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2. Le case del giardino d’Arcadia.

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6. Bibliografia

6. Bibliografia

Nell’estate del 1924 Giuseppe de Finetti deposita presso l’ufficio tecnico del comune di Milano il progetto per il complesso dei Giardini d’Arcadia che egli inaugura con la società da lui stesso fondata con il nome di “Giardino d’Arcadia”.

L’intervento prende il nome dal giardino in cui si trova, uno dei meglio conservati della cultura milanese illuminista, che all’inizio del 1700 aveva ospitato gli appuntamenti letterati degli accademici d’Arcadia milanesi: il giardino di Palazzo Pertusati-Melzi. Questo giardino privato voluto dal Conte Pertusati nel 1737 rischiava di scomparire a causa di un piano di lottizzazione per la costruzione di una nuova arteria che congiungesse Piazza Cardinal Ferrari a Corso di Porta Romana, l’attuale via Marchiondi, fortunatamente mai portata a termine.

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La necessità di de Finetti di salvaguardare l’antico giardino d’Arcadia è da ricondurre alle sue idee architettoniche e urbanistiche: uomo estremamente integerrimo spesso scambiato per un carattere difficile, ma appassionato dell’indispensabile gerarchia delle cose, egli auspica in un ritorno ai valori culturali e civici di una borghesia illuminata che assolva a pieno il suo ruolo di portatrice del progresso basandosi su una forte conoscenza delle tradizioni della città neoclassica.

Il complesso dei giardini d’Arcadia è l’unico intervento realizzato da de Finet ti per salvaguardare una serie di giardini storici della città, messi a repentaglio dal Piano Pavia-Masera del 1912 e successivamente anche dal Piano Albertini del 1934.

Il Pavia-Masera prevede un forte aumento della densità edilizia a discapito di un alto numero di giardini privati che fino a quel momento avevano contribuito a rendere migliore la città, de Finetti propose infatti anche la salvaguardia di una parte del giardino Perego con l’intervento in via dei Giardini , che si presenta simile a quello proposto per il giardino d’Arcadia19 traversati da nuove strade il giardino Serbelloni e quello Sormani. Inoltre, secondo de Finetti, sia il Piano Masera che il piano precedente, ossia il Piano Beruto, erano entrambi comunemente lontani dalle teorie sittiane di sviluppo di un piano20 (di cui egli era fervido sostenitore), ed anche entrami estremamente tecnicistici, inoltre e soprattutto mancanti di un ragionamento sulle vie di comunicazione urbane su scala regionale.

Infatti, de Finetti ritiene fondamentale l’unione del progetto urbanistico e quello architettonico: nel complesso abitativo dell’Arcadia ne abbiamo una valida conferma, poiché attraverso un cauto rinnovamento della città tradizionale e grazie alla prima sperimentazione di una nuova tipologia abitativa – quella della casa in condominio – destinata però ad un’utenza alto-borghese, de Finetti riesce a inserire la salvaguardia e la tutela di uno dei giardini privati più antichi della città.

Il progetto viene presentato nell’estate 1924 come variante all’ultimo piano regolatore valido in città – il Piano Pavia-Masera del 1912.

Il Piano Pavia-Masera, redatto dall’ingegnere Angelo Pavia e Giovanni Masera nel 1912, riprendeva il modello di crescita del Beruto, declinandolo in base alle migliori condizioni del territorio e dei lotti necessari. Con la già ben nota trama a ragnatela, si tenta di edificare tutte le zone tra la nuova circonvallazione esterna e l’anello ferroviario.

All’interno del periodo di validità del Piano Masera si svolgerà il concorso del 1927.

