La successione di Jean-Paul Dubois

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La successione

per questo meno inquietanti. Diceva spesso cose incomprensibili, gridava in italiano “strofinaccio” a squarciagola e senza motivo, e appena arrivavano le belle giornate aveva l’abitudine di ricevere i pazienti in calzoncini corti. Quell’eccentricità non era cosa recente perché durante gli studi, quando lavorava come guardia notturna in ospedale, era già famoso per le sue visite ai pazienti in costume da bagno. Anna Gallieni, mia madre, non badava troppo alle stranezze del marito, e non se ne preoccupava minimamente. Aveva già abbastanza da fare col fratello minore, Jules, con cui divideva un piccolo negozio a conduzione familiare dedicato alla riparazione di orologi di ogni genere. Con quel fratello viveva nella casa di famiglia, insieme a noi. Con quel fratello, sul divano, guardava tutte le sere la televisione, finché Jules si addormentava poggiando la sua grossa testa sulla spalla della sorella. Jules era perennemente incollato ad Anna e Anna perennemente incollata a Jules. Quest’ultimo mise fine ai suoi giorni nella primavera del 1981. Mia madre lo imitò all’inizio dell’estate con una messinscena che lasciò mio padre perplesso senza tuttavia turbarlo più di tanto. Trascorsi dunque la mia infanzia in compagnia di Spyridon che sopravviveva a se stesso come la sua porzione di cervelletto, di un padre in calzoncini corti che viveva come uno scapolo, e di una madre quasi sposata con un fratello che amava dormirle sulla spalla davanti alle lagne televisive. Non sapevo cosa ci facessi in mezzo a quella gente e, evidentemente, non lo sapevano neanche loro. Certo, i suicidi di tutti i miei familiari metteranno un po’ d’ordine in quei rapporti sconclusionati, in quelle stanze disordinate, in quella incapacità di amarsi e di dare a un bambino almeno una parvenza di fiducia e di felicità. La cosa più strana è che la morte attraversò più volte la nostra casa ma i sopravvissuti se ne accorsero appena, guardandola passare come un’anonima donna delle pulizie.

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