Regio inaugurato nel 1829 con la prima della “Zaira” l’opera scritta appositamente da Vincenzo Bellini per l’inaugurazione del Teatro che negli

Palazzo del Giardino

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La Reggia di Colorno, sede dell’ALMA

bo perché durante il regno di Maria Luigia era la sua residenza estiva e oggi è la sede di ALMA Scuola Internazionale di Cucina Italiana di cui Gualtiero Marchesi ne è il Magnifico Rettore. Il turista che a questo punto del suo percorso nel rimirare i capolavori artistici di Parma e provincia si ricorderà di essere anche un esigente gourmet, non avrà che l’imbarazzo della scelta perché dal punto di vista della cultura gastronomica, Parma è una delle perle più preziose dell’Emilia Romagna definita da qualcuno “la capitale dei buongustai”; la natura ha donato a questa terra particolari e variega-

La Cattedrale e il Battistero

te condizioni ambientali - dalla assolata pianura lambita dal Po, ai verdi colli, alle erte giogaie dell’Appennino - che l’uomo ha saputo nei secoli mettere a frutto e affinare per far nascere alcuni dei prodotti tipici più rinomati al mondo: il Parmigiano Reggiano, il salame Felino, la Spalla di San Secondo, i vini dei colli, gli impareggiabili funghi di Borgotaro, il tartufo di Fragno, il leggendario culatello. L’amore per la terra ha portata Parma a diventare dall’Ottocento ai nostri giorni, la food valley d’Italia, concentrando in questa aerea la lavorazione del pomodoro, della pasta, del latte e di numerose “conserve” gastronomiche in questo aiutata da un’industria specializzatasi nelle tecnologie d’avanguardia per la lavorazione degli alimenti.

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© Luca Fregoso

© Luca Fregoso

A pochi passi ecco la chiesa rinascimentale di San Giovanni con la cupola affrescata dal Correggio e dal Parmigianino, e accanto il monastero con gli emozionanti chiostri. Anche in provincia molti sono i luoghi di grande interesse storico e artistico: il castello di Montechiarugolo, costruito a picco sul fiume Enza, circondato da possenti bastioni che ne fanno una fortezza; il castello di Torrechiara del XV secolo fatto costruire dal Conte Pier Maria Rossi per la sua amante Bianca Pellegrini con “la camera d’oro” un delizioso rifugio per amori appassionati e il Palazzo Reale di Colorno che ritorna a perfezionare i connubio tra storia e ci-

Il palco del Teatro Regio


I musei del cibo Ricordiamo inoltre ai gourmet che arrivano a Parma per il Cibus che in provincia possono visitare i musei del cibo dislocati in un territorio, che trae significato dal lavoro e dalle attività che vantano tradizione antiche. I musei del cibo che sono andati a inserirsi in maniera naturale nei percorsi enogastronomici varati dallíamministrazione provinciale e hanno arricchito aree già interessanti per le loro bellezze paesaggistiche, storiche ed artistiche: • il Museo del Parmigiano Reggiano ha sede nello storico Casello ottocentesco che sorge allíombra della Rocca Meli-Lupi di Soragna ricca di castelli e di ricordi verdiani; • il Museo dei Salumi tipici sorge a Langhirano nell’ex Foro Boario in una zona fortemente caratterizzata dalla lavorazione della carni suine e dalla stagionatura; • il Museo del Salame Felino è situato a Felino in un castello del XII secolo • il Museo del Pomodoro è nella frazione del

© Museo del Salame Felino

© Museo del Pomodoro - L. Rossi

© Museo del Parmigiano Reggiano

© Museo del Prosciutto e dei Salumi Tipici

Numerosi sono i luoghi di culto da visitare a questo proposito; suggeriamo in città il ristorante “Parizzi” con le sue opere più preziose di cui si ignora purtroppo il primo autore: gli anolini in brodo, i tortelli d’erbetta, i risotti e per arrivare ai giorni nostri, i ravioli di coniglio e ortiche con fave burrata e pecorino di Pienza, il branzino al vino rosato, il savarin di riso e per chiudere in allegria la cialda di tre mousse e il torroncino con il cioccolato caldo... Una visita la meriterebbe anche “Al Tramezzino” che a differenza del “Parizzi” è in periferia; non ci sono affreschi rinascimentali ma il turista sarà certo interessato dallo spiedo di pesci e crostacei al rum, le mazzancolle tostate con riso integrale e salsa al pepe rosa, lo stinco di agnello allo spiedo con carciofi alla menta. Se si vuole restare nella tradizione più rigorosa sarà bene recarsi in via Gramsci all’antico “Cocchi”, con le sue paste ripiene, le carni al forno, i dolci tradizionali e la specialità della casa da ottobre a maggio: il fantastico carrello dei bolliti.

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comune di Collecchio all’interno di una monumentale corte agricola benedettina del XIII secolo da sempre deputata alla produzione agricola, allíallevamento del bestiame e in tempi a noi più vicini, alla trasformazione industriale del pomodoro. È posto a ridosso del corso del fiume Taro nel parco regionale importante area protetta accanto ad un altro parco storico dei boschi di Carrega e lungo la direttrice della via Francigena ricca di memorie e monumenti dell’epoca medioevale. Non è ancora stato realizzato il Museo del culatello, il principe dei salumi, di cui d’Annunzio si definiva “cupidissimo amatore” e ci si augura che presto si rimedi a questa grave mancanza. Nell’attesa invitiamo i gourmet a recarsi a Zibello,

pochi chilometri da Parma, dove al ristorante “La Buca” troveranno qualcosa che molto somiglia al museo che manca. Innanzitutto gusteranno i piatti di una cucina dove da più di cento anni si avvicendano le cuoche che di madre in figlia (siamo ormai alla quinta generazione) si sono tramandati i sapori delle ricette tradizionali; gli anolini (anulen) cotti nel brodo “in terza” (cappone, manzo e vitello), le lumache trifolate dette “le belle addormentate” (vanno in letargo alla fine di novembre, i ricercatori le trovano immerse nel sonno ed è così che trapassano dolcemente in pentola), l’arrosto di tacchinella, la “pit” come la chiamerebbero Peppone e don Camillo, la crostata di mandorle o di marmellata di prugne... Il pranzo sarà stato naturalmente aperto e magari anche concluso dal culatello e il luogo dove viene dovrà essere visitato in religioso silenzio al termine del pranzo: è la cantina dove vengono fatti stagionare in modo rigorosamente artigianale. La lavorazione iniziale è riservata ai mariti ma in seguito ogni operazione è compito squisitamente femminile perché - giurano le donne - “i culatelli vanno curati come i bambini”. L’unica differenza è che invece di crescere calano di peso; ineluttabilmente da maggio a

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dicembre se ne va quasi il 50%, come se misteriosi ed inafferrabili ladri si aggirassero nei paraggi. La cantina della Buca ospita fino a 400 culatelli che vengono spazzolati ogni due mesi, battuti per individuarne la qualità e controllati con l’ago ottenuto da un osso di cavallo usato per la prova olfattiva. Gli esemplari che non superano tutte le prove vengono inesorabilmente scartati. Ogni sera viene aperta la porta della cantina ed entra la nebbia che si alza pigra dal Grande Fiume per andare a dare il suo umido abbraccio ai culatelli addormentati. I culatelli, quelli veri, che verranno serviti accompagnatio rigorosamente dal Lambrusco, anche questo, quello vero, quello di cui, come

scriveva Curzio Malaparte, “è colma la musica di Verdi fino all’orlo, quello che in tutta la “Chartreuse de Parme” di Stendhal scorre come una vermiglia, frizzante vena”. Tutto questo e molto altro ancora è Parma e la sua provincia, la Parma sensuale, colta e ghiottona di Salinbene, di Verdi, di Stendhal, di Giovannino Guareschi, di Alberto Bevilacqua. La Parma del Cibus.

Il Gran Maestro della Confraternita dell’Arciculatello Supremo Alberto Bevilacqua nato a parma nel 1934, scrittore. regista sceneggiatore nonchè poeta e giornalista Ha ricoperto nella sua città una carica molto importante, quella di “Gran Maestro della Confraternita dell’Arciculatello Supremo”. Così lo scrittore racconta in che cosa consiste la carica che ha accettato con un entusiasmo molto maggiore che se avesse ricevuto un oscar per un suo film o un Premio Strega per un suo romanzo: “quello della confraternita è un lavoro molto serio che esiste da secoli. I componenti sono solo uomini che devono aver dimostrato di non essere mai stati deviati dal gusto per la vita e i suoi piaceri, a causa della ricAlberto Bevilacqua chezza o del successo. Si riuniscono una volta all’anno indossando costumi medioevali e decidono qual è il migliore culatello dell’anno. Ne assaggiano fino a 30 tipi per volta e fra un assaggio e l’altro bevono un bicchiere di Malvasia per preparare il palato alla prossima degustazione. Alla fine della cerimonia il maestro con la spada indica il vincitore che viene nominato “culatello dell’anno”.

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L’amore per la qualità Il rispetto per la tradizione Benagiano Pastificio srl Corso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba) Tel. 080-3036036 - E-mail: benagiano@benagiano.it - Website: www.benagiano.it


di VIncenzo Buonassisi

Tradizioni culinarie

Parma a tavola In occasione della “Mostra del libro di enogastronomia” che si svolgerà ad Alberobello, una iniziativa del Museo del Vino di Dante Renzini, sarà premiato anche il vincitore del concorso “Il vino in pentola” intitolato a Vincenzo Buonassisi, maestro e critico di buona cucina. Può partecipare al concorso chiunque inviando a info@ lineaeditoriale.it, una mail con la ricetta di un piatto che abbia fra i suoi ingredienti (non necessariamente quello principale) il vino di un qualsiasi vitigno. Di Vincenzo Buonassisi, che insieme a Luigi Veronelli nel secolo scorso ha insegnato agli italiani l’arte del buon mangiare e del buon bere, pubblichiamo uno scritto dedicato alla cucina parmense con le ricette dei suoi storici piatti, in occasione di uno dei primi “Cibus”.

Tutto nella tradizione di Parma rivela una linea elegante, raffinata, gentile, che anche a tavola, e in cucina, corrisponde al carattere dell’antica capitale, dove ancora oggi si venera il nome della duchessa Maria Luigia, a cui si deve un periodo splendido per le arti, il costume, le feste. Rispetto alla cucina bolognese, a quella modenese, alla reggiana, a tutta la cucina

emiliana insomma, Parma vanta un tocco aristocratico che si affida in particolare al suo prosciutto, al suo parmigiano oggi protetti dal marchio di qualità. Proviamo dunque a metterci a tavola: tutto un pranzo “alla parmigiana”, lasciando fuori, s’intende, quel piatto del profondo sud, che pure si chiama addirittura “parmigiana”, fatto con melanzane o anche con zucchine e

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Un altro piatto di grande tradizione è la “cotoletta alla parmigiana”, guarnita sopra con il parmigiano. Anche di questo troverete la ricetta; a stagione, secondo disponibilità, si usa coprire questo cotolette anche con una piccola pioggia di lamelle di tartufo. Ancora, a volte, invece di usare il pangrattato comune, quando è il momento di friggere le cotolette, si usa un pangrattato fatto leggermente abbrustolire (passandolo al fuoco con una noce di burro). Altro piatto classico: l’“erbazzone” o “scarpazzone”, torta di verdure in cui entra ovvia-

© Mario Rebeschini

falde di peperoni, gli asparagi ancora “alla parmigiana” che si servono lessi, con sopra le uova fritte; e le molte insalate in cui entrano scaglie di parmigiano; o il tortino di parmigiano e tartufo, stagionale, che si fa disponendo a strati fettine dell’uno e dell’altro, poi facendoli legare e ammorbidire sul fuoco, e così via. Ancora, in un menù parmigiano di nome e di fatto, come non partire da un favoloso antipasto che si fa servendo separatamente, in diverse ciotole schegge di parmigiano e gherigli di noci: che legano nei gusti in modo straordinario e non richiedono cotture sul fuoco; caso mai, un accompagnamento; e poi gli “anolini”, diversi da tutte le paste ripiene, a forma di moneta o mezzaluna; un principio sacro a Parma è che per paste molto piccole occorre un ripieno che si avvalga del sugo dello stracotto ma non della carne (e chi rompe questa regola è considerato sacrilego). Il pezzo di manzo intero poi deve essere lardellato con striscioline di pancetta e pezzetti d’aglio introdotti nella polpa con piccole incisioni. La cottura ideale dovrebbe essere di 5 o 6 ore. E ringraziate il cielo perché un tempo si faceva durare questa cottura perfino tre giorni con pazienza inenarrabile e si usava mettere sul tegame un coperchio rovesciato nel cui incavo si versava vino rosso (Lambrusco, Gutturnio, Bonarda i più adatti) in modo che si formasse un velo di sapore alcolico a proteggere e rendere più raffinata la cottura. Sono rifiutate dagli ortodossi altre versioni del piatto, in cui gli anolini vengono conditi con burro e panna, o col ragù perché questi condimenti ammazzano il gusto del ripieno.

mente il parmigiano grattugiato. Ottima servita sia calda sia fredda. A proposito degli anolini e di tutte le paste ripiene, ricordiamo che il primo a parlarne, in età medioevale fu un frate: frà Salimbene da Parma, nato altrove ma a Parma vissuto a lungo; e ne parlò per biasimare la nuova usanza di avvolgere palline di carne macinata e altro, dentro pezzetti di sfoglia, perché non si disfacessero per la cottura nel brodo. Fortunatamente, non gli dettero ascolto.

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Ricette

Anolini in brodo alla parmigiana Ingredienti per 6 persone: 300 gr di polpa di manzo; 1 dl di olio di semi; 1 cipolla piccola; 3 spicchi d’aglio; 1 bicchiere di vino rosso; 3 chiodi di garofano; 100 gr di pane grattugiato; 100 gr di parmigiano grattugiato; 1 uovo; sale (per il ripieno); 200 gr di farina bianca; 2 uova; sale (per la pasta) Procedimento: in un tegame fare rosolare la polpa di manzo infarinata assieme all’olio. Quando sarà rosolata da tutte le parti aggiungere il vino, farlo evaporare, aggiungendo sale e chiodi di garofano; finire la cottura con acqua. A cottura ultimata togliere la carne e mettere il pane, girando con un cucchiaio di legno; lasciare raffreddare e passarlo assieme alla carne nel tritacarne, aggiungere l’uovo e il parmigiano grattugiato amalgamando bene; aggiustare di sale. Impastare la farina e le uova con un pizzico di sale, fino ad ottenere una pasta liscia ed omo-

genea. Tirare la sfoglia sottile ricavandone delle strisce sulle quali si distribuirà il ripieno, ripiegare in due la pasta, saldare bene intorno poi tagliare con il tradizionale stampino. Cuocerli in brodo di manzo e cappone. Vino da accompagnamento: Gutturnio.

Tortelli d’erbetta alla pamigiana Ingredienti per 4 persone: 500 gr di ricotta; 25 gr di parmigiano grattugiato; 70 gr di foglie di bietole lessate in acqua salata e tritate finemen-

te; 1 uovo; 5 gr di sale; noce moscata (per il ripieno); 200 gr di farina bianca; 2 uova (per la pasta); 00 gr di burro fuso; 4 cucchiai di parmigiano grattugiato (per condire). Procedimento: Impastare la farina e le uova, fino a ottenere una pasta liscia e omogenea. Tirare la sfoglia sottile ricavandone strisce lunghe 20 cm e larghe 8. Distribuire su ogni striscia 5 cucchiaiate di ripieno, ripiegare in due la pasta, saldare bene intorno, poi tagliare con una rotellina la pasta fra ogni tortello. Cuocere i tortelli in acqua bollente e salata per 4/5 minuti. Distribuire 10/12 tortelli su ogni piatto, cospargerli di parmigiano grattugiato, versarvi sopra un po’ di burro fuso e servire. Vino da accompagnamento: Scorza Amara.

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Erbazzone Ingredienti per 4 persone: 80 gr di cipolla tritata fine; 100 gr di pancetta tagliata a julienne; 400 gr di spinaci lavati; 2 uova; 200 gr di parmigiano grattugiato; sale; noce moscata; 250 gr di pasta sfoglia; 4 cucchiai d’olio. Procedimento: fare imbiondire la cipolla nell’olio, aggiungere la pancetta e gli spinaci, sale, noce moscata e pepe. Portare tutto a cottura e lasciare raffreddare; aggiungere uova e parmigiano. A parte tirare metà della pasta sfoglia e metterla a coprire il fondo di una teglia. L’altra metà servirà per coprire la farcia. Infornare a 200° per 20 minuti. A piacere nella farcia si può aggiungere un poco di ricotta. Vino da accompagnamento: Gutturnio.

Bomba di riso Ingredienti per 4 persone: 4 piccioni; 80 gr di scalogno; 80 gr di cipolla; 40 gr di funghi porcini secchi; 1 dl di olio; 300 gr di riso; 1 dl di vino bianco; 100 gr di burro; 100 gr di parmigiano; 2 mestoli di brodo; pane grattato.