De Finetti stesso spiega all’interno dell’opera Milano Risorge il suo punto di vista sugli interventi del Pavia-Masera: “ è da ricercare in quel piano, in quel momento l’origine dell’insania di <<lottizzare>> i giardini privati per agevolare la speculazione edilizia, mentre il tema della loro conservazione avrebbe dovuto essere posto e risolto dal Comune in modi tempestivi e concreti (…)da quel seme derivò in anni recenti la via dei Giardini dove tutti i giardini furono dilaniati, spezzettati, uccisi. Oggi c’è chi protesta, chi piange su questi malanni lacrime più cocenti di quelle che costarono all’animo civico le rovine recate dalla guerra; ma conviene che costoro sappiano che la colpa del male risale ad una burocrazia inetta e ad una classe dirigente mediocre, che approvò quei piani.

Tutti i giardini che il piano Masera candannò attraversandoli con inutili strade nuove - il giardino Serbelloni dilaniato dalla via Mozart, il giardino Sormani impoverito dalla via Andreani - avrebbero potuto agevolmente essere acquistati dal Comune, senza sforzo finanziario rilevante, man mano che veniva cessando nei vecchi padroni la possibilità di conservarli a decoro del palazzo e del catasto21”.

L’intervento dei giardini d’Arcadia nasce con l’intento di costruire cinque edifici per circa 400 locali di abitazione civile, i quali secondo le prescrizioni del Piano Pavia-Masera sarebbero dovuti essere dilazionati in un relativamente breve periodo. De Finetti riesce a salvare grazie all’approvazione del suo progetto variante (episodio che mai si ripeterà) sia il cedro di Libano che altre piante del giardino; delinenando e valorizzando quest’ultimo con le nuove abitazioni signorili. Il cedro di Libano rappresenta un aspetto progettuale molto interessante che spiega i principi architettonici dell’architetto, infatti volendosi garantire la massima libertà progettuale de Finetti acquista il terreno per le nuove abitazioni con la società da lui stesso fondata per condurre il progetto.

“Dei mq 10.400 che il giardino Melzi misura, meno di 1\5 viene destinato alle costruzioni nuove, che in parte già insistono su area già prima d’ora occupata da stabili: una serra ed una casa rustica del giardiniere22”. Il complesso abitativo rielabora il brano di città tra via San Calimero, Piazza Cardinal Ferrari e Corso di Porta Romana nel suo insieme ed indica il metodo di progettazione usato da de Finetti e applicabile secondo lui per l’intera città: ossia riconoscere e valorizzare la complessità della forma urbana e distinguerla dalla crescita fondiaria dei primi anni Venti.

Partendo da un’analisi della conformazione del giardino de Finetti arrivò alla composizione di un impianto urbano complesso e strutturato che prevede appunto la realizzazione in un primo momento della Casa della Meridiana e in un secondo momento della Casa a proprietà suddivise di Via San Calimero, 17.

2.1. La Casa della Meridiana: abitare in ville sovrapposte.

De finetti inaugura e sviluppa il tema delle “ville sovrapposte” all’interno della corrente architettonica del Novecento Milanese. Il volume dell’edificio aumentando di piano si svuota per dare posto a tre terrazzi di diverse dimensioni, che corrispondono con le dimensioni della sala del piano inferiore, compensandosi con la masse del grande cedro di Libano centenario. La composizione delle facciate riprende i temi della classicità a cui l’architetto è molto legato: le colonne, il loggiato, le cornici marcapiano, usandoli però in maniera differente rispetto agli altri esponenti del movimento del Novecento (riducendoli a mera decorazione come avrebbe fatto Muzio, oppure eliminandoli direttamente come avrebbero fatto Ponti o Portaluppi, de Finetti li inserisce cautamente facendo fede agli insegnamenti del maestro Adolf Loos. Infatti, viene proposto un prospetto tripartito orizzontalmente, ma anche con 3 diverse profondità che individuano la geometria della facciata e formato da un basamento (comprendente piano terra, piano interrato e piano ammezzato, il quale presenta un a zoccolatura che segna gli angoli con lastre di bardiglio scuro e intonaco freddo), gli elementi orizzontali (balconi), le cornici marcapiano realizzate in bardiglio scuro, mentre le aperture delle finestre sono in marmo di carrara bianco.

