Giuseppe de Finetti: una moderna classicità

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POLITECNICO DI MILANO

Scuola di Architettura, Urbanistica, Ingegneria delle Costruzioni

Corso di Laurea Triennale in Progettazione dell’architettura

Giuseppe de Finetti: una moderna classicità

Relatore: Prof. Marco Stefano Biraghi

A cura di: Gloria Maria Crisogianni

matricola: 868644 Anno Accademico 2019-2020

Indice

• L’attualità del metodo.

• Avanguardie e tradizione nella Milano del Secolo Breve.

• Le case del giardino d’Arcadia.

• La progettazione tra conoscenza della storia e necessità tecnica.

• Milano Risorge. Progetti per la

• ricostruzione

• Elaborati grafici

• Bibliografia

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2. Le case del giardino d’Arcadia.

Nell’estate del 1924 Giuseppe de Finetti deposita presso l’ufficio tecnico del comune di Milano il progetto per il complesso dei Giardini d’Arcadia che egli inaugura con la società da lui stesso fondata con il nome di “Giardino d’Arcadia”.

L’intervento prende il nome dal giardino in cui si trova, uno dei meglio conservati della cultura milanese illuminista, che all’inizio del 1700 aveva ospitato gli appuntamenti letterati degli accademici d’Arcadia milanesi: il giardino di Palazzo Pertusati-Melzi. Questo giardino privato voluto dal Conte Pertusati nel 1737 rischiava di scomparire a causa di un piano di lottizzazione per la costruzione di una nuova arteria che congiungesse Piazza Cardinal Ferrari a Corso di Porta Romana, l’attuale via Marchiondi, fortunatamente mai portata a termine.

La necessità di de Finetti di salvaguardare l’antico giardino d’Arcadia è da ricondurre alle sue idee architettoniche e urbanistiche: uomo estremamente integerrimo spesso scambiato per un carattere difficile, ma appassionato dell’indispensabile gerarchia delle cose, egli auspica in un ritorno ai valori culturali e civici di una borghesia illuminata che assolva a pieno il suo ruolo di portatrice del progresso basandosi su una forte conoscenza delle tradizioni della città neoclassica.

Il complesso dei giardini d’Arcadia è l’unico intervento realizzato da de Finet ti per salvaguardare una serie di giardini storici della città, messi a repentaglio dal Piano Pavia-Masera del 1912 e successivamente anche dal Piano Albertini del 1934.

Il Pavia-Masera prevede un forte aumento della densità edilizia a discapito di un alto numero di giardini privati che fino a quel momento avevano contribuito a rendere migliore la città, de Finetti propose infatti anche la salvaguardia di una parte del giardino Perego con l’intervento in via dei Giardini , che si presenta simile a quello proposto per il giardino d’Arcadia19

Infatti, de Finetti ritiene fondamentale l’unione del progetto urbanistico e quello architettonico: nel complesso abitativo dell’Arcadia ne abbiamo una valida conferma, poiché attraverso un cauto rinnovamento della città tradizionale e grazie alla prima sperimentazione di una nuova tipologia abitativa – quella della casa in condominio – destinata però ad un’utenza alto-borghese, de Finetti riesce a inserire la salvaguardia e la tutela di uno dei giardini privati più antichi della città.

Il progetto viene presentato nell’estate 1924 come variante all’ultimo piano regolatore valido in città – il Piano Pavia-Masera del 1912.

Il Piano Pavia-Masera, redatto dall’ingegnere Angelo Pavia e Giovanni Masera nel 1912, riprendeva il modello di crescita del Beruto, declinandolo in base alle migliori condizioni del territorio e dei lotti necessari. Con la già ben nota trama a ragnatela, si tenta di edificare tutte le zone tra la nuova circonvallazione esterna e l’anello ferroviario.

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traversati da nuove strade il giardino Serbelloni e quello Sormani. Inoltre, secondo de Finetti, sia il Piano Masera che il piano precedente, ossia il Piano Beruto, erano entrambi comunemente lontani dalle teorie sittiane di sviluppo di un piano20 (di cui egli era fervido sostenitore), ed anche entrami estremamente tecnicistici, inoltre e soprattutto mancanti di un ragionamento sulle vie di comunicazione urbane su scala regionale.

All’interno del periodo di validità del Piano Masera si svolgerà il concorso del 1927.

De Finetti stesso spiega all’interno dell’opera Milano Risorge il suo punto di vista sugli interventi del Pavia-Masera: “ è da ricercare in quel piano, in quel momento l’origine dell’insania di <<lottizzare>> i giardini privati per agevolare la speculazione edilizia, mentre il tema della loro conservazione avrebbe dovuto essere posto e risolto dal Comune in modi tempestivi e concreti (…)da quel seme derivò in anni recenti la via dei Giardini dove tutti i giardini furono dilaniati, spezzettati, uccisi. Oggi c’è chi protesta, chi piange su questi malanni lacrime più cocenti di quelle che costarono all’animo civico le rovine recate dalla guerra; ma conviene che costoro sappiano che la colpa del male risale ad una burocrazia inetta e ad una classe dirigente mediocre, che approvò quei piani.

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Fig. 8 Planimetria di Progetto,“Giardino d’Arcadia” 19, luglio 1924.

Tutti i giardini che il piano Masera candannò attraversandoli con inutili strade nuove - il giardino Serbelloni dilaniato dalla via Mozart, il giardino Sormani impoverito dalla via Andreani - avrebbero potuto agevolmente essere acquistati dal Comune, senza sforzo finanziario rilevante, man mano che veniva cessando nei vecchi padroni la possibilità di conservarli a decoro del palazzo e del catasto21”.

L’intervento dei giardini d’Arcadia nasce con l’intento di costruire cinque edifici per circa 400 locali di abitazione civile, i quali secondo le prescrizioni del Piano Pavia-Masera sarebbero dovuti essere dilazionati in un relativamente breve periodo. De Finetti riesce a salvare grazie all’approvazione del suo progetto variante (episodio che mai si ripeterà) sia il cedro di Libano che altre piante del giardino; delinenando e valorizzando quest’ultimo con le nuove abitazioni signorili. Il cedro di Libano rappresenta un aspetto progettuale molto interessante che spiega i principi architettonici dell’architetto, infatti volendosi garantire la massima libertà progettuale de Finetti acquista il terreno per le nuove abitazioni con la società da lui stesso fondata per condurre il progetto.

“Dei mq 10.400 che il giardino Melzi misura, meno di 1\5 viene destinato alle costruzioni nuove, che in parte già insistono su area già prima d’ora occupata da stabili: una serra ed una casa rustica del giardiniere22”. Il complesso abitativo rielabora il brano di città tra via San Calimero, Piazza Cardinal Ferrari e Corso di Porta Romana nel suo insieme ed indica il metodo di progettazione usato da de Finetti e applicabile secondo lui per l’intera città: ossia riconoscere e valorizzare la complessità della forma urbana e distinguerla dalla crescita fondiaria dei primi anni Venti.

