Il Sommelier n.3 - maggio giugno 2010

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Organo Organoufficiale ufficialedella dellaFISAR FISAR- -Tariffa TariffaR.O.C.: R.O.C.:“Poste “PosteItaliane ItalianeS.p.A. S.p.A.- -Sped. Sped.Abb. Abb.Post. Post.D.L. D.L.353/2003 353/2003(conv. (conv.ininL.L.27/02/2004) 27/02/2004)v46, v46,art. art.11comma comma1,1,DCB Po” DCB Po”

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Anno XXVIII XXVIII -- Numero Numero 3 3 -- Maggio-Giugno Maggio-Giugno 2010 2010 Anno

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speciale

Sicilia



Comunicazione Istituzionale

Pag.

Territorio, qualità del vivere e turismo - Roberto Rabachino

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L'opinione di Marcello Masi

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La Biblioteca di Gladys News dall’Italia In famiglia

ENOGASTRONOMIA • TURISMO • CURIOSITà

Incontro con Valerie Lavigne - Nicola Masiello

Pag.

Montepulciano e Montalcino: assegnate le stelle - Nicola Masiello

India: tradizioni a tavola e in famiglia - Gudrun Dalla Via

Vino Cileno - Breno Raigorodsky

Il Veneto: una storia enogastronomica di eccellenza Saverio Scarpino

Agricola Brandini - La Morra - a cura della redazione di Quality ADV

vinitaly

2010

La F.I.S.A.R. protagonista

diVinando

2010 - Mario Del Debbio

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Fare sistema per competere - a cura della redazione di Quality ADV

Sicilia

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I vini del Lazio si presentano a Vienna - Maria Luisa Doldi notizie di enogastronomia e turismo Le a cura della redazione di Quality ADV

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Il Paese dei mille laghi - Enza Bettelli

speciale

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sommario

L’opinione del Presidente

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A Castelbrando, nel Congresso Autunnale, la verifica dei nostri impegni - Mario Del Debbio

SCIENZA • TECNICA • APPROFONDIMENTI

Il Principe dei vini Trentini: Il Teroldego Rotaliano Luca Iacopini e Massimo Bracci

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“ Presidente Vittorio Cardaci Ama per comunicare con il Presidente: presidente@fisar.com

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Un mese di Aprile denso di impegni e attività enologiche

i spengono le luci sulla grande kermesse enologica veronese e una volta calato il sipario si traggono le conclusioni circa il successo della manifestazione; sono in tanti a sbandierare cifre altalenanti sulla sempre crescente partecipazione alla Fiera, sia da parte degli espositori che dei visitatori. Dalla nostra postazione del Centro Servizi Arena, affollatissimo corridoio di collegamento tra i padiglioni. 6 e 7, dal quale transitano in tanti, quest’anno invece ho avuto la netta sensazione che la tanto decantata affluenza non ci sia stata, così come non mi è sembrata granché la “qualità” della folla, allegra e sbevazzata che ciondolava tra gli stand. A parte qualche Regione, come ad esempio la Sicilia, presa d’assalto come sempre dai visitatori, ho visto padiglioni desolatamente vuoti con espositori annoiati e sonnacchiosi. Ho l’impressione, leggendo e cogliendo commenti entusiasti, che si voglia far passare a forza la notizia di un trionfo, che forse grande successo non è stato; ci sono i problemi di sempre irrisolti, sia all’interno che all’esterno della Fiera, un Vinitaly a due dimensioni, dove da una parte ci stanno gli espositori che lamentano disservizi quali la pulizia dei calici, la refrigerazione dei vini negli stand, il ghiaccio che a metà giornata termina, e dall’altra gli operatori che sperano in una Fiera dove sia possibile discutere, assaggiare, trovare prodotti vecchi e nuovi da confrontare, senza dovere spartire l’esiguo spazio con l’euforico avventore in cerca di alcoliche emozioni. Tuttavia posso comunque affermare che i nostri stand sono stati molto e ben frequentati, sia dai nostri Soci provenienti da tutta Italia che sono “passati” per un saluto, compresa una folta delegazione di associati brasiliani sia da visitatori occasionali che hanno chiesto informazioni sulle nostre attività nelle varie città della penisola; ho usato il plurale perché quest’anno abbiamo dedicato uno stand alla nostra rivista. Dal 23 al 26 di aprile la Comunità Fisariana si è riunita in Versilia, in quel di Forte dei Marmi, per la consueta Assemblea annuale, della quale troverete la dettagliata

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cronaca in altre pagine di questo giornale, puntualmente vergata da Mario Del Debbio. In contemporanea, ma in Sicilia, Palermo ha ospitato il Concours Mondial de Bruxelles, uno dei maggiori appuntamenti enologici che ha visto, a far parte della giuria, la partecipazione di circa 300 tra sommelier, giornalisti ed esperti giunti da tutto il mondo e fra questi anche una rappresentanza di sommelier Fisar (Claudia Marinelli e Davide Cecio). Il risultato della “sfida” tra quasi 7mila etichette in concorso provenienti da tutto il mondo, vede l’Italia posizionarsi al terzo posto, dopo Francia e Spagna, che conquista ben 228 medaglie aggiudicate su circa 950 etichette inviate per le degustazioni e in ambito nazionale, tra le Regioni partecipanti, la Sicilia conquista il gradino più alto del podio. Scorrendo la lista dei premiati, la cosa che mi colpisce sono proprio i nomi dei vini e delle Aziende: vini e cantine che di solito non sono presenti sulle Guide. Visto che le degustazioni sono state effettuate con campioni anonimi, considerato che i giudici provenivano da svariati Paesi e certamente senza interessi di sorta, a me un dubbio viene. E a Voi? Capita a proposito questa considerevole performance siciliana, visto che con questo numero de Il Sommelier inizia lo Speciale Regione, dedicato proprio alla Trinacria, terra dal cuore aspro e possente, dove la natura ha un fascino ardente e nello stesso tempo irruente, dove le pietre accatastate dall’uomo per dare vita ad una viticoltura estrema, di montagna, lascia spazio ad una terra bruna dalle mille tonalità cromatiche, dove il verde smeraldo delle vigne e degli agrumeti si alterna al turchese del firmamento che appare statico ed irreale, in attesa di un candido cirro che lo porti in una dimensione terrestre, mentre il sole incide volti e braccia nell’orgoglioso gesto di un primitivo sodalizio con la natura. Anche questa è Sicilia. Ed è con il profumo della zagara in fiore che mi congedo auspicando serenità e che il vostro calice sia sempre colmo.

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Rivista di Enologia, Gastronomia e Turismo

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e-mail: redazione@ilsommelier.com Hanno collaborato a questo numero Marcello Masi, Giancarlo Roversi, Enza Bettelli, Gudrun Dalla Via, Virgilio Pronzati, Luca Iacopini, Massimo Bracci, Silvana Delfuoco, Cinzia Tosetti, Attilio L. Vinci Per la fotografia Oliviero Toscani, Saverio Scarpino, Roberto Rabachino, Enza Bettelli, Alberto Doria e immagini di Redazione.

Distribuzione della rivista La rivista viene inviata a tutti i soci Fisar, a tutti gli organi di informazione, a tutti i giornalisti dei gruppi di specializzazione di settore, a tutte le Istituzioni, a tutte le Associazioni di settore e a tutti gli IPSSAR che ne facciano richiesta tramite spedizione gratuita in abbonamento postale.

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In copertina il Conte Lucio Tasca d'Almerita Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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di Roberto Rabachino per comunicare con il Direttore: direttore@ilsommelier.com

Territorio, qualità del vivere e turismo

Il territorio con tutte le sue attività, la sua popolazione e le sue risorse costituisce l’offerta cosiddetta turistica, che è semplicemente l’offerta di qualità del vivere che un territorio offre ai suoi abitanti

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uesta teoria porta alla conclusione che esistono semplicemente persone normali che si spostano dalla propria abitazione verso altri luoghi per i più svariati motivi. Tutti coloro che si sono impegnati e si impegneranno sul turismo e nel turismo devono effettuare un’approfondita considerazione sul tipo di cultura economica a cui il turismo si deve ispirare, partendo dall’assioma che l’economia classica, governata da rigidi principi di causa ed effetto, non si applica ad un bene come il turismo, al quale si associa una dimensione di gusto, di affettività, di propensione che non è codificabile. Si deve comprendere principalmente che l’offerta turistica va al di là di quella genericamente conosciuta come “produzione turistica”, in quanto racchiude l’utilizzazione di tutte le attività di un territorio, delle risorse naturali, culturali, artistiche, aventi la natura di beni pubblici. Per questo motivo è il territorio la risorsa turistica essenziale, la base da cui partire per produrre

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turismo e la qualità del vivere offerta agli abitanti del territorio diventa “qualità turistica”. Fondamentale è comprendere che, in un paese senza le fabbriche, il territorio diventa la risorsa essenziale, e che è indispensabile armonizzare e coordinare tre settori tra loro indivisibili: industria del turismo (intesa come sistema produttivo), centralità del consumatore, protezione del patrimonio naturale e culturale. Il peso che il turismo rivendica oggi nelle politiche comunitarie, nazionali e regionali è strettamente correlato alla sua capacità di creare nuovi posti di lavoro. Nel Documento Comunitario sui “nuovi giacimenti di posti di lavoro” vien detto che gli orientamenti che emergono per lo sviluppo delle iniziative locali vedono il turismo protagonista dei cambiamenti auspicati verso una società di iniziative. Il punto cruciale è capire cosa si intenda con il termine turismo. Al contrario delle altre attività economiche, infatti, il turismo non si presta ad essere compreso facendo riferimento ai prodotti e servizi generati o ai

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Costiera Amalfitana

processi produttivi. Le sue molteplici sfaccettature comprendono i beni e servizi che possono essere utilizzati sia dai turisti (residenti provvisori) che dai residenti abituali, come i trasporti, la ristorazione, l’industria alimentare, ecc. Tutto questo obbliga a cambiare la metodologia degli studi economici sul turismo, poiché elimina i concetti di consumo turistico, di spesa turistica e di occupazione prodotta dal turismo, dal momento che tutti lavorano per il turismo e più aumentano le presenze turistiche, più cresce il lavoro e l’occupazione in tutti i settori. In sintesi, il turismo è un motore per lo sviluppo

economico-sociale di un’area e per la creazione di posti di lavoro, non solo negli alberghi e nelle attività considerate storicamente turistiche, ma in tutte quelle collegate allo sviluppo del territorio. La capacità di un’area di attrarre turisti è data da diversi fattori: beni culturali, ambientali, climatici, ecc. ma, prima ancora, dalla qualità del vivere offerta dal territorio. Non si può costruire una qualità per uso esclusivo del forestiero per attrarre i turisti, occorre invece migliorare la qualità del vivere della popolazione locale per raggiungere, anche, una giusta qualità del vivere turistico.

