Le metamorfosi del sottosegretario - Bruno Tinti

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SECONDO TEMPO

VENERDÌ 19 DICEMBRE 2014

il Fatto Quotidiano

GIUSTAMENTE

CLAMOR PATRIO

“I nostri ragazzi” e i canti di Natale

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone Ansa di Daniela

Ranieri

L’

per riportare a casa i nostri due ragazzi è una azione tenace e riservata”, disse Napolitano; tenace e riservata come quella con cui quest’anno, nel 69° anniversario della Liberazione, ha monitato con voce rotta: “Desidero non far mancare una parola su come fanno onore all’Italia i nostri due marò ingiustamente detenuti”, desiderando invece farla mancare al pm minacciato dalla mafia Nino Di Matteo, che si ostina a servire lo Stato e non è nemmeno imputato d’omicidio. Appena insediato, Renzi annunciò di volerli chiamare come “primo atto”, cioè prima di Obama, della Merkel, del Papa, giusto per non lasciare la propaganda sciovinista al destrame costantemente allertato contro gli sgarri alla madrepatria: la nipote del Duce, il responsabile politico di tutto il casino La Russa – il quale, concorde la Meloni, aveva trovato la soluzione diplomatica: che Del Piero rifiutasse di andare a giocare al calcio in India – e i berlusconiani, che implicitamente ci ricordano che la Giustizia è il cancro della democrazia. Nessuno si preoccupa di come passeranno il Natale gli altri 3.000 detenuti come loro per reati comuni – contrabbando, detenzione di droga, pedofilia – nelle carceri straniere. Ma adesso che la Corte indiana ha rifiutato l’estensione del permesso a Latorre che si sta curando qui dopo un ictus e ha rifiutato a Girone una licenza na-

LAGGIÙ IN INDIA Sembra che i due “marò” siano caduti prigionieri mentre lottavano per la libertà di un popolo oppresso. La verità è che sono accusati di omicidio

importante è chiamarli “i nostri ragazzi”: dà subito l’idea che si tratti di giovani figli della Patria, mandati a liberare un popolo oppresso da un regime odioso e incappati nella sciagura di finire prigionieri del nemico. Tanto, cosa siano i “marò” e cosa facciano esattamente, nessuno lo sa. Però sono “nostri”, e si sono imbattuti nelle regole assurde di un Paese che, ma tu guarda, considera reato l’omicidio. Presa confidenza con la retorica del caso, si può chiamarli per nome, Massimiliano e Salvatore, come Napolitano quando li ricevette al Quirinale per le feste di Natale 2012 con gli onori che si riservano agli eroi (e bacio presidenziale) e come Giulio Terzi, allora ministro degli Esteri, che li riaccolse nel febbraio 2013 rifiutandosi poi di rimandarli indietro come promesso appena avessero votato alle elezioni (poi glieli abbiamo dovuti restituire, altrimenti non ci ridavano l’ambasciatore). Insomma, basta che passi il messaggio che siano nostri soldati mandati a difendere qualcosa di più grande dei confini nazionali, cioè la pace, la democrazia e forse la stessa civiltà occidentale. I due marò, giusto per ricordarlo, erano due “superaddestrati” fucilieri della Marina, prestati, secondo un’idea geniale dell’allora ministro della Difesa La Russa, a una petroliera privata, la Enrica Lexie, contro i pirati dell’Oceano Indiano. I quali, furbi, non si palesano mai in questa vicenda. Al loro posto, vengono accoppati due pescatori indiani, Ajesh Binki e Valentine Jelastine, proprio, sostiene l’India, dai nostri due marò, a bordo da pochi mesi. Ma siccome i due negano, per l’Italia sono innocenti, e per una strana allucinazione collettiva da allora ricoprono il ruolo che più ci mancava: quello di vittime fisiche di imperscrutabili disegni mondiali contro di noi, oltre che fulgidi esempi di prodi combattenti della parte giusta del mondo. E così come ogni Natale da tre anni a questa parte ci facciamo una bella doccia di retorica patria, coi politici di destra e di sinistra che fanno a gara a chi gli vuole più bene, e molti giornali che cinicamente li usano per dare torto ai giustizialisti, ai pacifisti, ai terzomondisti, agli attendisti e a quelli che non hanno le palle di sparare a caso dai ponti delle petroliere. Ormai i “nostri due marò” è diventato il frammento di una prece, il verso di una poesia da far imparare ai bambini, un articolo della Costituzione su cui giurare. “DOBBIAMO trovare il modo di riportare a casa