Partendo da un’analisi della conformazione del giardino de Finetti arrivò alla composizione di un impianto urbano complesso e strutturato che prevede appunto la realizzazione in un primo momento della Casa della Meridiana e in un secondo momento della Casa a proprietà suddivise di Via San Calimero, 17.

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Fig. 9 Giardino d’Arcadia.

2.1. La Casa della Meridiana: abitare in ville sovrapposte.

De finetti inaugura e sviluppa il tema delle “ville sovrapposte” all’interno della corrente architettonica del Novecento Milanese. Il volume dell’edificio aumentando di piano si svuota per dare posto a tre terrazzi di diverse dimensioni, che corrispondono con le dimensioni della sala del piano inferiore, compensandosi con la masse del grande cedro di Libano centenario. La composizione delle facciate riprende i temi della classicità a cui l’architetto è molto legato: le colonne, il loggiato, le cornici marcapiano, usandoli però in maniera differente rispetto agli altri esponenti del movimento del Novecento (riducendoli a mera decorazione come avrebbe fatto Muzio, oppure eliminandoli direttamente come avrebbero fatto Ponti o Portaluppi, de Finetti li inserisce cautamente facendo fede agli insegnamenti del maestro Adolf Loos. Infatti, viene proposto un prospetto tripartito orizzontalmente, ma anche con 3 diverse profondità che individuano la geometria della facciata e formato da un basamento (comprendente piano terra, piano interrato e piano ammezzato, il quale presenta un a zoccolatura che segna gli angoli con lastre di bardiglio scuro e intonaco freddo), gli elementi orizzontali (balconi), le cornici marcapiano realizzate in bardiglio scuro, mentre le aperture delle finestre sono in marmo di carrara bianco.

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La geometria delle finestre in tutti e tre i prospetti (Nord – Sud – Est) è individuabile attraverso degli assi di mezzeria delle aperture continui lungo tutta la facciata che coincidono con degli assi di simmetria rispetto a dove vengono aperte le finestre.

In generale, i prospetti di Casa della Meridiana tengono conto delle esigenze degli spazi interni al fine di favorire la miglior esposizione solare, le terrazze fiorite ed orientare verso il giardino diventano così dei giardini pensili e portano all’interno dell’architettura milanese uno dei topoi tipici dell’architettura mediterranea.

Tutti gli appartamenti infatti, sono dotati di una zona di servizio a nord, mentre i locali a giorno sono posti sul prospetto sud: anche se la disposizione degli ambienti viene studiata per rispondere alle singole necessità di ogni inquilino, in modo da far risultare ogni piano una villa di particolare carattere e riuscire a fondere insieme il tema della villa e del palazzo di città.

Una delle maggiori innovazioni che de Finetti impara dal suo studio della tipologia alberghiera e riporta nella Casa della Meridiana è la scomparsa delle scale padronali a favore dell’ascensore.

Quest’ultimo per de Finetti rappresenta l’ascensore come un moderno mezzo destinato a rivoluzionare la tipologia abitativa, non com’era visto dai progettisti futuristi come un oggetto dinamico dotato solo di aspetti formali; l’ascensore dà la possibilità di accedere direttamente alla propria abitazione senza luoghi o possibilità d’incontro con gli altri inquilini del palazzo, ottenendo un senso di privatezza e comfort ricercato solo per gli alberghi.

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I Piani della facciata La geometria della facciata Le cornici La geometria delle finestre Gli elementi eccezionali Il basamento e le ville

Inoltre, l’eliminazione delle scale padronali dà sia la possibilità di risparmiare spazio da destinare al taglio degli appartamenti per una committenza alto-borghese (alcuni dei destinatari di Casa della Meridiana sono: il console inglese James Henderson, Erordo Aeschliman, Giovan Battista Aeschliman, nipoti di Ulrico Hoepli) sicuramente più incline ad ospitare nei grandi salotti che ad incontrarsi in luoghi pubblici o di passaggio; la scala pubblica collettiva a disposizione di tutti da sempre indica uno dei luoghi del percorrere ma anche dello stare e interagire con gli altri. Inoltre la presenza esclusiva dell’ascensore aggiunge dal punto di vista della rendita la possibilità di equiparare i valori degli appartamenti nei vari piani, solitamente vengono preferiti i piani inferiori, ma con l’introduzione dell’ascensore si ha il ribaltamento dei valori a favore degli appartamenti superiori per la possibilità di maggior silenzio, arieggiamento e soleggiamento.

Ma la vera modernità che contraddistingue le case del giardino d’Arcadia è il trattamento degli spazi in modo estremamente intelligente e studiato per garantire la massima comodità, de Finetti infatti disegna su misura ogni arredamento possibile e i dettagli di finitura degli interni; quando non può disegnarli lui stesso, seleziona comunque l’arredamento da un unico produttore e totalmente in armonia.

Posiziona scaffalature ed armadi a muro per organizzare i guardaroba e le cabine armadio delle stanze padronali, i quali vengono pensati come elementi di attrezzatura degli spazi.

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Fig. 10 Atrio di ingresso Casa della Meridiana.

I passa-stoviglie e monta-vivande invece sono posizionati tra le stanze di servizio ed i ripostigli, mentre gli impianti tecnici di condizionamento d’aria, riscaldamento e distribuzione dell’acqua calda sanitaria sono concentrati nel piano semi interrato, facilmente ispezionabili dal personale di servizio.

De Finetti è uno dei primi Novecentisti ad introdurre la tipologia dell’appartamento duplex, che in questo caso viene posto alla base dell’edificio, coincidente con il piano rialzato ed il primo piano, mentre per il resto del complesso ogni piano corrisponde ad un singolo appartamento. Il duplex di Casa della Meridiana al piano rialzato si sviluppa attorno a una hall posta a centro di locali di rappresentanza, i quali si affacciano tutti verso il giardino e sono nettamente divisi dai locali di servizi, dotati di un loro ingresso indipendente. Il mezzanino è lo spazio dell’abitazione tradizionalmente intesa, con le stanze dal letto della famiglia ed è diviso per gruppi di stanze: della servitù, degli ospiti, dei bambini e dei genitori, ciascuno dotato dei propri servizi; ed il soggiorno della famiglia, accessibile direttamente dalla hall e dotata di un piccolo angolo bar.

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Primo piano Secondo piano Terzo piano Quarto piano Sotterraneo Piano terreno Piano ammezzato

In un primo momento l’edificio di via San Calimero non era previsto nelle proposte progettuali di de Finetti; viene introdotto dopo la crisi del 1929 che mette a rischio tutta l’operazione immobiliare: viene lottizzato anche questo ambito al fine di salvaguardare l’investimento, che comunque alla fine vedrà il fallimento della società d’Arcadia fondata da de Finetti stesso per poter gestire totalmente l’intervento. A differenza di Casa della Meridiana, che de Finetti arretra rispetto al filo stradale, il fabbricato di via San Calimero viene allineato con la strada occupando un lotto lungo 24 metri e profondo 20 metri e presenta sette piani fuori terra. Il basamento dell’edificio coincide infatti, con una serie di garages che de Finetti realizza in quanto profondamente convinto dell’importanza che la macchina avrebbe assunto sia all’interno delle famiglie, sia nelle abitazioni.

