Nuovo manuale pratico per la diagnosi e la cura delle epilessie

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METODICHE DI DIAGNOSI STRUMENTALI IN EPILETTOLOGIA E PRINCIPI DI TRATTAMENTO Tra le problematiche principali legate alla questione della gestione terapeutica del paziente epilettico, è sicuramente la decisione se trattare o meno un soggetto che abbia presentato solo una crisi epilettica. Dati in letteratura [18, 19] indicano che il trattamento immediato riduce il rischio di recidiva nei primi due anni dal primo episodio critico, ma trascorsi i due anni non c’è differenza in incidenza di recidiva in soggetti con e senza trattamento. Il consiglio è che con rischio di recidiva medio-alto valutato per lo più sulla base dell’eziologia delle crisi epilettiche, conviene intraprendere un trattamento antiepilettico che deve essere però ponderato più attentamente nel caso si tratti di donne in età fertile, anziani e bambini. L’epilettologo dispone di una discreta dispensa farmacologica e la decisione terapeutica migliore è sicuramente quella mirata ad una monoterapia, se possibile, che consideri sia le eventuali comorbidità del soggetto che il rischio legato ad alcuni farmaci di peggiorare determinati tipi di crisi. È noto infatti che la carbamazepina può esacerbare crisi miocloniche e assenze, come pure potrebbe accadere con l’assunzione di oxcarbazepina, gabapentin, tiagabina e vigabatrin. La lamotriginaa potrebbe invece peggiorare crisi miocloniche. La Tabella 47 evidenzia le principali indicazioni e controindicazioni assolute di alcuni farmaci antiepilettici. In linea generale a fini terapeutici risultano utili le seguenti considerazioni: ϿϿ ϿϿ ϿϿ

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occorre che la diagnosi sia il più possibile certa. Il 25% dei soggetti trattati per epilessia non soffre in realtà di epilessia (errori diagnostici) il trattamento dopo una crisi deve essere iniziato se i rischi di ulteriori crisi sono superiori a quelli degli effetti collaterali della terapia scegliere il farmaco più indicato per un dato soggetto (tailored therapy) sulla base delle sue comorbidità, dell’età, del sesso, del tipo di crisi e di eventuali altri farmaci assunti mirare alla monoterapia, tentando anche più linee terapeutiche se le prime scelte non dovessero risultare efficaci le titolazioni devono essere secondo scheda tecnica o ancora più lente in determinate circostanze. Titolazioni più rapide possono favorire la comparsa di eventi avversi anche idiosincrasici raggiungere la minima dose efficace e se risulta coprire solo in parte la sintomatologia critica aumentare gradualmente la dose fino a quella massima tollerata determinare la concentrazione ematica del farmaco, quando possibile, una volta raggiunta la posologia efficace ed effettuare ulteriori misurazioni in caso di ricomparsa successiva di crisi (non compliance? Interazioni farmacologiche?) la politerapia è necessaria quando le crisi non sono controllate in maniera soddisfacente con la migliore delle monoterapie provate. Ma una politerapia con oltre 3 farmaci deve essere scoraggiata poiché si accentuano in maniera importante gli effetti collaterali senza grandi ulteriori benefici.

Oltre alla decisione se trattare o meno una prima crisi epilettica, altra questione altamente dibattuta tra gli esperti epilettologi è quando e se consideare una sospensione del farmaco antiepilettico. 138

Questa ipotesi è da vagliare in caso di: ϿϿ ϿϿ ϿϿ

riscontro di errata diagnosi soggetti trattati per sindromi epilettiche correlate all’età e che hanno superato tale età senza aver presentato ulteriori episodi comiziali dopo un periodo libero da crisi variabile da 3 a 5 anni (a seconda degli autori) a meno che non si tratti di sindromi note per richiedere trattamenti a lungo termine per l’alta probabilità di recidive come l’epilessia mioclonica giovanile (condizione farmaco responsiva e in genere farmaco-dipendente).

Le sospensioni, al pari delle titolazioni di inizio trattamento, devono essere graduali, raggiunte in periodi di settimane o mesi a seconda del farmaco e della posologia raggiunta. Per la sospensione farmacologica occorre considerare che il rischio di recidiva è massimo entro 1-2 anni dall’interruzione terapeutica. Pertanto nel corso di questo periodo è importante monitorare attentamente eventuali alterazioni EEG ed eventuali riprese anche minime della sintomatologia. Occorre inoltre precisare che le crisi generalizzate tendono a recidivare entro il primo anno, mentre le focali anche fino a 3 anni. È opportuno che il paziente nel periodo della sospensione si astenga dalla guida e da altre attività che in caso di recidiva lo metterebbero in pericolo di vita. La prognosi dopo la sospensione farmacologica in genere è buona se il soggetto ha presentato una sola crisi che ha risposto prontamente alla terapia, se è cognitivamente e neurologicamente valido e se ha un EEG nei limiti della norma. I barbiturici e le benzodiazepine richiedono dei periodi di sospensione prolungati e spesso si associano a recidive da sospensione. Si tratta di farmaci difficili da sospendere che nella pratica clinica dovrebbero essere prescritti solo in caso di vera necessità. MONITORAGGIO EMATICO Si parla di Therapeutic Drug Monitoring (TDM) per indicare la determinazione plasmatica della concentrazione farmacologica efficace del farmaco. Sono dei valori ottenuti da studi di popolazione e risultano dal bilancio tra efficacia e comparsa di effetti collaterali. Si tratta della concentrazione ematica che garantisce al maggior numero di pazienti un controllo ottimale delle crisi. È una misura della concentrazione totale del farmaco (parte libera e parte legata), dato che la parte libera è difficilmente valutabile nella pratica clinica e ne esiste una importante variazione interindividuale: alcuni rispodono al trattamento anche senza raggiungere la concentrazione farmacologica plasmatica stabilita come limite inferiore del range terapeutico, altri sviluppano effetti collaterali a minime dosi non terapeutiche mentre altri superano il limite superiore senza per questo presentare effetti collaterali. In genere il TDM è richiesto per farmaci di vecchia generazione come la fenitoina, il fenobarbital e la carbamazepina. Risulta anche utile per la lamotrigina se si tratta di una donna in gravidanza o che assume anticoncezionali e con il topiramato e la zonisamide se assunti in politerapia per valutare le possibili alterazioni ematiche conseguenti ad interazioni farmacologiche.


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