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Il terroir non si clona

di Marcello Masi Vice Direttore TG2 RAI e responsabile rubrica Eat Parade

I latini ai tempi di Cicerone e Cesare, dunque nel massimo fulgore della magnificenza romana, usavano scrivere spesso: mala tempora currunt che tradotto in linguaggio corrente significa tira una brutta aria

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l futuro, per definizione, ha contorni un po’ vaghi. C’è chi lo teme e chi lo invoca. Troppe volte, invece, il passato è esaltato come un bene perduto per sempre. Su questo vorrei fare qualche riflessione insieme a voi. Non c’è dubbio che, per chi non è più un bambino, il passato ha il grande fascino dei vent’anni andati, il profumo dell’incoscienza e della presunta immortalità. Sono motivi naturali per rimpiangerlo, non c’è dubbio, ma a ben vedere questi sono frammenti esistenziali non generalizzabili e personali. Diversa è la valutazione fatta con criteri oggettivi e generali. Bene, cominciamo dai nostri avi. I latini ai tempi di Cicerone e Cesare, dunque nel massimo fulgore della magnificenza romana, usavano scrivere spesso: mala tempora currunt che tradotto in linguaggio corrente significa tira una brutta aria. Insomma duemila anni fa si indulgeva a ricordare il passato, anche recente, con una certa nostalgia. Eppure, la vita in quei tempi non era tanto facile. Se perdevi una battaglia in una delle innumerevoli guerre, bene che andava finivi a fare lo schiavo in Mesopotamia. Ma, soprattutto, si moriva per un’indigestione di fichi e il vino simile all’aceto si annacquava o si mischiava con il miele. Il cibo per

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la gente comune era decisamente scarso, mentre i ricchi si permettevano piatti che oggi farebbero inorridire. Su tutti, interiora di pesce fatte marcire per bene in una pseudo salamoia. Inoltre si andava al bagno tutti insieme in simpatici luoghi affollati e la carta igienica non esisteva. Per carità l’aria non era inquinata dalle industrie, in compenso si moriva di malaria in un batter d’occhio. Stesso ragionamento per i secoli di mezzo. Nel medioevo si gettavano gli escrementi dalla finestra e colera e peste festeggiavano più volte durante l’anno. Vogliamo parlare poi di quei romanticoni di Renzo e Lucia ? Sempre peste, sempre fame, e molte angherie sparse qua e là. Sono stato frettoloso nell’analisi, evidentemente è così, ma parliamo allora di un dato incontrovertibile: l’aspettativa di vita. Ebbene qualche anno fa in Etiopia in Africa fu scoperta Lucy, definita dagli antropologi la nostra comune mamma. Attraverso la datazione con il carbonio il suo corpo mummificato è stato datato a 3,2 milioni di anni fa. Sempre attraverso l’uso dei più sofisticati mezzi scientifici è stato stabilito che la signora Lucy morì all’età di 42 anni. All’inizio del secolo scorso l’aspettativa di vita per una donna caucasica non arrivava a cinquant’anni. In poche parole, 3,2 milioni di anni hanno portato un beneficio inferiore alle otto primavere. Oggi l’aspettativa di vita per una donna nel nostro Paese è di oltre 76 anni. In cento anni

abbiamo guadagnato 26 estati e relativi inverni. 26 vendemmie ed innumerevoli annate eccezionali. Sinceramente non mi sento di aggiungere altro. E visto che il vino non ci lascia indifferenti, parliamo anche di questo nostro presunto passato dorato. In Italia fino al metanolo praticamente non esisteva un’economica enologica. Il consumo pro capite era sì decisamente maggiore di oggi, ma la qualità del prodotto era decisamente inferiore. Il famoso vino contadino nella stragrande maggioranza dei casi era un prodotto al limite dell’accettabilità. In cantina avvenivano alchimie alquanto discutibili, sicuramente non controllate e con forti dubbi sulla loro salubrità. Senza citare il metanolo, basterebbe sapere che fino a pochi anni fa le molecole chimiche usate in vigna erano più di mille ora sono state ridotte a trecento. Inoltre, ai controlli per forza maggiore superficiali del passato oggi i truffatori devono fare i conti con laboratori di analisi che rintracciano ogni sostanza lecita e non. A guadagnarci è tutta la filiera del vino che guarda caso ha incrementato non solo le esportazioni, ma soprattutto la qualità e la credibilità internazionale. Infine, ma non meno importante, il nostro presente e cioè il futuro del passato ci permette di gustare ogni qualità di vino proveniente da ogni parte del mondo cosa che solo qualche decennio fa era solo impossibile. Certamente nel futuro c’è anche la clonazione dei nostri vitigni. In Cina sembrano prossimi a copiare geneticamente i vitigni dell’Amarone, l’allarme viene dall’autorevole Università di Verona. La cosa mi lascia indifferente se avremo definita ed applicata la sacrosante legislazione di tutela dei prodotti, di tutti i prodotti italiani. Se, insomma, sulla bottiglia cinese sarà evidenziato che si tratta di una imitazione io non mi preoccuperei più di tanto. Quello che conta è il terroir, sono sicuro che Dio, dopo aver creato i nostri paesaggi ha distrutto lo stampo. I cinesi prima o poi, sono convinto, si rassegneranno e cominceranno a guardare al passato dei Ming con una certa nostalgia.

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Incontro con Valerie Lavigne di Nicola Masiello

Enologa, complice dell'ultima scommessa di Donatella Cinelli Colombini

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bbiamo incontrato Valerie nel suo primo giorno di lavoro in Italia, presso la Fattoria Casato Prime Donne Montalcino di Donatella Cinelli Colombini, naturalmente entusiasta dell’esperienza appena iniziata,ma con le idee ben chiare per il futuro. Quale è stato lo stimolo per venire in Italia? Sono una donna che accetta le sfide globali riguardo sempre al mio campo d’azione che è il vino in tutte le sue componenti, dalla storia del vitigno, al terreno, ai sistemi di allevamento fino ad arrivare al prodotto finito. Voglio sottolineare che non sono sola in questo progetto, ma siamo in tre e tutti condividiamo la stessa filosofia che è: CONOSCERE PER MIGLIORARE. Perché Montalcino? Crediamo e credo che ogni regione del mondo ha nella storia di un vitigno tutta l’essenza del territorio. Per questo abbiamo focalizzato Montalcino con il suo Sangiovese grosso Valerie Lavigne

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quale massima espressione del Sangiovese in Toscana.Questa la scelta, da ora in avanti cercherò di studiare attraverso la conoscenza del terreno, la conoscenza delle pratiche enologiche e soprattutto tanti assaggi di vino mirati a capire le sfumature del vino prodotto da questo vitigno. I prossimi passi quali saranno? Saranno quelli di entrare nel sistema “Montalcino” e questo grazie a Donatella ed al suo staff mi riuscirà nel migliore dei modi. Fatto questo studieremo i punti deboli che riscontreremo e cercheremo di risolvere o migliorare questi punti. Tutto questo senza cambiare gli usi e le tradizioni locali,ma cercheremo di contribuire ad un innalzamento della qualità.

il massimo per essere pronti a questo evento, quindi la vendemmia 2009 sarà l’annata di lancio di tutti i vini dell’Azienda. Alla prima degustazione!!! Con tantissimo interesse e curiosità.

Valeriè Lavigne è nata a Chateauroux il 29 ottobre 1966, sposata e madre di due figli. Diplomatasi in enologia nel 1989, continua la specializzazione presso l’Università di Bordeaux; nel 1991 si specializza in “studio e ricerca” dove continua la collaborazione di ricercatrice fino al 1996, quando raggiunge il Dottorato in scienze biologiche

Non si corre il rischio così facendo di globalizzare il Brunello? Assolutamente no, il nostro compito è appunto quello di contribuire al miglioramento dei caratteri di un vino, abbassando le negatività nel rispetto del territorio e del vino stesso. Se passasse un concetto diverso da questo tutto il lavoro sarebbe inutile, penso solo a tutte le ricerche fatte in Francia nelle zone storiche dell’enologia, Alsazia, Bourgogne, Bordeaux solo per citarne alcune e quelle fatte in altre parti del mondo dalla Spagna al Portogallo, alla California ed all’Italia. In ognuna di queste andiamo a studiare prima, per migliorare dopo, lasciando ad ogni vitigno le proprie peculiarità.

e medicinali,con la menzione di “Molto onorevole”. L’attività di ricercatrice ed enologa consulente la porta a collaborare dal 1990 ad oggi con il Prof.ri Denis Debordieu e Christophe Olivier sia a livello tecnico che pratico in alcune delle cantine più importanti al mondo quali: Chateaux d’Yquem, Margaux, Cheval Blanc. La passione per il vino la porta a collaborare anche a fianco di personaggi eccellenti dell’enologia mondiali quali Ribereau-Gayon e Glories in oltre 40 conferenze scientifiche ed in altrettanti manuali di applicazione delle ricerche effettuate. La ricerca, la voglia di scoprire e la curiosità la portano a studiare alcuni tra i vitigni più

La curiosità che ci ha destato è tanta,a quando il primo assaggio? Non sono in grado al momento di dare una data certa, ma di sicuro, nel rispetto dei disciplinari di produzione e delle tradizioni aziendali, faremo

importanti e conosciuti nel mondo al fine di migliorarne la qualità tra questi lo Chardonnay, il Sauvignon, il Merlot, i Cabernet ed il Sangiovese.

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di Nicola Masiello

Montepulciano e Montalcino: assegnate le stelle

Sono state assegnate nei rispettivi territori le stelle all’annata 2009

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n entrambi i comprensori le stelle sono state quattro. I presidenti dei rispettivi consorzi hanno commentato positivamente queste valutazioni effettuate da commissioni miste composte da Enologi, Sommelier, Degustatori e Produttori. Facendo una valutazione sull’andamento climatico dell’annata 2009 (simile nei due territori) dobbiamo ricordare un Gennaio-Febbraio e Marzo, molto freddi e piovosi a cui sono seguiti due mesi asciutti e con temperature sopra i valori stagionali che hanno favorito la fase vegetativa forse in modo anche troppo voluminoso. Un giugno piovoso, ha ristabilito l’equilibrio creando le condizioni ottimali per il proseguo della fase vegetativa e produttiva. I mesi di Luglio ed Agosto molto caldi, hanno garantito la salubrità delle uve che grazie ad un Settembre alternato fra brevi piogge e momenti soleggiati, hanno portato le uve ad una buona maturazione ed in modo corretto, con graduale accumulo zuccherino e polifenolico. La vendemmia del sangiovese si è svolta tra l’ultima settimana di Settembre e

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la prima di Ottobre. All’assaggio dei campioni da botte, si nota un bel punto di colore rosso violaceo, all’olfatto profumi primari, con floreale e fruttato, leggermente ridotti e poco netti, al gusto è caldo, con acidità in evidenza e una tannicità non molto pronunciata, ma comunque presente e sufficiente ad affrontare il periodo di affinamento previsto dal disciplinare di produzione. La vendemmia 2007 Vino nobile di Montepulciano La vendemmia 2007 rispetta la valutazione data a suo tempo dell’annata ed è riconducibile ad una grande annata. All’assaggio sono vini di qualità con una generale tendenza al ridotto,ancora poco propensi ad aprirsi nell’immediato, per mostrare tutta la potenzialità. Il punto di colore è buono, con riflessi interessanti dati da una buona estrazione in fase fermentativa, la limpidezza è buona (ed accettabile nei campioni da botte), con punte alte su alcuni campioni con periodo di bottiglia più lungo. Al naso i profumi sono

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intensi, netti, si evidenziano piacevoli note di

di corpo, leggermente tannico, chiude con una

frutta rosa matura tendente alla confettura, il

buona acidità.

legno contribuisce ad una speziatura garbata a cui seguono note minerali e talvolta anche

Az. Avignonesi

vegetali,quando il legno domina, attutisce le note

Di un bel rubino carico, limpido; al naso

floreali tipiche, penalizzando il vino. Al gusto si

piacevolmente floreale di mammolo, frutta matura

riscontra una buona alcolicità che in alcuni casi

e speziatura elegante; al gusto caldo, rotondo,

penalizza la freschezza acida dando la sensazione

buona acidità, sapido di piacevole beva.

di un vino corto e poco persistente. Quando si riesce ad equilibrare l’alcolicità,l’acidità e la spalla tannica, la piacevolezza sale decisamente. Questa situazione e più marcata nei vini prodotti nella parte più alta della zona di produzione e forse sono dovute anche all’andamento stagionale del 2007.