La geometria delle finestre in tutti e tre i prospetti (Nord – Sud – Est) è individuabile attraverso degli assi di mezzeria delle aperture continui lungo tutta la facciata che coincidono con degli assi di simmetria rispetto a dove vengono aperte le finestre.

In generale, i prospetti di Casa della Meridiana tengono conto delle esigenze degli spazi interni al fine di favorire la miglior esposizione solare, le terrazze fiorite ed orientare verso il giardino diventano così dei giardini pensili e portano all’interno dell’architettura milanese uno dei topoi tipici dell’architettura mediterranea.

Tutti gli appartamenti infatti, sono dotati di una zona di servizio a nord, mentre i locali a giorno sono posti sul prospetto sud: anche se la disposizione degli ambienti viene studiata per rispondere alle singole necessità di ogni inquilino, in modo da far risultare ogni piano una villa di particolare carattere e riuscire a fondere insieme il tema della villa e del palazzo di città.

Una delle maggiori innovazioni che de Finetti impara dal suo studio della tipologia alberghiera e riporta nella Casa della Meridiana è la scomparsa delle scale padronali a favore dell’ascensore.

Quest’ultimo per de Finetti rappresenta l’ascensore come un moderno mezzo destinato a rivoluzionare la tipologia abitativa, non com’era visto dai progettisti futuristi come un oggetto dinamico dotato solo di aspetti formali; l’ascensore dà la possibilità di accedere direttamente alla propria abitazione senza luoghi o possibilità d’incontro con gli altri inquilini del palazzo, ottenendo un senso di privatezza e comfort ricercato solo per gli alberghi.

Inoltre, l’eliminazione delle scale padronali dà sia la possibilità di risparmiare spazio da destinare al taglio degli appartamenti per una committenza alto-borghese (alcuni dei destinatari di Casa della Meridiana sono: il console inglese James Henderson, Erordo Aeschliman, Giovan Battista Aeschliman, nipoti di Ulrico Hoepli) sicuramente più incline ad ospitare nei grandi salotti che ad incontrarsi in luoghi pubblici o di passaggio; la scala pubblica collettiva a disposizione di tutti da sempre indica uno dei luoghi del percorrere ma anche dello stare e interagire con gli altri. Inoltre la presenza esclusiva dell’ascensore aggiunge dal punto di vista della rendita la possibilità di equiparare i valori degli appartamenti nei vari piani, solitamente vengono preferiti i piani inferiori, ma con l’introduzione dell’ascensore si ha il ribaltamento dei valori a favore degli appartamenti superiori per la possibilità di maggior silenzio, arieggiamento e soleggiamento.

Ma la vera modernità che contraddistingue le case del giardino d’Arcadia è il trattamento degli spazi in modo estremamente intelligente e studiato per garantire la massima comodità, de Finetti infatti disegna su misura ogni arredamento possibile e i dettagli di finitura degli interni; quando non può disegnarli lui stesso, seleziona comunque l’arredamento da un unico produttore e totalmente in armonia.

Posiziona scaffalature ed armadi a muro per organizzare i guardaroba e le cabine armadio delle stanze padronali, i quali vengono pensati come elementi di attrezzatura degli spazi.

I passa-stoviglie e monta-vivande invece sono posizionati tra le stanze di servizio ed i ripostigli, mentre gli impianti tecnici di condizionamento d’aria, riscaldamento e distribuzione dell’acqua calda sanitaria sono concentrati nel piano semi interrato, facilmente ispezionabili dal personale di servizio.