Il prospetto principale, posto ad ovest, oggi si presenta davanti ad un’area pedonale realizzata tra il 2007 ed il 2011, successivamente ai lavori per la realizzazione di un parcheggio multipiano interrato, mentre quando il fabbricato su realizzato via San Calimero si presentava come un’arteria stradale di collegamento tra la prima e la seconda circonvallazione.

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2.2. Casa di via San Calimero 17: l’innovazione compositiva applicata alle “proprietà suddivise”

L’ingresso è posto sul terminale destro dell’edificio, da cui si accede a l’unico “scalone padronale” rivestito di marmo posto in un atrio a doppia altezza il quale si interrompe nel piano rialzato dove una galleria si sviluppa ortogonalmente all’accesso.

La galleria, con ampie vetrate, smista due studi: il primo posto sul lato tergale, mentre il secondo sul lato stradale; l’ascensore padronale, la scala di servizio e l’ascensore di servizio, ed infine l’abitazione e la postazione del portinaio. Tutto questo fa del pianterreno un’area di ingresso altamente differenziata, spazialmente ed architettonicamente.

Tutti i prospetti subiscono una eliminazione delle decorazioni presenti in elementi classici, caratterizzandosi per uno stile sobrio.

Il prospetto ovest è tripartito orizzontalmente, come in Casa della Meridiana: l’attacco a terra è rimarcato da una zoccolatura in granito che segna i garages, superiormente parte una coppia di lesene di ordine gigante che inquadrano i due lati dell’edificio per il piano rialzato e il primo piano. La parte centrale del prospetto, si sviluppa a partire da una trabeazione liscia evidenziata da un corrente di marmo sulla linea del davanzale, è piana ed alta tre piani, dove l’unica alternanza è data dai pieni e vuoti delle aperture, di forma e dimensione sempre uguale. Sempre un’altra fascia marcapiano evidenzia lo stacco tra il coronamento e la parte centrale, coincidente con l’appartamento duplex, mentre un ordine gigante inquadra i due livelli delle aperture e mantiene il ritmo dei pieni e vuoti con la parte centrale.

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I Piani della facciata Le cornici La geometria della facciata La geometria delle finestre

Il disegno degli infissi, con bipartizione verticale ad apertura basculante ne limita lo slancio verticale.

L’edificio termina con una sequenza di ombre più marcate che prelude al tetto piano, mentre è rifinito ad intonaco liscio di colore beige chiaro23 e grigio chiaro, dove sono presenti le lesene.

La necessità di una nuova costruzione viene presa da de Finetti come l’occasione di sperimentare ulteriormente il tema delle “ville sovrapposte”: cioè la riproduzione in serie verticale di appartamenti con alti standard di comfort e di qualità architettonica.

Il taglio degli appartamenti è infatti di circa 300 mq, ricavati anche grazie alla scelta compositiva che de Finetti riprende da Casa della Meridiana di eliminare lo scalone padronale a favore dell’ascensore, così come riprende anche alcune soluzioni distributive di stampo loosiano, con ambienti comunicanti senza spazi di distribuzione come i corridoi, e dei timidi accenni di raumplan, caratterizzato da variazioni di quota della sala da pranzo rispetto alla sala centrale della casa.

La mancanza dello scalone tradizionale garantisce per i singoli alloggi (uno per piano) un forte elemento di privacy, poiché dall’ascensore (dotato anche di una seduta) si raggiunge direttamente l’atrio di ogni dimora senza neppur vedere le porte d’ingresso degli altri appartamenti. La percezione che si riceve è infatti quella di vivere in una villa fuori dal contesto cittadino, ma con tutti i comfort che la città offre; capita spesso agli inquilini di non incontrarsi per settimane e solo il portinaio conosce la reale occupazione di ogni appartamento.

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Fig. 12 Galleria d’ingresso Casa a proprietà suddivise.

La pianta del piano tipo, ripetuto solo per quattro piani, è diviso nei tre soliti ambiti: gli ambienti notturni, gli ambienti diurni e quelli di servizio.

Come in Casa della Meridiana la vera modernità degli appartamenti è data dall’uso sia delle murature portanti, sia dalle pareti divisorie interne come elementi di attrezzatura degli spazi attraverso l’uso di armadi a muro, cabine armadio (negli ambienti notturni), pareti attrezzate e ripostigli.

Inoltre, sia Casa della Meridiana, che la casa di via San Calimero 17 portano il segno di una grande guerra di de Finetti: l’eliminazione del solaio. Questo infatti era definito dall’architetto come inutile, polveroso e fuori mano ed inoltre simbolo di un’architettura ormai superata, la quale troppo insistentemente cercava di decorare anche ambienti inadatti come il solaio.

L’appartamento duplex occupa gli ultimi due piani della casa, il piano inferiore è adibito a zona giorno, sono presenti grandi sale tutte raccolte attorno alla grande hall centrale (oggi sala da pranzo); mentre il piano superiore comprende dal prospetto su via San Calimero le camere da letto padronali, separate dai rispettivi guardaroba da un corridoio di distribuzione che termina con le camere da letto del personale domestico. Entrambi i piani sono dotati di balconi e terrazzi che sfruttano e migliorano il soleggiamento degli ambienti coperti e costituiscono il vero vantaggio rispetto agli appartamenti inferiori.

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Appartamento duplex piano inferiore Appartamento duplex piano superiore

Ciò che davvero si distingue sia in pianta che in prospetto, è la scala interna sagomata a semicerchio, aperta sulla galleria dell’ultimo piano è illuminata da uno stretto nastro di finestre (dal quale oggi è possibile avere un’ottima visione della costruzione di Ignazio Gardella del 1949-1955) al di sotto del tetto, apribile a distanza, che inquadra distintamente un semicilindro sulla facciata tergale.

Tutto il palazzo esprime all’esterno come all’intero le caratteristiche dell’architettura di de Finetti, di discreta e classica eleganza, ma soprattutto di una modernità ricca di risorse per la comodità e la qualità spaziale senza mai eccedere in decorazioni fini a se stesse. Esso evidenzia l’attenzione per gli esponenti del novecento Milanese verso un’edilizia abitativa intensiva urbana ma di notevole qualità architettonica e urbanistica.

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Fig. 12 Scala elicoidale appartamento duplex,Casa a proprietà suddivise.