Di un bel rosso rubino, limpido al naso intenso, con richiami di fiori e frutta matura, una leggera nota speziato gradevole al gusto caldo, rotondo, con la componente acida presente, lunga persistenza.

Gli assaggi più interessanti

Fassati “Pasiteo”

Rosso di Montepulciano 2008

Rosso rubino con riflessi che tendono al granato,

Podere Le Berne Colore

Az. Canneto

netto,

deciso,

limpido;

al

naso

intenso con richiami alla frutta rossa matura, persistente; al gusto leggera disarmonia per acidità in eccesso, buona la parte di alcol. Ben predisposto agli abbinamenti territoriali.

limpido al naso molto intenso e persistente, con note fruttate piacevoli al gusto caldo, rotondo, giustamente tannico, sapido buono l’equilibrio.

Contucci Rosso rubino, scorrevole, limpido al naso è intenso, schietto con bella frutta matura rossa

Az. Ag. La Ciarlana Colore intenso, limpido al naso frutta matura a bacca rossa molto persistente al gusto molto caldo con acidità marcata, buon corpo; manca di equilibrio sicuramente longevo.

al gusto caldo, leggermente acidulo, buona tannicità

e

persistenza

un

classico

per

Montepulciano.

Tenimenti Angelini Rosso rubino, riflesso granato, limpido al naso

Podere Sangallo Colore rosso rubino, con bei riflessi violacei,

intenso persistente, fragrante al gusto caldo,

limpido; al naso intenso, fruttato, con note floreali

rotondo, morbido, tannicità in evidenza, sapido.

piacevoli; al gusto caldo, leggermente tannico Nobile 2007 selezione

con buona acidità.

Poggio alla Sala “Parceto”

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Nobile 2007

Rosso rubino carico, limpido al naso molto

Az. Agr. Dei

intenso, persistente, fragrante, con leggero boisè

Grande concentrazione cromatica, limpido; al

al gusto caldo, rotondo, morbido, leggermente

naso molto intenso, fine con sentori marcati di

tannico, buona sapidità appena nato, ma già fra

frutta rossa, leggera speziatura; al gusto caldo,

i grandi!!

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


Ho scelto il Pinot Grigio Santa Margherita.

Anch’io.

Esploratori del Gusto Scegli uno dei vini della linea Impronta del Fondatore Santa Margherita e abbinalo a uno dei tuoi piatti. Il tuo ristorante sarà pubblicato all’interno del sito Santa Margherita e sulle pagine di Panorama, L’espresso e Gambero Rosso. Scopri i dettagli dell’iniziativa su www.santamargherita.it. In collaborazione con ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana. Pinot Grigio Alto Adige Impronta del Fondatore 2008 Santa Margherita: vincitore della Gran Medaglia d’Oro al Primo Palio del Pinot Grigio.

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Vecchia cantina “Cantina del Redi”

La vendemmia 2005

Rosso rubino con riflesso aranciato, brillante al

Brunello di Montalcino

naso intenso, fruttato, richiami floreali piacevoli,

Qualità dei vini molto buona, quasi ottima che

leggermente speziato al gusto rotondo, caldo,

riserva delle piacevoli sorprese. Personalmente

con buona tannicità, equilibratoe lungo al palato.

ho notato due linee di brunello; la prima da sangiovese grosso classico con tonalità di colore

Nobile 2006 selezione

non molto intense, i riflessi tendenti all’aranciato,

Fattoria del Cerro “Antica Chiusina”

al naso netti con qualche peccato veniale che

Rosso aranciato con riflessi netti, brillante

penalizza un po’ la pulizia olfattiva a scapito

al naso è intenso, persistente, frutti a bacca rossa

della nota floreale; al gusto alcol in dominanza

maturi con note di confettura eleganti, speziato

ben supportato da tannini puliti ma non

al gusto caldo, rotondo, morbido, tannini evoluti e

completamente

puliti, buona sapidità e persistenza.

e piacevole, dovuta forse alla possibilità di

evoluti.

Acidità

presente

“ringiovanire o rinfrescare” il brunello con

Villa S. Anna “Poldo”

annate più giovani. Tanto per non destare

Rosso rubino con riflessi aranciati, brillante

inutili supposizioni, detta pratica è prevista dal

al naso complesso, intenso con richiami alla

disciplinare di produzione. Buona la sapidità.

frutta rossa e sottobosco maturi al gusto caldo,

La seconda linea è quella di un brunello di qualità

leggermente tannico, buona acidità e sapidità.

alta, tutto preciso e confezionato, senza spunti di piacevolezza o spunti di durezza evidenti, quasi

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Nobile 2006 riserva

lineari nella loro complessità. Sono risultati intensi

Az. Agr. Canneto

nel colore, con riflessi aranciati, limpidi - al naso

Rosso aranciato, brillante al naso intenso,

profumi netti persistenti, con la frutta rossa di

complesso con note speziate leggere e richiami

sottobosco matura, talvolta verso la confettura,

balsamici, fragrante al gusto è caldo, rotondo con

speziati, eleganti. Al gusto, rotondi, equilibrati,

acidità bilanciata, giustamente tannico e sapido.

buona acidità, sapidi e persistenti.

Nobile 2005 selezione

Gli assaggi più interessanti

Salcheto “Salco selezione”

Rosso 2008

Rosso granato con riflessi arancio, limpido,

Baricci

intenso al naso molto intenso, complesso, con

Colore rosso rubino, trasparente al naso intenso,

note minerali e frutta a bacca rossa cotta, boisè

fruttato, leggermente pungente per l‘alcolicità,

al gusto è strutturato, caldo, rotondo con tannini

al gusto, caldo, tannico, buona acidità vestita,

evoluti e puliti, sapido e persistente.

persistente.

Nobile 2005 riserva

Canalicchio di Sopra

Az. Agr. Nottola “Riserva il fattore”

Un bel rubino con riflessi granati, limpido

Rosso aranciato, limpido al naso è molto intenso,

al naso complesso fragrante con note di frutta

persistente, con frutta matura e confettura a

rossa matura, al gusto, caldo, poco morbido

bacca rossa, piacevole speziatura al gusto

per accesso di tannino sapido, persistente

caldo, rotondo, acidità bilanciata, equilibrato.

non ancora pronto, con grandi potenzialità.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3



Castello Tricerchi

al naso, complesso intenso, persistente con

Rosso rubino carico, intenso al naso complesso

piacevole note di frutta rossa cotta, legno pulito

con frutta matura in evidenza ed un floreale

al gusto molto caldo, rotondo, di corpo,

piacevole al gusto molto caldo, di corpo, tannicitĂ

leggermente spigoloso per tannicitĂ pronunciata,

pronunciata in bilanciamento con l’alcol, fresco di

sapido.

aciditĂ , sapido.

Val di Suga Brunello 2005

Rosso aranciato, brillante al naso intenso,

Pacenti Franco - Canalicchio

schietto, fruttato, floreale con speziatura elegante

Rosso aranciato con riflessi aranciati, limpido

al gusto, caldo, rotondo di corpo, equilibrato,

al

giustamente tannico.

naso

rossa

caratteristico

cotta

e

di

sentore sottobosco

di

frutta matura,

speziatura elegante, non aggressiva, intenso

Banfi

al gusto caldo, poco morbido per aciditĂ

Colore rosso granato con riflessi aranciati, limpido

pronunciata, tannini puliti, sapido e persistente.

al naso, poco intenso, fruttato con note di confettura matura, richiami minerali, leggermente

Villa i Cipressi

ridotto al gusto, caldo, di corpo, schietto,

Rosso granato con riflessi aranciati, limpido

leggermente tannico, con aciditĂ presente.

al naso netto, persistente, con frutta rossa cotta, speziato con pepe in evidenza, legno pulito

Castelgiocondo

al gusto molto caldo, rotondo, equilibrato,

Rosso granato con riflessi aranciati, limpido

giustamente tannico.

al naso, intenso complesso, fruttato con note speziate

leggermente

pungenti,

persistente

Siro Pacenti

al gusto molto caldo, rotondo, schietto e

Di colore rosso aranciato, brillante al naso,

persistente.

complesso con sentori di fruttato piacevoli, speziatura da botte grande elegante, note

La Poderina

minerali piacevoli al gusto molto caldo, rotondo

Rosso granato, intenso, limpido al naso,

con tannino ancora da maturare, sapido, molto

complesso, schietto, con piacevole speziatura

persistente.

dolce e frutta rossa cotta, leggere note floreali al gusto, molto caldo, morbido, giustamente

Lisini

tannico, persistente, sapido.

Rosso aranciato, limpido al naso molto intenso, complesso, frutta rossa matura con richiamo

Brunello 2004 riserva

alla prugna cotta, floreale con richiamo alla rosa.

Talenti

al gusto, caldo, di corpo, morbido, giustamente

Rosso aranciato, brillante al naso, complesso,

tannico.

intenso, fine nelle note balsamiche e minerali accompagnate da una bella fragranza al gusto

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Castiglion del Bosco

molto caldo, strutturato, rotondo, giustamente

Rosso granato con riflessi aranciati, limpido

tannico, molto persistente.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


Sasso di Sole Rosso

al gusto molto caldo, strutturato, rotondo, tannicità

aranciato,

brillante

al

naso,

elegante e piacevole.

complesso, intenso con ciliegia e prugna cotta

in

evidenza,

boisè,

persistente

Moscadello di Montalcino

al gusto, caldo, strutturato, equilibrato con acidità

Villa Poggio Salvi

vestita e tannicità in equilibrio, molto persistente,

Colore giallo dorato carico, limpido al naso,

sapido.

complesso, molto intenso, floreale di fiori bianchi, frutta gialla matura, mieloso al gusto molto

Il Poggione

caldo, pastoso, dolce, con acidità vestita, molto

Rosso granato scarico con riflessi aranciati,

equilibrato, persistente.

brillante al naso, intenso, persistente con note speziate dolci, note di sottobosco cotte, leggera

Tenute Silvio Nardi

mineralità al gusto, molto caldo, equilibrato,

Colore giallo dorato carico, molto limpido

giustamente tannico, molto persistente.

al naso molto intenso, molto fine, molto schietto, con frutta gialla matura, in evidenza l’albicocca

Poggio Antico

e fiori bianchi, note balsamiche molto piacevoli

Rosso aranciato, con riflessi sempre arancio,

al gusto, robusto, caldo, pastoso, sapido, dolce

brillante al naso, molto intenso, persistente,

con buona aciditàì, molto persistente, una vera

fragrante, con note boisè piacevoli e pulite

chicca come si dice in Toscana.

