Il viaggio della fede

Città di Alba

Città di Bra

Città di Cherasco

Il viaggio della fede La cristianizzazione del Piemonte meridionale tra IV e VIII secolo

Atti del convegno di Cherasco, Bra, Alba 10-12 dicembre 2010

a cura di Silvia Lusuardi Siena, Edoardo Gautier di Confiengo, Bruno Taricco Alba - Bra -I Cherasco 2013

Il viaggio della fede

Il viaggio della fede La cristianizzazione del Piemonte meridionale tra IV e VIII secolo

Atti del convegno di Cherasco, Bra, Alba 10-12 dicembre 2010 a cura di Silvia Lusuardi Siena, Edoardo Gautier di Confiengo, Bruno Taricco

Contributi di Gisella Cantino Wataghin, Giovanni Coccoluto, Alberto Crosetto, Silvia Giorcelli Bersani, Cateria Giostra, Silvia Lusuardi Siena, Giovanni Mennella, Egle Micheletto, Gabriella Pantò, Valerio Pennasso, Giuseppe Sergi, Aldo Settia, Sofia UggÊ

II

Alba - Bra - Cherasco 2013

direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del piemonte

Indice

Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie

università degli studi di torino

Saluti dei Sindaci di Alba, Bra, Cherasco

p.

V

Programma del convegno e cronaca

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Vii

Mons. Giacomo Lanzetti, Vescovo di Alba

p.

Xi

Don Valerio Pennasso, La comunità di Alba sulle tracce della fede

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XIii

Silvia Lusuardi Siena, Introduzione

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XVii

Silvia Giorcelli Bersani, Sopravvivenze di paganesimo nel Piemonte romano

p.

1

Gisella Cantino Wataghin, Vescovi e territorio nel Piemonte meridionale tardo antico: una prospettiva archeologica

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23

Aldo A. Settia, Città effimere, chiese e santi nella dinamica degli insediamenti

p.

53

Alberto Crosetto, Trasformazioni e continuità nel territorio delle antiche diocesi di Acqui, Tortona e Asti

p.

71

Segreteria organizzativa del Convegno Elena Martini

Alberto Crosetto, Tortona, il porto fluviale nella tarda antichità

p.

101

isbn 978-88-908102-1-3

Egle Micheletto, Alba e il Piemonte sud-occidentale tra il V e l’VIII secolo: un aggiornamento archeologico

p.

111

Gabriella Pantò, Manufatti d’uso diagnostici nei secoli di transizione

p.

137

Atti del Convegno

Il viaggio della Fede

Cherasco, Bra, Alba 10 – 12 dicembre 2010 Enti promotori Città di Alba, Città di Bra, Città di Cherasco, Fondazione CRT Enti patrocinanti Diocesi di Alba,

Pontificia Accademia Romana di Archeologia,

Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Università degli Studi di Torino.

Comitato scientifico

Giovanni Filoramo (Università di Torino),

Edoardo Gautier di Confiengo (Comune di Cherasco), Silvia Lusuardi Siena (Università Cattolica di Milano),

Egle Micheletto (Soprintendenza Archeologica del Piemonte),

Letizia Ermini Pani (Sapienza, Università di Roma; Pontificia Accademia Romana di Archeologia), Giuseppe Zecchini (Università Cattolica di Milano).

Redazione Edoardo Gautier di Confiengo, Bruno Taricco.

In copertina Duomo di Alba, fonte battesimale (foto Soprintendenza Archeologica del Piemonte) In quarta di copertina Piemonte Romano (particolare)

Egle Micheletto - Sofia Uggé - Caterina Giostra, La necropoli longobarda di S. Albano Stura

Saluti dei Sindaci p.

161

Egle Micheletto - Sofia Uggé, Monasteri di età altomedievale nel Piemonte meridionale: Borgo S. Dalmazzo, Villar S. Costanzo, Pagno

p.

171

Giovanni Mennella, Epigrafia rurale ebraica nel Piemonte paleocristiano

p.

187

Giovanni Coccoluto, Epigrafia altomedievale nel Piemonte sud-occidentale: riletture e problemi

p.

201

Giuseppe Sergi, Dai Goti ai Longobardi: i segnali di cambiamento e il problema religioso

p.

229

La Città di Alba aveva dato con molta convinzione il suo patrocinio al convegno del dicembre 2010 su “Il viaggio della fede. La cristianizzazione del Piemonte meridionale: IV – VIII secolo”. Ora, con rinnovato interesse accoglie la pubblicazione degli atti, che dà modo a tutti – studiosi in modo particolare, ma anche appassionati di storia locale e semplici curiosi – di accostarsi alla ricchezza di informazioni che da quell’appuntamento sono emerse.

Tra i non minori vanti di Alba è sicuramente quello di essere stata, fin dal IV secolo, sede episcopale, e quindi centro di irradiazione del Cristianesimo in tutto il Piemonte meridionale. Una zona rurale ed isolata, ove gli usi ed i riti del Paganesimo opposero molta resistenza al nuovo verbo religioso, affiorando persino ancora oggi in feste e consuetudini popolari.

Ma una zona che seppe poi dare al Cristianesimo una ricca messe di persone impegnate a portare a tutti la buona novella di Gesù Cristo, a popolarla di pievi anche nelle aree più impervie, a costellarla di segni del Cristianesimo e di istituzioni monastiche maschili e femminili.

Questa storia fatta non di eventi spettacolari, ma di una continua trasformazione delle mentalità e di una lenta stratificazione dei portati di un mondo nuovo, è il contenuto del volume di atti. Che è un contributo importante a conoscere il nostro passato per meglio capire il perché di come siamo. avv. Maurizio Marello, sindaco di Alba Un’esperienza unica che ha messo in parallelo, in un percorso comune, tre diverse città del Piemonte nel compiere ‘un viaggio nella fede’. è questo il prezioso risultato dei diversi momenti dell’iniziativa che nel 2010 si disseminarono nella mente dei partecipanti dell’omonimo convegno, esaltando il profondo legame che valorizza i temi della religiosità popolare nelle comunità di Bra, Cherasco ed Alba. Un viaggio che ha preso avvio da un significativo e coraggioso parallelismo tra religiosità e sviluppo dei tessuti urbani cittadini, che si sono tradotti in architetture, cultura, stili di vita. Elementi nei quali il paleo cristianesimo, quanto la più matura professione di fede dei secoli che hanno segnato il declino della romanità, hanno saputo evidenziare un rapporto profondo, quasi si corresse in un binario perfettamente sincronico e parallelo.