Procedimento: disossare i piccioni meno le cosce e rosolarli in padella con lo scalogno e i funghi ammorbiditi e cuocere lentamente. Tostare le ossa, aggiungere un po’ d’acqua, lasciare ridurre e aggiungere al ragù. Rosolare la cipolla con un po’ di burro, aggiungere il riso, farlo tostare, mettere il vino, farlo evaporare e portare a cottura col brodo, mantecare col burro e parmigiano e lasciare riposare per 5 minuti. Imburrare uno stampo a ciambella, passare il pane grattato, mettere un primo strato di riso poi il ragù di piccione (1/3 tenendo a parte le cosce), riempire col riso rimasto, infornare a 200° per 10 minuti circa. Rovesciare lo stampo su un piatto da portata e mettere al centro il ragù rimasto e le cosce. Vino da accompagnamento: Gutturnio.

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Maggio è anche il mese del “Mother’s Day” il giorno della mamma la festa nata negli Stati Uniti a metà degli anni 50 che ho avuto l’onore di portare per primo in Italia nella mia trasmissione “Zurlì mago del giovedì” che conducevo in quel periodo dagli studi della Rai di Milano. Come Direttore Editoriale di “Gustare l’Italia” ho deciso di ricordare questa festa in modo originale e d’accordo con la direzione del Cibus, che si svolgerà a Parma dal 7 al 10 maggio pochi giorni prima del “Mother’s Day” si è deciso di premiare una mamma del mondo dello spettacolo che oltre alle qualità di tenerezza, sensibilità, amore per i propri figli ne abbia un’altra importantissima dal punto di vista gastronomico: sia anche una buona cuoca. Abbiamo svolto un’indagine in tal senso e siamo giunti alla conclusione che le mamme più votate sono state Lorella Cuccarini, Antonella Clerici, Cristina e Benedetta Parodi, Deborah Compagnoni.. ma al primo posto con una percentuale bulgara è stata scelta Federica Panicucci. Il risultato mi ha fatto molto piacere perché conosco Federica fin dai tempi del suo esordio come “centralinista” di Portobello, storico programma di Enzo Tortora. Qualche tempo fa ero stato invitato alla sua trasmissione “Mattino Cinque” che conduce con Paolo Del Bebbio, in onda dal lunedì al venerdì negli studi Mediaset e ho trovato sorprendente come gli anni siano scivolati sul suo luminoso viso e sul suo corpo senza lasciar tracce; sempre bella, fresca, luminosa. E sempre più brava. Ero stato invitato alla trasmissione per parlare di un incidente che mi

© Ufficio Stampa Mediaset

di Cino Tortorella

Mamme in cucina

Federica, mamma cuoca

è capitato tre anni fa, un caso che gli scienziati chiamano “pre-morte”; il cuore mi si era fermato per alcuni minuti durante i quali mi sono trovato proiettato in un’altra dimensione dove sono stato inondato da una luce “liquida” ed ho trascorso momenti di pace profonda riascoltando voci di persone care scomparse. È stata un’emozione intensa e da quando sono ritornato alla realtà cerco di far arrivare

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a tutti un messaggio: “Non abbiate paura. Quando il vostro cuore si fermerà non sarà la fine; e non vi troverete soli”. Insieme a me c’erano altre persone che hanno vissuto la mia stessa esperienza e la raccontavano quasi con le mie stesse parole; c’era però anche qualche scettico che attribuiva quanto ci era accaduto, ad una sorta di allucinazione come accade quando si è sotto l’effetto di una droga o quando si sogna… Era inutile obiettare che non tutti i sogni sono uguali e la droga provoca sensazioni diverse da individuo al individuo. Federica condusse il non facile dibattito che ne è seguì con molta classe e sensibilità, e al termine della trasmissione mi complimentai con lei dicendole che aveva fatto davvero molta strada da quando aveva iniziato la sua prima esperienza nel mondo dello spettacolo. Mi disse che in realtà aveva cominciato molto prima, a cinque anni, quando aveva partecipato ad uno spettacolo musicale cantando una canzone; e mi mostrò ridendo una foto di lei bambina insieme a Mago Zurlì. La rivedo dunque per dirle che è stata nominata “Mamma Cuoca 2012” e la cosa le fa molto piacere anche se si schermisce con modestia: “Non sono poi una grande cuoca” - dice - “sono toscana nata a Cecina, mi piace il buon mangiare e il buon bere; sono discreta ai fornelli e quando ho tempo cucino per tutta la famiglia divertendomi molto e appassionandomi. Purtroppo il mio lavoro non mi permette si farlo spesso come vorrei. Le mie specialità sono favolose lasagne al ragù per le quali mio marito e i miei figli vanno matti, e quella che noi a Cecina chiamiamo la

“fettunta”; non è un cibo molto importante, è una merenda, ma la faceva sempre mia nonna quando ero bambina. Nei miei ricordi non c’è niente di più buono. È la mia “madeleine” come per Proust il dolcetto di Zia Lèonie.”. Sorride come a inseguire un piacevolissimo ricordo. “Posso avere per i nostri lettori le ricette delle lasagne che della fettunta?” le chiedo “per le lasagne non c’è problema – mi risponde - “ma non cercare di fare la “fettunta” per-

ché ti sarà impossibile. Anch’io spesso ci provo ma non riesco mai a farla come quella di nonna Chiarina” “Chiarina ? Non ci può essere un nome più bello per una nonna” dico “Lei era proprio come il suo nome: lucente, serena, sempre allegra… quando era l’ora della merenda prendeva una fetta di pane, tagliava un pomodoro che strofinava da una parte e dall’altra parte del pane, un pizzico di sale e poi una pioggerellina d’olio. Ed io ero in Paradiso”. “Con tutto il rispetto per la nonna Chiarina” - le dico - “non mi pare una ricetta così impossibile da realizzare … non è poi così difficile procurarsi una fetta di pane…”

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Mi interrompe: “Si ma quale pane ? non quello che troppo spesso si mangia oggi… il pane deve essere quello dei contadini toscani, cotto nel forno a legna, senza sale…pane che sa di pane e non di cartone come spesso succede oggi, e il pomodoro non quello dei supermercati che sa di plastica, ma quelli della campagna intorno a Cecina; non sono proprio perfetti esteticamente, ma maturano senza aiuti chimici al sole e al vento che arriva dal mare…e l’olio… l’hai mai assaggiato l’olio degli uliveti della mia Toscana, intenso, profu-

mato, che ti accarezza e poi ti pizzica deliziosamente in gola?” Le obbietto che forse a Milano sarà difficile trovare quel pane, quei pomodori, quell’olio, ma le basterà tornare a Cecina e da qualche contadino potrà ancora trovare tutto ciò che occorre per rifare la “fettunta” “Certo quando posso tornare nella mia città, ci provo ogni volta, e riesco a fare qualcosa che si avvicina al sapore che mi è rimasto nel cuore… ma ci sono ingredienti che purtroppo non trovo più”. “Quali ?” Sospira con dolcezza: “Le storie fantastiche che mi raccontava mentre facevo merenda, le sue risate, gli occhi luminosi di nonna Chiarina…” Non lo dico, ma penso che quello che mi è accaduto e che ho raccontato in trasmissione non è stata un’allucinazione, come sostengono i sapientoni, ma una realtà alla quale tutti noi prima o poi andremo incontro, quelle storie, quei sorrisi e quegli occhi li ritroverà un giorno (che le auguro però lontanissimo!).

Le lasagne di Federica Ingredienti per 4 persone: 300 g di pasta all’uovo; 300 ml di besciamella; ragù alla bolognese; 150 g di Parmigiano grattugiato; 100 g di prosciutto; 100 g di formaggio stagionato. Procedimento: ritagliate le lasagne da una sfoglia non troppa sottile; cuocete la pasta in abbondante acqua salata e scolatela al dente. Foderate una teglia da forno col ragù; stendete uno strato di pasta, quindi coprite con altro ragù, qualche cucchiaio di besciamella, una spolverata di Parmigiano, il formaggio e il prosciutto. Procedete in questo modo fino a quando non sarà esaurita tutta la pasta. Sull’ultimo strato mettete abbondante ragù, besciamella e Parmigiano e infornate nel forno precedentemente scaldato a 180° per mezz’ora circa. Servite subito, ben caldo.

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di Felice Maratea

Le lune di Gustare l’Italia

“Da Giovanni” La nostra Luna illumina oggi un ristorante non proprio trascurato dalle guide gastronomiche ma che, a parere di chi scrive, avrebbe diritto ad un’attenzione maggiore da parte dei severi critici che attraversano l’Italia per emanare le loro sentenze inappellabili; qualche stella, qualche forchetta, qualche gambero in più certo lo meriterebbe l’elegante locale di Cortina d’Alseno, il bel paese immerso nel verde e nel silenzio delle colline del piacentino.

Siamo nel cuore del ducato di Parma e Piacenza dove regnò dal 1815 al 1847 Maria Luisa di Borbone, la moglie di Napoleone bella e passionale. Ancora oggi si ritrova il ricordo felice del suo governo, oltre che in molti palazzi e monumenti, nella “erre” dalla gente di queste parti, un dolce difetto di pronuncia che ricorda quella francese ma meno aggressiva, più musicale, più dolce e sensuale. Proprio come il carattere di chi vi è nato.

A Cortina d’Alseno il tempo ha battiti lenti, le ore trascorrono nella quiete; è il luogo ideale per chi è in cerca di tranquillità e di riposo ma anche di sapori del passato. Troveranno tutto ciò nel ristorante “Da Giovanni” situato in una bella casa di campagna dove oggi c’è chi

vi arriva anche in elicottero grazie alla spiazzo accanto alla costruzione, ma nel settecento era una posta per cambiare i cavalli delle carrozze che lasciavano la via Emilia dirette a Genova per la “Via dell’olio” (così chiamata perché la percorrevano i commercianti che

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andavano nel capoluogo ligure ad acquistare il prezioso liquido). Diventata un’osteria alla fine dell’Ottocento fu acquistata cinquant’anni fa da Giovanni Besenzoni che con la moglie Carolina, straordinaria cuoca, aveva deciso di farne una trattoria dove poter gustare i cibi della tradizione cosentina. Il successo fu immediato e la voce si sparse in breve tempo; chi voleva riassaporare i piatti di un lontano passato doveva recarsi da Giovanni dove la Carolina realizzava indimenticabili manicaretti, sopratutto i “Pisarei e fasò”, una ricetta del Quattrocento. I “pisarei” sono un tipo di pasta fatta a mano; il nome non è proprio elegante (chiedete il significato a Renato o leggetelo nel dizionario italo - piacentino), i fagioli sono quelli “dell’occhio”, carnosi e sensuali.

Qualche anno dopo si aggiunse alla conduzione della trattoria il figlio Renato che aveva da poco sposato la bella Maria Teresa anche lei ottima cuoca, e così la continuità fu assicurata. Oggi i compiti dei Besenzoni sono così suddivisi: Maria Teresa, amorevolmente assistita dalla suocera, è la regina dei fornelli; il figlio Nicola è il simpatico perfetto maitre in sala; e Renato, da quando non c’è più papà Giovanni, procura le materie prime, gli inarrivabili salumi per la gran parte realizzati in proprio e della scelta dei vini alcuni di questi anche di propria produzione. Nella cantina sono presenti oltre a nobili vini italiani, i migliori di Emilia Romagna e soprattutto quelli di Parma, Modena e Piacenza. Sono vini di non grande nobiltà e con una pessima stampa perché spesso prodotti in modo superficiale, ma Renato ha compiuto un’accurata scelta tra i prodotti del territorio e propone il meglio in assoluto rendendo così giustizia a questi vini piacevoli e generosi che Sante Lancerio, il messo incaricato da Papa

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Paolo II a cercare i vini da bere nelle tappe dei suoi viaggi, aveva definito “belli come sono belle le maschere, le rotelle et ancora le donne”e Andrea Bucci, medico di Papa Sisto V, li aveva trovati “di gusto delizioso, piccanti, di soave odore e spumanti mentre si versano”. Deliziosi e spumeggianti sono i due vini che produceva papà Giovanni: il rosso Gutturnio e il bianco Ortrugo. Il Gutturnio, dal nome poetico e tenebroso, è un uvaggio di Barbera e Bonarda, vispo e brioso, allegro, tutto sapore e colore, perfetto per i salumi e per la ruvida cucina piacentina. È un vino che mal sopporta i viaggi e solo quando lo si beve sul posto esprimere al meglio le virtù. Si beve abbastanza fresco e ha la consistenza dei sogni giovanili.

L’Ortrugo è ottenuto da un vitigno autoctono rarissimo e quasi in via d’estinzione. Il suo matrimonio ideale è con i soavi culatelli che Renato realizza con antica sapienza. In cucina regna la tradizione più ghiotta e rigorosa e Maria Teresa ne è l’interprete attenta e puntuale. E se qualche volta cede all’ispirazione del momento a alla fantasia, le asseconda nel rispetto dei prodotti che le arrivano dalla campagna, dalle colline, dall’orto. “Avere ospiti significa farsi carico della loro felicità” è una sua bellissima frase sulla quale dovrebbero meditare moltissimi chef anche fra i più titolati. Alcuni suggerimenti tratti dal suo menù: “Insalatina di gallina perniciata di Viustino, vinaigrette all’aceto balsamico e tartufo nero estivo”, “Anatra muta di Viustino brasata al monterosso” “Trancio di storione al gutturnio” e, immancabili e superbi, i “Pisarei e fasò bazzotti”. È questo un piatto non proprio leggero eppure secondo i piacentini è ideale per una cena romantica preludio ad una notte appassionata. Non è proprio un cibo leggero, forse anche un pò eccessivo ma da queste parti si dice che se in Paradiso non ci saranno i “Pisarei e fasò” mancherà qualcosa alla completa beatitudine.

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Così come dal resto il Paradiso non sarebbe perfetto senza una delle più alte invenzioni gastronomiche di questa terra benedetta: il cibo divino e afrodisiaco come i tartufi, i caviale, i testicoli di cigno, le ostriche, le radici di mandragola; sto parlando di sua maestà il culatello. Avvicinarsi al culatello la prima volta è come scoprire Mozart, come dare il primo bacio d’amore, come tuffarsi nelle acque incontaminate di un lago alpino in una quieta sera d’estate.

Il culatello è un cibo inventato per l’allegria in una terra dove è proibita la malinconia, dove i pensieri evaporano come al mattino le nebbie fiumarole che vi hanno trascorso la notte. Quale geniale poeta ha pensato per primo di isolare la parte della coscia del maiale per destinarla a diventare culatello, rifilarla, salarla, vestirla del “sunsen” e legarla dandogli la caratteristica forma a pera? Come ha potuto intuire che le nebbie del grande fiume avrebbero dato l’ultimo tocco in-

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sieme al buio e al silenzio per portare la sua creazione alla perfezione? Quante melodie eterne di Verdi si devono al culatello? Quanti deliziosi racconti del Mondo Piccolo di Giovannino Guareschi? Oggi è difficile trovare l’autentico culatello; purtroppo l’industria se ne è impadronita ed è riuscita a violentarlo e ad alterarlo così come ha fatto con altri prodotti: dal “formaggio di fossa” al “lardo di Colonnata” ai “fagioli di Sorana” alla “mozzarella di bufala” all’aceto balsamico… e l’elenco potrebbe purtroppo continuare. Per fare un autentico culatello occorre innanzitutto che sia ottenuto da maiali cresciuti in libertà e nutriti con cibi genuini senza aggiunta di additivi chimici; ed una volta insaccati il tempo per portarli alla preparazione non

può essere inferiore ai 24 mesi; oggi la gran parte di quello che arriva sulla nostra tavola è ottenuto da maiali allevati in batteria e realizzato anche in soli 10 mesi. “Da Giovanni” si può ancora gustare, come nel bel tempo andato, quello che d’Annunzio chiamava “delizia golosa” e se ne diceva “cupidissimo amatore”. Se il grande Gabriele si trovasse oggi a passare dalle parti di Cortina, se potesse gustare il culatello di Renato, se potesse gustare le creazioni gastronomiche di Maria Teresa, scriverebbe articoli di fuoco contro certi critici gastronomici che danno a “Da Giovanni” valutazioni pari a quelle di certi locali banali; e sarebbe certo d’accordo con noi che alla famiglia Besenzoni diamo la nostra Luna, piena e risplendente.