Valdobbiadene, 3-6 settembre 2010

www.brindalavita.it

in collaborazione con:

Comune di Valdobbiadene


di Gudrun Dalla Via

India: tradizioni a tavola e in famiglia

Sicuramente in tutto il mondo, vi sono molte tradizioni che vengono tuttora osservate, specie nei giorni di festa, per sentire la famiglia unita

T

uttavia, l’India, e non solo quella rurale, conserva alcuni rituali legati al cibo e alla coppia o alla famiglia da offrire spunti per numerose riflessioni. Un subcontinente con più di un miliardo di abitanti e una grande varietà di climi; varie etnie con diverse abitudini alimentari. Eppure vi sono delle caratteristiche che accomunano larga parte degli indiani. Il 60 % di loro è vegetariano, da molte generazioni. Le spezie sono una prerogativa di tutti i pasti indiani: se un ingrediente viene servito “al naturale”, gli indiani sicuramente lo ravvivano con uno dei numerosi intingoli, chutney o curry che danno calore e colore ad ogni tavola. Un’altra caratteristica infatti è il colore, anzi, i colori. Così come i meravigliosi, luminosi sari, nel bel portamento delle donne indiane riempiono di gioia, allo stesso modo vedere i piatti indiani gratifica l’occhio ancora prima del palato. Spesso servito in numerosi

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piattini separati, il pasto propone una gamma di colori allettante ed appetitosa. Il riso è presente spesso, ma lo è anche la pasta, e non manca mai il dhal, un piatto preparato con una delle decine di varietà di lenticchie. Anche se in India ci sono sicuramente territori molto adatti alla viticoltura, questa è per ora poco diffusa, così come è pochissimo diffuso il consumo del vino. Lo è un poco di più la birra, mentre il consumo di superalcolici costituisce davvero l’eccezione. Il caffè, nelle famiglie, è bevuto poco o per nulla, mentre il tè è una consuetudine quotidiana, riservata però agli adulti. Caposaldo della famiglia In India, come forse in nessun altro paese, persistono innumerevoli tradizioni. Tradizioni che riguardano il cibo, e tradizioni che riguardano la vita familiare, sia quella quotidiana sia quella delle feste. Le une e le altre sono indissolubilmente legate tra loro. Qualcuno potrebbe considerare il perdurare di molte tradizioni come una forma di superstizione. Gli indiani infatti a volte

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


le migliori

bollicine emiliane

Tenuta Farnè S.r.l. - Sede produttiva Castello di Serravalle (Bo) - Sede logistica Nord Italia Portogruaro (Ve) Tel. 0421 770619 - Fax 0421 770112 - E-Mail: info@tenutafarne.it - http://www.tenutafarne.it


famiglia con la quale intende imparentarsi. Ed in quella occasione è la futura sposa ad esibire le sue capacità culinarie. Oggi non c’è più il costume di fidanzare i propri figli quando sono ancora bambini. Tuttavia, le famiglie, soprattutto fuori dalle grandi città, hanno tuttora un forte ruolo nel proporre, nel suggerire il futuro sposo alla sposa, dopo aver raccolto informazioni, scambiato opinioni ecc.

dicono “Lo facciamo perché siamo convinti che il non farlo porterebbe disgrazia per i nostri figli, e sarebbe davvero l’ultima cosa che vorremmo”. Gesti scaramantici dunque? Forse, ma a guardar bene costituiscono proprio il cemento per l’armonia familiare e danno certezze e serenità a grandi e piccoli. Gesti non necessariamente legati ad un credo religioso (anche se la spiritualità si respira ovunque, in India – è una presenza davvero forte), ma a rituali, legati a precisi momenti del mese, dell’anno o della vita. Ecco alcuni esempi. Plenilunio – Nei giorni intorno al plenilunio è la padrona di casa a cucinare, anche se è di famiglia molto agiata e dispone di tanta servitù da delegare normalmente questo compito. In questa consuetudine si possono trovare diversi spunti, magari anche per il mondo femminile occidentale. Tutte le ragazze indiane, di ogni ceto sociale, imparano a cucinare. Già le bambine piccole si ammoniscono spesso, curiosamente non tanto con la prospettiva di dover accudire in futuro alla loro famiglia, ma… alla figura che farebbero con la potenziale futura suocera quando questa verrà a fare visita alla

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Ma… anche i maschi imparano a cucinare! Nei giorni del mestruo la donna indiana deve, secondo la tradizione, riposare. Quindi sarà il marito a provvedere a mensa e cucina. Poi ci sono delle ricorrenze legate alle stagioni. Per esempio, per la festa della primavera, la moglie dedica molta attenzione alla cucina; tuttavia digiuna tutto il giorno, fino al rientro del marito. Allora sarà lui ad imboccarla amorevolmente, secondo una sequenza ben stabilita, iniziando con l’acqua. È facile intuire come questi teneri gesti, ripetuti con ritualità e devozione, rafforzino il legame coniugale e siano di esempio anche per la prole. Le nozze poi sono occasione per grandi feste che si protraggono per giorni e giorni, consumando pasti in compagnia passando per le case di tutti i parenti. Poi la giovane coppia compie un pellegrinaggio in diversi templi prima di “consumare” le nozze. L’India non conosce fine settimana; in compenso vi è un grande numero di feste, durante tutto l’anno. Molte di queste feste sono di origine religiosa: indù, buddhista, javaista, musulmana o cristiana. Gli appartenenti alle varie religioni convivono così pacificamente che… le feste diventano comunitarie, interreligiose, così come lo diventa il consumare il cibo insieme, nel pieno rispetto delle rispettive usanze dietetiche. L’indù per esempio non consuma carne di manzo (salvo pochissime, precise eccezioni); il musulmano non mangia maiale. Eppure nei pasti delle feste e cerimonie, si trovano le soluzioni per accontentare gusti ed esigenze di tutti.

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Il Paese dei mille laghi

di Enza Bettelli

La caratteristica connotazione del territorio finlandese è il risultato del lavoro del tempo che da un’immensa area ghiacciata ha fatto nascere migliaia di laghi, fiumi e ruscelli in un verde paesaggio da fiaba

L

e strade della Finlandia corrono per la maggior parte tra due ali di foreste che di tanto in tanto si aprono su ampie distese d’acqua e, anche se ovviamente l’andatura non è quella dell’autostrada, a volte può passare anche mezz’ora prima di incrociare un’altra macchina o

intravedere una casa o un villaggio. Un paesaggio incontaminato dove crescono molti frutti che vengono poi utilizzati per fare il “vino” finlandese. Una regione particolarmente vocata per questa produzione è quella dei Mille Laghi con il lago Saimaa che è il più grande della Finlandia.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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Attualmente sono in attività una cinquantina di aziende che producono il vino con vari tipi di frutti spontanei e altri coltivati in modo assolutamente naturale nei grandi spazi annessi alle fattorie. Questo vino può essere venduto direttamente dai produttori perché ha un grado alcolico massimo di 13 gradi, mentre i vini con gradazione superiore e i superalcolici sono venduti solo nei negozi di proprietà dello Stato che ha il monopolio sulle bevande alcoliche. Presso le aziende munite di regolare licenza è possibile inoltre fare degustazioni accompagnate da uno spuntino di prodotti locali. Una volta era proibito produrre vino casalingo e la gente andava quindi di notte nelle foreste per lavorare le bacche e poter così disporre di qualche bottiglia per la famiglia. Col tempo, e chiedendo la necessaria licenza governativa,

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il vino viene prodotto con tecniche moderne che tuttavia non si discostano molto da quelle tradizionali. La frutta, soprattutto ribes e mele, viene sottoposta a una congelazione preventiva e, una volta estratto il succo, vi si aggiungono zucchero e l’acqua purissima presa da fiumi e torrenti, quindi si aggiunge anche il lievito e si lascia fermentare in grandi vasche di acciaio e al momento opportuno il vino viene filtrato e imbottigliato. A questo punto le bottiglie vengono trasferite in cantina in attesa della vendita. Questi vini hanno raggiunto un livello di qualità davvero significativo e sempre più spesso, con una degustazione alla cieca, vengono scambiati per vino di uva. È stato possibile arrivare a questo grazie alla instaurazione in Finlandia di un sistema di controllo che stabilisce standard di qualità per colore, profumo e sapore dei vini di bacche e di

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3



frutta, con un contrassegno speciale per i prodotti che rispettano questi standard. Il vino finlandese si beve ai pasti, al naturale o diluito con acqua, ma è anche un eccellente aperitivo e in stagione viene servito con le profumatissime fragole locali da intingere nella densa e burrosa panna di giornata. C’è anche la birra La birra in Finlandia si produce da sempre, una volta con il luppolo che cresceva spontaneo nelle foreste, ora anche con quello coltivato appositamente. Sono molti gli eventi dedicati a questa bevanda ed è molto diffusa la moda delle birrerie che mettono a disposizione degli avventori la birra della casa assieme ad altre artigianali e industriali, servite con semplici spuntini o a tutto pasto. La birra viene spesso bevuta nei caratteristici boccali di ceramica e ai Finlandesi piace gustarla anche all’aperto, nei locali che si affacciano di solito sugli specchi d’acqua. Soprattutto nella regione di Saimaa lungo le sponde intorno allo stupendo castello medioevale di Olavinlinna, sede agli inizi di agosto di un famosissimo festival internazionale di musica. La birra e il vino di bacche e di frutta accompagnano molto bene la cucina del territorio, ancora molto naturale grazie ai prodotti locali che crescono in ambiente incontaminato. Molto pesce di acqua dolce, ovviamente, ma anche selvaggina di varie dimensioni, dall’anatra selvatica all’orso, oltre ai prodotti della foresta, dai funghi alle bacche che compaiono in tavola già alla mattina per la tradizionale e sostanziosa prima colazione con salmone, aringhe, salsicce e pancetta. Questo è un pasto importante e in molte strutture per vacanza è possibile ordinare la prima colazione, che verrà consegnata all’ora prestabilita presso il proprio cottage, e gustarsela sulla terrazza vista lago.

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Vino Cileno di Breno Raigorodosky

Quando si stappa una bottiglia di vino cileno, occorre ringraziare il Cile e l’amore che i cileni hanno per il vino: tradizione che ha inizio nei primi del Novecento

I

l Cile è l’unico pease produttore di vino che è stato risparmiato dalla peste distruttiva della fillossera, un insetto del vino che per 40 anni ha devastato le vigne europee trapiantate in tutto il mondo: partendo dal Rodano francese nel 1863, per arrivare fino in Algeria, agli inizi del ventesimo secolo. Oggi il Cile gode del sostegno e della solidarietà dell’intero mondo a causa del recente terremoto accompagnato da uno tsunami nello scorso febbraio. La natura toglie, la natura dà: allora perché non fare un brindisi con un buon vino cileno per tutte le numerose vittime cilene? Grazie alle uve francesi coltivate in Cile, oggi abbiamo la fortuna di gustare un vino non per forza fatto di uve americane, le sole graziate dal parassita devastatore, come la varietà brasiliana Isabel, con una percentuale di alcohol del 10,5%. Le uve cilene sono fortunatamente vissute indistrubate grazie alla protezione di due deserti, delle Ande e dell’Oceano Pacifico: la medesima

natura che, come sappiamo, può provocare anche tanti morti. Quando fu poi possibile ritrapiantare la vite francese in Europa grazie alle tecniche del portoghese Joaquim Pinheiro de Azevedo Leite Pereira, le uve erano quasi introvabili, soprattutto le varietà Cabernet Sauvignon, Merlot e altre uve di Bordeaux. In quel preciso momento storico, le viti delle colline cilene, vive a riparo da tutto, acquistarono una fondamentale importanza. Il vino del Cile non esiste però solo nella storia. Il paese non è più solo rappresentato dalle riserve di rame, dalle riforme di Allende, dal sanguinario capitolo di Pinochet. Il Cile è un produttore di vino con la P maiuscola, il paese in cui vengono prodotti vini fra i migliori del pianeta, secondo i critici e anche secondo il mercato nordamericano. Il Cabernet Sauvignon ad esempio ha sposato a pieno i gusti degli americani, che lo trovano un vino dalla buona consistenza, facile da gustare e soprattutto a buon prezzo. Il Cile è il secondo, dopo l’Australia, esportatore di

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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vino del “Nuovo Mondo” e con l’Almavida e il Don

2009 è stata caratterizzata da fredde notti;

Melchor è entrato nell’immaginario comune degli

El Niño sembra rivelarsi ancora una volta il

appassionati come un buon vino, ma si è anche

responsabile dell’instabilità termica, che ha portato

inserito nella lista dei 100 migliori vini del pianeta.

un’estate molto più calda del normale, oltre i 30 °

Sulla scia del Cabernet Sauvignon, brillano

C, ma ha anche dato vita a vere e proprie gelate

anche i Bordolesi, le varietà di Merlot, di Syrah e infine il Carmenère, spesso erroneamente preso per Merlot, che a partire dagli anni 70 divenne il simbolo delle uve native cilene, proprio perché non fu riprodotto in Europa.