Le tante e dotte relazioni, che hanno dato sostanza scientifica alle diverse fasi del convegno, hanno permesso di mettere in evidenza anche tipologie progettuali e costruttive degli stessi luoghi di culto, che da sempre hanno rappresentato all’interno delle comunità anche la funzione di spazi di incontro, di scambio, di conoscenza, di cultura, nel loro trascendere dal mero rapporto con il divino. Ragioni per le quali, con la progressiva centralità riservata alla dimensione religiosa rispetto a quella del privato e, successivamente, con l’appartenenza comunitaria, anche i luoghi di culto hanno progressivamente acquisito centralità nella stessa vita pubblica e nella loro dislocazione urbanistica.

Ciò è accaduto ovunque ed a maggior ragione nelle nostre realtà del Piemonte

VI

VII

Programma del Convegno

meridionale, dove il senso vivo di comunità continua ad essere forte e dove la devozione popolare è elemento centrale del nostro vivere comune. A Bra, nella città del Santo Cottolengo e del Santuario della Madonna dei Fiori, è stato possibile poi svolgere le diverse sezioni di convegno all’interno dello storico palazzo Traversa, oggi museo civico che ospita importanti reperti rinvenuti nel corso delle campagne di scavo compiute nell’attuale frazione di Pollenzo, un tempo la romana città di Pollentia. è stato questo anche un modo per mettere in connessione passato e presente, affinchè la storia possa essere concreto stimolo per lo sviluppo di una meditata capacità di rielaborazione che porti a non ripeterne gli aspetti più oscuri, imparando però dalle generazioni che ci hanno preceduto. Si è trattato sicuramente di una connessione, un link come ameremmo definirlo utilizzando il più moderno linguaggio tecnologico, che ha saputo rendere ancor più suggestive le fasi di un convegno che ha consegnato, grazie alla qualità dei relatori, importanti spunti di riflessione nel perpetuarsi di quella ‘strada della storia e della Chiesa, con l’aiuto di Dio e con l’aiuto degli uomini’ che papa Giovanni Paolo II invocò nella sua prima benedizione ai fedeli, poco dopo l’ascesa al soglio petrino nel 1978.

ore 11 Saluti delle Autorità. Sindaci di Alba, Bra, Cherasco

Bruna Sibille, sindaco di Bra

ore 14,30 Presiede Giovanni Filoramo, Università di Torino

è con grande gioia che abbiamo accolto in città una tappa del cammino “Il viaggio della fede. La cristianizzazione del Piemonte meridionale: IV e VIII secolo” nel 2010. Un orgoglio che avevo già manifestato durante la presentazione avvenuta proprio nella sala consiliare del Comune con la presenza del vescovo di Alba, monsignor Giacomo Lanzetti. Ed è con altrettanta gioia che accolgo oggi la notizia della pubblicazione degli atti relativi a quel percorso, documenti che permettono di rifare il “viaggio” e approfondirlo ulteriormente. Cherasco è conosciuta come la “Città delle Paci” e per noi questo è motivo non solo di orgoglio ma anche di impegno quotidiano a portare avanti quei valori che sono alla base di ogni “credo” cristiano. La nostra città è da sempre vocata alla fede. Lo dimostrano i tanti edifici di culto presenti a Cherasco, dal santuario di Nostra Signora del Popolo, consacrato a santuario mariano nel 1988, oggi meta di un gran numero di pellegrini, ma anche il maestoso Arco della Madonna del Rosario, voluto dai cheraschesi come voto per aver risparmiato la città dalla peste del 1630-1631. A Cherasco ebbe i natali quel grande uomo di fede che fu don Giacomo Alberione, fondatore della famiglia paolina. Fu nella nostra città, nella chiesa posta sotto l’invocazione di San Martino, che lo vide bambino alla sua Prima Comunione, poi giovane sacerdote, celebrare la sua prima messa. Tanti sono gli esempi in città della cristianità, alcuni risalgono a tempi passati, ma ancora oggi è una cristianità viva, attiva, partecipe.

Claudio Bogetti, sindaco di Cherasco

Venerdì 10 dicembre 2010 Cherasco. Sala consiliare

Introduzione ai lavori.

Mons. Giacomo Lanzetti, vescovo di Alba Presiede Letizia Ermini Pani, Pontificia Accademia Romana di Archeologia

Sopravvivenze di paganesimo nel Piemonte cristiano.

Silvia Giorcelli Bersani, Università di Torino Vescovi e territorio nel Piemonte meridionale tardo antico: una prospettiva archeologica Gisella Cantino Wataghin, Università del Piemonte Orientale. Vercelli Città effimere, chiese e santi nella dinamica degli insediamenti Aldo A. Settia, Università di Pavia Discussione sulle relazioni Sessione posters Illustrazione di recenti scavi nel Piemonte meridionale Coordina Sofia Uggè, Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte La cristianizzazione a Pollenzo alla luce delle recenti indagini archeologiche Le trasformazioni di Augusta Bagiennorum tra tarda antichità e alto medioevo Nuovi dati dalle recenti indagini nella cattedrale di Alba La necropoli di S. Albano Stura: note su uno scavo in corso

VIII

IX

Monasteri di età altomedievale nel Piemonte meridionale: Borgo S. Dalmazzo, Pagno, Villar S. Costanzo Asti. La cattedrale tra l’età paleocristiana e il medioevo Tortona. Il porto fluviale nella tarda antichità

Dai Goti ai Longobardi: i segnali di cambiamento e il problema di arianesimo e cattolicesimo Giuseppe Sergi, Università di Torino Discussione finale sulle relazioni svolte

Tortona e Acqui Terme. L’abbandono dei fora

Domenica 12 dicembre

Alba. Sala del Consiglio Comunale

La chiesa di S. Gervasio a Centallo ore 9

Sabato 11 dicembre

Bra. Museo di Archeologia, Storia e Arte. Palazzo Traversa ore 9 Presiede Silvia Lusuardi Siena, Università Cattolica del Sacro Cuore.

Milano

Trasformazioni e continuità nel territorio delle antiche diocesi di Acqui, Tortona e Asti Alberto Crosetto, Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte

Il cantiere della cattedrale di Alba Egle Micheletto, Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte Marco Subbrizio, Studium s.n.c.