“Unpiano urbano èper una parte invenzione,per una parte deduzione, come ognicompito architettonico. Unpiano urbano èopera d’arte, sostanziata di molteplici concretezze e ragioni determinanti, in esso deve sintetizzarsi una congerie di fattori, daquellogeografico a quello storico, daquellodemografico a quello cinematico, daquello economico a quello finanziario”24

Le proposte architettoniche di de Finetti difficilmente hanno trovato la possibilità di essere realizzate, soprattutto a causa del suo dichiarato antifascismo. Molto più prospera risulta invece, la produzione di studio della storia di Milano e la produzione della sua visione della Milano del 2000, che oggi chiameremo ‘’thinking city’’. Tutto lo studio prodotto da de Finetti prende il nome di “Milano risorge”, quest’opera però vede la luce solo nel 1969, con la rielaborazione dei contenuti per volontà dell’amico e committente Raffaele Mattioli, la moglie Thelma de Finetti e degli architetti e studiosi milanesi: Giovanni Cislaghi, Mara de Benedetti e Piergiorgio Marabelli. Con il titolo Milano costruzione di una città, opera che continua ad oggi ad essere la più completa e convincente enciclopedia sulla città meneghina.

De Finetti basa il suo studio dell’urbanistica totalmente nella speranze di un mito borghese basato su una tradizione quasi illuminista e sulla comprensione dei problemi della città attraverso tre principali aspetti: il primo, la conoscenza della storia in quanto unica possibilità per analizzare l’evolversi dei fatti urbani; il secondo un approccio molto tecnico verso le questioni legate al commercio, ai trasporti, all’igiene urbana, ed il terzo l’importanza di osservare i monumenti in quanto cardini della nuova città.

Riferimento costante per de Finetti è appunto il piano neoclassico del 1807, piano che discende da un pensiero borghese- illuminista forte di un’idea di città ottocentesca simile a quella di Camillo Sitte.

Il piano fu elaborato dagli architetti G. Albertolli, L. Cagnola, L. Canonica, P. Landriani, G. Zanoia; esaminato da Napoleone stesso non ampia la città all’esterno delle mura spagnole ma si basa sull’apertura di grandi “rettifili” orientati da Sud-Ovest a Nord-Est (via Torino, corso di Porta Romana, Via Dante e Via Orefici) e sulla creazione e l’ampliamento di piazze ben proporzionate e inquadrate dai precedenti rettifili. Attorno alla piazza del Duomo (piazza Scala, piazza Cordusio, piazza dei Mercanti, la stessa piazza del Duomo che venne ampliata, piazza Sant’Eufemia, Piazza Missori, Largo Richini e Piazza Fontana) al fine di aprire la città verso il territorio e di modificare la struttura rigidamente monocentrica.

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3. La progettazione tra conoscenza della storia e necessità tecnica.

Cosicché il punto fondamentale per le riflessioni urbanistiche di de Finetti rimane il dato che Milano, per quanto si stia trasformando in una metropoli, resti sostanzialmente una città monocentrica, con il suo fulcro principale appunto nella sua Cattedrale, chiusa entro la fossa interna e con poche ramificazioni tra Naviglio e Bastione.

In Costruzione di una città de Finetti spiega il suo punto di vista sugli architetti promotori del Piano, che egli ritiene più preparati di alcuni storici:” Grandi tessitoriquesti architetti, che creano un nuovo arazzo tutto leggibile e tutto meditato lavorando di rammendo su una stoffalogorata dai secoli, di cuidegli storiciquali Giulini, un Verri, un Fumagalli non avevano saputo comprendere né le fasi, né le ragioni disviluppo. […] Per essi la città era la città, il Duomo era il Duomo; le due entità dovevano e potevano armonizzare le loro trame geometriche discordi in un complesso di vuoti e pieni che si direbbe eminentemente flessibile”.

Ma il piano venne presto dimenticato negli archivi, a causa delle difficoltà economiche sopraggiunte dopo le campagne militari napoleoniche; infatti dal 1859 al 1889 Milano s’ingrandì senza un piano regolatore, una grande parte delle belle case private della cerchia dei Navigli sorgono nei sette lustri della seconda dominazione austriaca.

Agli occhi di de Finetti i punti fondamentali di questo Piano sono:

1) un chiaro indirizzo circa la riorganizzazione delle arterie stradali sia interne che esterne alla città;

2) il sistema delle piazze;

3) un piano finanziario di sostegno ben congegnato.

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Fig. 13 Piano Beruto, 2a versione, 1889.

Nell’analisi del Piano Pinchetti, che de Finetti porta avanti nella sua opera, è molto evidente del Der Stadtebau di Sitte, del quale cura alcune traduzioni pubblicate su L’Ambrosiano25 del 1939. “Nonappena questi sventuratipianiregolatori sono tracciati sulgrafico ufficiale, divenendo ilprotocollo catastaleper la vendita al minuti di un sistemad’appezzamenti edilizi, ecco che viene a cessare ognipossibilità di inserire mai e poi mai nelquartiere cosìimpostato alcunché dipregevole26”.

Nella progressiva analisi dei Piani per Milano che de Finetti raccoglie in Costruzione di una città, non risparmia critiche per i piani che accentueranno il monocentrismo della città, ovviamente tra questi il primo risulta essere il Piano Beruto, del quale il nostro architetto riprende un commento del redattore stesso su come egli immaginava la città:” La pianta della nostra città, in piccola scala, presenta molta somiglianza con la sezione di un albero; vi si notano assai bene i prolungamenti e gli strati concentrici. È una pianta assai razionale che ha esempio nella natura; non si è fatto quindi che darle la voluta maggiore estensione27”.

Il Piano Beruto viene elaborato del 1884 al 1889 dall’ingegnere Cesare Beruto; il Piano è predisposto dopo la legge urbanistica del 1865 (R.D. 2359), che permette ai comuni che contano più di 10.000 un ampiamento e risanamento ed è il Piano che più ha caratterizzato l’attuale immagine della città. Questo prevede un ampliamento possibile di 500.000 abitanti, 1900 ettari ed ipotizza la validità per 20-40 anni.

Sono prese in considerazione soprattutto, le zone del territorio Nord e Nord-Ovest, migliori per motivi altimetrici e idraulici e prevede l’espansione della città nei termini di uno sviluppo della città vecchia, ossia dall’interno all’esterno, inglobando solo le poche zone cresciute fuori le mura.

Il sistema viario è concentrico alla città storica e riprende uno schema a “ragnatela” non uniforme, frammentato dal sistema ferroviario, mentre il tessuto edilizio si presenta prevalentemente chiuso, con edifici allineati al filo stradale e di altezza dai 3 ai 5 piani.

La validità del Piano non fu rispettata, poiché le condizioni della vita cittadina cambiarono molto velocemente. La popolazione era aumentata dalle 250.000 unità previste, a 350.000 unità in soli 20 anni. Ma nella Milano dell’ormai 1909, si guardava già ad un ulteriore aumento di popolazione a 500.000 abitanti in 25 anni. Il Piano Beruto infatti viene molto criticato dal nostro, il quale lo considera come un ulteriore limite normativo per una parte del territorio comunale senza però difendere dall’iniziativa privata le aree di espansione futura del Comune.

Come prova Milano a regolare la propria crescita prima dello scoppio del primo Conflitto mondiale?

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Il Piano Pavia-Masera approvato nel 1912, perpetua secondo de Finetti nell’errore di lasciare all’iniziativa privata la possibilità di lottizzare ampie aree al di fuori del centro cittadino; de Finetti infatti propone delle varianti al Piano coincidenti con gli interventi in via dei Giardini e Via San Calimero.