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nelle ultime settimane dell’anno. I bruschi sbalzi che vanno dai 30°C ai 2 °C in pochi giorni hanno causato la perdita di oltre il 10% del raccolto. In ogni caso, il 2009 non può certo dirsi un anno

La Aconchagua Valley è ritenuta dal “Wine

cattivo per il vino, la riduzione di produzione può

Spectator” la migliore “Via del Vino” del continente

essere assorbita da un lieve aumento dei prezzi,

e la più attrezzata del mondo, smitizzando un po’

un incremento più che accettabile per il mercato...

i rinomati itinerari francesi, italiani e spagnoli. Nella

anche se la Nuova Zelanda sta guidando tutti

Aconchagua, come in altre valli, la primavera del

nella direzione del vino più economico.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


Il Veneto: una storia enogastronomica di eccellenza

di Saverio Scarpino

Oggi si può ben dire che dopo diversi secoli la cucina veneta ha trovato il giusto amalgama per regalare al palato dei gourmet una cucina unica nel suo genere

L

a storia della cucina veneta è molto antica, essa appartiene alla storia stessa dell’uomo e della sua cultura e si intreccia con quella dell’arte, della poesia, del teatro, della musica e persino della religione. La cucina veneta, sebbene abbia origini rustiche, si presenta oggi con un ricettario molto vasto e variegato. Un gran contributo al cambiamento è stato dato dai traffici dei mercanti che durante lo splendido periodo dominato dalla Repubblica della Serenissima hanno percorso con lunghi viaggi l’intero Oriente portando in laguna il sale, il pepe, lo zenzero e perfino lo zafferano: spezie conosciute che hanno

fatto la felicità dei cuochi veneti per la preparazione di piatti unici. Oggi si può ben dire che dopo diversi secoli la cucina veneta ha trovato il giusto amalgama per regalare al palato dei gourmet una cucina unica nel suo genere, espressione di una sintesi dell’incontro avvenuto tra i sapori semplici dei contadini e le raffinatezze della nobiltà. Per il turista enogastronomico, mangiare in Veneto significa innanzitutto gustare il pesce dell’Adriatico, pescato in gran quantità e portato principalmente nel mercato di Chioggia per essere poi trasferito alle tavole dei migliori ristoranti. Avere dunque tanto pesce significa avere grandi variazioni

Vigneti in Valdobbiadene Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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Bigoi in salsa gastronomiche con granchi, polipi, capesante, seppie e la speciale granceola che da sola diventa un prelibato antipasto, e sebbene sia un piatto raffinato è molto semplice nella preparazione e non manca mai nei menu veneziani. Continuando col pesce non si può fare a meno di menzionare un altro famoso antipasto, tipicamente marinaresco: le “Sarde in saor” ovvero le sarde marinate in cui l’ingrediente base è la cipolla. Passando ai primi piatti della cucina veneta si deve assolutamente parlare dei “bigoi”: spaghettoni rugosi che sono generalmente preparati in salsa oppure con l’anatra. I bigoi, introdotti dalla Cina da Marco Polo tra il XIII e XIV secolo, continuano ad essere fatti a mano con farina e uova, secondo l’antica tradizione. Altro piatto famoso, che veniva offerto al Doge il 25 di aprile in occasione della festa di San Marco, Patrono della città lagunare, è un primo di riso: “risi e bisi”. E’ un piatto diffuso in tutta la regione perché contiene il riso e i piselli delle colture venete. Per quanto riguarda invece i secondi piatti della cucina veneta, il fritto misto è ormai un classico, ma il baccalà è sicuramente quello più rappresentativo. Il Baccalà, giunto in veneto nell’alto medio evo con i mercanti dal Nord Europa, viene cucinato in vari modi ma quelli più

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conosciuti e ricercati dai gastronauti sono alla vicentina e mantecato. Genericamente il nome baccalà indica il merluzzo ed è presente sia in forma salata che essiccato (stoccafisso). Ma se la cucina veneziana si basa prevalentemente sulla valorizzazione del pesce dell’Adriatico, quella dell’entroterra è più variegata ed è orientata alla valorizzazione del riso e della polenta. Anche il riso trova nel Veneto svariate modalità per essere preparato: con verdure come le zucchine, i cavoli, gli asparagi, i piselli e i cavolfiori oppure con la carne d’anatra, con l’anguilla o con la tinca del lago di Garda. La polenta, invece, è spesso proposta come piatto unico, insieme con un’adeguata farcitura di carni particolari come gli “osei” che dopo essere stati insaporiti con lardo e salvia e conditi con olio d’oliva completano la cottura con una rosolatura a fuoco lento. Ma la cucina tipica veneta non finisce qui, tra le altre portate che si possono, a pieno titolo, ancora menzionare ci sono i secondi piatti di cacciagione: la faraona con la salsa “peverada” – il nome deriva dal pevere (pepe) che ne costituisce l’ingrediente principale, la gallina padovana, razza a petto largo, famosa in tutto il mondo, la trippa alla trevigiana e svariati preparati con carni di maiale e di manzo. Il Veneto è anche grande scuola di carni conservate: salami, salsicce e prosciutti. Eccellenti sono le luganeghe e la soppressa vicentina. Molto interessante è la tavolozza dei formaggi proposta dalla cucina veneta. L’arte casearia, di primaria importanza, e gli straordinari vini, rappresentativi in tutto il territorio veneto, dal Garda alle Dolomiti, consolidano quel riconoscimento generale sulla bontà delle specialità tipiche della cucina veneta. Quasi tutti i settori dell’alimentazione, in questi ultimi anni di grande competività dei mercati, si sono riorganizzati e hanno istituito specifici disciplinari di produzione consentendo l’inserimento di molte tipicità sia negli elenchi delle denominazioni d’origine sia in quelle delle indicazioni geografiche. Volendo invece dare anche una valutazione

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


quantitativa sull’istituzione delle tipicità nella cucina veneta di questi ultimi decenni, il settore agroalimentare annovera ben 12 prodotti DOP e 9 IGP, così distinti: 9 nei formaggi, 5 negli ortaggi, 2 nella frutta, 2 nell’olio, e 2 nelle carni trasformate. Sono numeri significativi che da soli ci danno l’idea della straordinarietà di un settore enogastronomico particolarmente sviluppato e curato nei minimi particolari. Un altro grande contributo alla valorizzazione della cucina veneta è dato dal “vigneto veneto” con una produzione di vini straordinari capaci di continuare a destare interesse a consistenti masse di turisti enogastronomici che in ogni periodo dell’anno, per il bene anche del conto economico regionale, attraversano in lungo e in largo questi territori con l’obiettivo primario di scoprire il senso intimo dei luoghi, dei prodotti e della cultura che li circonda. Non a caso abbiamo parlato di “vigneto veneto” perché questo angolo del nord-est italiano è proprio così, tutto così, tutto un vigneto. Il Veneto è la regione italiana che più di ogni altra è stata “baciata” dalla natura. La sua conformazione geografica è molto interessante proprio per il suo carattere variegato che nella stessa regione comprende pianura, collina, montagna e laghi che occupano tre fasce ben distinte da nord a sud. Veneto e Vinum è un binomio che vive in perfetta simbiosi da tempi immemorabili. E non poteva essere diversamente, visto che le prime barbatelle di vitis vinifera si riscontrarono in questi territori già diversi millenni addietro, ormai remoto passato. Da allora molte cose sono cambiate. Si è coltivata la vite in ogni angolo del Veneto sfruttando al meglio le qualità dei terreni con impianti di vitigni ad essi più congeniali. Sono stati valorizzati i vitigni autoctoni ed impiantati altri, i cosiddetti vitigni internazionali. Gran parte del territorio della regione è dunque ad alta vocazione vinicola. Su circa 80.000 ettari di superficie coltivata, ben 25.000 sono le aziende agricole iscritte all’albo dei vigneti di vini a denominazione di origine per una produzione mediamente di

Polenta e Osei circa 9 milioni di ettolitri di vino di cui 2 milioni nelle zone DOC e DOCG. Il Veneto è quindi oggettivamente una delle regioni più significative dell’enologia italiana. Questo è un segno evidente di una volontà sinergica regionale che mira costantemente alla crescita di una produzione di alta qualità, ottenuta grazie all’armonizzazione delle peculiarità del territorio ed alla valorizzazione delle varietà autoctone tra le quali spiccano i vitigni: Raboso, Corvina, Rondinella, Prosecco, Garganega, Vespaiola e Verdisio) e al miglioramento dei vitigni internazionali come il Merlot, il Cabernet, Il Sauvignon, Il Pinot, il Riesling. Oggi la Regione Veneto vanta 3DOCG, 22 DOC e 9 IGT. I vini sono molto diversificati e rappresentativi dei terroir dell’intera regione. Troviamo, infatti, nella parte occidentale, la zona del Bardolino, con terreno collinare, sciolto e

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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spesso ciottoloso nello straordinario scenario del Lago di Garda. Al confine con il comprensorio del Lago di Garda troviamo la Valpolicella, caratterizzata dalla produzione di uve provenienti principalmente dai vitigni Corvina veronese, Rondinella, Molinara, simili a quelli del Bardolino, ma con una muscolatura più pronunciata in virtù del terroir che, oltre agli influssi climatici lacustri, beneficia dell’ambiente pedemontano della Lessinia. I vini prodotti in questo comprensorio si distinguono, con le dovute sottodenominazioni di classico e Superiore, in Valpolicella, Recioto e Amarone della Valpolicella. A seguire in direzione da ovest verso est, dopo la Valpolicella, sempre in provincia di Verona, troviamo la zona del Soave. Questo territorio è vocato principalmente alla produzione di grandi vini bianchi, e comprende tredici comuni incluso quello di Soave da cui il vino prende il nome. A Nord della zona del Soave troviamo la Lessinia, ovvero il comprensorio del Durello dei Monti Lessini. La denominazione “Lessini Durello” è riservata ai vini ottenuti con l’utilizzo di uve Durello, coltivate soltanto in queste zone delle province di Verona e Vicenza. Adiacente alla zona del Soave troviamo il comprensorio di Gambellara che comprende quattro comuni della provincia di

a cura della redazione di

V

isti daVicino

Vicenza. Procedendo verso il centro del Veneto troviamo i Colli Euganei dove la produzione dei vini non è fatta soltanto con i vitigni autoctoni come il Garganega, il Tocai Friulano e il Moscato, ma anche con uvaggi di vitigni internazionali (Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, Chardonnay e Pinot). Spostandoci infine verso la parte più orientale della regione, troviamo l’eccellenza vinicola assoluta del Veneto: il Prosecco. L’area di produzione del Prosecco si estende sulla fascia collinare della provincia di Treviso, detta anche Marca Trevigiana, e oltre a Conegliano e Valdobiadene, comprende anche i comuni di Vittorio Veneto, Pieve di Soligo e Vidor. Il Prosecco prodotto con uve provenienti dalla frazione S.Pietro di Barbozza è denominato Cartizze con diritto anche alla sottodenominazione “Superiore di Cartizze”. Quando parliamo del Cartize sicuramente identifichiamo il vino bianco più famoso in Veneto e forse anche in Italia. Ormai tutto il bacino enogastronomico del Veneto è in continua evoluzione e sicuramente, anche nei prossimi anni, continuerà a destare curiosità e sorpresa: ingredienti essenziali per donare gioia a tutti gli eno-gastronauti.