Don Valerio Pennasso, Diocesi di Alba. Ufficio Diocesano per i Beni Culturali ore 10,30 Santa Messa Presieduta da mons. Giacomo Lanzetti, vescovo di Alba ore 12 Visita al cantiere di scavo sotto il Duomo con la guida di Egle Micheletto e Marco Subbrizio

Alba e il Piemonte sud-occidentale tra il V e l’VIII secolo: un aggiornamento archeologico Egle Micheletto, Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte Manufatti d’uso diagnostici nei secoli di transizione Gabriella Pantò, Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte Discussione sulle relazioni ore 14,30 Presiede Gisella Cantino Wataghin Le testimonianze epigrafiche paleocristiane in Piemonte: stato delle conoscenze e aggiornamenti Giovanni Mennella, Università di Genova Epigrafia altomedievale nel Piemonte sud-occidentale: riletture e problemi Giovanni Coccoluto, Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della provincia di Cuneo X

XI

Cronaca del Convegno Il convegno si è aperto venerdì 10 dicembre 2010 nella sala consiliare di Cherasco con il benvenuto del Sindaco Claudio Bogetti ad autorità e convegnisti e il ringraziamento alla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, generosa sponsor, insieme ai comuni di Alba Bra e Cherasco. E’ seguito un caloroso saluto augurale di mons. Giovanni Lanzetti, vescovo di Alba.

La prima sessione dei lavori congressuali si sono aperti con la presidenza di Silvia Lusuardi Siena che, dopo aver letto un indirizzo di saluto di Letizia Ermini Pani, molto rammaricata di non poter essere presente a causa una improvvisa emergenza familiare, ha illustrato gli obiettivi del Convegno, motivati dall’opportunità di una riflessione unitaria sulle problematiche connesse all’affermarsi del cristianesimo nel Piemonte meridionale nonostante la carenza di fonti scritte, alla luce dei numerosi elementi di novità, talora del tutto insospettati, emersi dai rinvenimenti archeologici in anni recenti.

Silvia Giorcelli Bersani ha quindi svolto la sua relazione, appositamente ampliata per sostituire quella prevista di Sergio Roda, impossibilitato ad essere presente, causa sopravvenuti impegni accademici ineludibili.

La sessione pomeridiana, presieduta da Giovanni Filoramo, è stata dedicata alle relazioni di Gisella Cantino Wataghin e Aldo Settia. Successivamente si è aperta la sessione posters coordinata da Sofia Uggè: ai convegnisti sono state illustrate in dettaglio le novità scaturite da nove recenti contesti di scavo del Piemonte meridionale.

Sabato 11 dicembre i lavori si sono aperti a Bra, nella sala delle conferenze di Palazzo Traversa, sede del Museo Comunale di Archeologia, Storia e Arte, presieduti da Gisella Cantino Wataghin. Si sono svolte quindi le relazioni di Alberto Crosetto, Egle Micheletto e Gabriella Pantò e, nel pomeriggio, quelle di Giovanni Mennella, Giovanni Coccoluto e Giuseppe Sergi.

Domenica 12 dicembre il Convegno si è spostato ad Alba, nel salone del Consiglio Comunale, dove Egle Micheletto e Marco Subbrizio hanno presentato i lavori del cantiere archeologico sottostante la cattedrale, successivamente illustrati da don Valerio Pennasso con un filmato relativo alle diverse fasi di scavo.

I convegnisti si sono poi spostati in cattedrale per la S. Messa, presieduta dal vescovo mons. Giacomo Lanzetti, conclusa la quale si è aperta la visita agli scavi.

Al convegno, che ha visto la presenta di un pubblico attento e interessato, hanno partecipato anche studenti e dottorandi della Sapienza, Università di Roma, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dell’Università di Torino, che hanno ottenuto, oltre a un contributo alle spese di viaggio e soggiorno, un attestato di partecipazione.

XII

† Giacomo Lanzetti Vescovo di Alba

Lo studio della Cristianizzazione del Piemonte meridionale, oggetto delle riflessioni di questo convegno, è un tema quanto mai attuale. Ci riconduce alle radici della nostra Fede ed avere memoria del passato ci permette di guardare con consapevolezza al futuro.

Lo studio è stato condotto mediante l’approfondita analisi, da parte degli studiosi, delle tracce giunte sino a noi. Si è attinto alle scarse fonti documentarie disponibili, a quelle epigrafiche e materiali.

Un ruolo fondamentale in questa ricerca, che scava in un passato così remoto, è riservato ovviamente alle testimonianze archeologiche, quelle che in modo del tutto semplificativo possiamo definire “pietre”.

Gli uomini che hanno abitato le nostre terre sono scomparsi, ma sono rimaste le “pietre”.

Ad occhi esperti in grado di interpretare il loro messaggio esse ci dicono della storia di un territorio, delle sue trasformazioni, della nascita delle Diocesi, della diffusione degli edifici sacri.

Non dimentichiamo però che esse raccontano le vicende dei Cristiani che ci hanno preceduto, che hanno vissuto gli albori della diffusione della nostra Fede.

A noi uomini del nostro tempo rimane la difficile eredità di essere “pietre vive” sull’esempio di Gesù, vera “pietra viva”e nostra vera Storia poiché venuto tra noi.

Ringrazio chi si è dedicato a queste preziose ricerche e mi auguro che possano essere uno strumento di riflessione anche per i Cristiani di oggi.

XIII

La comunità di Alba sulle tracce della fede don Valerio Pennasso (Diocesi di Alba)

Il viaggio della fede comincia da molto lontano e cresce dal profondo dell’animo umano. Non si tratta soltanto di una storia e di un ricordo di un passato, alla ricerca di tracce di varia natura per consolidare la consapevolezza di appartenere ad una storia o una cultura. La ricerca da parte di una comunità cristiana delle tracce della propria storia cerca di soddisfare quella medesima necessità che ha suscitato nel tempo il Popolo di Dio a scrivere la testimonianza della presenza di Dio nella propria vita quotidiana: segni della presenza provvida del Salvatore.

L’oggi della nostra comunità cristiana affonda le radici nelle innumerevoli e diversificate testimonianze, che attraversano ancora il territorio e compongono l’edificio spirituale, pietre vive dell’edificio chiesa.

Una occasione raccolta Gli scavi archeologici della Cattedrale di Alba sono stati una grande occasione, raccolta nel 2007 dal vescovo Sebastiano Dho1, come un momento di grazia per la conoscenza della storia della nostra Diocesi. Lo scavo archeologico della Cattedrale è stato una possibilità per accedere alle radici delle testimonianze di fede, fatta non soltanto di pietre, ma di testimonianze “forti e grevi” che sanno superare il tempo. Sono difficili da rilevare, da interpretare, da far parlare, ma sicuramente sono un solido supporto alla dimensione viva della testimonianza di una comunità che ancora è presente nel loro stesso territorio. Non sempre si percepiscono i profondi legami tra la storia e il presente, fra le persone, le loro azioni e le testimonianze che permangono oltre il tempo. Tuttavia come facciamo memoria dei contenuti della fede, che motivano e sostengono il nostro sperare e operare, così la testimonianza della fede passa anche attraverso la ricerca, lo studio e la crescente consapevolezza che non ci siamo fatti da soli, che la storia non dipende solo da noi e che siamo parte di un “popolo che cammina insieme”.

