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SISMAGAZINE

questo giornale non ha valore periodico


TESSERATI AL SISM...

...per mettere in luce i bisogni che la Facoltà di Medicina non soddisfa e, soprattutto, per incontrare persone che possano collaborare con te nel realizzare ciò che hai in mente. ...perché? Perché no?! Impaginatore Giulio Vara Correttore di bozze Hana Privitera Hrustemovic Oroscopo Francesca Matassoni Beatrice Scarpellini Giochi Chiara Crescentini Disegni Marianna Costa CONTATTI La Redazione: benedetta.orsini@libero.it Senza peli sulla lingua: senzapelisullalingua.sism@gmail.com

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“L’anno che sta arrivando tra un anno passerà io mi sto preparando, è questa la novità” Lucio Dalla

Caro 2013, benvenuto. Cari Maya, ci avete provato. Una cosa buona, però, l’avete fatta: questa presunta fine del mondo ci ha fatto riflettere (finalmente è successo!) e per il nuovo anno abbiamo propositi diversi dal solito. Dimagrire? Fare sport? Smettere di bere o fumare? Perdere meno tempo per non ridursi a fare le cose importanti all’ultimo minuto? Non più. Tanto, come sempre, non ci saremmo riusciti. Promettiamo di salutare con il sorriso la vicina che cucina la peperonata alle 7 di mattina. Promettiamo di lasciare la mancia anche al fattorino che è arrivato in ritardo con la nostra pizza ormai fredda. Promettiamo di lasciare il posto a sedere all’anziana signora che acidamente inveisce contro i giovani ancora prima d’esser salita sull’autobus. Promettiamo di fermarci al banchetto pieno di volantini e spillette in centro, almeno per capire di cosa stiano parlando. Promettiamo di augurare buona giornata ogni volta che usciamo da un negozio. Promettiamo di offrire il caffè al muratore che lavora in casa nostra facendo quel rumore assordante. Promettiamo di ignorare quell’amico che si diverte a criticare ogni nostra azione. Promettiamo di scaldarci le mani prima di toccare un paziente. Promettiamo di impegnarci per scrivere articoli che lascino un segno, per quanto piccolo esso possa essere.

La Redazione

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PARLARE A VANVERA Quando Vanvera risponde Ho visto mondi in cui non esistono luoghi comuni, ma luoghi in comune e al massimo luoghi propri. Dove il pianto é solo un possibile compagno di vita della pianta e la rabbia era la malattia che si trasmetteva con i morsi dei randagi, ma ora grazie al vaccino è stata debellata e infatti la chiamano collERA e non collE’. Dove la gente ha grandi sentimenti (sopra il senticollo) ma anche grandi sentilenti (per quelli che non riescono a leggere bene tra le righe). Dove la bellezza non è negli occhi di chi guarda ma in tutti gli occhi che sanno guardare. Dove gli errori non si ripetono perché ci sono troppe “r” e le soluzioni facili le trovi solo sui libri di chimica. Dove la com.petizione aiuta a salvare siti internet in via di estinzione. Dove il riFIUTO è solo per chi ficca troppo il naso ed é più facile consolare una persona che sgridarla. Dove è molto complicato rubare le caramelle ai bambini, anche quando sono alla frutta. Dove ci sono apposite agenzie per viaggiare con la fantasia e quando si sceglie una destinazione la valigia va lì già e precede il proprietario e gli hotel si pagano con i soldi del monopoli. Dove i politici governano il territorio e il popolo governa i politici. Dove si può vivere con i piedi per terra e la testa tra le nuvole per la ridotta distanza tra suolo e cielo. Dove ci sono mappe per non perdersi in un bicchier d’acqua, ambiente pericoloso perché a volte sembra mezzo vuoto e invece magari è mezzo pieno. Dove nei portaGIOIE si conservano foto di momenti felici ed hanno anche inventato macchine fotografiche con il flash-back per riviverli quando si vuole. Dove il rimPIANTO e il riMORSO sono solo reazioni fisiologiche dei bambini che stanno mettendo su i denti e dove i medici non prendono in cura le persone ma si prendono cura di loro. Dove quando uno studente ha la voglia di studiare sottoterra in primavera di solito dà i suoi frutti. Dove il preGIUDIZIO si va a togliere dal dentista appena cresce perché fa male specialmente quando ci si morde troppo la lingua. Dove tra gli uomini non ci sono razze e neanche altri pesci strani. Dove l’eroina non é mai in vena ma comunque si impegna ogni giorno per proteggere la città dai malviventi e dai benpensanti. Dove hanno montato una rete di protezione sull’orlo di una crisi di nervi così non si corre il rischio di cadere in errore. Dove non si spende tempo, ma lo si investe (cercando di non ucciderlo se no diventa tempo perso). Dove chi dorme non piglia pesci ma chi sogna ad occhi aperti immagina meravigliosi oceani. Dove si impara ad AMARE anche le cose meno dolci e nei giochi di parole il montepremi arriva fino a 4.000metri. Ho visto mondi dove chi ha perso la testa vive ragionando con il cuore. Beatrice Scarpellini

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MA VOI CHI SIETE? Intervista ai coordinatori delle aree del SISM E’ giunto il momento di scoprire qualcosa in più della neonata SCOPH (Standing Committee for Public Health), l’area che si occupa di salute pubblica; appena nata, è vero, ma piena di vita e dinamismo. Tutto questo è il riflesso della profonda energia delle tre persone che si trovano dietro le quinte: Beatrice e i suoi assistenti, Cristiana e Dario. La prima domanda è quella di rito: Il SISM è definito come un’associazione apartitica e blablabla. Sul serio, cos’è per te il SISM? B: “Il SISM è una famiglia, con le sue crisi e i suoi momenti d’amore. E’ una crescita in tutti i sensi e quello didattico e solo il più ovvio. Sicuramente non sempre è facile: il SISM è un casino, ma è un bellissimo casino”. C: “E’ un mondo che mi si sta aprendo davanti agli occhi giorno dopo giorno, lasciandomi stupefatta”. D: “La prima parola che mi viene in mente è condivisione. E’ condivisione quando pranziamo insieme il martedì nell’ora di pausa, quando ci vediamo il mercoledì per le riunioni e siamo stipati come le melanzane e le olive nei barattoli di caponata che prepara mia madre; è condivisione quando qualcuno propone una nuova idea e se ne discute tutti insieme. Mi approprio di una citazione di Into the Wild: ‘Happiness is only real when shared’ ”. Voi siete “quelli nuovi”, ovvero quelli che resteranno. In che direzione dovrebbe andare il SISM in futuro? B: “Il fatto è che a livello universitario siamo poco conosciuti. Sentirsi chiedere dal referente regionale di Diabete Italia, l’associazione con cui abbiamo collaborato in occasione della Giornata Mondiale del Diabete, se avessimo a che fare con i terremotati, mi ha lasciata di sasso. Comunque credo che la direzione che il SISM ha adesso sia quella giusta: un sacco di persone piene di grinta, con tanti progetti ed idee”.

