Sismarzo

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SISM MAGAZINE

non ha valore periodico stampato con il contributo dell'Alma Mater


COS'È IL SISM L’IFMSA (International Federation of Medical students’ association) è la federazione nazionale delle associazioni di student di medicina a cui il SISM appartiene quale full member. A livello nazionale il SISM è composto da tre cariche elettive che per la sede locale corrispondono a:

INCARICATO LOCALE AMMININISTATORE LOCALE SEGRETARIO LOCALE Che regolano e promuovono le attività di 4 grandi aree tematiche che sono date da:

SCOME

SCOPH

SCORP

SCORA

-clerkship italiane -ospedale dei pupazzi -clown therapy -peer education

-giornate di sensibilizzazione e prevenzione -conferenze su temi inerenti donazione degli organi,midollo osseo

-Calcutta Village project -Wolisso project

-world AIDS day -giornata internazionale per la donna

Commissione stabile sulla pedagogia medica; corrisponde alla LOME locale

Commissione stabile sulla salute pubblica; corrisponde alla LPO locale

Commissione stabile sui diritti umani e pace; corrisponde alla LORP locale

A questi 4 comitati permanenti si affiancano i 2 comitati:

SCOPE Professional Exchange

Promuove l’internazionalità e la collaborazione tra studenti attraverso l’espletamento di un tirocinio che si inserisce in un sistema sanitario diverso da quello italiano. A livello locale i Professional Exchange sono gestiti dai LEO (Local Exchange Officer).

SCORE Research Exchange

Area che permette agli studenti di recarsi presso una Università straniera e frequentare un dipartimento che conduce un dato progetto di ricerca. A livello locale i Research Exchange sono gestiti dai LORE (Local Officer on Research Exchange).

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Commissione stabile su salute riproduttiva ed AIDS; corrisponde alla LORA locale


LETTERA DELLA REDAZIONE Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’ e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò. Da quando sei partito c’è una grossa novità, l’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va. Si esce poco la sera compreso quando è festa e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra, e si sta senza parlare per intere settimane, e a quelli che hanno niente da dire del tempo ne rimane. Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, ogni Cristo scenderà dalla croce anche gli uccelli faranno ritorno. […] E se quest’anno poi passasse in un istante, vedi amico mio come diventa importante che in questo istante ci sia anch’io. L’anno che sta arrivando tra un anno passerà io mi sto preparando è questa la novità (Lucio Dalla)

Come aveva ragione il buon Lucio Dalla, come ci si ritrova in queste note. Sembra proprio che, per quanto ci ostiniamo a pensare il tempo come una linea retta che si perde nella prospettiva, in realtà siamo un po’ come gli uomini del passato che si illudevano della piattezza della Terra e dell’infinito oltre l’orizzonte, quando invece la Terra è una sfera, il tempo un cerchio, e tornano sempre su sé stessi. Le situazioni in fondo si ripresentano ogni volta con nuovi toni, nuovi personaggi, ma storie fritte e rifritte. Per questo, tra i vari collegamenti che si possono allacciare a questo brano, me n’è giunto alla mente uno che mi sembrava doveroso citare, anche perché il 27 Gennaio è passato da poco: il razzismo. Gli anni ’40 e i giorni nostri sono entrambi presenti in questo brano, con il grigiore dei sacchi di sabbia vicino alla finestra e il silenzio di intere settimane da una parte e la tv che blatera dall’altra. E anche il razzismo penso sia presente in entrambe le epoche. E’ un fenomeno che gira e rigira si ripresenta sempre, è radicato con incredibile profondità nell’uomo e gli orrori del passato sembrano non essere sufficienti a dimostrare l’inutile carico di rabbia, dolore, cattiveria che si associano a questa parola. C’è ancora chi ha dubbi a riguardo, chi si chiede se sia giusta l’integrazione, la fratellanza, se siamo effettivamente tutti uguali, se meritiamo tutti, allo stesso modo, di stare bene. Come allora anche oggi la paura, la pigrizia, la scarsa informazione rendono la gente passiva; non realizziamo com’è importante che in questo istante ci siamo anche noi e che siamo partecipi di tutto ciò che accade, e che anche l’omissione è un peccato. Chi pensa solo al suo piccolo orticello, se vive in una società malata, prima o poi si ammalerà. Per questo è compito di tutti cercare una cura. 3


I MONDI DEL CORPO IN UN MONDO DI CORPI. OPINIONI SU BODY WORLDS Quando mi hanno parlato per la prima volta di Body Worlds la mia reazione si collocava a metà tra il “se è gratis e sotto casa ci faccio un salto” e lo “stigran-cazzi1”. Quando hanno specificato che si trovava a Milano (e quindi non sotto casa) è passata nello speciale sgabuzzino cerebrale dedicato a quelle cose che ti scivolano addosso e che, se ti sfiorano, è per poco e poi via, nel vento. Per chi non sapesse di cosa sto parlando, dico in breve: Gunther von Hagens, al secolo Gunther Gerhard Liebchen, è un anatomopatologo tedesco che negli anni ’70 ha inventato la plastinazione (metodo per conservare i cadaveri che consiste nel sostituire i fluidi biologici con polimeri di silicone, rendendo i tessuti malleabili e immarcescibili) usandola prima a scopi didattici e più recentemente per la suddetta mostra. Dal ’95 in poi questa esposizione ha girato in varie zone del mondo, attirando milioni di visitatori, portando a von Hagens fama, soldi, denunce e il soprannome di “Dottor Morte” (detronizzando il povero Mengele). In questo momento Body Worlds si trova a Bologna e vi rimarrà fino al 16 febbraio. Annunciata la scorsa estate è approdata il 6 novembre all’ex GAM, scortata dal polverone di polemiche che accompagna sempre i freak-shows come la nube di lordura accompagna Pig Pen dei Peanuts. I due schieramenti, pro e contro, contrappongono opinioni facilmente prevedibili, di cui citerò le più rappresentative (a mio avviso), raccolte da dichiarazioni ai giornali locali.

PRO

- Fabio di Gioia, organizzatore della mostra: «La mostra privilegia sia l’aspetto scientifico che estetico dell’anatomia. Si vedono anche sistemi interi: i vasi sanguigni, l’apparato neurologico, quello muscolare. Con colori vividi, originali. Le pose in azioni quotidiane riducono l’effetto macabro, aggiungono conoscenza. E bellezza. […] Non spettacolarizziamo la morte, spettacolarizziamo, semmai, la vita. Ma non è esibizione, è conoscenza. […] Dai sondaggi condotti tra il 1996 e il 2008 dall’Università di Kassel risulta che dopo aver visto la mostra il 10% dei visitatori ha iniziato a fumare di meno e a consumare un minor numero di alcolici, il 33% ha deciso di nutrirsi in maniera più sana, il 25% ha iniziato a praticare uno sport, il 14% ha ammesso di

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sentirsi più consapevole del proprio corpo, il 23% si è detto più disponibile rispetto al passato alla donazione degli organi2». - L’Osservatore Romano, contro ogni previsione: «La mostra risulta un meraviglioso inno al rispetto del corpo.[…] Fosse o meno tra gli intenti degli ideatori di Body Worlds, il risultato dell’esposizione non è solo quello di avvicinare alla scienza i profani, ma di indurre ciascuno di noi a guardarsi veramente. A ringraziare per il meraviglioso bagaglio con cui nasciamo. E che è anche nostra responsabilità rispettare.» - Vincenzo Esposito, professore di anatomia all’Università di Napoli,Simona Chiapparo, neuropsichiatra: «Dai primi risultati si evidenzia una plurivocità di significati attribuiti al corpo umano che, sovente, sembrano sfuggire alle odierne discipline medicheche, a tratti, dimenticano quella che la neurofisiologia definisce come “bio-complessità” della nostra dimensione somatica, in nome della quale occorrerebbe tornare ad un approccio terapeutico che sia in grado di accogliere anche gli elementi affettivi e simbolici delle malattie organiche.È quanto si riscontra nei risultati preliminari dell’indagine che segnala la crescente esigenza di poter accedere ad una maggiore consapevolezza del proprio corpo malato.Ne scaturisce la necessità di interrogarsi su quali implicazioni abbia tutto questo per i nostri attuali modelli medico-scientifici, dei quali sarebbe auspicabile un rinnovamento così che questi modelli tornino a riconoscere al corpo umano una fondamentale “legittimità epistemologica”.» - Don Mazzi, sacerdote neo-mediale: «Questa mostra deve essere fatta visitare per obbligo agli adolescenti affinché capiscano quale meraviglia è il loro corpo. Noi cattolici dobbiamo liberarci dal tabù3 del corpo e capire che anima e corpo non sono divisi».