Le pietre della cattedrale e del battistero del VI secolo, portate alla luce dai recenti scavi2, forniscono una testimonianza che ci prepara all’Anno della Fede, secondo le parole di Benedetto XVI: «Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero 1 2

Mons. Sebastiano Dho, vescovo di Alba: 1993 – 2010.

Vedere la relazione di E. Micheletto in questi atti.

XV

insondabile dell’intreccio tra santità e peccato. […] In questo anno terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo. […] In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza»3.

Un grande tempo per una grande occasione. Le ricerche e gli approfondimenti di questi anni ci daranno la possibilità di accedere alle radici della nostra fede.

Documenti di continuità Da dove proviene la mia fede? Quando il nostro territorio è stato “toccato” dalla fede dei “piedi del messaggero di lieti annunci”, chi è stato e quali strade ha percorso? Non si stratta di “fare i primi” o di essere i migliori, ma di sapere, di conoscere la storia, di sentirsela raccontare per “appartenere”, per far parte di un processo di costruzione del progetto comune della salvezza. Prima di noi milioni di persone sul nostro territorio hanno creduto, sperato e costruito la città degli uomini come “sgabello per i piedi” della Gerusalemme celeste.

Abbiamo ora la possibilità di poter leggere la stratificazione di un sito, che non ha mai perso la sua vitalità, seppure in vicende alterne. L’edificio chiesa (Cattedrale) con il suo alto potere evocativo e rappresentativo permane in continuità da secoli a partire dal suo luogo originario. Da sempre i cristiani lì si sono incontrati, hanno ascoltato la Parola e hanno celebrato l’Eucarestia, sui gradini di quel luogo hanno vissuto la Carità e hanno dialogato con le altre genti e il territorio.

Ancora oggi il Vescovo di Alba celebra “sopra” l’altare alto medioevale. La continuità spaziale e della fede affonda le sue radici anche fisiche nel terreno dissodato e apprestato dai primi cristiani. Ritroviamo oggi nella Cattedrale, in elevato, la storia di un popolo che ancora si riconosce in quel luogo simbolico e aggregatore. Il complesso architettonico racchiude i luoghi di ritrovo dei primi cristiani albesi e la testimonianza della loro costante presenza. Quando ancora oggi entriamo in Cattedrale attraversiamo non soltanto la soglia architettonica di uno spazio evocativo, ma anche quella del tempo, che in quel luogo ha stratificato la sua testimonianza.

risurrezione futura. Ci siamo riconosciuti con le sepolture di vescovi, di notabili e di gente comune, con la gradinata sulla quale San Teobaldo4 sedeva, fra i percorsi liturgici delle diverse celebrazioni.

Chiesa e città Così come tra la Chiesa e la città vi è un rapporto intrinseco, anche la liturgia cristiana fin dalle sue origini dovette essere in dialogo con la cultura contemporanea per prosperare e svilupparsi. La Chiesa è il corpo mistico visibile di Cristo – l’assemblea liturgica – vivente nella città. L’edificio chiesa – la domus ecclesiae, il luogo funzionale di assemblea – era la casa per l’ekklesia, e, come la Chiesa stessa, la domus ecclesiae doveva mostrare la medesima scelta preferenziale per i poveri: vedove, e orfani, stranieri e altri forestieri; sia i poveri che varcavano la soglia dei luoghi di culto, sia i poveri che si trovavano ai margini o oltre i confini di quegli stessi edifici.5 Questo testo sintetico mette in evidenza lo stretto collegamento fra la Chiesa, la sua articolazione vitale (fede, carità e liturgia) e la città in tutti i suoi aspetti. In nostro mondo non vi può prescindere. I legami sono profondi e articolati fino a far coesistere la vita pubblica e quella di fede fra le volte dello stesso edificio, che sinteticamente rappresenta un’intera comunità pure nelle sue articolazioni. Riveste particolare significato che la cattedrale sia stata realizzata presso il foro6, indice che la trasformazione profonda dal mondo pagano a quello cristiano aveva raggiunto, almeno dal VI secolo, l’amministrazione pubblica della città. La cattedrale diventa quindi qualcosa di più che un semplice monumento a testimonianza di un passato, ma un “luogo” nel quale la sintesi è sempre stata fatta e ancora oggi si impone. Sintesi e dialettica di esigenze le più diverse, che si compongono nell’interesse del “bene comune” di un popolo, seppure eterogeneo e globale.

4

Storia di una comunità Nel tempio la comunità riconosce ancora oggi le sue radici non soltanto a motivo dell’antico Fonte battesimale, ma soprattutto per la storia che uomini e donne hanno voluto segnare come luogo significativo non solo per la loro vita, ma anche per la loro sepoltura, preludio di una maggior gloria di

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3

6

Benedetto XVI, Motu proprio – La porta della Fede, Città del Vaticano, 2011, p.22ss XVI

Teobaldo Ruggeri (Vico, 1099 – Alba, 1150), si distinse ad Alba per la sua umiltà nei servizi alla cattedrale. In espiazione dei suoi peccati si dedicò alle mansioni più servili e decise di non più dormire se non “super lapidem scale ecclesie beati laurentii qui est in porta exteriori” (C. Giordano, Il “Rotulo” di S. Teobaldo Roggeri, Alba 1929, p.31).

Secondo i suoi desideri fu sepolto nello spazio compreso fra le due chiese di S. Lorenzo e S. Silvestro. La sua tomba divenne meta di pellegrinaggio e avvennero diversi miracoli. Se ne perse con il tempo memoria e fu ritrovata il 31 gennaio 1429. Il culto venne riconosciuto ufficialmente solo nel 1841 dalla Santa Sede, dietro richiesta del vescovo di Alba, Costanzo Fea .

Keith F. Pecklers, Dai bisogni della città alle funzioni delle chiese, in AA.VV, Chiesa e città, Magnano 2010, p. 115.

E. Micheletto, in questi atti, p. 121 e nota 55.

XVII

Città e territorio Anche se mancano testimonianze archeologiche specifiche, la presenza cristiana ad Alba città e nelle zone rurali attorno era precedente alla realizzazione della cattedrale7, le parole di Eusebio di Vercelli, di Massimo di Torino ne fanno viva fede.