Nonostante per la prima volta il Piano tenesse conto della soglia demografica di ampliamento della città, e tentasse di combattere il monocentrismo, si riprende il modello di crescita del Beruto, declinandolo in base alle migliori condizioni del territorio e dei lotti necessari.

Con la già nota trama a ragnatela si tenta di edificare tutte le zone tra la nuova circonvallazione esterna e l’anello ferroviario. L’espansione in questo caso avviene soprattutto verso Est, tracciando un vialone che va dai 30 ai 50 m di larghezza (oggi viale Lombardia).

Le ambizioni del Piano risultano però essere inversamente proporzionali alla grande disorganizzazione degli uffici tecnici comunali che hanno stilato il bando, la disorganizzazione evidente e l’insufficienza dei materiali di analisi a disposizione dei progettisti che viene fortemente criticata da de Finetti.

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Fig. 14 Piano Pavia- Masera, 1912.

3.1. Dal club degli Urbanisti a Forma Urbis Mediolani.

Come abbiamo detto precedentemente, de Finetti è il primo a parlare di urbanistica a Milano e a contribuire in modo determinante ad una nuova presa di coscienza tra l’architettura ed il contesto urbano, dal momento che l’esperienza viennese lo aveva fatto entrare a contatto con le teorie e gli insegnamenti di Camillo Sitte. Attraverso la collaborazione con Alberto Alpago Novello e Giovanni Muzio fondano nel 1926, il “Club degli urbanisti” gruppo che fa cardine al principio di progettare non solo la casa, bensì la città nella sua complessità. Nell’affrontare i nuovi problemi urbani, de Finetti ritrova, nell’urbanistica del primo Oottocento borghese, le linee di un possibile sviluppo di Milano come città moderna e cardine del proprio tessuto insediativo. In un’intervista del 1979 Alpago Novello ricorda il ruolo avuto da de Finetti nella creazione del gruppo, la sede era proprio presso casa de Finetti: “Una delleprime cose che [de Finetti] notòappena ritornato a Milano, era che nessuno insegnava l’urbanistica; […] ed abbiamo cominciato ad andare alla sera nel suo studio. […] Così è iniziato il Clubdegli Urbanisti! De Finetti aveva quellaesperienza fatta con Sitte, e naturalmente era stata una buonapreparazione. Anche noi abbiamo subito fattocapo a Sitte, e dopo due o tre anni diqueste prove, per così dire, venne costituito il Clubdegli Urbanisti.”

Grazie sempre al nostro entrarono a far parte alcuni novecentisti tra cui: Tommaso Buzzi, Ottavio Cabiati, Guido Ferrazza, Ambrogio Gadola, Emilio Lancia, Michele Marelli, Alessandro Minali, Piero Palumbo, Giovanni Ponti e Ferdinando Reggiori.

Il Club degli urbanisti trova spazio nel progetto “Forma urbis Mediolani” elaborato per il concorso del 1926-27.

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Il Masera riprende il modello di crescita del Beruto, senza superare l’anello ferroviario. Ma, con l’arrivo del Fascismo la situazione cambiò e dal 1922 molte sono le opere pubbliche (Porto di Mare, il nuovo Ospedale) alle quali si mise mano dopo l’interruzione bellica, che aveva azzerato lo sviluppo urbano.

Nel 1923 sono annessi al territorio milanese 11 comuni limitrofi (Corpi Santi), ignorando però la qualità urbana dei territori; successivamente, le podesterie fasciste che governano la Città istituiscono una gara per un Piano Regolatore Generale: cosa molto insolita perché i piani non erano realizzati in seguito ad una gara. A differenza dei piani precedenti questo per la prima volta da molta importanza al problema dei trasporti, sia cittadini che regionali, e cerca di eliminare una volta per tutte l’idea di monocentrismo che legava la città. In questo piano, che prenderà il nome di Piano Albertini, però, vi è una richiesta spropositata alla base: si chiede un’estensione della città affinchè possa essere adatta per 2.000.000 di abitanti, una quota che Milano ad oggi non raggiunge.

La giuria del concorso è presieduta dal Podestà Enrico Belloni, ed è composta da altri 23 membri28, viene divisa in due sottocommissioni relative all’aspetto artistico e quello tecnico: tuttavia non trovando alcun progetto completo, si sceglie di assegnare tre premi:

Il primo classificato è il progetto dell’architetto Piero Portaluppi e dell’ingegnere Marco Semenza con il motto “Ciòper amor”.

Il secondo classificato redatto dal Club degli Urbanisti, il cui motto è “Forma urbis Mediolani”.

Il terzo classificato con il motto “Nihil sine studio” dall’architetto Giuseppe Merlo e dagli ingegneri Giovanni Brazzola e Cesare Chiodi.

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Fig. 15 “Forma urbis Mediolani”, pianta prospettica della mura spagnole.

Il Piano Regolatore ufficiale, detto “Piano Albertini” ha maggiori analogie soprattutto con il progetto Ciò per amor, ma nessuno dei tre progetti ha comportato un mutamento sostanziale del possesso fondiario.

Lo stesso de Finetti nel suo testo traccia una dura critica delle analogie che individua tra il Piano Albertini, approvato nel 1934 ed i tre progetti presentati per il concorso del 1927: in primis l’accettazione senza discutere delle condizioni pro

gettuali, in concomitanza con la sbagliata dimensione del piano, sia dal punto di vista demografico, che di espansione del territorio comunale, essi componevano dei presupposti errati e non realistici. Ma l’errore maggiore presente nei tre progetti per de Finetti è il tema del possesso dei fondi urbani, questione essenziale per indirizzare e governare lo sviluppo della città da parte dell’Amministrazione, mentre qui non andando ad incrementare le aree di demanio pubblico si sottomette la città alle interferenze private. L’architetto infatti è un attento studioso della questione della rendita tanto da dedicare sia il capitolo tre, che il capitolo uno, della parte terza della sua opera rispettivamente alla “Proprietà fondiaria” ed ai “Valori fondiari”.

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Fig. 16 Ipotesi sventramento “Racchetta”.

Nonostante alcune innovazioni, una grande conoscenza della città e delle sue forme interne, il progetto Forma Urbis mediolani porta avanti alcune contraddizioni, che verranno messe in discussione da de Finetti stesso, come l’intervento della “Racchetta” un’arteria che internamente alla cerchia dei Navigli, avrebbe circondato il Centro nella parte Sud-Ovest, raccogliendo le radiali e dirigendosi con due assi paralleli in direzione Nord-Est, verso la stazione Centrale e verso Piazzale Loreto.

L’idea di base per questo intervento è riuscire ad evitare una maggiore congestione del Centro – convinti negli anni ’20 che l’automobile sarebbe stata la soluzione di ogni problema legato alla mobilità – e riuscendo a canalizzare così la mobilità cittadina e regionale.

