Il Sommelier NR.3/08

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Anno XXVI - Numero 3 - Maggio-Giugno 2008

IN QUESTO NUMERO: • L’iride in pentola • Bere bene in Bretagna • La Vernaccia di S. Gimignano • Vinoterapia: un “farmaco” antico • Una delle nuove aree toscane emergenti: la Val di Cornia

ISSN 1826-6533

Organo ufficiale della FISAR - Tariffa R.O.C.: ”Poste Italiane S.p.A. - Sped.Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004) v46, art. 1 comma 1, DCB Po”

Rivista di enologia, gastronomia e turismo

€ 4,10

Successo al Vinitaly dell’iniziativa Fisar


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L’opinione del Vice Presidente - Nicola Masiello Facciamo diventare i nostri sogni una realtà - Roberto Rabachino L’opinione di Marcello Masi - Marcello Masi News dall’Italia In Famiglia

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Redazionale - Piera Genta

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La segreteria comunica

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Il CTN comunica

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Ostriche e...? - Silvana Delfuoco

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Bere bene in Bretagna - Enza Bettelli

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I Presidenti del Sangiovese - Piera Genta

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Visti da Vicino a cura della redazione di Quality ADV

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Zagreb Gourmet Wine festival: di delizia in delizia - Gudrun Dalla Via

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La Vernaccia di San Gimignano “offre punti di riflessione” - Cinzia Tosetti

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le notizie di enogastronomia e turismo a cura della redazione di Quality ADV

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Strevi nel dettaglio - Giuseppe Sicheri

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Il vino e le sue percezioni olfattive anomale Lorenzo Tablino

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ENOGASTRONOMIA, TURISMO, CURIOSITÀ

COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE

In questo Numero

L’iride in pentola - Giovanni Staccotti

VistiVicino

CULTURA DEL VINO

SCIENZA, TECNICA APPROFONDIMENTI

da

Vinoterapia: un “farmaco” antico, riscoperto nei centri di benessere Gudrun Dalla Via

Una delle nuove aree toscane emergenti: la Val di Cornia Luca Iacopini e Massimo Bracci

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Lettera del Vice Presidente

Credo che la parola “Primavera” usata spesso quale sinonimo di allegria, rinnovamento, vitalità e risveglio sia la più appropriata per auspicare la rinascita del vino Italiano. di Nicola Masiello

Allegria, Allegria

Rinnovamento, Rinnovamento

Vitalità Vitalità “

«la cultura del bere per il rispetto della vita», un tema di grande attualità sull’uso e sull’abuso dell’alcool

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Partiamo dal vinitaly, ricordando purtroppo la “bufera” non ancora placata, che ha investito il mondo del vino italiano. Se mai ce ne fosse bisogno è giusto sottolineare come il sadismo Italico abbia colpito nel segno: non c’era momento migliore per minare la credibilità ed il lavoro della quasi totalità dei produttori del nettare di bacco, oserei dire un attacco mirato al made in Italy, proprio a casa nostra e nell’evento più importante per il mondo del vino; pura casualità o attentato economico? La Fisar per il ruolo che ricopre quale anello di congiunzione tra produttore e consumatore finale, si è per il momento limitata a registrare gli eventi senza colpevolizzare nessuno, finché le autorità competenti non avranno in sede di giudizio, emanato sentenze od assoluzioni. Il nostro modo di vivere il mondo del vino, il nostro modo di educare alla qualità ed alla moderazione attraverso i corsi di formazione, sono sicura-

mente un buon punto di partenza per dare un impulso positivo alla ripresa del mercato. Una ripresa fatta di regole certe, di disciplinari semplici ma al tempo stesso efficaci, di denominazioni vere, produttive e di pregio per il vino Italiano; argomenti questi che la Fisar ha fatto suoi in momenti non sospetti presso la Commissione Agricoltura alla Camera dei deputati e che oggi ritornano prepotentemente di attualità. Ma torniamo alla presenza della Fisar al vinitaly; c’è stato un momento veramente importante: il convegno dal titolo “LA CULTURA DEL BERE PER IL RISPETTO DELLA VITA”, un tema di grande attualità sull’uso e sull’abuso dell’alcool. Anche in questo ambito la Fisar si è schierata in modo inequivocabile dalla parte dei vini di qualità e qualità per la Fisar non fà rima con quantità. In altra parte della rivista riportiamo l’evento, ma mi preme in questo momento ringraziare i partner ufficiali del convegno: Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Ministero della Salute, Asa, Enoteca Italiana, Assoenologi ed il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano ringraziati dal nostro Presidente che nel suo saluto ha voluto sottolineare l’impegno della Fisar nel portare avanti questa campagna che sarà anche il tema della prossima giornata del Sommelier. Non ci resta che proseguire su questa strada augurandoci veramente che venga primavera.

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per comunicare con il Vice Presidente redazione@ilsommelier.com

Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


Editoriale del direttore

Dietro ad ogni successo ci sono stati sempre leader capaci di sognare e di pianificare.

Facciamo diventare i nostri sogni nosti sogni una realtà Oggi, globalizzazione e scenari in rapido cambiamento, hanno reso queste due doti ancora più importanti. I sogni da soli non sono sufficienti; non potranno mai trasformarsi in realtà se non sono sostenuti da un efficiente progetto che li porti a compimento e che sia costantemente alimentato dalla determinazione. Quello che occorre è la visione. La visione è un sogno supportato da un piano che ha precisi punti di forza: la sua capacità di immaginare ciò che si vuole essere, ma anche quanto, dove e come realizzarlo. La capacità di sognare può essere coltivata mantenendo alte le ispirazioni, ascoltando le analisi dei migliori performer e utilizzando le

Il Sommelier Rivista di Enologia, Gastronomia e Turismo Registr. Tribunale di Pisa n° 21 del 15.11.1983

migliori procedure. Occorre abbandonare il porto sicuro che si riassume nello stereotipo “abbiamo sempre fatto così”. Un pianificatore efficiente è organizzato, tenace, capace d’intraprendere le giuste azioni e utilizzare gli strumenti adatti a misurare i progressi ottenuti e i correttivi da introdurre. Quando la visione e la pianificazione è ben chiara importante è condividerla con gli altri per ottenere adesione e consenso. Se si è in grado di progettare, di pianificare e di avere una visione chiara, si è in grado anche di realizzare, far diventare i nostri sogni una realtà.

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La capacità di sognare può essere coltivata mantenendo alte le ispirazioni

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di Roberto Rabachino

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Hanno collaborato a questo numero G. Staccotti, S. Marini, S. Scarpino, G. Sicheri, S. Marini, A. L. Vinci, L. Iacopini, M. Bracci, A. Battistuzzi, G. Dalla Via, E. Bettelli, P. Genta, C. Ravanello, C. Tosetti, S. Delfuoco, G. Roversi e M. Masi

Responsabile Sicilia Occidentale (AG - CL - EN - PA - TP) C. & G. COMMUNICATIONS S.R.L. Daniele CIPOLLINA Tel. 091 300857 - Cell. + 39 3479197939 d.cipollina@cgcommunications.it

Per la fotografia Oliviero Toscani, Saverio Scarpino, Enza Bettelli, Alberto Doria e immagini di Redazione,

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Distribuzione della rivista La rivista viene inviata a tutti i soci Fisar, a tutti gli organi di informazione, a tutti i giornalisti dei gruppi di specializzazione di settore, a tutte le Istituzioni, a tutte le Associazioni di settore e a tutti gli IPSSAR che ne facciano richiesta tramite spedizione gratuita in abbonamento postale.

La rivista è associata al USPI Unione Stampa Periodica Italiana

Abbonamento alla Rivista Segreteria di Redazione Il Sommelier Via dei Condotti, 16 - 56010 ASCIANO (PI) Tel. +39 050 857105 Fax +39 050 856700 segreteria.nazionale@fisar.com

abbonamento alla rivista: € 20,00 per 6 numeri

ERRATA CORRIGE: a pagina 44 e seguenti del Il Sommelier n. 2/2008 nell’articolo a firma Cinzia Tosetti dal titolo “Il vino del Ghiaccio” nella parte “Ungheria, Slovenia, e altre piccole produzioni da non dimenticare” è stato erronemante citato il TOKAJ come un vitigno. Ci scusiamo per il grossolano errore con i nostri lettori”.

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L’Opinione di Marcello Masi

Da questo numero ci onorerà della sua firma un amico, un giornalista, un uomo sensibile, serio, vero: Marcello Masi. Vice Direttore RAI, redazione del Tg2, è il responsabile editoriale della più importante rubrica televisiva di settore “Eat Parade”. Il suo contributo, la sua opinione e le sue riflessioni sapranno stimolarci. Ne sono sicuro. Grazie Marcello. Roberto Rabachino Direttore responsabile

a cura di Marcello Masi

fotografie: Oliviero Toscani

La vita, la frenesia, la globalizzazione, le tradizioni, il lavoro duro, la serietà, il rispetto, la donna, l’uomo, i nostri diritti e i doveri che abbiamo verso i nostri figli, verso gli altri. Sempre.

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Questo Paese ha risorse praticamente illimitate in termini di capacità, fantasia e professionalità

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paraipotassi della comunicazione comunicazione

Credo nel territorio, credo nelle tradizioni, credo nel lavoro dell’uomo nel suo sudore, nella sua fantasia. Credo nei valori dei nostri progenitori e nelle loro opere. Credo nel futuro della qualità e dell’eccellenza. Credo in una sola parola alla cultura materiale. In un’epoca storica così veloce e ondivaga credo sia giusto fermarsi ogni tanto a riflettere. Senza pensiero, infatti, riflettiamo solo le idee degli altri. Il mondo fuori è ormai il nostro. La globalizzazione mostra i suoi limiti e i suoi pericoli. E senza un’identità forte non da contrapporre, ma sicuramente da difendere, si rischia di perdere tutto. Un frullato indigesto di interessi e bassa qualità. Oblii e furberie. Grandi ingiustizie e abiure. La perdita della nostra identità non è un pericolo astratto. Chi vive in città fa i conti

tutti giorni con una vita stravolta dai ritmi e da un flusso informativo continuo e difficilmente distinguibile. Non basta essere intelligenti per difendersi da questa frenesia molte volte senza obiettivi o mete. Siamo coinvolti in un gioco complesso con regole variabili, non scritte, e che non valgono neppure per tutti. Siamo insieme a milioni di persone, ma siamo concretamente più soli. Abbiamo a disposizione centinaia di strumenti di conoscenza ma abbiamo sempre più bisogno di esperti per tradurre ogni segnale. Insomma viviamo ogni giorno mille contraddizioni senza avere il tempo per tradurre le nostre reazioni ad ogni stimolo. Un’epoca veloce dicevo più veloce di ogni altra. I nostri figli ci sopravanzano non solo nell’uso degli strumenti tecnologici, ma Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


L’Opinione di Marcello Masi

Siamo coinvolti in un gioco complesso con regole variabili, non scritte, e che non valgono neppure per tutti

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anche e soprattutto nella capacità di gestire più strumenti contemporaneamente. Studiano, chattano, parlano insieme senza perdere i fili dei ragionamenti. Una generazione sveglia direbbero i nostri genitori eppure fragile. Tanti i punti di riferimento sbiaditi e complessi. Famiglia in difficoltà, scuola in crisi, politica delegittimata. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

Elementi che destabilizzano una società in veloce trasformazione e alle prese con una grave crisi economica. È in questo contesto certamente inedito che si muove l’informazione. Un flusso ininterrotto di notizie o presunte tali inonda ogni secondo della nostra vita. Molte volte le subiamo senza pagina 5


L’Opinione di Marcello Masi

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L’Opinione di Marcello Masi

nessuna possibilità di scelta. La tecnologia permette oggi di raggiungere i destinatari nei luoghi più impensati. Gli schermi televisivi occhieggiano negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, negli uffici postali. Una notizia in pochi secondi può rimbalzare su tutta la terra. La nuova frontiera di internet poi ha aperto la strada a milioni di nuove fonti costantemente disponili, immediatamente consultabili. Verrebbe voglia di dire che va tutto bene e che mai come oggi l’uomo ha le chiavi della conoscenza e la possibilità di essere informato. In parte è indubbiamente così, ma solo in parte. Ogni rivoluzione infatti porta con sé una dose di veleno. E nell’informazione il veleno agisce in modo subdolo. Chi è più preparato di me sull’argomento potrebbe parlarvi della disinformazione sistematica utilizzata molte volte sulla rete che si affianca all’imperante pressappochismo. Io preferisco affrontare e tentare di spiegare i pericoli quotidiani che si corrono facendo informazione televisiva. Innanzi tutto la ricerca del consenso. Share e audience sono diventati termini popolari così utilizzati da essere diventati un simbolo del nostro tempo. Per loro abbiamo sacrificato molto. La mia è solo una riflessione non sono in grado di giudicare. Certo è che ormai le scelte sono diventate a volte molto difficili. Sapere per esperienza, per esempio, che un tale argomento non farà ascolto e nello stesso tempo essere convinti che sia utile affrontarlo pone quesiti inediti di ordine professionale, ma anche etico e morale. Costruire per pochi rischia di essere un’operazione elitaria, viceversa ammiccare solo a quello che può piacere è, a mio modo di vedere, imperdonabile. Realisticamente bisognerebbe cercare un punto di equilibrio. Ma con quali strumenti orientarsi? È sufficiente una base culturale forte? Non sempre. L’esperienza? Fondamentale, ma non basta. E allora? Mi viene in mente una sola parola. RESPONSABILITÀ. Un concetto negli ultimi anni divenuto sempre più astratto. Non solo nel nostro mestiere ma in gran parte delle attività del nostro Paese. L’Italia è afflitta ormai da decenni da una sorte di spensieratezza ideologica. Troppe volte si è preferito e si preferisce non scegliere quando la scelta comporta sacrifici. Un sacrificio può essere una scelta politica, economica, sociale, ma anche un palinsesto di rete o un piccolo servizio giornalistico. Le pressioni sono enormi ed anche il servizio pubblico le subisce.

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Ignorare questo non aiuta a capire. Possiamo discutere per ore sulla mission della Rai, sulla pubblicità e sul canone, ma non sono certo io a poter dare la soluzione che spetta alla politica e alla politica aziendale. Non mi tiro indietro, invece, su quello che faccio e che sono convinto di voler fare. Eat Parade, rappresenta un tentativo, un piccolo tentativo di informazione. Portato avanti orgogliosamente da una piccola squadra affiatata, assecondato dal Direttore del Tg2, Mauro Mazza, che ci ha sempre appoggiato con entusiasmo. Da cinque anni come responsabile editoriale e curatore del programma ho fatto scelte precise forse non sempre vincenti in termini di ascolto, ma coerenti con il mio modo di interpretare il mondo dell’enogastronomia in Italia e non solo. Promozione del territorio, valorizzazione dei nostri prodotti e del lavoro dell’uomo, tutela del marchio Italia, innovazione e ricerca, tutela del consumatore, scoperte delle eccellenze. Questi alcuni dei punti fondanti della nostra trasmissione. Lo facciamo con umiltà, ma anche con coscienza dei nostri mezzi. La nostra missione è semplice fare un buon lavoro con onesta, curiosità e fantasia. Sono sempre più convinto che ognuno di noi debba fare qualcosa di concreto nei confini della propria attività professionale. Non è più tempo di aspettare Godot e nell’attesa cercare di “sopravvivere”. Questo Paese ha risorse praticamente illimitate in termini di capacità, fantasia e professionalità. Per non parlare delle nostre bellezze storiche-artistiche uniche al mondo e dei nostri prodotti agroalimentari invidiati da tutti. Quello che manca è una coscienza condivisa dello Stato. Cominciamo a lavorarci senza attendere oltre. I “nostri” per citare la filmografia western e una canzone di qualche anno fa “non arriveranno mai se non sanno dove andare”. È il momento di agire ognuno per la sua quota parte di responsabilità. Forse non riusciremo a migliorare subito la nostra vita e quella degli altri, ma sicuramente ricominceremo a costruire qualcosa di diverso e di più utile. Anche una piccola trasmissione televisiva può contribuire a questo. Noi abbiamo cominciato a provarci. Senza illusioni, ma convinti che la qualità è soprattutto figlia del lavoro, in una vigna come in una saletta di montaggio.

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La tecnologia permette oggi di raggiungere i destinatari nei luoghi più impensati

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per comunicare con il Direttore: m.masi@rai.it

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Cultura e sapori

di Giovanni Staccotti

Si dice l’arcobaleno finisca in una pentola dove ci piace immaginare che i pittori possano prendere i colori e i cuochi gli alimenti: gli uni base di opere d’arte figurativa e gli altri di arte cucinaria. Colori e alimenti uguali nelle loro composizioni di base, assumono espressività diverse in funzione dell’utilizzo che ne sa fare l’artista stendendo i colori sulla tela così come il cuoco che manipola gli alimenti per ottenere i cibi.

L’iride in pentola pentola Momento ideativo del disegno e della tecnica cucinaria Simile al disegno è la tecnica cucinaria: tanto importante è il disegno come momento ideativo così è fondamentale la conoscenza delle regole di cucina alle quali ci si deve attenere per creare un cibo corretto. I metodi di cottura sono diversi come le varie

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tecniche pittoriche. L’affresco, che significa pittura a fresco, cioè condotta su un supporto ancora umido, è una tecnica pittorica murale che si avvale del principio di fermare i pigmenti minerali sull’intonaco ancora umido, usando la carbonatazione della calce. Assimilabile alla cottura al forno o alla piastra, con estensione alla pizza. E perché no agli hamburger, forse più assimilabili al graffito: disegnato sulla parete esclusivamente con le bombolette spray e riconoscibili grazie alle coloratissime e illeggibili scritte e a quelle strane figure molto somiglianti a caricature e fumetti. Per tempera si intende quel genere pittorico che utilizza l’acqua per sciogliere i pigmenti composti da resine vegetali o terre naturali e fa aderire il colore al supporto come per gli arrosti che assumono il caratteristico colore della crosta gradevole grazie al processo di caramellizzazione dei tessuti in superficie. La pittura ad olio è paragonabile agli umidi, parti intere o in bocconcini stufati o brasati in tempi di cottura prolungati che consentono aggiustamenti indispensabili per ottenere un equilibrio di gusti e di aromi. Così i colori impastati con l’olio, seccandosi in tempi lunghi, consentono all’artista di procedere più lentamente e quindi di essere più preciso nell’esecuzione ponendo una maggiore attenzione al dettaglio. Nella tecnica dell’acquerello i toni chiari e le luminosità più intense si ottengono, per trasparenza, mettendo in evidenza il bianco e il chiaro del supporto pittorico che può essere di carta, ma

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Cultura e sapori

anche di pergamena, di porcellana e vetro. Assimilabile ai bolliti e ai lessi dove tutti gli elementi aromatici della preparazione si fondono in uno scambio di succhi tra l’alimento e il liquido nel quale è immerso. Il fritto è simile al pastello: un tipo di pittura che non si avvale di nessun connettivo per fare aderire il disegno allo strato pittorico usando pastelli in diverse gradazioni di impasto, morbido, semiduro e duro. Analogamente a quanto avviene per i diversi metodi di frittura che prevedono le diverse temperature del grasso tanto maggiori, quanto minore è la grossezza dell’alimento da friggere. Cromologia Nel senso di scelta légein dei colori cròma in un’analisi comparativa con gli alimenti trasformati in cibi dai metodi di cottura assimilabili alle tecniche di pittura intesa come arte di rappresentare attraverso il disegno e i colori, figure o cose su una superficie. Al variare della lunghezza d’onda il colore varia dal violetto al rosso, formando i sette colori descritti da Newton, violetto, blu, indaco, verde, giallo, arancione, rosso. Bisogna combinarne di tutti i colori per mangiare sano ed equilibrato, lungi dalle tavole monocromatiche da considerare come esperimento, ma lontane dall’infonderci i piaceri di una gamma di colori, diversi nella scomposizione del bianco fondamentale. Gli alimenti tendenti al chiaro, dal colore fresco e solare che apporta energia, pur contribuendo ad abbassare la pressione e tenere sotto controllo il colesterolo, presentano un piccolo, ma rilevante difetto, che si manifesta nella conversazione. Le gigliacee infatti erano bandite dalle tavole della Serenissima, da una società imperniata sui contatti umani che offrivano lo spunto ad incontri o avventure galanti che non potevano ammettere il complesso dell’alito pesante. Rivitalizzano tutto l’organismo.

se tonalità del violetto, combinato con il giallo crea l’infinita varietà delle tonalità verdi che forniscono la gioia spontanea dell’azione. Gli ortaggi verdi per la clorofilla, ricca di magnesio che aiuta a regolarizzare il metabolismo dei grassi e degli zuccheri. Il verde è il colore dell’equilibrio energetico, calmante disintossicante e persino antinfluenzale. Indaco è il colore dei fiori dello zafferano che nascondono tre fili di color giallo, usati in medicina, e tre stimmi di color arancio scuro che offrono il più bel colore della cucina: quel giallo che favorisce la concentrazione, la creatività e la digestione. Il Giallo è esigenza di qualcosa di nuovo, modernità, di futuro sviluppo. Fornisce la gioia spontanea dell’azione, provoca una risposta di tipo attivo e vivace, simboleggia la luce del sole, la felicità, la crescita e l’oro. Chi indossa giallo si sente bene con se stesso; è infatti il colore associato al senso di identità, all’Io, all’estroversione. Denota sempre una forte personalità. Utilizzarlo stimola la razionalità e il cervello sinistro, migliora le funzioni gastriche e tonifica il sistema linfatico. Gli alimenti giallo-arancio sono più ricchi di vitamina C che rafforza le difese del sistema immunitario e ha un effetto depurativo. Contengono inoltre carotene che protegge le cellule dall’invecchiamento. Chi lo indossa esprime gioia, buonumore e altruismo. Consigliato ai reumatici e come attivatore dell’intestino. Le castagne hanno dato il nome al marrone da considerare semplicemente come un arancione meno luminoso ottenuto dall’insieme di tre colori (blu, rosso e giallo). Colore assurto a simbolo di golosità con l’avvento del cioccolato espressione di una grande pasticceria. Il rosso dà energia, è il colore della forza, antidepressivo, stimolante e usato contro molti disturbi dell’apparato respiratorio. indica la presenza di un importante antiossidante il licopene che aiuta a prevenire i tumori gastrointestinali. Simboleggia la passione, l’amore, il calore, l’alimentazione,la resistenza, ed è molto stimolante.

tanto importante è il disegno come momento ideativo così è fondamentale la conoscenza delle regole di cucina

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Il viola aiuta la circolazione: i vegetali di questo colore sono lassativi e secondo la cromoterapia migliorano la circolazione e combattono le infezioni, l’uva nera sembra che contribuisca a prevenire l’arteriosclerosi. Le tonalità più chiare del colore viola esprimono sensualità, le più scure spiritualità. Infatti il viola è l’insieme del blu, sacro e del rosso, profano, che portano verso l’uno o l’altra delle situazioni al variare delle percentuali impiegate. Il blu scuro corrisponde alla pace e all’appagamento, tipica aspirazione di chi ha bisogno di sicurezza è il colore del temperamento flemmatico. Difficilmente si trova questo colore isolato in natura, ma entra nelle combinazioni di moltissimi alimenti. Combinato al rosso dà le diverIl Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

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Cultura e sapori

Indaco è il colore dei fiori dello zafferano che nascondono tre fili di color giallo