«Le vicende documentate dell’insediamento umano si intrecciano spesso con l’attestazione di luoghi di culto: una pieve, una cappella vicinale, che per lo più lo comprovano – fra medioevo ed età moderna – la presenza di una comunità sufficientemente stabile e organizzata da garantire la costruzione e la manutenzione di un edificio religioso, nonché il sostentamento del clero officiante.»8 Ancora recentemente Benedetto XVI9 ha ribadito la realtà comunitaria della fede che nasce all’interno della Chiesa, Popolo di Dio. È “Il luogo della fede”. Questa espressione fa sintesi fra la vita delle persone, l’annuncio, l’adesione, la celebrazione, lo spazio, il tempo, il territorio, la speranza.

«Vi e un’ininterrotta catena di vita della Chiesa, di annuncio della Parola di Dio, di celebrazione dei Sacramenti, che giunge fino a noi e che chiamiamo Tradizione. Essa ci da la garanzia che ciò in cui crediamo e il messaggio originario di Cristo, predicato dagli Apostoli».

L’integrazione è naturale e profondamente legata alla vita stessa della fede. Riscoprire i legami e la loro storia ci offre la possibilità di recuperare un passato che è testimonianza della vita della Chiesa nel tempo, luogo di realizzazione del Regno di Dio, che è già e non ancora.

7 8 9

S. Giorcelli Bersani, La cristianizzazione del Piemonte sud – occidentale: le antiche diocesi di Alba ed Asti, in AA.VV. Insediamenti umani e luoghi di culto fra medioevo ed età moderna, La Morra 2011, pp. 27 – 28.

F. Panero, Insediamenti umani, pievi e cappelle nella Diocesi di Alba e nel Roero fra l’alto medioevo ed età comunale, in AA.VV. Insediamenti umani e luoghi di culto fra medioevo ed età moderna, La Morra 2011.

Discorso dell’udienza generale di mercoledì 31 ottobre 2012.

XVIII

Introduzione

Silvia Lusuardi Siena, Edoardo Gautier di Confiengo

Il convegno svoltosi nel 2010 nelle tre città di Cherasco, Bra e Alba ha raccolto una significativa messe di informazioni circa lo sviluppo storico della vasta area posta tra il fiume Po e gli Appennini nell’ampio arco temporale compreso tra l’età romano imperiale e quella longobarda. Poco documentato nelle fonti letterarie e quasi “senza storia”, si è detto, per la poca rilevanza politica e culturale delle sue classi dirigenti, nonostante l’importanza economica e strategica del territorio, il Piemonte meridionale viene qui analizzato attraverso la rilettura critica delle fonti scritte ed epigrafiche e l’esame di recenti indagini archeologiche. Lo scopo è quello di dare avvio a un processo di analisi comparata e integrata di fonti volontarie e involontarie in grado di ricostruire diacronicamente le trame della complessa e spesso contraddittoria realtà del periodo storico in esame: “il viaggio della fede” si è concretizzato nel corso del IV secolo in forme materiali ben riconoscibili in città e successivamente anche nelle campagne evolvendosi, e in certi casi destrutturandosi, in parallelo con il mutare delle condizioni economiche, sociali e politiche che hanno segnato l’età goto-bizantina e longobarda.

Due figure cardine a cavallo tra IV e V secolo, Eusebio di Vercelli (+371) e Massimo di Torino (+428), hanno lasciato le impronte fondanti della Chiesa piemontese, ma non mancano elementi per presupporre una precedente fase di evangelizzazione di cui poco o nulla è noto, neppure l’ambito di provenienza dei primi nuclei cristiani. Benché i nuovi ritrovamenti non portino a risposte definitive, permettono tuttavia di approfondire gli studi fornendo ulteriori tessere ad un mosaico che va via via ricomponendosi.

L’epigrafia letta attraverso i contributi di Silvia Giorcelli Bersani e Giovanni Mennella mostra la coesistenza, in epoca pienamente romana, di culti indigeni, del pantheon ufficiale e di culti mediorientali sia in ambito cittadino che rurale; la stessa complessità permane in epoca tardoantica quando, accanto all’affermarsi della fede cristiana, si ha testimonianza di conventicole ebraiche di possidenti nel territorio, come dimostrano l’inedita epigrafe con menorah, databile tra fine VII e inizio VIII secolo, scoperta nel 2003 a Rivoli e quella di Nebonia rinvenuta ad Alice Castello (VC) nel 1981, presentate in questo volume da Giovanni Mennella.

La scoperta a Tortona di un porto fluviale attivo dalla prima età imperiale, di cui riferisce Alberto Crosetto, giustifica in questa zona interna il ritrovamento di materiale di importazione, in particolare anfore e Terra sigillata africana, ad ulteriore dimostrazione della vitalità del centro urbano che, oltre a mantenere un ruolo di importante snodo commerciale, diXIX

venta, a partire dall’età tardo antica, centro propulsore della fede cristiana.

Sempre Crosetto dà conto delle trasformazioni riconosciute per due antiche diocesi, quella di Asti, con la messa in luce della fase paleocristiana della chiesa di S. Giovanni, e quella di Acqui, dove recenti indagini hanno riconosciuto nelle chiese l’elemento focale della nuova organizzazione urbanistica.

Ritrovamenti di rilevanti contesti archeologici di fase longobarda confermano la penetrazione di questa popolazione nel territorio cuneese alla fine del VI secolo e permettono di collegare testimonianze di elementi dispersi.

Il ritrovamento della grande necropoli longobarda di S. Albano Stura datata VII secolo permette di collegare i relativi lacerti di abitato al momento scavati. Una ricca serie di immagini e cartine illustra i principali ritrovamenti di tutto il periodo trattato. Egle Micheletto informa sugli interventi di tutela della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte nell’ultimo trentennio nella diocesi di Torino e tra Augusta Bagiennorum e Pollentia; illustra poi gli importanti scavi sotto il duomo di San Lorenzo ad Alba, che hanno ricostruito le dinamiche di trasformazione dell’area corrispondente in parte al foro cittadino dall’età imperiale ad oggi, con le trasformazioni tra IV e V secolo e la realizzazione di un edificio monumentale alla fine del VI secolo entro cui fu realizzato un primo fonte battesimale ottagono. In attesa del volume, di imminente pubblicazione, che darà conto in dettaglio dei risultati delle indagini, l’Autrice anticipa il confronto tra le due strutture battesimali identificate (di VI e IX-X secolo) con le altre note sia all’interno della IX regio augustea (Piobesi Torinese, Centallo, S. Ponzo Canavese,) che nell’ambito della sede metropolitica milanese.