Quatremillemètres Vins d’Altitude scarl Via Corrado Gex, 52 - 11011 Arvier (AO) Tel. 0165 929805 - Fax 0165 929808 - www.4000metres.net

Quatremillemètres Vins d’Altitude

A

dicembre 2007 presso il castello Generale Cantore di Aosta, sede della prestigiosa scuola militare alpina, è stato presentato un nuovo marchio sul panorama enologico valdostano: Quatremillemètres Vins d’Altitude. Espressione della sinergia tra tre storiche cantine valdostane: Coopérative de l’Enfer, Cave du Vin Blanc de Morgex et La Salle e Crotta di Vegneron, consociatesi per produrre vini spumanti realizzati con Metodo Classico, Italiano ed Ancestrale, con sede presso lo stabile della Co-Enfer ad Arvier. Non si tratta di una fusione delle tre cooperative ma di una joint venture volta a far crescere l’offerta commerciale al fine di individuare nuovi sbocchi di mercato. Con l’obiettivo di coordinare la produzione delle tre aziende, ridurre i costi di gestione sul lungo termine, integrare la commercializzazione evitando inutili concorrenze Quatremillemètres ha come principale scopo il mantenimento della redditività dei 65 ettari coltivati sulle tre zone. L’orgoglio di una storia enologica antica, la consapevolezza e la responsabilità di gestire un patrimonio viticolo unico sul panorama enologico europeo per la sua bellezza e fragilità, ha spinto i presidenti

delle tre cooperative a trovare una base comune di lavoro che verrà scritta e costruita nei prossimi anni non a caso ad Arvier. A marchio Quatremillemètres Vins d’Altitude vengono prodotti e commercializzati i seguenti vini spumanti: Fripon, Refrain, Ancestrale, Caronte, 4478, Cuvée des Guides; “bollicine” di montagna”, i cui vigneti crescono ad un’altitudine compresa tra i 650 metri s.l.m. e i 1225 metri s.l.m. L’ultimo nato “La Cuvée des Guides” è prodotto nella cantina presso il Rifugio Franco Monzino a 2590 m di quota in Val Veny.



di Maria Luisa Doldi

I vini del Lazio si presentano a Vienna

Che il Lazio sia un grande produttore di vino, è noto: la regione fornisce circa il 5% del prodotto nazionale e possiede ben 26 zone D.O.C.

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arà un caso, ma le prime giornate tiepide di questa primavera viennese che tardava ad arrivare sono coincise proprio con l’arrivo in città di 20 viticoltori del Lazio che, nel contesto di una manifestazione promossa dall’Arsial (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio), hanno potuto presentare al pubblico viennese i vini della propria regione, qui ancora poco conosciuta. La manifestazione – tenutasi il 18 marzo nella cornice di Palais Coburg, uno dei palazzi più eleganti della capitale austriaca – porta il nome intrigante di “I castelli di Bacco” e si trova alla sua seconda edizione. Come spiega il critico ed enologo Ian D’Agata, che ha guidato le degustazioni: “L’idea da cui è nata questa manifestazione è quella di fare conoscere il Lazio e i suoi vini più tipici a mercati importanti ed emergenti”. Quest’anno, oltre che a Vienna, i viticoltori hanno fatto tappa anche a Stoccolma e Londra. Che il Lazio sia un grande produttore di vino, è noto: la regione fornisce circa il 5% del prodotto nazionale e possiede ben 26 zone D.O.C. Meno nota è l’evoluzione che la viticoltura della regione sta subendo da dieci anni a questa parte: da una produzione mirata soprattutto alla quantità ad una viticoltura di qualità, che cerca di esprimere nei suoi vini

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Palais Coburg di Vienna

le peculiarità del territorio e le potenzialità dei suoi vitigni. Terra capace di dare grandi vini anche da vitigni internazionali – ad esempio i Cabernet e Merlot della zona di Atina (Frosinone) - sono però i tanti vitigni autoctoni che fanno della regione un piccolo gioiello nel vasto panorama enologico italiano. Tra i rossi si citi ad esempio il Cesanese, diffuso soprattutto intorno ai comuni di Olevano, Affile e Piglio, al confine tra la provincia di Roma e di Frosinone. Si tratta di un vitigno difficile – in vigneto sensibile alla Peronospora, in cantina arduo da domare nei tannini – ma se il viticoltore riesce ad assecondarlo, allora è in grado di dare vini dai tipici sentori fruttati di lampone e bacche di bosco, ben adatti anche per “monologhi” da selezione e invecchiamento. Su questo vitigno vi è ancora molto da sperimentare e da scoprire, ma già oggi esso rivela di avere grossi potenziali. Secondo Ian D’Agata sarà “un hot spot della viticoltura italiana dei prossimi anni”. Tra i bianchi, degni di nota sono i vitigni Passerina,

Moscato di Terracina, Malvasia del Lazio (o puntinata), Bellone, Bombino, Trebbiano giallo. Gli ultimi quattro in particolare sono vitigni complessi, sensibili alle malattie e di basse rese, ma in grado di dare uve di alta qualità e grande aromaticità. Sono proprio queste uve che, in concerto, danno origine ai Frascati migliori, vini cioè di corpo, carattere e spiccato aroma. I vini del Lazio prodotti da uve native locali aprono un universo di aromi e sentori completamente nuovo, diverso da quello a cui ci ha abituato il mercato internazionale, o da quello più riservato e spigoloso degli autoctoni austriaci, ma proprio per questo ancora più affascinante. Per un pubblico straniero, che quando sente Italia capisce Toscana e Piemonte, i vini del Lazio sono stati una vera e propria rivelazione. L’entusiasmo non si è manifestato solo per la novità sensoriale e la forte espressione territoriale di questi vini, ma anche per il loro ottimo rapporto prezzo/qualità, anche questo un aspetto non secondario.

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IL CIPRESSO UN VALCALEPIO CAMBRAGO e DA MEDAGLIA D’ORO il Soave D.O.C Classico Poco più di quattro ettari di vigneto sulle soleggiate colline di Scanzorosciate (il Comune alle porte di Bergamo celebre per il suo splendido vino passito, il Moscato di Scanzo Docg): l’azienda agricola “Il Cipresso” si caratterizza per una produzione limitata di alta qualità. «In totale - afferma la titolare Angelica Cuni (nella foto insieme al marito Alfonso Esposito) - siamo intorno alle 15-16 mila bottiglie tra Valcalepio bianco Doc, Valcalepio rosso Doc, Valcalepio rosso Riserva Doc e Moscato di Scanzo Docg. Facciamo poche bottiglie ma le vogliamo fare al massimo della qualità». L’acquisto della Tenuta Il Cipresso da parte della famiglia Cuni-Esposito ha coinciso con il rilancio paesaggistico ed enologico di questa bellissima zona collinare. Nella conca naturale dove sono i vigneti del “Cipresso” se ne può ammirare uno di oltre 25 anni, uno splendido impianto a ritocchino che stupisce per l’ardita geografia. I fatti stanno dando soddisfazione anche nel settore enologico a questa donna manager, da anni alla guida di una importante azienda meccanica. A conferma come al “Cipresso” ogni anno di produzione sia al massimo della qualità, sono arrivati lusinghieri riconoscimenti anche quest’anno dal 49° Concorso enologico nazionale di Pramaggiore (Ve) e dal Vinitaly di Verona. I due vini presentati a Pramaggiore hanno meritato il diploma di medaglia d’oro. Si tratta del Valcalepio Rosso doc Riserva “Bartolomeo” 2006 e del Valcalepio bianco Doc “Melardo” 2009. «Un en plein che ci fa piacere - commenta Angelica Cuni - ma che non ci fa dormire sugli allori. L’impegno è sempre tanto, anche per dimostrare nei fatti che i premi sono veritieri». Al 18° Concorso enologico internazionale abbinato al Vinitaly 2010, il Valcalepio Rosso riserva Doc “Bartolomeo” 2005 dell’Azienda il Cipresso ha meritato la “Gran Menzione”. Riconoscimento non da poco, vista la grande selezione che gli enologi-degustatori fanno tra le migliaia di campioni presentati in fiera. Azienda agricola Il Cipresso - www.ilcipresso.info

“I Cèrceni”

È un’azienda giovane ma determinata ad affermarsi nel mondo vinicolo di qualità. E di qualità ce n’è tanta nei loro vigneti posti su terreni di origine vulcanica a Costeggiola, nei pressi di Soave, ben esposti al sole e particolarmente vocati per la coltivazione di uve pregiate che permettono di ottenere vini qualitativamente superiori: dal Recioto di Soave al Soave Classico, dal Soave Superiore DOCG al Brut di Soave fino ad un Vino Rosso del Veronese, tutti ottenuti da vitigni autoctoni. Il terreno vulcanico trasmette a questi vini caratteristiche organolettiche di eccellenza, finezza ed eleganza. Da una particolare zona coltivata a garganega viene ricavato il Soave d.o.c. Classico “I Cèrceni”. Dopo un’accurata raccolta tardiva, effettuata completamente a mano, l’uva garganega dei “Cèrceni”, viene lavorata con una pressatura soffice e lasciata fermentare a temperatura controllata. L’imbottigliamento viene effettuato dopo 6 mesi e l’affinamento (3 mesi) in bottiglia rende il vino pronto per essere degustato al meglio. Ricco di profumi e caratterizzato da un elegante retrogusto di mandorla che lo rende ottimo con tutta la grande cucina internazionale, va servito alla temperatura di 10°C e si abbina elegantemente soprattutto con i grandi piatti a base di pesce e le carni bianche. Recentemente è stato premiato con la Medaglia di Bronzo nel Decanter World Wine Awards 2009. Casa Vinicola Cambrago S.r.l - www.cambrago.it

CECCHI presenta COEVO Coevo è un vino, pensato, sentito e tanto desiderato da Andrea e Cesare Cecchi. “Volevamo dare un forte segnale di svolta alla nostra più che centenaria storia enologica, - dice Cesare Cecchi - Creare un momento che fosse sintesi del nostro passato, memoria della nostra tradizione, testimonianza del nostro territorio, riferimento per il presente ma soprattutto per il futuro”. L’annata è il 2006. L’uvaggio è composto da quattro vitigni provenienti da zone diverse della Toscana. La percentuale più alta è di Sangiovese per determinarne il carattere. Vitigno che insieme al Cabernet Sauvignon proviene dalla sede storica di Castellina in Chianti. Gli altri due vitigni sono Petit Verdot e Merlot dai vigneti della tenuta di famiglia in Maremma, Val delle Rose. La filosofia con cui nasce questo vino è semplice e chiara: il