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di Cino Tortorella

Il “Genio” della “cucina molecolare” mondo, e ha pure avuto il coraggio di chiudere dopo 25 anni di successi. Ben ottomila pagine di 6 libri e 6 cdrom sono occorse per spiegare la nascita e l’evoluzione del ristorante di questo personaggio che ha incominciato la sua carriera a frequentando le cucine come lavapiatti ed è arrivato a essere considerato il più grande cuoco vivente, uno dei più grandi della storia. La Mostra descrive le oltre duemila creazioni di Adrià e presto sarà inaugurato un Museo dove saranno conservati religiosamente gli storici documenti sul ristorante ormai chiuso. Pare anche certo che a Holliwood sarà girato presto un film basato sul racconto “The Sorcerer’s Apprentice” (l’apprendista strego-

© Javier Echezarreta

Il personaggio

La notizia dell’anno nel magico mondo della gastronomia: “Ferran Adrià terrà un corso di cucina all’Università di Harvard per i prossimi 5 anni”, strillano i media di tutto il mondo. Dopo aver dato l’addio ai fornelli il 30 luglio dello scorso anno (e gli appassionati di cucina si stanno ancora chiedendo il perché) questo sarà il prossimo impegno che attende l’inventore della “Cucina mMolecolare” al quale la sua città, Barcellona, ha dedicato una mostra intitolata “Rischio, Libertà e Creatività” che si può vistare al Palau Robert fino al febbraio dell’anno prossimo. Ferran vi è celebrato come uno dei più illustri figli della Catalogna, colui che ha innalzato a mito il ristorante “elBulli” numero uno al

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ne) di Lisa Abend, e il film uscirà nel 2014 in contemporanea con un’altra mostra che si terrà a New York. Migliaia dei fan che stanno riempiendo le sale del Palau Robert per visitare l’esposizione del Maestro sono in trepida attesa dell’inizio dei corsi ad Harvard, la storica università di Boston del Massachusetts e della Fondazione “elBulli” che aprirà fra un paio d’anni. Dopo aver stupito il mondo dei gourmet con la cucina molecolare (per comprendere la quale occorre rivolgersi a ingegneri nucleari) terrà lezioni sulla Cucina come punto di arrivo per la scienza, l’arte la letteratura che si sono poste al suo servizio e l’hanno fatta diventare soggetto di dispute accademiche. Ho avuto la fortuna di incontrare tre volte questo genio della cucina che certo è riduttivo chiamare chef e men che meno cuoco: la prima volta fu agli inizi degli anni ’90; avevo sentito parlare di Ferran Adrià, delle sue creazioni, delle centinaia di giovani allievi che da tutto il mondo si succedevano nella sua cucina per imparare le sue tecniche rivoluzionarie. Mi ero trovato a Barcellona la domenica delle Palme, avevo visitato l’emozionante cattedrale incompiuta di Gaudì, avevo assistito alla Messa Pasquale recitata in puro castigliano all’aperto davanti alla chiesa. Ero poi andato a cena da “elBulli” a Roses pochi km dal confine francese, con alcuni amici curiosissimi come me nel provare le creazioni di quel cuoco di cui parlava tutto il mondo dei gourmet. Passarono gli anni e mi ritrovai nella bellissi-

ma capitale della Catalogna insieme a Mike Bongiorno con il quale stavo realizzando una trasmissione il “Premio Mozart” una gara di giovani concertisti selezionati in tutto il mondo. Anche Mike aveva sentito parlare di “elBulli” e volle provarlo. Non gli raccontai della mia prima esperienza e partimmo per Roses. Il ricordo di quel secondo incontro è molto più vivo del primo perché in seguito ne parlammo a lungo con Mike: arrivati a Roses proseguimmo per cala Montjoi, una stradina che correva fra agavi, oleandri, lecci e pini marittimi ci portò al ristorante che si affacciava su una deliziosa spiaggetta; varcammo la veranda che dava su due sale molto piacevoli tra il rustico e il classico, e ci fu dato il menù, ma il maitre ci consigliò di lasciar fare allo chef come la gran parte degli ospiti. Ci presentò anche la carta dei vini segnalandoci quelli italiani di marche prestigiose come Gaya, Schiopetto, Gravner, ma dovendo gustare cibi cucinati da un catalano preferimmo un vino della zona totalmente sconosciuto e che trovammo gradevole. Poi cominciò la processione dei cibi e riprovai l’esperienza della prima volta. “Ma che co-

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sa stiamo mangiando?” continuavamo a chiederci fra una portata e l’altra; e ce lo chiedemmo per molto tempo dopo aver pagato il conto che, siamo alla fine del secolo scorso, superava le 300.000 lire. Continuando a leggere gli innumerevoli articoli che illustravano le gesta di Adrià arrivammo alla conclusione che eravamo noi a non aver capito niente del genio , delle sue intuizioni spericolate che avevano dato una svolta epocale alla storia della cucina travolgendo tradizioni, usanze, consuetudini… Qualche tempo dopo però ci capitò di leggere su “La Stampa” un articolo di Edoardo Raspelli che aveva vissuto la nostra medesima esperienza. “Finalmente capiremo chi è Ferran Adrià e sapremo che cosa abbiamo mangiato a “elBulli” - ci dicemmo. Eccone alcuni passi: “…La prima schiuma arriva subito, appena seduti, con un buon whisky sour ai frutti della Passione, poi i primi cinque “piatti” saranno solo sfizi provocatori più da cocktail party che da ristorante: dadini millimetrici di sesamo croccante (!), baccalà croccante (!!), croccante di alghe (!!!), un cucchiaino con pinoli in salsa salata e montata, riso selvaggio cotto a mo’ di pop corn, la cui cottura lo riduceva a vermetti; cosine fredde, fettucce da sgranocchiare. E poi si cade a precipizio. Un delizioso bicchierino porta una pallina di pane farcito di olio e fritto, adagiato su un bianco sorbetto di acquoso pomodoro; un cucchiaio reca una schiumetta di patata con un lieve gusto di caffè. (…) Un altro calicino elegante arriva: “Lo deve bere tutto di se-

guito” mi dice il cortese cameriere. Il colore è terrificante: sembra il riflusso gastroesofageo della protagonista dell’Esorcista. All’inizio è una crema calda di piselli, sul fondo si trasforma in menta ghiacciata: repellente. 
I medaglioni sono freschissimi frutti di mare locali, mollicci, accompagnati da una dolce gelatina di frutti della Passione. Il mio entusiasmo per le annunciate “tagliatelle alla carbonara” è durato un secondo: su un vitreo piatto trasparente mi sono arrivati dei freddi spaghettini diafani creati mettendo una montagna di agar- agar in un brodo, fatto così rassodare. Li accompagnano dadini di formaggio e uovo crudo. E avanti così fino al drammatico finale. La lettura di quell’articolo ci rallegrò: evidentemente non eravamo i soli a essere stati scioccati dall’esperienza vissuta a Roses… Spesso non mi sono trovato d’accordo su certe considerazione gastronomiche di Raspelli, ma quando lo incontrai mi felicitai con lui e non mancai di ringraziarlo per quello che aveva scritto su “elBulli” Passò qualche anno e mi accadde di incontrare Ferran Adrià per la terza volta ma, per mia fortuna, non in Catalogna.

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Mi ero trovato al Castello di Grinzane Cavour per un avvenimento gastronomico; terminata la cerimonia avrei dovuto fermarmi al pranzo che si svolgeva in un’ala del castello, ma adducendo il banale motivo di un impegno improvviso risalii in macchina e mi diressi ad Albaretto della Torre che dista da Grinzane una decina di km; trovarsi nelle Langhe, in autunno, intorno all’una, a pochi km da Albaretto e non andare a pranzare al ristorante di Cesare Giaccone sarebbe stato un delitto imperdonabile per qualsiasi gourmet. L’autunno è la stagione ideale per la cucina di Cesare; la Langa indossa colori intensi e delicati e in quel tempo Cesare ha il baffo fremente. Più che baffi i suoi in questa stagione sono vibrisse con le quali “sente” i suoi piatti per avvicinarli alla perfezione. Arrivai dunque al ristorante appena fuori Albaretto e venni accolto come sempre da amico ma Cesare si disse molto dispiaciuto perché tutti i tavoli erano occupati: “Se non ti dispiace ti faccio pranzare con un mio cliente che sta per arrivare insieme a un cuoco spagnolo di cui non ricordo il nome” “Come stai a trifole?” gli chiesi (trifola è il nome che in Piemonte si dà ai tartufi).

Cesare Giaccone

“Ho passato la notte con il mio tabui e ne ho di fantastici” (in Langa si chiamano “tabui” i cani senza pedigree, diciamo pure bastardi, che spesso sono i migliori cacciatori di tartufi) “Per le tue trifole pranzerei anche con il diavolo”. Di li a poco arrivarono gli ospiti che Cesare attendeva; uno di questi era Ferran Adrià. Fu un pranzo che - quello sì - non dimenticherò mai. E sono certo nemmeno lo chef spagnolo. Cesare superò se stesso; incominciò con l’antipasto “insalata novembrina con carne di fagiano, castagne, melograno e tartufo” condita con olio extravergine e arancio; continuò con “ravioli di fonduta ricoperti da una pioggia di tartufi” (dice Cesare che è anche un poeta: “I ravioli di fonduta senza tartufi sarebbero come una notte di luna senza innamorati”). Fu poi la volta di “patate alla grappa con patè di fara-

39 Gustare l’Italia


ona” (patate di Garessio che crescono a mille metri sulle montagne del cuneese: gustose, friabili, ricche di sapori; si tagliano, si bagnano nella grappa che Romano Levi inventava a Neve e si accompagnano con il patè. Fece poi il suo trionfale ingresso l’”anatra farcita con salsa di castagne al tartufo bianco” un’altra favolosa creazione di Cesare. Ferran era al colmo della meraviglia; aveva gustato ogni piatto con rapimento, con passione, con continui esclamazione di stupore. Ricordavo le sue schiume, i suoi spaghettini diafani, le sue salsine molli, le gelatine, il gelato di parmigiano... E lo vedevo gustare rapito i cibi che continuavano ad arrivare in tavola e di ognuno voleva conoscere ogni segreto. Cesare gli raccontò ogni cosa aiutato dal suo amico che faceva da traduttore, mentre gustavamo i formaggi di Occelli che in quegl’anni aveva incominciato a creare i formaggi ritrovati da un passato che si credeva perso per sempre, bevendo alcune bottiglie del Ba-

rolo Monfortino di Conterno aperte qualche ora prima; il vino al contatto dell’aria si era fatto morbido e cedevole come una bella donna che finalmente ha detto sì. Tre bottiglie dopo ci alzammo da tavola. Ferran non finiva mai di dare pacche sulle spalle di Cesare che era visibilmente commosso anche se non ama le lodi,ed è contro ogni genere di valutazione, odia le stelle, i cappelli, le forchette e ogni diavoleria che le varie guide gli impongono contro la sua volontà. Ma quei complimenti gli arrivavano da chi era considerato il cuoco numero uno al mondo, un genio, un inventore di fronte al quale Marconi, Meucci, Volta, Franklin scompaiono… Non ho mai avuto il coraggio di raccontare a Cesare le mie esperienze catalane a “elBulli”. Aspetto che qualcuno in Italia si decida a dare a Cesare quel che è di Cesare: non musei, non fondazioni, non biblioteche…basterebbe anche solo un cavalierato: Cav. Cesare Giaccone. Meglio di no. Suona male.

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della Redazione

La formazione

Al via il Master della Cucina Italiana Non è semplicemente un corso di alta formazione professionale finalizzata ad apprendere le migliori tecniche di cucina. E’ soprattutto un percorso destinato ad “aprire le menti”, fornendo stimoli culturali ed estetici utili a sviluppare la personalità del futuro chef, la sua creatività, la sua originale visione della cucina. Con questi obiettivi nasce il “Master della Cucina Italiana”, presentato nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Vicenza, nella sede della Confcommercio, che ha visto come relatori i componenti del comitato scientifico del Master costituito da Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza e di Esac S.p.A. divisione Formazione (l’ente servizi che gestirà questo percorso formativo), Massimiliano Alajmo, chef tre stelle Michelin, Raffaele Alajmo, amministratore delegato di Alajmo S.p.A. e Mauro Defendente Febbrari, medico, esperto di salute e nutrizione.

Il Master potrà contare, come punto di forza, su di un corpo docente d’eccezione ed in particolare sul contributo formativo dei cuochi stellati “Cavalieri della Cucina Italiana”, di cui oltre allo stesso Massimiliano Alajmo (Le Calandre, Sarmeola di Rubano), sono parte: Heinz Beck (La Pergola, Roma), Andrea Berton (Trussardi alla Scala, Milano), Massimo Bottura (Osteria Francescana, Modena), Antonio Cannavacciuolo (Villa Crespi, Orta San Giulio), Moreno Cedroni (Madonnina del Pescatore, Senigallia), Chicco Cerea (Da Vittorio, Brusaporto), Gennaro Esposito (La Torre del Saracino, Vico Equense), Giancarlo Perbellini, (Perbellini, Isola Rizza), Niko Romito (Reale

Massimiliano Alajmo, Raffaele Alajmo e Mauro Defendete Fabbri

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Heinz Beck

Andrea Berton

Casadonna, Castel di Sangro), Giovanni Santini, (Dal Pescatore, Canneto sull’Oglio) Davide Scabin (Combal. Zero, Rivoli) , Ciccio Sultano (Duomo, Ragusa) e Mauro Uliassi (Uliassi, Senigallia). “Con questo Master vogliamo contraddire la visione tecnicista di cucina ridotta quasi solo all’aspetto estetico - ha affermato Massimiliano Alajmo nel corso della conferenza stampa - e far invece emergere il pensiero che essa sia cultura, intimità, espressione. Sarà quindi un percorso formativo che intende non tanto “saziare” quanto stimolare gli appetiti culturali degli allievi”. I punti salienti dell’offerta formativa sono stati illustrati dal presidente Rebecca, che ha

Antonio Cannavacciuolo

Massimo Bottura

esordito sottolineando come questo Master sia “rivolto a giovani “coraggiosi”, che vogliono mettersi in gioco non solo come professionisti, ma anche e soprattutto come uomini e donne decisi, prima di tutto, ad elevare la propria crescita personale”. Certo, la tecnica rivestirà una parte importante, con ben 360 ore di lezione di alta cucina (su 800 totali) tenute dai “Cavalieri della Cucina Italiana”, 96 ore di pasticceria con professionisti quali Gianluca Fusto, Corrado Assenza, Luigi Biasetto, Ezio Marinato, 32 ore di sommellerie e abbinamenti enologici affidate a Angelo Sabbadin. La manualità, che rimane dunque al centro, sarà però “vivificata” dal percorso teorico for-

Moreno Cedroni

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Chicco Cerea


Gennaro Esposito

Giancarlo Perbellini

mativo, per dare all’allievo l’opportunità di liberare e dispiegare tutte le sue potenzialità. Nel programma del Master, sono state a tale proposito contemplate materie quali: Chimica e fisica degli alimenti (Davide Cassi); Nutrizione ed igiene (Mauro Defendente Febbrari); Zootecnia, agraria, ittica (Filippo Scortegagna); Analisi sensoriale e psicologia (Lorenzo Dante Ferro e Francesco Biroli); Arte, estetica (Filippo Maglione); Storia e cultura della cucina italiana (Massimo Montanari); Storia della gastronomia e Letteratura gastronomica (Alfredo Pelle e Antonio Di Lorenzo); Management aziendale (Raffaele Alajmo); Team building (Roberto Gesuato).

Giovanni Santini

Niko Romito

Secondo il Comitato scientifico che ha ideato il Master, teoria e pratica non bastano: “Vogliamo far capire ai giovani allievi che si può “leggere” la società e crescere come persone anche attraverso il cibo, che ingredienti e sostanze sono metafora della vita - ha sottolineato Mauro Defendente Febbrari, medico e amico personale di Luigi Veronelli -. In cucina, ad esempio, ogni movimento, ogni sensazione, anche quella uditiva di una pentola che bolle o di un fragrante pezzo di pane che si spezza, può essere un’emozione sensoriale fantastica, che dobbiamo imparare ad apprezzare fino in fondo e quindi a saper trasferire”. Ed è, questo, un concetto sottolineato anche da Raffaele Alajmo: “Il nostro primo obiettivo è ovviamente quello di contribuire a formare cuochi che in futuro potranno dire la loro nell’ambito della cucina italiana di qualità. Il nostro auspicio, però, è che al termine di questo percorso si possa conseguire non solo un miglioramento tecnico, ma anche un arricchimento umano”. In questo senso saranno solo 20 gli allievi che potranno Davide Scabin avere l’opportunità di frequen-

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tare il Master e di essere quindi in aula con alcuni dei più illustri chef italiani. Il percorso si rivolge ai migliori studenti degli istituti alberghieri, che abbiano conseguito però un’esperienza di base nelle cucine dei ristoranti. Le lezioni inizieranno ad ottobre 2012, ma le iscrizioni sono già aperte (tutte le informazioni sul sito www.maCiccio Sultano Mauro Uliassi stercucinaitaliana.it). Sede del master sarà il Centro Formazione un’esperienza pratica in alcuni dei più impordi Esac S.p.A. (Ente Servizi Associazione tanti ristoranti italiani) verrà rilasciato un atteCommercianti), a Creazzo (Vicenza), una strut- stato di partecipazione con un bilancio delle tura nuovissima (sarà attiva tra pochi giorni) competenze, vale a dire una valutazione, efdotata di moderne cucine professionali affian- fettuata dal comitato scientifico, delle abilità cate da laboratori di pasticceria, gelateria e acquisite e delle attitudini dimostrate durante panificazione, sale di degustazione e sommi- il Master. nistrazione e in generale di tutte le attrezzature L’obiettivo di questo percorso formativo, necessarie per garantire formazione di alto li- infatti, non è quello di “dare un voto” ai giovello, sia manageriale che, appunto, specializ- vani chef, ma di offrire un’eccezionale opporzata nel comparto food. tunità di crescita culturale e professionale, Per poter accedere al corso e al fine di ga- valorizzando prima di tutto i punti di forza inrantire uniformità tra gli allievi è prevista una dividuali, l’unica via che consente di speriselezione di verifica della manualità di base in mentare e proporre una propria personale cucina. Mentre al termine del percorso for- idea di cucina. mativo (che durerà 5 mesi, cui seguirà Per info: www.mastercucinaitaliana.it

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Un turista che arriva per la prima volta in Italia, se oltre ad essere amante del bello è anche un vero gourmet avrà segnato sul proprio block notes i luoghi d’arte e di cultura da visitare e certo anche i ristoranti dove è imprescendibile pranzare o cenare; Firenze: visita alla galleria degli Uffizi, pranzo all’Enoteca Pinchiorri (via Ghibellina 87); Milano: serata al Teatro alla Scala per il concerto del M° Muti, cena da Cracco (via Hugo 4); Padova: Cappella degli Scrovegni, pranzo e cena a “Le Calandre” (località Sarmeola); Napoli: visita all’isola di Capri cena al “Don Alfonso” di Sant’Agata sui due Golfi.. e così via. Che succederebbe se al turista che si reca alla Scala, dopo aver il regolare biglietto per il concerto del maestro Muti, gli facessero ascoltare un suo CD, se la Cappella degli Scrovegni

fosse chiusa per il matrimonio del custode, agli Uffizi gli mostrassero un album con le foto dei capolavori, se invece di Capri gli facessero visitare l’isola di Ponza (tanto sempre di terra circondata dal mare si tratta..) Eppure accade spesso che andando al ristorante, lo chef pluristellato, ricoperto di gamberi e forchette dalle Guide, sia assente perché impegnato in trasmissioni televisive, spot, festival, consulenze, tavole rotonde o a pubblicizzare sandwich creati per una catena multinazionale di fast food. E al cliente che arriva da Tokyo o da New York si darà al massimo la soddisfazione di mostraglielo in tv o in fotografia (a questo proposito è venuto in aiuto un sito internet nel quale si può ammirare un album di figurine dei cuochi d’Italia come accadeva anni fa con gli attori, i calciatori e cantanti delle edizioni Panini).