Gisella Cantino Wataghin fornisce un quadro “fatto più di ombre e di contorni sfuggenti che di punti fermi” delle presenze e del ruolo dei vescovi alla luce delle fonti scritte, tenendo conto anche dei risultati di recenti indagini archeologiche.

In questo quadro di ricostruzione diacronica del territorio Aldo Settia prende in considerazione le cosiddette “città effimere”, entrate in crisi nel periodo tardoantico e successivamente abbandonate: Forum Vibii Caburrum (Cavour), Forum Germanorum (Caraglio), Forum Fulvii, Libarna e altri centri del Piemonte meridionale. I nuovi scavi metodologicamente aggiornati e una rilettura dei precedenti permettono all’Autore di rivedere la dinamica delle fasi di cristianizzazione del territorio a sud del fiume Po: l’ipotesi che connetteva la rovina delle città romane alla ve­nuta dei Longobardi andrebbe semplicemente capovolta, ricono­scendo invece ad essi il merito, se non tout court, della loro rinascita, almeno di un incremento di vitalità attraverso il rinnovamento degli edifici paleo­cristiani e la fondazione di nuove chiese.

La vivacità di età longobarda è confermata dal censimento dei recenti ed importanti scavi archeologici che hanno messo in luce insediamenti e

necropoli in tutto il territorio in esame; tra questi la straordinaria scoperta effettuata presso S. Albano Stura di una grande necropoli longobarda di VII secolo composta da circa 800 sepolture. Egle Micheletto e Sofia Uggé la pongono in relazione con l’abitato di cui sono state identificate a breve distanza alcune capanne e Caterina Giostra fornisce preziose anticipazioni riguardo ai corredi tombali recuperati, confrontandoli con analoghi ritrovamenti in ambito piemontese.

Sul fronte dei manufatti d’uso diagnostici ai fini della determinazione cronologica all’interno dei secoli ‘di transizione’ , Gabriella Pantò illustra metodi e criteri di analisi dei reperti provenienti da contesti stratigrafici piemontesi di sicura attendibilità in grado di delineare i caratteri salienti delle produzioni di ceramica e di pietra ollare, offrendo un panorama di validità applicativa anche per altri ambiti territoriali dell’Italia settentrionale.

Nuovi dati archeologici trattati da Egle Micheletto e Sofia Uggé relativi alle chiese abbaziali di Borgo San Dalmazzo, Villar San Costanzo e Pagno aprono nuove prospettive sulla vita di tre centri monastici posti lungo una stessa direttrice stradale pedemontana all’imbocco di valli contigue. I dati ritrovati confermano l’antichità della fondazione di questi monasteri, fanno supporre una fase preromanica della chiesa di Villar San Costanzo e confermano le fasi costruttive a partire dal IX secolo della chiesa di San Pietro a Pagno.

Giovanni Coccoluto dimostra la continuità di vita di alcuni centri dopo la cosiddetta fase della “fine delle ville” attraverso la rilettura di epigrafi altomedievali, alcune ben databili grazie all’indicazione dei sovrani longobardi, ponendole in relazione al rispettivo contesto di rinvenimento.

Il contributo conclusivo di Giuseppe Sergi fornisce infine il punto di vista degli storici circa il dibattuto tema dell’etnogenesi delle popolazioni gote e longobarde nell’interrelazione con l’elemento romano-bizantino: si tratta di una equilibrata disamina, da ‘osservatore’, dei punti di vista delle diverse “scuole di pensiero” che negli ultimi decenni hanno visto talora contrapporsi storici e archeologi.

Tutte le relazioni offrono un panorama ricco di precisi riferimenti alle fonti, alla storiografia e ai dati di scavo, alcuni già inseriti in coordinate storiche più generali, altri validissimi tasselli per delineare ulteriori percorsi di indagine. La sintesi, anche se preliminare, non si annuncia vicina, ma soprattutto i risultati della più recente ricerca sul terreno - programmata ogniqualvolta i progetti di infrastrutture e le condizioni economiche lo rendono possibile - e nuove analisi aggiornate su fonti scritte e materiali da tempo giacenti nei magazzini, fanno molto ben sperare per il futuro.

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Sopravvivenze di paganesimo nel Piemonte romano di Silvia Giorcelli Bersani

(Figure nelle tavole fuori testo)

Uomini e dei nel Piemonte romano Ho già avuto modo, qualche anno fa, di richiamare l’attenzione sulla dimensione cultuale del Piemonte romano1 all’interno di un progetto complessivo di indagine territoriale che si prefiggeva lo scopo di superare una certa dispersione microtematica e i limiti di una indagine prevalentemente locale che avevano caratterizzato fino a quel momento la storia dell’area più occidentale della Cisalpina. In quella sede, adottando, o quanto meno cercando di intraprendere, strategie metodologiche meno consuete, avevo richiamato l’attenzione su una complessa ed eterogenea fenomenologia del culto da leggersi in connessione non soltanto con la realtà preromana e con il processo di romanizzazione – i momenti, a mio avviso, più significativi e identitari della storia antica di questo territorio – ma altresì con la specificità geografico-territoriale e le modalità di formazione e trasformazione della realtà poleica. La cultualità pagana della Cisalpina occidentale si articolava - secondo quella ricostruzione che, a distanza di più di dieci anni, mi sento di confermare - in una gamma molto ampia di espressioni di devozione che si collocavano tra quella ufficiale, conformista e proiettata verso il culto imperiale, e quella indigena più o meno assimilata e interpretata. Nella fase della romanizzazione, la dispersione antropica e la ridotta identità culturale proprie della realtà celto-ligure, non oppose ostacoli alla diffusione della religiosità ufficiale, che infatti occupò gli spazi lasciati liberi dalla preesistente cultura indigena; d’altro canto, lo stato romano non appariva impegnato in modo programmatico ad orientare i contenuti teologici e rituali dei culti indigeni: lo sfruttamento in senso politico-ideologico di tali culti avveniva soprattutto per assicurare un consenso unanime intorno al culto imperiale, lasciando sostanzialmente in vita i singoli culti locali che apparivano compatibili con la religione romana. Le forme di ‘resistenza’ verso il potere centrale, che potevano esprimersi attraverso l’attaccamento ad una devozione 1

Giorcelli Bersani 1999. In generale, ma si tratta di contributi ormai datati: Pascal 1964; Hatt 1975-1976; Chirassi Colombo 1975-1976; alcuni studi particolari sulle forme di cultualità, ufficiale e interpretata, nelle regiones IX e XI: Landucci Gattinoni 1986; Mennella 1989; Ercole in Occidente 1993; Iapella Contardi 1998; Mennella 1998a; Mennella 1999a; Binazzi 2008; Finem dare 2011.