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Variazioni alimentari sui temi dei colori L’oro in tavola L’uomo, colpito dal colore d’oro antico dello zafferano lo utilizzò per tingere i preziosi tappeti orientali, i sandali dei babilonesi e la tunica che le spose portavano sotto la veste nuziale indotte dalla credenza che lo zafferano avesse proprietà afrodisiache... non si sa mai! Nel X secolo si hanno notizie certe di coltivazioni intensive in Spagna di zafferano, che conserva il nome arabo: zaafran. Fu il frate domenicano Santucci, inquisitore nella Spagna di Filippo II, che, sfidando le severissime leggi spagnole per conservare il monopolio del fiore prezioso, trafugò i bulbi di zafferano e li portò nel natio Abruzzo. La Valle di Navelli, poco distante all’Aquila, produce zafferano di qualità pregiata, superiore, dicono, a quello spagnolo. Sul finire dell’estate si colgono circa 180 milioni di fiori dai cui stimmi essiccati si ricava lo zafferano in misura di 1000 grammi per 120.000 fiori. Il mercato più importante si teneva nella giornata di san Quintino, 31 ottobre, quando, nelle vie dell’Aquila, si insediavano i mercanti in attesa dei contadini che indugiavano fintanto che giudicavano conveniente la quotazione e intascavano i soldi che hanno dato vita al proverbio“a San Quintino anche il povero becca un quattrino”. La droga era tanto preziosa che gli aquilani non ne facevano uso, ma la vendevano tutta: infatti nessun piatto della regione l’annovera tra i suoi ingredienti, eccettuata la «scapece» di Vasto. Nel Medio Evo il costo di cinquecento grammi della preziosa polvere gialla equivaleva più o meno a quello di un cavallo e veniva usato nelle cucine dei nobili perché era considerato uno Status Symbol: Il risotto giallo alla milanese L’invenzione dei risotto, poiché fu proprio un’invenzione, si deve a un garzone di Valerio di Fiandra, maestro che terminò in Duomo la vetrata di Sant’Elena lasciata incompiuta da Rainaldo d’Umbria. Maestro Valerio era tanto abile nell’arte sua quanto in quella di vuotar boccali di buon vino, per cui sembra che il merito maggiore delle sue vetrate, piuttosto che a lui, debba toccare al garzone tanto abile nel dosare lo zafferano nella composizione dei colori da indurre il Maestro ad asse-

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gnargli il soprannome di ‘zafferano’... ‘Un giorno o l’altro, gli ripeteva il maestro convinto di dire un’enormità, finirai per metterlo persino nel risotto’. Ché allora il risotto si faceva bianco. ‘Zafferano’ ci pensava e stava zitto. Ma il giorno degli sponsali della figlia di maestro Valerio, di cui il giovanotto era segretamente innamorato, volle fare un presente alla sposa facendo portare in tavola un bel risotto color d’oro. Passato lo sbalordimento provocato dall’inattesa apparizione, il primo ad esserne entusiasta, da quel sommo esperto del colore che era, fu proprio maestro Valerio. Il risotto giallo era nato da un segno d’amore nel settembre dell’anno 1574 al bettolin di pret, in Camposanto dietro al Duomo in costruzione. Lo zafferano usato da un innamorato deluso per colorare il risotto alla milanese è nato dall’ardente passione di Croco (cui si sono riferiti i botanici per denominare le varietà di piante ornamentali, fra le quali eccelle il Crocus sativus) per la ninfa Smilace quando gli Dei, contrari al loro amore, trasformarono lui nella pianta di zafferano e lei nella pianta omonima.. Lo zafferano doveva essere utilizzato a freddo mescolato con chiara d’uovo o olio dai pittori che dipingevano su tele o su tavole; sarebbe un errore pensare che il garzone usasse per le vetrate del Duomo lo zafferano che sarebbe volatilizzato ad un temperatura altissima di 600°C. Per dare ai vetri il colore giallo si usava il Giallo d’argento che si presenta di colore bruno a freddo, ma dopo la cottura a 600°C si trasforma in un giallo vivissimo utilizzato specialmente in arte sacra per la colorazione delle aureole. La Colata rossa Non è ben chiaro come e dove, nell’Europa barocca, il frutto esotico di una pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie di credenze e dicerie popolari, comparisse sulla tavola di qualche coraggioso (oppure affamato) contadino. Infatti, gli stessi indigeni del Perù, i primi coltivatori del pomodoro, non mangiavano i frutti della pianta, usata invece a solo scopo ornamentale e come tale fu conosciuta dagli Europei. Ma è solo nell’Ottocento che il napoletano Don Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, codificando quello che presumibilmente era diventata nel popolino un’usanza alquanto diffusa, propose di condire la pasta col pomodoro ed illustrò la prima ricet-

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ta del ragù alla napoletana nella sua Cucina Teorico Pratica Al «ragù» Marotta ha dedicato uno dei capitoli più memorabili dell’Oro di Napoli. Preparazione tradizionale, domenicale o comunque festiva, questa salsa che, insieme alla pizza, è all’apice della gastronomia partenopea, esige innanzitutto interminabile cottura tanto da essere definito il ragù del guardaporta: personaggio che può dedicare tanto tempo a curare la cottura senza abbandonare il posto di lavoro in guardiola. «Fin dalle primissime ore del mattino un tenero vapore si congeda dai tegami di terracotta in cui diventa bionda la cipolla ed esala le sue nobili essenze il rametto di basilico appena colto sul davanzale». Così inizia il poemetto in prosa che Don Peppino dedica all’impareggiabile salsa che condirà quello che è a Napoli il vero cuore di qualunque pasto: la pastasciutta nella zuppiera fumante pronta sulla tavola accoglie il ragù, rosso e aromatico, che «pulsa nei maccheroni come il sangue nelle vene». “La scoperta del pomodoro ha rappresentato, nella storia dell’alimentazione, quello che, per lo sviluppo della coscienza sociale, è stata la rivoluzione francese”. Così Luciano De Crescenzo, nel suo inconfondibile stile, celebra la comparsa del pomodoro nella cucina napoletana: “cucina a «luci rosse» per la presenza illuminante di quel meraviglioso prodotto della natura, fatto a forma di lampadina, noto a tutti come il pomodoro sammarzano!” Per un napoletano è quasi impossibile immaginare una cucina priva del colore e del profumo della pummarola Sapidi e sugosi nella loro freschezza i pomodori si adagiano sulla pizza in stupendo accordo con la mozzarella e le acciughe da non più di duecento anni, svecchiando una preparazione remota, che risale ad epoca romana, quando una semplice focaccia accoglieva i condimenti scialbi a vedersi pur nella loro sapida varietà. Osserviamo l’aspetto dopo aver annusato i profumi e prima di gustare i sapori di un cibo derivato dagli alimenti intesi come i colori scelti dal pittore dalla tavolozza per interpretare le sue impressioni su un disegno ideativo. Impressioni visive mediate fra due tendenze di aromi e di gusto a significare la virtù come punto medio fra due effetti, da entrambi equidistante. L’aurea mediocritas, esaltata da Orazio, che permette di evitare sia la povertà indecorosa sia l’opulenza che attira l’invidia in una vita tranquilla priva di grossi guai e di ambiziosi progetti di miglioramento.

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Degustandibus

Pensieri estemporanei su di un cibo sublime ma anche... terra-terra, anzi mare-costa!

di Silvana Delfuoco

la loro vita è esposta a così tanti pericoli che anche negli allevamenti più controllati la percentuale di perdita oscilla sull’80%

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Ostriche Ostriche e...? L’ostrica migliore della mia vita, quella di cui ancora mi ricordo con nostalgia e acquolina (di mare) in bocca, era un’ostrica...”virtuale”, inserita fra i piatti del “Menu creativo” del forse più (giustamente) famoso ristorante del torinese. “Virtuale” va preso proprio nel senso letterale del termine: non era

affatto un’ostrica, ma un’invenzione del geniale chef, che andava messa in bocca ad occhi chiusi: di colpo era l’oceano che si spalancava, con il profumo delle alghe e il frastuono della corrente... Una ragione in più per convincere gli scettici che lo stare a tavola (s’intende, a determinate condizioni) è spesso un’esperienza più culturale che solo gastronomica, che fa appello anche al nostro bagaglio personale di ricordi ed emozioni. Ma se invece vi capitasse nel piatto un’autentica ostrica “triploide”, cioè assolutamente in regola dal punto di vista sanitario, ma sottoposta ad un intervento di “sterilizzazione”, che le permette di non perdere peso durante i mesi estivi ed essere quindi commerciabile tutto l’anno? Magari non a tutti fra voi farebbe piacere mangiarla, e non solo perché lo giudichereste meno “poetico”: infatti i francesi, saggiamente, preferiscono spedirle in America (40% del loro mercato è infatti statunitense)... Oppure, se vi prendesse una disperata voglia di ostriche proprio perché è piena estate, ma vi verrebbe in mente che soddisfarlo potrebbe essere un rischio, in un mese senza “r”? In questo caso, sempre che non si tratti di una “triploide”, per altro perfettamente commestibile, potete stare assolutamente tranquilli: non siamo più ai tempi di Luigi XIV, che ne aveva proibito il consumo durante la bella stagione solo perché all’epoca i trasporti troppo lenti non garantivano la conservazione al freddo, con conseguenti reali pericoli di gravi intossicazioni. A proposito, sapete che anche oggi, pur in condizioni igieniche di solito del tutto rassicuranti, è bene non mangiare le ostriche Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008



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lo stare a tavola è spesso un’esperienza più culturale che solo gastronomica

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già “morte”? Già, perché (forse è bene, ogni tanto, ricordarselo) noi amanti di questo autentico dono divino siamo in realtà dei cinici assassini... L’ostrica quindi rigorosamente“viva”, (e ce ne saremo perfidamente assicurati toccandola, una volta aperta, con la punta della forchetta per vederla ritrarsi) non andrebbe poi nemmeno ingurgitata al volo, ma bisognerebbe gettarne via l’acqua ed aspettare qualche minuto perché ne filtri dell’altra, risultando così molto più gustosa. A nostra parziale discolpa si può però dire che, se non ci fossimo noi avidi divoratori, le ostriche se ne starebbero sì tranquille a filtrare acqua marina, qualcuna anche a fabbricare perle quando il granellino di sabbia entrato per caso non vuole andarsene con le buone, ma sarebbero certo in numero assai minore e forse si sarebbero persino già estinte. Infatti la loro vita, dalla nascita all’età adulta, è esposta a così tanti pericoli che anche negli allevamenti più controllati la percentuale di perdita oscilla sull’80% (e questo ci fa capire perché siano così preziose). Proviamo, per esempio, ad attraversare la

“Route de l’huître” nel golfo del Morbihan della Bretagna del Sud, una delle sette regioni ostricole francesi (le altre sono, nell’ordine, la Normandia, la Bretagna del Nord, la Regione del Centro-ovest, il MarennesOléron, l’Arcachon e la zona Mediterranea). Il golfo del Morbihan è un vero e proprio mare interno, che si riempie e si vuota al ritmo delle maree, provocate dalle correnti che lo attraversano senza sosta. Dalla strada carrozzabile che percorre tutta la penisola fino alla punta di Arzon, passando per luoghi mitici come St Armel o Penerf, si osserva un paesaggio instabile, che sembra cambiare sotto i nostri occhi quasi ad un segnale convenuto: dove fino a qualche ora prima c’erano barche capovolte al sole e bambini che giocavano sulla spiaggia, ora c’è il mare che arriva fin sotto al possente muro di protezione. Ma tutto si è mosso obbedendo ad un ritmo naturalmente accettato, dagli uomini e dalla natura, che sembrano semplicemente aver momentaneamente cambiato di posto per un patto reciproco. È qui che è cominciata, a metà del XIX secolo, la coltivazione delle mitiche plates, le uniche, autentiche ostriche francesi, poi soppiantate dalle creuses, prima portoghesi ed ora giapponesi di origine, a causa delle epidemie che delle delicate ostriche tonde dalla spessa conchiglia facevano stragi continue. Anche oggi, benché le plates stiano fortunatamente ricomparendo, sono le creuses a fare la parte del leone negli allevamenti: grazie a correnti marine meno forti di quelle della costa normanna, si sono irrobustite e hanno sviluppato un apprezzatissimo aroma iodato unito ad un particolare retrogusto di nocciola. Da qualche anno, i responsabili dei principali siti di produzione del Golfo si sono associati per organizzare una serie di attività per far conoscere meglio ai turisti il loro lavoro; sono nate così varie iniziative, dalle visite guidate agli allevamenti, ovviamente con assaggio sul campo, ai Bar à huitres, con possibilità di degustazione a tutte le ore, fino ai Restaurants gastronomiques associés, dove le ostriche sono ovviamente il piatto forte, cucinate in ogni modo, dai più tradizionali ai più fantasiosi. A proposito, e l’abbinamento col vino giusto? Ostriche e champagne, direbbe il gourmet di turno, senza star troppo a approfondire. E invece, no: qui con le ostriche si beve Muscadet sur lie. Vogliamo provare a chiederci il perché? Credo non sia difficile trovare la spiegazione semplicemente facendo la prova... Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008



Girovagando

Nell’unica regione francese senza vitigni è il sidro la bevanda tradizionale, prodotto in tante versioni per accompagnare il menu dall’antipasto al dolce e da bere durante la giornata. di Enza Bettelli

Bere bene in Bretagna Bretagna “

Il sidro può essere fermo o frizzante, secco o dolce

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La Bretagna è famosa per la bellezza dei suoi paesaggi, in particolare lungo le coste che possono essere impervie scogliere o immense distese di sabbia lasciate scoperte dalla marea. Dal mare provengono anche i prodotti che caratterizzano la gastronomia bretone: pesci e soprattutto i molluschi che vengono pescati o allevati, come le eccellenti ostriche e cozze, serviti crudi o appena scottati e portati in tavola in un sontuoso plateau assieme ai crostacei. Gli altri piatti tipici hanno il gusto intenso degli agnelli prè salé, che

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Nell’unica regione francese senza vitigni è il sidro la bevanda tradizionale

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pascolano vicino al mare, e delle gallette di grano saraceno che si preparano ovunque e a tutte le ore, come le crêpes di farina bianca e quasi sempre dolci. Lungo le coste si raccolgono le alghe, da sempre note per le loro benefiche proprietà curative ed estetiche e oggi utilizzate anche come ingredienti di specialità da portare in tavola. Una gastronomia non celebrata come quella di altre regioni della Francia, ma con una sua connotazione che viene esaltata dall’abbinamento con il sidro, l’antica bevanda di probabile origine celtica prodotta con quello che invece cresce bene e in abbondanza nel clima di quassù, le

mele. Non mele qualunque, ma di varietà la cui polpa è adatta alla fermentazione e di diverse cultivar i cui frutti vengono mescolati per ottenere sidro con gusto e aroma diversificati e differenti gradazioni di alcool. Le mele da sidro vengono raccolte in autunno quando sono ben mature e hanno polpa aromatica, leggermente acidula, tannica e ricca di zuccheri che viene grattugiata o tagliata a pezzetti minuti, quindi pressata senza i semi. Il mosto ottenuto viene lasciato fermentare poi filtrato, a volte addizionato con poca anidride carbonica e imbottigliato nelle bottiglie scure con il tipico tappo con la gabbietta. Il sidro può essere fermo o frizzante, secco o dolce. Quello secco si sposa bene con le carni bianche e i prodotti del mare o con i formaggi anche stagionati, se è lavorato secondo la vera ricetta tradizionale, mentre quello più dolce con i dessert, tutti abbinamenti che funzionano bene sia a tavola sia in cucina. Derivati del sidro e anch’essi a denominazione controllata nelle rispettive regioni sono il Calvados, ottenuto dalla distillazione del sidro, e il Pommeau de Bretagne che è una miscela di mosto e acquavite di sidro. Aromatico e versatile Il sidro bretone è prevalentemente artigianale, anche se ormai le macchine aiutano a sveltire la lavorazione, e quello di Cornovaglia ha ottenuto la prima denominazione AOC. Le zone di produzione comprendono più dipartimenti e le caratteristiche del sidro variano a seconda della loro dislocazione assimilando quelle delle mele che vi vengono coltivate. In generale il sidro bretone ha un aroma rusticamente ricco e corposo, ma allo stesso tempo fruttato e fiorito con sentori di spezie; il colore va dal giallo paglierino all’ambrato e il liquido si presenta a volte con bollicine e una sottile schiuma cremosa. La gradazione è di 5-6 gradi circa. Il sidro va servito fresco pur se non freddissimo, circa 10-12 gradi, negli appositi bicchieri o nelle tradizionali tazze o comunque in un bicchiere abbastanza ampio. È una bevanda versatile adatta a tutte le ore: come aperitivo, durante i pasti e come bibita dissetante.

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di Piera Genta

Trascorso il tempo delle Anteprime, ormai sappiamo tutto sull’annata, sui vini presentati e sulle stelle che sono state assegnate. Trascorso anche il tempo delle polemiche, noi de Il Sommelier che usciamo con la nostra rivista dopo la grande abbuffata di commenti, abbiamo scelto di incontrare i Presidenti dei Consorzi dei tre vini.

Fotografie di Bruno Bruchi

I Presidenti del

Sangiovese Sangiovese Iniziamo dal Consorzio del Vino Chianti Classico che apre la presentazione del Sangiovese declinato nei suoi tre prodotti di eccellenza: Chianti classico, Vino nobile di Montepulciano e Brunello di Montalcino.

Adesso che il vino è diventato una moda le garanzie di acquistare un prodotto originale sono alla base della fiducia del consumatore

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Marco Pallanti, enologo del Castello di Ama, fiorentino, professore universitario ed amante dell’arte, dal 2006 è presidente del Consorzio Vino Chianti Classico, il dodicesimo dalla Fondazione nel 1924. A partire da questa edizione 2008, l’Anteprima si chiamerà Chianti Collection, banalmente penso ad una collezione d’arte perché Lei ama l’arte, invece... Il termine «collection» ha molti significati. Innanzitutto questo è un appuntamento in cui si trovano riuniti quasi tutti i produttori del nostro territorio. Poi il lunghissimo tavolo pieno di bottiglie, abbigliate in modo diverso e disciplinatamente in fila, assomiglia ad una sfilata di «Haute Couture» che proprio a Firenze, agli inizi degli anni ’60, ha dato origine al made in Italy nel mondo. Inoltre nel nostro territorio si respira una nuova consapevolezza che occorre imporsi sul mercato non esclusivamente in prima persona bensì in gruppo.

Nella scorsa edizione dell’Anteprima si era parlato molto di paesaggio e viticoltura, ad un anno di distanza cosa si sta facendo? Per quanto concerne il Consorzio stiamo continuando a sostenere attraverso la Fondazione per la tutela del Territorio del Chianti Classico il progetto del completamento dei restauri del grande complesso conventuale settecentesco di Santa Maria al Prato a Radda in Chianti... È un lavoro iniziato oramai da diversi anni che grazie all’efficacie contributo di tutto il Consiglio della Fondazione presieduta da Lapo Mazzei sta prendendo un assetto definitivo e dovrebbe essere ultimato nell’anno per poi divenire Centro multifunzionale da Museo di Arte Sacra a Enoteca Consortile oltre a centro Convegni sul e per il Territorio. Per quanto riguarda invece le iniziative dei singoli c’è un enorme interesse per sviluppare fonti di energia alternativa come le biomasse. Ci sono numerosi progetti che dovrebbero essere iniziati a breve ed inoltre c’è un mantenimento e cura del paesaggio attraverso il reimpianto dei vigneti. I nostri associati hanno capito perfettamente che non si deve rifare un vigneto soltanto per produrre vino di qualità ma il vigneto deve essere anche bello perché ogni bottiglia contiene un pezzetto di Chianti. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


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c’è un enorme interesse per sviluppare fonti di energia alternativa come le biomasse

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il 2007 è stato un anno di record sia per il Rosso di Montepulciano che per il Nobile

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Nell’ambito della «Chianti Classico Collection» si è svolto un focus sul mercato inglese, perché iniziare proprio dal Regno Unito? Prima di tutto per l’importanza commerciale che questo paese riveste e per l’influenza che ha su tutti i paesi di lingua inglese. Non dimentichiamo che sono stati loro i primi a scoprire il Chianti Classico sia come vino che come territorio. Ed infine perché lo scorso anno era stata condotta una importante indagine in diverse enoteche e winebar su come gli inglesi percepivano l’immagine del Chianti Classico, per cui ci è sembrato doveroso partire proprio da loro. «Cerca la bottiglia» la nuova tracciabilità del Chianti classico: quanto è importante per il consumatore e per il Consorzio? Sapere cosa si beve e/o si mangia sta diventando sempre più importante. Io credo che più informazioni diamo al consumatore e più sarà libero di scegliere. Inoltre così facendo si riducono, quasi fino ad annullarli, i rischi di una contraffazione. Ci sono molti paesi dove per consuetudine si producono falsi e noi abbiamo voluto fornire questo servizio proprio per non correre simile rischio. Adesso che il vino è diventato una moda le garanzie di acquistare un prodotto originale sono alla base della fiducia del consumatore. Quale è il futuro del Chianti Classico ? Diventare sempre più buoni (in senso di qualità di vino prodotto) più belli (nel senso del paesaggio cioè del luogo dove questo vino nasce) e restare sempre autentici. Quale vino sceglierebbe al di fuori del Chianti? Amo i vini di Borgogna per la loro fantastica miscela di eleganza, struttura e quindi longevità e facilità di beva. Poi perché vedo il nostro territorio molto vicino a questa terra di Oltralpe ed il Sangiovese simile al Pinot Nero. Se dovesse mettersi in gioco come enologo, dove vorrebbe andare a lavorare? Non so. Sono cosciente di essere molto fortunato perché mi trovo ad operare, enologicamente parlando, in uno dei più bei posti del mondo... Avere i vigneti tra Siena e Firenze cioè nella culla del Rinascimento, dove sono nati il bello e l’armonia, e produrre uno dei vini più famosi del mondo per un enologo è una sfida già sufficientemente ampia e difficile. Credo proprio che mi possa bastare.

Luca Gattavecchi, alla sua prima «Anteprima» nel ruolo di presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano. Che cosa è per lei lo stile del vino Nobile di Montepulciano? Parlando di stile del Nobile di Montepulciano abbiamo molto da dire. Innanzi tutto il prugnolo gentile ci distingue dagli altri sangiovese e poi l’interpretazione di questo vitigno abbinato ad altri ci consente di ottenere delle strutture importanti, armoniche ed eleganti. A Montepulciano abbiamo un occhio al mercato, ma ci teniamo a portare avanti il nostro Sangiovese. Circa 20 anni fa avevamo iniziato una selezione clonale che ci ha portato all’omologazione di tre cloni di prugnolo gentile, Bravio, Bruscello e Grifo. E questo è la testimonianza di come noi abbiamo creduto nel Sangiovese. Il Nobile di Montepulciano è anche stile di vita? Abbiamo un patrimonio artistico e culturale molto significativo e delle tradizioni che non sono soltanto legate al vino, ma a quello che sono le eccellenze del territorio, una produzione di qualità come la carne Chianina; il pecorino della Val d’Orcia, perché no, il tabacco utilizzato per la produzione dei famosi ‘Toscani’. Per un momento piacevole dopo cena, uno stile di vita apprezzato da molti.

Presidente Luca Gattavecchi Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


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Come vede il futuro del Vino Nobile di Montepulciano? Sono molto ottimista perché noto una inversione di tendenza, stiamo tornando alla riscoperta di valori più intimi. Negli anni passati abbiamo sofferto delle logiche di mercato che non potevano essere applicate al nostro territorio ed abbiamo continuato a produrre secondo quelli che erano i nostri principi. Il mercato oggi lo riconosce, le nostre vendite stanno ottenendo buoni risultati, il 2007 è stato un anno di record sia per il Rosso di Montepulciano che per il Nobile. Il vino di qualità non si fabbrica, bisogna rispettare l’identità del territorio e questo porta a Montepulciano un grande valore aggiunto. Quale vino sceglie al ristorante? Nei vini cerco quelle componenti che i francesi chiamano “terroir” che fanno dell’uomo, del suolo e dell’ ambiente i protagonisti indiscussi. Sicuramente un grande Barolo od un grande vino della Borgogna. I giovani scelgono il Nobile? In Toscana sta crescendo il consumo non solo di Rosso di Montepulciano ma anche di Nobile. Lo notiamo dalla aumentata presenza del vino Nobile nelle carte dei vini dei ristoranti. I giovani poi sono anche attenti al prezzo, quindi ecco che la scelta cade sul Rosso di Montepulciano che consente di abbinarlo ad un piatto meno importante, come i nostri antipasti.