CONTRO

- Marino Golinelli,presidente di Αlfa Wasserman e della Fondazione di divulgazione artistica e scientifica che porta il suo nome: «Macchè scienza, è uno show. Non c’entra con la cultura scientifica, che promuove l’essenza della vita, grandi temi legati alla persona, all’evoluzione dell’uomo, alla natura, all’etica e alla morale. Non può essere utile alla conoscenza, non in questo modo. I cadaveri in posa esaltano l’aspetto sensazionale, fanno spettacolo, non vedo la funzione educativa.»


- Gianfranco Maraniello, direttore dell’Istituto Musei di Bologna: «Questa non è arte», e al giornalista che sottolinea che le caratteristiche strutturali sono quelle di un’esposizione artistica risponde «Questa è senza dubbio una forma di spettacolo. Non ha valenza artistica, non c’è ricerca, studio di linguaggi... È forma di intrattenimento, una curiosità scientifica. Ma solo curiosità.» - Lucia Manzoli,professore ordinario di Anatomia umana all’Alma Mater: «È una spettacolarizzazione fine a sé stessa, non ha alcuna utilità. Un conto è una dissezione anatomica, un conto è uno spettacolo. D’accordissimo che vedere, maneggiare e dissezionare cadaveri sia utilissimo, ma questo è uno spettacolo. Vedere cadaveri che giocano a basket, suonano la chitarra o fanno ginnastica che utilità ha? Per noi nessuna. Ciò che vediamo con quei corpi lo vediamo anche in quelli di cera4.» Ma l’opinione che più mi ha colpito, e lo dico da non-credente (se per credente si intende la fiducia in un’entità antropomorfa incline all’associazionismo mafioso e non in un principio sincretista descrivibile secondo linguistica, filosofia, biologia, cibernetica e teoria degli insiemi) è stata quella di Carlo Caffarra, cardinale dell’Arcidiocesi di Bologna: «Reali cadaveri, come quelli di una donna incinta o di feti nei diversi gradi di sviluppo, vengono plastinati per essere esposti al pubblico, facendo loro assumere pose tratte dalla vita reale. Veri e propri corpi scarnificati, allestiti come se fossero viventi, ci dovrebbero dunque accompagnare nelle diverse sale, magari salutandoci con un sorriso o invitandoci a prendere un caffè. Il corpo non può mai essere oggettivato, né trasformarsi in un luogo di divertissement. È una violenza contro il pudore, una vera e propria pornografia. Si usa la morte per fare spettacolo». Mi ha colpito soprattutto l’uso della parola “pornografia”. Ha del pornografico, questa mostra? Certo, se si applica una logica farisaica come fa Cristina Brondoni, criminologa forense, sul suo blog (www.tutticrimini.com, post del 26/08/13) si riduce il pornografico alla necessità di “avere un dichiarato e palese contenuto sessuale”. No, credo che la scelta sia appropriata e ponderata, e uno scivolone sulle parole, state tranquilli, aspettatevelo da tutti meno che da un uomo di Chiesa di una certa caratura intellettuale. Quello che c’è di pornografico non sta nel mostrare i corpi nella loro nudità estrema, o meglio non nell’intenzione sessuale, ovviamente assente. La mostra è pornografica per altri aspetti. Volendo fingerci etimologi come la suddetta Brondoni, “porno” vuol dire prostituta e “grafia” disegno, rappresentazione. E prostituzione è vendere il proprio corpo o attributi propri della persona, non

necessariamente a scopi sessuali. Anche secondo un aspetto strettamente erotico l’oggetto della transazione non è il coito, è il corpo. Si parla quindi di cedere una connotazione del Sé, rompendo un’unità che è tale a priori, oggettivando un determinante del proprio essere, e declinarne proprietà e responsabilità (si pensi ad esempio all’espressione “prostituzione artistica”). La componente rappresentativa aggiunge il suffisso “-grafia” al “porno”. Ci sarebbe da capire se il ripudio morale della prostituzione nasca dall’auto-privazione di una parte di Sé o, ancora prima, dalla frattura delle componenti intrinseche di un Essere, ma si andrebbe a fare un lavoro di fino che non mi compete. Qui di fatto c’è un’esposizione di corpi, e i soldi se li intascano Gunther & soci in vesti di papponi. Ma queste sono quisquilie e pippe mentali (che hanno comunque il loro valore). Molto banalmente, la pornografia si basa sull’atto di violare un aspetto intimo. Questa è una condizione necessaria, senza un’esibizione mancherebbe l’oggetto dell’attenzione. Quello che rende pornografica una rappresentazione non è l’esposizione in sé, ma l’atteggiamento dell’osservatore. Il porno sta nell’occhio di chi guarda. E, anche qui, la faccenda si risolverebbe dicendo che uno va lì per curiosità scientifica, per farsi un’idea, “acquisire maggiore consapevolezza del proprio corpo” (per citare chi è abbastanza paraculo da fingere di credere nel dibattito, scontro tra conflitti interiori irrisolti che non fa che rafforzarne l’irresolutezza: ci si può confrontare solo su ciò che non ci riguarda). Ma se la motivazione fosse veramente questa, allora con tutta probabilità gran parte di chi va a vedere Body Worlds si sarà interessato all’anatomia tramite, non so, youtube (prendete i video del mitico Robert Acland, dissezioni anatomiche con spiegazione accessibile a tutti), pubblicazioni divulgative (dall’atlante di anatomia fino a un’enciclopedia, wikipedia o Esplorando il corpo umano) o attraverso i Musei delle Cere Anatomiche5. (Non vorrei sembrare troppo pregiudiziale, ma) mi sembra legittimo nutrire forti dubbi a riguardo. Soprattutto perché, parlando con chi c’è stato o con chi pubblicizzava la mostra, l’enfasi sta nel fatto che siano “cadaveri veri”, non in ciò che si può vedere. In fondo la cosa grandiosa (si fa per dire) di von Hagens è l’abbattimento di un limite naturale, fisico, antropologico (considerando il tabù che la cute, la morte e la putrefazione incarnano da un punto di vista culturale), non la missione prometeica. Ed è la stessa intrusività di Michele Cucuzza che manda l’inviato speciale nella villetta di Cogne e fomenta le nostre nonne col sangue secco sul pavimento. È l’immagine scontornata del Peeping Tom che col binocolo spia la cucina dei dirimpettai. È la famigliola che passa in macchina di fronte all’isola del Giglio, deviando il percorso, di ritorno dalla vacanza sulle Dolomiti. Sempre più in là, un passo oltre.