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Il viaggio della fede

popolare preesistente alla romanizzazione, erano episodiche e sono state decisamente sopravvalutate in letteratura (l’ho fatto anch’io, in un eccesso di interpretazione): esse si spiegano più in relazione alla separatezza geografica di aree di montagna o di valle che in relazione a fenomeni coscienti di resistenza, di geistige Widerstand.

Il sistema organizzato di culto al principe, o meglio alle prerogative imperiali, venne esportato massicciamente da Roma in tutte le realtà conquistate e in tutte le comunità dell’impero, le quali ne fecero strumento primo di attestazione della loro lealtà verso il regime e espressione della gratitudine per i benefici ricevuti dall’imperatore2. Ovunque si attivarono iniziative volte a sostenere e a diffondere la religio del principe e i culti più fortemente rappresentativi della res publica. Un culto ufficiale come quello di Iuppiter Optimus Maximus trova ripetute attestazioni in area subalpina e una funzione analoga esprimono altri culti ufficiali del pantheon romano i quali spesso si connotano – in sede locale – dell’aggettivazione Augustus/a, utilizzata nella prospettiva di collegare la devozione alla divinità ufficiale con la devozione al principe secondo un elementare meccanismo di estrinsecazione lealistica: gli esempi piemontesi offrono Silvanus Augustus, Diana Augusta, Mercurius Augustus, ma pure Iuppiter Poeninus e Iuppiter O. M. Poeninus attestato sul Gran San Bernardo, che rappresenta un caso peculiare di interpretatio romana fortemente piegata a finalità politico-ideologiche in età augustea3.

Il realtà, il discorso non è così semplice, come sa chi lavora sulla documentazione epigrafica e conosce il territorio: non si possono ignorare possibili tendenze autonomistiche delle comunità che si sarebbero espresse attraverso predilezioni cultuali indigene appena ammantate di ufficialità (si pensi al Genius municipii Segusinorum)4, mentre spesso, nei contesti periferici, certi culti ufficiali rimandavano dichiaratamente a fenomeni di assimilazione con divinità indigene (si pensi alla Vittoria Augusta che di romano-italico aveva assai poco, diffusa soprattutto in contesti prealpini, interpretava forse una divinità femminile celtica: insomma difficile non pensare, in riferimento alla Vittoria cisalpina, al frutto di una rielaborazione locale che non soltanto interpretava la divinità attraverso categorie teologiche ancora di sostrato e che ne esprimeva in modo assolutamente originale l’iconografia)5.

Certo è che nelle comunità, a nord come a sud del Po, la presenza di collegi augustali è massiccia, sono attestati flamini, minervali ed è presente an2

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Sul significato di culto imperiale sono illuminanti le precisazioni di Scheid 2001; Nuove ricerche sul culto imperiale 2008 che esamina le dediche a imperatori viventi e divinizzati, le testimonianze di addetti al culto imperiale, le attribuzioni dell’epiteto augustus/a alle divinità del pantheon greco-romano (sia di origine orientale sia di origine locale), gli edifici di culto, le implicazioni politiche del culto imperiale in ambito cittadino.

Un censimento recente delle tavolette votive in Wiblé 2008.

CIL, V 7234, 7235 = ILS 3590.

Mennella 1989.

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Sopravvivenze di paganesimo nel Piemonte romano

che il sacerdozio femminile alle Augustae (flaminicae, sacerdotes, magistrae): è stato osservato come tale associazionismo si configurasse come una sorta di apprendistato per l’élite indigena scarsamente romanizzata, nella prospettiva di una sua cooptazione a pieno titolo ai vertici politici della città6, come a dire che attraverso la militanza a favore del culto imperiale passava il riscatto giuridico e sociale degli individui.

Il Piemonte era, ed è, una terra di montagne, cioè di contesti marginali, di valichi e di strade e questa realtà corografico-ambientale ha determinato la fisionomia sociale, economica e culturale dell’intera regione; analogamente, la viabilità ha scandito fasi di sviluppo o di stagnazione, ha garantito nel tempo lo scambio economico, ha veicolato le trasformazioni e le concrezioni culturali e ideologiche7. Lungo le strade e i valichi perciò è andata disponendosi e distribuendosi una cultualità ora occasionale, ora strutturata e variamente organizzata ma che in relazione al passaggio è prosperata e si è funzionalizzata8: in tal senso, G. Mennella, in uno studio sugli itinerari di culto nel Piemonte romano, aveva identificato come peculiari i complessi vallivi delle Alpi Marittime, della Dora Riparia e l’area a nord di Novara9. Proprio in relazione a queste direttrici, si ricordano i culti alle Matrone, concentrati lungo la via verso le Gallie, nel Novarese ancora lungo le direttrici di collegamento verso i passi alpini: qui si concentravano sacelli e soste cultuali ove un’umanità varia poteva lasciare traccia della propria fede, chiedendo alle dee sostegno e aiuto per la salute, per la buona riuscita di un viaggio o di una transazione commerciale. Poi, sempre a titolo esemplificativo, si pensi all’Ercole cisalpino protettore dei luoghi di passaggio e degli empori, al già citato Poeninus, al Marte Leucimalacus e all’Apollo Belenus, e così via.

Se è vero che il complesso della documentazione sacra denuncia una significativa presenza di culti ufficiali che si possono inquadrare in un progetto di utilizzazione della religione come supporto, anche in zone periferiche, per l’organizzazione e conservazione del sistema-impero, è altrettanto vero che all’interno di questo quadro sopravvivono alcuni fenomeni di cultualità la cui interpretazione è complessa e non univoca. Alludo ovviamente alla devozione locale fortemente radicata nelle tradizioni del territorio, confinata in ambienti marginali e lontani dai luoghi di globalizzazione dei fenomeni culturali. Penso, per fare qualche esempio, alla coppia epicoria Rubacascus e Robeo(n?) che esisteva senza processo assimilativo10; allo splen6

Si rimanda ai lavori di Duthoy 1974, 1976 e 1978; Buonocore 1995; nello specifico dell’area piemontese Mennella 1999b.