Ma voi chi siete: diteci una cosa che amate ed una che odiate. C: “Amo la citazione che ha fatto prima Dario e odio il 31 dicembre” B: “Amo le riunioni della SCORA (Standing Committee for Reproductive Health including HIV/AIDS), senza nulla togliere alla SCOPH, e quei pazzi dei clown. In generale amo l’energia che abbiamo tutti, dal primo all’ultimo”. D: “Amo il pragmatismo dei Sismici. A volte nascono idee che per me sono irrealizzabili, ma arriva qualcuno che fa 80 telefonate, manda 2000 mail e in un quarto d’ora organizza quello che io avrei organizzato in un paio di vite”. Sì,ma le cose che odiate? D: “Ora non mi viene in mente nulla, mi farò intervistare di nuovo quando avrò qualche idea” Grazie ragazzi. Raccontateci un aneddoto divertente che avete vissuto da quando fate parte del SISM B: “Solo il fatto di vedere gente che VIVE continuamente al SISM e che afferma di odiarlo fa sorridere; molto spesso il SISM ti chiede tempo che non hai, ma che gli dai volentieri, quindi: io odio il SISM”. C: “Ho visto il nostro Incaricato Locale far esplodere due computer in cinque minuti...però sshhhhhh!” Ma quindi, cos’è la SCOPH nello specifico? C: “La SCOPH è un’area nuova, che non sarebbe mai nata senza l’entusiasmo e l’iperattività di Bea. E noi la seguiamo. Ciò che sarà lo scopriremo solo nei prossimi mesi!” B: “Oltre alla Giornata del Diabete di ottobre, abbiamo molti progetti: una donazione di sangue di massa, preceduta da una conferenza sulla cultura della donazione e seguita da una colazione di gruppo; collaborazioni con le associazioni di donazione di midollo osseo e organi; la Giornata della Povertà e quella della Salute Mentale. Tutto è ancora in fase di elaborazione ed è assolutamente aperto a nuove proposte”. Quindi, cosa aggiungere? Partecipate. La loro energia vi contagerà, ve lo posso assicurare. Benedetta Orsini

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SISM, VIAGGIARE! La mia esperienza a Calcutta A ottobre sono partita per Calcutta grazie al SISM, che fino all’anno scorso permetteva agli studenti di Medicina di partecipare al Calcutta Village Project dando la possibilità di fare esperienza in una piccola clinica nella zona rurale della città, presso l’associazione IIMC (Institute for Indian Mother and Child). Prima di andare ero avida di sapere, di cercare, di organizzare; così ora vorrei dare a chi ha in mente di partire in futuro qualche informazione, anche perché penso che condividere un’esperienza sia un po’ come viverla due volte. Bisogna dirlo, Calcutta è un macello. Non ero mai stata in un paese così diverso dal nostro e la prima impressione è stata proprio quella di essere su un altro pianeta, ma la cosa che più mi ha stupita è quanto poco ci si metta ad abituarsi: ciò che all’inizio è fastidioso, strano, qualcosa a cui stare attenti, ben presto diventa semplice quotidianità, un qualcosa di cui si sente la mancanza una volta tornati a casa. E’ stranissimo rendersi conto di questa strabiliante capacità di adattamento del corpo ed è stato elettrizzante vivere sulla mia pelle questa trasformazione: quelle abitudini, quelle condizioni così profondamente diverse dalle mie, che i primi giorni mi facevano sentire fuori dal mondo, alla fine mi sembravano talmente naturali che pensavo che avrei potuto vivere così per sempre. Nel tempo trascorso lì mi sono posta mille domande, per molte delle quali non esiste tuttora risposta. Comunque, anche nel caso di quelle a cui effettivamente ho trovato una risposta, cercherò di trasmettere i concetti mantenendomi il più oggettiva possibile perché non vorrei influenzare in alcun modo il pensiero di chi è intenzionato a partire. Quali sono i grandi problemi dell’India? A mio avviso il primo è il sovraffollamento: il numero di abitanti di questo Paese, veramente assurdo, è persino sottostimato perché molte persone nascono, crescono e muoiono per strada e non vengono in alcun modo censite. Al secondo posto metterei il clima: devo ammettere che dopo quattro ore di lavoro con quel caldo e quell’umidità ero decisamente stremata ed è anche per questo motivo che la giornata lavorativa degli Indiani è sempre di 4 o 5 ore, per quanto i primi tempi pensassimo fosse dovuto solo alla loro pigrizia (cosa che però in parte è vera). Il terzo posto va alla gestione delle risorse. Non so bene come rendere il concetto,

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ma cercherò di spiegarvelo molto semplicemente: secondo me gli Inglesi non sarebbero dovuti proprio arrivare in India o, al contrario, ci sarebbero dovuti rimanere più a lungo. Con questo intendo dire che in India in fatto di prodotti non manca niente di tutto ciò che c’è in Occidente, ma quello che manca è la gestione dei materiali. I rifiuti, gli imballaggi, vengono semplicemente ammucchiati in giro per la città e bruciati nella notte ai lati delle strade, generando un livello di inquinamento tale da far sembrare Delhi coperta da una nebbia perenne. Noi volontari ci siamo spesso chiesti che senso avesse ciò che stavamo facendo e, per estensione, quale senso avesse l’Associazione in quel contesto e cosa realmente stesse facendo. Il principale argomento di discussione tra di noi era il confronto tra medicina di qualità e medicina di quantità. Lì è assolutamente di quantità; l’obiettivo primario è raggiungere il maggior numero di persone e se arrivano dei soldi in più il primo pensiero va a costruire nuove strutture più che a migliorare quelle esistenti. Per noi è veramente difficile accettare questo tipo


di approccio perché ci rendiamo conto che le cure fornite sono per la maggior parte perfettamente inutili o approssimative, proprio perché destinate a più persone possibile. Viene da chiedersi a cosa serve spendere soldi per comprare due creme per le infezioni della pelle, visto che poi queste vengono applicate senza un bendaggio per cui in pochi minuti l’effetto svanisce. D’altra parte, in India, anche solo il fatto di avere la possibilità di andare all’ospedale, l’idea che sia possibile in qualche modo migliorare la qualità della propria vita, è un concetto nuovo e rivoluzionario che può costituire una molla potente per un cambiamento della mentalità e delle abitudini, che di fatto è ciò che serve. L’ospedale, a questo punto, è un simbolo ed è qualcosa che ha dato a chi l’ha realizzato una credibilità tale da poter convincere le persone a mandare i propri figli a scuola. Ed ecco che, proprio grazie all’ospedale, si mette in moto il motore più grande, l’educazione, di cui raccoglieremo i veri frutti tra vent’anni o forse anche più. Altro punto di discussione tra noi volontari era

la grande immobilità che abbiamo notato: agli Indiani non piace cambiare. In linea generale penso che, a prescindere dal luogo geografico, sia una tendenza naturale dell’uomo avere paura del cambiamento ed evitarlo, ma negli Indiani questo sentimento è veramente esacerbato ed investe anche le più piccole cose. Ma fino a che punto è volontà e quando, invece, è paura? Dove possiamo forzare la mano perché il cambiamento venga fatto e dove, invece, non è nostro diritto? Una cosa che ho imparato è che, per tante piccole cose, là insistere funziona. Mi spiego meglio: qua la nostra regola in ambiente di lavoro è che se fai una proposta al capo e lui ti dice di no, tendenzialmente è no, mentre in India la regola è che il capo al 90% ti risponde “not possible” a priori (c’è anche la possibilità che non abbia neanche capito cos’hai detto), ma, se hai voglia di insistere e darti da fare, il responso può tramutarsi magicamente in un sì. E’ necessario, però, trovare il coraggio di agire sin dall’inizio, perché il momento di tornare a casa arriva in fretta. Altre discussioni tra noi volontari nascevano osservando le differenze tra organizzazione occidentale e organizzazione indiana. Una delle cose positive dell’IIMC, secondo me, è che si tratta di un’organizzazione gestita da Indiani per aiutare Indiani; d’altro canto questo ha i suoi limiti, perché sicuramente i metodi di lavoro delle ONG fondate da occidentali in paesi in via di sviluppo sono più efficienti. Forse, però, non sono più efficaci, perché è importante entrare in empatia e sentirsi parte di un unico popolo. Le ONG sono basate su gerarchie ben strutturate e organizzate che garantiscono una gestione agile delle attività, mentre nell’IIMC si è come in una grande famiglia in cui tutto, bene o male, deve passare per il babbo (Sujit, il fondatore dell’associazione). Tornare è stato stranissimo, difficile. Sono tornata davvero solo dopo più di una settimana che fisicamente ero a casa e in quei giorni i miei amici e parenti hanno avuto l’accortezza e la pazienza di aspettarmi, di lasciarmi stare, di non forzarmi. Ora mi sembra che tutto questo sia successo un secolo fa perché è così distante dal mio oggi e dalla vita qui, ma in realtà queste distanze si stanno accorciando sempre più e bisogna prenderne atto. Cominciare a conoscere è stato davvero un passo decisivo per me e il modo migliore per conoscere è vivere e sperimentare. Konny