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Attualità E ciò è umano. La curiosità per il proibito, dal mito di Pandora alle foto in bianco e nero delle fosse comuni ad Auschwitz. Fatevi un giro tra i commenti di chi ha visitato la mostra a Milano: a prevalere sono il rammarico e lo sconcerto per la mancanza del pezzo più forte e controverso di tutti: la donna gravida con la pancia aperta (www.bodyworldsinthecity.it/commenti/). È umana l’attrazione verso ciò che è nascosto, a prescindere dal suo contenuto; soprattutto se è proibito, murato, dalla pelle o dall’etica. È ipocrita dire che incontrare una bella ragazza e l’idea di svestirla siano due esperienze ontologicamente distanti, e le donne di cui parla Brassens/De André vanno al baraccone non per curiosità zoologica ma per ammirare il batacchio del famoso gorilla. La pornografia sta nella morbosità che il proibito inequivocabilmente scatena, in misura più o meno marcata, in ognuno di noi6. “La gente tende ad assomigliarsi terribilmente proprio nei suoi interessi volgari, morbosi e stupidi, e a essere estremamente diversa per quanto riguarda gli interessi raffinati, estetici e nobili”. Non a caso ho preso in prestito una citazione del mitico David Foster Wallace (scrittore imprescindibile per chi come me ama simulare una cultura che non ha dandosi un tono agli aperitivi).Non a caso perché se c’è qualcuno che ha colto lo spirito mass-mediatico della nostra epoca7 con sufficiente ironia e senza snobismo è proprio DFW; ma soprattutto perché nel reportage “Il figlio grosso e rosso” offre uno spaccato dell’industria pornografica, e me lo sono andato a rileggere in vista della stesura di questo articolo, riecheggiando la pornografia a cui accenna Caffarra. In particolare, questo estratto: “L’industria del porno è volgare. […] Ma naturalmente dovremmo tenere a mente che volgare ha molte definizioni nel dizionario, e che solo un paio di esse hanno a che fare con l’oscenità o il cattivo gusto. Dal punto di vista etimologico, volgare significa solo popolare su scala di massa. E’ il contrario semantico di pretenzioso o snob. E’ l’umiltà col riporto”. In Body Worlds, se l’intento formale è quello della divulgazione (e sottolineo formale, ma soprattutto sottolineo se), il risultato, l’effetto, è la volgarizzazione. Se la divulgazione è un mezzo per elevare8 i fruitori, la volgarizzazione è abbassare il contenuto, appiattirlo, depauperarlo del suo significato, della sua unicità. Svuotarlo di senso. Mettere il cadavere di un nostromo in posizione di vedetta con tanto di cannocchiale teso, quello di un chitarrista in un contorsionismo à la Jimmy Page, quello di un calciatore nell’esecuzione di un colpo di testa, quello di una donna incinta con la pancia squartata in una posa da Maya desnuda non è mostrare il corpo nella sua quotidianità ([inciso ironico] notare la quotidianità dei gesti citati, per non parlare dei giocatori di badminton -badminton? ma neanche tennis?

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badminton!- o dell’equilibrista sulla corda [/inciso ironico]), è ridicolizzarlo nel suo stereotipo. In un lunedì sera di dicembre un cazzo scuoiato e tagliato a metà fa sghignazzare la masnada foggiana che davanti a me alberga l’expo9. È il sensazionalismo finto-umanista dello stupore di dottori e professori, con sensi di inferiorità in conflitto con la loro personalità narcisistica, di fronte ai numeri performativi del nostro organismo, come il numero dei battiti cardiaci in una vita o la lunghezza del nostro tubo digerente, per i quali non era necessario mostrare un budello srotolato o una giraffa (una giraffa?) sezionata. È “le arterie sono le autostrade del nostro corpo” dell’audio-guida che il mio amico Mork ha pagato per amor di completezza, che suona tanto come un infantilizzato “Hey, what’s goin’ on?” molto MTVyeah del ragazzo immagine proveniente da Poggibonsi ma che finge di essere di Los Angeles all’ingresso di quel coacervo eugenetico che è Abercrombie & Fitch. È il sentimentalismo delle citazioni edulcorate di Gibran Kahlil Gibran e Goethe messe lì solo perché contengono la parola “cuore”, che tanto funzionano sulle universitarie con complessi edipici irrisolti attratte dai narcisi di cui sopra. Tutto diventa difforme e monomorfo. La mimica, nel suo voler esaltare, livella (cfr. Totò). La singolarità che la mostra pretende di omaggiare è asservita allo show. E il motivo è ovvio ed è sempre quello. Proseguendo con la citazione di Wallace: “Significa indici di ascolto e assioma di Barnum e il vero nocciolo della questione. Significa affari, affari d’oro”. Barnum era un “imprenditore e circense statunitense”. Già l’accostamento imprenditore-circense parla da sé, e le analogie tra circo e Body Worlds sono molteplici (etnosemiologi, dove siete?). Un aneddoto sul signor Barnum recita che un giornalista chiese a Barnum di definire la chiave del successo. Barnum lo portò alla finestra del proprio studio: “Quante persone ci sono in questa strada, un centinaio? Quante sono le persone intelligenti, sette, otto? Bene, io lavoro per le altre novantadue”. Se c’è una questione morale, l’unica che mi preme sollevare su Body Worlds è questa (ma è la stessa che si potrebbe esternare verso il presunto e ahimè generalizzato valore artistico di Donnie Darko): smettiamola di farci prendere in giro. Smettiamola di farci trattare da deficienti e di abboccare “sempre all’amo”. Ma, allo stesso modo, di sentirci rinfrancati se ascoltare Lo Stato Sociale ci proietta di diritto nel club delle anime salve. Di credere di fare affari comprando prodotti sovraprezzati e poi scontati nei negozi del centro. Di vestirci meglio e fare i duri pagando 20€ per entrare in una disco il sabato sera. L’unica morale che ha senso sostenere è difendere la propria dignità (nostra, non dei cadaveri plastinati: quella mi interessa relativamente, quantomeno perché quel che è fatto è fatto), che applicata in un contesto più ampio e attuale


Body Worlds prende il nome di anti-capitalismo, ma nel momento in cui la si chiama così la si veste di connotati marxisti che spaventano i più. La mia non è ideologia, è solo che essere preso per fesso, essere trattato dal signor Barnum o von Hagens di turno (per quanto voglia credere nelle intenzioni genuine di quest’ultimo) come uno tra i novantadue, non lo sopporto. Non sopporto essere trattato da deficiente. Credo che nessuno sopporti essere trattato da deficiente, perché se uno per strada ti si mette a dire “oh, sei proprio un cojone” tu o t’incazzi o non lo consideri. E in fondo è questione di chi sei. Essere tra i sette o otto o essere tra i novantadue. Ma mi rendo conto che riflessioni del genere lasciano il tempo che trovano. Che metterle nero su bianco le tinge di un patetismo che non fa loro onore. Che se uno ha la vocazione/condanna all’essere Suchende il pericolo che questa parola venga traslitterata in una simile denigratoria è estremo. Che le questioni di principio sono inutili e noiose. Tutte. - Voi medici siete noiosi, - rincara la dose il nostromo scarnificato, allontanando il cannocchiale dal volto. I suoi occhi azzurri mi guardano, mi compatiscono. Nonostante la plastinazione sanno ancora esprimere la meraviglia per le cose. - Siamo noiosi perché siamo prevedibili, rispondo io. - Siete prevedibili perché seguite un pensiero logico-sequenziale, - ribatte lui. - Hai ragione. È il problema della scienza moderna. La vanità degli idioti. - È il problema di chi non conosce il mare. È il problema di molti. Vieni con me, andiamo a farci una birra. Il nostromo apre la teca di vetro che lo conteneva e adagia il cannocchiale a terra. Mi porge la mano e usciamo indisturbati dalla mostra. Ci allontaniamo verso est, verso la tangenziale e l’A14, verso sabbie umide e tronchi e granchi rivolti, a passo morbido e deciso. Cadavere e umanoide, mano nella mano. In un tramonto giallo litio. Vincenzo Capriotti

NOTE 1 Troppo spesso sento l’espressione “sticazzi” e derivati usata impropriamente per sottolineare una reazione sorpresa, a mo’ del “soc’mel” bolognese. In realtà nel vernacolo romanesco “sticazzi”è l’espressione di menefreghismo per eccellenza, volta a denotare un marcato disinteresse, mentre il corrispettivo romanesco del “soc’mel” è “mecojoni”.