La racchetta parte dalla piazza attorno al Palazzo di Giustizia, continua per Corso Europa, via Larga (unica area dove l’opera incompiuta è tutt’ora riconoscibile), passando per Piazza Missori e da lì, diretta versolungo via S. Giovanni Sul Muro, sfocia in Foro Bonaparte, ricongiungendosi linearmente fino a Stazione Centrale. In Piazza Missori molti palazzi sono tutt’ora orientati in base alla nuova strada. Nel mentre prende avvio la risistemazione di Piazza Fontana con la demolizione degli isolati vicini all’arcivescovato; il nuovo tracciato aumenta quindi, notevolmente il valore fondiario della zona, ma la demolizione dell’area Sud-Est del Duomo e dei suoi tessuti più storici parte nel 1932.

“Quella riforma centrale, che aveva senza dubbio il merito dell’unità29”.

In seguito, la Racchetta si dimostra essere un’opera sproporzionata e lesiva per il centro storico, anche tenendo conto dei caratteri architettonici delle aree che attraversa; de Finetti stesso la critica poiché mantenendo l’impostazione monocentrica della città, anche questa arteria si sarebbe presto saturata.

Per quanto riguarda il trattamento delle aree libere della città, la proposta del Club è di avere un confine molto netto tra città e campagna, individuando una fascia anulare della profondità di 10 km, destinata esclusivamente a verde ed utilizzabile solo in caso di necessità della città di avere nuove aree a parco. Sarà proprio questo fattore, secondo de Finetti, uno dei maggiormente penalizzanti rispetto al progetto di Portaluppi.

Come si è precedentemente detto, il Piano Albertini non mancherà di molte opposizioni da parte di alcuni degli architetti più influenti del periodo e subirà una brusca interruzione con l’entrata in guerra dell’Italia. Nonostante le critiche, il Piano di Ricostruzione confermò le demolizioni dell’area a Sud del Duomo, compresa la Racchetta che venne riconfermata dal Piano del 1953, per poi essere arrestata, con una Commissione di studio del 1956, per cause tecniche ed economiche.

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4. Milano risorge. Progetti per la ricostruzione.

La Milano uscente dal secondo conflitto mondiale è una città dilaniata e con la maggior parte dei suoi monumenti ridotti in rovina.

I bombardamenti del 1942, poi del febbraio e dell’agosto del 1943 causano un numero elevatissimo di crolli ed incendi: un terzo della città è distrutto, ossia circa tre milioni di mq.

I raid aerei avevano come obiettivo principale il centro della città e le aree di produzione industriale causando, entro la cerchia dei Navigli, la distruzione del 28,7% dei locali di abitazione, mentre tra il Naviglio e i Bastioni del 27%, anche casa de Finetti in via del Gesù venne colpita rendendone inagibile una parte.

Fortemente criticato precedentemente dell’intervento bellico, per aver lacerato la città vecchia ancora prima dei bombardamenti, all’indomani del 25 aprile 1945 il Piano Albertini decade, ma de Finetti si pone un interessante quesito: “Ma chi avrebbe studiato il nuovo piano, chi lo avrebbegiudicato? 30

Il Piano per la Ricostruzione rappresenta la sintesi degli studi e delle proposte di de Finetti per la città di Milano tra il 1944 ed il 1946. Del progetto non esistono che pochi disegni illustrativi, predisposti nel libro Milano Risorge, opera anch’essa incompiuta.

De Finetti individua diverse aree di intervento per il nuovo piano:

- L’attuazione di un primo concetto di zonizzazione attraverso l’insediamento della funzione industriale nell’area a Sud-Est, dove la megalomania fascista prevedeva il Porto fluviale di per la città;

- Una riforma dei grandi sistemi circolatori: le strade, la rete ferroviaria che soffoca il tessuto edilizio circostante, ed i trasporti pubblici al fine migliorare i rapporti tra la città ed il territorio regionale;

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- Una nuova arteria in direzione Nord-Ovest che de Finetti individua con Via Monti;

- La formazione di nuove zone residenziali a bassa densità alternate ad ampie zone verdi, prevalentemente verso Nord-Ovest e Nord-Est, formate da blocchi edilizi semiaperti, di 4-5 piani di altezza con corti interne destinate a verde.

Nell’insieme il piano propone il superamento del monocentrismo attraverso l’apertura verso settentrione della città, (la cosiddetta città a “V”), l’individuazione delle funzioni delle nuove arterie ed immancabilmente uno studio sul finanziamento del piano stesso.

4.1 . Progetto per la nuova Darsena e i Navigli, 1994-1996.

Durante il periodo di progettazione del nuovo piano (1944-1946) de Finetti porta avanti lo studio e la progettazione dell’area attorno le Colonne di San Lorenzo – per il quale l’architetto prevede un progetto di recupero caratterizzato da un quadriportico – e della Darsena con i Navigli.

Il progetto viene pubblicato nel settembre del 1945 sulla rivista “L’illustrazione italiana”.

Nell’agosto 1945 de Finetti è presidente del “Comitato per la riattivazione del Naviglio Grande”, l’idea dell’architetto è di ridare a tutta l’area della Darsena una funzione commerciale, dove far arrivare ingenti quantità di materiale da costruzione, necessari per la ricostruzione post-bellica, ma anche prodotti agricoli da rivendere immediatamente attraverso la creazione di un mercato di frutta e verdura direttamente accessibile dalla darsena.

Il progetto prevede la parziale deviazione del tratto terminale del Naviglio Grande in modo da arrivare all’imbocco della Darsena, intervenendo con il rifacimento di Corso San Gottardo, Corso di Porta Ticinese e Via Meda.

Successivamente l’arretramento dello scalo di Porta Genova e di conseguenza il posizionamento di un nuovo scalo in via Bergognone ed il prolungamento di questa dopo la Ripa di Porta Ticinese (negli odierni parchi Baden-Powell e Segantini), insieme all’ampliamento di Corso Genova e alla organica sostituzione del tessuto edilizio tradizionale, ridefinendone gli isolati.

Il disegno della nuova Darsena è quello di una vasca continua di collegamento tra i due Navigli, inserendo una vasca perpendicolare orientata in direzione Nord-Est, i due bacini sono delimitati da banchine molto vaste, con edifici pertinenti all’area mercatale lungo i lati minori.

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I monumenti di Porta Ticinese (caselli e porta) vengono chiusi in una piazza pavimentata rettangolare e delimitata sui quattro lati da edifici.

Nonostante ad oggi i Navigli siano navigati solo a scopo turistico, il progetto vincitore del Concorso Internazionale di Progettazione del 2004, firmato dai progettisti Jean Francois Bodin, Sandro Rossi, Gaetano Viero, Edoardo Guazzoni, Andrea Del Grosso, Paolo Rizzato, Bodin & Associes Architectes riprende il tema del commercio inserendo un edificio con funzione di mercato comunale in prossimità dei Caselli daziali.

Quest’ultimo è costituito da una struttura in acciaio, vetrata su tutte le facciate e schermata da elementi frangisole in legno, idealmente simile all’edificio colonnato ma in muratura progettato da de Finetti nelle sue vedute a volo d’uccello dell’area.