© Disney Enterprises, Inc. Pixar/Animation Studios

La provocazione

di Grillo Parlante

Gli chef “fantasma”

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“Qual è il problema?” - obbietterà qualcuno- “il titolare non c’è ma ci sono i suoi aiutanti che hanno imparato da lui a cucinare il risotto, la ribollita, la trippa, l’ossobuco, la zuppa di pesce proprio come lo chef assente…” Pensate che cosa sarebbe accaduto un tempo se qualcuno andando nello studio di un grande pittore per chiedergli di essere ritratto o di ritrarre la sua famiglia, si fosse sentito rispondere: “ Spiacenti il signor Raffaello (o Tiziano o Correggio. non c’è ma ci sono i suoi allievi che potranno accontentarla; il maestro poi metterà la firma” e una volta terminato il quadro si fosse poi sentito richiedere la stessa cifra che se fosse stato dipinto dall’artista famoso. Perché poi è questo il vero problema, quello che spesso accade nei ristoranti dei grandi della cucina: ci sia o non ci sia il capo il prezzo è sempre lo stesso, quello per il quale spesso occorre dove fare un leasing o accendere un mutuo. “Tanto - dicono - hanno cucinato gli allievi e i prodotti sono quelli che avrebbe adoperato lo chef”. Come sanno tutti i gourmet le cose non stanno così e se il capo non c’è il risultato non può che essere inferiore. “Gustare l’Italia” vuole sommensamente fare una proposta: al momento di pagare il

conto (la prima rata sul mutuo) l’ospite chiederà la presenza del grande artista dei fornelli (in molti celebri locali è ancora tradizione che alla fine di un pasto sia lui, di sua spontanea volontà ad andare raccogliere i giudizi dei clienti). Se lo chef per un qualsiasi motivo non c’è, si avrà diritto a un considerevole sconto. Semplice no? Ps: Ci interesserebbe il vostro parere che potrete farci conoscere inviando una mail a info@lineaeditoriale.it

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di Grillo Parlante

La provocazione/2

La Tv insegna a mangiare? Intorno all’ ora di pranzo o cena è difficile, accendendo la tv non imbattersi in un canale che non trasmetta programmi dove cuochi di ogni genere si alternano ai fornelli: “La prova del cuoco”, “Masterchef”, “Cucina con Ale”, “Cambio cuoco”, “Papà ai fornelli”, “Dolce e salato”. “I menù di Benedetta”… l’ultimo, “Benvenuti a tavola”, è incominciato qualche settimana fa, addirittura in prima serata. I grandi chef trascorrono più tempo in televisione che nelle loro cucine e i loro clienti devono accontentarsi dei cibi cucinati dai loro allievi pagandoli però come se fossero preparati dai grandi maestri. Evidentemente sono programmi con alti ascolti, altrimenti non si giustificherebbe l’interesse dei programmatori per questo genere.

Anche i libri di gastronomia appassionano un pubblico sempre più numeroso; la raccolta di ricette di Benedetta Parodi pare abbia venduto più di un milione di copie! La nostra dovrebbe essere la Nazione nella quale si mangia meglio; e non dovrebbe essere difficile dal momento che proprio in Italia è nata la “Mediterranean Diet” che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità.

Invece nelle case italiane non si è mai cucinato così male. Perché? Me lo sto chiedendo da molto tempo. Il primo che si occupò di cibi, vini e cucina in televisione fu Mario Soldati, un gentiluomo d’altri tempi, un personaggio di grande cultura, scrittore e regista cinematografico. Il 3 dicembre 1957 incominciò il suo programma “Viaggio nella valle del Po - Alla ricerca dei cibi genuini”. “Ne parlerò - aveva dichiarato - andando a visitare i luoghi dove si cucina nel rispetto della tradizione. Sarà un viaggio perché viaggiare è conoscere, e il modo più facile, più diretto per arrivare a conoscere un paese è quello di gustare la cucina della gente che vi abita. Nei cibi e nel modo di cucinarli c’è tutto”. Così incominciò il suo peregrinare nella campagna padana con un microfono in una mano e un ombrello nell’altra, per raccontare i prodotti, le aziende, le cantine, le trattorie con la stessa attenzione e il riguardo che si deve a luoghi di cultura. Per la prima volta i telespettatori seguirono in tv un signore autore di romanzi e di film di successo che parlava di salumifici, di industrie dolciarie, di pastifici, di cantine, come se stesse descrivendo biblioteche, musei, pinacoteche. Qualche tempo dopo un altro straordinario personaggio Luigi Veronelli, si

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rivolse agli italiani attraverso lo schermo televisivo per raccontare anche lui le qualità di cibi e vini e il modo migliore di gustarli Sono passati anni da quelle trasmissioni e oggi i vini, i cibi e il modo di cucinarli sono diventati i protagonisti di innumerevoli programmi televisivi e radiofonici; i conduttori sono personaggi di successo, i loro libri di ricette diventano bestsellers… eppure nella gran parte delle famiglie non si è mai mangiato così male. I telespettatori seguono appassionati la “Prova del cuoco”, si immedesimano nei concorrenti di “Masterchef”, ascoltano rapiti i conduttori di “Papà ai fornelli”, poi spengono il televisore, e si siedono a tavola dove ingurgitano cibi banali, spesso precotti o appena scongelati. Perché? Continuo a chiedermelo e lo chiedo in giro. Una timida risposta ho cominciato a darmela. Forse la ragione di tutto questo è riassumibile in una sola fondamentale, autorevole, potente parola: Pubblicità. Prendete una qualsiasi trasmissione: “Linea Verde” per esempio, e seguitela con attenzione. Fantastico!

In ogni luogo dove si trovano i conduttori tutto è perfetto e superlativo, la natura è bellissima e rigogliosa, i cibi deliziosi, fragranti, squisiti, i vini piacevolissimi, la gente simpaticissima e cordiale. Mai nessuno che si permetta di negare le qualità di un prodotto, mettere in guardia i consumatori da certi altri; chi oggi avrebbe l’ardire di fare, come Veronelli negli anni ’60, una feroce campagna contro la Coca-Cola, quale giornale gli darebbe spazio come fece a suo tempo “Il Giorno”?

È questa la verità: la gran parte delle trasmissioni di gastronomia che si susseguono sui nostri teleschermi devono fare i conti con la Pubblicità ed è per questo che la gran parte dei programmi assomigliano a interminabili spot; le località dove vengono presentati i prodotti hanno tutte panorami fantastici, alberghi che si affacciano su un mare che più limpido non si può. E i cibi chi ne ha mai mangiato di più squisiti? E i vini? Con la Pubblicità a farla da padrona è difficile squarciare il velo della superficialità; non c’è rispetto per la cucina e per la gastronomia, non c’è nessuno che si permette di dire “pane al pane”… quando mai si è sentito dire in una di queste trasmissioni che il tale olio di grande marca spacciato per italiano arriva da chissà dove, o sconsigliare le famiglie ad acquistare una certa merendina perché favorisce l’obesità infantile. “Gustare l’Italia” ci sta provando. Sabato 12 maggio, vigilia della Festa della mamma, inizia una trasmissione curata dai suoi redattori che andrà in onda sul Canale 99 di Lombardia Tv; sarà rivolta alle famiglie con musica, giochi, quiz e sarà anche in buona parte dedicata alla gastronomia. Si parlerà di cibi, di vini, di prodotti per il buon mangiare e il buon bere. L’impegno sarà quello di proporre al pubblico solo prodotti di altissima qualità. Che la dea Pubblicità ci protegga!

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Periodico

di

cultura

enogastronomica

Copia di cortesia

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Con il patrocinio di

Speciale Concorso Rosati d’Italia

e

turismo

Anno

3

-

Numero

20

-

Maggio

2012



A partire da quest’anno maggio, il mese delle rose, sarà anche il mese dei rosati perché si svolgerà il 1° Concorso Enologico Nazionale dei vini rosati d’Italia, un’iniziativa del dott. Dario Stefàno Assessore alle Risorse Agricoalimentari della Regione Puglia. Il Concorso è nato dalla volontà condivisa dall’Accademia Italiana della Vite e del Vino e dall’ Associazione Enologi ed Enotecnici con l’obbiettivo di valorizzare questa tipologia enoica che negli ultimi anni ha mostrato un significativo trend di crescita suscitando l’interesse sempre maggiore dei mercati. Non si tratta di una operazione di puro marketing ma di un percorso virtuoso che la Puglia vuole condividere con tutte le regioni per valorizzare le migliori produzioni nazionali, favorirne la conoscenza e la diffusione in Italia e all’estero impegnando le aziende a produrre vini di qualità adeguatamente presentati e commercializzati. Il 20 e il 21 aprile scorso, i rosati DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta) nonché i vini spumati DOP e di Qualità prodotti e imbottigliati in Italia, sono stati valutati nella Villa Romanazzi Carducci in Bari da commissioni composte per sorteggio da esaminatori nominati dalla Associazione Enologi ed Enotecnici italiani e da un giornalista nominata dall’Ente organizzatore. I primi tre rosati che sono risultati vincenti nelle sei categorie previste - 4 per i vini e 2 per gli spumanti - saranno premiati con medaglia d’Oro d’Argento o di Bronzo se avranno ottenuto un punteggio non inferiore a 80 centesimi. I nomi dei vincitori verranno resi noti il 5 maggio a Otranto nel favoloso castello Aragonese e ne daremo notizie ai nostri lettori nel sito www.gustarelitalia.it e più diffusamente nel prossimo numero della nostra rivista. Oltre che delle rose e dei rosati “Gustare l’Italia” non ha però dimenticato che maggio è anche il mese della “Rosa” intesa come la maglia indossata dai campioni del ciclismo primi in classifica nel Giro d’Italia che giunge quest’anno alla sua 95ma edizione. A tale proposito la direzione del “Museo del Vino e dell’arte contadina” creato ad Alberobello da Mastro Dante Renzini ha deciso di concretizzare un’idea nata durante il Vinitaly di Verona; ha rivolto di un invito ai campioni sportivi di smettere la demenziale consuetudine di spruzzare champagne e spumante addosso ai tifosi; sono prodotti troppo importanti per essere trattati in questo modo: le bollicine si devono bere non buttare via. La Cantina Albea ha invitato i campioni del ciclismo a festeggiare i loro successi brindando con i loro tifosi e non innaffiandoli con pregiati spumanti e si è impegnata al fare avere a chi accetterà l’invito un certo numero di bottiglie del suo delizioso spumante, il “R’osè” e ha allargato l’invito a tutti i produttori che hanno partecipato al Concorso dei Vini Rosati ad aderire all’iniziativa. Il campione che indosserà la maglia rosa di vincitore del prossimo Giro d’Italia, se accetterà l’invito riceverà qualche centinaio di bottiglie dei più preziosi rosati d’Italia. La redazione

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Editoriale

Maggio mese delle rose, “della rosa” e dei rosati


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L’intervista Il futuro è rosato

66

68

Sommario maggio 2012

56 60

La manifestazione Concorso Vini Rosati d’Italia

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I vini nella storia Five Roses, il vino di Dioniso

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70

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Tendenze A tutto rosè (con e senza bollicine)

Rosati d’italia/1 Vini rosati, croce e delizia

Rosati d’Italia/2 Il Cerasuolo d’Abruzzo

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Rosati d’Italia/3 Vignuolo: il vino di Ulisse e di Federico II

78

Vino & marketing Il rosato, questo (quasi) sconosciuto

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In giro per l’Italia Salento, terra di magìa

82

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Le “lune” di Gustare l’Italia “La Peschiera”

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Iniziative “Magic Shopping”

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Libri da mangiare

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Indice ricette

GUSTARE L’ITALIA - Periodico di cultura enogastronomica e turismo - Anno 3 - Numero 20 - Maggio 2012 Reg. Trib. di Milano n° 201 del 14/04/2010 - Editore: Linea Editoriale srl - Via Milanese, 5/11 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) - Iscrizione ROC (Registro Operatori della Comunicazione) 21940 - ISSN code 2279-7998 Direttore Responsabile: Massimo Balletti - Direttore Responsabile: Cino Tortorella - Art Director: Daniele Colzani Impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio - Segreteria di Redazione: Rodolfo Puoti Concessionaria pubblicità: Linea Editoriale Advertising Responsabile Trattamento Dati Personali: Dina Lietti - L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo a: info@lineaeditoriale.it Hanno collaborato: Anna Pesenti Buonassisi - Saverio Carlo Buttiglione - Fabrizio Cimino - Felice Maratea - Claudio Sisto - Angelo Solci - Piero Valdiserra - Assessorato al Mediterraneo, Cultura e Turismo Regione Puglia - Assessorato alle Risorse Agroalimentari Regione Puglia - Otrantopoint.com - Ufficio Stampa Concorso Enologico Nazionale dei vini rosati d’Italia

© Riproduzione (anche parziale) vietata Indirizzi e contatti: Linea Editoriale srl - Via Milanese, 5/11 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) Redazione Milano: Via Abbadesse, 20 20124 Milano - E-mail: info@lineaeditoriale.it -

www.gustarelitalia.it

55 Gustare l’Italia


di Anna Pesenti Buonassisi

L’intervista

Il futuro è rosato

“Il futuro è rosa.. anzi rosato” è il divertente titolo del dibattito che ha avuto luogo al Vinitaly 2012 protagonisti Nichi Vendola Presidente della Regione Puglia, e Dario Stefàno assessore alle risorse agroalimentari. Il dibattito è stato voluto per pubblicizzare il “1° Concorso Enologico Nazionale dei vini rosati d’Italia” che si è tenuto a Bari il 21 e 22 aprile e si concluderà a Otranto, la splendida cittadina del Salento, il 5 maggio prossimo. L’iniziativa è stata fortemente voluta da Dario Stefàno che continua la sua esperienza narrata nel suo libro “Come mettere un punto e a capo”. Gli avevamo chiesto del perché di quel titolo e lui ci aveva detto: “Mettere punto e a capo” vuol dire non accontentarsi mai degli obiettivi raggiunti e, più in generale, seguire con determinazione il desiderio di misurarsi con i nuovi impegni e le nuove sfide.