2 Farei notare subito come i risultati si basano su condotte che vanno ad incidere sul lungo termine, e che interviste a caldo a breve distanza dalla visita non possono essere significative nel rilevare un presunto effetto duraturo. L’esaltazione e il fenomeno di massa influenzano il singolo individuo nell’immediato, ma la modifica delle abitudini e il mantenimento dell’apprendimento richiedono sforzi ripetuti e applicazioni costanti (motivo per cui se ad un bambino fai vedere un film dei pirati per una settimana giocherà a fare il capitano di una nave, ma se lo stimolo non viene ripetuto quel comportamento viene perso). 3 Tabù del corpo? Ha veramente senso oggi parlare di tabù del corpo? Mi pare una contro-apologetica retorica e anacronistica. 4 In effetti, esclusa la ricostruzione della vascolarizzazione polmonare e delle vie nervose (che comunque oggi con la modellistica 3D sono possibili e la cui necessità, in ogni caso, resta opinabile) i cadaveri non differiscono per nulla da modelli anatomici in cera all’impatto visivo. Se qualcuno non lo notificasse prima non si direbbero corpi veri. 5 A Bologna ne abbiamo non uno ma due: il Museo delle Cere Anatomiche “Luigi Cattaneo” (via Irnerio 48; Orari di apertura:dal lunedì al venerdì 9.00-13.00 e 14.00-16.00; Ingresso:biglietto intero 3 euro, ridotto 1 euro) e il Museo di Palazzo Poggi (Via Zamboni 33; OrarioDa martedì a venerdì 10.00 - 13.00 / 14.00 - 16.00 - Sabato, domenica e festivi: 10.30 - 13.30 / 14.30 - 17.30 - Lunedì (non festivo) chiuso; Biglietto intero: 3 €; Biglietto ridotto: 1 € (Studenti, dipendenti Università di Bologna, disabili, over 65); Biglietto speciale: 5 € (Due adulti più un bambino); Biglietto gratuito: Studenti Università di Bologna, bambini fino a 6 anni; un accompagnatore per gruppo; insegnanti accompagnatori (2 per classe); accompagnatori di disabili che presentino necessità; giornalisti con tesserino; guide turistiche con patentino). 6 A ciò conseguono disquisizioni di carattere morale ed etico che lascio alla coscienza di ognuno, in riferimento ai propri valori, perché il discorso si allargherebbe a dismisura. 7 Non che le epoche precedenti siano esenti da fenomeni di massa, ma la componente neo-mediale ha aperto prospettive tanto interessanti quanto golemiche, in virtù delle sue potenzialità. 8 Che parola nazista, perdonate la truce semplificazione ma mi serviva per la metafora. 9 E qui si potrebbe commentare: “perché ci sei andato? Alla fine, comunque, ci sei andato”. Potrei rispondere che non volevo andarci, perché non mi interessava la mostra in sé, ad interessarmi è ciò che essa significa e questo prescinde dall’averla vista o meno, ma siccome ho voluto scriverci questo articolo e l’attuale metodo scientifico si basa ancora sul verificazionismo empirico, e siccome mi rivolgo principalmente ad un pubblico di medici, ho dovuto accollarmi il fardello epistemologicamente stantio del “non puoi giudicare senza aver visto” -come se fossimo verginali in tutto, menti immacolate della vestale di Pope, come se il giudizio nascesse solo a posteriori, come se il giudizio avesse una qualche importanza. Qualcuno potrebbe controbattere che il volerci scrivere un articolo è una scappatoia per giustificare al mio Super-Io la morbosità di cui sopra, ma qui si entrerebbe nella psicanalisi e comincerei a sciorinare le mila cose che finisconocol distrarmi dalla curiosità che accomuna chi ha poco da fare, risultando sgradevole, cosa che non voglio quindi, in nome del quieto vivere, fidatevi quando vi dico che 14€ me li sarei risparmiati volentieri.

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L'ACQUA DEL SINDACO O L'ACQUA IN BOTTIGLIA ?

Bere è importante. Tralasciando le eccezioni, consumare almeno 1,5-2 litri d’acqua al giorno è fondamentale per il corretto funzionamento del nostro organismo. Ora, non mi voglio dilungare su aspetti fisiologici (un esame di fisiologia da 20 crediti può bastare), ma vorrei illustrare un po’ uno dei dubbi che mi sono posta appena venuta a Bologna. Il primo problema che ci si può porre è: cosa bere? Tralasciando gli alcolici, che cosa è meglio bere? Acqua è la risposta corretta. Le bevande zuccherate aumentano il senso della sete e spesso, oltre agli zuccheri, contengono coloranti e conservanti, fattori che possono predisporre a molte malattie. Ci si chiede però: quale acqua? Quella in bottiglia o quella del rubinetto? La risposta della maggior parte della gente è l’acqua in bottiglia. Perché? Ed è la risposta corretta? Sono di Trento e per me, come per gli altri cittadini del Trentino, l’acqua da bere è quella del rubinetto, quella del sindaco. L’acqua in bottiglia la comprano solo quelli che la vogliono frizzante o leggermente frizzante. Oppure c’è chi prende le bibite. Negli ultimi anni però nella provincia di Trento si è diffuso l’uso del gasatore dell’acqua, strumento che permette di gasare l’acqua 8

del rubinetto comodamente a casa. Addirittura esistono delle miscele per fare l’aranciata, la coca e la gazzosa. Il Trentino tiene particolarmente a cuore i temi dell’ecologia e del risparmio, motivo per il quale ha indetto una campagna per incentivare l’uso di questo prodotto, offrendo dei contributi economici ai cittadini. Ora la maggior parte delle persone e dei ristoranti hanno eliminato il consumo di acqua in bottiglia. E a Bologna? Appena arrivata a Bologna mi sono voluta informare un po’ sull’acqua del rubinetto di questa città, che è tre volte più grande di Trento e molto lontana dalle fonti incontaminate d’acqua, i ghiacciai. Il mio ex coinquilino, medico, un giorno mi spaventò dicendomi che l’acqua di Bologna è piena di calcare e che berla predisponga a sviluppare calcoli renali. Spesso a Bologna vedo persone tornare a casa dal supermercato con in mano una bottiglia d’acqua soltanto, dato che, soprattutto per noi studenti fuori sede, le canoniche 6 bottiglie di acqua da 1,5-2 litri sono un carico piuttosto importante. Ma tutta questa fatica serve realmente? Le preoccupazioni sulla salute sono fondate? Si pensa che l’acqua in bottiglia sia più pura e che provenga direttamente da una fonte di montagna solo perchè sull’etichetta capeggia la foto di una paesaggio alpino. Purtroppo è solamente un escamotage pubblicitario. Se si legge bene l’etichetta, si scoprirà che è stata imbottigliata sì in paesi di montagna, ma non di alta montagna e non in luoghi incontaminati. Di paesi come questi ne possiamo trovare molti in Trentino, la cui acqua del rubinetto è proprio quella che viene imbottigliata. Quell’acqua deriva comunque dal cielo e non è detto che sia meno inquinato di quello di Bologna. Trento, benché piccola, è una città molto inquinata: spesso i valori di polveri sottili superano il limite consentito. E la situazione non è migliore nei paesi che si trovano più in alta quota: magari ci sono meno macchine, ma anche riscaldamento e stufe producono inquinamento. Si pensa che l’acqua in bottiglia sia più sicura. Non è vero, l’acqua del rubinetto è molto più controllata. I controlli sono stabiliti per legge e devono essere rispettati dei parametri per certificare la potabilità dell’acqua. Le leggi dispongono certe


direttive tra cui: “Non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana; devono soddisfare i requisiti minimi, cioè 55 parametri di cui 2 microbiologici, 28 chimici, 20 indicatori, 2 radioattività; non è consentito un deterioramento del livello esistente della qualità delle acque con ripercussioni sulla salute umana, né l’aumento dell’inquinamento delle acque destinate alla produzione di acqua potabile.” E’ bene tenere a mente, quando si valuta la sicurezza e la salubrità dell’acqua in bottiglia, che una bottiglia di plastica, dopo solo mezz’ora di esposizione al sole, rilascia nell’acqua sostanzepericolose. Alla domanda “come fa l’acqua a rimanere stagnante in bottiglia per mesi e a non imputridire?”, operatori del settore sostengono ci sia aggiunta di antibiotici, ma non si troverà conferma dalle ditte imbottigliatrici. Si pensa che l’acqua in bottiglia sia più buona. In parte questo può essere vero, ma ciò è dovuto alla presenza di cloro nell’acqua del rubinetto, necessario per la disinfezione. È sufficiente qualche accorgimento per far diminuire l’odore del cloro: essendo un elemento