A livello formale i due progetti si scostano molto, sia per il trattamento della Conca di Viarenna, sia per quello della sponda settentrionale e meridionale, che de Finetti ipotizza uguali; mentre ad oggi, la sponda settentrionale assolve maggiormente ad una funzione di belvedere delimitata da un argine murato che scandisce due camminamenti posti a differenti quote, mentre la sponda meridionale, alta e murata che contiene i ponti che superano i Navigli.

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Fig. 17 Progetto de Finetti, veduta prospettica della nuova darsena.

4.2. Progetti per Piazza Fontana, 1944-1951.

Nella primavera del 1945 de Finetti viene incaricato dalla Deputazione Provinciale di esaminare lo stato di fatto dell’antico palazzo dei Tribunali e il progetto di Piazza Fontana.

Una prima stesura del piano comunale prevede sia una nuova arteria tra Piazza San Babila e Via Larga, sia l’amputazione di una parte dell’ala Sud del palazzo provinciale, causando una perdita di simmetria dell’edificio.

Dopo poco tempo il Comune presenta il Piano Parziale di Ricostruzione per la zona d’interesse, proponendo una riduzione anche dell’ala Nord dell’edificio, ma l’incertezza maggiore sia per de Finetti che per il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici è quella della poca chiarezza e continuità della nuova arteria in contatto con Via Larga e Via Cavallotti.

A partire da queste riflessioni l’architetto progetta una nuova variante al piano comunale di tutta l’area attorno a Piazza Beccaria e Piazza Fontana, dimostrando che una soluzione di continuità è possibile semplicemente deviando leggermente il tracciato della nuova arteria. Questa soluzione permette anche la conservazione del Palazzo dei Tribunali.

Non si limita solo ad un intelligente soluzione stradale, ma partendo da uno studio approfondito dei caratteri dell’area, de Finetti è convinto che la parte centrale di Piazza Fontana sia da adibire a funzioni di piccolo commercio e artigianato, inserendo ancora una volta nel dibattito architettonico milanese il germe dell’innovazione: la piazza ipogea.

Concentra infatti, nella piazza ipogea, raggiungibile da due rampe di scale posizionate a Sud, ben 43 vetrine commerciali da cedere in locazione; inserendo a Nord e Sud-Est due edifici prospicenti alla piazza con dei colonnati che denomina “alfa” e “beta”.

Ovviamente de Finetti da instancabile progettista, propone un’ulteriore variante con ben due piazze al piano ipogeo e l’amputazione di una parte dell’edificio alfa. Difficilmente i progetti di de Finetti trovano la possibilità di essere realizzati, la prima piazza ipogea nell’area attorno al Duomo è un progetto recentissimo, realizzato dall’architetto Norman Foster per l’Apple store in Piazza Liberty, la quale sembra riprendere temi di cui de Finetti fu indiscusso precursore.

In questo progetto, come in tutta la sua produzione sono evidenti i maggiori lasciti di de Finetti:

- Il disegno delle strade basato sulle nuove esigenze del traffico;

- La progettazione di nuovi spazi urbani composti assemblando “elementi di architettura” facendo dialogare i nuovi edifici con quelli esistenti;

- Una particolare attenzione ai costi ed alle superfici destinate al pubblico.

Giuseppe de Finetti muore a Milano il 19 gennaio 1952, l’amico e collega Ferdinando Reggiori pubblica il suo necrologio nel no 9 della rivista “Urbanistica” ricordandolo per il suo carattere difficile ma anche per la sua dedizione all’ordine ed all’ingegno pioneristico sia in campo architettonico, che in campo urbanistico.

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Fig. 18 Planimetrie progetto “Piazza Fontana” Fig. 19 Veduta progetto “Piazza Fontana”

Note di chiusura

1 Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto, Il mondo contemporaneo dal 1848 ad oggi, 19° edizione, Editori Laterza, 2008.

2 ritorno all’ordine” il termine proviene dal titolo di una raccolta di saggi scritti tra il 1918 e il 1923 da Jean Cocteau: Le rappel a l’ordre

3 Lapide via Senato, 2, Milano, nel 1905 affacciata sul Naviglio.

4 desacralizzazione dell’attività intellettuale è solo la necessaria premessa per il funzionamento corretto dell’attività, nel processo di autorazionalizzazione di quel Soggetto. Ma questo è anche l’obiettivo centrale delle avanguardie storiche. Futurismo e dadaismo hanno, come fine specifico, tale desacralizzazione dei valori come unico, nuovo valore.” Manfredo Tafuri, Progetto e utopia. Architettura e sviluppo capitalistico. Laterza, Roma-Bari, 1973.

5 “Perciò il Risorgimento ebbe un carattere stentato, un’impronta reazionaria, mancò del tutto dello slancio di altre rivoluzioni borghesi (…). La tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo (…). La rivoluzione antifascista non potrà che essere una rivoluzione contro il Risorgimento (…). Palmiro Togliatti, Sul movimento di Giustizia e Libertà, 1931, in Lo Stato operaio 1927-1939, antologia a cura di F. Ferri, Roma, Editori Riuniti, 1964, I, pp. 472-473.

6 Filippo Tommaso Marinetti “Manifesto del futurismo”, Le figaro, 1909.

7 F.T. Marinetti, U. Boccioni, C. Carrà, L.Russolo, Contro Venezia passatista, 27.4.1910, volantino, ora in Archivi del futurismo, Raccolta selezionata a cura di M Drudi Gambillo e T. Fiori, Roma, 1962, pp. 63-65.

8 Eric Hobsbawm “Il Secolo breve, 1914-1991. L’epoca più violenta della storia dell’umanità”, Collana SB Saggi n.47, Milano, BUR, 2000.

9 “I progetti di Tony Garnier per una moderna utopia urbana, concepiti tra il 1901 e 1904 ed esposti all’Ecole des Beaux-Arts nel 1904, furono pubblicati in due volumi sotto il titolo Une Citè Industrielle (1917). L’impianto di questa città neoarcadica, con parchi, alberi e classici edifici a cubo in cemento armato bianco, combinava l’assialità formale e i modelli di Haussmann e della tradizione Beaux-Arts con gli impianti stradali più irregolari analizzati da Camillo Sitte nel suo, Der stadte-bau nach seinen Kunstlerischen Grundsatzen.” David Waltkin, Storia dell’architettura occidentale, quarta edizione italiana, Zanichelli editore, Bologna, 2016, p. 648.

10 G. de Chirico, Sull’Arte Metafisica, 1919, in “Valori Plastici”, Roma, aprile maggio 1919.

11 G. de Chirico, Meditazioni di un pittore. Una vacanza, in Catalogo, Giorgio De Chirico. p. 56.

12 G. de Chirico, Sull’arte Metafisica, cit. p.60

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13 Margherita Grassini SARFATTI, Storia della pittura moderna, Cremonese, Roma, “Collezione Prisma”, Roma 1930, pg. 125 - 126.