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SISM, VIAGGIARE Bulgaria La mia esperienza di tirocinio all’estero non è iniziata nel migliore dei modi: perso il volo di coincidenza da Monaco per Sofia a causa del ritardo del primo aereo da Bologna, mi sono ritrovata a vagare 10 ore in aeroporto da sola, sperando di trovare posto sul volo successivo e di riuscire poi in qualche modo a raggiungere Plovdiv, la mia meta, da Sofia. Fortunatamente in qualche modo sono riuscita ad arrivare a destinazione verso l’ora di cena e alla stazione dei pullman di Plovdiv, la seconda città più grande della Bulgaria, ho trovato ad accogliermi calorosamente il mio contact person. Dopo avermi accompagnato in macchina al dormitorio, mi ha mostrato la mia stanza dandomi un cavo ethernet, una mappa in inglese della città, una guida in italiano e un preziosissimo ventilatore, senza il quale sarebbe stato impossibile chiudere occhio la notte con i 45 gradi che opprimono Plovdiv d’estate! Siccome ero la prima del mese di agosto ad essere arrivata ed ero dunque sola per il momento, mi ha proposto di uscire immediatamente. Io ho colto l’occasione senza esitazioni e subito mi sono ritrovata catapultata nel centro della città vecchia, mentre le luci del tramonto iniziavano a dipingere le rovine romane del Trimontium: è stato amore a prima vista per questa città costruita sui colli e traboccante di storia. Quella è stata solo la prima di una lunghissima serie di serate stupende e il mio contact person è stato il primo di tanti amici bulgari e provenienti da varie parti del globo, quali Spagna, Lettonia, Slovenia, Polonia, con cui ho avuto l’occasione di trascorrerle. Questa bellissima esperienza ha avuto anche delle note negative: al dormitorio non avevamo nessun posto dove lavare i nostri vestiti, nessuna cucina dove cucinare e gli scarafaggi pullulavano nelle nostre camere, in ospedale c’era il problema della barriera linguistica con i pazienti, le infermiere e alcuni medici e, nonostante i 40 gradi all’ombra, non c’era l’aria condizionata né allo studentato né in ospedale. Questi aspetti non sono ovviamente trascurabili ma sono stati ampiamente, anzi totalmente, compensati e superati da quelli positivi: la volontà dei ragazzi bulgari di esserci amici e di aiutarci in qualsiasi modo, dall’organizzare ogni weekend al lavarci le lenzuola o procurarci un microonde, il costo

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della vita veramente basso e l’opportunità dunque di uscire fuori quasi ogni sera pagando l’equivalente di 80 centesimi di euro per una birra o 3-4 euro per una cena e l’occasione di viaggiare e visitare altre località bulgare, dai magnifici Sette Laghi sulle montagne Rila alle località balneari sul mar Nero, spendendo veramente poco. Ovviamente anche l’esperienza in ospedale è stata valida e mi ha permesso di tornare arricchita, nonostante sia iniziata in modo traumatico. Ho frequentato il reparto di cardiologia, seguita da un medico che era a dir poco un tiranno e pretendeva da me conoscenze pratiche che, dopo le sole due settimane di tirocinio in ospedale previste dal nostro terzo anno, ovviamente io non avevo. Sono stata messa a dura prova, soprattutto la prima settimana, con urla e lamentele che mi spingevano quasi a voler scappare in lacrime (e non scherzo), ma ho resistito e mi sono impegnata a fondo e, alla fine, sono riuscita a guadagnarmi il rispetto del medicotiranno, che mi ha insegnato parecchio dandomi anche delle soddisfazioni personali. Se hai voglia di fare e vedere, nessuno ti ferma: sono stata anche una notte in PS, un giorno in sala operatoria e una settimana in cardiologia invasiva, l’equivalente della nostra emodinamica. Il mio consiglio è quindi quello di partire, sempre e comunque. Parti, anche per un posto che non conosci e dove magari non andresti, perché ovunque tu vada sarà comunque una splendida esperienza; io sono finita per caso a Plovdiv e ho scoperto inaspettatamente un paese e un popolo affascinanti. Ti servono solo spirito di adattamento e apertura mentale: gli imprevisti capitano sempre e come io ho avuto fortuna per alcuni aspetti e magari meno per altri (ma non mi posso veramente lamentare di nulla per quanto concerne il mio mese in Bulgaria), così può capitare anche a te, ma il punto cruciale è affrontare tutto con l’attitudine giusta, per riuscire a trarre il meglio da ogni esperienza. Non ti spaventare se pensi di non essere capace di adattarti e di non possedere le qualità necessarie per fare un’esperienza all’estero come questa, anzi, proprio per questo dovresti partire: porta con te semplicemente la buona volontà nel volerle raggiungere e vai. Mettiti alla prova. Sophia Soflai Sohee


AN EXCHANGER EXPERIENCE! Hello everybody, I’m Raquel, I’m 23 and I’ve just started the fourth year of medicine in Brazil.Last month, I came to Bologna for the professional exchange organized by the IFMSA. I got to know this association thanks to the many international and national projects it develops, such as the exchange program. When I received the confirmation for Bologna I was very excited: it was a great opportunity and great privilege to be at the oldest university in Europe. In IFMSA / SISM, you can select a specific area of interest, and in my case it was Nephrology. I am passionate about this field, though my father is a psychiatrist in Brazil. In the last Brazilian Congress of Nephrology, it was clear how Italy was “powerful” in this area, so I knew I had chosen the right place. The internship really confirmed and exceeded my expectations. It was extraordinary, and I wish I could thank each of the teachers, Doctors, residents, interns, nurses for everything they’ve done for me! During my month here I was able to follow various segments of the department, i.e. Dialysis, Nephrology Intensive Care, Transplanted Patients Ambulatory, Kidney Clinic ... I even had the great opportunity to watch a kidney transplantation between sisters and it was incredible! Of course, the exchange is not limited to the Hospital, although that part was amazing. During this month in Bologna I’ve lived with an Italian family, and it was a unique experience! They were very kind and loving and made me feel at home. The dinners with them were amazing and I had many typical dishes. I have to say, my facebook page was always full of exciting news! What to say about the city of Bologna ... every corner is a tourist spot, wonderful! The towers, the doors, the sculptures and the fountains, there is so much to see! On weekends I took the chance to visit some other cities: Venice, Florence, Pisa, Rome and Genova... They were all incredible! In Brazil we study a lot of art history and ancient history, so it was exciting to be in those places. I believe this was one of the best choices I’ve ever made in my entire life. My vacation was perfect, I learned a lot during the internship, with the top nephrologists in the world, in one