Parliamo del Vin Santo di Montepulciano È un prodotto secolare che spesso non viene citato ma che il nostro Consorzio intende valorizzare proprio perché molte aziende di Montepulciano continuano a produrlo con ottimi risultati. Il Vin Santo di Montepulciano è il più premiato a livello nazionale. È un vino di grande fascino che richiede sforzi, energie ed anche la riscoperta di valori umani e culturali legati alla tradizione. Un vin santo non è grande perché abbiamo avuto una grande vendemmia o perché è bravo l’enologo; il vin santo acquista le sue caratteristiche di unicità nel corso degli anni, si affina nei caratelli con risultati diversi da caratello a caratello e l’enologo si rende conto di non aver mai il controllo assoluto. Il nostro Consorzio ha partecipato alla stesura del primo disciplinare nel 1996, adesso lo stiamo modificando per adeguarci alla assoluta eccellenza di certi prodotti i cui valori non rientravano nel disciplinare per quanto erano qualitativamente esuberanti. Questo prodotto ne influenzerà il consumo, perché gli abbinamenti del vin santo non sono i classici dolci secchi bensì i crostini di fegato, classici toscani, i pecorini stagionati. Stiamo addirittura pensando di brevettare dei bicchieri all’interno dei quali non entra il cantuccio! Il Consorzio sta sostenendo dei progetti legati al paesaggio? Stiamo operando a fianco dell’Amministrazione Comunale per la stesura del piano strutturale che regolerà il futuro dell’edilizia.

Vignerons en Vallée d’Aoste CEH=;N IZa# %&+*#-%%((& lll#XVkZYjk^cWaVcX#Xdb 7HL?;H IZa# %&+*#..'(lll#XdZc[Zg#^i 9>7C87L; IZa# %&+*#)++,% lll#aVXgdiiV#^i

Avere i vigneti tra Siena e Firenze cioè nella culla del Rinascimento è una sfida già sufficientemente ampia e difficile

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Girovagando

Abbiamo un patrimonio artistico e culturale molto significativo e delle tradizioni che non sono soltanto legate al vino

In passato abbiamo sostenuto il restauro del Pozzo dei Grifi e dei Leoni (1520), oggi abbiamo un altro grande progetto, già iniziato dal precedente presidente Massimo Romeo, per restaurare la Fortezza Medicea, nucleo originario della città che verrà adibita a Centro espositivo internazionale. Tutto questo può non sembrare una novità, ma è importante per far crescere la coscienza dei produttori verso il patrimonio culturale del proprio territorio e sviluppare sinergie tra pubblico e privato. A quando Montepulciano e le sue cantine di origine etrusca patrimonio dell’Umanità? La raccolgo come proposta interessante da sviluppare Il Conte Francesco Marone Cinzano, proprietario della Tenuta Col d’Orcia di Montalcino, è da qualche mese il presidente Consorzio del Vino Brunello di Montalcino.

Presidente Marone Cinzano Che cosa significa per lei lo stile Brunello? Lo stile Brunello è il rispetto della tradizione, è valorizzare la strada che ci è stata indicata da chi ci ha preceduto nei 40 anni di storia del Consorzio e che ci ha portato al successo. Siamo qua oggi perché sono state poste delle regole che danno al Brunello una riconoscibilità che, a mio parere, è la formula del successo anche per gli anni a venire. Il Consorzio del Brunello è storicamente un consorzio atipico, perché ha il 100 per cento dei produttori iscritti ed è innovatore perché pagina 24

ha ideato l’anteprima venti anni fa. Nella sua atipicità ha voluto scegliere un imprenditore con nessuna esperienza di politica e poca esperienza d’Italia perché sono stato residente all’estero per più di 30 anni e spero di apportare questa mia esperienza imprenditoriale più che politica. Un elemento di novità Avete progetti di salvaguardia del territorio? Montalcino ha avuto la fortuna di svilupparsi quando certe tutele del territorio si erano già affermate per cui non abbiamo delle costruzioni selvagge tipiche degli anni Settanta. Un’altra caratteristica importante di Montalcino è che il 50% territorio è ancora bosco, macchia mediterranea o pascolo boschivo perciò un ambiente naturale, equilibrato che contribuisce alla complessità del vino. Una delle sue attività imprenditoriali è in Sud America, ha pensato di portare il Sangiovese in Cile? Pensato si, l’ho considerato e l’ho scartato. perché il Sangiovese è un vitigno che ha bisogno di un certo tipo di terreno. In Cile il terreno dove ho impiantato la vigna è principalmente vulcanico con una componente acida e quindi non adatto nè al Sangiovese e neppure al Nebbiolo. Quello che ho portato da Montalcino dall’Italia è un modo di gestire la vigna, un rigore nella parte agricola e di produzione. E questo stile è presente nel vino e si percepisce. Barrique o botte grande ? Libertà ai produttori, il disciplinare è stato variato per permettere ai produttori di scegliere all’interno di regole piuttosto severe. Io utilizzo la botte grande. Se non dovesse bere Brunello? Quando ero bambino in casa si beveva il Gattinara. Perché la scelta del Centro Stile Fiat per la formella? Un po’ per contatti personali e poi ho voluto associare il Brunello alla Fiat, un territorio di successo ad un lungo percorso industriale. Abbiamo quindi questo accostamento della nuova 500, il rosso di Montalcino due utilitarie di lusso. Il Brunello è una gran turismo, ma abbiamo il rosso di Montalcino con caratteristiche di base simili con un target molto più ampio di consumatori. Ho pensato che accostare questi due prodotti, giovani, fosse positivo. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


a cura della redazione di

isti daVicino

V Azienda Agricola Sergio Gozzelino Costigliole d’Asti La storia della cantina è legata alla storia della famiglia che ha iniziato a coltivare i vigneti dei marchesi Asinari dal 1886. I primi vigneti di proprietà risalgono al 1914 ed oggi l’azienda possiede 25 ettari coltivati con la saggezza tradizionale che è tipica del luogo. «Per noi la qualità è una scelta necessaria nel vigneto, grazie alla favorevole posizione del Bricco da Lu, uno dei più vocati nelle terre d’Asti con il suo microclima ed in cantina», dice Lorenzo Gozzellino che continua a lavorare con immutata

passione per raggiungere nuovi traguardi. Tutte le lavorazioni, dal vigneto alla moderna cantina, sono controllate dalla famiglia. La sala degustazione è un museo contadino in miniatura per valorizzare la vita in campagna ed il patrimonio culturale. Il Moscato d’Asti docg «Bric da Lu» è il prodotto più pregiato dell’azienda grazie ai riconoscimenti ottenuti anche in campo internazionale. L’Azienda fa parte dell’Associazione Produttori Moscato d’Asti.

Azienda Agricola Vincenzo Bossotti Cisterna d’Asti Otto ettari nei comuni di Canale d’Alba e Cisterna d’Asti, 30.000 bottiglie con delle etichette che non passano inosservate frutto della precedente attività di Vincenzo, il fotolitografo. Si tratta di un piccolo produttore con una gran voglia di trasferire l’amore per la sua terra ed il suo lavoro nei prodotti. Il vigneto Terre di Chiesa nel comune di Cisterna d’Asti coltivato a Croatina

produce un interessante Cisterna d’Asti doc. Da non dimenticare l’Arneis del vigneto Castelvei; lo Chardonnay del vigneto Camilin, il Barbera superiore del vigneto San Rumé e il Nebbiolo proveniente dalle vigne Belriguardo di Canale d’Alba. Numerose partecipazioni alla Douja d’Or con altrettante menzioni, ma da piemontesi doc lo sguardo è rivolto alla vigna ed al vino.

Azienda Agricola Pescaja Cisterna d’Asti Ci vuole proprio sole, cuore ed anima per un buon vino e Guido Pescaja di cuore ed anima ne ha messa molta, dagli anni 90 quando ha acquistato i primi vigneti a Cisterna d’Asti ad oggi che i suoi prodotti si trovano nelle carte dei vini dei più rinomati ristoranti. In un primo tempo, la Pescaja ha prodotto solo vini bianchi basati sul vitigno Arneis che nel Roero ha trovato un habitat particolarmente feli-

ce, poi con l’acquisizione dei terreni «Opera pia» nel territorio di Nizza Monferrato nasce la linea dei vini rossi. Grande attenzione per l’ambiente, moderna tecnologia in cantina, una barricaia interrata sotto la collina, 100.000 bottiglie prodotte tra Arneis Roero docg, Monferrato bianco doc, Monferrato rosso doc, Nebbiolo, Barbera d’Asti doc e Barbera d’Asti superiore Nizza doc.

Sole

Cuore

Anima

Azienda Agricola Pescaja - Cisterna d'Asti Tel.+39.0141.97.97.11 fax +39.0141.97.92.17 info@pescaja.com - www.pescaja.com

Sole

Cuore

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Il Consorzio del Brunello è storicamente un consorzio atipico

La collaborazione tra Brunello e Fiat è stata sancita dalla realizzazione della tradizionale formella celebrativa dell’annata, firmata dal Centro Stile Fiat su una idea del designer Roberto Giolito che abbiamo raggiunto nel suo ufficio di Torino. Quanto è stato difficile disegnare uno strumento di comunicazione in grado di coniugare il concetto di Italian style di una vettura, come la 500, ed un vino importante come il Brunello di Montalcino? La ringrazio per offrirmi la possibilità di esporre un mio commento sull’opera, che vedo come la rappresentazione dell’itinerario ideale per giungere ad una meta così accogliente e ospitale come la zona del Brunello di Montalcino in Toscana. è proprio la strada che si snoda sulle colline ad essere il miglior tracciato di guida per la 500, (che tutti vedono come city-car, ma di fatto è una macchina godibile proprio nel misto, con la sua maneggevolezza e tenuta di strada..), ed allora ho voluto rappresentare la piccola vettura in avvicinamento alla meta prefissata, dove una bottiglia del prezioso vino è addirittura “conficcata” nel terpagina 26

reno, quasi ad esprimere la sua profonda relazione con la natura e l’ambiente in sé. La topografia della zona è però sagomata a forma di cuore, e quest’ultimo è sprofondato in un drappeggio, che enfatizza le ragioni per le quali quella zona della Toscana è considerata veramente il “baricentro” dell’Italia, per aspetti culturali, di costume e rispetto per la natura. Il suo vino preferito? Per ragioni che non le saprei spiegare, (forse perché una volta, un omeopata, vedendomi, mi classificò come appartenente alla specie “canavesana”), ho una passione per l’Erbaluce, che abbino volentieri a molte pietanze; ma sui vini potrei solo contribuire nello screditare la sua autorevole pubblicazione, quindi mi fermo qui. Io e Brunello. Come portai Montalcino nel mondo È il titolo del libro autobiografico che il cav. Ezio Rivella, enologo piemontese di fama mondiale, ha voluto dedicare al suo sogno ed alla realizzazione di una azienda vinicola pensata, progettata e realizzata per essere un modello vincente. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


Girovagando

Delizia, anzi, delicija, in lingua croata, ed è un programma che dura ormai da alcuni anni e che in marzo ha trovato un suo culmine a Zagabria, all’interno della bellissima struttura dell’Hotel Mimara nonché nell’Hotel Westin. di Gudrun Dalla Via

Zagreb Zagreb Gourmet Gourmet Wine festival:

fotografie da sito 1001delicija.com

di delizia in delizia

1001 delicija è un marchio che promuove la cultura del cibo e del vino – i sapori tradizionali della Croazia ma anche del bacino mediterraneo al quale sente forte l’appartenenza. Dal 2005 Delicija è un annuale festival a Spalato (ne abbiamo parlato anche in passato su IL SOMMELIER), ormai l’evento gastronomico più importante della Croazia; altri eventi a Dubrovnik e Zagabria; presenza anche al Salone del Gusto a Torino; e recentemente a Zagabria, il Gourmet Wine Festival, il 7 e 8 marzo 2008.

Donne del Vino nel mondo

È in costante aumento il numero di paesi nei quali si costituiscono delle associazioni di “Donne del Vino”. In ogni nazione, le realtà sono un po’ diverse: può prevalere il numero di pro-

duttrici, oppure di comunicatrici del vino; possono esserci altre figure professionali legate al mondo del vino, e in alcuni paesi anche donne semplicemente appassionate all’argomento. IAWIW, International Associated Women in Wine è stata fondata nel 2002 da sei associazioni nazionali

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Grande afflusso di pubblico, croato e anche estero – un totale di 2.500 visitatori

(Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Spagna, Svizzera) e attualmente conta nove stati membri e 12 associazioni iscritte. Altre sono in attesa di potervi entrare; infatti occorrono due anni di vita associativa dopo la fondazione nazionale, prima di poter aderire alla IAWIW. pagina 27


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Dal 2005 Delicija è un annuale festival a Spalato ormai l’evento gastronomico più importante della Croazia

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Il festival racchiudeva diverse realtà in contemporanea: - La presenza di un notevole numero di produttori di vino, croati e esteri, con un totale di oltre 300 vini diversi e con banchi di degustazione molto ben frequentati - Produttori di specialità gastronomiche

Donne del Vino nel mondo Austria Brasile France

Die Weinschwestern Amigas do Vinho L’Ordre des Dames des Arts du Vin et de la Table Les Aliénor du vin de Bordeaux Femmes Vignes Rhône Germania Vinissima Frauen und Wein e.V. Grecia The Greek Women of Wine Ungheria First Hungarian Association of Women in Wine Tokaj Women and Wine association Italia Le Donne del Vino Spagna Asociación de Mujeres Amigas del Vino Svizzera Les Artisanes de la Vigne et du Vin Scopo di IAWIW (www.iawiw.com) è promuovere il consumo intelligente del vino e sviluppare l’aspetto culturale del mondo del vino attraverso • scambi di informazioni ed esperienze tra i membri • sostegno alle donne attive nel mondo del vino • attività formative per professionisti e consumatori Le sue attività si esprimono attraverso

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croate, dai salumi ai formaggi tipici, dai fiori canditi ai distillati, dalle salse, i mieli speciali, i dolci e dolcetti più ghiotti - Un totale di 8 degustazioni di vino guidate da Zelko Brocilovic Carlos e altri massimi esperti internazionali - Teatro del gusto, con 11 chef croati, italiani e francesi, i quali preparavano davanti agli occhi di un folto pubblico le loro crea-

un business network, partecipazioni congiunte a fiere e mostre, scambi tra i membri di elenchi di esportatori e distributori di vino. Inoltre vengono organizzate delle degustazioni per i clienti e si scambiano i programmi di educational e gli indirizzi di enoteche che li organizzano. Attualmente è alla guida di IAWIW Coraline de Wurstemberger, appassionata produttrice di vino nel Vallese – porta avanti l’azienda vitivinicola che è nella sua famiglia da tre secoli e mezzo – e appassionata della federazione, della ricchezza che il suo network porta a tutte le donne che ne fanno parte. Accademici del Vino e Master of Wine Si, titoli accademici perché lo studio è lungo e impegnativo e culmina con una tesi. Può colpire il fatto che il “Master of Wine” abbia avuto origine in Inghilterra, paese certamente non noto per i suoi vigneti... Tuttavia, la Borsa di Londra era e rimane tuttora un importante fulcro commerciale, il quale richiede una qualificazione professionale a garanzia della clientela. Le lontane origini risalgono alle Trade Guilds medievali; nel 1953 si tenne la prima sessione di esami per Master of Wine, consistente in 5 documenti scrit-

ti sulla teoria: coltivazione del vitigno, produzione del vino, trattamento del vino, procedure in cantina, procedure legali e commerciali, pratiche doganali, storia del commercio del vino; inoltre tre esami con assaggi “a cieco” di vini vari. Oggi il programma di preparazione comprende anche seminari, lezioni, workshop, degustazioni e culmina sempre con esame teorico e pratico nonché tesi. Per arrivare al titolo di accademico del vino, ultimo gradino prima di potersi candidare per il percorso formativo al Master of Wine, occorrono 4 fasi: un seminario di base, due seminari avanzati e infine “diploma in wines and spirits”. (Chi ha superato esami nazionali, come per esempio di sommelier, può presentarsi direttamente per il diploma in wines and spirits per accedere al percorso formativo di accademico del vino). Negli ultimi 10 anni, 85 candidati hanno superato l’esame e sono diventati Master of Wine. Attualmente ve ne sono 264 al mondo, di 18 nazionalità. I corsi biennali, geograficamente più vicini a noi si svolgono in Austria, Svizzera, Alto Adige. Alcuni esami finali vanno dati a Londra, San Francisco o Sydney; chi non è di madrelingua inglese può consegnare la tesi nella propria lingua.

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zioni più recenti o più famose, spiegando in dettaglio le ragioni della scelta per determinate materie prime o tecniche di preparazione; visibile anche su grande schermo per chi non riusciva ad avvicinarsi ai fornelli - 6 Workshop su tematiche legate al vino, alla cultura del vino e al mercato Grande afflusso di pubblico, croato e anche estero – un totale di 2.500 visitatori - a tutte le manifestazioni all’interno del Gourmet Wine Festival, e comprensibile grande soddisfazione dei 90 espositori di cui 18 italiani, produttori di vino. Soddisfatti anche gli sponsor e patrocinanti, da Gloria, una catena commerciale che è anche un importante editore croato, al Ministero dell’Agricoltura, alla municipalità di Zagabria. Significativa la presenza di alcune personalità del mondo del vino, come per esempio Helmuth Köcher, Direttore del Merano Wine Festival, il quale ha voluto rivelare, durante un workshop, i segreti di uno dei più apprezzati eventi del settore; di Coraline de Wurstemberger, presidente dell’International Associated Women in Wine, e di Josef Schuller, Wine Master e direttore della Weinakademie Oesterreich. (www.1001delicija.com - laniva@1001delicija.com) Weinakademie, Accademia del Vino nel Burgenland, Austria Una piattaforma internazionale, un punto di riferimento per le scuole europee che si occupano di vino, porta anche il nome di European Center of Wine Excellence. Dal 2002 vi si può conseguire il diploma in wines and spirits, e da molti anni Weinakademie (www.weinakademie.at) prepara e diffonde le linee guida per i wine educators, cioè persone abilitate ad insegnare. Da 12 anni, con l’annuale Congresso di Wine Educators, l’accademia del vino offre un evento formativo per gli insegnanti.

Coraline de Wurstemberger, presidente di IAWI e Josef Schuller, direttore di Weinakademia Austria

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Sotto le spettacolari Torri di San Gimignano, la Vernaccia continua a confrontarsi con i vini bianchi dal mondo; quest’anno due importanti e blasonati vini francesi: il Sancerre e il Pouilly-fumé di Cinzia Tosetti

La Vernaccia Vernaccia di San San Gimignano Gimignano “offre punti di riflessione” Continua l’incessante e costruttivo lavoro del Consorzio della Denominazione San Gimignano che in questi ultimi anni si è attivato per una forte crescita dell’immagine e della comunicazione della Vernaccia di San Gimignano, uno dei nostri grandi vini bianchi

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italiani a DOCG. E, come ogni anno, il confronto con grandi vini bianchi d’Oltralpe: quest’anno sul palco con la Vernaccia il Sancerre e il Pouilly-fumé. L’obiettivo, come sottolineato dal Consorzio stesso è quello di “offrire punti di riflessione sul variegato

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mondo del vino bianco”, mettendo a confronto le proposte qualitative di entrambi i prodotti. Tre anni fa, sul tavolo del raffronto con la Vernaccia abbiamo trovato lo Chablis, il blasonato vino bianco francese, vinificato con uve Chardonnay che, seppur valutato tra i migliori vini bianchi al mondo, non ha messo affatto in difetto le nostre selezionate Vernacce di San Gimignano. L’anno successivo si è puntato sugli autoctoni: al pari della Vernaccia si è cercato un raffronto con lo Chasselas, un vitigno molto conosciuto e diffuso in Francia, -in Borgogna esiste l’omonimo paese-, Svizzera, e in generale un po’ ovunque nel mondo, l’Albariño un vino spagnolo considerato tra i migliori al mondo e il Thalassitis proveniente dall’isola greca di Santorini. La comparazione della Vernaccia di San Gimignano con il Sancerre e il Pouilly-fumé Quest’anno si sono mossi 7 vignerons della Loira che hanno portato in degustazione vini Sancerre e Pouilly Fumé prodotti da uve Sauvignon. Il 18 febbraio 2008 nella splendida Sala di Dante del Museo Civico di San Gimignano, divenuta famosa per il discorso

tenuto dallo stesso Dante nel 1300 volto ad incitare il sangue dei guelfi, attorniati dagli splendidi affreschi come la “Madonna in trono” chiamata Maestà del Memmi e le scene di caccia dipinte da Azzo da Siena in onore a Carlo II d’Angiò, in ossequioso silenzio si è proceduto all’attenta e inconsueta comparazione tra i vini francesi e la Vernaccia di San Gimignano. Attenta perchè gli invitati erano fini degustatori, curatori di guide e professionisti della comunicazione enologica, inconsueta in quanto paragonare vini provvenienti da uve aromatiche come il sauvignon, avrebbe potuto rendere difficile il confronto con la Vernaccia, un vino di corpo e di struttura, sicuramente non aromatico. Nell’ordine si sono degustati, nella prima batteria di assaggio, i seguenti vini: “Hydra” 2006 Az. Il Palagione, “I Macchioni” 2006 Az. Casa alle Vacche, “Cusona 33” 2006 di Guicciardini Strozzi, con il Sancerre “Generation XIX” 2006 di Alphonse Mellot, il Sancerre “Nuance” 2006 di Vincent Pinard e il Pouilly-fumé“La Moynerie” 2006 di Michel Redde. Nella seconda batteria: “Vigna Santa Margherita” 2006 di Giovanni Panizzi, “La Lastra” Ris. 2005 di La Lastra, “Vigna Casa

la Vernaccia continua a confrontarsi con i vini bianchi dal mondo

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anche quest’anno il confronto non ha lasciato dubbi: il nostro vino ha raggiunto elevati livelli qualitativi

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Nuova” 2004 di Fontaleoni raffrontati con il Pouilly-fumé “Cuvée Mojorum” 2005 di Michel Redde, il “Pur Sang” 2005 di Didier Dagueneau e il Sancerre “Jadis” 2005 di Henri Bourgeois. E per finire “Evoè” 2006 di Giovanni Panizzi e il “Silex” di Didier Dagueneau. Per tornare all’obiettivo che si è posto il Consorzio della Vernaccia, ovvero trovare dei punti di riflessione sul mondo dei vini bianchi, si potrebbe incominciare dicendo che, al pari della posizione sostenuta per le degustazioni degli anni passati, la Vernaccia di San Gimignano, dal punto di vista qualitativo, non ha nulla da invidiare ad altri vini bianchi prodotti in altre regioni del mondo. I giudizi sui vini degustati in queste batterie proposte non evidenziano lontane differenze qualitative, anzi sottolineano come la Vernaccia sta trovando sempre più una sua identità, una strada da perseguire con costanza e determinazione.

