lavoro
Giacomo Bigliardi
INATTIVI E DISOCCUPATI, IL DRAMMA È DEI GIOVANI
CARLO VENERONI: DARE VALORE AL LAVORO E AL LAVORATORE
Carlo Veneroni, coordinatore CGIL zona Correggio
Lo scorso mese abbiamo incominciato ad osservare il mondo del lavoro. Nel farlo, abbiamo deciso di metterci soprattutto nei panni dei giovani, che si trovano a dover attraversare questo momento storico così complicato. E “complicato” è un eufemismo: fare qualunque tipo di progetto a breve, medio o lungo termine è quasi impossibile. Le nuove generazioni sono quelle a cui l’Europa sta destinando la maggior parte dei fondi, quelle su cui anche il nostro paese sa di dover investire per uscire dallo stato di crisi cui ormai abbiamo fatto l’abitudine. Ma queste generazioni sono anche quelle che stanno faticando di più, come dimostrano i recenti dati Istat sull’occupazione. Proprio a metà dello scorso mese, infatti, sono usciti i risultati delle rilevazioni dell’Istituto Nazionale di Statistica sullo stato di salute del mondo del lavoro nel quarto trimestre del 2020. Questi ci permettono di dare uno sguardo anche all’intero 2020, per capire le tendenze in atto che ci porteremo dietro anche nei prossimi mesi. In generale, notiamo
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primo piano
che l’occupazione continua a calare (-1,8% rispetto al quarto trimestre 2019) e ad essere sempre meno sono soprattutto i dipendenti a termine e i lavoratori part-time. Il calo occupazionale dello scorso anno è stato descritto dall’Istat come “senza precedenti” (-456mila posti di lavoro in tutto il 2020); in parallelo, in costante aumento è il numero dei cosiddetti “inattivi”, ossia coloro che non lavorano e non cercano da lavorare. Il numero degli inattivi è un dato di grande importanza: ad una prima impressione infatti, i dati dimostrano un abbassamento della disoccupazione. Il problema è che sempre più persone smettono di essere “disoccupate” non perché trovano lavoro, ma perché smettono proprio di cercarlo, il lavoro. E perché questo succede? Molti trovano la risposta nel cosiddetto “effetto scoraggiamento”, che riguarda tutti coloro che rinunciano o rimandano la ricerca del lavoro, frustrati dalle continue delusioni. La provincia di Reggio Emilia, per tanti aspetti, si dimostra un esempio virtuoso, con un tasso di disoccupazione del 3% per gli uomini e del 6% per le donne (da notare, però, che la disoccupazione femminile è maggiore di quella maschile, cosa che purtroppo accade nei dati di tutte le regioni italiane tranne la Val D’Aosta). Veniamo agli inattivi sulla nostra provincia: secondo le stime dell’Istat, sul nostro territorio ce ne sono ben
97mila tra i 15 e i 64 anni; tutte persone prive di lavoro che non ne sono in cerca. Si tratta del 23% degli uomini e il 34% delle donne. Per quanto riguarda invece le fasce d’età, l’Istat conferma che in tutta Italia il maggiore colpo è stato subito dai giovani, quelli tra i 15 e i 34 anni. Questa, in estrema sintesi, la panoramica che ci portiamo dietro in questo periodo così travagliato. Com’è possibile che già a vent’anni un giovane si ritrovi, per frustrazione o mancanza di possibilità, ad unirsi all’ormai folta schiera degli inattivi, rinunciando anche allo studio? In atto ci sono dinamiche che vanno a toccare molti punti: abbiamo avuto modo di parlarne con Carlo Veneroni, coordinatore della Camera del Lavoro per la zona di Correggio. «Già prima della pandemia, i giovani sono stati una categoria debole, così come le donne», ci ha confermato. «Sono categorie che già partivano da una base più esposta, e di fronte ad un evento mondiale devastante come la pandemia, hanno subito le conseguenze maggiori. Se una volta un giovane entrava nel mondo del lavoro a quindici o sedici anni, finendo la sua carriera lavorativa nella stessa azienda, oggi non è più così. Questo è risaputo, ma a livello legislativo non ci sono stati cambiamenti per adeguarsi a questa nuova realtà. Se viene a mancare il posto fisso, allora servono percorsi che permettano il passaggio da un
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aprile 2021