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Valeria Gramolini

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Istituto Comprensivo Statale “E. Fermi� Mondolfo (PU) Scuola Secondaria di I grado di Monte Porzio a.s. 2015-2016

Monte Por zio cultura


Impaginazione e redazione: Ing. David Guanciarossa Stampa: Associazione Monte Porzio cultura – anno 2016 Copertina: elaborazione grafica Valeria Gramolini Disegni: alunni I F Monte Porzio


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INTRODUZIONE L’associazione “Monte Porzio cultura” ha da sempre previlegiato il contatto diretto con le realtà scolastiche presenti nel nostro territorio; ricordiamo le attività svolte negli anni scorsi, “Scrittura creativa a più mani” a.s. 2009-2010 e “Voci dal silenzio” a.s. 2013-2014, con il coinvolgimento delle classi della scuola media del plesso scolastico di Mondolfo, concluse con la stampa di due volumetti. Anche quest’anno è stato proposto un progetto: “La differenza”, che ha permesso di aprire una discussione su una tematica che interessa sempre più il nostro tempo. Spero che le questioni affrontate in classe con l’insegnante Gioia Bucarelli siano state, per i ragazzi, motivo di confronto anche in ambito familiare.. L’insegnate di educazione artistica Angela Cinotti, ha quindi coinvolto i ragazzi nella realizzazione di disegni pertinenti l’argomento trattato nel racconto che poi sono stati inseriti nel presente volumetto e faranno parte di una mostra organizzata dalla scuola. Il risultato finale, come potete vedere sfogliando il volume, è veramente molto interessante e coinvolgente. Questa è una bella soddisfazione sia per Valeria Gramolini, autrice del testo, sia per la scuola che ha collaborato per la buona riuscita del progetto e per l’associazione che ha creduto fin da subito alla validità di quanto proposto. Un grazie alla dirigente scolastica e agli alunni per il loro impegno nel portare a termine il progetto. Grazie anche alla Banca Suasa che ha contribuito alla stampa del volume.

Associazione Monte Porzio cultura Il presidente Ing. David Guanciarossa


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PRESENTAZIONE Un libricino per parlare di differenze: per riflettere su quelle inevitabili o necessarie, su quelle auspicabili e su quelle ingiuste e discriminanti. Fortunatamente non siamo tutti uguali, né nell'aspetto fisico esteriore, né nelle caratteristiche psicologiche personali. Sono esse che ci rendono unici ed irripetibili e dunque sono proprio le differenze che fanno della vita un luogo meraviglioso e tutto da scoprire, così come lo erano tanto tempo fa i campi di grano punteggiati di tulipani, fiordalisi e papaveri rossi, prima che i diserbanti li trasformassero in distese monocromatiche piatte e spente. Tant'è che oggi, se vogliamo ritrovare un po’ dell'esplosione vitale e gioiosa della primavera, non ci resta che entrare in un museo e starcene seduti a contemplare un dipinto di Monèt. Le differenze che non si accettano diventano un problema e, in quanto tali, fanno nascere desideri, ricerca di soluzioni e strategie. È il lato positivo della difficoltà, da cui muove il cambiamento, sospinto dal soffio dell'inventiva e della creatività. Non a caso si dice: "la necessità aguzza l'ingegno”. Questo è anche ciò che mostra Fatima, la protagonista della nostra storia. Figlia di emigrati magrebini, attraversa i mare e giunge nel nostro mondo. Qui osserva ciò che lo distingue dal suo e non si capacita di molte cose, come di certi comportamenti che noi diamo per scontati e necessari ma che nella bambina generano a volte meraviglia, altre amarezza e sconforto. Eppure, è proprio a partire da quella diversità, che Fatima scopre il suo valore e riesce ad inventarsi un ruolo, una funzione che la riscatta da tante umiliazioni subite. Attraverso i suoi occhi non assuefatti come i nostri, ormai incapaci di cogliere le innumerevoli contraddizioni dei nostri tempi e dei nostri stili di vita, Fatima mette a nudo ipocrisie ed insensatezze e conferma ancora una volta che occorre mutare il punto d'osservazione per leggere la verità delle cose in tutta la sua pie-


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nezza. La sua piccola voce fuori dal coro ci racconta che la diversità di opportunità, anche se a volte inevitabile, non deve sconfinare nella discriminazione, in quanto ogni essere umano vale di per sé, in quanto tale. Un'attenta autocritica può permetterci di riparare errori ed ingiustizie e di trovare quel bene comune verso cui tendere tutti insieme. Concorrere alla creazione di una società che offra a tutti le stesse chànce non significa fabbricare individui tutti uguali e privi di specificità , ma anzi dare a tutti la possibilità di scoprire la propria singolarità e di esprimerla mettendola al servizio della collettività, così come fanno quei fiori "infestanti" nei campi di grano, la cui unica colpa è solo quella di rendere il campo più colorato.


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Cap. I - L’emigrazione: un nuovo inizio

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evin e Fatima frequentavano la stessa scuola e la stessa classe: la Va elementare di Pian Favino, un paesotto dell’entroterra emiliano dove vivevano, tra autoctoni ed immigrati, circa otto mila anime. Il paese, una volta esclusivamente agricolo, con il tempo era cresciuto. Era sorta qualche fabbrichetta a valle e la periferia si era ampliata, arricchendosi di nuove strade e di nuovi quartieri. Molti di coloro che lavoravano nei capannoni bianchi e squadrati della zona artigianale venivano dal sud Italia ma, negli ultimi anni, nel paese cominciarono a vedersi anche neri, mulatti e tante facce con gli occhi a mandorla. La gente del luogo era Figura 1 - il paese, una volta esclusivamente agricolo ... un po’ disorientata. Alcuni erano curiosi, altri spaventati, altri ancora iniziarono a prendersela con i nuovi arrivati perché, dicevano, avrebbero portato via loro il lavoro. Ma gli anni passarono e, a poco a poco, gli uni si abituarono agli altri. Certi poi, anche se in verità pochi, divennero addirittura amici, soprattutto i bambini che, andando nelle stesse scuole e frequentandosi, appianarono un po’ per volta sospetti, differenze e diffidenze. Naturalmente ogni gruppo rimaneva sulle proprie posizioni: i cinesi se ne stavano per conto loro lavorando giorno e notte nei loro laboratori di cucito o vendendo gli articoli più svariati ai mercati di tutto il circondario, romene e bie-