i due marò”, disse Emma Bonino. “Parlato ora con il Ministro degli Esteri indiano dei nostri Marò”, disse Federica Mogherini. “Subito i marò in Italia”, disse Paolo Gentiloni. “L’unica via

Le metamorfosi del sottosegretario di Bruno

Tinti

UNA SETTIMANA fa sono stato invitato a SkyTg24 Economia. Era il giorno in cui il Consiglio dei ministri doveva partorire le riforme per debellare la corruzione. Non ho detto nulla di nuovo: la corruzione non si combatte alzando la pena minima da 4 a 6 anni, bastano le attenuanti generiche e si torna a 4 anni, soglia fatata che assicura l’impunità poiché non si va in prigione; e un aumento di pochi mesi dei termini di prescrizione non è sufficiente a impedire che i processi per corruzione si prescrivano tutti, come accade dai tempi di Mani Pulite, quando ancora B. non li aveva accorciati. Serve una riforma di sistema; le pene inflitte vanno scontate, non ha senso dire a un delinquente che è condannato a 4 anni di galera e quindi può andarsene a casa; e, se non ci sono celle libere, si costruiscano nuove carceri. Infine: i delinquenti sono tanti, i giudici pochi e i processi lunghi; sarebbe bene imitare i Paesi civili ed eliminare Appello, Udienza Preliminare e Tribunale della Libertà: un primo grado di giudizio e un ricorso in Cassazione sono più che sufficienti; così avremmo più giudici e tempi brevi senza spendere un euro. Poi è toccato al prof. Dell’Aringa, professore universitario di Economia e deputato del Pd, da cui in verità molto mi attendevo; invece… “Sì certo, l’analisi di Tinti non può essere negata; occorrono riforme di sistema; però rifare tutto richiede n

tempi lunghi; io credo che anche riforme di più corto respiro possano servire a qualcosa”. Sono rimasto molto sconcertato. Se le riforme di corto respiro erano quelle che si sapeva sarebbero state approvate in Consiglio dei ministri, a cosa mai sarebbero servite? Lui stesso aveva appena riconosciuto che la descrizione da me fatta del sistema che garantisce l’impunità alla corruzione era corretta. E, se erano altre, quali? In che modo avrebbero potuto porre un – limitato – freno alla corruzione dilagante? Così ho capito che non era il professore universitario di Economia quello che stava parlando; era il deputato del

NULLA CAMBIA Ospite Sky, ho parlato di corruzione con Carlo Dell’Aringa (Pd). Alla fine ho ripensato a B. e ai suoi “ristoranti pieni”

Carlo Dell’Aringa

talizia, Napolitano si è detto “fortemente contrariato”, e Gentiloni finanche “irritato”. E cosa si può fare? Il direttore de il Giornale Sallusti dice che un “capo supremo, i suoi uomini, se è il caso, se li va a prendere personalmente, sfidando protocolli, sovranità, diplomazie”, in sostanza Napolitano dovrebbe fare un blitz nel Kerala. In fondo, l’India ha solo un miliardo di abitanti e la bomba atomica. Però ha ragione, è Natale e si può fare di più per i due marò. Si potrebbe farli intervenire in diretta

