La luce di Cloudy Bay

Page 1

Favel Parrett

La luce di Cloudy Bay Traduzione di Carla Togni e Giovanni Giri

«Un debutto impressionante. La scrittura di Favel Parrett è originale e capace di evocare sensazioni, luoghi e caratteri». The Age



altrevie • narrativa straniera



Favel Parrett

La luce di Cloudy Bay Traduzione di Carla Togni e Giovanni Giri

gran vĂ­a


Per la traduzione si ringrazia il corso “Tradurre la letteratura” della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici – Istituto San Pellegrino, Misano Adriatico.

Titolo originale: Past the Shallows Copyright © 2011 Favel Parrett Past the Shallows was first published in Australia in 2011 by Hachette Australia Pty Ltd and this Italian Language Edition is published by arrangement with Hachette Australia Pty Ltd through PNLA & Associati s.r.l./Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency © 2013 gran vía s.c.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione: giugno 2013 isbn 978-88-95492-26-1 Progetto grafico: Mirko Visentin | www.spaziosputnik.it


La luce di Cloudy Bay



A Linda – per aver sempre ascoltato



Sarebbe inutile tentare di descrivere cosa provai quando vidi in lontananza questo porto solitario alla fine del mondo, separato com’era dal resto dell’universo – era natura e natura allo stato puro… ammiraglio d’entrecasteaux, 1792



• Oltre le acque basse, oltre le baie dai fondali sabbiosi, ecco le acque oscure, nere e fredde e tempestose. Tracciano rotte invisibili. Le antiche rotte per Bruny o giù a sud, lungo le scogliere silenziose, le rotte per le lontane isole popolate da uccelli che si ergono tra uno specchio d’acqua infinito e il cielo. Ovunque emerga una roccia dalle acque profonde, ovunque affiori una barriera corallina, là sono gli abaloni. Delicati corpi dai bordi neri, protetti da un guscio. Un tesoro.

11


Harry era seduto sulla sabbia e guardava l’ampia spiaggia di Cloudy Bay. L’aria era pulita e dorata e fresca, il cielo quasi viola nella luce invernale e lui avrebbe voluto non aver paura. Lo stavano lasciando di nuovo, i suoi fratelli, Miles già alle prese con la muta da sub e Joe in piedi, lo sguardo perso nella vastità del mare. Mare che era sempre là. Sempre dappertutto. Il suono e l’odore e le onde fredde facevano sentire Harry diverso. E non dipendeva solo dal fatto che fosse il più piccolo. Adesso sapeva che le sensazioni che l’oceano gli ispirava non l’avrebbero mai abbandonato. Sarebbero rimaste per sempre dentro di lui. Tutto qui. «Cosa dovrei cercare?» chiese. Joe sbatté energicamente la muta da sub asciutta. «Ehm… un osso di seppia, un bel pezzo di legno portato dalla corrente…» «Un uovo di squalo» disse Miles. E calò il silenzio. Harry attese che Miles dicesse che scherzava, che dicesse qualcosa, ma non lo fece. Continuò soltanto a passare la cera sulla sua tavola da surf. Così Harry si alzò e corse via. Seguì i segni che l’alta marea aveva lasciato sulla sabbia e posò velocemente lo sguardo sui ciottoli, sulle sacche lucide delle me12


duse, sulle conchiglie rotte. Trovare ossi di seppia era facile, ma trovare uova di squalo era impossibile. Assomigliavano troppo alle alghe marine. Ogni volta che credeva di averne trovato uno, subito si accorgeva che si trattava solo di un pezzo di alga o di un ciottolo sporco. Quasi non valeva la pena di provare. Ma lui ci avrebbe provato. Trovava sempre tutto quello che c’era nella lista. Sempre. Un cormorano volava basso, il ventre bianco e soffice quasi a sfiorare l’acqua, e Harry ne osservò la planata. Lo guardò mentre rallentava e si posava su una roccia della riva. Harry si avvicinò, si avvicinò alla roccia, ma l’uccello rimase lì. Immobile. Harry non ne aveva mai visto uno tutto solo. Non come quello, sulla terraferma. Vivevano in gruppo, i cormorani. Accalcati gli uni agli altri sulle scogliere e sulle rocce, i lunghi colli tesi verso il sole. Talvolta rimanevano così tutto il giorno. Insieme. Aspettavano e guardavano. Riposavano. L’uccello lanciò un debole richiamo, Harry era così vicino che sentì il suono vibrargli dentro. Avrebbe voluto raggiungerlo e toccarlo, accarezzargli le piume del dorso, lucide come seta. Invece rimase immobile, tenendo le braccia lungo i fianchi. Pensò che forse quel cormorano era malato. Che forse non riusciva a ritrovare i suoi compagni. E Harry si chiese come ci riuscissero, come facessero a sopravvivere. Volando sopra l’oceano immenso, continuando a volare nonostante il vento e la pioggia. Tuffandosi nelle acque fredde. Talvolta venivano riportati a riva dalla risacca, quelli che si perdevano. L’uccello lanciò un altro richiamo. Fece su e giù con la testa e spiegò le ali, dopodiché volò via. Harry lasciò la spiaggia e si avventurò tra le dune. Lassù avrebbe potuto trovare un bel pezzo di legno o almeno qualcosa d’interessante. Corse su e giù per le collinette e gli avvallamenti, la 13