De Finetti è uno dei primi Novecentisti ad introdurre la tipologia dell’appartamento duplex, che in questo caso viene posto alla base dell’edificio, coincidente con il piano rialzato ed il primo piano, mentre per il resto del complesso ogni piano corrisponde ad un singolo appartamento. Il duplex di Casa della Meridiana al piano rialzato si sviluppa attorno a una hall posta a centro di locali di rappresentanza, i quali si affacciano tutti verso il giardino e sono nettamente divisi dai locali di servizi, dotati di un loro ingresso indipendente. Il mezzanino è lo spazio dell’abitazione tradizionalmente intesa, con le stanze dal letto della famiglia ed è diviso per gruppi di stanze: della servitù, degli ospiti, dei bambini e dei genitori, ciascuno dotato dei propri servizi; ed il soggiorno della famiglia, accessibile direttamente dalla hall e dotata di un piccolo angolo bar.

In un primo momento l’edificio di via San Calimero non era previsto nelle proposte progettuali di de Finetti; viene introdotto dopo la crisi del 1929 che mette a rischio tutta l’operazione immobiliare: viene lottizzato anche questo ambito al fine di salvaguardare l’investimento, che comunque alla fine vedrà il fallimento della società d’Arcadia fondata da de Finetti stesso per poter gestire totalmente l’intervento. A differenza di Casa della Meridiana, che de Finetti arretra rispetto al filo stradale, il fabbricato di via San Calimero viene allineato con la strada occupando un lotto lungo 24 metri e profondo 20 metri e presenta sette piani fuori terra. Il basamento dell’edificio coincide infatti, con una serie di garages che de Finetti realizza in quanto profondamente convinto dell’importanza che la macchina avrebbe assunto sia all’interno delle famiglie, sia nelle abitazioni.

Il prospetto principale, posto ad ovest, oggi si presenta davanti ad un’area pedonale realizzata tra il 2007 ed il 2011, successivamente ai lavori per la realizzazione di un parcheggio multipiano interrato, mentre quando il fabbricato su realizzato via San Calimero si presentava come un’arteria stradale di collegamento tra la prima e la seconda circonvallazione.

L’ingresso è posto sul terminale destro dell’edificio, da cui si accede a l’unico “scalone padronale” rivestito di marmo posto in un atrio a doppia altezza il quale si interrompe nel piano rialzato dove una galleria si sviluppa ortogonalmente all’accesso.

La galleria, con ampie vetrate, smista due studi: il primo posto sul lato tergale, mentre il secondo sul lato stradale; l’ascensore padronale, la scala di servizio e l’ascensore di servizio, ed infine l’abitazione e la postazione del portinaio. Tutto questo fa del pianterreno un’area di ingresso altamente differenziata, spazialmente ed architettonicamente.

Tutti i prospetti subiscono una eliminazione delle decorazioni presenti in elementi classici, caratterizzandosi per uno stile sobrio.

Il prospetto ovest è tripartito orizzontalmente, come in Casa della Meridiana: l’attacco a terra è rimarcato da una zoccolatura in granito che segna i garages, superiormente parte una coppia di lesene di ordine gigante che inquadrano i due lati dell’edificio per il piano rialzato e il primo piano. La parte centrale del prospetto, si sviluppa a partire da una trabeazione liscia evidenziata da un corrente di marmo sulla linea del davanzale, è piana ed alta tre piani, dove l’unica alternanza è data dai pieni e vuoti delle aperture, di forma e dimensione sempre uguale. Sempre un’altra fascia marcapiano evidenzia lo stacco tra il coronamento e la parte centrale, coincidente con l’appartamento duplex, mentre un ordine gigante inquadra i due livelli delle aperture e mantiene il ritmo dei pieni e vuoti con la parte centrale.

Il disegno degli infissi, con bipartizione verticale ad apertura basculante ne limita lo slancio verticale.

L’edificio termina con una sequenza di ombre più marcate che prelude al tetto piano, mentre è rifinito ad intonaco liscio di colore beige chiaro23 e grigio chiaro, dove sono presenti le lesene.

La necessità di una nuova costruzione viene presa da de Finetti come l’occasione di sperimentare ulteriormente il tema delle “ville sovrapposte”: cioè la riproduzione in serie verticale di appartamenti con alti standard di comfort e di qualità architettonica.