Pd, già sottosegretario e al momento componente di varie commissioni parlamentari. Il cui problema non era quello di collaborare all’analisi della situazione e al suggerimento di misure efficaci per combattere la delinquenza economica; ma sostenere il governo, quali che fossero i pannicelli caldi apprestati per combattere il cancro e quali che fossero i patti scellerati stipulati con gli alleati che lo puntellavano. Se ne deve essere accorto anche il conduttore della trasmissione, Alessandro Marenzi, che gli ha cortesemente fatto notare che lo stile di Renzi, in questa occasione, era un po’ diverso da quello manifestato in occasione del Jobs Act: lì leggi delega e decreti del governo, qui disegni di legge da affidare al Parlamento… UN PAIO di minuti dopo, il professore ne ha scodellata un’altra: dobbiamo reagire alla diffamazione internazionale. Che l’Economist e altri grandi giornali stranieri ci indichino come una nazione corrotta è inaccettabile; sì, ci sono episodi di corruzione ma il Paese è fondamentalmente sano, pieno di gente onesta che lavora… Gli ha fatto eco un altro ospite, Roberto Sammella, un giornalista che è portavoce dell’Authority Antitrust: dobbiamo reagire a questa falsa rappresentazione dell’Italia. Mi è venuto in mente B., quando diceva che la crisi non esisteva, i ristoranti erano pieni e sugli aerei non si trovava posto. Alla fine ero molto più depresso di quando ero arrivato. n

nell’ultimo discorso di fine anno di Napolitano. Fare una fiction su di loro coi due pescatori indiani interpretati da Beppe Fiorello e Gabriel Garko che si sparano da soli. Oppure potremmo chiedere a tutti gli indiani che conosciamo, cioè Kabir Bedi, di mediare presso la Corte Suprema indiana. Possiamo immaginare la tremenda situazione dei due uomini e delle loro famiglie. Mentre della tragedia dei due indiani e dei loro cari, per fortuna, non sappiamo niente.

IL LIBRO

Cinque anni di grandi interviste Cinque anni di idee, persone ed eventi raccontati dalla penna dei giornalisti del Fatto Quotidiano. “Gli incontri de Il Fatto Quotidiano”, le migliori interviste realizzate in questi anni. Da martedì 16 dicembre è in edicola con a 8,60 euro e disponibile sul sito www.ilfattoquotidiano.it

n celebre scrittore a cui chieU sero la formula dei libri di successo rispose: dieci per cento

ispirazione e novanta per cento traspirazione. Ascoltare la vita degli altri e poi scriverne sul giornale richiede su per giù lo stesso impegno fisico, come sanno gli autori di questa antologia di colloqui che raccoglie il meglio (non tutto il meglio per evidenti ragioni di spazio) di quanto apparso in questi anni sul Fatto Quotidiano. Una

grande fatica, poiché fare in modo che qualcuno ti racconti ciò che magari avrebbe preferito non ricordare significa innanzitutto convincerlo a parlare e non tutti, alla fine, ardono dal desiderio di mettere in piazza se stessi. Dopodiché, quanti appuntamenti rinviati, quante sedute interrotte, quanti ripensamenti e quanti ca-

HANNO DETTO Gigi Proietti, Sergio Zavoli, Renato Zero, Francesco De Gregori, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Ivano Fossati, Don Gallo e tanti altri

pricci da sopportare prima che si possa cominciare a lavorare sulla materia grezza che abbiamo di fronte. Qui il gioco si fa duro. Infatti, il questionario di base dovrà essere soprattutto un attento distillato delle informazioni d'archivio raccolte sul personaggio in questione poiché altrimenti alle domande troppo scontate seguiranno risposte altrettanto scontate. Però, partire subito in quarta con domande troppo pesanti creando imbarazzo sarebbe ugualmente sbagliato: facile infatti che davanti al registratore in fun-

zione subito scattino i freni inibitori, si alzino le difese come i ponti levatoi di un maniero e addio clima confidenziale. È come nella scherma: una serie di colpi di assaggio e poi l'affondo, meglio verso la fine dell'incontro quando magari ci si avvia verso l'uscita. Inutile dire che ricavare poi dalla trascrizione alta una montagna di fogli, due pagine di giornale che abbiano ritmo, brillantezza e scrittura è come ricavare un piccolo Mosè da un blocco di marmo di Carrara. Scusate l'enfasi, ma ciò che leggerete è un ritratto davvero straordinario della nostra epoca in 26 quadri d'autore. E ne siamo tutti molto orgogliosi (ho evitato volutamente di chiamarle interviste, quello ormai è un genere inflazionato e squalificato, uno sciatto supermarket dell'ovvio). Buona lettura a tutti.


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