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lorusse facevano le badanti ai vecchietti del paese rimasti soli, nigeriani e senegalesi lavoravano nelle fabbriche e i maghrebini trafficavano con tappeti, calzini e strofinacci vendendoli di porta in porta. Questi, d’estate, scomparivano per rivedersi solo in autunno inoltrato, quando tornavano con figli e mogli, le quali all’inizio se ne stavano tappate in casa ma poi, col tempo, avvolte nei lunghi pastrani variopinti e alcune coperte dalla testa ai piedi, se ne andavano tutte insieme al parco spingendo i passeggini. Fatima era una di costoro e viveva assieme ai suoi due fratellini in una casetta un po’ malandata ai margini del paese, dove cominciava la campagna e, un po’ più in là, scorreva il fiume e verdeggiava un boschetto. Il babbo era arrivato per primo ormai da Figura 2 - ... era cresciuto. Era sorta anche qualche fabbrichetta a valle circa quindici anni. Dopo aver fatto anche lui il venditore porta a porta aveva finalmente trovato lavoro in una fabbrica di infissi in legno e, passati alcuni anni, aveva fatto venire la moglie assieme a Fatima. Ora che Jussef, così si chiamava, era stato licenziato come altri suoi compagni italiani per via della crisi, era la mamma a portare a casa un piccolo stipendio col suo lavoro di donna delle pulizie presso un condominio di sei piani nella zona nuova di Pian Favino. Anche Fatima , benché piccola, dava una mano in casa badando ai suoi fratellini. Inoltre faceva i letti quando tornava da scuola e qualche volta cucinava anche dell’ottimo couscous.


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I suoi genitori erano molto orgogliosi di lei perché oltretutto era anche brava a scuola ed avrebbe tanto desiderato proseguire gli studi fino all’università; ciò però era assai improbabile, viste le difficili condizioni economiche della sua famiglia. Il papà, diversamente da altri suoi connazionali contrari a far studiare le figlie femmine, aveva accettato il fatto che in Italia, ed in tutto il così detto mondo occidentale, le differenze tra uomini e donne fossero minime e che Fatima, come una qualsiasi altra ragazza italiana, avrebbe dovuto essere un giorno libera di scegliere la propria strada. Con questo non voleva dire che poteva fare tutto ciò che le passava per la testa, come truccarsi o andare via in minigonna mezza nuda e con il piercing al naso come la figlia del suo amico Omar. Tremava all’idea che un giorno anche Fatima avrebbe potuto desiderare di comportarsi in quel modo così Figura 3 - nel paese di Pian Favino giungono persone di altre nazioni per sconveniente. lavorare Fortunatamente c’era la bella e brava Jasmine al suo fianco, sua moglie... Avrebbe insegnato lei a Fatima i pericoli del mondo, a coltivare la mente ed il cuore prima ancora del suo aspetto fisico. Anche se portava ancora il velo, quando era in pubblico, erano entrambi d’accordo di non imporlo anche a Fatima. Non era un volto coperto che rendeva onorevole una persona, ma il suo comportamento! Del resto la ragazza era già sulla buona strada. Non aveva grilli per la testa.


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Cap. II – Recupero, riciclo, riutilizzo

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atima sapeva già da tempo che non le era concesso desiderare tutte quelle cose che le sue compagne di scuola ostentavano con tanta superbia: lo zainetto firmato, i pupazzetti alla moda, l’astuccio dorato, le scarpe luccicanti e penne e colori d’ogni tipo. Lei aveva poche ed indispensabili cose che curava con amore e rispetto. Infatti dovevano durare il più a lungo possibile. Non poteva certo cambiare il piumino rosso ogni inverno come facevano le altre, che anzi di piumini, berretti di lana e guanti avevano i cassetti pieni! Perciò le toccava fare di tutto per non sciuparli e riuscire a passarli ai fratelli ancora in buono stato. Figura 4 - Fatima va nella scuola media E poi, anche se piccola, di Pian Favino conosceva bene la fatica di stare al mondo. Si ricordava ancora del misero tugurio dei nonni coi quali era vissuta fino all’età di otto anni e aveva ormai imparato il significato della parola “emigrare”. Benché non avesse attraversato il mare su un barcone di fortuna tutto buchi né avesse dovuto lottare contro la morte, come quei poveri piccoli che ogni giorno finiscono in mare e muoiono annegati, e benché non avesse mai sentito i fischi delle bombe o visto i suoi famigliari trucidati dai soldati, poteva immaginare bene l’ansia e la paura di quelle popolazioni in fuga. Era la stessa paura che leggeva sui volti dei suoi genitori


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quando la sera, davanti alla TV, si scambiavano sguardi tristi e preoccupati alla vista di quelle orribili scene di guerra e di dolore, che forse erano riusciti ad evitare solo per un soffio. Ciò che invece Fatima non capiva era perché esistono posti dove non c’è nulla e posti dove c’è tutto, anche quello che non serve. Da qualche parte del suo piccolo essere, a mano a mano che cresceva, prendeva sempre più forza una domanda destinata a rimanere senza risposta: il perché di tutto quello spreco di cose che ogni giorno compariva davanti ai suoi occhi. Lo vedeva a scuola, per strada e negli appartamenti dei ricchi quando accompagnava sua madre al lavoro. La maggior parte dei mobili che la famiglia di Fatima aveva in casa Figura 5 - Fatima e Kevin frequentano proveniva infatti dalle la stessa classe cataste di oggetti che la gente ammucchiava davanti alle proprie abitazioni, pronte per essere prelevate dal camioncino della spazzatura. È vero, molti oggetti erano rotti e brutti ma spesso tavolini, sedie , mobiletti, giocattoli, poltroncine, paralumi, libricini e vestiti non erano proprio malridotti. Bastava dar loro una ripulita, una verniciata, mettere un chiodo qui ed uno qua, un puntino lì ed uno là, un po’ di colla dove serviva ed ecco che tornavano come nuovi. O almeno lo erano per lei, visto che prima non ce li aveva ed ora invece sì. Quante cose aveva aggiustato il suo babbo! Quanti ferri, tubi, scatole, bancali di legno e cavi elettrici aveva raccolto. Da questi tirava fuori il rame per venderlo. E ogni volta