volatile, basterà lasciar decantare l’acqua del rubinetto in una brocca aperta, facendo evaporare il cloro. La durezza dell’acqua, il calcare, provoca le incrostazioni agli elettrodomestici e predispone allo sviluppo dei calcoli renali. Che l’acqua del rubinetto faccia venire i calcoli non è vero. Lo si legge sulle linee guida Sana Alimentazione (INRAN 2003): “Non è vero che il calcio presente nell’acqua favorisca la formazione dei calcoli renali. Le persone predisposte a formare calcoli renali devono bere abbondantemente e ripetutamente nel corso della giornata, senza temere che il calcio contenutonell’acqua possa favorire la formazione dei calcoli stessi: anzi, è stato dimostrato che anche le acque minerali ricche di calcio possono costituire al riguardo un fattore protettivo”. La situazione è diversa per quanto riguarda gli apparecchi e gli impianti domestici, poiché l’acqua dura effettivamente provoca incrostazioni di calcare indesiderate in lavatrici, caffettiere, boiler, padelle e rubinetteria, danneggiandoli. La manutenzione degli elettrodomestici deve essere pertanto adeguata alla durezza dell’acqua, come pure il dosaggio dei 9


detersivi. Per proteggere gli apparecchipiù sensibili può essere opportuno addolcire l’acqua. Ma questo esula dal nostro discorso. Fino a qui, intendevo sfatare alcune convinzioni in merito alla maggiore bontà e salubrità dell’acqua in bottiglia rispetto a quella del rubinetto. Di tutt’altro avviso sono due considerazioni ben diverse da quelle fatte finora: una ecologica ed una economica in merito all’acqua del rubinetto. L’acqua del rubinetto è più ecologica: non richiede l’imbottigliamento e il trasporto. Nel 2011 l’Italia, con 196 litri per abitante, si è confermata primo Paese in Europa e terzo nel mondo per consumo di acqua in bottiglia, dietro Arabia Saudita e Messico. In tutto, nella Penisola, sono state consumati nel 2011 6 miliardi di bottiglie di plastica. E queste bottiglie quanto costano all’ambiente? In fase di produzione un kg di PET (25 bottiglie da 1,5 litri) consuma 2 kg di petrolio e 17.5 litri d’acqua. Per trasportare 15 tonnellate, che corrispondono a 10.000 bottiglie d’acqua da 1,5 litri, un camion in perfetta efficienza consuma 1 litro di gasolio ogni 4 km (25 litri ogni 100 km). Dopo vari passaggi, si deduce che il consumo giornaliero procapite di 1 litro di acqua in bottiglia comporta un consumo di 5 litri di gasolio all’anno. A questi 5 litri di gasolio vanno aggiunti: i consumi di petrolio per produrre le bottiglie di plastica (8 kg per 200 bottiglie); i consumi di gasolio dei camion che trasportano le bottiglie di plastica vuote dalla fabbrica che le produce all’azienda che imbottiglia l’acqua e dei camion della nettezza urbana che le trasportano dai cassonetti agli impianti di smaltimento; i consumi di benzina degli acquirenti nei tragitti casa – supermercato - casa e casa –cassonetti - casa. Per non parlare poi dello smaltimento di queste bottiglie: la raccolta differenziata è un utile mezzo per ridurre i rifiuti non riciclabili, ma il processo di riciclo produce inquinamento. Vanno aggiunti i dati derivanti dallo smaltimento. Nella sola Lombardia, vengono portate in discarica e incenerite 150.000 tonnellate di bottiglie in PET all’anno, con un costo per la collettività di 25 milioni di euro: l’inquinamento a questo punto è incalcolabile. L’acqua del rubinetto è più economica: l’acqua in bottiglia costa 10.000 volte di più. Il ricavato delle vendite viene utilizzato quasi 10

esclusivamente per gli imballaggi, il trasporto e la pubblicità. L’acqua contenuta nella singola bottiglia costa ai produttori in realtà meno della colla per l’etichetta.Anche le grandi aziende occupano pochissimi operai (ade esempio, la Rocchetta 48 dipendenti, dati 2005) e pagano cifre ridicole per le concessioni; secondo «Guida al consumo critico», EMI edizioni, la Nestlè (San Pellegrino, Levissima, Panna, S. Bernardo, Pejo, Boario) in Veneto sostiene la ragguardevole cifra di 3.625,10 euro all’anno per le sue estrazioni, mentre la S. Benedetto (gruppo Danone) 555,16 euro all’anno, per un anno intero di estrazioni; a nostro carico lo smaltimento delle bottiglie. Grazie agli ingenti investimenti pubblicitari (ca. 300 milioni di euro l’anno), si ostacola una corretta informazione sullo stato dell’acqua e delle relative normative, creando quindi una domanda ed un’offerta laddove non esistevano. Quello che dovrebbero raffigurare le etichette dell’acqua non sono le montagne incontaminate, ma i cumuli di bottiglie che vengono prodotte ed accumulate come rifiuti. E saranno solo queste le montagne che ci saranno in futuro se non ci impegneremo tutti a rispettare e salvaguardare l’ambiente. Acqua del rubinetto o acqua in bottiglia? A voi la scelta. Sara Roccabruna


TI FACCIO VEDERE Ti faccio vedere è l’iniziativa con cui il SISM di Bologna ha proposto a noi studenti di incontrare il mondo della disabilità visiva. Lo ab iamo fatto in due serate, il 19 e il 22 novembre, in cui ci siamo trovati a tu per tu con gli amici dell’associazione API&ACI, ovvero Associazione per la promozione dell’integrazione e l’autonomia di ciechi e ipovedenti. Ti faccio vedere, dunque. Nomen omen, dicevano i latini, un nome un segno. Ma questa volta anche un nome una promessa, un nome una sfida. Una frase che contiene l’invito accogliente del “Vieni, ti faccio vedere, ti faccio conoscere il mio mondo”, e insieme il proposito fermo, irriverente se vogliamo, di chi vuole stupirti e sa che ci riuscirà “Vieni, ora ti faccio vedere cosa so fare”. Mi è piaciuto subito questo doppio livello di significato, così ho cavalcato l’onda della curiosità e della sfida che mi era stata lanciata, e sono andata… Perciò eccomi qui. Non ho mai avuto esperienza di incontri con non vedenti, prima d’ora. Sarà per questo, forse, che arrivo al primo incontro con un discreto rifornito bagaglio di pregiudizi sul tema, e per pregiudizi intendo il ritenere, a priori, di sapere già quello che mi diranno. ‘Adesso mi parleranno di tutte le limitazioni con cui di certo si scontrano nel quotidiano, nelle relazioni, nello sport… Ascolterò storie di rinunce, di bisogni, di rassegnazione ad una condizione di svantaggio... Mi diranno cosa si prova a NON POTER FARE tutte quelle cose che un cieco non può permettersi di fare, a differenza nostra’. E ammettiamolo, credo che un pochino tutti noi normovedenti (chi più chi meno in base alla propria esperienza) ci attenderemmo di questi discorsi, perché ragionando in base alla nostra condizione, proviamo a immaginarci come sarebbe vivere nella loro, e pensiamo ‘non sarei più capace di fare niente’. E invece… Sentite qua cosa mi porto a casa dopo solo due incontri! Tanto per cominciare, di sicuro mi porto a casa il vero significato della parola handicap, perché non voglio dimenticarlo più. Non è infatti ciò che noi, platea di ‘normali’, ritenevamo fosse... E’ un limite che una persona possiede, abbiamo detto...E invece, ricollocando la parola nel contesto