La Vernaccia di San Gimignano, icona di una produzione di qualità La personalità di questo prodotto, la sua freschezza, la sua nota caratteriale che si riconosce più in bocca che al naso, il suo corpo e la sua struttura che ha dimostrato di reggere il decorso degli anni, apportano a questo vino caratteristiche uniche e singolari che lo rendono riconoscibile nella proposta nazionale, e fors’anche internazionale, dei vini bianchi. Se quindi vogliamo trovare punti di riflessione, non dobbiamo più ricercarli nel confronto qualitativo, che anche quest’anno non evidenzia lontani parametri, ma nella identità e immagine della stessa Vernaccia. Le sue uve sono prodotte solo su 815 ettari vitati all’interno di un comune, quello di San Gimignano che non ha bisogno di presentazioni, un paese conosciuto in tutto il mondo per la sua storia, la sua architettura, il suo piccolo borgo e le sue spettacolari torri. E il suo vino non può essere altro che unico al mondo e non ripro-

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ducibile. Questa è la sua specificità, sulla quale il Consorzio deve lavorare. È chiaro che non si può e non si deve prescindere dalla qualità, che deve sempre essere elevata e continuativa, ma non si può nemmeno prescindere da un territorio che è l’identità del vino stesso. Le parole del Presidente del Consorzio della Denominazione San Gimignano: Giovanni Panizzi. Terzo incontro e terzo successo per la Vernaccia di San Gimignano. “Si anche quest’anno il confronto non ha lasciato dubbi: il nostro vino ha raggiunto elevati livelli qualitativi, tutti i produttori stanno lavorando molto bene e siamo soddisfatti dei risultati. Confrontarci con questi importanti prodotti e, ancor più con i loro produttori e verificare che il nostro vino è cresciuto è per noi un grande motivo di orgoglio. Stiamo lavorando molto e siamo sulla strada giusta per continuare a crescere. La Vernaccia sta riscuotendo interessi sempre maggiori, e non credo di essere presuntuoso sostenendo che molti turisti che giungono a San Gimignano siano attratti oltre che dalle Torri anche dal nostro vino.

non ha nulla da invidiare ad altri vini bianchi prodotti in altre regioni del mondo

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il Presidente Giovanni Panizzi

Un ultimo pensiero e un piccolo monito vanno ai produttori di Vernaccia: abbiamo lavorato tanto, e nell’impeto dell’ascesa se dobbiamo contenerci facciamolo con i prezzi non con la qualità”.

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La parola all’esperto

Una conoscenza antica quanto l’umanità: il vino è utile alla salute. Olio e vino erano tra i rimedi di tutte le culture mediterranee, e il buon samaritano della parabola li usò per lenire le ferite del malcapitato viaggiatore; erano i rimedi più usati dell’epoca. di Gudrun Dalla Via

Vinoterapia: Vinoterapia un “farmaco” antico, riscoperto nei centri di benessere

Il vino, anche in piccole dosi, è lenitivo di dolore, prurito e infiammazioni

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Nel medioevo, il vino ricorre in molte ricette, per esempio in quelle proposte dalla badessa Hildegard von Bingen. E ancora in epoca abbastanza recente, immergere il corpo in vino caldo utile contro i dolori. Se lo potevano permettere, ovviamente, solo i ricchi; ed era occasione di festa per i poveri, quando veniva poi distribuita una forma primitiva di vin brulé... Le dame del rinascimento, ma anche fino ad epoche quasi moderne, si frizionavano le guance con il vino, non tanto perché quello rosso lasciasse delle tracce di pigmento, ma perché sapevano che il vino rendeva liscia la pelle e ravvivava la circolazione, accentuando quindi il colorito naturale.

Che cosa è rimasto di tutto questo? E che cosa c’è di nuovo? È partita dalla Francia la ricerca sui fondamenti scientifici della vinoterapia, promossa soprattutto da Serge Renaud che si dedicò all’esplorazione dei benefici dei polifenoli. In realtà, l’ampeloterapia (dal greco “ampelos”, vite) o cura dell’uva si era già diffusa alcuni decenni fa, partendo dal Sud Africa. Si può fare con uva bianca o nera, indifferentemente, e prevede un’assunzione giornaliera dei frutti in quantità gradualmente sempre maggiori, fino ad arrivare a circa 3 kg al giorno nel giro di una settimana. Le indicazioni terapeutiche sono numerose: dal raggiungimento del peso forma ad una disintossicazione generale e perfino un aiuto consistente nel contrastare malattie degenerative anche gravi. In diverse zone di viticoltura, per esempio sul Reno, si trovano delle cliniche dove si pratica, in periodo di vendemmia, la cura dell’uva. Il vino si presta anche alla preparazione di enoliti. Le piante officinali vengono poste a macerare in un buon vino bianco o rosso, secondo il caso e lasciate riposare per circa una settimana. Poi si filtra e si beve il vino medicinale, secondo le indicazioni del medico o erborista, solitamente in dose di uno o due cucchiaini in concomitanza con i pasti. Non solo il frutto ha proprietà terapeutiche; anche le foglie vengono usate nella medicina tradizionale popolare. Per esempio, per combattere i disturbi circolatori, si prepara un Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


un territorio che traspare

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Quel lago dorato e quei declivi intorno. Quella terra ULFFD GL SRUÀGR H VDEELD ( TXHL VDSRUL 4XHO VROH SXUR H TXHO IUHGGR SXOLWR 4XHOOH PDQL HVSHUWH H TXHO ULJRUH 4XHL YLWLJQL FKH VROR TXL SRWHYDQR WURYDU GLPRUD H TXHVWL YLQL FKH JHORVDPHQWH YRJOLDPR IDU FRQRVFHUH .HWWPHLU ,O JXVWR GHOOD WHUUD

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La parola all’esperto

Si considera importante anche l’apporto di vitamine, sali minerali e flavonoidi, da parte del vino

decotto di 4 g di foglie di vite in 100 ml di acqua (far bollire per 2-3 minuti e filtrare) e se ne devono 2 -3 tazze al giorno. Un decotto

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Gli ingredienti preziosi Di Vitis vinifera si usano i frutti (polpa/succo), i semi (vinaccioli, per olio e altro), le foglie. Le sostanze principali conosciute nei semi: lipidi, trigliceridi di acidi grassi insaturi, oligomeri procianidolici; nei frutti: acidi organici, flavonoidi, antociani (enocianine); nelle foglie: tannini, flavonoidi. Le proprietà dei lipidi: emollienti e nutritivi. Degli oligomeri procianidolici: antiradicali. Dei flavonoidi e delle enocianine: vasoprotettori. Dei tannini: astringenti. Degli acidi organici: cheratoplastiche. Ciò spiega perché le varie parti della vite sono così apprezzate in alimentazione, in farmacia ed in cosmesi. Ed ecco alcuni usi della medicina popolare: Decotto di uva passa (uvetta) come emolliente per combattere tosse ed infiammazioni della gola. Enoliti, cioè vino con l’aggiunta di varie piante officinali, per affrontare diversi disturbi, dall’inappetenza all’indigestione, dai dolori articolari al soprappeso; il tutto viene lasciato macerare per circa una settimana, poi filtrato e bevuto in misura di uno o più cucchiaini, in concomitanza con i pasti. Aceto di vino come aromatizzante e pagina 36

più concentrato, 8 g di foglie fresche (o 4 g di foglie secche) in 100 ml di acqua può essere usato per fare impacchi su geloni o vasi sanguigni superficiali dilatati. Si immergono delle pezzuole di tessute del decotto appena tiepido e si pongono sulla parte interessata per almeno venti minuti per ottenere un effetto lenitivo ed astringente. Le foglie della vite rossa, particolarmente ricche in polifenoli, vengono usate dall’industria farmaceutica per integratori alimentari con proprietà antinfiammatorie e protettive dei capillari sanguigni, quindi utili contro varici, emorroidi, eritrosi. Il vino, anche in piccole dosi, è lenitivo di dolore, prurito e infiammazioni. In caso di puntura di zanzare o altri insetti, basta frizionare alcune gocce di vino sulla parte, e il fastidio scomparirà in breve tempo. Frizionare il vino sulla pelle ha un altro beneficio interessante: la cute diventa più liscia e più morbida – un naturale peeling e fard.

dissetante, rinfrescante e astringente nonché disinfettante – anche delle superfici in casa. L’aceto diluito può essere usato per lavare piaghe e ferite, per fare impacchi sulle contusioni, per preparare tonici, aceti da bagno, lozioni. Gli aceti aromatici, cioè aceto e erbe aromatiche e/o spezie in infusione, danno più gusto alle pietanze. Poche gocce di aceto bevute pure fanno cessare il singhiozzo. L’odore intenso fa riprendere conoscenza a chi ha perso i sensi, dato che stimola i centri nervosi. Le foglie della vite rossa sono particolarmente ricche di polifenoli ed hanno proprietà antinfiammatorie e vasoprotettrici, quindi sono utili sui capillari fragili ma anche per varici, emorroidi, geloni. Un loro estratto è spesso presente in cosmetici e in integratori alimentari. In casa si possono preparare dei decotti con 40 g di foglie fresche (o 15 g di foglie secche) di vite in 1 l d’acqua, da bere in misura di 2-3 tazze al giorno, per combattere i disturbi circolatori. Un decotto più concentrato, 80 g di foglie fresche o 30 g di foglie secche, è utile in impacchi applicati su vasi superficiali dilatati e su geloni. Se sono preziose le foglie, la polpa fresca o essiccata dei frutti e i semi,

ancora molto di più lo è il VINO. Finora sono state scoperte almeno 400 componenti; anche se alcuni di questi sono presenti solo in piccole quantità, essi contribuiscono comunque all’insieme di effetti benefici. L’elenco che segue è lungi dall’essere completo, e probabilmente gli studi in corso confermeranno man mano altri effetti benefici del vino. Una piccola nota all’inizio: spesso si sente elogiare il vino rosso più di quello bianco, ma ciò dipende soprattutto dal fatto che i primi studi sono stati fatti in zone (Francia, ma non solo) dove prevale la produzione di vino rosso. Per esempio, il vino bianco, purché di qualità e non eccessivamente filtrato, contiene una quantità inferiore del prezioso resveratrolo, ma questo ha molecole più piccole e quindi più biodisponibili, per cui gli effetti benefici sono assolutamente comparabili. Uno dei risultati confermati da più parti, di ricerche scientifiche: un moderato consumo di vino può ridurre, grazie all’interazione tra i vari componenti, il rischio di malattie cardiovascolari, oltre a svolgere un effetto positivo sulla prevenzione dell’arteriosclerosi e delle patologie coronariche. Grande attenzione è stata rivolta anche ad alcuni antiossidanti, come Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


La parola all’esperto

Il vino come sostegno durante una dieta Sorprendente: si penserebbe che durante una dieta il vino sia uno degli elementi proibiti. Ma non sempre è così. In un buon numero di cliniche e Centri Benessere viene tuttora praticata, in modo rigoroso oppure modificato, una dieta sviluppata quasi due secoli fa in Germania da Johann Schroth. L’intuizione di Schroth è: digiuno moderato e soprattutto alternanza tra giorni “asciutti” nei quali si introducono pochi liquidi, e giorni “bagnati”, durante i quali si beve molto. Il vino di qualità è un ingrediente importante della dieta, per sostenere circolazione sanguigna e metabolismo e per stimolare i reni. Si considera importante anche l’apporto di vitamine, sali minerali e flavonoidi, da parte del vino. Dato che il vino viene consumato lontano da pasti a base di lipidi e proteine (salumi, carni), l’impegno per il fegato è minimo – così almeno affermano i medici responsabili di questi centri. antociani, fenoli, flavonoidi, polifenoli; tra questi ultimi svolgerebbero un’azione particolarmente positiva sostanze come catechine, gallati, quercetina e il già citato resveratrolo. Si registra, tra l’altro, un miglioramento del quadro lipidico, del bilancio emostatico, della pressione arteriosa, della sensibilità insulinica, del livello di colesterolo HDL. Il vino bianco sembra essere utile addirittura contro l’influenza aviaria, quanto e più del farmaco Tamiflu, in quanto oltre all’acido shikimico è presente anche la quercitina che potenzia l’efficacia dell’acido. L’effetto antimicrobico e antisettico del vino non è attribuibile al contenuto di alcol ma a specifici componenti dell’uva fermentata: ciò è dimostrato da oltre un secolo! Persino il vino diluito in acqua fino ad una proporzione 1-5 mantiene una ottima capacità antibatterica. La fermentazione è una parte importante del processo: nella maggior parte dei casi, è molto meglio il vino rispetto al semplice succo d’uva. È recente la scoperta di una molecola antiossidante nel vino, l’idrossitirosol (presente anche nell’olio di oliva) che ha proprietà antinvecchiamento. L’effetto positivo del vino (rosso, nello studio clinico condotto al Department of Food Science al Volcani Center in Bet Dagan (Israele) sulla riduzione degli effetti negativi del grasso sul sistema cardiovascolare) si ottiene non solo bevendo il vino a pasto ma anche Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

usandolo nella cottura dei cibi.Sembra infine che il vino (ancora rosso, negli studi finora presentati) protegga le mucose gastriche ed abbia funzione anti-ulcera combattendo persino il temuto Helicobacter pylori, principale patogeno della mucosa gastrica. Controindicazioni Chi è soggetto a emicrania dovrebbe verificare se tollera bene il vino rosso. Il problema può essere un’intolleranza ai solfiti (controllare in etichetta o presso il produttore). Alcolismo, cirrosi epatica, ipertensione arteriosa, pancreatite possono rendere sconsigliabile la vinoterapia. La guida: meglio astenersi o limitarsi ad un bicchiere se si deve guidare. In ogni caso, bere due o tre bicchieri di acqua per ogni bicchiere di vino consumato migliora la lucidità e la capacità di reazione, quindi indipendentemente dall’etilimetro è un buon accorgimento. La vinoterapia oggi L’uso esterno del vino, sia terapeutico che cosmetico, è rinato in Francia, negli ultimi anni, e si è subito diffuso in altre zone vitivinicole, soprattutto dell’arco alpino, per esempio in Alto Adige e in Austria. Una modalità molto interessante: far essiccare i vinaccioli dopo la spremitura dell’uva, e macinarli più o meno finemente, per farne un peeling. Al Romantik-Hotel Turm, a Fié dello Sciliar, si fa così: i vinaccioli vengono

mescolati in precise proporzioni con gesso, argilla e olio di vinaccioli, applicati sulla pelle e massaggiati a lungo, per ottenere un peeling molto efficace: intenso ma al tempo stesso delicato. Ad agire infatti sono non solo le particelle meccaniche ma anche l’acido della frutta, che ha un ottimo effetto levigante e rivitalizzante sulla pelle. Segue un bagno caldo per prolungare l’effetto; durante il bagno viene servito, s’intende, un buon bicchiere di un vino locale, tipico. E alla fine un massaggio con olio di vinaccioli. In altre località si versa, direttamente nell’acqua della vasca, del vino, rosso o bianco, in diverse proporzioni. C’è da dire che oltre alle numerose sostanze benefiche anche l’alcol trova la strada attraverso i pori della pelle, favorito dall’ambiente caldo-umido. È garantita una sferzata alla circolazione sanguigna, ma a volte anche un certo senso di euforia. In alternativa al vino, o insieme a questo, nell’acqua del bagno si possono versare uva fresca schiacciata, vinacce e/o mosto. Inoltre, la vinoterapia può comprendere trattamenti idratanti ed elasticizzanti, massaggi, impacchi, maschere e peeling per il viso e il corpo. Per i bagni al vino viene preparata una speciale miscela di acque minerali naturali, uva, mosto e oli biologici. La vinoterapia cancella le rughe, appiattisce l’addome, rassoda i glutei, ringiovanisce i muscoli e tonifica il seno. pagina 37


La parola all’esperto

Fin dai tempi più antichi la città di Strevi è conosciuta per i suoi ottimi vini: il passito da uve di Moscato bianco e il Brachetto

di Giuseppe Sicheri

Strevi Strevi

nel dettaglio

La produzione di vino passito trova nel territorio di Strevi un’antica e consolidata tradizione

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Le uve di Strevi sono state, a suo tempo, immolate alla causa commerciale e di marketing per costituire la DOC (ora DOCG) Asti e Moscato d’Asti. Tuttavia ora la DOC Strevi ha preso la sua rivincita e contribuisce ad aumentare l’ampia e prelibata gamma dei vini passiti italiani; intendiamoci questo vino è sempre stato una tipicità di Strevi, ma non si poteva fregiare della DOC, approvata il 6 luglio e che vedrà le prime bottiglie nel 2007.

La produzione di vino passito trova nel territorio di Strevi un’antica e consolidata tradizione, assente nella vicina Canelli, patria del Moscato d’Asti e dell’Asti. Basti rammentare alcune dichiarazioni rilasciate da enologi che hanno contribuito in larga parte al successo enologico di vini piemontesi: vogliamo citare l’enologo M. Zoccola che nel 1903 pubblica “I vigneti Moscato di Strevi”, dove si legge: ”Fra i comuni del Piemonte ove la coltura del Moscato ha maggior incremento, ho accennato a Strevi che, considerato dal punto di vista della quantità di produzione, occupa il secondo posto. Come qualità di produzione non esito ad asserire che occupa il primo. Il prezzo commerciale del Moscato di Strevi è sempre superiore a quello dei Moscati delle altre zone vinicole piemontesi. Questo valore più elevato è ben noto ai consumatori che non disconoscono d’altra parte la maggior finezza, squisitezza e specialità del prodotto.” Non si può certo tralasciare quanto scrive il grande enologo A. Marescalchi nel 1915, in Enotria Tellus: “... e di questo delizioso Moscato di Strevi e di Canelli, che fin dal 1616 il marchese di Mortara, a capo di soldatesche spagnuole invadenti, chiamava moscato delicatissimo, e che oggi l’alacre spirito di enologi sapienti e di industriali avveduti ha reso spumante popolare tutto italiano, invidiato da molti, imitato da nessuno.”

Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


La parola all’esperto

Il suolo Il suolo di Strevi è contraddistinto da una marna bianca (altrimenti detta calcare marnoso, vale a dire roccia sedimentaria ricca di calcare e di minerali argillosi) mescolata con una buona quantità di sabbia di colore biancocrema, che conferisce un colore bianco tutto particolare alle vigne tanto che i vigneti sono conosciuti come quelli delle “terre bianche”, localmente dette “tufacee”. Qui si distinguono per vocazione la Valle Bagnario, la Scrapona, la Marchesa, la Ciresa, il Pineto e altre ancora. Camminando tra le vigne sembra di calpestare la finissima sabbia delle Isole Bahamas, son infatti, terre che trattengono una minima quantità di umidità che la vite sa sfruttare debitamente e che induce un leggero anticipo di maturazione oltre a consentire di vendemmiare in settembre un’uva perfettamente matura, con pregevoli riscontri organolettici. La composizione della terra fine è la seguente: sabbia 43%, limo 40%, argilla 16%, con un 20% di calcare di cui circa il 10% è calcare attivo, responsabile di alcuni casi di clorosi che si intravvedono nei vigneti. L’abbondanza di calcare, per altro assai gradito al vitigno Moscato, conferisce al suolo un pH basico che si aggira attorno a 8, o poco più. La pendenza di alcuni vigneti supera il 50% e, quindi, a tutti gi effetti sono considerati “di montagna”, così come i vigneti posti al elevata altitudine, essendo analogo l’ambiente, vale a dire che la vite deve affrontare una certa carenza di acqua, fatto al quale la pianta, per resistere, reagisce, offrendo i migliori risultati organolettici. Il vigneto Quelli che un tempo si chiamavano Moscato di Canelli e Moscato di Strevi, sono oggi chiamati Moscato bianco; tuttavia si nota una certa

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qua differenza fra i Moscati coltivati nelle due località: quello coltivato a Strevi è meno compatto, più spargolo, meno fitto, con acini leggermente più piccoli. Gradita è stata la sorpresa che si è presentata la situazione ampelografica ai nostri occhi quando, visitando la più antica azienda produttrice di Strevi, l’azienda Marenco (che coltiva ben 80 ettari a vite e fra questi 30 a uva Moscato), presente sul territorio fin dal 1261 come risulta da preziosi documenti ben conservati. Infatti, gli impianti di uve Moscato sono multiclonali, e ciò rivela l’attenzione del viticoltore; esso è ben conscio del fatto che non esiste un superclone, ma che le migliori produzioni derivano proprio dalla contemporanea presenza di differenti cloni coltivati sullo stesso vigneto. L’uva destinata alla produzione dello “Strevi” deve essere prodotta unicamente nel territorio del paese omonimo. I portainnesti più utilizzati sono il 420A e il SO4, il primo nella parte collinare più bassa e il secondo, viceversa, attorno ai 250 m s.l.m. La forma di allevamento è la controspalliera: Guyot e Cordone speronato basso con densità d’impianto di 4000 viti per ettaro

Camminan do tra le vigne sembra di calpestare la finissima sabbia delle Isole Bahamas

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Il clima Il clima è di tipo continentale, quindi con caldo estivo e freddo invernale; tuttavia caratterizzato da una leggera brezza, nota come “marino”, che spira dal mare attraverso l’Appennino ligure e che mitiga l’afa e le elevate temperature estive. Il lieve, ma costante spirare di tale venticello contrasta l’instaurarsi delle muffe e perciò favorisce una buona sanità dell’uva; situazione piuttosto rara, a parità di latitudine La piovosità media annuale è di circa 800 mm.