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ringraziava Allah. “Per fortuna c’è gente ricca che butta via le cose , così posso raccoglierle, recuperarle e provvedere ai bisogni della mia famiglia...!” Così lo sentiva esclamare Fatima mentre scaricava tutto contento quel ciarpame raccolto col carretto appena un’ora prima che il camioncino dei rifiuti lo portasse via. E così lei imparava ogni giorno il valore della cose ed a cavarsela nella vita, ma era faticoso. Infatti c’era sempre qualcuno che, piccolo o grande che fosse, la guardava con la puzza sotto il naso. “La gente ci tiene a distanza, ma noi non siamo sporchi, siamo solo un po’ poveri” - diceva a se stessa, indispettita per quel senso di umiliazione che comunque le girava intorno. Tuttavia sentiva che la necessità di raccattare cose non era figlia solo della povertà ma Figura 6 - Fatima costruisce burattini anche dell’inventiva. con materiali di scarto Era questo il rovescio della medaglia. Quando trovava qualcosa, infatti, dopo averlo rigirato a lungo in mano, si divertiva a mettere in moto la propria fantasia chiedendosi: ”Cosa ci posso fare con questo...? Come posso trasformare questo pezzo di trenino, questa testa di bambola, questa dama senza più pedine, questo vecchio grembiule in qualcosa di utile e bello?” Ed ecco che un’idea si accendeva nella sua testolina e gli occhi le brillavano per l’eccitazione. “Deciso: ci faccio un burattino per i miei fratellini!”


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La testa della bambola allora diventava quella del burattino, il vecchio grembiule il suo abito di scena e la scacchiera si trasformava nelle quinte del teatrino...e le ruote del trenino... “Bè..., qualcosa può anche restare fuori. Certamente non lo butterò via. Un giorno o l’altro saprò cosa farci...” . Così borbottava tra sé e sé riponendo tutto nello scatolone sotto il letto. Come faceva suo padre, che lei imitava, forse per sentirlo vicino dopo quei lunghi anni di separazione. La faceva star bene l’idea che avessero qualcosa in comune e questo era quel talento tutto speciale di saper ridar vita alle cose. A volte tornavano ad essere così belle che coloro che le avevano gettate via se ne pentivano, ma era un rimpianto di breve durata. Ben presto nuovi oggetti in bella mostra sulle vetrine dei negozi avrebbero attirato la loro attenzione ed il vecchio sarebbe stato subito dimenticato. Cap. III – Gli opposti: Fatima e Kevin

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atima in classe stava di banco con Kevin, il quale, nonostante il nome straniero, era italiano come i suoi genitori a cui piaceva seguire la moda dei nomi inglesi o americani. Probabilmente pensavano a Kevin Kostner quando glielo affibbiarono, ma di certo non gli avrebbe mai somigliato. Era anche completamente diverso da Fatima, l’opposto in tutto e per tutto. Lei era snella, silenziosa e tranquilla, lui grasso, chiassoso e pasticcione. Sul banco di Fatima le cose erano tutte in ordine. Se lei stava seduta composta, ascoltava attentamente le spiegazioni della maestra, prendeva appunti ed alzava la mano quando voleva chiedere qualcosa che non aveva ca-


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pito, Kevin al contrario si agitava in continuazione, muovendosi sulla sedia che scricchiolava sotto il suo considerevole peso e sgranocchiava caramelle e biscotti tenendo la testa bassa per non farsi vedere. La superficie del suo banco era piena di libri, quaderni e colori sparsi alla rinfusa; sotto, infatti, non poteva tenerli visto che non c’era posto. Lo spazio era completamente occupato da cartocci e cartoccini di plastica, e dalle stagnole e tovagliolini di carta delle sue Figura 7 - Fatima è ordinata, Kevin è merendine. pasticcione Spesso poi, pieno e pesante com’era, scivolava verso rumorosi sonnellini. Russava piano, con la bocca aperta, tenendo tra le dita, sempre più allentate, la penna che Fatima puntualmente risistemava prima che cadesse in terra. Quindi si svegliava all’improvviso lamentandosi del mal di pancia e precipitandosi al bagno ancor prima che la maestra potesse dire: “Sì, Kevin, puoi andare...”. Il ragazzo era il figlio del sindaco, il quale era anche il proprietario della fabbrica di infissi dove, a suo tempo, aveva lavorato il babbo di Fatima. Non aveva né fratelli né sorelle. Anche sua mamma era grassa. Fatima la vedeva dalla finestra dell’aula al mattino, quando lo accompagnava. Era l’unico a non venire col pulmino come tutti gli altri; doveva portarlo la madre perché lui non faceva mai in tempo a prepararsi. Vivevano in una bella villa in collina ed arrivava sempre con dieci minuti di ritardo, nonostante che la signora Pina


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guidasse un fuoristrada grande e veloce, sul cui cruscotto alloggiavano con disinvoltura lattine di coca-cola e vassoi con bignè alla crema. Prima di giungere a scuola infatti passavano al bar per la colazione, che evidentemente continuava anche in auto. Nessuno rimproverava a Kevin il suo ritardo. Ormai era un dato di fatto impossibile a cambiarsi. Le maestre chiudevano un occhio, forse perché il suo papà era una persona importante che dava lavoro a tanta gente... Ci tenevano ad ingraziarselo per avere la scuola sempre in buono stato, con le pareti tinteggiate di fresco ed i bagni ben funzionanti, cioè subito stappati non appena si intasavano con la carta igienica.. Kevin non era cattivo ma solo tanto rumoroso ed un po’ sbruffone. Si dava delle arie per via del padre, ma si lasciava anche strapazzare dai compagni, i quali lo canzonavano a causa della sua ciccia chiamandolo “ammorbidente”. Infatti lui alla fine si divertiva perché lassù, in quella villa tanto grande e fuori dal mondo, non poteva fare tutti quei giochi con cui passavano i pomeriggi i ragazzi del paese. Le battaglie dell’intervallo, le spinte e i finti cazzotti diventavano allora l’unico modo per passare un po’ di tempo con quelli della sua età e sentirsi uno di loro. Del resto era veramente troppo grasso per correre senza piegarsi in due. Attorno alle sue ossa e ai suoi muscoli, indeboliti dalla sedentarietà, gravava una massa di adipe così spessa e pesante da farlo restare senza fiato anche solo dopo un breve corsetta. Manco a pensarci di entrare nella squadra di calcio dei suoi amici se non si fosse deciso a smetterla di sgranocchiare noccioline e patatine fritte, seduto tutto il santo giorno davanti alla TV o ai suoi video-giochi preferiti! Glielo aveva detto anche il medico, chiaro e tondo, a lui e alla signora Pina...