Facendolo, questo è importante, con il massimo impegno, pur nella consapevolezza del dubbio e dell’errore, ma con la bussola sempre orientata verso il cambiamento, verso un progetto di crescita che provi a dare le risposte più efficaci alle tante aspettative di sviluppo. L’Assessorato alle Risorse agroalimentari credo sia un ottimo banco di prova, da questo punto di vista. La sfida è quella di far tornare ad essere l’agricoltura l’architrave del nostro sistema economico e sociale, quella chiave di volta su cui sono stati costruiti millenni di rapporti economici, sociali e culturali. E’ una battaglia che deve coinvolgere tutti gli attori del ciclo agro-alimentare, affinché le nostre comunità si riapproprino di un modo “nuovo”, moderno, di guardare all’agricoltura”. Il prossimo obiettivo che si è fissato l’assessore è quello della valorizzazione dei vini rosati

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che sono stati la rivelazione del Vinitaly; la cenerentola della produzione italiana aspira a diventare la principessa delle carte dei vini, tanto da meritare un Osservatorio hoc. “A livello nazionale i dati sono in crescita a fronte di una contrazione diffusa dei consumi conferma l’Assessore - e tra gli addetti ai lavori c’è la netta percezione di enormi possibilità di sviluppo per i vini in rosa. Per questo abbiamo ideato e organizzato il Concorso, dei Vini Rosati, che a breve entrerà nel vivo. E non si tratta del frutto estemporaneo, di un’operazione di marketing, ma nasce da un percorso virtuoso che vogliamo condividere con tutte le regioni, confrontandoci con chi è più avanti di noi”. La Puglia, insomma, protagonista indiscussa, vista la leadership quantitativa e qualitativa nel comparto dei rosati: “Oltre il 40% della produzione va in effetti localizzato nella nostra regione - ha sottolineato Stefàno - ma voglio ricordare come i rosati, per storia e tradizione, siano presenti in quasi tutto il territorio nazionale. E sono

moltissime le denominazioni che includono nei loro disciplinari questa tipologia. Un motivo in più per puntare con sempre maggiore convinzione sui rosati italiani”. Durante l’incontro svoltosi nella Sala Puccini del Vinitaly, è stato ricordato il tentativo, di appena qualche anno fa, dell’Unione Europea di cambiare le regole di produzione dei rosati autorizzando la miscela di rossi e bianchi, vicenda nella quale la Puglia ha svolto un ruolo determinate nel bloccare l’iniziativa che avrebbe mandato in polvere una tradizione millenaria. Da qui l’idea del Concorso e quella di avviare la costituzione di un Osservatorio nazionale allargata a tutte le regioni italiane, al Ministero delle Politiche Agricole e ai privati. Il progetto è quello di costituire una Fondazione pubblicoprivata come presidio per la tutela e valorizzazione dei vini rosati. “Ne ho già parlato con il ministro Catania che condivide appieno il progetto. L’idea - ha concluso Stefàno - è quella di fare diventare soci promotori della fondazione tutte le Regioni italiane che condividano le finalità. Senza dimenticare la collaborazione delle varie associazioni del settore (Onav, Ais, consorzi, Movimento turismo del vino, Slow food) e degli stessi produttori, con cui condividere le attività da svolgere. Inoltre l’Osservatorio si doterà di un comitato

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“L’agricoltura rischia di morire - ha dichiarato - il territorio rurale è stato per lungo tempo oggetto di un’attività marginale che è preludio di disastro ecologico. Per questo oggi è un settore in affanno ed è ancora vissuto, da molti, come una fabbrica decotta che fa fatica ad attrarre le nuove generazioni. Se pensiamo che l’età media dei produttori è vicina ai 65 anni dobbiamo domandarci come si possono attirare le nuove generazioni nelle campagne.

© Morguefile

scientifico che guiderà anche i processi di ricerca ed innovazione sul prodotto”. A questa tipologia enoica che ultimamente si è imposta al grande pubblico ed ha come caratteristica principale quella di essere diffusa dall’Alto Adige alla Sicilia, manca però un supporto statistico, un monitoraggio del consumatore-tipo di rosati. L’Accademia della Vite e del Vino, per colmare la lacuna sta conducendo una ricerca per tracciare un profilo del consumatore di rosati, nonché i principali fattori che spingono alla scelta e all’acquisto di questa tipologia. I primi dati, come ha dichiarato in conferenza il presidente Antonio Calò, confermano grande ottimismo. “Le cose stanno effettivamente cambiando e dai dati in nostro possesso emerge non solo una crescente attenzione verso i vini in rosa ma, soprattutto, si ha la sensazione che, anche dal punto di vista del business, sia una strada tutta da percorrere”. Un futuro roseo, quindi, anche per quello che concerne la liaison tra rosati e alta ristorazione.
“Finalmente stanno trovando diritto di cittadinanza anche nelle carte dei grandi ristoranti - ha spiegato Alessandro Scorsone, sommelier e volto televisivo - In passato sono stati a lungo bistrattati ma bisogna dire con onestà che non c’era una grande qualità. Ora le cose sono cambiate ed in Italia siamo fortunati perché possiamo vantare rigidi controlli e una pulizia delle cantine che non troviamo altrove. Il rosato, con la sua struttura può essere abbinato a una serie infinita di cibi. Ricordo che il vino non deve dissetare ma allietare lo spirito e quando lo si assaggiano le regioni e la filosofia dei loro produttori”. In un quadro idilliaco di crescita e sviluppo in tema di rosati ha però fatto da contraltare il monito del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.

La risposta è attraverso la ricerca, le Università, l’innovazione, e nell’investire sul prodotto, facendolo risplendere nel raccontarlo. Occorrono pensieri innovativi come quelli che hanno fatto diventare protagonista il vino rosé. La parola innovazione in questo concetto è ambiguo ma, a volte, può significare riscoperta positiva dell’antico, rimettendo in circolazione tradizionali sapienze. Proprio come stiamo cercando di fare nella Puglia. Su questa traccia non dobbiamo mai dimenticare che il bacino culturale del Mediterraneo ha organizzato tutta la sua iconografia su due simboli: vite e ulivo”.

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“Nella civiltà del vino il rosè era un po’ il figlio di un Dio minore e ha rischiato di precipitare dentro una sventura anche istituzionale perche di fronte alla Comunità Europea era stata presentata la proposta di chiamare “rosati” i vini di mescolanza ottenuti dalle produzioni di bianco e rosso. Fortunatamente questa iniziativa che avrebbe sconvolto la storia dei rosati non è passata e il Concorso che inizia oggi a Bari è la giusta conclusione della battaglia vinta.” Queste le parole di Nichi Vendola Governatore di Puglia pronunciate a Villa Romanazzi Carducci di Bari sabato 21 aprile scorso all’inaugurazione del “1° Concorso Nazionale Vini Rosati d’Italia”. Il Concorso ha visto la partecipazione di 372 vini di 288 aziende provenienti da 18 regioni (escluse la Valle D’Aosta e Liguria con una entità produttiva quasi nulla). Per l’ organizzazione la Regione Puglia ha curato la parte amministrativa stilando il Regolamento, l’Assoenologi la parte tecnica valutando i campioni dei vini e scegliendo i membri delle Commissioni che sono poi stati estratti a sorte dall’Avvocato Prosperini, estraneo al settore vitivinicolo, che ha avuto la responsabilità di controllo di tutte le operazioni previste per la realizzazione dell’iniziativa. Le commissioni erano otto composte di cinque elementi ciascuna: un giornalista e quattro enologi. In base a quanto stabilito dall’art. 5 del Regolamento, i vini partecipanti al “1° Concorso Enologico Nazionale dei Vini Rosati d’Italia” sono

© Ufficio Stampa Concorso Enologico Nazionale dei Vini Rosati d’Italia

della Redazione

La manifestazione

1° Concorso Nazionale Vini Rosati d’Italia

stati suddivisi in Vini Tranquilli, Vini Frizzanti e Vini Spumanti nelle seguenti categorie: • Vini Tranquilli rosati a denominazione di origine (DOP); • Vini Tranquilli rosati a indicazione geografica (IGP); • Vini Frizzanti rosati a denominazione di origine (DOP); • Vini Frizzanti rosati a indicazione geografica (IGP); • Vini Spumanti rosati a denominazione di origine (DOP); • Vini Spumanti di qualità rosati.

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produzione dei rosati, rendersi protagonista di una iniziativa di altissimo profilo che non ha precedenti nella storia dei concorsi nazionali dedicati all’enologia di qualità. Il concorso rappresenta per la Puglia il tassello di una più ampia strategia di sostegno alla viticoltura di qualità che ora entra nella fase della valorizzazione di una tipologia enoica che appartiene al dna produttivo, culturale e sociale della nostra Regione e dell’intero Paese, così ricco di territori noti per gli eccellenti rosati, ricercati ed apprezzati in tutto il mondo”.

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© Ufficio Stampa Concorso Enologico Nazionale dei Vini Rosati d’Italia

Ecco i numeri relativi agli esami delle 8 commissioni presiedute dal Dott. Giuseppe Martelli: • dei 372 vini iscritti al Concorso ne sono stati ammessi 372 che sono stati degustati e segnalati e valutati • 3410 schede compilate • 48340 giudizi parziale • 3800 bicchieri utilizzati Ogni vino è stato degustato da due Commissioni e ha avuto 10 voti; nella valutazione finali è stato scartato il voto più alto e quello più basso. Ai produttori partecipanti è stata garantita la serietà nei giudizi; infatti ognuno potrà chiedere alla fine del Concorso le schede compilate dai giurati sul proprio vino e potranno conoscere così i punti di forza o di debolezza riscontrati. La premiazione si svolgerà il 5 Maggio 2012 ad Otranto (Le), nella magnificenza del Castello Aragonese, nell’ambito di un convegno sui Vini Rosati, alla presenza di personalità di alto livello istituzionale e scientifico del settore. Saranno premiati i primi tre migliori vini per ciascuna delle sei categorie previste dal Concorso, rispettivamente con Medaglia d’Oro, Medaglia d’Argento e Medaglia di Bronzo. La Regione Puglia, si impegna ad affiancare le aziende vitivinicole lungo il percorso della produzione e commercializzazione, come previsto nella missione del concorso. vini vincitori potranno beneficiare di azioni di promozione in Italia e all’estero da attuare dopo la pubblicazione ufficiale della graduatoria. Il dott. Dario Stefàno Assessore alla risorse Agroalimentari della Regione, ideatore del Concorso ha così commentato la conclusione dei lavori: “Era doveroso per la Puglia, storicamente vocata alla


di Saverio Carlo Buttiglione

I vini nella storia

Five Roses, il vino di Dioniso

La storia del vino è un po’ la storia stessa dell’umanità, seguirla è come essere trasportati in un affascinante viaggio legato al mistero, al termine del quale si ha soltanto la certezza che, come ha scritto Paolo Monelli: “Se i primi uomini della storia fossero stati astemi probabilmente l’umanità vivrebbe ancora in tribù nomadi; nessun Prometeo avrebbe inventato il fuoco, nessuno avrebbe pensato a trarre una ruota da un pezzo di legno”; e secoli prima Tucidide: “I popoli del Mediterraneo emersero dalle barbarie quando impararono a coltivare la vite e l’ulivo”. La storia del vino muove i primi passi in Oriente, nella culla della civiltà; la Bibbia nella Genesi ci dice che la vite era conosciuta già da prima del diluvio; ci racconta infatti che Noè, appena uscito dall’arca, piantò una vigna dalla quale ottenne l’uva e dopo aver spremuto i suoi chicchi ne ricavò un succo che provocò eccitazione e

allegria, e più ne beveva più cresceva l’euforia che lo portò a danzare, a sentirsi felice, a perdere ogni freno inibitore fino a essere pervaso da un desiderio sessuale mai provato. Qualche millennio dopo i Greci decisero che ciò che si manifestava con quella felice ebrezza era dovuto ad un dio che chiamarono Dioniso, e lo apprezzarono e onorarono più del dio dei fulmini e dei tuoni. I primi vigneti d’Italia vennero piantati nel Salento, dove furono accolti con molto favore diventando Primitivo, Verdeca, Salice Salentino, Negroamaro… e di li si sono poi sparsi per tutta la penisola che per questo venne chiamata anche Enotria, terra del vino. Quando nel terzo secolo a.c. arrivarono i Romani, Dioniso diventò Bacco e “oinos” fu tradotto in “vinum” aggiungendo a quello schietto e genuino l’aggettivo “merum”; i salentini forse per indicare che il loro era sempre vino purissimo e non contaminato, tennero soltanto l’aggettivo “merum” che in dialetto diventò “mieru”. Che il Salento abbia avuto una grande importanza nella storia del vino è testimoniato anche dal fatto che quando si beve in compagnia, il gesto che si fa alzando alzando e toccando i bicchieri e accompagnato da un augurio (di buona saluta, di

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“E se a te brindisi io fo perché a me faccia il buon pro, Arianuccia, vaguccia, belluccia, cantami un poco, e raccontami tu sulla mandola la cuccuruccu, sulla mandola la cuccuruccu…”

Piernicola Leone de Castris

buona riuscita di un’impresa, di un prospero futuro) viene detto “brindisi”, proprio come il capoluogo salentino. Qualcuno dissente sostenendo che la parola deriva dall’espressione tedesca: “bring dir’s” (lo porto a te - sottinteso il bicchiere) così come “cin cin” deriverebbe dal cinese “ch’ing ch’ing” che vuol dire bacio. Potrei convenire sulla derivazione di “cin cin”, ma non lo sono su brindisi che senza alcun dubbio deriva proprio dalla città del Salento, tanto è vero che in una deliziosa poesia di Francesco Redi del ’600 ci sono versi che il poeta fa dire al dio Bacco che, un po’ alticcio dopo un’abbondante bevuta, sta navigando verso Brindisi con Arianna la sua innamorata: “… Su questa nave io gir men voglio per mio gentildiporto di Brindisi nel porto, purchè sia carca di brindisevol merce…” E che cos’era la “brindisevol merce” se non un buon carico di bottiglie di Negroamaro e di Primitivo con il quale brindare alla sua bella in cambio di una canzone?

Certo che Bacco doveva aver preso proprio una bella sbronza per parlare così! Ad ogni modo ciò che importa è che il vino, alla faccia degli astemi, ci sia e che i brindisi continuino ad allietare la nostra esistenza perché, come scriveva Platone, “Dioniso ha donato il vino agli uomini per alleggerire il loro fardello, per dare allegrezza, per allontanare i malumori della vecchiaia, permettendo di rinnovare la giovinezza e dimenticare la disperazione”. Ne parlavo con il conte Piernicola Leone de Castris che ho conosciuto per la prima volta in occasione della festa organizzata per celebrare il 66° compleanno dalla nascita del “Five Roses”, il vino entrato nella storia della enologia italiana perché è stato il primo rosato a essere imbottigliato. E su questo non ci sono dubbi: se ci sono versioni diverse sui vari momenti della storia del vino, su quella del rosato possiamo avere solo certezze anche perché risale a 70 anni fa. Me la raccontò il conte, quarta generazione di una famiglia di viticultori che ha incominciato la sua attività a metà ’800; un gentiluomo d’altri tempi così discreto che faresti fatica a strappargli un pettegolezzo in un mondo dove la gente sparla di tutto e di tutti dove i modi rozzi, superbi ed aggressivi sembrano essere l’arma vincente per affermarsi.

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La storia è molto semplice: nel 1944 il Salento fù occupato dalle truppe americane che, sbarcate in Sicilia stavano risalendo la penisola. Al loro comando c’era il colonnello Poletti il cui cognome rivelava le sue origini italiane. Il nonno del conte Piernicola ebbe occasione di incontrarlo e di invitarlo a cena dove gli fece assaggiare il rosato che produceva nella tenuta “Cinque Rose”. Il colonello ne fù entusiasta e chiese al conte di poterne avere un certo numero di bottiglie per farlo gustare anche ai suoi ufficiali e ai suoi soldati. Fu quello il primo ordine d’acquisto del rosato, che venne battezzato “Five Roses”. Si presentò però una grossa difficoltà per il produttore che non sapeva come imbottigliarlo; l’Italia era allora divisa in due e le bottiglie non potevano arrivare dal nord come di consueto. L’Idea fu di Poletti fece portare alla cantina le bottiglie vuote della birra che i soldati americani tracannavano in abbondanza e il problema fu risolto. Il “Five Roses” ebbe un tale successo tra i

soldati (molti dei quali smisero di bere birra) che finita la guerra lo vollero far arrivare negli Stati Uniti dove ebbe la stessa entusiastica accoglienza. Fu quello dunque senza dubbio il primo rosato d’Italia a essere messo in bottiglia e ad avere successo anche a l’estero, successo che continua tuttora, tanto è vero che ancora lo scorso anno sono partite dirette all’estero e soprattutto verso gli Stati Uniti ben 300.000 bottiglie di rosato. Ho rivisto lo scorso anno Piernicola Leone de Castris quando ha presentato uno spumante per la prima volta nella storia prodotto col metodo classico; lo ha voluto chiamare “Five Roses” come lo storico rosato, il primo brut-rosè di Puglia ottenuto da uve Negroamaro. E l’evoluzione della storia del rosato cominciata nel 1954 ed è importante specificare che si tratta di uno spumante totalmente prodotto in azienda e non solo imbottigliato come spesso succede perché il metodo classico è un processo non certo semplice da realizzare. Il conte pur essendo all’avanguardia per le moderne tecnologie utilizzate nei suoi stabilimenti, se si entra nel maestoso edificio dell’antica torre merlata che occupa un intero quartiere di salice salentino, la cittadina che porta lo stesso nome di un pregiato vino D.O.P. , ci si accorge che ogni modernità è permeata di tradizione. La presentazione del brut-rosè è avvenuta in un ambiente dell’azienda dove si possono trovare documenti storici anche molto antichi e una esposizione di macchine, alcune delle quali anche di fine 700 che testimoniano il lavoro di questa cantina nei secoli.

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www.champagne-devilmont.fr

L’arôme de la séduction.

cuvée prestige brut grande réserve brut rosé millésime premier cru

brut blanc de blancs

cuvée prestige brut millésime


di Piero Valdiserra

Tendenze

A tutto rosè (con e senza bollicine) Se avete in programma una ricorrenza particolare, un appuntamento romantico o un anniversario del cuore, certamente vi preoccuperete di mettere in fresco una bottiglia importante, che vi consentirà un brindisi spumeggiante e suggestivo. A questo proposito il panorama delle bollicine, nostrane e d’importazione, negli ultimi tempi si è animato per un piacevole ritorno: quello dei rosé. La moda, come spesso succede, è partita dalla Francia, ma ora ha contagiato anche tutti i templi italiani del bere bene. Nei migliori bar à vin parigini i clienti hanno ricominciato a ordinare i rosé perché, a parte il gusto intensamente fruttato, il loro aspetto richiama il rosa vellutato di molti capi di alta moda. Ci voleva la passerella degli stilisti per riportare in auge questi vini tecnicamente difficili, poco conosciuti, amati dagli intenditori per il loro carattere e per la loro vinosità e considerati una rarità dagli stessi produttori. Giunti al limite della scomparsa dal mercato, spumanti e champagne rosé riprendono dunque consensi, e coinvolgono nella crescita tendenziale anche i rosati fermi. A parte le considerazioni di ordine estetico e psicologico, questi prodotti si fanno apprezzare soprattutto per la forza e per la struttura che deriva dal loro ingrediente principe, il Pinot nero, ed evidenziano tratti organolettici decisamente più complessi rispetto alle bollicine in bianco.