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La parola all’esperto

Fin dai tempi più antichi la città di Strevi è conosciuta per i suoi ottimi vini: il passito da uve di Moscato bianco e il Brachetto

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L’uomo Giuseppe Marenco è stato uno dei pionieri di queste terre, partendo dalla Cascina Marchesa è riuscito ad acquistare altre 7 cascine per un totale di 100 ettari di proprietà, di cui l’80% coltivato a vigna. Però, oggi sono le figlie che conducono l’azienda: tre simpatiche e graziose sorelle: Michela che (con il marito, dott. G. Costa) si occupa di mercato, Patrizia enologo e Doretta che s’interessa di pubbliche relazioni. Un trio perfetto, non c’è che dire! Un enologo esterno alla famiglia completa la squadra addetta alla produzione di questo magnifico passito, che, per altro, non è l’unico prodotto dalla ditta Marenco, che produce anche un favoloso Brachetto spumante, un Moscato d’Asti che di distingue per la sua delicatezza, oltrre a Barbera, Dolcetto, Cortese e Chardonnay molto apprezzati anche all’estero. Il vino Per ottenere il passito, le uve raccolte esposte in piccole ceste, poi da qui sono poste ad appassire su graticci esposti al sole per la durata di circa 7 giorni, poi sono spostate al riparo dalle eventuali piogge in fruttaio (in pratica si tratta di un solaio o di portici) ben ventilato per circa due mesi, cioè il tempo necessario a concentrare, per naturale disidratazione, l’uva fino al 40% del peso originario,

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e, in pratica con il 40% di zucchero. L’uva è poi sottoposta alla pigiatura (a volte è ancora effettuata con i piedi) e alla pressatura (operano ancora piccole presse di legno); le due operazioni consecutive consentono di ricavare la massima quantità di sostanze terpeniche, in altre parole d’aromi che si troveranno tutti in abbondanza poi nel vino. La fermentazione alcolica s’innesta lentamente e lentamente decorre per 4-8 mesi in piccole botti di legno, di Allier, della capacità di 225 litri, fino a ottenere 13-14 gradi alcolici; normalmente la fermentazione alcolica si arresta spontaneamente, essendo ormai i lieviti spossati per il grande lavoro svolto in ambiente difficile e, a volte, per accumulo di sostanze dannose ai lieviti stessi. Dopo la fermentazione alcolica il vino riposa per circa 7-8 mesi prima di essere imbottigliato in recipienti della capacità di 375 o 500 cL. Il profilo organolettico dello Strevi è incentrato su profumi e aromi che vanno dalla salvia all’albicocca, alla pesca, alla mela con una lunga persistenza gustativa e aromatica. Il disciplinare di produzione Al momento della vendemmia l’uva deve presentare un(titolo alcolometrico naturale minimo (grado alcolico naturale) di almeno 12 e almeno 12,5% se in etichetta viene riportata la menzione “vigna”. La produzione massima di uva per ettaro è di 60 q, mentre per il tipo con la menzione “vigna” il massimo è di 54 q. La resa massima di vino non deve superare il 50% e comunque, non deve superare i 3000 litri per ettaro (2700 per il tipo “vigna”) La vinificazione, l’affinamento, l’invecchiamento e l’imbottigliamento possono avvenire unicamente a Strevi e nei seguenti comuni confinanti: Acqui Terme, cassine, Morsacco, Orsara Bormida, Ricaldone, Ribalta Bormida, Visone. Il colore è giallo oro, più o meno intenso, con eventuali riflessi ambrati, l’odore è ampio e caratteristico; il sapore è dolce, armonico, caratteristico, talvolta con predominanza di frutti maturi, ed eventuale sentore di legno; la gradazione alcolica complessiva è di almeno 20°, di cui minimo 12,5° svolti (13° svolti il tipo riportante la menzione “vigna”). Per quanto concerne gli abbinamenti, questo vino ben si presta come dessert, per accompagnare i formaggi erborinati e quelli piccanti, ma noi preferiamo degustarlo fuori pasto in dolce compagnia... ed in tal caso le due dolcezze si sommano per fornire un insieme inebriante che induce a pensare solamente alle cose più belle. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


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Primi,unici inimitabili


La parola all’esperto

Le percezioni sensoriali olfattive, riguardo al vino, si possono dividere in: aromi, profumi, odori.

di Lorenzo Tablino

Il vino Vino

e le sue

percezioni olfattive anomale anomale “

I fitofarmaci residui nell’uva, se in eccesso, danno odori al mosto di fenicofarmacia

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• Aromi: se riferite a composti presenti nell’uva, in genere terpeni • Profumi: se correlati alla trasformazione operata nel processo di cantina, fermentazione e conservazione in legno in particolare. • Odori: quanto il vino assume note sgradevoli più o meno intense. Le cause sono notevoli: uva di scarsa qualità, errori di cantina, vere e proprie malattie del vino, chiusura non adatta, errori nella conservazione o nel servizio. Ci soffermiamo sugli odori del vino evidenziandone varie anomalie che rappresentano sempre a secondo della loro intensità e persistenza una deviazione, una difettosità, un’alterazione grave. Comunque sono sempre elementi negativi per la qualità del nostro vino. Come risaputo la franchezza percepita al naso deve essere assoluta: intendiamo la purezza del profumo del vino, null’altro. Ogni elemento sensoriale che si sovrappone, devia, copre, modifica anche a livello minimale è del tutto negativo. Il riferimento è all’esperienza pratica di cantina. Iniziamo dal mosto: la fermentazione dei bianchi ad alta temperatura, oppure in tempo troppo rapidi, sviluppa odori di gomma bruciata, frenata di camion. Se invece il mosto è mantenuto a bassa temperatura si sviluppa il classico odore di banana (in gergo molti enologi lo chiamano “bananone”), ricorda lo smalto per le unghie e l’acetone. La criomacerazione, se condotta male, dona al

Moscato profumi di salvia, rosmarino, basilico ovvero erbaceo-aromatici, spesso troppo intensi e non molto eleganti in vero. La fermentazione malolattica modifica in parte il profilo aromatico dei vini: pietra focaia nei bianchi secchi, mentre nei rossi per un certo periodo si sente odore metallico - stracci di officina meccanica; nell‘Asti spumante al profumo fiorale subentrano poco gradite note di burro, ovvero diacetile. Altri odori anomali in cantina: se in un rosso troviamo un profumo di boisè eccessivo, con scarsa finezza e franchezza, con tutta probabilità abbiamo aggiunto troppi tannini di quercia, magari di qualità discreta, altrimenti ci siamo lasciati attrarre da scorciatoie: trucioli e simili. Oppure l’utilizzo della barrique non è stato razionale e il vino è stato invaso da sentori di legno, troppo forti. Può anche succedere con gradi botti non abbonite a dovere. Se in un bianco c’è un eccesso di profumo di foglia di pomodoro o di vegetale in genere? È Il problema dei Sauvignon, in tutto il mondo, emisfero sud in specie. Si tratta del 4 mercaptone, il classico profumo dei Sauvignon, dona finezza e intensità se è ottenuta da uve di qualità e con un razionale processo. Ma come sopradetto se il profumo è eccessivo, pesante, grossolano potrebbe trattarsi di un’aggiunta di un’essenza al vino: la nota pirazina, in tal caso è un difetto e soprattutto una frode. Spesso l’enologo si imbatte in difetti rari o sconosciuti riguardo le origini. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


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Le percezioni sensoriali olfattive, riguardo al vino, si possono dividere in: aromi, profumi, odori

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I fitofarmaci residui nell’uva, se in eccesso, danno odori al mosto di fenico-farmacia. Il ferrocianuro, (un demetallizante, oggi poco usato in vero) può raramente donare odori di cipolla e aglio pungenti, il sorbato, un conservante legale, lascia quasi sempre note di geranio. Un caseinato o una bentonite di discreta qualità? Odore di latte-caseoso, terroso. Il carbone decolorante in eccesso può ricordare lo svanito e il chimico, mentre se si filtra a cartoni senza prelavaggio si rischia odore di carta, chimico, farmacia. Abbiamo poi il fenomeno ridotto nelle cento varianti percepite: il classico “sa di fondo”, poi uova marce, solfidrico, silos, aglio-cipolle, oleoso-kerosene, mercaptano. La causa: quasi sempre il lievito e carenza di ossigeno e azoto nel mosto. Le differenze olfattive sono legate al tipo di composto solforato che si è formato. Può essere stabile oppure sparisce arieggiando il vino nel bicchiere o decantandolo; ma è pur sempre un grave problema e di non facile soluzione. Alla famiglia del ridotto si può anche ascrivere l’odore di brodo vegetale: cavolo-asparagifagiolini, crauti, sempre note sensoriali sgradevoli, che presentano alcune volte gli spumanti

o i bianchi sfusi o appena imbottigliati. Si tratta in genere di disolfuri prodotti dai lieviti in difficoltà. Un eccesso di acetaldeidi negli spumanti in autoclave provoca la formazione di profumi deviati del tipo tralcio verde di vite. Spesso troviamo nel vino, soprattutto in quello invecchiato, “puzzette” indesiderate e soprattutto impreviste. La causa? Inquinamento da Brettanomices, un fenomeno nuovo, ma in crescita. Sono microrganismi che si annidano in cantina in vari luoghi: in particolare in botti vecchie, oppure in tubazioni mal lavate, linee imbottigliamento mal igienizzate, vasche in cemento molto vecchie, ma ricche di tartrati staccati dalle pareti. Se il vino è mal pastorizzato presenta di norma un profumo “bloccato e fermo”: cotto, calce, vernice bianca. Alcune volte si nota il mal della bottiglia, ovvero leggero svanito per le prime settimane. Se la solforosa è insufficiente, soprattutto se l’hanno bruciata tutta i perossidi residui dei tappi, se la vit. C è in eccesso e non trova solforosa libera in sufficienza, se i metalli in bottiglia sono alti, arriva l’odore di svanito. Si riconosce perchè il vino perde il fruttato-fiorale ed emergono note di solvente - gomma plastica. Soprattutto il profumo è piatto e poco intenso. Con il tempo il vino diventa osssidato-maderizzato: arriva il “cotto”, confettura e frutta matura e poi la classica bachelite, ovvero plastica anni ‘50. Spesso un vino rosso evolve troppo, prendiamo un Barolo molto invecchiato. Percepiamo dapprima frutta secca, canfora, cuoio, poi la classica bistecca grigliata o grillè, infine magari dopo 20 anni di bottiglia le note marsaleggianti. Un accenno ai nuovi problemi mondiali in fatto di odori anomali. Due sole sigle: • UTA: nota di invecchiamento atipico, frequente nei vini bianchi a seguito evoluzione irregolare. Pare sia causata da stress nel vigneto e da poco azoto in fermentazione. La sensazione è quella di un vino ossidato, oppure stanco, poco fresco e fruttato. • TDN: odore di idrocarburo-nafta. Riscontrato nei Sauvignon della Nuova Zelanda e in altri bianchi dell’emisfero sud. Qualche caso purtroppo anche in Italia. Sembra legato al processo fermentativo. È un composto che preoccupa i tecnici in quanto non facilmente prevedibile. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


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a cura della redazione di

le notizie di enogastronomia e turismo

Eataly: un buon compleanno Il 26 gennaio 2008 Eataly ha “compiuto” un anno, il primo. Eataly: un luogo in cui colori, aromi e profumi si mescolano come in un gran mercato rionale ma in cui si tengono corsi e degustazioni per imparare a cucinare meglio e con ingredienti sani. A Eataly i numeri sono grandi, grandissimi: il punto vendita di Torino è la più vasta superficie enogastronomica in Italia, 11.000 metri quadrati in cui lavorano 240 dipendenti e dove trova spazio tutto il meglio della cultura alimentare italiana che tutto il mondo ci invidia e tenta di imitare. Il loro ristorante “GuidoperEataly” a novembre ha ricevuto la prestigiosa stella Michelin. Parliamo di numeri e li chiediamo ad un responsabile: “2,5 milioni di visitatori – ci dice – e 1,4 milioni di clienti. Di questi, la metà è venuta a Eataly per mangiare, spendendo in media 15 euro, l’altra metà ha invece fatto la spesa spendendo circa 30 euro. Il target a cui si siamo rivolti si esprime in una sola parola: tutti. Sono stati creati grandi luoghi aperti, in cui chiunque potesse sentirsi a proprio agio e non solo in qualità di consumatore, ma come protagonista di un informale percorso di scoperta e comprensione di cibi e bevande di qualità”. Le possibilità di sviluppo sono però grandi: in questo primo anno è stato aperto un punto vendita a Milano e tra il 2008 e il 2009 apriranno altri due piccoli punti vendita da 300 metri quadri a Bologna e Venezia. Le operazioni più ambiziose nell’immediato, però, le faranno all’estero. A dicembre sarà la volta del Giappone, all’interno del grande magazzino Mitsukoshi di Tokyo ed è prevista una Eataly da mille metri quadri al Rockfeller Center di New York. Ancora in Italia, entro il 2015, hanno in programma di arrivare ad avere altri nove grandi punti vendita da più di 6.000 metri quadri: a Genova, Milano, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Palermo e Napoli.

Centennial Reserve: Grappa of Bonollo continua a sorprendere Per celebrare il centenario e la tradizione che da quattro generazioni lega Distillerie Bonollo Umberto di Padova all’arte della distillazione, nasce Grappa Of Bonollo Centennial Reserve. Si tratta di una esclusiva edizione della pregiata Grappa Of Amarone Barrique, nata dalla volontà di creare un capolavoro con cui poter dimostrare la capacità di innovare nel pieno rispetto della tradizione storica e della filosofia produttiva aziendale.

Questa Grappa è ottenuta dalla selezione di particolari partite di vinacce Of Amarone appositamente scelte e distillate secondo il Sistema Unico di Produzione Bonollo per ottenere una grappa equilibrata sia per vigore ed intensità aromatica che per morbidezza. Il Sistema Unico di Produzione Bonollo battezza una metodologia integrata e complessa, dalla selezione delle vinacce, alla distillazione flessibile, in grado di estrarre il massimo del potenziale aromatico per giungere ad ottenere grappe gentili, ma dall’ampiezza aromatica decisa. Grappa Of Bonollo Centennial Reserve è l’elevazione all’ennesima potenza di queste caratteristiche, un’esperienza sensoriale nuova e particolarmente coinvolgente, in grado di suscitare sensazioni riconducibili principalmente alle note fruttate ed alle tonalità speziate derivate dall’intenso invecchiamento in particolari barrique di rovere francese. Anche per la Centennial Reserve sono fondamentali l’esclusività, l’eleganza e l’originalità del packaging, che confermano l’elevata capacità distintiva, la classe e la raffinatezza che accomuna ciascun pezzo della Collezione Of Bonollo. Distillerie Bonollo Umberto S.p.A. - www.bonollo.it

Tommasi Viticoltori presenta Poggio al Tufo Maremma Toscana TOMMASI VITICOLTORI, azienda familiare fondata nel 1902, è oggi diretta dalla quarta generazione della famiglia e possiede oltre 200 ettari di vigneto: 40 per la produzione di vini pregiati nelle zone D.O.C. di Verona, 95 nella Valpolicella Classica e 66 a Pitigliano, importante centro etrusco, in provincia di Grosseto. Lì il terreno è di origine vulcanica, ricco di tufo, scheletro e minerali, a circa 350 m. sul livello del mare e la zona gode di un microclima temperato ed un’escursione termica giornaliera piuttosto equilibrata. A Vinitaly 2008 TOMMASI VITICOLTORI ha presentato i due ultimi prodotti di questa giovane tenuta toscana che già vanta per il primo nato, il Rompicollo IGT Maremma Toscana, ottimi giudizi da Wine Spectator, Decanter e Wine Access. Successo che ci si aspetta anche per il Vermentino e l’Alicante, entrambi IGT Maremma Toscana ed entrambi prodotti esclusivamente con il vitigno da cui prendono il nome. Il Rompicollo, prodotto da uve Sangiovese e Cabernet Sauvignon, matura un anno in botti di rovere di Slavonia. Rosso rubino intenso, è un vino pieno, corposo, morbido e vellutato. Il Vermentino è un vitigno aromatico che in Maremma trova il terreno ideale. Vinificato in purezza per farlo risultare più fruttato e gradevole, è un vino bianco secco ma delicatamente morbido, di colore giallo paglierino


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con profumi intensi di fiori di campo ed una nota di pesca gialla. L’Alicante, che deve il suo nome alla omonima città della Penisola Iberica, è un’ uva nera che produce vini rossi, robusti e di grande estratto. È un vino con sapori “scuri”, speziati di liquirizia e cioccolato, molto piacevoli anche al bicchiere, da solo. POGGIO AL TUFO - Tommasi Toscana è una giovane azienda con alle spalle l’esperienza della famiglia Tommasi, che produce vini di grande personalità e classe, vini moderni da uve antiche, nei quali si ritrovano la natura toscana, generosa, forte e vivace, e lo stile dei vini Tommasi, piacevole, raffinato e sempre cordiale. Tommasi Viticoltori - Poggio al Tufo www.poggioaltufo.it

Bollicine Rosé di Montalbera Bollicine Rosè, grande novità firmata dall’eccellenza Montalbera. Creata appositamente “per fare il botto”, si è subito posizionata ai vertici delle bollicine italiane grazie al suo packaging particolarmente accattivante e alla sua personalità. Studiata appositamente per una compagine giovanile esigente ed attenta, di base 100% Grignolino d’Asti in purezza, balza subito agli occhi lo stupendo rosa antico con un perlage fine e persistente tipico delle lavorazioni degli champagne francesi e dei grandi metodi classici italiani, il bouquet è caratterizzato da un particolare sentore floreale di frutta esotica. Il metodo di lavorazione è l’antico “Martinotti”, della durata di oltre quattro mesi. Questa particolare Bollicina si discosta pienamente dalle principali produzioni italiane per le caratteristiche uniche ed inequivocabili, che esprimono grande sensualità e facilità di beva. La scelta aziendale di uno studio di produzione innovativo è stata la parola d’ordine di Montalbera, che ha voluto proporre un prodotto rivolto al futuro del domani: ”i giovani”. Società Agricola Montalbera - www.montalbera.it

Concorso 2008 per la miglior Carta dei Vini Piacentini La Provincia di Piacenza propone anche quest’anno il concorso per la miglior carta dei vini piacentini, dedicato al Sommelier FISAR e al Presidente dell’Accademia della Cucina Piacentina Pietro Fumi (recentemente scomparso) per ricordare la sua figura di benemerito della cultura ed enogastronomia piacentina.

Organizzato dall’Assessorato all’Agricoltura della Provincia di Piacenza in collaborazione con Slow Food, con il concorso dell’Unione Commercianti, della Confesercenti, di Terra Nostra/Coldiretti; di Agriturist/Unione Agricoltori; di Turismo Verde c.I.A. e Società Autostrade Centro Padane ha lo scopo di promuovere la diffusione, la valorizzazione e la conoscenza dei Vini DOC dei Colli Piacentini nonché la cultura del territorio che li produce. L’edizione precedente ha coinvolto tre categorie di pubblici esercizi: ristoranti, osterie e trattorie; enoteche con mescita e wine bar, quella di quest’anno aggiunge gli agriturismi e le pizzerie. Il concorso è un efficace stimolo alla realizzazione di nuove e più documentate carte dei nostri vini DOC: strumenti utili alla conoscenza ed alla commercializzazione di questi nostri prodotti d’eccellenza. La Commissione sarà presieduta dallo scrittore e giornalista Giorgio Meandri, da Vittorio Barbieri, formatore enogastronomico, selezionatore vini per la Guida Vini d’Italia e autore dell’unico blog sui vini passiti piacentini (www.vitevini.blogspot.com) e da Giancarlo Spezia esperto di enogastronomia e docente di meccanizzazione viticola all’Università Cattolica di Piacenza. Premiazione il 28 aprile 2008 a Carpaneto, nell’ambito della seconda edizione del “Gutturnio Festival”. Info: Fabrizio Bernini - Provincia di Piacenza: 0523 795384; Vittorio Barbieri - Slow Food: 333 2926405

Medaglia d’Argento per Cesarini Sforza Ottima performance per la Cuvée Brut Riserva di Cesarini Sforza al 16° Concorso Enologico Internazionale - Vinitaly 2008. L’affermato spumante della Casa Spumantistica trentina ha ricevuto la Medaglia d’Argento per la categoria vini spumanti. L’importante riconoscimento è arrivato dalla rigorosa selezione della commissione d’assaggio del prestigioso Concorso. Con 3669 vini iscritti, provenienti da 32 Paesi dei cinque continenti, il Concorso Enologico Internazionale rappresenta una delle competizioni più selettive al mondo. Ottimo risultato anche per Tridentum 2004 Trento D.O.C. che ha ottenuto la Gran Menzione. Questi premi confermano il crescente successo degli spumanti Cesarini Sforza, che dimostrano di non temere confronti con le prestigiose produzioni provenienti dalle aree più vocate e che esprimono l’attento lavoro in vigna e in cantina, tanto da diventare vini emblematici per il Trentino e per l’Italia. Fratelli Rinaldi Importatori info@rinaldi.biz


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“Gusta Piacenza” alla scoperta dei vini Piacentini nella GDO Da circa un anno, su iniziativa della Provincia di Piacenza ed in collaborazione con il GAL SOPRIP e il sistema territoriale (Consorzi prodotti, Camera Commercio), si è sviluppato un progetto finalizzato alla commercializzazione dei prodotti tipici e di qualità piacentini nella GDO. Lavorando con gruppi come Auchan e Ipercoop nordest, sono state organizzate presentazioni dei prodotti tipici piacentini all’interno di alcuni punti vendita. Per soddisfare le esigenze dei consumatori, la presentazione è avvenuta a cura di personale specializzato con informazioni sulla storia dei prodotti stessi, sul loro legame con il territorio e sul sistema dell’ospitalità. Insomma una presentazione a 360° di Piacenza e dei suoi prodotti, con la possibilità per il consumatore di acquistare immediatamente quanto presentato poichè disponibile sugli scaffali dei punti vendita. L’iniziativa ha consentito ai consumatori lombardi ed emiliani coinvolti, la scoperta delle eccellenze prodotte nel piacentino ed il successo di vendite ha confermato ancora una volta il valore di questi prodotti. Parlando di vini, per gli amici della F.I.S.A.R. questo non è una sorpresa, ma per molti consumatori si tratta ancora troppo spesso di una scoperta. Per questo motivo l’iniziativa continuerà anche per tutto il 2008 con particolare focalizzazione sui mercati lombardi ed emiliani. Il marchio sotto cui riconoscere l’iniziativa è “GUSTA PIACENZA”. Info: Carlo ANNONI Resp. Esecutivo del Progetto/DOLCETERRA COOP tel. 0523 606180 - dolceterra.coop@yahoo.it

Alla scoperta degli spumanti Valdostani in mongolfiera e praticando il Rafting Apprezzare un buon vino non significa soltanto assaporarne le qualità organolettiche ma anche conoscere il territorio dal quale proviene, la storia e la cultura che lo circondano. Con questo spirito, “Quatremille mètres vins d’altitude” apprezzato marchio di spumanti valdostani, nato dalla collaborazione tra la Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle, la Cooperativa de l’Enfer e la Crotta de Vegneron, propone agli appassionati del settore due originali iniziative che si svolgeranno dal mese di aprile.

La prima prevede un viaggio in mongolfiera, da cui ammirare i 4 Giganti delle Alpi con tanto di brindisi in quota a base di Refrain, Ancestrale e Fripon. La seconda, una giornata all’insegna del rafting costeggiando i vigneti di Morgex e di La Salle fino a giungere all’orrido di Arvier, dove viene coltivato lo storico Enfer. Per informazioni e prezzi contattare la Cave du Vin Blanc allo 0165 800331. Quattremille Mètres - www.caveduvinblanc.com

“Cantine Aperte”® 2008 Movimento Turismo del Vino Piemonte - 25 Maggio 2008 Come ormai tradizione, l’ultima domenica di maggio è dedicata al turismo enogastronomico con l’edizione 2008 di “CANTINE APERTE”®. La manifestazione in programma domenica 25 maggio 2008 vede impegnate tutte le delegazioni italiane del Movimento Turismo del Vino nell’organizzare e coordinare una iniziativa che ha come protagonisti le più prestigiose cantine d’Italia, selezionate sulla base di specifici requisiti, primo fra tutti quello della qualità dell’accoglienza enoturistica. La delegazione piemontese del Movimento, presieduta da Chiara Soldati, rappresenta circa 60 strutture che verranno aperte in alcuni casi già da sabato 24 maggio per proporre al variegato pubblico di enoturisti, sempre più curiosi ed attenti, dei luoghi dove se non ci si va apposta non ci si passerebbe mai e dei preziosi prodotti dall’anima antica come la terra del Piemonte. Un gioco di squadra– sottolinea la Presidente –che permette di scoprire emozionanti percorsi enoici, ambientali e gastronomici della nostra Regione che ha mantenuto una ruralità autentica, mai nostalgica, sempre attiva con forte e raffinata specializzazione enologica. Movimento Turismo del Vino - Piemonte www.movimentoturismovino.it


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Tasca d’Almerita si misura nella vinificazione del “grillo” puntando al meglio: i vigneti sull’Isola di Mozia È la famiglia Tasca d’Almerita, avanti da sempre nell’esprimere la Sicilia del vino di qualità, a cogliere la sfida della Fondazione Whitaker: far rivivere il “Vino dei Fenici”, prendendosi cura dei vigneti sull’Isola di Mozia, perla storico-culturale del Mediterraneo. L’Isola di Mozia, in totale 40 ettari nella punta estrema nord-occidentale della Sicilia, vicino a Trapani, rappresenta uno dei più importanti insediamenti fenici nel bacino del Mediterraneo. Già nel 1875 Mozia era coperta di vigneti, quegli stessi che oggi Tasca d’Almerita si impegna a valorizzare, creando un vino che esprima l’unicità della terra da cui proviene. Nel 2007 la Fondazione Whitaker decide far rinascere la tradizione vinicola e di affidarne il compito a Tasca d’Almerita, una delle famiglie più rappresentative del mondo del vino a cui si deve il successo internazionale e l’interesse mediatico di cui oggi godono la Sicilia e i suoi vini. Oggi questa esperienza è messa a frutto per far rivivere un vino che nasce da un territorio unico. 13 ettari di vigneto, di cui 3 risalenti all’antica proprietà Whitaker e 10 reimpiantati dopo anni d’esperimenti, con la supervisione dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino e la consulenza di Giacomo Tachis. Qui nasce l’etichetta firmata Tasca d’Almerita: il Grillo di Mozia. Tasca d’Almerita s.r.l. - www.tascadalmerita.it

100 cc. dell’acquavite d’uva MOST, il prodotto di punta dell’azienda, pensato come una piacevole idea regalo o da acquistare al ristorante per riscoprire in casa il piacere di un’acquavite d’uva morbida e sapientemente distillata. Il MOST è riservato alla ristorazione, alle enoteche ed ai negozi specializzati, il nuovo formato verrà proposto con un elegante espositore per diventare un “prezioso ricordo” da acquistare a fine cena.