of the best universities in Europe... I went to amazing places and met unforgettable people, and I really suffered when I had to leave. I am thankful for everybody from both IFMSAs, Brazil’s and Italy’s, because without all their effort none of this would have been possible. In short ... I already know where I want to spend my next vacation or, maybe, even live!? Raquel Before our arrival in Bologna, we were experiencing a lot of anxiety and fear, but we also had high expectations. When we got to the Airport of Bologna all these feelings turned into simple happiness and excitement for the incredible month we had ahead of us. We met our contact people who were really kind and helped us a lot in the first days of our experience, from picking us up at the airport to helping us in our first day in the hospital. During our clerkship we learned a lot of things. The Professors were really easy-going, sympathetic and amazing and so were the other students and the doctors. We were able to see everything that we wanted and we could even participate in some procedures. All these things made our clerkship at Ospedale Sant’Orsola an incredible experience for our future as doctors. But let’s not forget the parties and tours! We travelled during weekends and visited some very famous and wonderful Italian cities like Rome, Florence, Pisa and Venice. Furthermore we discovered the Italian “aperitivo” and went to Italian parties, it was all really fun! We are leaving Italy in a few days, and it breaks our hearts. We are already missing all the special people that we met, the hospital and the Italian food! However we are sure that we will be better people and doctors, with more experience, knowledge and “open-mindedness”, like the IFMSA way of life! “Think global and act local”: thinking in Italia and acting in Brazil. Thank you for everything, Luiza and Adolpho

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SULLA PUNTA DELLA LINGUA Non so dire bene cosa tra la completa perdita di un ritmo circadiano fisiologico, l’ebbrezza del flute su flute su altro flute del 31 Dicembre, l’oscenità di Carlo Conti che fa trenini su canzoni dei Los Locos, mi abbia danneggiato tanto la mente da proporvi un argomento in cui mi sono imbattuta per puro caso, ma che mi ha notevolmente intrigato in quanto ritengo che, in diverso grado e con distinte sfumature, possa riguardarci in tanti. Il mio indefesso amore per il cibo non mi avrebbe consentito di non parlare delle gioie del palato, ma la prospettiva per questo numero è diversa e meno casereccia: entriamo nel vivo delle percezioni e guardiamo agli intrecci spesso estremamente complessi che allacciano i sensi nel tessere la trama dell’esperienza. Il fenomeno a cui mi riferisco nello specifico è noto come sinestesia ed indica, da vocabolario, una condizione neurologica benigna a causa della quale un’attività sensoriale (vedere, ascoltare, toccare, gustare ecc..) elicita contemporaneamente delle sensazioni in un’altra modalità sensoriale. I tipi di sinestesie sono quindi molteplici e per citare gli esempi più comuni si può riportare quella dell’ascolto colorato o sonoro-visiva, per cui suoni o voci sono contemporaneamente come forme e colori che il soggetto “vede internamente”. E’ questo il caso di Mozart, che vedeva il colore delle note, insieme al loro suono, o di Kandinskij, forse il boss tra i sinesteti più noti, che penetrò tanto a fondo il senso di questa fusione dei sensi da intitolare le sue opere come “composizioni”, nella speranza quindi che i suoi dipinti potessero essere ascoltati. Fortemente stuzzicante è la sinestesia lessico-gustativa, per cui una parola evoca nel soggetto un gusto peculiare, senza un necessario legame con il significato del contenuto semantico. Superfluo sottolineare che sia stato quest’ultimo connubio a vincere l’attenzione della sottoscritta, profondamente rammaricata per la mancata opportunità di rientrare nelle file di questo popolo diversamente-affamato che ha letteralmente le parole “sulla punta della lingua”. Spulciando qui e là è saltato fuori un caso ben descritto di uno di questi (v)erbivori, quello di James Wannerton; l’uomo ha riportato la sua esperienza di sinesteta, in origine inconsapevole, in diverse interviste, riferendo come uno dei primi momenti dell’esperienza sinestetica di cui ha ricordo quello, all’età di circa 4 anni, delle preghiere del mattino a scuola, che per lui avevano il sapore del bacon alla piastra. Se gli dici “formaggio”, il sapore è quello di un formaggio fresco ma non molto saporito, mentre il caratteristico sapore di formaggio, giallo, intenso, pungente, è legato al nome Richard. Così David sa di stoffa, come quan-

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do ci si succhia la manica di una camicia, Chrissie ha degli accenti metallici, le parole con il suono “g” hanno un sapore che si avvicina alla salsiccia, come college o message, e Janette, la sua ragazza, non proprio salsiccia ma pancetta. Le implicazioni di questa alterazione neurologica nella vita dell’individuo interessato sono ovviamente diverse, a cominciare dalle attività quotidiane, per cui la lettura di un libro che non sia di sole figure diventa realmente un miscuglio intollerabile di aromi, per arrivare all’influenza nella vita di relazione, per cui nella scelta degli amici il buon sapore dei loro nomi è un filtro di peso pari a quello del loro aspetto o della loro personalità. Non esce con Helen perché ha sapore di muco, né con Gordon, che ha un sapore di fango e lievito, disgustoso. Cambia necessariamente anche il rapporto con il cibo, per cui l’esperienza gastronomica viaggia parallelamente su due strade, una fisica, reale, necessaria e l’altra psichica, introiettata, incontrollata. Chiaramente Wannerton è stato coinvolto in diversi studi avviati da ricercatori dell’University College London e dell’University of Edinburgh, che attestano tramite RM come, in un soggetto non sinestetico che mangia e in un sinestetico cui si parla di cibo senza che questo gli venga offerto, le aree corticali attivate fossero le stesse. Non si configura quindi come un’esperienza psicologica, frutto di un richiamo interiore, quanto come una effettiva distorsione funzionale, le cui basi neurali sono ancora oggetto di discussione. Tenendomi alla larga da conoscenze troppo di settore, onde evitare la divulgazione di dati imprecisi o ancor più probabilmente del tutto falsi, mi limito a proporre il tema come opportunità di riflessione sull’enorme importanza che quest’ intricata elaborazione sensoriale acquista non solo nel terreno puramente culinario, che da sé è un territorio di innesto e mescolamento dei sensi, ma approdando anche a sfere come quella del merchandising e del marketing, al fine di progettare prodotti più appetibili e comunicarli con la giusta “fisiologia”. Per quanto non siamo tutti sinestetici, è impossibile negare la complessità del percetto, la natura dell’esperienza sensoriale del singolo, l’arrendersi delle ragioni scientifiche di fronte alla forza di sensazioni a volte così avvolgenti da raccogliere in un unico intensissimo nucleo l’energia dei cinque sensi, che finiscono per avvilupparsi insieme, come le cinque dita si stringono in un pugno. Se volete sperimentare artificialmente una sinestesia lessico-sonora, rileggete l’articolo ascoltando Taro degli Alt-J. Buon 2013, Alessia Salamina


