La città che il diavolo si portò via

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gran vía original • narrativa spagnola e latinoamericana



David Toscana

La città che il diavolo si portò via Traduzione di Stefania Marinoni

gran vía


Esta publicación fue realizada con el estímulo del Programa de Apoyo a la Traducción (PROTRAD) dependiente de instituciones culturales mexicanas. Quest’opera è stata pubblicata grazie al contributo del Programma di Sostegno alla Traduzione (PROTRAD) promosso dalle istituzioni culturali messicane.

Titolo originale: La ciudad que el diablo se llevó Copyright © 2012 David Toscana Published by arrangement with Literarische Agentur Mertin Inh. Nicole Witt e. K., Frankfurt am Main, Germany © 2015 gran vía s.c.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione: giugno 2015 isbn 978-88-95492-35-3 Progetto grafico: Mirko Visentin | www.treseditoria.it Le citazioni della Bibbia sono tratte dalla traduzione ufficiale della CEI, edizioni Paoline del 1974.


La città che il diavolo si portò via

Upić się warto Sarah też warto



Sì, cari amici, quando Stanisław August Poniatowski, l’ultimo dei nostri ben o mal amati re, annunciò la costruzione del cimitero Powązki, aveva in testa una verità molto semplice: noi di Varsavia moriamo spesso. Naturalmente la guerra ha accelerato le cose, ma in tempo di pace la nostra città aveva circa cinquanta defunti al giorno, saliti a quasi centomila durante l’occupazione nazista, che dovremo togliere dalle statistiche finali. Era assurdo che dopo un bombardamento mi arrivassero cadaveri di tubercolotici, di gente caduta dalle scale, di un vecchio che non ne poteva più della vecchiaia o di una donna morta di parto; erano morti di seconda categoria, senza l’aureola di vittime, semplici impertinenti. E tuttavia, c’è posto per tutti. Abbiamo cimiteri per ogni credo, classe sociale e grado militare, con lapidi individuali o collettive. Ne abbiamo alcuni per le epidemie, e se fossimo vittime di terremoti o inondazioni avremmo inventato camposanti anche per questo tipo di catastrofi. E poi ci sono le cripte delle chiese e le innumerevoli fosse comuni e clandestine. Senza contare che ora buona parte della città è un cimitero. Le piazze sono piene di tombe temporanee che stanno diventando permanenti e basta rimuovere un po’ di macerie per imbattersi in un’intera famiglia in cucina, un bambino nell’armadio, una madre tutt’ossa, un avvocato sotto la scrivania, una devota senza 7


ginocchia. Sposti una lastra e trovi una nonna ancora con i ferri da maglia. Ludwik non citava mai i nomi di morti e parenti, né le date. Eludeva i dettagli tipici della sua professione e gli amici pensavano che non si trattasse di naturale discrezione ma di un modo per convincerli a dargli più alcol, visto che dopo una razione di vodka gli veniva voglia di chiacchierare, proprio nel momento in cui la sua lingua, pesante e flaccida, si rifiutava di farlo. Allora diceva cose tipo: Vi ricordate la signora Kukulska? Credetemi, amici, era più bella di quanto si dicesse. Poi abbassava la voce per aggiungere: Tengo per me che suo marito non l’ha mai toccata. Si chiedevano se un cadavere potesse essere bello, se davvero Ludwik aveva modo di verificarne la castità, se i morti ruttavano o aprivano gli occhi nella notte di San Giovanni. Molti aneddoti avevano tutta l’aria di essere falsi, ma che importa la verità quando si può immaginare la signora Kukulska nuda e immobile. A padre Eugeniusz piaceva stare in compagnia di uomini che sapevano ubriacarsi, parlare di donne e della vita senza nominare dio. Adorava che lo chiamassero per nome e che, a differenza delle bigotte in chiesa, fossero poco tolleranti quando diceva una sciocchezza. Salute, fratelli. Bevevano dal collo della bottiglia e facevano domande a cui Ludwik aveva già risposto in varie occasioni. È vero che certi morti sono vivi? È risaputo. Ballano, cantano, fanno l’amore. E si uccidono a vicenda? Questo mai. È vero che d’inverno si conservano le spoglie in una capanna in attesa della primavera?, chiese Feliks. 8