Distilleria Bepi Tosolini - www.bepitosolini.it

“Le torri della cucina” al Vinitaly Annunciato nell’ottobre 2007, durante la quarta edizione del Pellegrino Cooking Festival, il quarto volume del libro “Le Torri della Cucina” edito da Ali&no Editrice di Perugia è stato presentato durante il Vinitaly 2008 nel padiglione 2 Sicilia, alla presenza degli autori Gerardo Antelmo e Alessandra Capogna e del management dell’azienda. Pellegrino Cooking Festival, nasce dalla volontà della proprietà della storica cantina siciliana di essere promotrice di tradizione e innovazione: il filo conduttore è la cucina tematica, da quella del sale, del pesce spada, dell’aragosta, dei fiori a quella molecolare, delle erbe, del pesce crudo, arrivando alle ricette siciliane del 1600 rivisitata in chiave moderna. Kermesse di assoluto interesse dal momento che “parla tutto siciliano”: dalle materie prime utilizzate dagli chef, alle ricette, ai vini, realizzata quest’anno in collaborazione con Le Soste di Ulisse, associazione qualificata che annovera i più prestigiosi ristoranti siciliani. Carlo Pellegrino & C. S.p.A. - www.carlopellegrino.it

Al Vinitaly debutta la bottiglia da 100 cc. per il Most, l’Acquavite d’uva È Made in Italy della distilleria Bepi Tosolini il primo vino dedicato Da oltre 60 anni la Distilleria Bepi Tosolini vanta una grande alla gattina Giapponese esperienza nell’arte della distillazione, con tre generazioni impegnate nell’evoluzione del concetto stesso di grappa, una profonda conoscenza dell’uva e l’ideazione del “metodo Tosolini” che racchiude i profumi e i sapori della vendemmia in un distillato puro e cristallino: questi i principali ingredienti di un successo ormai di livello mondiale. Nei cinque giorni della kermesse veronese c’è stato il debutto del nuovo formato da

Lei è uno dei simboli del Giappone: una gattina dal musetto simpatico nata a Tokyo, ma conosciuta in tutto il pianeta, lui è uno dei simboli del made in Italy, nato nell’Oltrepo pavese. A metterli insieme è stata Camomilla spa, azienda leader nel campo degli accessori fondata 25 anni fa. I vini di Hello Kitty, si chiamano rispettivamente Kitty Angel e Kitty Devil, Pinot nero doc dell’Oltrepo pavese per Kitty Devil e vinificato in bianco per Kitty Angel a cui si affiancano le bolliccine del Kitty Brut Rosé e dello spumante demi-sec Sweet Pink. www.camomilla.it


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La Val di Cornia è ubicata nella parte meridionale della provincia di Livorno a confine con la provincia di Grosseto in un paesaggio fortemente contadino, nei pressi della foce dell’omonimo fiume. di Luca Iacopini

Una delle nuove aree toscane emergenti: e Massimo Bracci

questa piccola area emergente in Toscana avrà le sue soddisfazioni

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la Val Val di di Cornia Cornia Ad est vi sono le colline toscane, ricche di vigneti, boschi e uliveti, con i suoi antichi borghi che guardano con una rara bellezza il mar Tirreno e l’arcipelago Toscano. Un territorio ricco di storia, dove sono stati molti i ritrovamenti archeologici, fra cui spicca la città etrusca di Populonia, a pochi chilometri da Piombino; da qui comincia la Maremma toscana. La Val di Cornia ha dovuto affrontare un compito e un’eredità ardua, in quanto si trova a ridosso di una delle zone più famose e blasonate d’Italia, quella di Bolgheri, e confinante con un’altra doc altrettanto conosciuta come il Morellino di Scansano. Si è ritrovata quindi

a dover dimostrare se questa vicinanza territoriale poteva essere considerata una naturale continuazione di quel fortunato terroir che questa zona tirrenica ha come dono naturale dando vini di straordinaria qualità oppure no; e questo è quello che cercheremo di scoprire. La doc nasce nel 1989 e prima di questo periodo si pensava solo a produrre vino di quantità e non di qualità, era un vino molto rustico ma lasciava intravedere le potenzialità future. Gli anni ‘90 quindi rappresentano un po’ la svolta, e a seguito dell’esplosione del fenomeno Sassicaia nasce la doc. Qui sottolineiamo come molti produttori tutt’oggi, e secondo noi a

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ragione, si definiscono “figli del Sassicaia” nel senso che questa rivoluzione ha fatto capire che bisognava fare il vino con una nuova filosofia: basata sulle basse rese per ettaro, sulla raccolta di uve perfettamente mature, vinificazioni più brevi, controllo della temperatura di fermentazione, maturazione in barrique e affinamento in bottiglia, insomma un vino di qualità, e questo per fortuna ha coinvolto con gli anni a venire un po’ tutta l’Italia vitivinicola. La Doc Val di Cornia comprende in provincia di Livorno i comuni di Piombino, San Vincenzo, Sassetta, Suvereto e Campiglia Marittima, e in provincia di Pisa il comune di Monteverdi Marittimo. Esistono 15 tipologie;

si va dalla tipologia Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Merlot, Ciliegiolo e Aleatico per i vitigni a bacca rossa, alle tipologie Vermentino, Trebbiano, Ansonica per quelli a bacca bianca. Nel 1999 è stata apportata una modifica al disciplinare realizzando una sottozona “Suvereto” dove troviamo le maggiori aziende e proprio su questa sottozona vogliamo soffermarci. Questa modifica è stata apportata non tanto per motivi commerciali né tanto meno per scelte campanilistiche, ma risiede nei vini che si producono, che hanno caratteristiche particolari che si contraddistinguono dai vini prodotti nei comuni limitrofi. Questo è dovuto anzitutto

le viti sono situate su colline con altezza di 100-200 metri s.l.m. che favoriscono ulteriormente lo sviluppo ottimale dell’uva

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Nico Rossi nelle sue vigne a Gualdo del Re. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

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La doc nasce nel 1989 e prima di questo periodo si pensava solo a produrre vino di quantità e non di qualità

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alla composizione del terreno, più ciottoloso, sassoso, con più scheletro rispetto ad esempio alla zona di San Vincenzo e Campiglia; le viti sono situate su colline con altezza di 100-200 metri s.l.m. che favoriscono ulteriormente lo sviluppo ottimale dell’uva e poi un clima particolarmente favorevole in cui l’influenza del mare distante circa 10 km mitiga e smussa tutti quegli eccessi climatici. A valle troviamo terreni più sabbiosi-argillosi, e temperature più alte dove la ventilazione naturale non riesce a penetrare. Quattro sono le tipologie in cui è presente il suffisso Val di Cornia Suvereto: Suvereto (50% Cabernet Sauvignon - 50% Merlot) e poi le tipologie monovitigno, Suvereto Sangiovese, Suvereto Cabernet Sauvignon, e Suvereto Merlot in cui le percentuali concorrono con almeno l’85% del vitigno principale. Naturalmente i due vitigni internazionali che tanto hanno dato fama alla vicina Bolgheri non potevano mancare e i vini di aziende come Petra, Tua Rita, Gualdo del Re e Fratelli Muratori ne dimostrano l’indubbia eccellenza, ma l’intenzione di molti produttori di questa doc è quella di cercare un punto caratteriale nei propri vini che li distingua dai vicini e quindi si sta cercando di utilizzare questo terroir puntando più in particolare sul Sangiovese. In altre parole ci si è domandati: visto che questo territorio permette al Cabernet e al Merlot di esprimersi ai massimi livelli, perché non provare anche con il Sangiovese? E questa idea sembra che dia ragione ai produttori che ci hanno creduto. C’è anche da segnalare un altro vitigno che in questo territorio da risultati superiori alla media ed è il Vermentino. Quindi una grande dinamicità contraddistingue la Doc Val di Cornia. La principale differenza con il territorio bolgherese è proprio la coltivazione del Sangiovese dove lì trova difficoltà a raggiungere risultati rilevanti invece in Val di Cornia il

Sangiovese comincia a dare buoni risultati di personalità e di terroir; in altre parole si riesce a creare caratteristiche organolettiche riconoscibili e peculiari di questo territorio. Abbiamo degustato vari vini sia di vitigni internazionali che nazionali per capire se questa riconducibilità al territorio fosse vera e ci siamo affidati all’Azienda Gualdo del Re di Suvereto, l’azienda forse con più storia, infatti negli anni cinquanta era l’unica a produrre il vino in Val di Cornia. La nostra degustazione è iniziata da un Sangiovese in purezza del 2002, siamo rimasti stupiti. Ci ricordiamo tutti l’annata piovosa, l’annata che molti produttori hanno voluto saltare come vendemmia, perfino molti importatori esteri non volevano assaggiare il vino italiano, invece questo no! Buon vino; abbiamo capito come l’influenza del mare ha mitigato quest’area contenendo la piovosità eccessiva. Successivamente abbiamo degustato il 2003 ma è stato un anno molto caldo e forse in quest’area anche troppo. Siamo passati sul vino “Federico Primo” 2004, Cabernet Sauvignon in purezza. Un vino dal colore rosso rubino, carico, luminoso di grande ricchezza polifenolica. I profumi di questo vino sono intensi, puliti, di grande eleganza e complessità. Si possono individuare profumi di frutta matura, evidenti note di grafite, con note di tostature dovute al suo passaggio in barrique per 15 mesi. L’entrata in bocca è accattivante, con un corpo pieno caldo ma sempre con una buona acidità, lo sviluppo rivela una struttura tannica vigorosa di grande intensità, segnato da persistenti note fruttate, si congeda con un finale speziato. La cosa che ci colpisce di questo vino è la sapidità, la vera caratteristica dei vini di questa zona. Con l’influenza del mare e dei terreni ciottolosi riesce a caratterizzare anche i vini rossi di buona struttura. Questa sapidità riscontrata un po’ in tutti vini rossi trova poi il suo terreno d’elezione anche e soprattutto nei Vermentino in cui con gli aromi netti e precisi e la buona acidità rende i Vermentino della zona un passo in più rispetto ad altri della costa tirrenica. Abbiamo voluto degustare i vini di questa azienda oltre che per la sua fama a livello nazionale e internazionale anche perchè il proprietario Nico Rossi è un attivo consigliere Fisar della Delegazione della Val di Cornia condotta maestralmente dal nostro collega iperattivo Buoncristiani. Noi siamo sicuri che questa piccola area emergente in Toscana avrà le sue soddisfazioni, perché oltre a fare grandi e buoni vini riesce ad avere una riconducibilità ben precisa al proprio territorio.

La famiglia Rossi nel ristorante di Gualdo del Re. pagina 52

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Distretto Taormina Etna Recentemente è stato presentato il Distretto Taormina Etna, un territorio che abbraccia 58 comuni disposti come un anello intorno al vulcano Etna tra la provincia di Messina e quella di Catania. Si tratta di una realtà consortile nata per promuovere e rilanciare l’offerta turistica della Sicilia Orientale e rappresenta lo sforzo sinergico di Enti Pubblici e soggetti privati. 230 sono le strutture ricettive dagli alberghi, agli agriturismi, dai bed

and breakfast agli hotel di lusso, 3 parchi, 4 riserve naturali, 3 laghi, centinaia di musei, chiese, castelli e fortificazioni, 38 chilometri di spiaggia, un mare più volte bandie-

ra blu, due stazioni sciistiche, un porto turistico, uno dei due campi da golf presenti in Sicilia. Da non tralasciare l’antichissima tradizione culinaria che affonda le sue radici nella Grecia Classica, gli eccellenti vini e la varietà di liquori da dessert, tra cui il Marsala, l’inebriante mandarinetto ed i rosoli al pistacchio, alla cannella e al mandarino. Per saperne di più: www.taorminaetna.it Notizia inviata da Piera Genta

Valle Averto, il Parco della Laguna di Venezia Il progetto di rilancio denominato Valle Averto, Parco della Laguna di Venezia che si avvale del patrocinio del Comune di Campagna Lupia, del GAL “Le Terre Basse già Antico Dogato”, dell’Amministrazione Provinciale di Venezia e della Regione Veneto, e che coinvolgerà gli altri Comuni situati in quella parte di gronda lagunare, ha dei risvolti estremamente interessanti anche per un turismo eco-compatibile o, meglio ancora, nei confronti del turista più curioso ed attento. Il Parco della Laguna di Venezia presenta una multiforme varietà ambientale: al suo interno, infatti, si possono osservare, come in una scansione, prati stabili e boschi, canali di acqua dolce, specchi di acqua salmastra e barene. Questo polmone verde, a 20 minuti di automobile da Venezia, Mestre, Padova e Chioggia, è soprattutto un’area di una bellezza incredibile dove passare la giornata con la famiglia e con gli amici. Valle Averto, che è possibile raggiungere anche in barca, è una porzione della Laguna Sud di Venezia situata tra le città di Mestre e Chioggia, in prossimità della strada statale Romea. Le iniziative proposte dal Centro Studi Laguna Sud, semplici, concrete e utili, valorizzano il turismo, la gastronomia tipica, la cultura della Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

laguna e contribuiscono a rilanciare e gestire un’area importante, inserendosi a buon diritto fra quelle azioni “in favore” del delicatissimo equilibrio della laguna veneziana. Il turismo gastronomico potrà godere di un’offerta estremamente originale sia presso l’agriturismo all’interno del parco, che pratica l’allevamento del pesce in modo esclusivamente estensivo, l’agricoltura di tipo biologico e dove sono previste una serie di iniziative legate alla stagionalità dei pesci in collaborazione con Slow Food, sia andando alla scoperta di osterie e trattorie situate sulla gronda lagunare o nella vicina Chioggia, città che merita da sola un viaggio. La cucina delle Valli si basa per lo più su alcuni elementi fondamentali: il pesce, la selvaggina, l’anguilla, la polenta. Chi chiede anche un primo piatto, potrà trovare degli ottimo risotti di pesce e/o di verdure (ad esempio risi e bisi). I fagioli, sia in minestra che conditi per contorno, non mancano mai.

La cucina lagunare e della fascia costiera, compresa Venezia, si basa, come abbiamo visto, sul pesce: granseole, seppie, cappe, canocchie. Svariati sono i pesci da cucinare ai ferri o in frittura. Va ricordato che importante è la scelta dei vini che devono accompagnare i piatti di pesce: ad esempio, un vino bianco fresco del Collio potrebbe andare bene. Celebre è il brindisi veneziano del XIV secolo: “Chi ben beve, ben dorme, chi ben dorme, mal no pensa, chi mal no pensa, mal no fa, chi mal no fa, in paradiso va, ora ben bevè che paradiso avarè.” Oltre al pesce e gli ortaggi, anche gli uccelli palustri e il vino erano i prodotti delle isole e della gronda lagunari e questi sono tuttora gli alimenti più importanti della cucina tradizionale veneziana che possiamo assaporare anche in molti locali (trattorie, osterie, ristoranti) in Laguna. Certo è che se nel periodo di caccia scegliamo di mangiare “poenta e osei” o “anara rosta” dobbiamo chiedere altro tipo di vino, non più il bianco, ma va bene un rosso di corpo, come un amarone o un valpolicella, tanto per restare in Veneto. Comunque il proverbio del XIV secolo è sempre valido! Inviato da Davide Federici pagina 53


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Gusto in scena Si sono spenti i riflettori su Gusto in scena, prima edizione di un evento ideato e realizzato da Marcello Coronini e che ha visto nei tre giorni oltre 3000 visitatori tra professionisti del settore ed appassionati e ben 400 congressisti. Per la prima volta il mondo della ristorazione e del vino, due realtà strettamente legate ma che difficilmente dialogano alla pari, si sono trovate co-protagoniste. Gusto in Scena ha visto tre eventi nell’evento. Chef in Concerto, congresso gastronomico dedicato ai ristoratori, I Magnifici Vini di Mare, Montagna, Pianura e Collina, dedicato alle aziende, e Seduzioni di Gola, incentrato sugli sfizi gastronomici. E adesso le considerazioni. Innanzi tutto il Veneto è stato in prima fila, la splendida sede del Molino Stucky Hilton sull’isola della Giudecca un palcoscenico che non ha avuto bisogno di ulteriore scenografia e gli attori? Sono stati alcuni dei nomi più noti della ristorazione italiana e spagnola. Il format Chef in Concerto ha visto il confronto fra Italia e Spagna alla ricerca del futuro della ristorazione. Ad alternarsi sul palco Gualtiero Marchesi, Riccardo Da Prà, Martin Berasategui, Marco Bistarelli, Josep Roca, Marco Bortolini, Marco Bistarelli, Josep Roca, Marco Bortolini, Jordi Butron, Juan Marì Arzak, Chicco Cerea, Nando Jubany, Pietro Leemann, Manel Puigevert, Gaetano Trovato, Maurizio Serva, Norbert Niederkofler, Paolo Teverini, Alfonso Caputo, Corrado Fasolato, Pedro Subijana Mauro Uliassi, Pietro d’Agostino, Herbert Hintner, Piero Zanini e Alfonso Jaccarino. Marcello Coronini nel dibattito spontaneo al termine del congresso ha “lanciato” un nuovo messaggio: la cucina italiana necessita di una

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sua precisa identità che unisca la così detta tradizionale e quella che alimenta con una costante ricerca l’innovazione. Ha proposto quindi un’idea che riassume i contenuti di numerosi interventi dei diversi relatori. Proporre come modello identificativo della cucina italiana le materia prima italiana di qualità di cui il nostro paese è particolarmente ricco. “L’Italia ha una ristorazione di grande valore di cui parla tutto il mondo, ma le manca una forte identità, che hanno sicuramente i francesi e in parte gli spagnoli. Ascoltando i pareri dei diversi relatori ci siamo convinti che sia l’unico modo per affermare una identità della cucina italiana sia porre al centro della scena il prodotto di qualità italiano - comunica Marcello Corononi. Oggi la ricerca di materia prima è considerata determinante sia dai cuochi che eseguono una cucina “tradizionale”, sia da chi sviluppa una cucina creativa e di ricerca. Va detto quindi che tradizione e innovazione sono molto più vicine di quanto si pensi. La tradizionale oggi si avva-

le di tutte le moderne tecnologie mutuate dalla cucina innovativa e ambedue, parliamo ovviamente di chi fa bene e con piacere il proprio mestiere, utilizzano solo prodotti di grande qualità, spesso provenienti dal territorio. La ricerca di materie prime di valore, anzitutto italiane, è quindi il legame fra queste due modi diversi di interpretare il gusto“. A Gusto in Scena molte sono state le testimonianze di chef che hanno sposato questa nuova idea. Inoltre Chef in concerto ha visto l’interessante confronto con il parere del medico, il farmacologo Francesco Scaglione. Al centro del dibattito le nuove sostanze che si sono diffuse nella cucina d’autore negli ultimi anni: agar, xantano, gellan, gelificanti, addensanti. Sostanze assolte ma non promosse da punto di vista dietetico che però sono capaci di dare emozioni, di stupire, di rendere unico un momento. Notizia inviata da Piera Genta

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Buona nel vino e bella da vedere La Franciacorta, ormai lo sanno in molti, è un territorio vocato alla viticoltura da tempo immemorabile. È sinonimo delle migliori bollicine d’Italia che gareggiano, per qualità, con i più famosi vini di Francia. Ed è qui che nel 1996 Paolo Radici, un industriale di Bergamo che – come tanti – andava alla ricerca di un buon ritiro in un angolo di collina non lontano dalla città, ha potuto realizzare il suo sogno acquistando, a due passi da Erbusco, la vecchia dimora appartenuta ad Arturo Benedetti Michelangeli, il pianista bresciano considerato tra i maggiori talenti musicali del Novecento. L’edificio è situato sul poggio che guarda uno spettacolare anfiteatro morenico: qui è il regno della vigna, dieci ettari, un cru unico. Un’immagine suadente che riaccese il suo sogno di ragazzo: fare vino, trasformarsi da appassionato conoscitore a produttore. “All’inizio – dice – intendevo soltanto produrre del buon vino di famiglia, poi la passione ha preso il sopravvento”. Fu così che vicino alla casa iniziarono i lavori di costruzione della cantina, una struttura dall’architettura tradizionale, pensata per integrarsi al meglio con l’ambiente circostante. Nelle ampie sale interrate, vinificazione ed affinamento sono protette dal miglior supporto tecnologico; al piano superiore sono state create accoglienti sale di degustazione. Un’azienda che si estende su 12 ettari di cui 10 impiantati a vigneto specializzato, con elevata densità di ceppi, modernamente coltivati a Guyot e Cordone Speronato. Paolo Radici ha avuto l’accortezza di circondarsi di tecnici di valore: Leonardo Valenti, coadiuvato sul territorio da Pierluigi Donna, è sia agronomo che enologo, mentre Lara Imberti si occupa dell’ufficio commerciale e Alessandro Locatelli dei vigneti e della cantina. Oggi, otto vendemmie dopo il suo Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

debutto Ronco Calino produce 60mila bottiglie all’anno. Vini e Franciacorta esprimono un’eleganza sottile, complessa, ricca di sfumature e sembrano raccontare l’indole pacata di chi produce “senza fretta”, nel rispetto della terra, della vigna e del degustatore più esigente. Prodotti di ottima qualità, ottenuti puntando su semplici, ma efficaci punti cardine: tradizione, vocazione qualitativa, passione e professionalità. Dando uno sguardo alla gamma prodotta troviamo, fra i Franciacorta, il Brut, il Satèn, il Brut Millesimato 2001 e il Rosé Radijan, mentre fra i Vini si annoverano “Terre di Franciacorta Bianco”, Terre di Franciacorta selezione Sottobosco”, “Terre di Franciacorta Rosso” e “Pinot Nero del Sebino l’Arturo”. La Cantina produce anche alcuni distillati come la “Grappa di Franciacorta Acquaforte”, il “Distillato d’uva di Franciacorta” e il “Distillato di vino di Franciacorta”. Confermando le potenzialità del

territorio i vini di Ronco Calino si distinguono, quindi, per il loro carattere peculiare, dovuto alla particolare esposizione dei vigneti, che ritarda la maturazione dei grappoli. Le emozioni che si provano degustando questi prodotti, dai Brut ai grandi millesimati, raccontano uno stile di vita, un modello culturale, un approccio intrigante al bere e all’accostamento con il cibo durante tutto il pasto. Chiudiamo queste brevi note con le parole di Paolo Radici: “Così come il buon vino scaturisce da un’opera congiunta dell’uomo e della natura, l’arte del bere non può che nascere ed accrescersi nella sapienza di chi produce e dalla capacità di apprezzare di chi beve. Questo è il pensiero che mi ha accompagnato in questi anni nella ricerca del “buon bere” inteso sempre più come passione e amore per la terra che produce e per l’uomo che sapientemente, nel rispetto delle tradizioni e dell’ambiente, trasforma”. Notizia inviata da Angelo Lo Rizzo

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Il Don Antonio di Morgante La storia climatica siciliana degli ultimi anni attraverso è stata letta in una verticale del suo vitigno più rappresentativo, il nero d’avola, utilizzando come strumento di lettura una delle aziende più rappresentative in questo campo, i Morgante ed il loro vino “Don Antonio”. L’incontro – tenutosi a Catania lo scorso 7 febbraio alla presenza di numerosi appassionati - è stato guidato da Carmelo Morgante, che ha