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“Così proprio non va, mia cara signora...Pensi alla salute di suo figlio...Lo vede, ha la glicemia alle stelle! Di questo passo non arriverà a cinquant’anni!” . Ma loro niente...Non ce la facevano proprio a porre fine a quell’insaziabile fame di dolci, cioccolatini, bibite, gelati, pizzette e pasticcini con cui si rimpinzavano ogni giorno, preferendo le abbuffate a qualsiasi altra attività. Soddisfare la propria Figura 8 - Kevin mangia in continuagolosità era per essi un zione e sporca passatempo meraviglioso ed irrinunciabile, quasi quanto una droga, che chissà quali vuoti andava a colmare. “Per fortuna non è povero e può permettersi di mangiare a crepapelle”- pensava Fatima assistendo a quell’inarrestabile ruminare che lo faceva sempre rimanere indietro quando la maestra dettava i compiti. E, soprattutto, per fortuna che c’era Fatima accanto, la quale lo metteva al corrente di questo e di quello. Si sentiva quasi mossa a compassione di fronte a quel suo compagno così maldestro ed impacciato, e così schiavo del cibo da non riuscire a stare nemmeno un momento senza muovere la mandibola avanti ed indietro, a destra e a sinistra, proprio come una mucca. Se ci fosse stata una gara di masticazione e di ingurgitamento, con i muscoli della bocca così ben allenati, certamente l’avrebbe vinta Kevin! Qualche volta il ragazzo le aveva allungato la scatola dei cioccolatini ma Fatima li aveva rifiutati. Semplicemente non le piacevano. Una volta ne aveva sentito uno e le era


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andato lo stomaco di traverso. Preferiva di gran lunga mangiare fichi o datteri quando aveva voglia di qualcosa di dolce. E poi ormai lo sapevano anche i sassi che i dolci fanno male, che gli zuccheri fanno venire la carie ai denti e lei ci teneva davvero tanto alla sua bella dentatura bianca. Anche il babbo glielo diceva sempre: “Il tuo sorriso mi intenerisce il cuore”. Così le sussurrava sorridendo a sua volta. E anche lui, come i suoi nonni, aveva denti sani e forti e non avevano mai visto un dentista! Neanche sapevano cosa fosse. E poi con quali denari avrebbero potuto pagarlo se si fossero ammalati? Dovevano star bene per forza, cercare di non ammalarsi. Non potevano permetterselo, e ora che il babbo aveva perso il lavoro meno che mai! Fatima dunque compativa la debolezza di carattere di Kevin. “Non è tutta colpa sua” - si diceva. Che altro poteva fare se era stato abituato in quel modo? Lei sapeva che quando si è piccoli non si può scegliere e che sono i genitori a tracciare la strada dei figli. Sono essi che dicono cos’è giusto e cos’è sbagliato. Come poteva la madre di Kevin insegnargli qualcosa che neppure lei era in grado di fare? Lo compativa sì, con tutto il cuore, tuttavia c’era una cosa che proprio non riusciva a digerire del suo comportamento. Non la sopportava né in lui né nei suoi compagni. Un modo di fare molto in voga e facile a correggersi, se lo avessero voluto, perché non costava alcuna fatica. Non c’era una volta che si degnasse di buttare tutte quelle scatole, cartacce e lattine nel cestino della spazzatura! Era così maldestro che quando si alzava spostando rumorosamente il banco e la sedia le rovesciava in terra e neppure le raccoglieva. Si limitava semplicemente a dar loro un


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calcio per spingerle un po’ più sotto il tavolo, giusto per non inciamparci o farsi riprendere dalla maestra, che spesso faceva finta di non vedere, come facevano ormai quasi tutti con Kevin. Qualche volta era Fatima che gli diceva di raccoglierle, ma lui spazientito e sbuffando, le prendeva su tutte insieme e le gettava nel bidone dell’indifferenziato, senza separare la carta dalla plastica o dal vetro, così come era stato loro detto ripetutamente. Alla fine aveva compreso che non c’era nulla da fare e allora, a malincuore, aveva cominciato a raccoglierle lei, Figura 9 - Fatima raccoglie l'immondizia stando bene attenta dei suoi compagni e la mette nel bidone giusto a riporre tutta quella spazzatura nel secchio giusto. Lo faceva con tutti, con tutti coloro che erano sporcaccioni come Kevin, anche se la deridevano. Una compagna sciocchina infatti l’aveva soprannominata “Cenerentola”. La maestra l’aveva rimproverata ma ormai quel nome le si era appiccicato addosso e a Fatima non restava che portarlo con fierezza e pazienza. “Di fronte alla stupidità non resta che arrendersi”- rifletteva. - Magari un giorno capiranno anche loro che è così che va fatto. Come fanno a non accorgersi di quanta inutile carta e plastica c’è dappertutto? Ci sono addirittura isole di plastica che galleggiano sul mare...” L’aveva visto in un documentario alla TV., assieme ai mucchi di pesci morti soffocati e con le pance gonfie di pellicole trasparenti...


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“Ma perché accade tutto questo? - si chiedeva amareggiata e scoraggiata - A che serve dividere e differenziare quando la massa dei rifiuti aumenta? A che servono le tante cose di cui sono pieni i supermercati? Non bastano pochi e semplici alimenti per nutrirsi ed essere in buona salute? E non bastano pochi semplici ed essenziali oggetti per vivere dignitosamente?” Ma erano domande a cui non riusciva a rispondere. Cap. IV – L’acqua è un bene prezioso

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uando Fatima aveva sete apriva il rubinetto con l’acqua corrente, vi metteva la testa sotto ed apriva la bocca. La sorseggiava a piccole dosi, senza sprecarne neppure una goccia. Lei veniva dal deserto e lo sapeva bene quanto fosse importante avere ogni giorno acqua da bere pura ed incontaminata. Non aveva bisogno delle bollicine della coca - cola per sentirsi sazia e felice. Le bastava solo dell’acqua non inquinata. Mentre beveva le capitava spesso di ricordare la fatica di sua nonna e sua mamma quando andavano a prendere l’acqua al pozzo. Dovevano fare molta strada a piedi Figura 10 - l'acqua è un bene prezioso con le taniche sopra la che non va sprecato testa, perché il pozzo distava chilometri e riforniva di acqua anche altri villaggi. Anche lei c’era andata qualche volta ed aveva visto solo donne. Chissà perché? Spesso ridevano e raccontavano storie, raramente bisticciavano. Anche lei l’avrebbe fatto da