Il taglio degli appartamenti è infatti di circa 300 mq, ricavati anche grazie alla scelta compositiva che de Finetti riprende da Casa della Meridiana di eliminare lo scalone padronale a favore dell’ascensore, così come riprende anche alcune soluzioni distributive di stampo loosiano, con ambienti comunicanti senza spazi di distribuzione come i corridoi, e dei timidi accenni di raumplan, caratterizzato da variazioni di quota della sala da pranzo rispetto alla sala centrale della casa.

La mancanza dello scalone tradizionale garantisce per i singoli alloggi (uno per piano) un forte elemento di privacy, poiché dall’ascensore (dotato anche di una seduta) si raggiunge direttamente l’atrio di ogni dimora senza neppur vedere le porte d’ingresso degli altri appartamenti. La percezione che si riceve è infatti quella di vivere in una villa fuori dal contesto cittadino, ma con tutti i comfort che la città offre; capita spesso agli inquilini di non incontrarsi per settimane e solo il portinaio conosce la reale occupazione di ogni appartamento.

La pianta del piano tipo, ripetuto solo per quattro piani, è diviso nei tre soliti ambiti: gli ambienti notturni, gli ambienti diurni e quelli di servizio.

Come in Casa della Meridiana la vera modernità degli appartamenti è data dall’uso sia delle murature portanti, sia dalle pareti divisorie interne come elementi di attrezzatura degli spazi attraverso l’uso di armadi a muro, cabine armadio (negli ambienti notturni), pareti attrezzate e ripostigli.

Inoltre, sia Casa della Meridiana, che la casa di via San Calimero 17 portano il segno di una grande guerra di de Finetti: l’eliminazione del solaio. Questo infatti era definito dall’architetto come inutile, polveroso e fuori mano ed inoltre simbolo di un’architettura ormai superata, la quale troppo insistentemente cercava di decorare anche ambienti inadatti come il solaio.

L’appartamento duplex occupa gli ultimi due piani della casa, il piano inferiore è adibito a zona giorno, sono presenti grandi sale tutte raccolte attorno alla grande hall centrale (oggi sala da pranzo); mentre il piano superiore comprende dal prospetto su via San Calimero le camere da letto padronali, separate dai rispettivi guardaroba da un corridoio di distribuzione che termina con le camere da letto del personale domestico. Entrambi i piani sono dotati di balconi e terrazzi che sfruttano e migliorano il soleggiamento degli ambienti coperti e costituiscono il vero vantaggio rispetto agli appartamenti inferiori.

Ciò che davvero si distingue sia in pianta che in prospetto, è la scala interna sagomata a semicerchio, aperta sulla galleria dell’ultimo piano è illuminata da uno stretto nastro di finestre (dal quale oggi è possibile avere un’ottima visione della costruzione di Ignazio Gardella del 1949-1955) al di sotto del tetto, apribile a distanza, che inquadra distintamente un semicilindro sulla facciata tergale.

Tutto il palazzo esprime all’esterno come all’intero le caratteristiche dell’architettura di de Finetti, di discreta e classica eleganza, ma soprattutto di una modernità ricca di risorse per la comodità e la qualità spaziale senza mai eccedere in decorazioni fini a se stesse. Esso evidenzia l’attenzione per gli esponenti del novecento Milanese verso un’edilizia abitativa intensiva urbana ma di notevole qualità architettonica e urbanistica.

“Unpiano urbano èper una parte invenzione,per una parte deduzione, come ognicompito architettonico. Unpiano urbano èopera d’arte, sostanziata di molteplici concretezze e ragioni determinanti, in esso deve sintetizzarsi una congerie di fattori, daquellogeografico a quello storico, daquellodemografico a quello cinematico, daquello economico a quello finanziario”24