La tecnica per ottenerli può essere duplice. Un primo metodo consiste nell’aggiunta alla cuvée, prima della messa in bottiglia, di una percentuale di vino rosso fermo, di solito contenuto entro un 15%. Un secondo procedimento prevede invece la spumantizzazione di un vino che nasce già rosato, e che viene successivamente portato al giusto grado di effervescenza. Vi starete forse domandando, a questo punto, come servire dei prodotti così particolari.

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Troppo spesso si sente ancora al ristorante la fatidica intimazione al cameriere o al sommelier di turno: “Mi raccomando, la bottiglia ben ghiacciata!”. I profumi e i sapori evoluti dei rosé ne risulterebbero irrimediabilmente coperti. Dovrete cercare una temperatura di servizio più vicina possibile a quella di cantina, attorno cioè ai 10 gradi, senza dimenticare che la soluzione più funzionale, oltre che più suggestiva, resta quella del classico secchiello. E per gli accostamenti con la cucina? Le bollicine color salmone nascono per esaltare abbinamenti inconcepibili con gli spumanti e gli champagne normali, e quindi sulla tavola si rivelano molto versatili. Amano ad esempio sposarsi a preparazioni di pesci e crostacei crudi marinati, agli affumicati, soprattutto di mare, alle pietanze a base di carni bianche dalle medie cotture. C’è poi chi serve i rosé su piatti molto impegnativi come la cassoeûla lombarda, sulle carni rosse e persino su certa selvaggina. In questo momento sono richiestissimi dai patiti della cucina fusion appartenenti a diversi tradizioni culinarie.

Infine sono eccellenti anche a fine pasto, a patto di accompagnarli con scaglie di parmigiano-reggiano o con dessert ai frutti di bosco, crostate o frutta secca. Le bollicine, hanno un effetto trainante anche sul consumo dei rosati tranquilli. Un modo fresco e giovane di bere, particolarmente adatto all’estate, che sta riportando alla ribalta i gioielli tradizionali - e fino a poco tempo fa trascurati - di queste produzioni di nicchia: i Chiaretti del Garda, ad esempio, o i vigorosi Cerasuoli d’Abruzzo, oppure ancora i fragranti rosati della viticoltura pugliese.

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di Angelo Solci

Rosati d’Italia/1

Vini rosati, croce e delizia

Secondo una recente indagine di mercati entro il 2012 il consumo di vini rosati nel mondo crescerà del 47% (International Wine & Spirit Record). Che il colore rosé stia cominciando ad andare di moda lo confermano tante novità soprattutto francesi, dove il blasonato Champagne per rispondere alla crescente domanda di mercato, ha lanciato molte cuvée in rosa. Il risveglio di interesse attorno a questa tipologia di prodotto sta aprendo nuove prospettive di mercato ad alcuni territori dove la tradizione dei vini rosati non è certo nata recentemente. In Italia la vinificazione in rosa sta prendendo piede un po’ ovunque. Dal lago di Garda, al Trentino Alto Adige, per scendere in Abruzzo, Puglia (Salento), Calabria e Sicilia. La grande tradizione si trova anche negli spumanti Metodo Classico. Nella regione che vanta una lunga consuetudine spumantistica - l’Oltrepo

Pavese - il rosato rappresenta la perla del grande vitigno principe dello spumante: il Pinot Nero.

Come si vinifica “in rosa” • Per pressatura diretta (vinificazione in bianco delle uve nere) prevede la pressatura dirette delle vinacce fresche con breve macerazione per estrarre il colore rosato. • Per macerazione pellicolare, prevede una breve macerazione (da 2/3 ore a 20/24 ore) delle bucce di vino rosso. Può essere condotta direttamente in pressa o nelle vasche. E’ il sistema tradizionale del Salento, qui chiamato sistema a “lacrima”. Le rese sono molto basse (non più del 40%) in modo di estrarre solamente il cuore, ovvero la parte migliore. • Per Salasso, estrazione dopo circa 36 ore di vinificazione di uve rosse, serve a dare maggior colore e struttura ai rossi (esempio Pinot Nero di Borgogna) ed il mosto sottratto dà origine ad un rosato piuttosto intenso.

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Gli spumanti rosè Solci’s La mia passione per i rosati nasce anche come sfida enologica. Realizzare un vino rosato di qualità (non ottenuto dalla mescolanza di vino bianco con il rosso e fortunatamente a Bruxelles non è passato il mix tra bianchi e rossi) richiede conoscenze ed esperienza di vigna e di cantina. Perfetta selezione delle uve, assoluto controllo di tutte le fasi di vinificazione ed in modo particolare nelle poche ore in cui il mosto rimane a contatto con le bucce, dalle quali viene estratta una minima parte delle sostanze coloranti, le più fragili. Condividendo con mio fratello Piero il gusto, la piacevolezza ed il fascino dei rosati, abbiamo realizzato i nostri spumanti Metodo Classico, sia il Brut Rosè che lo Charmant Rosè, con particolare attenzione e voglia. Sono nati così dei prodotti unici che riteniamo al top della categoria. Anche nel Salento ho prodotto dei grandi rosati: il Rosa del Golfo con il prodotto di punta Vigna Mazzì (la provocazione sta nel realizzare un grande rosato, longevo, affinato sapientemente nelle barriques) hanno conquistato il massimo delle onorificenze dai critici (2 Oscar del vino, 2 Soli Veronelli, il riconoscimento come miglior rosato d’Italia dal Gambero Rosso e dalla guida Maroni ed altre). Non ho esitazione nel dire che con i miei Spumante Solci’s Rosé e Charmant Rosè pasteggio con notevole soddisfazione ed i miei amici mi corteggiano e m’invitano a cenare da loro forse più per il Rosè che porto che per la mia presenza (sono comunque soddi-

sfatto, l’apprezzamento per un “figlio” dona gioia). Per confermare la validità del Rosato del Salento trascrivo quanto è apparso sulla Guida dei Rosati del Gambero Rosso del 2008, sulla quale il nostro Mazzì è stato classificato il migliore d’Italia: • “Rosa del Golfo 2006 - Negroamaro al 90% con saldo di Malvasia Nera, il Rosa del Golfo è ormai uno dei più noti e tipici rosati di Puglia. Di colore rosa corallo, al naso spiccano note floreali e di frutti rossi, seguiti da sentori iodati e di macchia mediterranea. La bocca è ricca, intensa, pulita, con frutto fresco ben sostenuto dall’acidità e un finale lungo e coerente. Un vino davvero ben realizzato, che anno dopo anno si conferma come alfiere della produzione aziendale e uno dei migliori rosati d’Italia. • “Vigna Mazzì 2006 - Il Vigna Mazzì è senza dubbio uno dei più originali rosati italiani. Da Negroamaro con un 10% di Malvasia Nera di Lecce, dopo un lungo passaggio in barrique si presenta di colore rubino brillante, con sentori ancora leggermente marcati dal legno ma anche intensi nelle note di frutti rossi. Il palato, di grande corpo e finezza, evidenzia una ricca presenza di frutto, in particolare di ciliegia, e un finale morbido, leggermente caldo di alcol, ma splendidamente sostenuto dall’acidità. Per noi è il miglior Rosato d’Italia di quest’anno”.

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di Fabrizio Cimino

Rosati d’Italia/2

Il Cerasuolo d’Abruzzo

Dal 2011 il vino Cerasuolo d’Abruzzo ha modificato il suo nome nel disciplinare D.O.C. della Regione: prima si chiamava Cerasuolo di Montepulciano d’Abruzzo. Infatti è un vino rosato ottenuto con uve Monte­pulciano, vitigno presente da secoli in Abruzzo ma chiamato Montepulciano solo dal secolo XVII. Il Cerasuolo è ottenuto da uve Montepulciano d’Abruzzo vinificate in bianco, cioè con breve contatto tra vinacce e mosto, quindi senza macerazione delle vinacce.

Questo tipo di vinificazione prevede la pigiatura, e quasi sempre la diraspatura delle uve (operazioni comuni alla vinificazione in rosso). In seguito però si effet­tua la sgrondatura del pigiato, separando così il mosto dalla frazione contenente le bucce. Questa frazione, in pratica, viene destinata immediatamente alla pressatura per il recupero di tutte le frazioni liquide e non viene a contatto con il mosto se non per poco tempo in modo da conferire al vino il colore tipico rosato.

I vini rosati, come i bianchi, sono fondamentalmente vini freschi e profumati, da bere piuttosto giovani. I mosti vengono normalmente decantati, filtrati e centrifugati per ottenere la migliore limpidezza e finezza.

La vinificazione in bianco è abbastanza critica perché non vi deve essere il contatto con l’aria onde evitare che producano fenomeni di ossidazione (maderizzazione) determinando un peggioramento delle qualità orga­nolettiche del

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vino, che assume in tali casi un colore definito “brodo di castagna” ed un sapore di cotto. È anche molto importante il trattamento di solfitazione con azione antisettica, antiossidante, antiossidasica. La temperatura di vinificazione va mantenuta in un intervallo compreso tra 18 e 22 °C, in genere con l’im­piego di fermentatori coibentati a doppia parete. Il vino così trattato, assume un colore rosso ciliegia da qui il nome di Cerasuolo; come tutti i rosati è un vino di pronta beva senza possibilità di invecchiamento. Si abbina moltissimo ai primi piatti abruzzesi come i bucatini all’amatriciana e la chitarra al sugo d’agnello, o le virtù teramane; è ottimo con le carni bianche e anche con la pizza. Dal bicchiere si liberano sentori di fruttati e floreali, marasca e sottobosco; il gusto è intenso, rotondo, fresco e vivace; insieme si armonizzano la freschezza del bianco e le sensazioni ed il corpo di un giovane rosso.

L’impressione che dà a prima vista è quella del vino di una volta, il vino che i nostri nonni facevano in casa che era un po’ frizzantino perché rifermentato in bottiglia. Il Cerasuolo, invece, è un vino di alta qualità che ha anche un alto rapporto qualità/prezzo perché non ancora molto conosciuto dai consumatori. Sono stato a trovare un amico proprietario di un’ottima azienda vitivinicola nel comune di Giulianova (Tera­mo), Giovanni Faraone. È una persona di carattere, ma di animo nobile, e si mette a disposizione per rac­contarmi la storia della sua azienda iniziata nel 1916 da papà Alfonso e mamma Argentina che producevano vino sfuso da mescita. Giovanni che aveva intrapreso un’altra strada, quella del geometra, agli inizi della sua carriera lavorava in una ditta emiliana di prefabbricati per l’edilizia; fortunatamente per i seguaci di Bacco, nel 1970 decide di tornare alla attività di famiglia e cambia decisamente in meglio la sua vita, dedicandosi alla nobilissima arte di produrre il vino. L’azienda è a carattere familiare, conta non più di nove ettari di possedimenti di cui sette dedicati alla produzione vitivinicola; si arriva a produrre 50.000 bottiglie per anno, di varie tipologie. Giovanni Faraone è decisamente un uomo molto legato alla tradizione; non ama

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“truccare” il suo vino con aggiunta di zuccheri o con la concentrazione dei mosti, preferisce il vino che riesce ad ottenere dalla sua terra con il duro lavoro in vigna e l’attenzione a tutte le regole del buon vinificare. Si va dai bianchi “Trebbiano” giovane ed invecchiato, alla “Passerina” fresca e gradevole, allo spumante rosato, “ruffiano” come dice lui, per il colore e le bollicine, al “Cerasuolo”, vino per tutte le stagioni, ed infine al “Montepulciano” giovane e a quello DOCG Colline Teramane, che è vino di punta dell’azienda. Anche i suoi figlioli Federico (enologo) ed Alfonso, sono appassionati esperti di vini ed aiutano papà Giovanni nel suo duro lavoro. Il Cerasuolo d’Abruzzo “Le Vigne” di Faraone, è un vino di alta gradazione per essere un rosato, infatti Gio­vanni usa il metodo del “salasso” o saignée che consiste nel prelevare una certa quantità di mosto dalla vasca di macerazione nella quale si sta preparando un rosso. Il mosto così prelevato viene vinificato in bianco e quindi si ottiene un vino rosato. La parte rimanente del mosto continua la sua ma-

cerazione ed è utilizzata per la produzione di vino rosso. Per la sua breve maturazione il Cerasuolo deve essere tenuto in contenitori d’acciaio poiché non ama il legno delle botti che conferirebbe caratteristiche non utili ad un vino da bere giovane Il procedimento conferisce un’alta concentrazione di zuccheri e di conseguenza il vino risulta avere una gra­dazione alcolica notevole, superiore ai 14°, pertanto, per quanto riguarda gli abbinamenti col cibo, si avvici­na più ad un rosso che ad un bianco. I ristoratori non amano proporre il Cerasuolo o i rosati in genere e, infatti essi non hanno grande fortuna in enoteca perché non sono né bianchi né rossi. Fino a qualche tempo fa chi non conosceva il Cerasuolo o i rosati in genere, non amava ordinarli durante un pranzo; da qualche tempo però i ristoratori hanno incominciato a proporli con successo perché si abbinano a una notevole varietà di piatti e possono quindi essere utilizzati in un pasto completo. Per info: www.faraonevini.it

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Foto m. Piazza

NONINO OlTre ceNT’aNNI dI dIsTIllazIONe cON meTOdO arTIgIaNale

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di Felice Maratea

Rosati d’Italia/3

Vignuolo: il vino di Polifemo e Federico II

“Polifemo prese la tazza, bevve il vino con piacere indicibile e ne chiedeva dell’altro: “Dammene, dammene ancora, ti prego, e dimmi subito il tuo nome perché possa offrirti il dono per gli ospiti che, ne sono certo, ti farà felice. Anche ai ciclopi qui, la terra fertile dà il vino dai pesanti grappoli che la pioggia di Zeus feconda, ma questo che tu mi dai è ambrosia, una vena di nettare…” Qual’era il vino che Ulisse versò abbondantemente nella coppa di Polifemo fino a farlo cadere nel piacevole sonno che gli fu, però, fatale? Dalle parti di Andria non hanno dubbi, era un vino dei loro vigneti: chi dice uva di Troia, chi Malvasia, chi Bombino. Io propendo per quest’ultimo perché è il vitigno del delizioso rosato che in questi giorni è sottoposto insieme ad altri al giudizio delle commissioni che dovranno eleggere il vincitore del “1° Concorso Nazionale dei Vini Rosati”. E se il 5 maggio, quando a Otranto il Governatore di Puglia Nichi Vendola nel dichiarare il suo nome non dirà “Si aggiudica la medaglia d’oro il rosato della Cantina Vignuolo di Andria…” vorrà dire che i giurati non capiscono niente di vini…

Naturalmente sto scherzando; il Concorso, dei vini rosati, voluto dall’Assessore alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, dott. Dario Stefàno, è estremamente serio e lontanissimo da quello che è accaduto lo scorso anno in Francia quando a Cannes si tenne l’evento internazionale “Mondial di Rosè”. A quella gara parteciparono una ventina di Paesi che sottoposero i propri vini a una giuria di cinquanta degustatori; vennero assegnate 276 medaglie e la nazione vincitrice se ne aggiudicò ben 208; il 75% del totale. Indovinate quale fu questa nazione. Il Nepal? La Nuova Guinea? Il Liechtenstein? Non ci arriverete mai: fu la Francia. L’Italia che con la Francia si contende la palma di maggior esportatore di vini, arrivò quarta, battuta addirittura dalla Repubblica Ceca e dalla Bulgaria! Uno scandalo ridicolo di questa portata non accadrà certo a Otranto perché il concorso è organizzato con assoluta serietà e controllato dalle più autorevoli organizzazioni enoiche d’Italia. Per quanto mi riguarda però, chiunque vinca a Otranto, continuerò a dare la mia preferenza

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al rosato della Cantina Vignuolo di Andria, quello che da anni mi faccio arrivare a Milano per la delizia dei miei familiari e dei miei amici, un vino che si sposa perfettamente con la cucina lombarda e certo anche con quella veneta, toscana, emiliana ... Il vino che avrebbe fatto felice anche Federico II, il Puer Apuliae che da vero amante di Bacco sapeva apprezzare i frutti della sua terra tanto amata, della Puglia Imperiale dove stabilì la sua residenza preferita che chiamava “pupilla dei miei occhi” e di cui diceva: “Ogni terrena dolcezza è superata dalla amabilità della mia terra”. Nella terra dove fece costruire Castel del Monte, il più bello e misterioso castello d’Europa, i vigneti regalano uve fra le più pregiate della regione che fu definita “la cantina d’Italia” negli anni in cui la penisola veniva chiamata Enotria (terra del vino). In questa regione nel 1959 nasce quella che diventerà la Cantina Vignuolo; la guerra è finita da qualche anno, l’Italia vive con allegria quello che verrà chiamato il “boom economico”. Ad Andria, in provincia di Bari, viene costituita la Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria Acli con l’obbiettivo di valorizzare i vitigni autoctoni della Murgia ricca di storia e di cultura millenaria.