MEDIcinema

Questo mese cercherò di portare alla vostra attenzione il tema della malattia mentale, con particolare riguardo al problema assistenziale (sanitario e giuridico) riservato ai pazienti psichiatrici. Qualcuno volò sul nido del cuculo (Milos Forman, 1975): Come avrei potuto non iniziare con questo film!? Molti di voi sicuramente l’avranno già visto; se invece fate parte di quei pochi che non l’hanno ancora guardato, FATELO! McMurphy è un ex detenuto che viene spedito in un ospedale psichiatrico dell’Oregon in quanto sospetto malato mentale. Egli sin da subito rifiuta ogni forma di collaborazione e infrange ognuna delle rigide regole della clinica. McMurphy è un vero flagello, di fronte alle sue “gesta” anche gli altri pazienti iniziano a perdere il controllo e la situazione nel reparto diventa ben presto ingestibile. Il film riesce nello stesso tempo a far divertire per la spettacolarità del protagonista (un fenomenale Jack Nicholson), a sensibilizzare lo spettatore riguardo ai troppo spesso disumani trattamenti riservati ai pazienti e a fare commuovere per la complicità e fratellanza che si creano fra i degenti. Casomai servisse per convincervi ulteriormente a vederlo, il film ha sbancato ogni kermesse cinematografica a cui abbia partecipato (Oscar, David di Donatello, Golden Globes, per citarne alcuni). Pietra miliare! Si può fare (Giulio Manfredonia, 2008): Nello (Claudio Bisio), dopo il fallimento della sua carriera da sindacalista, viene spedito a dirigere la “cooperativa 108”. Questa è una struttura, guidata dallo psichiatra Del Vecchio, che ospita una decina di pazienti psichiatrici dimessi dai manicomi in seguito alla famosa legge Basaglia (n°108 del 1978). Nello capisce subito che i pazienti, pesantemente sedati, sono comunque in grado di dare molto di più, di creare qualcosa di grande, di artistico, e non solo di appiccicare francobolli come hanno fatto fino ad allora. E’ così che, grazie all’aiuto di un giovane psichiatra, il Dr.Furlan, Nello riesce nel grande obiettivo di mettere su un’impresa di costruzione di parquet, dove ogni malato svolge il suo compito, dove tutti guadagnano e riescono anche a riacquisire gioia e voglia di vivere grazie alla notevole riduzione degli psicofarmaci. La cooperativa fa strada, tutto va a meraviglia, fino ad un drammatico evento …

Mi chiamo Sam (Jessie Nelson, 2001): Sam (Sean Penn), autistico dalla nascita, ossessionato dai Beatles, si mantiene a stento grazie a un lavoretto da Starbucks, e fin qui tutto bene. La storia svolta immediatamente quando una donna di nome Rebecca partorisce una bambina, di cui Sam è il padre. La donna fugge lasciando all’uomo l’arduo compito di crescere la piccola Lucy da solo. Sam mostra enormi difficoltà nell’accudire la bambina, che si acutizzano quando la ragazzina, ormai di 7 anni, inizia a mostrare un’intelligenza sopra la norma e nettamente superiore a quella del padre. Nonostante ciò il legame fra Lucy e Sam è fortissimo e l’amore che li lega va ben oltre questa disparità; purtroppo i servizi sociali non la pensano allo stesso modo. E’ qui che comincia la lunga ed estenuante battaglia legale di Sam per l’affidamento della bambina. Una storia che fa sorridere, fa commuovere e fa tanto riflettere. Un giorno di ordinaria follia (Joel Schumacher, 1993): Il confine fra normalità e pazzia è sottile, spesso basta un nulla per valicarlo. Dimentichiamoci per un attimo i film “impegnati” visti sopra e prepariamoci a 113 minuti di pura adrenalina. Bill Foster (Michael Douglas) è un uomo apparentemente come tanti altri (camicia, cravatta, 24h, auto familiare), non fosse che sta lentamente arrivando al “punto di rottura”. Basterà un banalissimo ingorgo stradale a dare il via ad una rapidissima escalation di follia; reato dopo reato Bill metterà a ferro e fuoco l’intera Los Angeles. La vita di ogni persona che si troverà sulla sua strada sarà in serio pericolo. Preparate i popcorn, alzate bene il volume e buon divertimento! Giulio Degli Esposti

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RADIOTERAPIA

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Francesco “Franco” Battiato è un eclettico musicista e cantautore italiano che dal 1965 delizia tutto il mondo con le sue opere. Il suo successo inizia grazie ad un altro importante artista italiano di quegli anni, Giorgio Gaber, il quale, innamoratosi del repertorio di canzoni di Battiato, lo aiuta a trovare un contratto con un casa discografica e di lì a poco lo porta sul grande schermo. Il caso vuole che ospite dello stesso programma televisivo sia un altro giovane cantautore, allora sconosciuto, Francesco Guccini. Ed è in quella occasione che lo stesso Gaber propone a Francesco Battiato di modificare il suo nome in Franco, proprio per evitare la confusione con Guccini. Battiato riferirà poi che da quel giorno tutti l’avrebbero chiamato così, persino sua madre. Questi sono gli anni della canzone di “protesta”, gli anni di canzoni come La Torre e Il Mondo Va Così. Successivamente il suo stile cambia partendo dalla musica romantica, più fruibile per il pubblico, per arrivare alla musica sperimentale e d’avanguardia, di cui è sempre stato uno dei più grandi fautori. Gli anni del successo sono i primi anni 80’, quando Battiato esce sul mercato italiano con l’album L’era del cinghiale bianco, che incontra, come tutte le grandi innovazioni, critiche da alcuni ambienti della stampa ma anche grandi consensi dalle maggiori personalità della musica a livello mondiale. A distanza di 2 anni esce La voce del padrone, album che scala tutte le classifiche, che raggiunge nel giro di qualche mese il milione di copie vendute e che è stato di recente collocato dalla celebre rivista Rolling Stone nella lista dei 100 migliori album italiani di ogni tempo. La voce del padrone contiene canzoni ancora oggi molto popolari in tutte le fasce d’età,

riconosciute come veri classici della musica italiana. Ricordiamo in particolare Bandiera Bianca, Cuccurucucù e Centro di gravità permanente. Questo successo continua con l’album seguente, L’arca di Noè, contenente canzoni come Scalo a Grado, usata da Nanni Moretti nel film Bianca (1983), e Voglio vederti danzare, ancora oggi richiesta a tutti i concerti di Battiato. Alcuni esempi del sincretismo culturale e religioso dell’autore sono l’album Café de la Paix (1993), contenente tracce che spaziano dalla mitologia greca alla tradizione popolare irachena e alla cultura orientale, e L’ombrello e la macchina da cucire (1994), album molto ricercato nato dalla collaborazione con il filosofo Manlio Sgalambro, che tuttavia sgretola parzialmente la popolarità di Battiato. La ripresa giunge 2 anni dopo con l’uscita di L’imboscata, una raccolta di brani molto importante, specialmente perché contiene La cura, vincitrice del disco di platino e considerata tutt’ora una delle canzoni italiane più belle di sempre. Gli anni 2000 sono ricchi di collaborazioni illustri e di sperimentazione allo stato puro; basti pensare a Bist du bei mir, dove Battiato canta in italiano e tedesco, Personalità empirica, dove invece canta in italiano e francese, Sarcofagia, che s’ispira al Del mangiare carne di Plutarco (un trattato che riflette sulla necessità dell’uomo di nutrirsi di carne e sul trauma che ciò comporta) e Fortezza Bastiani, diretta citazione del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Vista la lunghissima e sfaccettata carriera di questo autore risulta difficile esprimere in così poche righe ciò che ha fatto. Abbiamo provato a trasmettere parte della sua incredibile attività, che risulta estremamente eterogenea sia dal punto di vista musicale che culturale in senso stretto e che, come tale, ha segnato un’importante punto di stacco con la musica del passato ed è divenuta affidabile guida per la musica dei giorni nostri e del futuro. Battiato si esibirà al Teatro Europauditorium di Bologna il 29/1. Noi ci saremo. Voi?! Consigli per gli acquisti: 1. Alt - J – An Awesome Wave 2. Daft Punk – Alive 2007 3. Jamiroquai – High Times 4. The Roots – Tipping Point 5. Radiohead – The Best Of Matteo Fermi