Ludwik annuì. La natura è saggia; in inverno né la terra si scava né i morti puzzano. Capisco se bisogna sotterrarne uno o due, ma cosa ci fai con migliaia di ex cittadini che aspettano la primavera? La bottiglia di Ludwik era vuota. Kazimierz dovette dargliene un’altra. È vero che avvolgono i morti in una coperta e rivendono le bare? La risposta non arrivò perché qualcuno stava già chiedendo a quanti metri di profondità dovesse stare una fossa comune. Cos’è quella polvere bianca che buttano sui cadaveri? Esistono i fuochi fatui? Posso vederla?, sussurrò Kazimierz a Ludwik. Chi? La signora Kukulska. Ludwik lo fissò un po’ per capire se faceva sul serio. Amico mio, un pollo morto risveglia l’appetito più di uno vivo. Con le donne non è la stessa cosa. Ho chiesto se posso vederla. Facci un salto quando ti pare. Anzi, andateci tutti che c’è da alzare una lapide piuttosto pesante. Feliks si avvicinò a una finestra senza vetri e mise una mano sul cappello perché il vento non glielo portasse via. Si appoggiò a una trave spezzata e sputò su piazza Napoleone. Non sentì l’atterraggio. Si trovavano al quinto piano della torre Prudential. L’idea era di arrivare fino alla terrazza e da lì guardare il mare di pietra in cui si era trasformata la città. Non arrivarono così in alto. Erano tre uomini sopra i sessant’anni e uno con scarse doti fisiche. Salirono aiutandosi con frammenti di scale e barre d’acciaio ritorte. Stavano cercando di raggiungere il sesto piano quando Ludwik si sedette su un pianerottolo. 9


Salire da sobri è complicato, scendere da ubriachi sarà la morte. Ognuno mise in comune il suo contributo per la serata. Raggrupparono cinque bottiglie e un paio di insaccati. Si misero subito a bere. La notte si fece fredda e lo scheletro dell’edificio offriva scarso riparo contro il vento. Feliks si lamentò di non essere arrivato fino alla terrazza. Da lì avrebbe giocato a riconoscere strade e palazzi. Un gioco difficile. Proprio in quel momento aveva davanti a sé piazza Napoleone ma bisognava scoprirla sotto tonnellate di mattoni, cemento e macerie. Padre, disse Ludwik, benedici la vodka perché possiamo ubriacarci in pace. Di fronte al suo rifiuto, Ludwik si mise in ginocchio e sollevò un paio di bottiglie sopra la testa. Deus nostro fiat aquam vitae benedictus et nos beberis. Attento, l’avvertì Eugeniusz. È chiaro che non sai il latino ma giocando con le parole potresti creare una sequenza che fulminerebbe la tua anima per sempre. Ludwik barcollò proprio accanto a uno squarcio del pavimento che lo avrebbe fatto precipitare quindici metri sotto. Davvero esistono queste parole? Sì, rispose Eugeniusz, anche se non le ho ancora trovate. Quando ce l’hai, scrivimele su un foglietto. Prometto che non le leggerò. Me le terrò nel portafoglio come una capsula di cianuro. Non potrei, appena terminato di scriverle verrei fulminato. E a cosa ti servono tutti questi anni di sacerdozio? Non puoi chiedere perdono? Ora basta. Diede un sorso. Oggi voglio essere un laico dissoluto. E allora perché hai la valigetta con l’estrema unzione? Perché mi lasciassero uscire dal convento, disse Eugeniusz sbottonandosi la tunica. 10


E nel caso cadessi in quel buco, aggiunse Kazimierz. Da quassù ti lanceremmo l’acqua santa. Non abbiamo brindato alla vita, disse Feliks. I quattro si avvicinarono e alzarono le bottiglie. Per la grazia di essere in questo mondo, propose Ludwik, e gli altri fecero eco. Dopo vari sorsi, non importava più che Eugeniusz fosse prete o cappellano, francescano, gesuita o fariseo, perché al quinto piano del distrutto palazzo Prudential i quattro ubriachi erano tutti adorati figli di cui qualche dio lontano aveva compiacenza.

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