La “cantina d’Italia” però impiega molto tempo a prendere coscienza della sua forza e della sua importanza e anche la Cooperativa di Andria si adatta per molti anni a fare quello che facevano allora la gran parte dei produttori pugliesi: vendevano vini sfusi che in grandi cisterne andavano a regalare corpo, anima e profumi ai più nobili e titolati vini del nord Italia e della Francia, diventando Barolo, Barbaresco, Bourgogne. Da qualche anno però le cose sono cambiate grazie alle intuizioni di illuminati produttori che, orgogliosi dei loro vini, hanno incominciato ad imbottigliarli e farli conoscere in Italia e all’estero. Fra questi la Cooperativa di Andria che da quando è stato nominato presidente Perluigi Spagnoletti Zeuli è arrivata a contare più di duecento soci scelti fra i produttori più attenti e responsabili proprietari dei circa 500 ettari di vigneti sulle colline intorno a Castel del Monte, zona di alta vocazione enologica grazie al clima particolarmente favorevole, ben esposta al sole e baciata dalle brezze del vicino mare, protetta dagli Appennini che ne favoriscono il clima asciutto e poco piovoso. Viene cambiata la ragione sociale che diventa “Can-

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tina Vignuolo”, un nome gentile e poetico, suggerito da una poesia di Giovanni Pascoli per indicare il viticcio che la vite, ramificando, sviluppa per poter meglio sostenere il peso del grappolo maturo. Un suono dolce che esprime al tempo stesso forza ed eleganza, quello che i produttori vogliono ottenere, un equilibrio che viene espresso nella realizzazione di vini piacevoli, con un largo impiego di vitigni autoctoni, ed evitando lunghe soste nei legni. La selezione delle uve conferite alla Cantina Vignuolo è oggi finalizzata alla produzione di vini a denominazione di origine e indicazione geografica protetta, e i disciplinari vengono scrupolosamente rispettati; tutti vinificati in purezza rivelano grande personalità ed esprimono al meglio la ricchezza delle uve. Il controllo completo della filiera dalla vigna alla bottiglia consente di scegliere le uve da destinare alle diverse tipologie di vino fra i quali svettano i rossi ottenuti da uve Nero di Troia, i bianchi di Chardonnay e Malvasia, e dal Bombino Nero i rosati, quelli della mia predilezione che mi auguro ottengano un grande successo a Otranto.

Sono circa 200.000 le bottiglie che escono ogni anno dalla cantina vignuolo, vini piacevolissimi che per il rapporto qualità - prezzo sono stati definiti scherzosamente “vini democratici” perché alla portata di tutte le borse. Sono forse un po’ pericolosi per chi deve guidare perché è difficile fermarsi al primo o al secondo bicchiere e i consumatori che hanno questo problema devono scegliere fra i propri amici uno appartenente alla triste genìa degli astemi o spendere un sacco di soldi in taxi. Federico II morì la notte del 13 dicembre 1250 a Castel Fiorentino, fra Lucera e Torremaggiore. La sua morte parve incredibile a molti. In Sicilia si sparse la leggenda che fosse nascosto nel cratere dell’Etna; e in Germania che dormisse un lungo sonno nella caverna di una montagna, attorniato dai suoi cavalieri in attesa di un ritorno trionfante. Se ci sarà il ritorno auspicato, non c’è dubbio che verrà festeggiato con un brindisi di rosato della Cantina Vignuolo. Per info: www.vignuolo.it

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di Claudio Sisto (Direttore Tecnico Cantine Museo Albea)

Vino & markeitng

Il rosato, questo (quasi) sconosciuto Il 6% dei vini italiani sono rosati, (e quasi la metà prodotti in puglia), ma secondo un sondaggio dell’Accademia della Vite e del Vino, il 70% degli italiani non né ha mai comprato una bottiglia anche perché di questi vini non se ne parla, o se ne parla poco e raramente si trovano produttori che ci credono e i loro sforzi non sono premiati dal mercato, che chiede rosati solo in bollicine. Se ci chiediamo perché questa tipologia di vino, che tecnicamente è difficile da produrre, non sia molto richiesta, la conclusione è sempre la stessa: produrre vino significa investire capitali di denaro e pertanto è opportuno aspettarsi come naturale conseguenza ottenere un profitto. Quello che non si vende, non si produce. A contribuire alla cattiva fama dei vini rosati è bene riconoscerlo - hanno contribuito le tante e certamente troppe produzioni discutibili del passato con qualità scadenti che di certo non hanno reso

una buona immagine a questi vini. Per fortuna tale tendenza è in netto declino e chi produce rosati con attenzione ai vitigni, ai vigneti e soprattutto alla tecnica produttiva lo fa solo nell’ottica del’altissima qualità. Questo tipo di vino infatti, consente di riscoprire particolari attitudini di alcuni vigneti e reinterpretarne altri. Per molti i rosati sono semplicemente uno spreco di uva. Essi sostengono che durante la loro produzione, molte delle qualità contenute nelle bucce sono perse a causa di un limitato tempo di macerazione con il mosto. In effetti si tratta di una vinificazione in bianco di uve rosse che quindi sono sottratte a vini potenzialmente più nobili. Occorre ricordare che spesso i vini rosati si producono mediante la tecnica del salasso utilizzata per la produzione di tanti blasonati

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vini rossi; tecnica per giunta salentina per cui tecnologia vinicola pugliese esportata in tutto il mondo. In questi casi si provvede a prelevare una piccola quantità di mosto rosato in macerazione con le bucce con lo scopo di aumentare il rapporto di quantità di estratti nel prodotto finale, in altre parole, per produrre vini rossi più robusti. Se si guardano le cose da questo punto di vista, i rosati prodotti in questo modo dovrebbero essere di qualità eccellente, visto che sono prodotti con uve di elevata qualità tanto da fare meravigliare i degustatori non appena queste si trasformano in densi vini rossi; si preleva dal cuore del serbatoio, una parte che spesso non supera il 15-20% che sarà fermentata come un vino bianco di alta qualità. Eppure i vini rosati sono vittime di una sorta di paradosso: basta aggiungere delle bollicine - possibilmente mediante la spumantizzazione secondo il metodo classico - per farli diventare subito nobili, ricercati, apprezzati e accettati. Infatti, gli spumanti metodo classico rosé vivono in ben altre e invidiate condizioni, sono capaci di trasmettere emozioni assolutamente uniche in un’esplosione di meravigliosi aromi e piaceri. Anche quelli sono vini rosati ma non sono per questi considerati inferiori come invece accade per i vini rosati da tavola. Che i produttori di spumanti rosati siano più attenti al marketing? Sicuramente sì. Tuttavia è

curioso notare che se negli spumanti al colore rosa è riconosciuta nobiltà ed eccellenza, nei vini da tavola il colore non gode della stessa sorte! I pregiudizi sono sempre difficili da cancellare! Eppure basterebbe concentrarsi di fronte a un calice di buon rosato per capire la sua straordinaria versatilità e piacevolezza. Se è vero che spesso nei vini bianchi è proprio la freschezza degli aromi una delle qualità più apprezzate, nei rosati a questa caratteristica, per giunta più ampia per la provenienza da uve rosse, deve essere aggiunta a una maggiore pienezza gustativa e rotondità al palato che rende certamente più piacevole la degustazione.

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Pertanto è opportuno invogliare i consumatori a considerare i rosati a volte snobbati come la risposta più adeguata al consumo di vini di qualità da accostare a moltissimi piatti. La volontà della Regione Puglia di dar vita al 1° Concorso Enologico Nazionale dei vini rosati d’Italia che si è iniziato a Bari il 20 e il 21 aprile e si concluderà a Otranto il 5 maggio,

sottolinea la importante presa di coscienza che il rosato è una opportunità ulteriore di scoprire la interessante enografia nazionale e la Puglia naturalmente vocata a tale produzione, deve essere portabandiera di importanti iniziative come questa. Un plauso all’assessore Dario Stefano e al Governatore Nichi Vendola per l’iniziativa.

I rosati di Casa Albea Le produzioni in rosa della Cantina Albea di Alberobello sono due concetti opposti ma ugualmente interessanti di vinificazione. Nel caso del R’OSE’ si produce attraverso una vinificazione alla Francese, cioè vinificazione in bianco di uve rosse, Nero di Troia in purezza e nel caso del PETRAROSA un salasso da Primitivo di Gioia, vitigno coltivato a 400 m s.l.m. che produrrà poi il PETRANERA. Nel primo caso anche per il leggero perlage del vino si propone un rosato leggero, morbido e fruttato, nel secondo domina il corpo e la struttura con aromi unici di una fragranza, che solo un primitivo coltivato su terreno calcareo e magro a buone altezze conferisce. Il R’osè è di colore rosato cerasuolo intenso con sfumature di corallo, all’esame olfattivo è un vino pieno e avvolgente con aromi di amarena, ciliegia e cocco, al gusto è armonico di buona persistenza aromatica; il Petrarosa èun vino elegante di un rosa corallo cristallino, una fragranza olfattiva articolata tra frutti di bosco, biancospino, roselline rampicanti con una fresca nota di cocco, e al palato mostra una buona freschezza ravvivata da un giusto perlage. Per info: www.albeavini.com

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CANTINA ALBEA - Via Due Macelli, 8 - 70011 Alberobello (Ba) - ITALY Tel. 080 43232548 - Fax 080 4327147 - www.albeavini.com - info@albeavini.com


Il 5 maggio prossimo verranno consegnati i premi ai vincitori del 1° Concorso Enologico Nazionale dei vini rosati d’Italia, la cerimonia si svolgerà a Otranto, la bella città più a oriente d’ Italia, la città che ogni mattina è illuminata per prima dal sole del nuovo giorno. “Gustare l’Italia” invita il turista o l’addettto ai lavori che si trova per la prima volta in Salento per la cerimonia della premiazione, a non limitarsi a un breve soggiorno ma ad approfittare dell’occasione e ritagliarsi qualche giorno di vacanza per conocere una delle regioni più importanti non soltanto d’Italia, ma della storia dell’ Umanità.

“La Puglia non è una regione; è un continente”, ha scritto Raffaele Nigro, e il grande poeta da poco scomparso Tonino Guerra, innamorato di questa terra di magia ne descriveva “i tesori barocchi, le case incantate e i trulli, gli ulivi patriarchi arborei, i sapori forti di erbe antiche da oli preziosi e accompagnati da vini antichissimi, i muretti che chiudono i respiri del mondo di favola, le antiche torri di pietra e le grotte costiere le cripte rupestri e i capolavori prigionieri sotto terra, la Puglia imperiale che stupì Federico II meraviglia del mondo, la Puglia di sogno che c’era una volta e c’è ancora, a ricordarci che bisogna arrivare nei punti più segreti e selvaggi

In giro per l’italia

della Redazione

Salento, terra di magìa

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dove si ha la sensazione di trovare l’infanzia del mondo. E invece trovi te stesso”. Invitiamo i turisti stranieri ad approfittare dell’occasione per scoprire questa terra che spesso è chiamata “Puglie” perché è riduttivo parlarne al singolare essendo state nei secoli molte le civiltà che vi hanno lasciato un segno del loro passaggio, così che fra Santa Maria di Leuca e il Gargano non ci sono soltanto chilometri di differenza, ma secoli di storia, millenni in cui soni intrecciate le culture mediterranee che ne hanno fatte un luogo di incontro e di armonia fra razze e civiltà. È, il nostro, un invito anche gli italiani che vanno in giro per il mondo alla ricerca di emozioni esotiche quando invece a due passi da casa c’è ancora tanto da scoprire.

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Avete mai visto Castel del Monte, la cattedrale di Trani, nave di pietra che sta per salpare verso l’infinito, le necropoli ipogee di Trinitapoli, i dolmen Salentini, le stele daunie, i trulli di Alberobello Patrimonio Unesco dell’Umanità, le grotte di Castellana e di Putignano, la costa garganica baciata dal sole con le sue 53 specie di orchidee che fanno del Gargano il paradiso delle api, le mille masserie dell’entroterra delle Murge, le ceramiche di Grottaglie capolavori d’arte e di tradizione?

Avete mai gustato le delizie gastronomiche che non hanno uguali al mondo per ricchezza, varietà, piacevolezza... Dai formaggi, oro bianco della Valle d’Itria, ai salumi di Martina Franca, ai vini di San Severo, Gioia del Colle, Manduria, Cellino San Marco, l’olio di Bitonto, e di Andria. Non “Puglia” dunque, ma “Puglie” dunque e ad ogni passo una nuova scoperta, una emozione nuova. I partecipanti al Concorso dei Rosati, la prima intensa emozione l’avranno nel visitare a Otranto lo splendido castello Araganose nel quale si svolgerà la premiazione delle aziende produttrici; in questa castello Horace Walpole ambientò il suo “The castle of Otranto” scritto nel 1764, considerato il più grande romanzo gotico capostipite di quello stile letterario che si affermeà con forza nel secolo XIX. Anche Umberto Eco ha iniziato il suo “Il nome della rosa” a Otranto, nel monastero di San Nicola di Casole dove c’era la biblioteca più ricca d’Europa. Un’altra meraviglia della città è la cattedrale con il suo mosaico uno dei più grandi al mondo che si snoda nel pavimento per oltre 16 metri. Nella chiesa, la più grande di Puglia, sono ricordati gli 800 martiri decapitati da Gedik Ahmed Pasha il 14 agosto 1480.

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Il Concorso dei vini rosati si aggiunge alle numerose manifestazione che si svolgono nel Salento durante tutto l’anno, manifestazione originale e straordinarie che in molti casi non hanno il rilievo che meriterebbero . Ne ricordiamo alcune alle quali chi scrive ha avuto l’avventura di assistere: le Luminarie di Scorrano, un piccolo paese della provincia di Lecce; è uno spettacolo pirotecnico seguito dall’accensione di migliaia di luci colorate che non ha paragoni con nessun altro al mondo. Gli spettatori sono aggrediti da un concerto fantastico di note che diventano luci e le luci musica. Uno spettacolo che se si svolgesse a Vienna o a Nizza o Cincinnati avrebbe articoli sulle rivi-

ste più importanti, riprese televisive, interviste celebrative agli organizzatori…, ma poiché si svolge in un piccolo paese salentino non se ne accorge nessuno se non gli abitanti del capoluogo e dei dintorni. È il destino di molte manifestazioni del sud che sono spesso ignorate o sottovalutate anche dalle autorità e dai media locali; fortunatamente si ha da qualche anno una inversione di tendenza e iniziative una volta considerate paesane hanno finalmente e l’attenzione che meritavano. Come, per restare in Salento “La notte della taranta”, il più grande festival musicale dedicato al recupero della “pizzica salentina” e alla sua fusione con altri linguaggi musicali che van-

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no dalla world music al rock, dal jazz alla sinfonica, dal reggae all’elettronica. Un esperimento riuscito della buona politica che da qualche anno vive e si afferma anche nel Sud d’Italia al quale partecipa un pubblico sempre più numeroso (lo scorso anno hanno assiepato il piazzale dell’ex convento degli Agostiniani dove si svolge lo spettacolo oltre 140.000 spettatori arrivato da ogni dove). Auguriamo all’assessore Dario Stefàno salentino di Lecce, che la sua iniziativa del Concorso dei Vini Rosati abbia, come merita, lo stesso successo.

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L’amore per la qualità Il rispetto per la tradizione Benagiano Pastificio srl Corso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba) Tel. 080-3036036 - E-mail: benagiano@benagiano.it - Website: www.benagiano.it


di Felice Maratea

Le “lune” di Gustare l’Italia

“La Peschiera” Continua in questo numero l’iniziativa della nostra rivista in difesa dei ristoranti ignorati o sottovalutati delle guide gastronomiche, in particolare nelle regioni meridionali. Certo un tempo qualche giustificazione potevano averla; molti ristoratori qualche colpa indubbiamente l’avevano: scarsa attenzione nella ricerca dei prodotti che la terra regala con generosità, mancanza di professionalità, poco rispetto per le tradizioni.. Da qualche anno però la tendenza è cambiata ed è sempre più frequente imbattersi al Sud in locali che nulla hanno da invidiare a quelli del Nord ricoperti da soli, stelle, gamberi, forchette regalati da critici generosi. Eppure per il meridione si continua ad usare lo stesso metro di giudizio con valutazioni superficiali, giudizi dati spesso per sentito dire

rimasticando cose scritte da altri o ripetendo quelli scritti anni prima perché per molti ispettori è certo più facile andare da Milano a Busto Arsizio che avventurarsi fino a Canicattì (Agrigento) o a Noci (Bari). E il Sud che pure avrebbe bisogno di essere aiutato continua a essere penalizzato con grave danno per la sua economia (è un dato fatto che un locale famoso per la piacevolezza della gradevolezza cucina o per la gradevole ospitalità faccia aumentare il movimento turistico e sia di conseguenza un aiuto per la ricchezza del Paese). Non è accettabile che la più importante e antica Guida, la Michelin, che in tutta Italia considera circa trecento ristoranti degni di una, due, tre stelle (massimo riconoscimento di qualità), ne riconosce soltanto 2 alla Sarde-

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gna, 4 all’Abruzzo, 2 alla Calabria, 5 alla Puglia, 6 alla Sicilia, zero al Molise, zero al Basilicata. “Gustare l’Italia” in collaborazione con il Museo del Vino di Alberobello, organizzerà il prossimo settembre una iniziativa dal titolo “Ricordati del Sud” indirizzata agli ispettori delle varie Guide perché nella pubblicazioni che riguarderanno il 2013 sia dato all’enogastronomia del meridione lo spazio che si merita. Nell’attesa continuiamo ad attribuire le nostre “lune” (visto che soli, stelle e pianeti vari sono già stati da tempo prenotati) ai ristoranti ingiustamente dimenticati. Oggi a nostra “luna” illumina un locale incredibilmente ignorato da tutte le Guide, a parte il Touring Club che gli dà, bontà sua quattro forchette, e l’Espresso che gli riconosce poco più della sufficienza, gli altri non lo considerano proprio; è invece a nostro giudizio uno dei più suggestivi, eleganti, affascinanti locali di tutta Italia.