Giuseppe de Finetti

Le proposte architettoniche di de Finetti difficilmente hanno trovato la possibilità di essere realizzate, soprattutto a causa del suo dichiarato antifascismo. Molto più prospera risulta invece, la produzione di studio della storia di Milano e la produzione della sua visione della Milano del 2000, che oggi chiameremo ‘’thinking city’’. Tutto lo studio prodotto da de Finetti prende il nome di “Milano risorge”, quest’opera però vede la luce solo nel 1969, con la rielaborazione dei contenuti per volontà dell’amico e committente Raffaele Mattioli, la moglie Thelma de Finetti e degli architetti e studiosi milanesi: Giovanni Cislaghi, Mara de Benedetti e Piergiorgio Marabelli. Con il titolo Milano costruzione di una città, opera che continua ad oggi ad essere la più completa e convincente enciclopedia sulla città meneghina.

De Finetti basa il suo studio dell’urbanistica totalmente nella speranze di un mito borghese basato su una tradizione quasi illuminista e sulla comprensione dei problemi della città attraverso tre principali aspetti: il primo, la conoscenza della storia in quanto unica possibilità per analizzare l’evolversi dei fatti urbani; il secondo un approccio molto tecnico verso le questioni legate al commercio, ai trasporti, all’igiene urbana, ed il terzo l’importanza di osservare i monumenti in quanto cardini della nuova città.

Riferimento costante per de Finetti è appunto il piano neoclassico del 1807, piano che discende da un pensiero borghese- illuminista forte di un’idea di città ottocentesca simile a quella di Camillo Sitte.

Il piano fu elaborato dagli architetti G. Albertolli, L. Cagnola, L. Canonica, P. Landriani, G. Zanoia; esaminato da Napoleone stesso non ampia la città all’esterno delle mura spagnole ma si basa sull’apertura di grandi “rettifili” orientati da Sud-Ovest a Nord-Est (via Torino, corso di Porta Romana, Via Dante e Via Orefici) e sulla creazione e l’ampliamento di piazze ben proporzionate e inquadrate dai precedenti rettifili. Attorno alla piazza del Duomo (piazza Scala, piazza Cordusio, piazza dei Mercanti, la stessa piazza del Duomo che venne ampliata, piazza Sant’Eufemia, Piazza Missori, Largo Richini e Piazza Fontana) al fine di aprire la città verso il territorio e di modificare la struttura rigidamente monocentrica.

Cosicché il punto fondamentale per le riflessioni urbanistiche di de Finetti rimane il dato che Milano, per quanto si stia trasformando in una metropoli, resti sostanzialmente una città monocentrica, con il suo fulcro principale appunto nella sua Cattedrale, chiusa entro la fossa interna e con poche ramificazioni tra Naviglio e Bastione.

In Costruzione di una città de Finetti spiega il suo punto di vista sugli architetti promotori del Piano, che egli ritiene più preparati di alcuni storici:” Grandi tessitoriquesti architetti, che creano un nuovo arazzo tutto leggibile e tutto meditato lavorando di rammendo su una stoffalogorata dai secoli, di cuidegli storiciquali Giulini, un Verri, un Fumagalli non avevano saputo comprendere né le fasi, né le ragioni disviluppo. […] Per essi la città era la città, il Duomo era il Duomo; le due entità dovevano e potevano armonizzare le loro trame geometriche discordi in un complesso di vuoti e pieni che si direbbe eminentemente flessibile”.

Ma il piano venne presto dimenticato negli archivi, a causa delle difficoltà economiche sopraggiunte dopo le campagne militari napoleoniche; infatti dal 1859 al 1889 Milano s’ingrandì senza un piano regolatore, una grande parte delle belle case private della cerchia dei Navigli sorgono nei sette lustri della seconda dominazione austriaca.

Agli occhi di de Finetti i punti fondamentali di questo Piano sono:

1) un chiaro indirizzo circa la riorganizzazione delle arterie stradali sia interne che esterne alla città;

2) il sistema delle piazze;

3) un piano finanziario di sostegno ben congegnato.