storico in cui è nata, ne abbiamo capito l’autentico significato: essa è stata mutuata, infatti, dalle gare ippiche dell’Inghilterra di fine Ottocento, dove handicap era il nome del giogo che veniva posto sul busto del cavallo più giovane e forte al fine di uniformare le potenzialità degli animali in gara, cosicché l’esito finale dipendesse esclusivamente dalla bravura dei fantini. “Ma allora, pensateci bene...l’handicap era dentro il cavallo o era qualcosa che gli veniva affibbiato da fuori?” ci provoca il prof. Daniele Civolani, dirigente scolastico di Ferrara, attivo in API&ACI. Le nostre facce, perplesse, che lentamente si trasformano in vivo stupore. “Ora ragazzi capite bene che l’handicap non è mai DENTRO la persona, ma è sempre FUORI; la persona in sé potrà certamente avere una disabilità, una menomazione fisica, ma lo step che fa diventare questo difetto un handicap, cioè un limite al suo agire, si crea fuori: è il contesto in cui la persona vive che determinerà il suo grado di handicap. E in questo contesto rientrano la famiglia, la società, la città coi suoi spazi e le sue costruzioni spesso ostili alle esigenze di una persona con disabilità”.Ma più di ogni altra cosa mi porto a casa volti, storie, racconti di vite vissute con grinta e determinazione: le marce in più di chi ha scelto di non lasciarsi abbattere dal problema, ma di sfidarlo per trasformare il limite in un trampolino di lancio verso nuovi ‘io’ possibili. Perché “I se sono il marchio dei falliti; nella vita si diventa grandi nonostante”, come scrive Massimo Gramellini nel suo intenso libro autobiografico Fai bei sogni. Un volto è quello di Roberto, che ha occhi così grandi e dischiusi da farti sentire osservato, anche se sai che è completamente cieco; quando ti interpella con una domanda, rivolgendoti il suo viso scaltro e vivacissimo, ti senti esplorato a distanza, attraverso vie comunicative impalpabili, immateriali, che attraversano l’aria interposta tra te e lui, azzerando la distanza di sicurezza. “Ho visto una mano alzata qua da questa parte, c’è qualcuno che vuole provare a rispondermi?”...Ecco, così capite cosa vuol dire sentirsi nudi, spogliati della nostra certezza presuntuosa di saperci invisibili a 11


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loro, di poterci nascondere. “Vi ripeto la domanda: quale sport pensate che un cieco non possa praticare?” Abbiamo risposto Sci! Pallavolo! Tiro con l’arco! Per dirne alcuni, i più eclatanti. E lui che con un ritmo cadenzato di No, no, no...liquida ogni nostra ipotesi. Lo sci è fattibile da alcuni anni grazie all’uso di una radio-guida, la pallavolo è diventata torball, che utilizza una palla sonora; anche il tiro con l’arco si può fare con l’utilizzo di segnali acustici. Roberto, dal canto suo, è uno schermidore, e il suo fisico prestante lo dimostra! Poi c’è Alessandra, che indossa un paio di occhiali scuri piuttosto grandi, ma non abbastanza da celare la delicatezza dei suoi lineamenti. Ci racconta alcuni aneddoti per farci capire quali piccole attenzioni possono essere utili per evitare gaffe. Un esempio: immaginiamo di partecipare a una cena insieme a un amico ipovedente o non vedente, di fronte a una tavola imbandita di cibi, non chiederemo semplicemente ‘Cosa preferisci?’ ma prima descriveremo quello che c’è e poi faremo la domanda. Descrivere, descrivere il più possibile. E questo vale anche nell’ambulatorio medico: presentarsi, descrivere quello che c’è nella stanza e la visita che si andrà a effettuare. E poi, non temere mai di dire ‘Signora, mi dica lei se e come posso esserle d’aiuto’ per mettersi a disposizione, aprire delle possibilità di incontro. Luisa è una signora distinta, pur nella sua semplicità, che porta occhiali da vista dalle lenti spesse, per correggere l’ipovisione grave. Insiste su quanto sia importante che nelle famiglie e nella scuola, insomma nel background in cui la persona vive, si passi sempre di più dalla logica del ‘Tu hai questa disabilità, quindi NON puoi fare questo e questo’ a quella del ‘Tu hai questa disabilità, quindi quali STRUMENTI possiamo utilizzare/ inventare perché tu possa fare ciò che desideri? Perché tu possa realizzarti? Perché tu possa essere il più autonomo possibile?’. Si spengono le luci, oggi è il giorno del secondo incontro, oggi c’è il percorso sensoriale: ogni persona non vedente prende a braccetto due fra noi studenti, precedentemente bendati. La mia guida si chiama S., è un signore non molto alto, di mezza età, molto gentile: è cieco dall’età di 10 anni, quando un retinoblastoma gli ha portato via la vista. Mi dà molta sicurezza il suo passo lento che precede di poco il mio, e nel mentre cerco di immaginarmi come sarebbe se, invece che un gioco

che dura pochi minuti, tutto ciò fosse la quotidianità anche per me. S. mi accompagna consecutivamente a tre tavoli diversi, su cui sono appoggiati degli oggetti, frutta, verdura, erbe aromatiche, modellini di animali, di cui provo a indovinare l’identità, toccandoli e annusandoli. Miprende in giro quando sbaglio, confondendo il profumo di alloro con quello delle foglie di agrumi, o quando dico che sto tenendo in mano il modellino di un bue mentre invece…”Tasta sotto, sulla pancia, non le senti le mammelle?” mi dice, ridendo di gusto… era una vacca da latte, per l’esattezza! Che finezze, gli dico io! Ma i dettagli sono importanti, mi fa notare. Ecco, in questo breve frangente di cecità simulata, sento sì la paura, la vertigine dell’ignoto, ma soprattutto sento che acquista valore la vicinanza con l’altra persona. In questo esperimento a riflettori spenti, non importa più che vestito indossiamo, che aspetto abbiamo, e lo spazio lasciato libero da queste informazioni viene colmato dal modo di essere di ciascuno. E in quell’istante mi sobbalza in mente una frase de Il Piccolo Principe “Non si vede bene che col cuore… L’essenziale è invisibile agli occhi”. “Se poteste vedere gli occhi che hanno questi ragazzi che vi stanno guardando, vi assicuro che sono fissi su di voi, stracolmi di interesse e di gioia per avervi conosciuto” dice una studentessa, tra le organizzatrici dell’iniziativa. Mi giro, ci guardo, e davvero mi accorgo che è così. Sara Rossi


MEDICINEMA-LA GRANDE BELLEZZA

Jep Gambardella è un mondano, anzi, il re dei mondani. Vive a Roma, città di re e imperatori, città immensa, splendida come non mai. Donnaiolo, dà il suo meglio alle feste, che ha il potere di creare e fare fallire, è una sorta di dio onnipotente della movida romana. È uno scrittore ma ha scritto un solo romanzo poi ha smesso, non è più interessato, ora scrive solo per una rivista. Come può scrivere se la sua vita è riempita di niente? Una vita vuota come la maggior parte delle persone di cui si circonda, personaggi bizzarri e grotteschi che affollano il suo appartamento vista Colosseo e che ancheggiano e sgomitano in una sorta di estenuante danza tribale. È il trionfo dell’indecente, dell’esagerato, dell’eccessivo, del botulino, del più colorato, del più sconciamente vestito, del più provocante, del più triste, del più felice, del più giovane e del più vecchio, del più bello e del più brutto. Sì, è lo squallore della nostra società, quella che ci siamo creati ricalcando il modello televisivo. Quanto siamo sfigati. Quanto sono patetiche quelle feste notturne e quanto invece è sublime la Roma albeggiante, così grande, così vuota. Non di questa terra. Una scatola piena di vetri rotti. Jep si muove in questa città surreale, tesa tra il miserabile e lo spirituale, dove i nuovi ricchi, gli arabi, pasteggiano per le costose vie del centro, dove la curia si concentra più sulla carne che sull'anima, dove l'essere è strangolato dall'apparire e da uno stanco perbenismo. Se ne rende conto anche Jep, non per altro ha smesso di scrivere, lui cercava proprio la grande bellezza… Ma dov'è? Si può trovare? Forse