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grande? Si domandava pensierosa. Fatima aveva imparato assai presto a rispettare e ad amare l’acqua, il bene più prezioso per la vita degli uomini e degli animali. Serviva per non morire di sete, per lavarsi appena un pò la faccia e i pochi vestiti con un’ombra di sapone, dissetare le capre del nonno e far crescere le piante dell’orto. Esse poi l’avrebbero restituita attraverso quel poco di verdura che compariva nel piatto. “Che strano ora - si diceva - vederla scendere dal rubinetto così abbondante, sentirla scorrere sopra la pelle di tutto il corpo mentre si fa’ la doccia, portarsi via nel buco della vasca lo sporco che ci sta addosso assieme a tutta quella schiuma bianca, leggera e profumata... Chi l’avrebbe detto che avremmo potuto usarne così tanta, vedere quelle bolle di sapone, nate nella vasca da bagno, ricomparire galleggiando sul fiume e poi scendere verso il mare..?” Là, dal luogo da cui era venuta, non c’era niente di tutto questo. Non c’era neppure il fiume né il bosco. Non c’era niente di niente... “Come è felice ora la mamma quando apre il rubinetto e l’acqua scende veloce e riempie in un baleno il secchio per le faccende ...- pensava Fatima - Anche il babbo è contento e quando sta per arrabbiarsi per come vanno le cose all’improvviso si ricorda com’era prima e ci racconta di quando il piatto era quasi vuoto e lo stomaco pieno della sua fame. Ora dice che ha tutto ciò che gli serve: va nel bosco e trova la legna per la stufa, dal fiume prende l’acqua per l’orto, risale verso la sorgente, dove l’acqua è limpida e trasparente , e torna con i pesci e con tante varietà di erbe buone da mangiare. È vero che c’è scritto “divieto di pesca”, ma lui lo ignora e


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si chiede perché mai debba essere vietato pescare là dove i pesci guizzano fuori dall’acqua e vanno a finire da soli nella rete, tanto sono sani e forti, mentre non c’è alcun divieto più a valle, dove galleggiano moribondi sul pelo dell’acqua, boccheggiando con le pance gonfie e gli occhi stralunati.” Fatima sapeva che quella era l’unica volta in cui il suo babbo non si atteneva alle regole, che invece rispettava sempre scrupolosamente. “Dice che ne ha il diritto perché deve sfamare la sua famiglia. Avesse un lavoro non lo farebbe. Lo ripete sempre quando la mamma gli grida di stare attento. Lei ha una grande paura degli uomini in Figura 11 - il babbo di Fatima è costretto divisa, e teme sempre a violare il divieto di pesca per dar da che qualcuno possa mangiare alla sua famiglia fare la spia. Ma io ho fiducia nel babbo e penso che la mamma sia un po’ troppo fifona. Forse perché non conosce il paese e le persone quanto lui, che è in Italia da più tempo. Solo da poco ha cominciato ad uscire per andare al lavoro. Prima stava sempre chiusa in casa e non capiva una parola della lingua di qui”. A Fatima piaceva molto quando il babbo raccontava i suoi sogni e ormai leggeva anche nei suoi pensieri. “Se avessi la certezza di uno stipendio tutti i mesi comprerei subito una macchina meno scassata di quella che ho e vi porterei tutti in città; prima andrei alla Moschea e poi vi porterei a mangiare al ristorante con amici e parenti. Magari col tempo potremmo anche tornare tutti là da dove siamo partiti, anche solo per rivedere i nostri vecchi. Poi farei studiare i ragazzi perché sono intelligenti e di sicuro avrebbero successo nella vita...”. - diceva Joussef.


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Jasmine sorrideva mentre immaginava le cose che il marito sapeva descrivere così bene. Ma più che fantasticare per ora non potevano: lavoro infatti non ce n’era, se non piccole cose: un aiuto in campagna a qualche contadino, qualche ora da imbianchino e qualcun’altra da falegname. “Per fortuna - pensava Jasmine - non ci siamo indebitati con la Banca come Nicola, che ha chiesto un mutuo per la casa e poi non è riuscito a restituirlo e gli hanno portato via tutto...Joussef è stato saggio ed ha preferito fare un passo per volta”. La casa infatti l’aveva comprata a poco perché cadeva a pezzi ma poi, piano piano, con l’aiuto di qualche amico, l’aveva sistemata ed ora, anche se non era una reggia, poteva dirsi soddisfatto. Questo diceva la mamma a Fatima quando si trovavano sole e in confidenza e lei chiedeva, chiedeva e voleva sapere tutto. Si sentiva orgogliosa di avere due genitori così speciali. Adesso che a lavorare era la mamma le sarebbe mancato il sussurro dolce della sua voce. In compenso però c’era suo padre a tenerle compagnia. Suo malgrado, infatti, Joussef si trovava ora ad avere tanto tempo a disposizione e lo impiegava per fare con calma tutte le cose che gli piacevano: stare coi figli, leggere, pensare, pregare, ricordare e intagliare quei graziosi animaletti di legno che tanto piacevano ai bambini e che forse un giorno, quando ne avesse avuti un bel numero, sarebbe andato a vendere in qualche fiera, così come Fatima più volte gli aveva suggerito. E lui aveva una così grande considerazione per quella bambina che le aveva promesso di pensarci su, ma nel fondo del suo cuore sapeva già che prima o poi l’avrebbe fatto.


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Cap. V – La nostalgia e i desideri

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ggi è una bella giornata piena di sole. Le maestre hanno permesso ai bambini di fare l’intervallo in cortile. È una vera liberazione per tutti. Le maestre stanno sedute sulla panchina e chiacchierano tra loro, i bambini corrono all’impazzata: gridano e saltano come uccellini fuggiti dalle gabbie. Alla fine dell’intervallo il cortile porta i segni delle merende: sul grigio del cemento risaltano i colori accesi dei cartocci spiegazzati, il riflesso delle stagnole in cui erano avvolte le merende e i contenitori plasticati dei succhi di frutta con le cannucce sparpagliate. Come sempre solo pochi volenterosi hanno usato i cestini e il bidello è pronto con la ramazza in mano per raccogliere ciò che resta in terra dell’allegra scorribanda. Fatima sta finendo il suo panino con pomodoro e olive snocciolate e intanto fissa il cartoccio di Annalisa, da cui spunta la pizza non finita. “Che schifo...! Non mi va...” - aveva detto prima di gettarlo a terra. Una maestra osserva Fatima che, terminata la sua merenda e buttata la carta dove si conviene, raccoglie l’involucro con la pizza e lo mette in tasca. “Cosa fai? - le grida - non vorrai mica mangiarlo!”. “No, signora maestra. Voglio solo portarlo a casa per i polli...Ci sarebbero tante altre briciole qui ma mica posso raccoglierle tutte!” “Oh Fatima! - esclama la maestra - Fossero tutti come te...Hai anche l’orto?” “Certo. Il babbo ci mette la ca...Oh, non si può dire...” “Ma sì, di’ pure...” ”...Emh...bè... dicevo...ci mette la cacca delle galline, così i pomodori diventano più grandi. Anch’io l’aiuto...Vado nel