A TEATRO CON FEDE Buon anno cari lettori! I Maya alla fine non sono riusciti nel loro intento di distruggere la stagione teatrale in corso, grazie al cielo! Altrimenti come avrei fatto, con tutti i soldi che ho speso in biglietti? Questo significa anche che posso continuare a tediarvi sul perché o percome andare a teatro. Quindi bando alle ciance ed iniziamo! Questo mese, sua magnificenza la redattrice di questo giornale ci ha concesso ben 2 pagine, perciò la noiosità per molti di voi sarà doppia! Sono passate le feste, avete mangiato come dei bovi a casa delle vostre nonnette che avranno cucinato chili e chili di tortellini che voi bravi bolognesi avete spazzolato arricchendo così la ciambella attorno alla vita ... e tra il freddo e la pancia piena, non c’è niente di meglio che andare ad appoggiare il vostro deretano lardoso nelle soffici poltroncine dei teatri bolognesi. Ma come farlo? Qualcuno di voi dirà “come capita”! Invece no: a teatro, come in realtà in ogni situazione (anche se poi al giorno d’oggi ognuno fa quel cazzo che gli pare, ma è un altro discorso), c’è una particolare “etichetta” (ecco che ad alcuni di voi si drizzano i peli, non quelli sulla lingua, e lestamente girano pagina) che dovrebbe essere rispettata. Potremmo discutere per mesi sull’utilità di questa etichetta: secondo alcuni si tratta di regole antiquate e stupide, secondo altri (compreso il sottoscritto) di usi antichi che vanno rispettati per non perdere la tradizione. Il fatto è che con intelligenza bisogna interpretare e fare proprio questo banale “galateo”. Ma in cosa consiste? La prima norma da osservare è la puntualità. Arrivare in ritardo vuol dire mancare di rispetto agli attori e agli altri spettatori, che come me sono arrivati con largo anticipo; ricordate che a spettacolo iniziato non vi faranno nemmeno entrare in platea. La massima concessione che potrebbe farvi la maschera è quella di lasciarvi in piedi all’ingresso della sala, o di farvi accomodare in un palchetto libero per poi accompagnarvi al posto da voi prenotato, nei momenti di intervallo. In teatro si richiede, inoltre, un abbigliamento adeguato all’importanza dell’evento. La vera etichetta impone donne in abito ele-

gante (eventualmente lungo) e uomini in abito scuro. Regole, queste, oggi rispettate solamente nei grandi teatri di opera dove l’alta società fa quello che facevano i nobili nei secoli passati: farsi vedere. Ma, chiaramente, per noi comuni mortali che viviamo nel 2013 (eh già, siamo in quell’anno) questo si traduce semplicemente nell’andare vestiti in maniera elegante ma sobria, senza bisogno di eccessi, ma d’altra parte neanche vestendosi come se si stesse andando al cinema con amici o allo stadio a vedere il Bologna. Nella stagione invernale è consigliato (soprattutto se si siede in platea) consegnare i cappotti, i soprabiti e gli eventuali ombrelli al guardaroba del teatro (come si fa in discoteca, insomma), che per una modica cifra (1-2€) vi permette di non infastidire il vostro vicino strabordandogli addosso le vostre cose. A teatro non si sgranocchia né si scolano lattine; in sala non devono entrare cibo o bevande e quindi evitate di chiedere al bar di poter portare la bibita o il panino con voi. Astenetevi anche dallo scartocciare caramelle e cioccolatini: il rumore della carta stropicciata si amplifica nel silenzio attento di un pubblico assorto. Quindi, consiglio spassionato da uno che come me ingerisce chili di caramelle durante lo spettacolo: prima che inizi lo spettacolo mettetevi in una tasca comodamente raggiungibile le caramelle già tolte dalla loro cartina. Facile, no?! Durante la rappresentazione bisogna stare in silenzio. Aspettate, non so se sono stato abbastanza chiaro... durante la rappresentazione bisogna stare zitti! A volte questa ovvietà passa di mente a molti. L’etichetta è spietata con i malaticci: se avete il raffreddore o la tosse, dovreste fare a meno di recarvi a teatro. Ma chiaramente, senza essere fondamentalisti, si può benissimo andare a teatro con i suddetti sintomi, prendendo le ovvie (siamo sicuri siano ovvie?) precauzioni. Se avete il raffreddore, portatevi dietro un pacchetto di fazzoletti per evitare che quando il moccolo vi fuoriesce dal naso dobbiate bisbigliare, presi dal panico, ai vostri vicini pregandoli di consegnarvi un fazzoletto sotto la minaccia di riversare il vostro infettivo contenuto nasale addosso a loro. Se invece siete affetti da tosse, evitate di belare come pecore tossendo a destra e a manca disturbando con il vostro catarro

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l’intera sala, cercate invece di soffocarlo nel fazzoletto. E se proprio la tosse vi impedisce di respirare, chiedete scusa ai vicini ed uscite un momento. Altra considerazione da tenere in mente è che si deve evitare di mostrare la propria disapprovazione o entusiasmo durante lo svolgimento dello spettacolo; per fare commenti o per manifestare il vostro giudizio aspettate sempre la fine dello spettacolo o l’intervallo. Un momento molto delicato è quello degli applausi: infatti, a teatro, gli applausi si dovrebbero fare solo alla chiusura del sipario. In questa occasione avete altresì modo di dimostrare il vostro giudizio degli attori nei saluti finali del cast e lo potete fare, ad esempio, variando l’intensità del vostro applauso al saluto di ogni singolo attore. Detto ciò vi chiederete: dove poter mettere in pratica, ora che li conoscete, questi splendidi consigli (o regole)? Questo mese a teatro potete andare a vedere: Qui ed ora con Valerio Mastandrea (anche regista), uno dei nuovi protagonisti del nostro cinema (ricordiamo Romanzo di una strage di Tullio Giordana, La prima cosa bella e Tutta la vita davanti di Virzì) che qui torna in scena con una novità assoluta di Mattia Torre, giovane autore della serie cult Boris; con Mastandrea in scena Valerio Aprea, attore di fiction meno conosciuto, ma che vanta una serie di partecipazioni teatrali con attori di spicco come Arnaldo Foà. I due protagonisti sono vittime dello stesso incidente stradale che li colpisce in una strada periferica e li porta a confrontarsi in attesa dei soccorsi. Cosa emergerà da questo “scontro-incontro”? (17-20 GENNAIO, ARENA DEL SOLE) Re Lear di William Shakespeare, rivisitazione moderna di un grande classico del teatro drammatico Shakespeariano con Michele Placido, grande maestro del cinema e del teatro italiano, nel ruolo di Lear, re impazzito che abbandona il suo ruolo per tornare uomo tra gli uomini andando contro alle leggi dell’universo. Qui l’autore mostra il sentimento terrorizzante dell’uomo di fronte al Cosmo, per restituirci quell’immensa metafora della condizione umana che è il Re Lear. Nel

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cast molti giovani attori, freschi di accademia (nella quale Placido insegna). Consigliatissimo. (18-20 GENNAIO, TEATRO DUSE) Pierino e il lupo, liberamente tratto dall’opera del compositore russo Sergej Prokofiev e portato in scena dalla voce narrante di uno dei più grandi attori italiani, Gigi Proietti, conosciuto ai più per le sue partecipazioni a film comici di bassa leva ma che presenta alle spalle un grandissimo curriculum teatrale. Qui accompagnato dalla Filarmonica Arturo Toscanini. (26 GENNAIO, TEATRO DELLE CELEBRAZIONI) Oscura Immensità, regia di Alessandro Gassman con Giulio Scarpati, attore conosciuto ai più per la serie tv Un medico in famiglia, e Claudio Casadio, attore teatrale romagnolo che vanta una mirabile interpretazione nel film L’uomo che verrà sulla strage di Marzabotto, qui in scena in uno spettacolo noir. I due attori interpretano uno il carnefice (Casadio), autore di una rapina finita male, l’altro il marito della vittima (Scarpati) e monologano, narrando i fatti ognuno dal proprio punto di vista e facendo emergere i sentimenti e le sensazioni legate alla propria esperienza. Ho avuto l’occasione di vedere questo spettacolo recentemente e posso consigliarlo sia per quanto riguarda lo spunto emotivo che trasmette sia per l’interpretazione pulita e impeccabile dei due attori. Nota di merito alla regia di Gassman che in modo non banale riesce a tirare fuori la carica emozionale degli attori. Bella la scenografia. Andate a vederlo! (29-30 GENNAIO, ARENA DEL SOLE) Federico Ravaioli