c’è qualcosa da salvare sotto tutta la finzione, sotto tutto il trucco di cui il mondo è saturo, strabordante di chiacchiere e vacuità. Dove i grandi personaggi sono citati casualmente e utilizzati impropriamente. Qual'è il significato di definirsi proustiani o pirandelliani? Hai letto i libri di Pirandello? Sai di cosa stai parlando? Un tempo una definizione era sudata, ora si prende il computer e si ha accesso immediato all'informazione, tutto e subito... Posso tranquillamente definire questo film come felliniano; mi crederesti? Oppure vorresti sapere se ho davvero visto 8e1/2? Non è più il tempo per le cose raffinate, ci sono le polacche di vent’anni, è come guardare un film in streaming. Eppure Jep si emoziona ancora, ha ancora quella sensibilità che contraddistingue gli scrittori, come quando racconta la sua prima volta, quella notte d’estate, su di un'isola, con Elisa. Sente ancora il rumore delle onde, vede il bagliore del faro, assapora il suo profumo, quello dei fiori. É la bellezza assediata dall'orrore. Come l'isola del Giglio e la nave Concordia. Il ricordo della sua musa lo prende per mano, gli indica la strada, lei Beatrice e lui Dante. Non preoccuparti della realtà priva di senso, come dice Céline, quella è solo un'illusione, se c'è del bello è troppo effimero ed incostante. Esatto Jep! Riprendi a scrivere, la grande bellezza è nel tuo lavoro, nell'arte. Come quella notte, devi salire le scale verso il faro, come la Santa sale sulle ginocchia la scala di San Giovanni. É l'unico viaggio possibile per la tua salvezza. Per la nostra salvezza. Luigi Falzetti

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RADIOTERAPIA Titolo:Mirror Artista:Weekend Genere:Shoegaze

Dopo tre album che hanno fatto Largo alle giovani milizie dello shoegaze, dove le distorsioni diventano sogni! In realtà, qui i Weekend imperniano il brano su un basso potente (potente? Diciamo pure GRANITICO), mentre i riverberi chitarristici si riservano il ruolo di disegnare flessuose armonie per accarezzarvi mentre scuotete la testa al ritmo del basso di cui sopra. Il contrasto tra l’introduzione fumosa e la cavalcata energetica è la carta vincente; per non parlare di quando il cantante intona “I’m sick, sick, sick, sick, sick...in my heart” e tu ti lasci trascinare, canti con lui anche se il tuo, di cuore, in realtà batte a mille per lo scuotimento di capo di cui sopra. Morale della favola: buttate la Red Bull e fate partire Mirror.

Titolo:Inspector Norse Artista:Todd Terje Genere:Funky Synth

Ora, Todd Terje è norvegese. Una delle più importanti stazioni radio norvegesi (NRK P3) si è rifiutata di passare questo pezzo bollandolo come “musica di sottofondo per ascensori”. Anche se non siete norvegesi, compatite questo clamoroso autogol: hanno infatti perso la possibilità di diffondere sulle proprie frequenze uno dei pezzi più freschi e divertenti dello scorso anno. Bolle di colore rimbalzano su un ritmo contagioso che è pura gioia per le orecchie mentre una melodia giocosa, una di quelle che valgono una carriera, si impadronisce del vostro cervello. E state sicuri che lo abiterà per un bel pezzo.

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Titolo:Abacus Moon Artista:Don Harris Genere:New Age

Se avete ascoltato questo pezzo, probabilmente vi sarete già immersi nella fascinazione cosmica che vi risuona. Di sicuro sarete rimasti incantati di fronte alla scala verso il buio costruita da quella magnifica linea di basso; e certamente vi sarete lasciati rapire dalle costellazioni di note misteriose. Magari avrete perfino notato i dettagli di sulfurea bellezza, prima di stupirvi di fronte all’improvvisa redenzione del pianoforte. Se invece non l’avete ancora ascoltato, bè...che ci fate ancora qui? Correte a rimediare!

Titolo:30 Seconds Over Tokio

Artista:Rocket From The Tombs Genere:Art Rock

A volte ritornano. I Rocket From The Tombs erano già avvolti dall’aura del gruppo di culto quando nel 2004 incisero questo primo album 30 anni dopo essersi sciolti. Nel caso voleste la dimostrazione della loro fama di seminale band protopunk, eccovela servita: 30 Seconds Over Tokyo è una minaccia dall’inizio alla fine. Si apre con l’incedere lento delle chitarre che intarsiano la voce di David Thomas, sempre pronta a declamare l’apocalisse; poi il brano deflagra come in un quadro cubista, solo perrinascere dalle proprie ceneri in unvortice ipercinetico. E siamo appena a metà.

Roberto Perissinotto


Tra miti e credenze sul cibo Almeno una volta nella vita tutti decidiamo di migliorare il nostro fisico, di aumentare la massa magra. Ci iscriviamo così in palestra ma, nonostante i nostri sforzi, non notiamo alcun evidente miglioramento. A questo punto gli audaci che non vogliono gettare la spugna chiedono dei consigli su come raggiungere l’obiettivo con più facilità… Il primo consiglio che viene propinato è quello di alimentarsi correttamente; è giustissimo, il problema è che spesso a questo se ne aggiunge un altro, e cioè quello di aiutarsi utilizzando integratori. Per un appassionato di beveroni l’integratore equivale ad apportare nutrienti essenziali che sono presenti normalmente nei cibi, evitando, nel mentre, di introdurre anche calorie inutili e scomode. La motivazione è però sbagliata nella sua essenza, perché molto spesso questi integratori, anche se non contengono grassi, sono iperproteici e di conseguenza molto calorici. In ogni caso, aldilà delle calorie, sorge spontanea la domanda: “Ma faranno bene?”. La risposta classica che viene data è: ”Tranquilli, non fanno male perché sono sostanze naturali che assumiamo tramite la dieta o che il nostro stesso corpo produce”. Questo concetto è corretto, ma dobbiamo tenere a mente ciò che disse Paracelso: è la dose che fa il veleno! Tra le macromolecole che più sono in voga negli integratori troviamo gli aminoacidi, in particolare quelli ramificati: leucina, isoleucina e valina. Assumendo tali prodotti si riscontra un aumento delle energie ed un notevole livello di ipertrofia muscolare. Per quanto riguarda l’aumento della massa magra il meccanismo è facile da spiegare, ma quello che può sembrare strano è l’aumento delle forze e delle energie. Perché questi 3 aminoacidi hanno questo effetto quasi magico? Gli amminoacidi ramificati competono a livello cerebrale con il recettore del triptofano,

precursore della serotonina, neurotrasmettitore implicato nel ciclo sonno/veglia: il deficit di serotonina che ne consegue sbilancia l’equilibrio verso la veglia, ecco perché ci si sente più energici ed attivi. Siamo sicuri che ne valga la pena? Anche la creatinina, spesso utilizzata come anabolizzante, non è priva di rischi: se assunta con continuità e ad alte dosi può portare a problemi renali. Per quanto riguarda la dieta, in genere si consiglia una alimentazione iperproteica, povera di carboidrati e di grassi. Questo però è pericoloso, perché l’azoto che viene prodotto dal catabolismo proteico va a sovraccaricare i reni. Un’altra convinzione, diffusa tra gli sportivi amatoriali ma non solo, è che pane e pasta siano responsabili dei chili di troppo e di conseguenza vadano demonizzati. Bisogna però tenere a mente che non tutte le nostre cellule posso utilizzare qualunque macromolecola come fonte energetica: i globuli rossi ed i neuroni, ad esempio, usano esclusivamente il glucosio. Ecco perché un soggetto normotipo di 70 Kg deve assumere almeno 180g di carboidrati al dì: 80g per gli eritrociti e 100g per i neuroni. Potrebbero sembrare cose banali, ma non è così, altrimenti non si spiegherebbe l’enorme diffusione della dieta Dukan. Il dottor Dukan sostiene che è possibile dimagrire mangiando a volontà, ma limitandosi ai solo cibi da lui indicati, che sono rigorosamente alimenti proteici. Lo stesso Dukan, nel presentare la sua dieta, sconsiglia di seguire questo regime alimentare per un tempo prolungato. Apparentemente si potrebbe pensare che due settimane di dieta esclusivamente proteica non possano portare a nulla di grave, ma alcune testimonianze riportano severi effetti collaterali, tra cui paresi temporanee degli arti inferiori. 15