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pollaio ogni giorno a prendere le uova e qualche volta le scambio con la signora dell’edicola. Io le do quattro uova e lei mi dà un libricino...” Fatima e la maestra rientrano in classe sorridendo. Quella breve confidenza ha reso Fatima di buon umore. Non si diverte molto infatti durante l’intervallo. Non sa che dire quando le altre bambine si radunano nei loro gruppetti e parlottano di questo o di quello. Magari si raccontano ciò che hanno fatto il giorno prima in piscina, oppure bisbigliano cose che devono rimanere segrete. Qualche volta poi, quando arriva lei , il gruppetto si chiude come un riccio... I maschi invece giocano sempre a pallone e le femmine non ce le vogliono neanche se sono brave come lei, che si allena con i fratelli. Certe femmine stanno sempre a guardare sul Figura 12 - Fatima aiuta in casa: cucina display del telefonino dell'ottimo cous-cous ... le foto dei loro cantanti preferiti. Sfiorano lo schermo con un dito ed ecco che compare un’altra faccia ed un’altra musichetta. Allora qualcuna lancia un gridolino e si mette a cantare o a ballare come le ragazze della TV. Si muovono molto bene perché vanno a scuola di danza... Fatima non va a scuola di danza né di musica, non è mai stata in piscina e non ha neppure il telefonino, neanche uno vecchio e scassato con le immagini fisse. Qualche volta il babbo le fa usare il suo per parlare con la cugina che abita in città, ma è molto vecchio e i numeri sui tasti sono tutti scoloriti.


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A Fatima piacerebbe averne uno. Quando la luce dello schermo si accende e compaiono quelle belle figure animate che sembrano danzare è come se si compisse una magia. Le sembrerebbe di essere meno sola, se ce l’avesse! Certo che, a parte qualche zia o cuginetta, non saprebbe con chi parlare, però potrebbe sempre fare delle foto: del babbo, della mamma, di Moustafà e Kelèb, oppure potrebbe girare un film: tutte le famiglie come la loro che si riuniscono per celebrare il Ramadàn per esempio, oppure potrebbe riprendere gli scoiattoli che ha visto nel bosco saltare da un albero all’altro. A Fatima piace molto osservare i fatti della vita. A volte chiude l’occhio sinistro e porta la mano destra davanti all’altro occhio facendo un cerchio con l’indice e il pollice, e poi guarda dal buco. Le cose allora le paiono meglio definite. Mette a fuoco ciò che le interessa ed esclude tutto il resto. Ecco il primo piano di un piccione che beve dalla fontana della piazza, ed ecco il viso corrucciato di un bambino che sta per piangere. Oh, che bella elegante signora cammina accanto a suo marito! Forse un giorno avrà anche lei il suo bel giocattolo tecnologico, forse un giorno anche lei potrà inviare un messaggio o un’ email a qualche amico del cuore. Per ora però può solo immaFigura 13 - ... e gioca con i fratelli a calginarlo quel giorno cio lontano.


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Può solo sognare tutte quelle meraviglie di cui sente parlare i grandi quando si incontrano dopo tanto tempo, come le maestre che si raccontano le belle cose fatte durante le vacanze: i viaggi, l’aereo, il mare con le palme, la montagna con la neve, le città d’arte, i musei, il teatro, il cinema, gli spettacoli... Fatima non è la sola a non avere il computer o il tablet o l’ipad. Nella sua scuola ce ne sono altri di bambini come lei che vengono da paesi africani, ma anche italiani, i quali hanno ben pochi oggetti Figura 14 - il padre spera che la figlia da mostrare. non si metta il piercing al naso, i trucchi e la minigonna Qualche volta all’intervallo si avvicina a loro anche se più piccoli ed accoglie le loro storie. Qualcuno non comprende che poche parole e parla solo il dialetto del suo villaggio. Allora Fatima li aiuta a sentirsi meno spaesati. Lei lo sa cosa significa piombare all’improvviso in un paese straniero e dover cominciare tutto da capo, spesso anche imparare a vivere con genitori e fratelli di cui non si sa quasi nulla, perché si è vissuti fino a quel momento con i nonni. A volte le sembra di essere su di un ponte, con un piede su una sponda ed uno in un’altra. Il passato non è ancora passato del tutto e a volte la nostalgia le stringe il cuore, ma ancora il futuro non è che un miraggio, come quelli del deserto: sembra essere lì, a pochi passi e invece non esiste. Per certi bambini la vita non è facile proprio per niente.


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Cap. VI – Il potere della condivisione

Ragazzi, scrivete...” - dice la maestra ai bambini appena rientrati in classe. Fatima apre il suo quadernone e scrive il titolo del componimento : “Dite cosa vi piace e cosa non vi piace e come pensate di cambiare ciò che non vi piace”. Mentre qualcuno sbuffa Fatima pensa con la penna in bocca e gli occhi persi nell’azzurro del cielo e le viene subito in mente ciò di cui parlerà. Ripensa a quello che ha visto il mattino passando col pulmino per le vie del paese. I cassonetti erano stracolmi e tanta immondizia traboccava dai coperchi. Non solo, ma per terra, accanto ad essi, c’erano ancora sacchi di plastica e bottiglie e lattine e cartacce e tutto ciò che avanza dalla vita degli uomini, che è così tanta ed ingombrante che non si sa più dove mettere, ma che, appena non ce n’è più, si comprano altre cose per farne di nuova. Anche nel fiume sotto il ponte stamattina galleggiava qualcosa. Erano dei bidoni vuoti, di quelli che usano gli imbianchini. Lei li riconosce perché se ne serve anche il padre quando deve tinteggiare le pareti di qualche casa, però lui non li getta nel fiume, anzi li usa per piantarci le carote, dopo averli ben lavati.. Più avanti, nel dirupo, qualcuno ha gettato ormai da tempo delle lastre di eternit e dei blocchi di cemento. Sono ancora lì. Qualcun altro lo ha imitato, buttandovi la tazza di un water ed un bidet per far loro compagnia. Anche al parco c’è immondizia; dei ragazzi stanotte hanno lasciato i segni del loro passaggio: lattine vuote di birra e bottiglie rotte. Loro ormai bevono vino e whisky, anche se il tempo dei succhi di frutta non è troppo lontano.