Carmelo Morgante

raccontato in prima persona le vendemmie ed il clima degli anni passati. Le annate in degustazione sono state cinque, dal 1999 al 2003, quelle che possono raccontare al meglio la storia degli ultimi quasi sin dall’inizio della produzione: “Noi imbottigliamo dal 1998 - racconta Carmelo Morgante – e siamo stati fortunati: il nostro vino è piaciuto, subito le guide ci hanno dedicato spazio ed è stato il successo che abbiamo cercato, nel tempo, di consolidare”. Durante la degustazione, a ritroso del tempo, si ha l’opportunità di sentire non solo la costanza qualitativa di questo vitigno ma anche gli effetti che il cambiamento del clima che negli ultimi anni ha caratterizzato l’enologia siciliana: alle estati caldissime e alle poche piogge invernali degli anni 90 si contrappongono, dal 2001, inverni più piovosi ed estati più miti, soprattutto nella zona di Agrigento, dove l’a-

zienda ha sede. Alla degustazione emerge chiaramente la differenza fra questi due periodi climatici: negli anni che vanno dal 2001 in poi nel prodotto si riscontra un maggior equilibrio e un impatto olfattivo particolarmente ampio, mentre gli anni della siccità e del caldo (2000 e 1999) invece conferiscono al vino una gradazione alcolica piuttosto sostenuta e dei profumi, sia pur sempre intensi, diversi. A fine degustazione uno sguardo sul futuro del vitigno: il nero d’avola è un vino che negli ultimi anni ha colpito per la sua morbidezza e la sua concentrazione ma il suo domani è dato dalla finezza e dall’eleganza. Inoltre il consumatore e gli appassionati debbono legare il nero d’avola ai vari territorio che lo esprimono, e questo presuppone anche un cambio di mentalità: non più il concetto di vitigno, ma quello di zone. Inviato da Alberto Marcedone

Una storia vera: i maestri “Pursiteri” Quando una persona eccelle nel fare una data cosa, la si chiama maestro. Così ci sono maestri pittori, scultori, forgiatori di ferro, disegnatori e così via. Per questa ragione, non mi trovo imbarazzato nel parlare di Meni Sandron e di Gigi Padovese. Come di due grandi maestri. Miei nonni. In che cosa eccellevano? Nell’arte di “far su”, di lavorare le carni di maiale. Essi non erano comuni “pursiteri”, cioè norcini come si direbbe in buona lingua,erano degli artisti sapienti, dei maghi nello spartire le varie parti di questo animale, nel dosarle, nell’insaporirle conciandole con le più profumate droghe pagina 56

d’Oriente e nostrane. Come antichi stregoni, spargevano sulle carni la polvere di pepe e di canella, le infioravano di brocche di garofano e le spruzzavano di sugo di bianchissimi spicchi d’aglio, e vino. Le salsicce, i cotechini, gli ossocolli, i salami, le bondiole preparati da loro erano opere d’arte, veri. Capolavori, delizia degli occhi e del palato. Ma è meglio che cominci a presentarveli questi “norcini”. Gigi era un omone grande e grosso,con una forza incredibile. Meni invece era alto, piuttosto snello ma pure lui vigoroso. Il terzo personaggio del racconto è il nostro maiale, che noi allevavamo

con ogni cura, in attesa di fargli la festa. In quel giorno sentivo parlare delle sue ottime qualità: buon peso, grasso non eccessivo, bella carne. Meni e Gigi si presentavano alla mattina presto e venivano accolti da un fuoco scoppiettante, un bicchiere alto di grappa e, già steso sulla tavola, ammazzato, pulito, sventrato, il bellissimo porcello. Essi si toglievano la giacca, si fasciavano la vita con una falda ed iniziavano il lavoro di squartamento e di divisione delle parti. Ed è a questo punto che noi ci alzavamo e scendevamo in cucina. Il fatto era troppo divertente ed insolito per cui noi ragazzi ci sentissimo di andare a scuola. Perciò erano pianti, suppliche, Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


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invocazioni, promesse di aiuto, di “stare buoni”, da strappare le lacrime anche al cuore più duro. Così immancabilmente, stavamo a casa.. Appena dato il consenso, la nonna e la mamma subito ci ricattavano: “Corri qui, va là, porta questo, pulisci quest’altro” e chi più ne vuole, più ne metta. Non ci facevamo pregare ed ubbidivamo come schiavi per un oretta,finchè il pericolo della scuola fosse passato. Anzi per avvalorare quanto fossimo necessari, nell’eseguire le incombenze andavamo di corsa ed approfittavamo di qualche pezzetto di lardo caduto a terra per fare degli scivoloni meravigliosi. “Poareto, susto fato mal? Sta’ atento, benedetto!” Ci alzavamo di scatto e proseguivamo nel porgere aiuto, ma calando il tono a mano a mano che il tempo passava. Intanto, sulla tavola apparivano delle montagnole di carne macinata ed ogni montagnola aveva un suo profumo ed un suo colore: scura o rosata per le “luganeghe”, rossa per i salami, a chiazze bianche e scarlate per i “museti”. Meni e Gigi lavoravano instancabili, uno di fronte all’altro,senza muoversi dai loro posti di combattimento. Chi veniva spostato continuamente era il fiasco di vino, c he veniva a trovarsi ora presso uno, ora presso l’altro lavorante. Mi piaceva come bevevano. Afferravano il fiasco (ed anche se le loro mani erano tutte unte di grasso non se lo lasciavano scivolare), versavano nel bicchiere con uno svelto glu glu e d’un fiato il vino scompariva nelle loro gole. Al che mandavano un prolungato

“ahhh!” che indicava tutta lo loro soddisfazione. A capo della tavola c’era la macchina per la quale usciva il macinato che andava a riempire i budelli lisci, lucidi, lunghi. Noi ci davamo il turno a girare la ruota. La carne passava, il budello scorreva bello e pieno e scivolava sulla tavola. Gigi lo impugnava, lo stozzava, e faceva arrotolare spago. E metri e metri di salsicce gocciolanti venivano appese alle stanghe. Il nostro contributo però diventava a questo punto più d’intralcio che d’aiuto, e una vola fu proprio Meni che, per liberarsi di noi, disse: ”ragazzi, ora ci occorre lo stampo dei salami. Prendete la cariola ed andate a farvelo dare dalla moglie di Gigi”. Lo stampo dei salami? Che attrezzo sarà stato mai? Era un ordine, e poi andare per la strada con la carriola poteva essere divertente. E partimmo. Ma la moglie di Gigi, alla nostra richiesta, rise che non vi

dico e ci caricò sulla carriola un sacco voluminoso, del peso di almeno trenta chili, chiuso in testa con uno spago, raccomandandoci di non farlo cadere. Arrivati a casa,scaricammo il sacco, lo sciogliemmo e, ammutoliti, ci accorgemmo che non eraaltro che un vecchissimo ciocco. Con fatica lo portammo in cucina e non preferimmo parola. I mustacchi dei due uomini vibrarono divertiti. Incassammo il colpo e facemmo finta di niente e poi, pian piano, senza farci accorgere, lo gettammo sul fuoco. Allora le fiamme e le faville sprizzarono altissime e di mille colori e noi ci ponemmo seduti attorno al focolare aspettando che ci rosolassero le costicine. Dopo un bel po’ di tempo i due burloni si accorsero che i beffati si erano vendicati e Gigi, rosso in volto ed arrabbiatissimo, gridò: “ostrega, che bel afar che go fato! Sto scherzo el me ga costà El nadalin!”. Racconto inviato da Mario Sandron

Il carretto siciliano Raffinato emblema figurativo di un’epoca, il carretto siciliano è, insieme, arte, maestria artigianale, civiltà contadina, storia, cultura popolare, personaggi, fede. Principalmente mezzo indispensabile per il trasporto di persone e di merci, dal 1800 fino alla metà del 1900, fu considerato una sorta di libro viaggiante, per gli episoIl Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

di storico letterari, epico cavallereschi, religiosi e di vita quotidiana raffigurati sulle sponde e su ogni altra sua parte. Ha origini antichissime. I primi esemplari vennero chiamati “straula”, erano senza ruote e servivano per il trasporto dei covoni di grano. pagina 57


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Poi, per meglio rispondere alle esigenze d’uso, vennero modificati e costruiti con un’asta che permetteva di trainarli con i buoi e di utilizzarli per le attività agricole. Nel 1800, ancor più migliorati ed adeguati ai bisogni, presero il nome di carretti; e per velocizzare i tempi di trasporto, ai buoi, vennero preferiti i muli. In quella fase evolutiva, per renderli più gradevoli alla vista, alcuni carrettieri cominciarono a dipingerli passandovi sopra una sola mano di colore; di preferenza il giallo, il blu o il grigio. Ma lo stimolo a renderli ancor più belli non si fermò lì, anzi! Da lì avviò la sua affascinante evoluzione “artistico-estetica”. L’etnologo Giuseppe Pitré tramanda che i primi carretti colorati con un fondo di giallo, già presentavano, sulle fiancate, rozzi disegni di cesti con frutta, di santi, di teste, di fiori, di fette di mellone. La strada verso la trasformazione del carro in una vera opera d’arte e verso l’arricchimento delle decorazioni fu breve; gli “artisti artigiani” con tutta la loro verve e fantasia si dimostrarono abilissimi nel realizzare carretti dotati di sagome ed intagli ideali per far eseguire, a bravi pittori, pregevoli elaborazioni iconografiche del folklore siciliano. Nacquero così quei carretti che sulle loro fiancate rappresentavano la conquista dei normanni, lo sbarco di Garibaldi, la rivolta dei vespri siciliani, le crociate, sagre, leggende, momenti di vita drammatica, quali quelli della cavalleria rusticana, e tanto altro. La passione per i carretti sortì una sorta di sfida tra i carrettieri, che fecero del tutto per avere quello più bello. E per questo sorsero delle scuole di decorazione, soprattutto a Palermo ed a Catania. Le prime decorazioni delle fiancate sono legate agli ex voto. Quale devozione e testimonianza religiosa venivano raffigurate immagini della Madonna e dei santi, per l’alta riconoscenza del carrettiere, in omaggio alle grazie ricevute, e per tenere a

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debita distanza il male. Via via, tutto ciò fece alimentare il desiderio di rendere il proprio carro più bello di quello degli altri... ed aprì, di fatto, la disputa sortendo la corsa verso la più eccelsa decorazione. Quasi tutti i proprietari di carretti (dunque, anche i non carrettieri di professione) commissionarono agli artigiani ebanisti ed ai pittori più abili, quei veri capolavori scolpiti e dipinti su legno, che, ancor oggi, rappresentano gli importanti eventi storici, i momenti di vita, i personaggi famosi, le feste popolari, le più affollate sagre paesane di grande interesse a quel tempo, i paesaggi, i monumenti più conosciuti. Capolavori che restano espressioni di pura genialità popolare. In quell’ epoca, peculiari elementi di orgoglio per il carrettiere. Nel pieno della moda dei carretti dipinti le decorazioni rallegravano parecchio il conducente, soprattutto nell’ambito del suo lavoro, e specialmente nei non rari momenti dei complimenti, che, con far solito, gli estimatori gli elargivano generosamente. Ma, come tutte le mode, anche que-

sta volse alla fine. Era l’inizio degli anni ’60: le motoapi, prendevano, per ovvi motivi, e per le esigenze principali di comodità e velocizzazione dei servizi di trasporti, il loro posto. Così, l’uso del carretto, venne, in larga maggioranza, gradualmente, accantonato. Oggi, il carretto, tranne rarissimi casi in certe zone dell’entroterra siciliano, appare solo per sfilate; o fa bella mostra di sé in appositi musei. Dove viene curato e custodito da amatori, che, a tutela della sua storia, hanno dato vita ad associazioni culturali con lo scopo di tramandarne il culto. Si tratta soprattutto di nipoti o figli degli ultimi carrettieri, eredi di qualche invidiabile capolavoro, che, per non far sparire quella memoria, e nel contempo, per tramandare la genialità di artisti popolari, l’operosità contadina, la storia, le tradizioni e la cultura contadina della terra di Sicilia, organizzano, nel contesto di manifestazioni folcloristiche, delle spettacolari sfilate con l’affascinante e raffinato emblema di un’epoca. Notizia Inviata da Attilio L. Vinci

Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


In Famiglia

Il nuovo direttivo della Fisar Firenze inizia con Telethon e con nuovi sommelier

La Delegazione FISAR di Firenze ha un nuovo consiglio direttivo composto da: Laura Maggi (Delegato), Andrea Seroni (Segretario), Alessandro Bombardelli (Tesoriere), Andrea Ruggini (Consigliere), Stefano

Pucci (Consigliere) e un nuovo Collegio dei revisori composto da: Stefano Alessi (Presidente), Giacomo Nucci (revisore), Matteo Malquori (revisore). A dicembre nello splendido Salone dei Cinqucento di Palazzo Vecchio, con il patrocinio del Comune di Firenze, si è tenuto il Gran Galà di Telethon, l’annuale manifestazione in sostegno della ricerca scientifica sulle malattie genetiche ricca di eventi culturali, musica, arte, sport e animazione. Durante la serata è avvenuta la consegna dei trofei BNL Telethon a vari rappresentanti dello sport, delle forze dell’ordine e della comunicazione fra i quali il conduttore televisivo Carlo Conti. La

Delegazione FISAR di Firenze ha apportato il proprio contributo alla manifestazione con la presenza dei propri sommelier. Diciannove nuovi sommelier a Firenze: Barbara Baggiani, Giovanni Ballerini, Giulia Bartalucci, Pasquale Cantisani, Gaia Cappelli, Misuck Choi, Emiliano Concilio, Anna Damiani, Dino Del Re, Marco Guelfi, Yoshie Hanamura, Matteo Malquori, Roberta Perna, Luca Soletti, Irene Burberi, Agnese Zatini, Alessandro Berti, Giovanni D’Alessandro, Andrea Losi. Notizia inviata da Laura Maggi della Delegazione di Firenze

Anteprima con la Fisar di Messina Il delegato della Fisar di Messina, Irene Picciolo, insieme all’enologo dell’azienda Silvio Centone hanno avuto il compito di fare gli onori di casa – negli splendidi locali del ristorante del prestigioso Hotel Hilton di Portorosa con il suo straordinario chef Rocco Raneri – per l’anteprima nazionale del nuovo vino di Rapitalà: “Bouquet”. È un vino profumatissimo, da 12,5 gradi alcolici, dal colore oro chiaro con riflessi verdi, con al naso dai sentori di fiori e frutti tropicali e dal sapore equilibrato e fruttato, che lascia al palato delle piacevoli note di agrumi. “Trovo questo vino particolarmente intenso nei profumi, molto complesso, di una elevata persistenza in bocca e ben equilibrato – conferma Irene Picciolo – L’abbinamento con gli scampi e i crostacei che lo chef ha proposto è stato eccezionale, ma è un vino che in tavola può spaziare a tutto campo. È facile pronosticare che sarà accolto molto bene perché è un prodotto molto beverino, alla portata di ogni palato, particolarmente gradevole”. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

Silvio Centonze non nasconde la propria soddisfazione per il risultato ottenuto: “Bouquet è un prodotto che sposa il Grillo, che conferisce al vino una grande aromaticità, al Sauvignon – che mi consente di mantenere un perfetto equilibro fra dolce, salato e giusta acidità – e al Viogner che conferisce al vino un aroma molto fine, soprattutto al gusto. Il risultato è un prodotto molto innovativo ed intrigante”. Per ottenere gli straordinari profumi che questo vino presenta al naso le tre uve sono raccolte in epoche diverse l’una dall’altra, dal 25 di Agosto al 25 di settembre, ed immediatamente raffreddate per lavorarle il meglio possibile in fase di vinificazione; inoltre durante la pressatura – per esaltarne la qualità – le uve, il Grillo in particolare, vengono trattate in assenza di ossigeno, sotto un battente di azoto, ed eliminando il più possibile l’aria sia in fase di lavorazione che in quella di imbottigliamento. “Il mercato ha risposto molto bene a questo nuovo prodotto – continua Silvio Centonze – e la produzione prevede un lancio di 80.000 bottiglie,

con un prezzo medio in enoteca di circa 10 euro. L’idea dell’azienda è quello di raggiungere 200.000 bottiglie annue nell’arco di 4/5 stagioni”. La cena è stata accompagnata da una selezione dei vini dell’azienda quali lo “Chardonnay Grand Cru” del 2005, il “Nuhar” 2005 ed il “Solinero” del 2004, cui lo chef Raneri ha accoppiato, tra le varie portate, una splendida tartara di tonno marinato all’aceto balsamico ed un ventaglio di petto d’anatra. Se si considera che questa serata è stata il matrimonio della buona cucina con uno splendido vino, nessuno si stupirà se alla fine è stato scherzosamente proposto “il lancio del Bouquet”. Notizia inviata da Alberto Marcedone pagina 59


In Famiglia

La Fisar di Piacenza consegna i diplomi da sommelier Si è svolta nella bella cornice del Ristorante “Antica Osteria della Pesa”, in Località Scottina di Cadeo (Piacenza), la serata conviviale per gli Auguri Natalizi della Delegazione FISAR di Piacenza. Portata principale del ricco menù è stata la Consegna dei diplomi a nuovi 15 Sommelier. Ecco i nomi dei neo colleghi: Bassi Giuseppe, Bongiorni Cristina, Bonoldi Stefania, Campominosi Federica, Capelli Stefano, Buzzetti Germana, Damiani Rossana, Di Stefano Umberto, Fontana Alessandro, Lazzari Giuseppe, Lillo Giovanni, Maggi Angelo, Montanari Ivan, Scaccianoce Andrea, Stragliati Michele. I diplomi sono stati consegnati ai neo sommelier dal Delegato Provinciale Massimo Ghezzi, dai Direttori del corso Elena Simonetti e Silvano Piccoli e dai graditi ospiti alla serata, il Presidente della sezione Provinciale Coldiretti, Sig. Sandro Calza, ed i produttori Elisabetta Montesissa e Filippo Zerioli, titolari delle omonime cantine.

Nell’occasione è stato premiato mediante la consegna del Bicchiere d’argento il sommelier Matteo Cordani. E per il Menù, queste le portate: Purea di patate con verza stufata e calamari grigliati alla salsa di tartufo, Soufflé di zucchine e melanzane con crema di peperoni, Pasta al torchio con totanetti e peperoni e fave, Risotto alla salsiccia e rosmarino con ragù di creste di gallo, Reale di maialino da latte con

cipolle di Tropea al balsamico e mele caramellate, Spuma al caffè e meringhe con salsa di cioccolato. I vini serviti sono stati: Greco (Di Majo Norante, Molise, 2006), Sauvignon (Az. Gigante, COF Friuli, 2006), Côtes du Rhône rouge (G. Duboeuf, Francia, 2005), Apinae “Moscato del Molise” (Di Majo Norante, Molise, 2005). Notizia inviata da Daniele Fogliazza della Delegazione di Piacenza

Consegna degli attestati dei mini corsi alla Fisar di Viareggio A marzo, presso l’Enoteca “Non Solo Vino” di Viareggio, del sommelier FISAR Henry Prosperi, alla presenza del Delegato Versilia Andrea Baglietti e del Docente del corso stesso, il sommelier FISAR Luca Iacopini, si è svolta la cena per la consegna degli attestati di frequenza ai 12 soci che hanno frequentato il Mini-Corso. pagina 60

Gli attestati, pertanto, sono stati consegnati a Elena Campera, Elisabetta Alderighi, Letizia Brocchini, Patrizia Gambogi, Simone Costantino, Tiziana Baldassarri, Mirko Zaia, Nicola Paoli, Rocco Martini, Stefano Santini, Matteo Tognetti e Maurizio Reale. Nel corso della cena, si è svolta

anche una degustazione (alla cieca) di tre vini, già proposti durante il mini-corso, con in palio un Sassicaia 2003 che è andato in premio al socio Rocco Martini. La Delegazione Versilia, ringrazia i partecipanti al Corso, il Docente Luca Iacopini, ma soprattutto, sia per la disponibilità che per la generosità, il patron dell’Enoteca “Non Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


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Solo Vino”, oltre al sommelier Henry Prosperi, il quale, nel corso delle cinque lezioni e di questa serata finale, di sua spontanea iniziativa e senza poi nulla chiedere, ha preparato per i partecipanti dei piatti prelibati, accompagnati da vini strepitosi, quali il Sassicaia, un Barbaresco di Gaia, il Giusto di Notri, noti Champagne e il prestigioso Chateau d’Yquem, riscuotendo, ovviamente un grande successo! Invitiamo, pertanto, tutti coloro che verranno a Viareggio, di visitare l’Enoteca “Non Solo Vino”, per una cena, per una bottiglia o per un bicchiere importante. Troverete un nostro sommelier, che vi aiuterà senz’altro a fare la scelta giusta. Notizia inviata da Piero Lapiana

Alla Fisar della Valdera di Pontedera “Cioccolato e Gospel” La delegazione Fisar della Valdera di Pontedera, è promotrice di iniziative che coinvolge sia soci sommelier e i non soci come in questa foto scattata in occasione della serata dedicata al “Cioccolato e Gospel” 3a edizione, organizzata presso il Rist. Il Poeta, con la partecipazione del Coro San Jacob e patrocinio del Comune di Santa Maria a Monte, svoltasi in febbraio. Da questa immagine si evince quanto ci divertiamo anche se stanchi a seguito delle ore piccole che facciamo nel concludere la serata e le varie mansioni che assumiamo, ma predomina lo spirito di gruppo e goliardico, che ci accumuna. A conclusione di tutto finiamo con una bella “pizzata” alle 3 del mattino. I nomi dei partecipanti: Sandra, Marco, Luciano, Massimiliano, Alessandro, Nicola, Monica, Francesca, Stefano, Manuela, Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

Claudia, Daniela e fuori foto Carlo, Marino, Alessandro, la fotografa è di Maila.