Un’altra convinzione diffusa è che lo zucchero di canna sia migliore di quello di barbabietola (quello bianco, per intenderci), perché pare che abbia più vitamine e meno calorie rispetto al secondo. Innanzitutto occorre precisare che lo zucchero di canna grezzo (quello che si trova nelle bustine al bar) è, contrariamente al suo nome, raffinato: infatti i granelli sono in origine bianchi ma vengono in seguito caramellati per fargli assumere una colorazione che ricordi vagamente la canna. Lo zucchero di canna è composto per il 99.6% da saccarosio, quindi non ha sicuramente senso ricercare vitamine per il nostro fabbisogno in questo composto. Per quanto riguarda le calorie, lo zucchero di canna contiene 30kcal/100g in meno rispetto a quello di barbabietola e considerando che una bustina di zucchero da bar ne contiene in media 5 grammi, la differenza diventa davvero irrisoria. Da un punto di vista commerciale, inoltre, lo zucchero di canna non viene prodotto in Italia, mentre quello di barbabietola sì: visto che i due prodotti sono praticamente uguali da un punto di vista nutrizionale, non sarebbe male utilizzare il made in Italy e dare una mano agli zuccherifici nostrani, visto che stanno diventando solo un ricordo… Infine, l’ultimo mito da sfatare è che la banana sia ipercalorica e quindi da evitare durante la dieta: questo frutto contiene 61 kcal/100g (e in media pesa 150-200g), quindi la si può mangiare senza sensi di colpa! “Mangiare è una necessità. Mangiare intelligentemente è un’arte.” Ricordiamocelo. Salvatore Rini

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CHRONOS Pronunci questa parola, e pensi ad un concetto indefinibile, al tarlo che consuma le menti dei filosofi. Iniziano ad affastellarsi in te immagini di stanze ricolme di orologi di ogni forma, clessidre antiche, una forza mistica che attraversa l’universo infinito.Ma è molto più semplice. Il Tempo lo puoi toccare: è lo spazio in cui vivi, anzi, attraverso il qualetu vivi. Sei circondato dal Tempo, sei nel Tempo, in ogni momento come ora. Esso è semplicemente la superficie su cui scorre ogni fotogramma della tua vita. Il Tempo è una dimensione fluida che avvolge la tua esistenza: il Tempo è un mare. Dal liquido amniotico al Tempo: cambia solo il nome dell’incubatrice liquida in cui ci troviamo. Laspuma delle onde dei minuti e dei secondi lambisce la nostra pelle morbida di neonati; e ci nutre. Quella freschezza ci dà forza, e cresciamo; e gradualmente, anche il livello del mare cresce con noi. In realtà, siamo sempre con l’acqua alla gola; ma non ce ne accorgiamo, finchè da essa assorbiamo forza vitale. Anzi, ai primi stadi della nostra vita vogliamo che quel mare ci copra ancora di più, vogliamo fare balzi in avanti: non ci basta rimanere sulla riva delle nostre vite, abbiamo una fretta vorace di librarci tra gli strati d’acqua nuotando lontano. E noi immaginiamo che sia come volare; perché nell’acqua vediamo il riflesso del cielo. E così, viviamo. Arriva il momento in cui non cresciamo più; ma l’acqua non ci imita, non si ferma. Sale sempre di più, e ci consuma: il sale secco fa raggrinzire la nostra pelle, il continuo baluginìo danzante delle onde ci stanca le pupille. Abbiamo speso ogni forza nel tentativo di rimanere a galla; ora possiamo solo abbandonarci all’acqua, che scorre su di noi e ci possiede. Ora, sì, riusciamo a scorgere oltre i mille riflessi che si spengono sul fondale una figura che sembra prendere forma nel vortice della sabbia scura: la figura della Morte. Lo capiamo, che è finita. Non ci resta che aspettare l’istante in cui la morsa liquida si stringerà su tutto il nostro corpo con un gelido, definitivo abbraccio. Eppure, alcuni sembrano avercela fatta: hanno nuotato contro corrente, opponendosi a muri di acqua nera, per raggiungere uno sparuto gruppo di scogli. Lo sforzo li ha uccisi, il mare si è preso anche loro; ma con un ultimo sforzo immane sono riusciti ad emergere, e ora le loro ossa giacciono lì, essiccate dal sole. Tutti noi riusciamo a vedere i resti di quegli eletti, e ci sembrano lontanissimi. Ma sono come reliquie per noi: le rovine splendenti di una speranza fatta d’ossa, alla quale cerchiamo di aggrapparci mentre il freddo liquido entra nelle nostre. Così è il Tempo; così esso è sempre intorno a te, e tu sei sempre dentro di esso. Come spenderai il tuo Tempo quest’oggi? Nuoterai o ti lascerai andare? PeotrObernstRotoisi

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OROSCOPO ARIETE è stato un inverno molto duro, ma ora è tempo di lasciarselo alle spalle. è anche la normale consecutio delle stagioni no ?

TORO Sarà un mese molto complicato, perchè potresti iniziare a parlare con gli animali. è una metafora per l’aspetto comunicativo della vita.

GEMELLI Gli astrologi convengono che sarà un mese di apertura a nuove possibilità, nuovi orizzonti. è anche vero che stanno ricominciando le lezioni. molte contraddizioni.

CANCRO Lavate l’olio di pesce del mese scorso, e abbondate coi profumi floreali: tanto lo sappiamo che siete timidi, così vi cammuffate da fiori e non vi disturba nessuno.

LEONE La posizione dei pianeti vari lascia intendere un mese pieno di carisma e fascino. ma è anche il segno zodiacale di Tremonti, attenzione.

VERGINE Si prospettano le condizioni giuste per fare tutte quelle cosine pazze che non avete mai avuto il coraggio di fare: non esagerate con la nomination su facebook.

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BILANCIA Serve in genere più coraggio. i pareri degli esperti dicono di smettere di usare protezioni o barriere con mondo esterno, ma nel dubbio i guanti in sala alla fine ci stanno.

SCORPIONE Dal punto di vista sentimentale, questo è il mese giusto per lanciarsi in mille avventure. il mese successivo sarà proporzionalmente pieno di mal di vivere.

SAGITTARIO Sarà un mese dominato da una continua tensione alla ricerca di “casa propria”. si può evitare bevendo con moderazione, il vero sballo è dire di no.

CAPRICORNO è il momento di fare scelte radicali, nella prospettiva di un futuro roseo ed economicamente propizio. beati voi mannaggia.

ACQUARIO La bella notizia è che con ogni probabilità tutti i mesi successivi saranno migliori di questo. Per il momento non sforzarti di cercar gioia a marzo, è fatica sprecata.

PESCI La prima parte del mese ti riserverà tante sorprese, ci metterai la restante parte dell’anno a capirne il significato.Fra avventure fantastiche e leggero ritardo


GIOCHI Orizzontali 1 – capitale Repubblica Ceca 3 – capitale Nicaragua 5 – capitale Cipro 7 – capitale Malesia 9 – capitale Canada 11 – capitale Vietnam 13 – capitale Comore 15 – capitale Lesotho 16 – capitale Birmania 17 – capitale Samoa 18 – capitale Groenlandia Verticali 1 – capitale Benin 2 – capitale Ghana 3 – capitale Russia 4 – capitale Algeria 6 – capitale Mozambico 7 – capitale Nepal 8 – capitale Sahara Occidentale 10 – capitale Bhutan 12 – capitale Bahamas 14 – capitale Figi

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copertina - Jacopo Visani vignetta - Marianna Costa pagine - Giulio Vara


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