sabbia soffice gli si appiccicò alla pianta dei piedi, lui continuò ad andare avanti. Ora vedeva a stento la spiaggia. Era più lontano di quanto fosse mai stato. Rallentò, cominciò a camminare. Guardò davanti a sé. C’era una sorta di radura, circondata da piccoli alberi. Arbusti. Era un luogo ben riparato, neanche il vento forte sarebbe potuto arrivarci. Là ci si poteva accampare. Si poteva rimanere senza problemi. Un mucchio di conchiglie dietro un arbusto. Un mucchio enorme, vecchio e fragile e scolorito dal sole. Ostriche e cozze, pipi e vongole, la corazza di un granchio gigante. Harry raccolse una conchiglia di abalone, le estremità spezzate e piene di sabbia. Allora ogni cellula del suo corpo si arrestò. Lo percepiva. Quel luogo. Percepiva le persone che erano state lì in passato, che avevano respirato e vissuto là. Persone morte ormai da tempo. Andate da tempo. E Harry comprese, in fondo all’anima, che il tempo scorre senza posa e che anche lui, un giorno, sarebbe morto. Avvertì una sensazione di formicolio alle mani, un prurito. Lasciò cadere la conchiglia e corse via. Dovette attendere un sacco di tempo, prima che Joe arrivasse. Miles era rimasto fuori. Era molto lontano e non sembrava nemmeno ci fossero onde, laggiù. Era lontano, seduto sull’acqua. Lui era seduto là e Harry era affamato, non riusciva a smettere di pensare ai panini. Quelli al formaggio e al chutney. «Non l’ho trovato, l’uovo di squalo». Joe armeggiava con la muta da sub, contorcendosi e affannandosi per liberare le braccia, senza guardare Harry. «Magari la prossima volta» disse, ma Harry non ci credeva molto. Dopo aver indossato di nuovo i propri abiti, Joe cominciò a tirar fuori le cose dal dinghy, il termos, le tazze di latta, la coperta e i panini. A patto che non dovessero aspettare Miles… no, Harry 14


non avrebbe potuto aspettare Miles, anche se Joe gli avesse detto che doveva farlo, perché Miles era capace di restare in acqua per sempre, anche se fosse congelato, e Harry doveva proprio mangiare uno di quei panini. «Questo è un luogo antico» disse con la bocca piena di pane. Joe farfugliò qualcosa, ma non stava ascoltando. Aveva la testa altrove, forse ancora in mezzo al mare con Miles. Ma non era importante. Quello era un luogo antico. Harry lo sapeva. Antico quanto il mondo.

15


Miles era sul dinghy con i grandi, con Martin e Jeff e Papà, e non parlava. Nessuno aveva parlato lungo il tragitto fino alla barca. A casa, non era riuscito a mangiare il toast nel buio del primo mattino e ora, all’alba, rimpiangeva di non averlo fatto. Aveva lo stomaco vuoto, e quello era il primo giorno. Il primo giorno di vacanze scolastiche. Il primo giorno in cui doveva occuparsi della barca mentre gli altri s’immergevano. Era abbastanza grande ormai, doveva prendere il suo posto. Come suo fratello prima di lui, doveva colmare il vuoto lasciato da Zio Nick. Perché adesso la barca apparteneva alla banca. Perché tutto quanto apparteneva alla banca. La barca sbuffò e continuò il suo percorso tra gli scogli, Miles sentì il canale grattare sotto, strattonarla forte. Era fragile, la Lady Ida, sembrava vecchia ormai, e la traversata era lenta. Affondava faticosamente lo scafo nella parte più bassa del canale lasciandosi dietro un’ampia scia, e Miles capì che il luogo dov’era successo doveva essere quello. Il luogo dove Zio Nick era stato trascinato, solo, al buio, il luogo dove la corrente tirava più forte. E non lo trovarono mai più. Neanche un pezzo. Neanche il berrettino di lana. Neanche gli stivali. 16