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Fatima avrebbe parlato di tutto questo nel suo componimento. Di tutto ciò che del mondo in cui era venuta a vivere non riusciva a capire. Di sicuro le piacevano gli abiti, le case, le macchine, le acconciature ed i gioielli delle donne di qui, i paesaggi, i monumenti e le opere d’arte che aveva visto sui libri di scuola, ma non poteva dire che il luogo da cui veniva fosse meno bello. Anche lì c’erano le mura possenti e le torri di antiche civiltà, le dune dorate del deserto coi suoi tramonti infuocati nei cieli sconfinati, gli abiti delle spose ricamati a mano , i veli leggeri e multicolori con cui le donne si ornavano nei giorni di festa, gli arabeschi tatuati sulle mani, i suoni dei cembali, il profumo delle spezie nei mercati, l’argento brillante e tintinnante dei monili, con le loro preziose pietre incastonate... Questi due mondi, messi l’uno Figura 15 - il tema: dite cosa vi piace e cosa non vi accanto all’altro, erano entrambi piace e come pensate di belli e desiderabili, ma c’era un cambiarlo fatto che aveva visto solo qui e che nel suo villaggio non ricordava d’aver mai incontrato. Era l’enorme quantità di rifiuti e spazzatura che straborda dai cassonetti sparpagliandosi per le strade e l’odore nauseabondo di quelle grandi montagne di discariche su cui volteggiano le cornacchie. Era per questo dunque che avevano lasciato l’Africa, per produrre e consumare sempre più? Era questo il segno del benessere che quelli come suo padre e sua madre avevano inseguito tutta la vita?


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Non era possibile che tutti stessero bene anche senza quel gran mucchio di roba che in certe case, come in quella di Kevin, abbondava ed invece in altre mancava, come nella sua? “Perché a chi tanto e a chi nulla?” - si chiedeva da un po’ di tempo. Fatima non era di quelli che invidiano il prossimo. Lei poteva accontentarsi anche di quel poco che aveva, trovare gioia e serenità anche nella semplice contemplazione della natura. Però a volte sentiva il desiderio di possedere beni e di svolgere attività che l’avrebbero avvicinata agli altri ragazzi. Come poteva fermarsi a chiacchierare con le compagne quando non aveva argomenti da condividere? Quali esperienze poteva raccontare se non faceva altro che dar da mangiare alle galline o badare ai fratelli? Era soprattutto questo che le pesava della sua povertà: sarebbe sempre stata esclusa e non avrebbe mai potuto imparare e realizzare tutte quelle magnifiche cose che purFigura 16 - a Fatima non piace la grande troppo solo il denaro quantità d'immondizia prodotta dal rende possibili. nostro mondo così ricco E a Fatima, che viveva come molti immigrati una vita di stenti, proprio non andava giù il fatto che altri si potessero permettere di sprecare ciò che lei invece poteva solo sognare. “Come pensate di cambiare ciò che non vi piace?” Era questa la domanda a cui doveva cercare di rispondere nel suo componimento, ma era anche la domanda che tutti quelli che si trovano nelle sue stesse condizioni si pongono


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ogni giorno che viene. Non aveva certo la risposta pronta, soprattutto ripensando a tutta la spazzatura che quel mattino aveva attirato così prepotentemente la sua attenzione. “Il mondo è troppo pieno di robe inutili. Vorrei solo che il paese in cui vivo fosse più pulito, che coloro che sprecano lo facessero di nascosto, senza sbattermelo in faccia. Ci vorrebbe un Babbo Natale al contrario, qualcuno che anziché portare pacchi e pacchetti, scatoline e scatoloni li caricasse sul suo bel carro trainato dalle renne e li portasse via, che li scaraventasse dentro la bocca di un vulcano e li facesse scomparire per sempre. Invece i bambini a Natale chiedono sempre regali, regali di cui si stancano presto e che vanno a finire nei pacchi della Caritas assieme ai panettoni per quelli come noi.” - rimuginava Fatima contrariata. Allora non le restava che sognare ed immaginare. Ecco: un vento impetuoso turbina sopra la terra raccogliendo ovunque tutte le sue lordure, tutto il ciarpame che i grandi divoratori di cibo e merci di tutto il mondo hanno riversato nelle discariche da che hanno cominciato a camminare. Il vortice risucchia tutto: fili, tubi, plastiche, fucili e carri armati, congegni elettronici, televisori, lavatrici....e riversa quella mostruosa massa di cianfrusaglie davanti alle porte e alle finestre di coloro che li hanno gettati fuori dai cassonetti o dai cestini, magari senza nemmeno usarli... Allora ecco ciò che accadrà: Kevin e la sua mamma e tutte le persone che mangiano a crepapelle, che sprecano e sporcano come loro non riusciranno più ad uscire di casa; finiranno prigionieri della spazzatura per giorni e giorni, finché un nuovo tornado non la disperderà nuovamente. Anche tutti coloro che hanno inquinato l’aria, l’acqua e la terra saranno assediati e sommersi dallo schifo che hanno prodotto, dalle scorie radioattive, dai liquami delle fabbri-


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che, da tutti i veleni che hanno disperso nell’universo. Saranno disgustati e soffriranno, ma alla fine capiranno. Comprenderanno che non si può trattare così la terra che dà la vita e distruggere la bellezza del mondo per vanità e avidità di denaro e di potere. Tutto questo scrive oggi Fatima nel suo tema e lo consegna per prima. La maestra lo legge e resta un pò interdetta ma non può che darle ragione. L’indomani ne fa partecipe tutta la classe e per qualche giorno accade un miracolo: tutti gettano i loro rifiuti nel cestino giusto, né ci sono più briciole in terra che si attaccano alle suole delle scarpe. Le hanno raccolte per gli uccellini. Anche le merende ora sono diverse. I bambini mangiano frutta e panini con la frittata e bevono l’acqua del rubinetto con i bicchieri di vetro, che essi stessi lavano e ripongono. Qualcuno dice anche che la plastica è brutta. Ora a Fatima pare che anche i suoi compagni vedano il mondo così come lo vede lei, come se anch’essi avessero conosciuto la bellezza delle cose semplici e pure. “Un mondo pieno di cose non è più ricco, ma solo più sporco. Come sarà quando saremo grandi ed avremo anche noi dei bambini? Quando saremo così tanti che il pianeta diventerà sempre più pesante? Forse cadrà nel vuoto come una palla?” - si chiede Figura 17 - isole di plastica che galleggiano sul mare piena d’inquietudine pensando al futuro. Fatima però, ora, sta meglio di prima. Si sente tra amici,