Di neve, occhi sospesi e ali schiantate Non lo so, magari è una cosa che capita soltanto a me, ma succede che mi irriti d’improvviso, le labbra che scattano a disegnare una smorfia stizzita, quando attorno a me c’è un chiasso tale da impedirmi di sentire la mia stessa testa. Con un sorriso di scuse fuggo verso l’angolo più lontano della sala, mi siedo distante dagli specchi e dai bicchieri vuoti e tiro fuori dalla borsa un blocco di appunti a cui so già che non presterò la minima attenzione. E fuori nevica. Vorrei aprire la finestra per far entrare dentro il silenzio del bianco, la pace del freddo. Sarebbe bello se esistesse un filtro in grado di far colare via il caos della città, di setacciare il rombo delle auto e le chiacchiere della gente, lo scorrere martellante di una vita che non sa come rallentare. Bianco. Bianco come il nulla in cui vorrei affogare paure e ricordi, il loro riemergere dispettoso. Invece l’inchiostro delle mie parole è nero, nero come le certezze solide che ti dà il conoscere l’esatto meccanismo di come si espande un polmone, di come il sangue riesce a schizzarti fin su al cervello, di come il fegato riesce a macinare qualsiasi sostanza tu decida di ingoiare, di come, insomma, funzioni un po’ tutto il tuo fottuto corpo. Basta. A volte ti basta davvero, a volte è una sicurezza così solida che non ne richiede altre. A volte, però. Perché altre volte non basta, non serve, è inutile. Come adesso, che le parole zampettanti che ha tracciato la mia mano frettolosa si sollevano silenziose dal foglio, topi che rispondono ubbidienti alla melodia di un pifferaio dispettoso, e disegnano il profilo di due occhi che assomigliano a lame, a cunei che bruciano, ad armi capaci di trapassarmi il cranio, di aprirmi due buchi in fronte per entrar dentro e lasciar colare fuori me stessa: per farmi perdere. Sono i suoi occhi. Le stesse iridi di un colore mai visto prima, indefinibili e sfuggenti come il tempo che cambia, come la sua stessa vita, sregolata e nascosta; gli stessi occhi che mi sento addosso ancor prima di sapere che davvero mi sta guardando, che davvero mi ha trovata, ci è riuscito, anche nel buio di una stanza soffocante e piena di musica, anche nella folla di una piazza aperta sotto il cielo di dicembre, anche nelle ombre dei miei segreti. Dai suoi occhi è iniziata e nei suoi occhi, lo so, finirà. Perché è stato il loro modo di guardarmi a strapparmi via ogni sicurezza: io, che non sono bella quanto Gaia, né intelligente e speciale quanto Arianna, che non ho nulla di particolare, né nell’aspetto né nel carattere, con il mio viso normale e il mio corpo normale e la mia bocca normale e i miei pensieri normali e la mia vita normale. Io. Io, che in mezzo alla folla sparisco, sono un cappotto scuro come tutti gli altri, due iridi castane come altre centomila, capelli svolazzanti nascosti in un cappuccio, orecchie prive di qualsiasi fronzolo occupate dalla mia musica. Io, che davvero non ho nulla di appariscente, nulla che ti farebbe decidere di voltarti in mezzo al marciapiede per guardarmi meglio, con i miei jeans un po’ sdruciti e le mie scarpe consumate dall’asfalto della città. Nulla di nulla. Normale, banale, terribilmente semplice. Io.

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E lui, che invece è il mio esatto opposto, mi ha guardata. In mezzo a un marciapiede ha trovato nel vento la curiosità di girarsi, di cercare meglio. E io non lo so, non lo so davvero, cos’abbia trovato, lui che con quegli occhi rende la mia pelle e la mia carne e le mie ossa trasparenti, rende l’intero mio corpo un imbarazzante contenitore di vetro in cui è così facile guardar dentro. La sensazione è quella di essere vista, non solo guardata ma vista, vista sul serio per la prima volta: e per quella sensazione vendo ogni mio buonsenso, per i suoi occhi e le sue mani e i sussurri che mi mormora all’orecchio quando mi stringe, io vendo ogni mio buonsenso. L’acquirente è una passione fatta di contrasti, com’è fatto di contasti lui, bene e male insieme, come sono fatta di contrasti io, compromessi che firmo con la mano che trema. E poi arriva il salto, il buio pieno di scintille, l’esser sospesi da cui si crolla, il precipitare senza neanche aver peso. E dopo c’è lo schianto, lo stesso che fa la pioggia su questi tetti rossi, lo stesso di una mano aperta in pieno viso. E con gli occhi spalancati al soffitto e il suo respiro sciolto nel mio orecchio, allora, ed è sempre così, me lo chiedo. Me lo chiedo. Ma che stai facendo, Fausta? Perché fai finta di non vedere? Perché nascondi la polvere sotto i tappeti? Perché non guardi la sua vita e le sue notti e i suoi amici e la sua casa? Perché ti ostini ad ignorare la sensazione pressante che ci sia qualcosa, qualcosa di così grosso da risultare indicibile, che non va, che non funziona, che è sbagliato? Perché? Non è l’orgasmo, che picchia il cuore e la testa, e non è nemmeno il suo fascino maledetto che un momento prima ti trascina in paradiso e poi non si cura di lasciarti crollare in basso. Non è il gioco di una ragazzina che prova un piacere idiota nel sentirsi un po’ bistrata, nel vedersi donare nuovi e oscuri e misteriosi motivi per riempire di dolore struggente ogni sua giornata. O no, no, non è questo. E’il gioco di una ragazzina, una ragazzina normale che vuole sentirsi speciale, una ragazzina uguale a centomila altre che vuole illudersi di non esserlo. Sono i suoi occhi. I suoi occhi e le sue mani e la sua voce. “Ti porto qualcosa?”. Quella voce cortese, un po’ strascicante sulla esse, fa tornare magicamente le parole scritte solo parole, fa sparire i suoi occhi dal bianco del foglio, lasciando solo inchiostro, lo zampettare un po’ goffo della mia scrittura frettolosa. Si chiama Gabriele e ha gli occhi troppo neri perché sia facile reggerne lo sguardo. I miei, banali come tutto il resto di me stessa, scivolano vigliaccamente più in basso. Ha il nome di un angelo e l’incavo dei gomiti segnato da cicatrici che solo l’inferno più nero ti regalerebbe. E fuori nevica.