Consigliamo i critici gastronomici che decidano di recarvisi di non andare soli a “La Peschiera”; ne approfittino per regalarsi una vacanza con la loro innamorata, e se non hanno un amore in corso se ne inventino uno. Si troveranno in luogo proibito a chi è solo ma ideale per gli innamorati. Risale certamente all’epoca borbonica ma forse addirittura ai romani, dato che a pochi metri ci sono gli scavi dell’antica Egnatia. Un tempo l’aristocrazia oltre alla riserva di caccia aveva la riserva di pesca, la “peschiera” costruita in riva al mare. Con un ingegnoso sistema idraulico si facevano entrare i pesci in capaci vasche d’acqua marina nella quale restavano prigionieri fino al momento in cui i nobili signori decidevano di sacrificarli per i loro banchetti. Una delle ultime “peschiere” sul litorale che porta da Monopoli a Savelletri è stata acquistata qualche anno fa dalla famiglia Guerra che con interventi di raffinata semplicità l’ha

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Luoghi da visitare

trasformata in un luogo galeotto, per innamorati appassionati e golosi che oltre a gustarvi una cucina marinara semplice ed essenziale, possono disporre di camere che sembrano le cabine di una nave di pietra che stia per salpare verso un mare fantastico. La Puglia è da sempre la maggiore produttrice di uva della Penisola ed è per questo che è stata definita “la cantina d’Italia”. Una cantina che però soltanto da pochi anni ha preso coscienza della qualità dei propri vini che fino a qualche decennio fa – tranne rare eccezioni – prendevano anonimamente la via del nord per dare anima a certi languidi prodotti piemontesi, veneti, lombardi, toscani, e anche a titolate etichette francesi. A “La Peschiera” Giuseppe Guerra mette nella scelta dei vini la stessa cura che pone nell’indicare la linea della cucina e vuole nella sua cantina i migliori prodotti della regione in perfetta sintonia con il padre che è uno dei più colti e appassionati ricercatori di vini come degli altri prodotti che rendono grande la cucina pugliese; la sua opera è anche di notevole rilievo economico e culturale perché permette di esistere ad artigiani che sarebbero altrimenti destinati a scomparire.

Dal Gargano al Salento la Puglia è una delle regioni d’Italia più ricche di meraviglie artistiche e naturali; si ricordano sempre i gioielli di Alberobello e di Castel del Monte dichiarati dall’Unesco “Patrimoni dell’Umanità” ma ci sono altre bellezze, altri tesori di valore incalcolabile ancora da scoprire o note soltanto a pochi. Questa è una terra che è stata amata dai popoli che hanno costruito la storia della civiltà che qui si sono avvicendati e hanno lasciato una loro impronta: Greci, Romani, Longobardi, Svevi, Angioini, Spagnoli… fino a Veneziani, Francesi, Borboni. Gli appassionati di storia si possono rivolgere a Giuseppe che ha ereditato dal padre l’amore per la sua terra e sarà lieto di suggerire itinerari di grande interesse; chi però vuole soltanto godersi una vacanza per ritemprare lo spirito dando felicità al corpo, troverà alla Pe-

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schiera il più moderno impianto di talassoterapia che si sviluppa nelle 7 piscine di acqua di mare e di acqua oligominerale che sgorga dal sottosuolo. Un’altra interessante avventura si potrebbe vivere recandosi a Gallipoli dove un veliero è a disposizione degli ospiti de “La Peschiera”; Simona Guerra, sorella di Giuseppe, che da quelle parti gestisce un simpatico locale, il Coco Loco, sarà pronta a salpare per una breve crociera che li porterà a conoscere le bellezze della costiera Jonica, dalla scogliera di Santa Maria di Leuca alla bella isola di Sant’Andrea, fino a Santa Caterina.

A lume di candela Se come ho consigliato i critici non saranno soli ma si trovano alla Peschiera con il loro amore, quando è l’ora della cena chiedano di

consumarla al tavolo più vicino al mare; l’Adriatico dovrebbe essere agitato e dovrebbe spirare forte il magico vento di sud-est umido e caldo che arriva da lontananze misteriose sfiorando la preistorica grotta di Porto Badisco e i Menhir di Calimera. In quelle sere - secondo la leggenda - gli innamorati hanno poteri divinatori e se avessero una bolla di cristallo potrebbero vedere limpidamente il loro futuro. In mancanza della bolla magica saranno perfette anche due flute di cristallo e l’avvenire - certamente gioioso - apparirà fra le bollicine di un delizioso spumante che il maitre avrà provveduto a far servire. Con lo spumante arriverà in tavola tutto l’occorrente per realizzare la “Tartare di tonno al fumo aromatico” che si dovrà assolutamente gustare: in un piatto si metterà la carne cruda del pesce che il cameriere e gli stessi ospiti provvederanno ad affumicare al momento bruciando le erbe aromatiche appena colte nell’orto: rosmarino, alloro, finocchietto selvatico, mirto… che verranno ricoperte da una campana di vetro perché il tonno possa arricchirsi di quei profumi; dopo circa mezz’ora, la carne sarà pronta e il risultato sarà un cibo delizioso che verrà ricordato a lungo.

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Lo stesso accadrà per il piatto che Giuseppe ha dedicato agli innamorati: “Lutrino ai sapori mediterranei”, uno dei pesci più saporiti dell’Adriatico, cucinato all’acqua pazza esaltato dal Teresa Manara di Cantele, uno Chardonnay che nasce in una terra, il Salento, dove il vino hanno imparato a farlo tremila anni fa.

La notte Le camere de “La Peschiera” sono dodici, bellissime, affascinanti arredate con gusto malizioso; un breve patio le separa dal mare che quando è agitato arriva a lambire la porta a vetri contribuendo a creare un’atmosfera morbosa e intrigante perfetta per amanti passionali alla ricerca di nuove emozioni. Sopra ogni camera un’alcova di pietra permette, se si vuole, di trascorrere le notti estive avendo come soffitto soltanto il cielo stellato. Una mano gentile avrà provveduto a far trovare agli innamorati una bottiglia di D’Araprì, un incredibile spumante “inventato” a San Severo, in provincia di Foggia da tre amici che qua-

si per scommessa hanno ottenuto da un uvaggio di Bombino bianco e di Pinot nero vinificato in bianco uno spumante di grande eleganza. E’ un’altra delle tante sorprese che la terra di Puglia magica e stupefacente continua a riservare a chi ha la ventura di venire a visitarla. Le bollicine renderanno più intriganti i versi maliziosi di un canto armeno dell’ottocento che si trova a fianco al letto: “Vorrei diventare acqua, confondermi con l’acqua del fiume, e risalire fino alla sorgente. Così la mia bella verrebbe a riempire la brocca, ed io entrerei nella brocca gorgogliando. Lei metterebbe la brocca sulle spalle, io le sgocciolerei fra i seni”. Dovrebbe essere l’inizio di una notte infuocata. Se dopo un’esperienza come questa il critico gastronomo non regala almeno una stella “La Peschiera” chieda urgentemente un incontro con uno psichiatra. Da parte nostra la premiamo con la “luna” più risplendente, fulgida, raggiante.

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Da maggio su Antennasud il magazine settimanale “GUSTARE L’ITALIA: I PROTAGONISTI” con indagini nelle filiere della Moda, Enogastronomia e Turismo partirà con lo Speciale dal “CIBUS” di Parma. La trasmissione televisiva prodotta da Saverio Buttiglione sarà parte integrante del progetto internazionale “FOOD & MODA”


Domenica 20 maggio sul Canale 99 di Lombardia Tv andrà in onda la trasmissione “Magic shopping” condotta da “due maghi e una strega”. I maghi sono Cino Tortorella il mago dello Zecchino d’Oro e Gabriele Gentile il mago “da legare” di molti spettacoli trasmessi dalla Rai, la strega non è stata ancora trovata e si è chiesto alle ragazze della Lombardia di proporsi per ricoprire il ruolo. “Magic shopping” è uno spettacolo rivolto alle famiglie con musiche, giochi, gastronomia e quiz che viene ripreso da una storica televisione nata trent’anni fa a Soresina, una cittadina della provincia di Cremona, e ha oggi un bacino di utenza che si estende su tutta la regione Lombardia e parte dell’ Emilia. La trasmissione viene ospitata dalle “Acciaierie shopping center” il più elegante centro commerciale lombardo situato nel comune di Cortenuova tra le province di Bergamo, Brescia e Cremona.

Il centro si estende su una superficie di 48.000 mq; la galleria di 13.000 mq si sviluppa su due piani dominati da una grande cupola, una architettura unica nel suo genere che caratterizza uno spazio destinato a ospitare importanti eventi. Alcuni servizi innovativi caratterizzano le splendide gallerie dello Shopping Village: un’area bimbi tra le più grandi realizzate nei centri commerciali d’Italia, un’ampia food-court nella piazza centrale, un’area relax, la nursery, accessi facilitati per disabili, 4.000 posti auto gratuiti ... Collegato alla galleria, è attivo il City Park che ospita un cinema multisala composto da 7 sale, un centro divertimento con sala giochi, con bowling e casinò. “Gustare l’Italia” dà a tutti l’appuntamento per questa sua nuova esperienza che, si augura, incontrerà il favore di grandi e piccini.

Iniziative

della Redazione

“Magic Shopping”

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Prossima Apertura

Spazio Abbadesse, tra tradizione e modernità La scelta del luogo dove realizzare un evento - sia esso una mostra oppure un rinfresco, un convegno o anche solo una serata tra amici - non deve essere mai casuale. Per la buona riuscita di una manifestazione, la location non è importante, è fondamentale. Esistono luoghi che hanno un fascino particolare: sono quelli che hanno una storia da raccontare. Luoghi che portano il segno del lavoro dell’uomo e dove si respira un’aria unica, inconfondibile. La location dove realizzare eventi, soprattutto di rappresentanza e promozione, deve essere anche facilmente raggiungibile e comoda, magari nel centro di una grande città come Milano. Un luogo con queste caratteristiche, proprio nella metropoli meneghina, esiste, è Spazio Abbadesse: un grande open space su due livelli perfetto per manifestazioni ed eventi, ma anche per ospitare conferenze, corsi di formazione e show room. Spazio Abbadesse è un locale unico nel suo genere in quanto offre l’innovativa formula “Cena & Spettacolo”, dove la migliore espressione della cucina si coniuga con spettacoli di livello internazionale. Insomma, per soddisfare qualsiasi esigenza istituzionale o aziendale, Spazio Abbadesse è la vetrina ideale per chi vuole farsi conoscere a Milano.

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della Redazione

La cucina etica facile - Emanuela Barbero Il numero delle persone che decidono di diventare vegan è in costante crescita. Cresce la consapevolezza che tutti gli animali (anche quelli che solitamente mangiamo) sono esseri senzienti, capaci di provare sensazioni, emozioni, sentimenti; ma modificare le proprie abitudini, imparare a utilizzare nuovi ingredienti, e valorizzarne di più altri, può non essere così immediato. Il volume, propone oltre 220 ricette da seguire passo a passo con tutte le indicazioni utili. Per ogni ricetta si indicano indica il livello difficoltà, il tempo richiesto nella preparazione e anche la fascia di costo. Non mancano i piatti da preparare «una tantum» per essere poi utilizzati più volte, anche riscaldati. Edizione: Sonda - Pagine: 200 - Prezzo: € 15,00

I miei menù da 30 minuti - Jamie Oliver Il segreto del volume non è rinunciare alla qualità dei cibi cucinati (per via del poco tempo a disposizione), ma essere ben organizzati e imparare quei trucchi e “scorciatoie” da chef professionista che qui cvengono spiegate nel modo più chiaro possibile. All’interno troverete 50 menu concepiti con cura e studiati in ogni

Libri da mangiare

passaggio per ottimizzare i tempi. Non importa se siete già cuochi provetti o principianti assoluti, questo libro è per tutti: le ricette sono illustrate passo passo, in modo da portare avanti in parallelo la preparazione di primo, secondo, contorno e, perché no, magari anche un dessert. Se pensate sia impossibile, Oliver vi invita a mettervi alla prova. Edizione: TEA - Pagine: 288 - Prezzo: € 29,00

Cucinare in un mese - Sara Papa Il libro si compone di due parti: una introduttiva e una dedicata alle ricette. Nell’introduzione vi sono tutte le indicazioni indispensabili per mettersi ai fornelli con la certezza di ottenere buoni risultati: dai consigli per mantenere l’igiene in cucina ai trucchi per riconoscere la qualità degli alimenti al momento dell’acquisto, dalle istruzioni pratiche per cucinare un risotto perfetto alle ricette base per preparare la pasta all’uovo, quella di grano duro e gli impasti per i dolci. La sezione dedicata alle ricette è suddivisa in quattro parti, che corrispondono ad altrettante settimane: la difficoltà delle preparazioni aumenta gradualmente. Edizione: Gribaudo - Pagine: 168 - Prezzo: € 16,90

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Viva Pantagruel - Leopoldo Branchetti In questi anni di ossessione per il peso-forma e per i cibi light, sani, digeribili e dieteticamente corretti, rischiamo di perdere il piacere della tavola. È ora di ribellarsi alla dittatura light e di tornare ai sapori forti di una volta. C’è un solo modo per farlo: cucinare come facevano le nostre nonne, pensando alla bontà e alla gioia di condividere i piatti della tradizione. Questo ricettario vi propone portate per pranzi domenicali indimenticabili, per celebrare la festa del buon cibo. Come cucinare lasagne alla napoletana, cotolette di vitello al lardo, krapfen alla crema... e ancora: parmigiana di melanzane (rigorosamente con melanzane fritte),vincisgrassi (le lasagne marchigiane), tacchino ripieno alla lombarda,torta cioccolatino con crema al mascarpone. Edizione: Aliberti - Pagine: 120 - Prezzo: € 14,00

Parlami d’amore Ragù - Rocco Moliterni Variazioni sul tema “cucina”: tanti affrontano questo tema - in tv, alla radio, sui giornali, in libreria - ma pochi lo fanno con ironia; qui sono raccolti 100 divertenti pezzi, per lo più provenienti dalla rubrica Fratelli di teglia, pubblicata ogni giovedì sulla pagina di enogastronomia Il bello & il buono de“La Stampa”, affiancati da ricette ideate dallo stesso autore. Gli argomenti? Variano dai piatti prediletti da personaggi famosi (Garibaldi, Manzoni, Cavour, Rossini…) a specialità regionali (gli strangolapreti, i salumi, la porchetta…), dai misteri sull’origine di alcuni classici (carbonara, insalata russa, carpaccio…) a prodotti del nostro immaginario (Idrolitina, Buondì Motta, Fernet Branca) e della pubblicità (cornetto Algida, Birra Peroni…). Edizione: Mondadori - Pagine: 160 - Prezzo: € 16,00

Mamma, che buono! - Rosita Ghidini Bosco Il segreto infallibile per far mangiare di tutto ai nostri figli? Guidarli nell’alimentazione come li si guida in ogni altro aspetto della vita: armati di buon senso, pazienza e fiducia in se stessi. Il libro nasce dall’esperienza personale dell’autrice, che è riuscita a far diventare le sue figlie due “buongustaie” in grado di mangiare di tutto e apprezzare il cibo sano. I 7 capitoli seguono la crescita del bambino fino ai 14 anni, il libro contiene ricette tradizionali o elaborate secondo nuove tendenze nutrizionali. Semplici ma mai banali, allargano progressivamente l’esperienza del cibo nei bambini. E inoltre: uso delle mani e delle posate, testardaggine e buone maniere a tavola, coinvolgimento dei bambini nel fare la spesa e nel cucinare, cibo consumato fuori casa e cibo-spazzatura... Edizione: Vallardi - Pagine: 240 - Prezzo: € 14,90

97 Gustare l’Italia


24 Anolini in brodo alla parmigiana 24 Tortelli d’erbetta alla parmigiana 25 Erbazzone

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25 Bomba di riso

Indice ricette maggio

28 Le lasagne di Federica

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www.gustarelitalia.it Gustare l’Italia 98




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