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massimo della qualità per ogni annata. “La realizzazione di un sogno, - dice Andrea Cecchi - Abbiamo voluto, enologicamente, vivere il nostro tempo. Siamo partiti dal concetto di contemporaneità perché volevamo essere ‘coevi’ nell’esprimere la qualità. Qualità organolettica, gusto moderno, cultura, sono elementi dinamici, che si evolvono, e grazie all’uomo variano nel tempo”. Per questo motivo l’uvaggio di Coevo potrà variare a seconda della vendemmia mantenendo comunque sempre l’elemento base che lega la famiglia Cecchi al proprio territorio, il Sangiovese: “Pensare di poterci muovere su queste basi è stato ed è stimolante”, continua Andrea Cecchi. “Coevo non ha compromessi, spiega Cesare Cecchi - Frutto di un lavoro duro e lento che mio fratello ed io stiamo portando avanti con passione e orgoglio da tanti anni con l’obiettivo di creare un vino che racconti il territorio e che in qualche modo esprima la ‘saggezza’ del tempo agrario”. Ed è dal concetto di tempo che nasce la filosofia di questo progetto, espresso già nell’etichetta da un pensiero di Sant’Agostino, graficamente stilizzato in forma di clessidra. “Per noi il tempo è circolare. Non c’è un prima e un dopo”, concludono i fratelli Cecchi. Casa Vinicola Luigi Cecchi e Figli - www.cecchi.net

NAWÀRI - IL PINOT NOIR SECONDO DUCA DI SALAPARUTA Un nuovo progetto che ha puntato sulle peculiarità del territorio, la sperimentazione e l’unicità del vitigno. Il Pinot Noir coltivato nella tenuta Vajasindi alla pendici dell’Etna è quindi la grande sfida di quest’anno per Duca di Salaparuta, un progetto enologico voluto fortemente dall’azienda che si basa sulla profonda conoscenza del territorio siciliano e sulla sperimentazione portata avanti da decenni. L’altitudine, il terreno ricco di minerali e le forti escursioni termiche dell’Etna creano le condizioni ideali per il Pinot Noir, vitigno capriccioso ed esigente, che su questa terra riesce ad esprimersi e a regalare emozioni uniche. Nasce così Nawari, un Pinot Noir in purezza che matura per circa dodici mesi in piccoli fusti di selezionato rovere e poi in bottiglia per almeno sei mesi, riposando in fresche

cantine per permettere la perfetta evoluzione del bouquet. Nawari, un nome arabo che identifica il popolo nomade, è stato scelto per rappresentare questo vitigno proprio perché il Pinot Noir è un “viaggiatore”, coltivato in molte parti del mondo dove si esprime in maniera differente in base alle caratteristiche del territorio che lo ospita. www.duca.it - www.vinicorvo.it - www.cantineflorio.it

IL FORUM SBARCA A VENEZIA Il Forum Spumanti d’Italia ha presentato il nuovissimo programma, che vedrà la Città di Venezia futura capitale dello spumante italiano. Dal 16 al 18 ottobre la città lagunare sarà la vetrina nazionale ed internazionale degli spumanti di casa nostra, una scelta accolta con favore dagli operatori che intuiscono la possibilità di lanciare l’intero comparto riuscendo a far collaborare le diverse aree di produzione. “Ringrazio quanti hanno profuso fino ad oggi il proprio impegno per sostenere e creare le fondamenta del Forum Spumanti d’Italia – spiega il Direttore Luca Giavi – Oggi abbiamo la maturità per creare un grande evento Luca Giavi nazionale a Venezia sfruttandone caratteristiche e fama mondiale. Il Forum favorirà i processi di informazione e comunicazione legati al mondo spumantistico”. Tra i promotori anche il Sindaco di Valdobbiadene Bernardino Zambon: “Il Prosecco Superiore, in continua crescita nel mercato, avrà ancora più chances all’interno dell’azione del comparto spumantistico italiano. Villa dei Cedri rappresenta l’inizio dell’avventura dello spumante italiano, ora però occorre un luogo capace di mettere in evidenza l’eccellenza italiana e ognuno sente che Venezia può rappresentare al meglio quest’esigenza. Venezia sarà il trampolino di lancio per gli spumanti nel mondo, Valdobbiadene resterà la casa natale dell’evento, il luogo in cui la comunità continuerà a festeggiarne la nascita e la felice rinascita.” Forum Spumanti d’Italia - www.forumspumantiditalia.it


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PALAZZO ROCCABRUNA UN GIUGNO RICCO DI INIZIATIVE “GUSTOSE” Con l’arrivo della bella stagione entrano nel vivo le iniziative di Palazzo Roccabruna: dal vino ai salumi, dal formaggio al pesce. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: Palazzo Roccabruna con l’Enoteca provinciale del Trentino propone un fitto calendario di eventi per tutti i gusti. Nel corso della settimana ogni giovedì e sabato dalle 18 alle 22 gli ospiti dell’Enoteca potranno scegliere fra oltre cento etichette di vini trentini in degustazione: dalle raffinate bollicine del TRENTODOC al carattere intenso e deciso del Teroldego, dall’eleganza del Marzemino alla freschezza del Müller Thurgau, dalla delicatezza della Nosiola alla dolcezza ammaliante del Vino Santo Trentino. Nel fine settimana tante iniziative per parlare di qualità e di prodotti tipici. Dal 3 al 6 giugno in occasione del Festival dell’Economia che fa di Trento ogni anno la capitale dell’economia mondiale, Palazzo Roccabruna propone “Sulle vie del gusto”: quattro giorni di appuntamenti per scoprire i sapori del territorio. Ospite d’onore della manifestazione l’Enoteca italiana di Siena con le specialità enogastronomiche più rappresentative del Paese (5-6 giugno). Dal 10 al 13 giugno vanno in scena i vini rosati con “Rosati trentini: emozioni d’estate”. Una quattro giorni di degustazioni, abbinamenti, approfondimenti su un vino fresco e leggero, ideale per i brindisi estivi. Dal 24 al 27 giugno è la volta del pesce con “Il pesce del Trentino a Palazzo Roccabruna”: saranno protagonisti i prodotti ittici della provincia (trote, trote salmonate e salmerini). Tante valide ragioni per una gita nella città di Trento alla scoperta di sapori unici e inconfondibili. Per il calendario delle iniziative www.enotecadeltrentino.it

AMARULA - MARULA FRUIT AND CREAM Amarula è una crema di liquore prodotta in Sud Africa a partire dal 1989 ed è oggi nella sua categoria il secondo prodotto più venduto al mondo, dietro soltanto a Baileys. È ottenuta dai frutti

di un albero, la marula, che cresce spontaneo in gran parte dell’Africa australe. Quando giungono a maturazione hanno la forma e la dimensione delle nostre prugne con una polpa bianca interna di grande profumo e dolcezza. Sottoposti a fermentazione e poi a distillazione, producono un’acquavite che viene affinata in legno e quindi addizionata di crema di latte, per dar luogo al prodotto finito a 17 gradi alcolici. Amarula può essere consumata liscia, con ghiaccio o soda. È anche base di svariati cocktail. Deliziosa come correzione del caffè, è ideale sui gelati e come guarnizione di molti dessert. Alcuni chef innovativi la utilizzano con successo su insalate e piatti riccamente conditi. La sua bottiglia scura, molto elegante, reca in etichetta l’immagine dell’elefante, simbolo del Sud Africa e animale eponimo della marula. In Sud Africa questo albero è infatti conosciuto da millenni come “l’albero degli elefanti”. Fratelli Rinaldi Importatori - www.rinaldi.biz

MAGNIFICA - la botte del Guinness World Record “MAGNIFICA”, la botte da affinamento più grande del mondo, è stata presentata al Vinitaly presso lo stand di Garbellotto alla presenza di un giudice ufficiale del GWR, che ha sancito l’omologazione del record. La botte del Guinness è costruita con 5.000 kg del miglior rovere, per un volume complessivo di 40 mc. ed una capacità di 33.300 litri, rappresenta la massima espressione tecnica dell’Arte del Bottaio. Legname proveniente da una foresta con più di 200 anni di vita è stato utilizzato per produrre le doghe spesse da 85 a 110 mm e lunghe 360 cm. Tommasi Viticoltori, storica cantina del territorio veronese, ha collaborato con un’altrettanto storica azienda, la Garbellotto Spa, nata nel lontano 1775 come azienda artigianale per la produzione di botti e manufatti in legno e che produce bottame per 45.000 hl l’anno. “Sono diversi anni - afferma l’enologo Giancarlo Tommasi - che lavoriamo in collaborazione con Garbellotto per selezionare le migliori tipologie di legno, che meglio si adattino all’affinamento dei vini della Valpolicella, ed in


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le notizie di enogastronomia e turismo particolare al nostro Amarone. I vini della Valpolicella Classica, infatti, non prediligono affatto maturazioni in legni “aggressivi” come quelli delle barrique, ma richiedono un affinamento lento e sapiente in legni morbidi, neutri e dolci, che lascino al vino la possibilità di evolversi al meglio mantenendone intatta l’integrità e l’espressività. Avere dunque una botte da 33.300 litri, dove l’Amarone matura e affina in modo uniforme per più di 3 anni è la garanzia per avere poi in bottiglia un vino unico, elegante ed eccellente”. L’Amarone Tommasi è vellutato, corposo e di grande eleganza. Grazie all’estrema cura dei vigneti, alla selezione dei migliori grappoli, al tradizionale metodo di appassimento e al paziente affinamento in botte, Tommasi ha fatto della qualità un dovere morale. TOMMASI Viticoltori - www.tommasiwine.it

FRANCIACORTA ’61 SATÈN LE NUOVE BOLLICINE DI BERLUCCHI Dopo l’ottima accoglienza riservata a ’61 Brut e Rosè, Berlucchi propone Satèn, Chardonnay in purezza affinato sui lieviti 24 mesi, il Franciacorta più raffinato per antonomasia, tipologia esclusiva del territorio franciacortino. ’61 Satèn riprende il packaging vintage della linea, in una elegante tonalità d’azzurro. La gamma ’61, che celebra il Pinot di Franciacorta 1961, primo metodo classico del territorio, nato proprio nelle cantine dell’azienda, rappresenta “il nuovo modo di essere Berlucchi”: fresco e complesso insieme, giovane ma ricco di storia, euforico anche nell’immagine. Giallo paglierino intenso con spuma soffice e cremosa e perlage sottile e continuo, profumo ricco, elegante con sentori di frutta matura gialla tropicale che si evolvono in note di agrume candito, di spiccata acidità e sapidità, presenta grande struttura e

finale lungo. È ottimo come aperitivo, ideale con risotti delicati e piatti a base di pesce o con prosciutto crudo e formaggi non troppo stagionati. Si serve a 8 °C. GUIDO BERLUCCHI & C S.p.A. - www.berlucchi.it

AZIENDA AGRICOLA PROVENZA - UN CONVEGNO SUL LUGANA DOC Il prossimo 19 giugno ricorrono i 300 anni della Cantina Cà Maiöl, una struttura costruita nel 1710 nel territorio di Desenzano dal notaio Sebastiano Maioli, circondata da 12 ettari di terreno vitato, proprio nel cuore della Lugana. Ma è nel 1967 che la storica cantina inizia una nuova “vita”, quando Walter Contato, membro di una famiglia di antiche origini provenzali con una grande passione per il vino, l’acquista e decide di fondare l’Azienda Agricola Provenza. La felice intuizione del fondatore, i primi riconoscimenti e i premi, fanno crescere l’Azienda, sia qualitativamente sia quantitativamente, portandola a 120 ettari con l’acquisizione della cascina Molino, Rocchetta e Storta. Oggi l’azienda, immersa nell’incantevole scenario delle Colline Moreniche a sud di Sirmione, dove gode di un clima temperato in inverno e d’estate non manca mai il ristoro della brezza che viene dal lago, è diventata una dei migliori produttori di pregiati vini doc del comprensorio. Questo lo si deve in parte al suo fondatore Walter, scomparso nel 1996, e poi al figlio Fabio Contato che con il “progetto-qualità”, volto al costante miglioramento del prodotto e a tutti i valori ancora inespressi, è riuscito ad interpretare al meglio le richieste del mercato oramai globalizzato, le nuove tendenze di consumo e cambiamenti di stile di vita puntando sulla promozione e valorizzazione del Lugana doc in Italia e all’estero con determinazione e consapevolezza della bontà del prodotto, perchè “Dopo anni di ricerca e sperimentazioni siamo riusciti a tirare fuori tutte le risorse del Lugana, un vino di grande struttura e corpo che esprime il carattere del Trebbiano e la sua potenzialità”. In ricordo del fondatore Walter Contato e dei 300 anni dell’antica Cantina Cà Maiöl, l’Azienda Agricola Provenza organizzerà nel mese di settembre un importante convegno, “Il Lugana doc a tavola”. Azienda Agricola Provenza - www.provenzacantine.it


a cura della redazione di Quality ADV

Fare sistema per competere

Un calice di vino racconta nei suoi aromi, nei suoi profumi, millenni di storia e di attività sia della natura sia dell’uomo