Neanche le ossa. Solo il dinghy che vagava alla deriva, vuoto e pulito. Nessuno ne parlava più, ormai, ma quei giorni Papà ne parlò. Disse che Zio Nick doveva essere uscito a controllare gli ormeggi. Disse che non se lo sarebbe mai perdonato. La barca era quasi nuova, ancorata fuori dall’imbocco della baia perché la marea stava per salire – una grande onda di marea invernale – e tutte le barche erano là fuori. Ma Nick non voleva lasciarla sola. Non la smetteva di preoccuparsi per la barca. Papà disse che aveva continuato a parlarne al bar e alla fine lui gli aveva detto di andare a controllarla, quella dannata barca. Di andare a controllare o semplicemente di smettere di parlarne. E Miles sapeva perfettamente quanto era buio, quella notte, il cielo oscurato da nuvole così spesse da non lasciare scorgere nulla – non una stella, né la luna, né altro. Zio Nick non sarebbe stato in grado di vedere la barca, o la terra, e nemmeno la sua stessa mano davanti agli occhi. E tutti si dimenticarono che lui era in mare, perché quella fu la notte dell’incidente. Quella fu la notte in cui tutto cambiò. Martin gli toccò la spalla, lo confortò. «Andrà tutto bene» disse. Papà e Jeff erano in cabina e Jeff lo fissava di nuovo, così Miles volse lo sguardo altrove. Indossava una giacca a vento gialla sopra il maglione. Papà non ne aveva una abbastanza piccola per lui, così doveva indossarne una da adulto, talmente larga che le maniche gli inghiottivano le mani. Forse sarebbe stato meglio non metterla affatto. Si sarebbe comunque bagnato. L’unica parte riparata del corpo era la testa, coperta dal berrettino di lana che gli faceva prurito. 17


Si tirò su le maniche e s’infilò i guanti. Alla luce del nuovo giorno cominciarono a distinguersi i contorni di Bruny. Miles osservò lo specchio d’acqua che cambiava colore, tornando alla vita. E anche se erano ancora al largo, lontani dalla terraferma, c’erano punti in cui l’acqua saliva come a scalare una collina, punti in cui l’acqua era rabbiosa. E non era la cresta di un’onda. Non era un picco della marea. Era la corrente che si sollevava sulle rocce sottostanti, rocce invisibili anche con la bassa marea. E se non sapevi perché l’acqua si sollevava, non avresti mai capito che là sotto c’erano rocce. Le Hazards. Le chiamavano le Hazards di Bruny. Erano tutte lì intorno, al largo. Rocce staccate dalla terraferma ma abbastanza grandi da sconvolgere il flusso dell’acqua, da cambiarne il percorso. E magari un tempo erano state isole, quelle rocce. Piccoli isolotti o forse anche più grandi, poi erosi. Erosi dall’acqua, dal vento e dalla pioggia fino a sparire. Lasciando solo le basi, nascoste e sperdute in fondo al mare. C’erano tante cose che non si potevano insegnare, sull’acqua. O le sapevi o non le sapevi, e nessuno poteva dirti come interpretarle. Come sentirle. Miles, l’acqua, la conosceva. Riusciva a sentirla. E sapeva di non potersi fidare.

18



Favel Parrett

La luce di Cloudy Bay altrevie • narrativa straniera

Miles si voltò a guardare l’ampia spiaggia di Cloudy Bay. Di tutti i luoghi, di tutte le scogliere e le rocce e le acque profonde e le onde che si rincorrevano, quello sarebbe stato l’unico luogo che gli sarebbe mancato. Cloudy era speciale.

«Come Cormac McCarthy, Favel Parrett racchiude un enorme vigore nella brevità del suo stile elegante». Marie Claire «L’evocazione crudamente precisa con cui la Parrett descrive il paesaggio invernale della Tasmania è semplicemente avvincente». The Guardian «Un romanzo sorprendente da un nuovo meraviglioso scrittore: Cormac McCarthy incontra David Vann che incontra Favel Parrett». Sunday Times

ISBN 978-88-95492-26-1

Foto di copertina: © Lena Okuneva / Trevillion Images Cover design: Mirko Visentin

€ 13,00


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.