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compresa e accettata. Oggi poi è così soddisfatta di sé che comincia a rimuginare un nuovo progetto. Pensa che se avesse un computer potrebbe scrivere le sue idee e diffonderle e che anche altri ragazzi come lei potrebbero farlo. Tutti hanno il diritto di desiderare qualcosa che possa rendere felici. Non è chiedere la luna. “Come cambiare le cose che non ci piacciono?” - questa è la domanda che ripete a se stessa. All’improvviso è come folgorata da un ricordo: “Nel mio villaggio c’era un solo pozzo per tanta gente!”. Fatima ha finalmente scoperto il potere della condivisione! È ciò che fanno i poveri di tutto il mondo, prima di dichiararsi la guerra, quando la coperta è davvero troppo corta per coprire tutti. Figura 18 - Fatima vorrebbe che tutti fossero davvero amici e non ci fossero esclusioni

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Cap VII – Una stanza per bambini

ono le otto e trenta di un giorno nuovo. Kevin è appena entrato in aula in ritardo, come sempre. “Ho una cosa da darti, Kevin”- bisbiglia Fatima. “Cos’è?” - domanda lui curioso.


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“È una lettera per tuo padre.” dice Fatima consegnandogli una busta chiusa. “Cosa?” - fa lui sorpreso. “Sì, Kevin. Voglio chiedergli un favore. Lui è una persona importante e può fare una cosa per me, anzi per noi”. Kevin la guarda sbigottito. Fatima vuole chiedere al sindaco una stanza del municipio con un tavolo, qualche sedia ed un computer dove anche i bambini poveri che non ce l’hanno possano usarlo. “Ma puoi servirti del mio! Puoi venire a casa mia quando vuoi...” Figura 19 - Fatima ha un'idea per migliorare le cose. Consegna a Kevin un Fatima sorride e lo lettera per suo padre, Sindaco di Pian ringrazia. Prima di quel Favino tema letto in classe non l’avrebbe invitata... “Non sarebbe la stessa cosa. Io voglio un computer per tutti noi, per tutti quelli che non ce l’hanno. Lo divideremo come se fosse un pozzo per l’acqua. Da noi in Africa si fa così” “Ma papà non c’è mai...Lo vedo si e no qualche volta a cena...” “Bè, tu dagliela quando lo vedi. Io aspetterò. Sono abituata ad aspettare. È una vita che aspetFigura 20 - ... e se si facesse come in tiamo... “. Africa, dove le cose si dividono come i “Bambini, silenzio! pozzi dell'acqua?


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Aprite il libro di lettura a pagina settantasette. Kevin, leggi...� “Uffa signora maestra, sempre io!�

Figura 21- ... magari si potrebbe anche andare con il macchinone di Kevin ...

Figura 22 - ... a fare una gita in campagna

Monteporzio - 24/09/2015


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Commento

Quest'anno per il Progetto Lettura abbiamo letto il testo "La differenza" scritto da Valeria Gramolini. Abbiamo avuto tre incontri con l'autrice che ha letto insieme a noi il testo dandoci la possibilità di esprimere le nostre idee e osservazioni. Poi abbiamo realizzato dei disegni ispirandoci ai personaggi e agli episodi più significativi. È stata una bella esperienza che ci ha permesso di riflettere su argomenti importanti e di scambiarci opinioni. Abbiamo apprezzato questo testo per tanti motivi: - perché è stato scritto con amore e con rispetto per le altre culture; - perché ci insegna che siamo tutti diversi ma in fondo tutti uguali; - perché ci fa capire ciò che è veramente necessario per la vita; - perché ci ricorda che spesso non apprezziamo quello che abbiamo e ci lamentiamo per ciò che non abbiamo; - perché parla di ostacoli e difficoltà da superare e la protagonista riesce a farlo; - perché tutti vorremmo avere un'amica generosa come Fatima; - perché ci ricorda che nel mondo non tutti hanno il cibo, l'acqua e una casa; - perché ci ricorda che l'acqua è preziosa e in molte parti del mondo non è disponibile; - perché ci fa capire che l'ambiente in cui viviamo deve essere protetto; - perché pensiamo troppo a noi stessi e questo racconto ti apre la mente e il cuore; - perché fa pensare che nel mondo tanti ragazzi lottano ogni giorno per sopravvivere; - perché insegna il rispetto per le persone di origine, cultu-


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re, lingue e religioni diverse; - perché insegna il valore dell'amicizia e del volersi bene; - perché è un testo che dovrebbero leggere i ragazzi viziati che desiderano sempre avere l'ultimo modello di cellulare; - perché ci fa capire che lasciare il proprio paese vuol dire iniziare una nuova vita; - perché ci aiuta a scoprire la bellezza e l'amarezza della vita; - perché si capisce la soddisfazione di costruire un oggetto con le proprie mani; - perché è scritto con un linguaggio semplice ma fa riflettere su temi importanti e attuali; - perché Fatima e Kevin rappresentano gli opposti e ognuno può imparare qualcosa dall'altro; - perché la sensibilità e la ricchezza d'animo hanno più valore delle ricchezze materiali; - perché ci fa capire che avere amici diversi da noi permette di avere uno scambio di esperienze. Gli alunni e le alunne della classe I F


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Gli alunni Amorello Aurora Biagini Silvia Boldrighini Diego Clim Andriana Colombo Gaetano Corinaldesi Marika De Costanzo Manuel Deng Xuan Enoma Collins Osa's Fakiri Ilhem Lanari Michele Lin Youyng Liu Janhao Marini Cristiano Menchetti Alessia Moricoli Laura Neri Tommaso Osimi Matteo Pieretti Melissa Pistritto Jonathan Renzi Anastasia Savelli Ludovica Scattolini Caio Speranzini Giuseppe Svarca Aurora Xiao Chiara

Insegnante di Italiano: Insegnante di Educazione Artistica:

Gioia Bucarelli Angela Cinotti



PANNELLI MOSTRA DISEGNI COMUNE DI MONTE PORZIO







DISEGNI NON INSERITI NEL TESTO COMUNE DI MONTE PORZIO





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