Dysdaimon

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SENZA PELI SULLA LINGUA Senza peli sulla lingua è un esercizio di scrittura al limite dell’assurdo, è una rubrica satirica, provocatoria. Volete anche voi fare domande al nostro anonimo autore?! Scrivete a senzapelisullalingua.sism@gmail.com. Provocate, fidatevi, domandate, stuzzicate, chiedete qualsiasi cosa: otterrete sempre una risposta. 1. Chi sei? Quale sarebbe la tua funzione all’interno di SISMagazine? Chi sono? Bella domanda… Sono uno studente di medicina con un’acidità gastrica superiore alla media. Che se la prende, senza prendersi troppo sul serio, con tutti e con tutto quello che non funziona nella nostra facoltà (e mica solo lì)! A cosa servo? A niente! Sono quello che scrive cose serie e cazzate nella stessa riga, quello che spara e che si spara, quello che dice bugie e profonde verità, sono tutto e niente, bello e brutto, bravo e cattivo, sono... 2. Ti credi spiritoso? Non necessariamente... tu credi di essere ironico? Ne sei certo? Tutti ti diranno che sono ironici se glielo chiedi, ma quanti lo sono davvero? Quanti, invece, si prendono sempre e comunque sul serio? Quanti credono che quello che fanno sia importante? Quanti si credono simpatici? Eccomi! 3. Se potessi cambiare una sola cosa della nostra facoltà cosa cambieresti? Una? Nessuna? CENTOMILA! A parte le ovvietà, credo che la nostra facoltà rispetto ad altre sia anche messa bene! Bella roba! Uno dei problemi maggiori è senza dubbio è la comunicazione studente (cioè numero di matricola)facoltà di medicina. Non è incredibile che per qualsiasi problema di burocrazia si debba lottare con la bellissima (perché diciamocelo che è figa! C’è il praticello attorno proprio bello!) segreteria?! Questa burocrazia cementifera. 4. Ma ti sembra normale tutto il casino che è successo con i tirocini del terzo anno? Tu lo chiami casino? Io la chiamo normale amministrazione (pubblica)! Dopotutto cosa pretendiamo, noi studenti, di poterci iscrivere via rete, e pure subito? Vogliamo anche andare a fare la visita medica (che per chi non sapesse da quest’anno è obbligatoria per iscriverci ai tirocini) appena è possibile? Vogliamo persino che quando telefoniamo al CUP per prenotare la visita la voce non ci dica per ore che “gli operatori sono momentaneamente occupati”? E vogliamo magari poter scegliere subito il nostro reparto (il migliore, mi raccomando)? E magari anche andare nel mese che preferiamo e non in quello che ci tocca (è rimasto solo quello, fai te!)? Se penso con razionalità dico: “cavoli che sistema del cazzo! Ma è così difficile fare le cose con ovvietà?” Poi vado alla posta a mandare una raccomandata, vado dalla polizia a fare una denuncia, vado al catasto per ottenere una copia della pianta della mia casa, vado a prenotare una visita, a ritirare degli esami, a prendere il diploma delle superiori.... e mi accorgo che niente funziona come dovrebbe o, meglio, come sarebbe ovvio... e allora decido di mettermi a guardare la tv. Accendo, cambio canale. Il tg. Ascolto cosa fanno a Roma. E non serve aggiungere altro. Poi ci domandiamo perché è così difficile organizzare i tirocini?! 5. Ma posso davvero farti ogni tipo di domanda? Come posso contattarti? Ma certo! Domandare è lecito, rispondere è cortesia! Scherzi a parte, mi puoi contattare all’indirizzo senzapelisullalingua.sism@gmail.com e chiedere quello che preferisci.

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OROSCOPIA ARIETE BILANCIA Dopo un 2012 altalenante, Vi siete sempre preoccupati, senza vanti il nuovo anno si prospetta intrigante. di esser con gli altri accomodanti, non confondete flirt e incontri importanti, ma questi sono i giusti momenti per le coppie ci saranno passi in avanti. di avere maggiori accorgimenti! Potrebbe essere il momento migliore Il 2013 vi ricorderà che ad ogni situazione per farvi restituire qualche favore.non fatevi sopraffare corrisponde sempre una soluzione, dalla stanchezza,perché per voi l’anno si apre in bellezza. perciò rilassatevi e non fate i seri, è il momento di non pensare più a ieri! TORO SCORPIONE Dato che i Maya han sbagliato previsione, Un anno pesante e con scomode situazioni per voi questo sarà un anno di riflessione. ha però regalato non poche soddisfazioni; Per quelli di voi che han già compagnia, il 2013 inizierà con grandi feste tenetela stretta usando la fantasia; dopo queste giornate un po’ meste, invece per i Tori che vagano solitari ma attenzione a non perder troppo la via ci sono possibilità di incontri leggendari. poiché tra poco finirà anche l’euforia! In famiglia sono in arrivo eventi gioiosi, Rimboccarvi le maniche dovrete, ma riguardo alle spese siate parsimoniosi. se volete raggiungere le vostre mete. GEMELLI SAGITTARIO Avete sempre qualcosa da desiderare Per voi l’anno alla grande inizierà, e nulla mai vi fate mancare; dato che in vacanza avete oziato a volontà! perciò anche quest’anno quel che volete viaggi, nuovi stimoli vi offriranno di sicuro con la costanza lo otterrete, e la voglia di fare vi seguirà tutto l’anno. e troverete il modo più semplice possibile, Persone interessanti infatti conoscerete, anche se il desiderio sembrerà irraggiungibile. ma quale ruolo avranno ancora non sapete. Non grandi cambiamenti vi porterà D’altronde un po’ di mistero l’anno nuovo che verrà! è ciò che serve per render tutto più vero. CANCRO CAPRICORNO Se ultimamente la carica vi è mancata La determinazione mai vi è mancata, all’inizio di quest’anno sarà ritrovata; né col lavoro, né con la persona amata; tutte le vostre energie investite ritmi serrati avete seguito in nuovi progetti, per quanto riuscite! per raggiungere il fine predefinito. Fantasia e creatività verranno applicate Forse è necessario rallentare il passo in una maniera che prima sol pensavate; e con gli amici fare un po’ più di chiasso riscoprire un nuovo se stesso soprattutto perché vi accompagneranno è una fortuna che non accade spesso. di sicuro per tutto il nuovo anno! LEONE ACQUARIO Per i nati sotto il segno del leone, Per le esperienze sarà un 2013 generoso, questo 2013 sarà governato dall’ambizione; ma per le finanze potrebbe esser costoso. i giovani vorranno trasferirsi altrove Nello studio avrete occasioni importanti alla ricerca di esperienze di vita nuove. e nelle scelte siate lungimiranti. Nello studio non avrete grossi tormenti I single vivranno piccanti incontri, ma potreste compiere scelte inconcludenti. nelle coppie non ci saranno grossi scontri; Per i single si apriranno nuovi orizzonti saranno mesi piuttosto stabili e per alcune coppie ci sarà la resa dei conti. affiancati da amici da cui siete inseparabili. VERGINE PESCI E’ bene approfittarne per ripartire La prima parte dell’anno sarà stabile, e lasciar indietro chi vi ha potuto ferire. da giugno sarà un crescendo formidabile. Non abbiate troppa fretta di cambiare: Che sia in amore, nello studio o familiare le novità si faranno aspettare, avrete una soddisfazione esemplare. ma quando giungeranno saranno positive Il meglio giungerà l’anno successivo, anche sotto sessioni di studio intensive. ma fin da ora conviene fissare un obiettivo; Chi ha chiuso una storia da poco sarà un’annata di incontri fecondi, sarà di nuovo pronto a mettersi in gioco siate pronti a cambiamenti profondi.

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GIOCHI

PAROLE DA INSERIRE 2 LETTERE: no, go, at, tv, do, on, of, ok, so, is 3 LETTERE: few, yet, lit, arm, peg, fun, wet, key, egg, use, dad, pop 4 LETTERE: post, aged 5 LETTERE: stuck, robin, shake, today, camps 6 LETTERE: minute, cloudy, asleep, widest 7 LETTERE: workman, sausage, killing 8 LETTERE: upstairs 9 LETTERE: treasured, unusually

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Per informazioni e per consultare la versione online di SISMagazine:

bologna.sism.org


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