Notizia inviata da Daniela Mattiacci pagina 61


In Famiglia

Consegna attestati alla Delegazione di Pontedera-Valdera Venerdì 14 marzo si è svolta la cena presso il ristorante “Da Vito” ad Orientano (PI), per la consegna degli Attestati ai nuovi Sommelier Fisar della Delegazione Storica di Pontedera – Valdera. La cena ha seguito un menù nel rispetto della tradizione Toscana, affiancata da dei vini di altrettanto interesse enologico, il primo vino è stato il Vermentino “Valentina” Doc Val di Cornia 2007 Azienda Gualdo del Re – Suvereto (LI), a seguire lo Yantra 2006 IGT Toscana e l’Indaco 2004 IGT Toscana Tenuta dei Sette Cieli Monteverdi Marittimo (LI)- Vini di spiccato interesse visto anche l’uvaggio con cui sono fatti: Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Malbec e Merlot. Per finire Moscato d’Asti DOCG 2007 Azienda Massolino di

Serralunga d’Alba A seguito del corso svolto con il Patrocinio del Comune di Castelfranco di Sotto, per la formazione professionale con qualifica di Sommelier, gli allievi che dopo circa due anni di studio hanno superato gli esami sia scritti che pratica/orali sono stati 16. Durante la cena sono stati insigniti i nuovi sommelier con il Taste Vin simbolo storico di questa professione dal Direttore del Corso

Alessandro Ciompi. Presenti per questa occasione il Sindaco di Castelfranco Sig.re Umberto Marvogli, che va il nostro ringraziamento per l’attenzione e disponibilità dimostrata nei confronti della nostra Associazione e il Responsabile del Centro Tecnico Nazionale Sig.re Alberto Giustarini. Seguono i nomi dei 16 nuovi sommelier: Bagnoli Giordano, Bellagamba Mauro, Falchi Oietro, Ferrini Andrea, Fluvi Davide, Gennai Sauro, Macelloni Francesco, Malventi Marco, Nuti Gabriele, Papineschi Vasco, Pistolesi Cristina, Ponziani Morena, Raducei Alexander, Ronci Gherardo, Ruberti Andrea e Vallini Paolo. Notizia invia da Claudia Marinelli della Del. di Pontedera-Valdera

La Delegazione di Bareggio festeggia i suoi nuovi sommelier Si è svolta la consegna degli attestati ai sommelier della delegazione di Bareggio, presso il ristorante D’O di Davide Oldani. La cucina del famoso chef stellato Michelin e i vini accuratamente scelti dai nostri Sommelier hanno saputo dare un tocco speciale alla serata. Ecco l’elenco dei sommelier che andranno ad aggiungersi alla ormai nutrita schiera in forza alla Delegazione di Bareggio: Flavio Danesi, Stefano Cocchi, Silvia Barboncini, Deborah Traversa, Andrea Boccotti, Laura Merli, Simone Pellicani, Francesco Rosa, Davide Lo Presti, Donatello Rinaldi, Massimiliano Bubba, Rotondi Licia, Somma Fabio, Vignali Massimo, Zanini Massimo, Zonca Ivan, Oldani Umberto, Camerino Rossella, Benetti Massimiliano, Callini Francesco, Collu Piero, Ferretti Mario, Fregonese Paolo, Lazzeri Andrea, Spalla Michele, Pastori Davide, Pastori Daniele e Pedretti Elia. Le prossime inoiziative della delegazione sono visibili su www.enoteca-maggiolini.it. pagina 62

Notizia inviata dalla Delegazione di Bareggio

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In Famiglia

Grande degustazione alla Fisar di Vercelli A marzo, presso la propria sede in Via Galileo Ferraris, i Sommelier della Delegazione FISAR di Vercelli e Biella hanno dato vita a una grande degustazione di vini dell’Azienda

“Tenuta dell’Ornellaia”. Nella splendida cornice del salone ottocentesco si sono potute apprezzare la annate 2003, 2002, 2001, e 2000 dell’Ornellaia in una superba verti-

cale di uno dei vini più famosi al mondo. Dopo una breve presentazione della serata da parte del delegato Claudio Valenza e dell’azienda curata dal consigliere nazionale Luigi Terzago le degustazioni sono state guidate dagli stessi sommelier Valenza e Terzago per le annate 2002 e 2000,mentre la degustazione delle annate 2001 e 2003 hanno visto come protagonisti i sommelier Paolo Baltaro e Corrado Pasqualin che ne hanno descritto il profilo organolettico. Al termine della degustazione ha fatto seguito una deliziosa cena con l’anticipazione,da parte del delegato,di quelle che saranno le attività del 2008 inerenti a corsi e manifestazioni. Notizia inviata da Corrado Pasqualin

La FISAR di Venezia a NATURE Fiera del naturale e del benessere. Forte Marghera Venezia 25/27 aprile 2008 Una sede piena di fascino e suggestione, un luogo storico e naturale di incredibile bellezza, cornice ideale per un importante evento, grazie alla particolarità dei suoi spazi: l’ex “Forte Marghera”. Ubicato a Mestre (VE), eretto dagli Austriaci per difendere la città lagunare via terra, il Forte è ora gestito dall’Ente VENEZIAFIERE, che lo ha scelto come centro veneziano più idoneo per ospitare il grande evento “NATURE”, fiera del naturale e del benessere. Giunto alla sua quarta edizione, dopo il successo ottenuto nel 2007 con 150 espositori e più di 15.000 visitatori, Forte Marghera ha offerto dal 25 al 27 aprile ben 20.000 mq di spazio dedicati a: ALIMENIl Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

TAZIONE - SALUTE - AMBIENTE. Particolare attenzione è stata riservata al settore alimentare, con la predisposizione di spazi esclusivi per presentare i prodotti proposti dalle aziende espositrici. Nello specifico erano presenti due zone denominate OFFICINA DEL GUSTO ed ENOTECA. La prima zona intendeva promuovere l’educazione agro-alimentare, dove le stesse aziende espositrici sono state protagoniste, presentando assaggi guidati dei loro prodotti e abbinamenti ideali tra cibo e bevande, in collaborazione con FISAR. L’Enoteca era invece l’area, dedicata alla presentazione di una trentina tra le migliori produzioni vinicole italiane, gestita dalla FISAR di

Venezia, che ha partecipato a Nature con la sua squadra di Sommelier, a disposizione del pubblico, per far degustare e apprezzare i vari vini. L’evento è stato pubblicizzato con enfasi sui media, sia TV e Radio locali, sia quotidiani e riviste. Durante la manifestazione vi è stata l’occasione per gli espositori vitivinicoli di incontrare gli operatori di settore, grazie ad una visita promossa da Veneziafiere che ha portato a Nature ristoratori, albergatori e rivenditori. Si è trattato quindi di un contesto ideale, in perfetta armonia con la “mission” della FISAR! Notizia inviata da Giorgio Pennazzato Delegazione di Venezia pagina 63


In Famiglia

Consegna diplomi Sommelier Fisar Viterbo

Nella cornice del Ristorante Italia di Montefiascone il 23 febbraio scorso, la Delegazione di Viterbo ha festeggiato i suoi nuovi sommelier, mentre la cantina Falesco ha offerto i vini che hanno allietato e dato lustro alla cena di gala. Come tutti sanno la Falesco rappresenta un vanto per tutta l’enologia della Tuscia, da anni ormai consolidata ai massimi vertici di qualità con i suoi vini realizzati dal genio dei fratelli Cotarella. Alla Falesco si deve, infatti, la riscoperta in chiave moderna dei 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

Ambrogini Marco Anselmi Angelo Bachiorrini Ilaria Benucci Franca Biagetti Annalisa Brachetti Giuseppe Cima Ilaria Frassinetti Simona Grimaldi Carlos Alberto

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vini rossi di questa zona tra i quali il Montiano rappresenta un vero e proprio punto di riferimento a cui negli ultimi tempi si sta affiancando lo splendido Marcigliano. Grazie appunto alla splendida collaborazione della direzione dell’azienda, abbiamo cosi avuto modo di assaggiare l’Est Est Est Poggio dei Gelsi; il Ferentano, vino varietale a base di Rossetto; il Tellus, nuovo prodotto a base di Merlot e Syrah; il Montiano 2004; il Marcigliano Igt Umbria, a base di 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17.

Inzinna Domenica Lanzetti Luciano Manzi Stefano Meloni Aurelio Meloni Alberto Minciotti Riccardo Naticchioni Cristiano Palombini Carlo

Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon e, per finire. il passito Passirò. Durante la cena il direttore generale della Falesco, Pier Paolo Chiasso ha commentato tutti i vini, e illustrato la storia della cantina, invitandoci nelle prossime settimane nella nuova cantina di Montecchio. Durante la riuscitissima cena, cui hanno partecipato rappresentanti della stampa locale, sono stati consegnati gli ambiti taste-vin ai 25 nuovi sommelier di seguito elencati: 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25.

Pasquini Antonio Piras Antioco Sanna Emanuela Torrigiani Giuseppe Zannoni Mario Guerrini Katia Porroni Paolo Lupi Moira

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Redazionale

“La cultura del bere per il rispetto della vita” è stato il titolo del convegno che si è svolto a Verona sabato 5 aprile ore 15 presso la Sala Respighi in occasione del Vinitaly 2008 con il patrocinio del Ministero della Salute, del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, di Assoenologi, dell’Enoteca Italiana, del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano e dell’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana.

La

di Piera Genta

cultura culturadel bere per il rispetto rispetto della

L’attualità del tema trattato e l’autorevolezza dei relatori ha fatto registrare una notevole affluenza di giornalisti, sommelier e pubblico e ha dato vita ad un interessante dibattito. “La cultura del bere per il rispetto della vita” dovrebbe proprio essere il claim degli anni a venire per tutti noi che siamo in un modo o nell’altro degli educatori. Il presidente nazionale Fisar, Vittorio Cardaci Ama, ha ricordato come ogni giorno e soprattutto il lunedi i giornali riportano le cifre degli incidenti stradali dovuti all’abuso di bevande alcooliche. Lo sballo del sabato sera, un fenomeno che arriva dal Nord Europa, è uno stile di vita estremo che deve essere fermato con una attenta comunicazione senza demonizzare una bevanda naturale come il vino. Proprio a questo proposito la Fisar ha fatto condurre una ricerca sul tasso alcolemico di fine lezione tra le persone che partecipano ai corsi per diventare sommelier. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

vita

L’indagine, condotta dal dott. Sergio Pintaudi, direttore del Dipartimento di Emergenza Ospedale Garibaldi di Catania, ha fornito un quadro interessante sulle modalitàdi eliminazione dell’alcool. Con la regolamentazione attuale che prevede che il tasso alcoolemico nel sangue non debba superare 0,5 g rammi per litro, come previsto anche nel resto d’Europa, i corsisti che si sono sottoposti alla misurazione eseguita con l’utilizzo di un etilometro fornito dalla Polizia stradale erano tutti fuori norma. Inoltre c’è da registrare una grande variabilità nella metabolizzazione dell’acool: la donna raggiunge prima il tasso alcoolemico consentito e lo smaltisce più lentamente; altre variabili sono il peso e l’età del soggetto. Sulla base di questi risultati ed in attesa di ampliare la ricerca è stato suggerito di inserire la degustazione all’inizio della lezione e di consigliare ai corsisti di non mettersi subito alla guida. Una ricerca condotta recentemente dall’Istat

Occorre sviluppare una valida alternativa alla cultura del bere, coinvolgendo le famiglie, educando i giovani ad un consumo che non sfoci nell’abuso

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Redazionale

FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI RISTORATORI

Sabato 5 Aprile ore 15 Convegno F.I.S.A.R. sul tema

Sala Respighi - Palaexpo

Con il Patrocinio di: MINISTERO POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI

Ministero della Salute

ha rilevato una maggiore diffusione del consumo di alcolici tra i ragazzi di età compresa tra 11-15 anni soprattutto fuori pasto, in particolare tra le ragazze e di conseguenza un incremento degli episodi di ubriacatura proprio tra i minorenni, non ancora in grado di metabolizzare adeguatamente le sostanze alcoliche. La dott.ssa Silvana Lilli, dell’Enoteca Italiana di Siena, ha illustrato il «Progetto Giovani» nato negli anni 90 con il coinvolgimento del Ministero dellle Politiche Agricole. L’obiettivo del progetto è quello di “insegnare” alle nuove generazioni il modo migliore per avere un rapporto sano con il vino, una bevanda di origini antichissime, presente su tutto il territorio nazionale e simbolo indiscusso del made in Italy nel mondo. La prima fase della durata di tre anni è ormai conclusa e sta per iniziare il secondo ciclo di attività in cui si vuole migliorare la formazione degli operatori a contatto con adolescenti e giovani adulti, continuare gli incontri di sensibilizzazione negli atenei italiani con l’intervento della figura del sommelier. Giorgio Serra, Responsabile settori Vini Buonitalia, ente partecipato dal Ministero delle Politiche Agricole ha acolto la sfida di essere presente al convegno, proprio perché Buonitalia promuove l’eccellenza agroalimentare italiana nel mondo ed il vino è la vera icona dell’Italian style. L’attività di Buonitalia è rivolta a mercati

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I sommelier della Versilia incontrano la Polstrada Lunedì 31 Marzo 2008, presso il Ristorante Ulisse di Seravezza del sommelier Mario Fiori, si è svolta un’interessante serata, organizzata dal delegato della Delegazione Versilia in collaborazione con la Polstrada di Viareggio. Il tema della serata era “l’abuso di alcool nella guida e il funzionamento dell’etilometro. Alla serata hanno preso parte l’Ispettore Capo della Sotto-Sezione della Polstrada di Viareggio, Domenico Manieri, il Sovrintendente Angelo Marino e il Dott. Gino Barbacci, medico presso l’Ospedale Versilia. Sono stati illustrati le sanzioni e i rischi derivanti dall’abuso di alcool nella guida, sia dal punto di vista del Codice della Strada che medico-legale. La serata è poi proseguita con l’assaggio di due vini per poi terminare con una prova a campione dell’alcool-test prima e dell’etilometro poi, per verificare il grado di alcolicità delle serate che, periodicamente, vengono organizzate dai sommelier per i propri soci.

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Nessun test ha dato esito positivo, il tasso era nei parametri di legge. La Delegazione FISAR Versilia ringrazia il Dott. Diquattro della Polstrada di Lucca per la sua disponibilità e la collaborazione. Notizia inviata dalla Delegazione Versilia

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Redazionale

esteri ed a quelli emergenti come l’India, il Giappone ed il Brasile. È fondamentale quindi assumere un approccio diverso per promuovere il vino recuperando lo stile di vita italiano, individuando i fenomeni di natura sociale che sono differenti da paese a paese ed individuando una strategia più adeguata. Luca Gattavecchi, presidente del Consorzio del vino Nobile ricorda che i greci chiamavano il nostro paese Enotria (terra del vino) per attestare la spiccata vocazione alla vitivicoltura e non solo ma dagli Etruschi ai giorni nostri il vino è cultura e mai come a Montepulciano il connubio tra vino, cultura e territorio è così radicato. Salvatore Cacciola, sociologo, responsabile di Educazione alla salute aziendale AUSL3 Catania ha tessuto un elogio della lentezza e della riflessione ed ha puntualizzato tutti gli aspetti socio-antropologici della cultura del buon bere. Roberto Rabachino, Presidente Nazionale Associazione Stampa Agroalimentare

Italiana, ha ribadito l’importanza che riveste la comunicazione di settore come veicolo di sensibilizzazione sociale ed ha puntualizzato che gli operatori del vino non devono limitarsi a consigliare il corretto abbinamento cibo e vino ma devono educare al bere consapevole e buono. Occorre sviluppare una valida alternativa alla cultura del bere, coinvolgendo le famiglie, educando i giovani ad un consumo che non sfoci nell’abuso migliorando la formazione teorica e pratica di quanti lavorano a contatto con i giovani. Dioniso, in una commedia di Eubulo, raccomanda: “Tre coppe di vino non di più, stabilisco per i bevitori assennati. La prima per la salute di chi beve; la seconda risveglia l’amore ed il piacere; la terza invita al sonno. Bevuta questa, chi vuol essere saggio, se ne torna a casa. La quarta coppa non è più nostra, è fuori misura; la quinta urla; sei significa ormai schiamazzi; sette occhi pesti; otto arriva lo sbirro; nove sale la bile; dieci si è perso il senno, si cade a terra privi di sensi”. E noi non vogliamo arrivare a questo.

la donna raggiunge prima il tasso alcoolemico consentito e lo smaltisce più lentamente

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Da sinistra i relatori del Convegno: Sergio Pintaudi, Salvatore Cacciola, Vittorio Cardaci Ama, Roberto Rabachino, Giorgio Serra, Silvana Lilli, Luca Gattavecchi. Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

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La segreteria comunica

Domenica 6 aprile lo stand della Carpenè Malvolti ha ospitato i sommelier Fisariani per un’occasione davvero speciale: i 25 anni della nostra rivista.

di Mario Del Debbio

Al Vinitaly festeggiati i

25 anni della rivista “ilil Sommelier Sommelier” Era il 1983 e la FISAR che già da 11 anni si occupava di formazione professionale, mandava in stampa il primo numero de “il Sommelier”. Nato come semplice strumento associativo nel giro di pochi anni ha iniziato ad occuparsi in maniera sempre più ampia di enogastronomia. Con l’avvento di Roberto Rabachino e grazie agli sforzi di tutta l’associazione, “il Sommelier” è oggi una delle più apprezzate riviste di settore. Molti sono stati gli ospiti che hanno voluto brindare con il Comitato di Redazione rappresentato per l’occasione dal Presidente Vittorio Cardaci Ama, dal Direttore Responsabile Roberto Rabachino e dal sottoscritto.. Primo fra tutti il Sommelier onorario Marcello Masi (Direttore della rubrica Rai Eat Parade) che ha ricevuto il più caloroso degli applausi all’annuncio della sua collaborazione con la nostra rivista. Al taglio della torta, sulla quale era stata riprodotta con maestria dai pasticceri Carlo e Alessandro Conati di Donegliara in Valpolicella la copertina della rivista, ha presenziato Alessia Alciati testimonial di questa ricorrenza, nonchè del nuovo concorso “DiVinando”. Al Termine della breve cerimonia, durante la quale il Presidente Vittorio Cardaci Ama ed il Uno dei primi numeri de “il Sommelier” pagina 68

Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


La segreteria comunica

Direttore Roberto Rabachino hanno parlato dei progetti futuri per una rivista sempre più professionale ed accattivante, Rosanna Carpenè ha invitato tutti gli intervenuti a brindare con l’ultimo nato in casa Carpenè: il Viogner, una delle prime espressioni del vitigno nella versione spumantizzata con metodo Charmat. La cerimonia di festeggiamento è stato l’ultimo atto ufficiale della FISAR in questo Vinitaly 2008 che ci ha visto protagonisti anche nell’apprezzato convegno sulla “Cultura del bere per il rispetto della vita”. Numerosissime come ogni anno sono state le visite al nostro stand nel quale si sono avvicendati soci ed amici provenienti da tutta Italia. Un ringraziamento particolare va ai sommelier che hanno dato la loro disponibilità a prestare servizio allo stand e si sono adoperati nella diffusione della nostra rivista distribuita quest’anno per la prima volta in tutti i 3.000 stand della fiera. Uno sforzo enorme ma senza dubbio il rega-

lo più bello che potevamo fare alla nostra rivista giunta ad un traguardo così importante.

I sommelier della FISAR allo stand della Carpenè Malvolti

Il comitato di redazione brinda con Rosanna Carpenè, Alessia Alciati e Marcello Masi Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

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La segreteria comunica

“Insieme per crescere”. Questo era lo slogan dell’ultima assemblea FISAR.

di Mario Del Debbio

All’Hotel Royal di Viareggio Viareggio si è svolta

l’Assemblea Assembleaannuale annuale FISAR Veramente tantissimi sono stati i soci che hanno partecipato sabato 19 aprile ai lavori assembleari contribuento con la loro presenza ed i loro apprezzati interventi a rendere proficua una riunione mai stanca ed a tratti molto sanguigna nella migliore tradizione fisariana. Un comportamento che altro non

fa che confermare quanto forte sia l’attaccamento all’associazione. I rappresentanti delle delegazioni, prima di approvarlo, hanno discusso attentamente il bilancio 2007 dimostrando grande responsabilità, la stessa d’altronde che viene riposta nelle gestioni locali che hanno provveduto nello stesso periodo

Veramente tantissimi sono stati i soci che hanno partecipato sabato 19 aprile ai lavori assembleari

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Il notaio al tavolo presidenziale per le modifiche allo statuto Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


La segreteria comunica

all’approvazione dei bilanci di delegazione. Non si può non guardare con grande fiducia al futuro con una base associativa pronta a dedicarsi corpo ed anima per veder crescere l’associazione. Nella parte dedicata alle variazioni dello Statuto, i soci presenti hanno dimostrato molta attenzione alle normative vigenti e le modifiche sono state votate ed approvate a larghissima maggioranza. Lo statuto modificato è già disponibile sul sito ufficiale. Molto apprezzate sono state anche le cene conviviali previste dal programma, grazie soprattutto all’ospitalità offerta dai ristoranti Gusmano ed Ulisse che con i loro Goffredo Scipioni porta il suo consueto contributo piatti hanno deliziato i palati degli interve- ai lavori dell’assemblea nuti. Un sentito ringraziamento al Consorzio del Vino di Montercarlo per i vini che ha voluto inviare e che sono stati degustati ed apprezzati da tutti. Grazie, infine, ai sommelier della delegazione Fisar Versilia guidati dal loro delegato Andrea Baglietti sempre cordiale e disponibile con tutti gli amici fisariani e al delegato di Montecarlo Roberto Forassiepi per la fattiva collaborazione. Il prossimo appuntamento è fissato per il primo weekend di ottobre. Ragusa aprirà le porte al Congresso Nazionale e alla riunione dei Delegati. La Sicilia è riuscita ad ospitare sempre grandi congressi che hanno lasciato nel cuore di noi fisariani tanta voglia di tornare. Tutti in Sicilia dunque, ed ancora una I Sommelier della delegazione Versilia. volta: “insieme per crescere”.

Vi aspettiamo al prossimo appuntamento:

ASSEMBLEA NAZIONALE DEI SOCI RAGUSA • 3/6 OTTOBRE 2008

Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008

«Insieme per crescere». Questo era lo slogan dell’ultima assemblea FISAR.

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Il CTN comunica

DiVinando è un gioco, ma anche una scommessa. Un gioco che metterà alla prova le capacità di un gran numero di nostri sommelier ed appassionati di vino. di Alberto Giustarini

un torneo a squadre tra le nostre delegazioni, dedicato al vino in tutte le sue sfaccettature

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DiVinando DiVinando Una scommessa che abbiamo deciso di tentare per creare un evento che, anno dopo anno, diventi un punto di riferimento fisso nell’attività della nostra Federazione. In che cosa consiste? Si tratta, in pratica, di un torneo a squadre tra le nostre delegazioni, dedicato al vino in tutte le sue sfaccettature. Una gara in cui, per prevalere, occorreranno conoscenze approfondite, prontezza, colpo d’occhio, spirito di squadra e, come sempre, anche un pizzico di fortuna. Ma chi vincerà sarà sicuramente, sia pure anche di poco, la squadra migliore e più meritevole. Partiamo innanzi tutto dalla composizione delle squadre. Ogni delegazione avrà il diritto di schierarne solo una, pagando una tassa di iscrizione di 150,00 euro. La squadra sarà formata da un minimo di 3 ad un massimo 5 titolari (più 3 riserve). Attenzione però: nella squadra titolare ci dovrà essere obbligatoriamente almeno una donna. Il torneo si svolgerà in due fasi: le eliminatorie e la finale. Il numero delle eliminatorie e la loro sede sarà decisa sulla base del numero delle squadre iscritte. Dalle eliminatorie usciranno le 6 squadre che disputeranno la finale, la quale avrà luogo a Conegliano Veneto, presso la sede della Carpené Malvolti, sponsor principale (assieme alla

Cristalleria RCR di Colle Val d’Elsa) della manifestazione. Le iscrizioni al torneo inizieranno il 15 maggio e termineranno il 20 giugno. Le eliminatorie si svolgeranno nella prima settimana di settembre, la finale nell’ultima settimana di ottobre. Inutile dire che ci attendiamo una grande partecipazione da parte delle nostre delegazioni. In questi giorni invieremo ai delegati il regolamento definitivo della manifestazione, nel quale saranno ovviamente spiegati in dettaglio tutti quanti i meccanismi del torneo. Quello che vogliamo sottolineare è che la difficoltà delle varie prove sarà crescente e la loro soluzione richiederà il massimo dell’impegno per ciascuna squadra. Non sarà una scampagnata. Il consiglio che vi diamo, quindi, è quello di procedere per tempo alla selezione dei componenti della squadra ed al loro allenamento. Le prove toccheranno tutti quanti i campi del mondo del vino. Insomma, sarà una sfida bellissima e difficile. Il montepremi sarà all’altezza della situazione. Oltre al canonico trofeo da conservare orgogliosamente in bacheca, ci saranno premi per tutti quanti i vincitori. La gara, dunque, sta per cominciare e vinca il migliore!

LA FISAR RINNOVA LE IMMAGINI UFFICIALI Al Vinitaly la Fisar ha presentato le nuove foto ufficiali che sono state accolte con entusiasmo dai soci giunti allo stand. Si ringraziano i sommelier Francesca Santucci e Roberto Rossi della Delegazione di Torino, il fotografo Alberto Doria per la collaborazione e la dolcissima Alessia Alciati per la simpatia e la cortesia dimostrata. Un ringraziamento particolare al Ristorante del Cambio di Torino che ci ha accolto nelle stesse splendide sale che hanno ospitato in 250 anni di vita i più bei nomi del Risorgimento e i più illustri deputati e ministri del Regno che qui si davano appuntamento per proseguire, a tavola, il dibattito politico. I nostri sommelier non potevano avere uno scenario migliore, intriso di storia, cultura ed eleganza. pagina 72

Il Sommelier - Anno XXVI - n. 3/2008


diVinando 10 Torneo tra delegazioni FISAR per Sommelier e Degustatori Eliminatorie Settembre 2008 - Finali Ottobre 2008

FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI RISTORATORI



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