7 Qualche riflessione e una bibliografia di riferimento in Giorcelli Bersani 2005 [2007].

8 Gli antichi e la montagna 2001; Giorcelli Bersani 2003.

9 Mennella 1998a.

10 AE 1891, 114 = ILS 4683 = SI n.s. 13, Roma 1996, pp. 314-315.

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Il viaggio della fede

dido Albiorix che sembra uscito da un fumetto di Goscinny e Uderzo, sulle Alpi Cozie11, ai Tincus e Moccus dalla Valle d’Ossola12, ai Dorminus/Borminus e Sueta di Acqui Terme13. Non è quasi mai possibile cogliere l’originaria vocazione numinosa di culti indigeni antichissimi, giunti ormai alla fase storica, assolutamente residuali in un panorama cultuale fortemente sollecitato dal pantheon di Roma e alla vigilia della più straordinaria trasformazione culturale che la storia dell’Occidente abbia conosciuto. Merita solo ricordare, in funzione delle considerazioni che formulerò tra poco, che il Piemonte romano offre una notevole eterogeneità e varietà di espressioni cultuali coerente con l’eterogeneità dei paesaggi e dei processi di romanizzazione, e coerente con la realtà cittadina fortemente strutturata che convive con modalità insediative sparse. L’insieme delle testimonianze devozionali mostra, per la prima età imperiale, un quadro di religiosità assai ordinaria, che concede molto al conformismo dei culti ufficiali e che convive con forme di religiosità locale e di nicchia; nelle città, le strutture di governo elaboravano in senso lealistico i culti della tradizione, qui prosperavano collegi impegnati nel culto imperiale, le flaminiche si occupavano del culto alle Auguste, sorgevano capitolia, templi e sacelli; fuori dalle città, dove gli insediamenti erano dispersi, dove i curiali avevano i loro possedimenti e le ville, la devozione si orientava anche verso divinità private e locali e spesso si coagulava in santuari rurali ubicati in luoghi di antichissima spiritualità o in zone logisticamente strategiche. Nelle nicchie sopravvivevano, indisturbati, culti e pratiche di tradizione celto-ligure che, per il carattere non esclusivo del politeismo romano, si conservavano nella più totale indifferenza da parte del potere romano.

Come si vede, questa singolare complessità cultuale pone la Cisalpina occidentale non ai margini dell’attenzione per lo studio delle trasformazioni culturali della civiltà romana e va tenuta presente nel momento in cui si affronta lo studio della nascita e delle modalità di diffusione del cristianesimo.

Culti egizi in Liguria In questo orizzonte di culti romani e di culti indigeni, di spiritualità globalizzate e di nicchia, di religioni di città e religioni di campagna, esisteva un’enclave cultuale di assoluta originalità che si preservò ben oltre la prima età imperiale, che finì per convivere, in qualche modo, con il cristianesimo e sulla quale occorre fare qualche riflessione specifica.

Nell’area cispadana che qui interessa era ben radicata, almeno a partire dal I secolo a.C., la devozione alle principali divinità egizie, Iside, Arpocrate 11 Finocchi 1994, pp. 25-26; Cimarosti 2008.

12 CIL, V 6650; Mennella 1992, pp. 26-31.

13 Finocchi 1994, pp. 39-40, CIL, V 7504 = SI n.s. 25, Roma 2010, pp. 95-96.

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Sopravvivenze di paganesimo nel Piemonte romano

e Serapide: essa era stata importata da alcune famiglie mercantili di origine patavina, i Lollii e gli Avilii, che si erano stabilite nell’Occidente padano per ragioni commerciali e qui avevano esportato i loro culti privati14. Per ragioni strategiche, Lolli e Avili scelsero di occupare il territorio nei pressi dell’antico centro celto-ligure di Bodincomagus, un porto fluviale (bodincus) sulla riva destra del Po in posizione favorevole rispetto alla confluenza dei fiumi Stura, Orco e Dora Baltea; non si può dimenticare che la valle d’Aosta era un florido mercato di metalli preziosi, legname e schiavi e il porto di Bodincomagus da sempre esercitava il ruolo di tramite per veicolare merci lungo la direttrice padana15. Tale ruolo fu poi assunto da Industria, fondata su o nei pressi di quel centro indigeno, si pensa intorno al 124-123 a.C., in occasione del grande piano di conquista della regione monferrina avviato dal console graccano M. Fulvio Flacco16. L’ingresso della devozione isiaca in Piemonte si deve dunque a un precoce e specifico intervento allogeno: soltanto in età augustea, però, tale devozione si strutturò in modo straordinariamente articolato nel centro industriense. Questo è un dato che sorprende, in considerazione della vivace propaganda antiegizia promossa da Augusto (e poi da Tiberio) e dei provvedimenti emessi dal principe che miravano a estromettere dal pomerium le manifestazioni pubbliche di devozione isiaca.

Ma Roma era lontana e nel privato ciascuno agiva secondo coscienza. Nella periferica Industria quindi, grazie alla devozione e all’evergesia di due gentes patavine e a dispetto della grida imperiali, si creò una struttura templare straordinaria che aveva pochi confronti in Italia - dove esistevano numerosi Isea, a Roma, a Ostia, a Tivoli, a Pompei; nell’Italia settentrionale le attestazioni epigrafiche sono numerose specie nell’area altoadriatica ma l’unico centro di culto delle divinità egizie, sorta di vera e propria città-santuario, è quello industriense17. Nella prima fase, di età augusteo-tiberiana, si definì la struttura templare dedicata a Iside, molto articolata, ispirata a modelli africani, strettamente connessa con l’impianto cittadino; in età adrianea, l’area sacra subì un’importante ristrutturazione e all’Iseo più antico fu aggiunto un Serapeum: l’assenza a Industria di strutture difensive, di mura e di porte urbiche, di impianti termali pubblici, di strutture ludiche suggerisce l’ipotesi di una vita cittadina completamente concentrata intorno all’area sacra.

In realtà, nonostante la forza d’impatto delle strutture templari monumentali, la cultualità dell’area subpadana continuava a indirizzarsi verso divinità tradizionali: l’epigrafia sacra delle comunità vicine a Industria igno14 Su Industria: SI n.s. 12, Roma 1993, pp. 33-63 e il vol. 11, 1993 dei Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemone (QSAP); per la prosopografia industriense e per i legami di Avili e Lolli con il culto isiaco soprattutto Cresci Marrone 1993a, 1993b, 1994; Bronzi da Industria 1998. Industria città romana sacra a Iside, 2011.

15 Mandolesi 2009, p.34 16 SI n.s., 12, Roma 1992, p. 36, Balbo, 2013.

17 Iside 1997; Fontana, Murgia 2010.

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