Nell’analisi del Piano Pinchetti, che de Finetti porta avanti nella sua opera, è molto evidente del Der Stadtebau di Sitte, del quale cura alcune traduzioni pubblicate su L’Ambrosiano25 del 1939. “Nonappena questi sventuratipianiregolatori sono tracciati sulgrafico ufficiale, divenendo ilprotocollo catastaleper la vendita al minuti di un sistemad’appezzamenti edilizi, ecco che viene a cessare ognipossibilità di inserire mai e poi mai nelquartiere cosìimpostato alcunché dipregevole26”.

Nella progressiva analisi dei Piani per Milano che de Finetti raccoglie in Costruzione di una città, non risparmia critiche per i piani che accentueranno il monocentrismo della città, ovviamente tra questi il primo risulta essere il Piano Beruto, del quale il nostro architetto riprende un commento del redattore stesso su come egli immaginava la città:” La pianta della nostra città, in piccola scala, presenta molta somiglianza con la sezione di un albero; vi si notano assai bene i prolungamenti e gli strati concentrici. È una pianta assai razionale che ha esempio nella natura; non si è fatto quindi che darle la voluta maggiore estensione27”.

Il Piano Beruto viene elaborato del 1884 al 1889 dall’ingegnere Cesare Beruto; il Piano è predisposto dopo la legge urbanistica del 1865 (R.D. 2359), che permette ai comuni che contano più di 10.000 un ampiamento e risanamento ed è il Piano che più ha caratterizzato l’attuale immagine della città. Questo prevede un ampliamento possibile di 500.000 abitanti, 1900 ettari ed ipotizza la validità per 20-40 anni.

Sono prese in considerazione soprattutto, le zone del territorio Nord e Nord-Ovest, migliori per motivi altimetrici e idraulici e prevede l’espansione della città nei termini di uno sviluppo della città vecchia, ossia dall’interno all’esterno, inglobando solo le poche zone cresciute fuori le mura.

Il sistema viario è concentrico alla città storica e riprende uno schema a “ragnatela” non uniforme, frammentato dal sistema ferroviario, mentre il tessuto edilizio si presenta prevalentemente chiuso, con edifici allineati al filo stradale e di altezza dai 3 ai 5 piani.

La validità del Piano non fu rispettata, poiché le condizioni della vita cittadina cambiarono molto velocemente. La popolazione era aumentata dalle 250.000 unità previste, a 350.000 unità in soli 20 anni. Ma nella Milano dell’ormai 1909, si guardava già ad un ulteriore aumento di popolazione a 500.000 abitanti in 25 anni. Il Piano Beruto infatti viene molto criticato dal nostro, il quale lo considera come un ulteriore limite normativo per una parte del territorio comunale senza però difendere dall’iniziativa privata le aree di espansione futura del Comune.

Come prova Milano a regolare la propria crescita prima dello scoppio del primo Conflitto mondiale?

Il Piano Pavia-Masera approvato nel 1912, perpetua secondo de Finetti nell’errore di lasciare all’iniziativa privata la possibilità di lottizzare ampie aree al di fuori del centro cittadino; de Finetti infatti propone delle varianti al Piano coincidenti con gli interventi in via dei Giardini e Via San Calimero.

Nonostante per la prima volta il Piano tenesse conto della soglia demografica di ampliamento della città, e tentasse di combattere il monocentrismo, si riprende il modello di crescita del Beruto, declinandolo in base alle migliori condizioni del territorio e dei lotti necessari.

Con la già nota trama a ragnatela si tenta di edificare tutte le zone tra la nuova circonvallazione esterna e l’anello ferroviario. L’espansione in questo caso avviene soprattutto verso Est, tracciando un vialone che va dai 30 ai 50 m di larghezza (oggi viale Lombardia).

Le ambizioni del Piano risultano però essere inversamente proporzionali alla grande disorganizzazione degli uffici tecnici comunali che hanno stilato il bando, la disorganizzazione evidente e l’insufficienza dei materiali di analisi a disposizione dei progettisti che viene fortemente criticata da de Finetti.

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