14 Margherita Sarfatti: nata Margherita Grassini (1880-1961), figlia del consigliere comunale Amedeo Grassini, di origine ebrea italiana. Sposò l’avvocato e militante socialista Cesare Sarfatti a Milano, dove inizia un’intensa attività di promozione della cultura e porta avanti collaborazioni con varie riviste. Nel 1912 incontra Benito Mussolini al quale rimarrà sentimentalmente legata per circa vent’anni.

15 L’Avanti! della domenica era un settimanale politico italiano i cui fondatori erano Giuseppe Nerbini, Luigi Mongini, Vittorio Piva ed attivo in quattro fasi diverse dal gennaio 1903 fino alla chiusura definitiva dell’ottobre 2013. La produzione della Sarfatti per L’avanti della domenica fa riferimento solo alla prima fase del settimanale.

16 La Ronda e Valori Plastici, due riviste dirette rispettivamente da Vicenzo Cardarelli e Mario Brogio. La prima riuniva Giuseppe Ungaretti in collaborazione con i pittori Carlo Carrà, Ardengo Soffici, Giorgio Morandi e Primo Conti, mentre la seconda circoscriveva artisti metafisici e cubisti come de Chirico, de Pisis, Savinio e Soffici. Entrambe le riviste condannavano il Futurismo in quanto mera propaganda dogmatica e promuovevano un’arte basata su una ricerca condivisa collettivamente ma elaborata individualmente.

17 Annagret Burg, Novecento milanese. I Novecentisti e il rinnovamento dell’architettura a Milano fra il 1920 e il 1940. Federico Motta editore, Milano, 1991.

18 “poiché l’ornamento non è solo opera di delinquenti, ma esso stesso un delitto dell’uomo, al patrimonio nazionale e quindi al suo sviluppo culturale. Adolf Loos, Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 1972, p.220.

19 Il progetto comunale del 1936 proponeva la costruzione di una nuova arteria rettilinea, larga 12 metri, che parta da via Croce Rossa, tagliando in due l’isolato tra via Borgonuovo e Via Manzoni e prosegua fino all’incrocio tra via Montebello e via Principe Amedeo. Il nuovo tracciato avrebbe tagliato i Giardini Perego e il Chiostro di Sant’Erasmo. De Finetti, al fine di tutelare il giardino propose due varianti al progetto comunale: la prima un tracciato a rette spezzate, mentre la seconda un tracciato in curva, che secondo il Nostro meglio si prestava alla risoluzione di questo brano di città; all’interno di questa sistemazione urbana inserisce un progetto architettonico simile a quello presentato per il Giardino d’Arcadia: vennero previsti 6 edifici per un totale di circa 500 locali civili tra via Montebello e via Fatebenefratelli, uno dei sei edifici ripropone la tipologia delle ville sovrapposte già sperimentata.

20 “Ogni piano è opera d’arte, è un genere d’invenzione e di libera, profonda meditazione che non si lascia iscrivere nelle norme del lavoro burocratico”. Da “il piano regolatore di Milano”, Paese libero, 24 giugno 1946).

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21 G. DE FINETTI, Milano risorge, ora in Milano. Costruzione di una città ( a cura di G. CISLAGHI, M. DE BENEDETTI, P. MARABELLI), etas Kompass, Milano 1969, p. 216;

22 Dalla Istanza per revoca di divieto di fabbricazione inviata da de Finetti al comune di Milano in data 6 agosto 1924, p.2.

23 Originariamente il colore scelto da de Finetti fu appunto un beige chiaro, che successivamente venne sostituito con un colore rosso-bruno, per tornare al colore originale con gli ultimi lavori di ristrutturazione avvenuti nel 2011.

24 GdF a cura di Giovanni Cislaghi, Mara De Benedetti, Piergiorgio Marabelli, Milano costruzione di una città, Hoepli editore, Milano, 2002.

25 Fondato da Umberto Notari, L’ambrosiano fu un quotidiano pubblicato a Milano dal 1922 al 1944.

26 L’Ambrosiano, 8 aprile – 13 maggio, 1938, Milano.

27 Cit. Cesare Beruto, Progetto del Piano Regolatore della città di Milano, relazione all’Onorevole Giunta Municipale, 31 dicembre 1884.

28 I due vice Podestà, Ernesto Torrusio e Manlio Morgani. Quindi quattro architetti- Armando Brasini, Gaetano Moretti, Marcello Piacentini, Ulisse Stacchini – e sei ingegneri – Gaetanto dall’O, Gaudenzio Fantoli, Giuseppe Gorla, Riccardo Buzzati, Giovanni Masera, Piero Puricelli. Ancora il Soprintendente ai monumenti per la Lombardia Ettore Modiglioni, l’avvocato Eliseo Porro, il dottor Andrea Scarpellini, il Pittore Mario Sironi, lo scultore Adolfo Wild, i giornalisti Arnaldo Mussolini e Ugo Ojetti, ed infine quattro funzionari comunali, tra cui lo stesso Luigi Albertini, con Baselli, Pizzigalli e Pozzi.

29 GdF, Milano costruzione di una città, cit., pag.232.

30 G.dF. Milano costruzione di una città, pag. 437.

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5. Elaborati grafici

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Pianta piano rialzato, scala 1:200 Pianta piano primo, scala 1:200

REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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Pianta piano secondo, scala 1:200 Pianta piano terzo, scala 1:200
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Pianta piano quarto, scala 1:200 Pianta piano quinto, scala 1:200
47 Prospetto Sud 1 5 10
48 Prospetto Nord 1 5 10
49 Prospetto Est 1 5 10

I piani della facciata

La geometria della facciata

Il basamento e le ville

Gli elementi orizzontali

Le cornici

La geometria delle finestre

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Pianta piano inferiore appartamento duplex, scala 1:200
REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI
Pianta piano superiore appartamento duplex, scala 1:200
52 Prospetto Ovest 1:200
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1:200
Prospetto Nord
La geometria della facciata 54 La geometria delle finestre Le cornici I piani della facciata

6. Bibliografia

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55

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7. Raccolta fotografica

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Fig. 1A. Ingresso Casa di Via San Calimero 17. Fig. 2A. Dettaglio camino piano 4o San Calimero, 17.
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Fig. 3A. Prospetto tergale, verso scala elicoidale, Via San Calimero, 17. Fig. 4A. Dettaglio pavimento duplex, San Calimero, 17,
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Fig. 5A. Corridoio duplex San Calimero, 17. Fig. 6A. Scala elicoidale duplex, San Calimero, 17.
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Fig. 8A. Sala da pranzo duplex, San Calimero, 17, Fig. 7A. Scala elicoidale duplex, San Calimero, 17.
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Fig. 9A. Prospetto ovest San Calimero, 17.
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Fig. 11A. Dettaglio Casa della Meridiana Fig. 10A. Prospetto sud Casa della Meridiana.
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Fig. 12A. Ingresso Casa della Meridiana. Fig. 13A. Dettaglio maniglia, Casa della Meridiana.

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