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ietro i successi del vino italiano che ha conquistato i primi posti nelle classifiche internazionali più prestigiose c’è una tradizione magnifica, fatta di uomini, paesaggi, vitigni, tecniche, conoscenze, ed arricchita da una passione

antica. Da oltre 50’ anni Bayer CropScience ha un posto in questa tradizione, si è posta infatti al fianco di viticoltori, enologi, sommeliers, consumatori, per accompagnare la vite ed il vino italiani verso successi sempre più importanti, in campo agronomico, enologico e sui mercati del mondo. Terreni e clima diversi in ogni angolo dello stivale, vitigni unici al mondo, imprenditori capaci e creativi, mezzi tecnici di assoluta avanguardia, sono la migliore garanzia per guardare con fiducia ad un grande futuro. Grazie alle innovazioni introdotte negli ultimi anni e il forte impegno delle aziende nell’utilizzo di prodotti efficaci contro le avversità, sicuri dal punto di vista ambientale e che offrono le massime garanzie sulla sanità del vino possiamo fare un punto di forza della nostra vitivinicoltura di eccellenza, che trova riscontro anche nell’innalzamento della qualità enologica delle uve perchè un buon vino inizia nel vigneto e si valorizza in cantina. “L’impegno per la sostenibilità delle produzioni vitivinicole” Continuano le sfide per le nostre produzioni viticole che oggi devono rispondere sempre di più a requisiti di qualità e di prezzo in grado di soddisfare le richieste del consumatore e rispettando le sempre più stringenti normative italiane ed europee volte alla tutela dell’ambiente e della salute sia del consumatore sia degli operatori della filiera. In questo panorama divengono sempre più importanti

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gli aspetti legati all’etica delle produzioni e alla loro sostenibilità ambientale e sociale; per rispondere a queste esigenze Bayer CropScience sostiene Magis, progetto volto a migliorare la competitività delle aziende attraverso la creazione di valore e l’ottimizzazione delle risorse. Tale progetto si pone l’obiettivo di andare incontro nel modo più concreto alle richieste di viticoltori e consumatori di differenziare la produzione italiana in base a parametri oggettivi di qualità. “L’impegno nella comunicazione delle filiere strategiche” Il valore del vino è sempre più legato anche all’informazione. Per saper produrre uve più sane. Per conoscere i mercati. Per far conoscere le eccellenze italiane. Per trasmettere ai consumatori una corretta informazione aggiornata sui progressi che sono costantemente introdotti nella filiera dell’uva, Bayer CropScience sta coinvolgendo il mondo giornalistico in momenti di formazione con i maggiori esperti della filiera a livello nazionale. La collana “Coltura&Cultura”. La percezione del consumatore è ancora molto lontana dall’agricoltura vera e soprattutto da che cosa c’è dietro ad un prodotto agricolo. Promuovere storia e cultura della vite e dei suoi prodotti, oltre che sottolineare il valore tecnico che c’è all’interno di una bottiglia, significa valorizzare le conoscenze di un settore

agroalimentare trainante per l’Italia. Per la prima volta dopo moltissimi anni, “La vite e il vino” della collana “ Coltura & Cultura” di Bayer CropScience, un libro scritto dai migliori esperti della ricerca, della produzione e della comunicazione, si rivolge proprio al consumatore e al vasto pubblico. Il volume parla di botanica, di coltivazione, di cantina, ma anche di storia, arte, paesaggi, cucina, alimentazione ed economia legati al vino. E lo fa con linguaggio semplice e piacevole da leggere, con l’aiuto di un ricco e ben impaginato repertorio iconografico. Da qui nasce il nome della collana: la cultura nasce infatti quando le conoscenze vengono riunite, collegate tra loro e condivise con chi ne ha bisogno. Il libro La vite e il vino, ha ricevuto il premio mondiale O.I.V. (ORGANISATION INTERNATIONALE DE LA VIGNE ET DU VIN) 2008 per la categoria Monografie e studi a carattere descrittivo e promozionale. Incontri e Convegni. Il destino della nostra viticoltura dipende anche dalle decisioni sulle normative prese a livello internazionale, soprattutto europeo. Ma come orientarsi su temi spesso lontani dalla realtà delle aziende? Il sistema più semplice è ascoltare i bisogni dei protagonisti della filiera vitivinicola nazionale, che Bayer CropScience raccoglie in vista delle

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Bayer CropScience Italia Viale Certosa, 130 Milano Tel. 02.39721 scadenze più importanti, lo è stato l’approvazione dell’Ocm vino, o in vista di cambiamenti per il vino italiano sui temi dell’innovazione, dei mercati, degli orientamenti dei consumatori, delle normative, Valori e Valore del vino Italiano e Valori e Valore dell’uva italiana a cui hanno partecipato esponenti delle associazioni vinicole, enologi, enotecnici e ministeriali, grandi produttori, singoli ed associati, scienziati e ricercatori, tutti con l’obiettivo comune di fare sistema ed affrontare con sinergia le nuove sfide e rendere competitivo il settore vitivinicolo a livello mondiale. Emozioni e cultura in video. Il valore che trasmette un calice di vino nasce anche dal paesaggio, dalla storia, dalle persone che lo producono. Ma come comunicare queste emozioni? Le immagini dei nostri paesaggi viticoli sono forse il mezzo migliore per parlare, sia alla testa sia al cuore dei consumatori, soprattutto se di altri paesi. Per questo Bayer CropScience, ha raccolto una documentazione visiva dei luoghi e dei paesaggi di tutte le regioni del vino italiano, dal lavoro in vigna alla testimonianze della storia, visite in cantina, interviste vanno a costituire filmati, raccolti in Dvd, di grande suggestione. Inoltre per conoscere i mercati internazionali dove il vino italiano deve continuare ad espandersi, sono nati i viaggi di studio in diverse aree del mondo che coinvolgono ricercatori, tecnici e produttori per poter toccare con mano le diverse realtà economiche e colturali e capire in presa diretta le dinamiche di produzione e consumi. A seguito di questi viaggi, Bayer CropScience ha iniziato la produzione di reportage video dal mondo, iniziando

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dal Sud Africa, un importante competitore dove la viticoltura vanta già quattro secoli di storia. Per continuare in Cina, per scoprire l’altra faccia, per così dire, della tumultuosa crescita del gigante asiatico che ha iniziato una lunga rincorsa alla qualità ed in Cile un esempio di competitività dal punto di vista economico che ha origine nella cultura italiana. Ma è sufficiente tutto questo? • Rimettere al centro la ricerca per rispondere con oggettività alle richieste del consumatore, dei mercati e delle normative future e misurare i valori veri e distintivi delle produzioni italiane; • Centralizzare nel nostro modo di operare la condivisione della conoscenza e del linguaggio (le pubblicazioni www.colturaecultura.it, i filmati www.bayercropscience.it); • Fare sistema, mettendo insieme tutti gli attori della filiera per lavorare in sinergia con un obiettivo comune: il successo delle nostre produzioni. La formazione continua di ogni componente della filiera riveste un ruolo strategico per il futuro del vino italiano.

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Brandini Agricola

a cura della redazione di Quality ADV

LA MORRA

Quando un’azienda agricola prende la strada giusta

EE

ntrata a fine 2007 a far parte del gruppo delle Cantine di Eataly, l’Agricola Brandini ha da subito cercato una propria forte identità trovandola nella certificazione di Agricoltura Biologica, strada a dire il vero facilitata dalla conduzione dei vigneti, volta da sempre al lavoro attento verso l'agricoltura integrata. Sono circa 9 gli ettari vitati e attualmente l’azienda produce circa 35.000 bottiglie di Barolo docg, 10.000 di Langhe Nebbiolo doc, 5.000 di Brandini & Brandini Langhe rosso doc 10.000 di Barbera d’Alba Superiore doc e 5.000 di Dolcetto doc. Il progetto aziendale verso l’eccellenza ha portato a consolidare il rapporto di consulenza con Beppe Caviola, Enologo di fama internazionale il quale ha lavorato seguendo le tradizioni di Langa con grande attenzione e cura nella produzione dei vini usando moderne attrezzature, affinandoli

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però solo in grandi botti di rovere nelle fresche cantine dell’azienda. Sono arrivati nel 2009 i primi risultati con l’ambito riconoscimento di Slow Food “Etichetta” nella guida “Il vino quotidiano” al Langhe Rosso quale miglior vino della propria tipologia nel rapporto qualità-prezzo. Un ulteriore motivo di soddisfazione è il premio speciale “CARISTUM” per la categoria “Vini Rossi D.O.C. - vendemmia 2008” al LANGHE DOC Rosso BRANDINI E BRANDINI 2008 recentemente conseguito nel maggio 2010 al “XXX Concorso Enologico Città di Acqui Terme - 13ª Selezione Regionale Vini del Piemonte". Produrre vini puliti e buoni con l’uva proveniente da agricoltura biologica da vendere a prezzi equilibrati, questo è l'obiettivo dell'Azienda. Agricola Brandini quest’anno ha partecipato a Vinitaly di Verona con proprio stand ottenendo un grandissimo

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successo commerciale sia in Italia sia all’Estero. L’azienda ha appena lanciato un nuovo progetto per produrre un grande bianco di Langa con uve biologiche e sta per mettere a dimora un ettaro di sauvignon e riesling. Nel 2009 l’azienda è stata visitata da migliaia di persone che hanno potuto degustare i vini in modo professionale godendo del fantastico panorama e della nuovissima sala degustazione costruita nel 2008. I vini dell’Agricola Brandini sono distribuiti in Italia dagli agenti di Fontanafredda nel catalogo “IL VINO E” (www.ilvinoe.it)

Carlo Cavagnero - produttore

Erica Tallone amministrazione e commerciale

Nasce nel 2010 un’altra azienda legata all’ormai famoso nome, la Commerciale Brandini srl con l’intento di distribuire nel mondo gli altri eccellenti vini delle cantine del gruppo Eataly, presentandoli al mercato con una nuova immagine

completamente

diversa da quella

Elisabetta Manzone accoglienza e negozio interno

dell’Agricola ed illustrando in modo chiaro e trasparente la cantina di produzione in controetichetta.

Agricola Brandini Borgata Brandini, 16 - La Morra (CN) Tel. 0173 50266 info@agricolabrandini.it

www.agricolabrandini.it


Sicilia speciale

Al-Cantara: un ponte tra poesia, cultura e vino di Roberto Rabachino - Fotografia di Daniela D’Arrigo

Ogni bottiglia è intrinsecamente letteraria, martogliana per la precisione, nella sua denominazione e artistica nella sua etichetta.

D

alla felice intuizione di

ispiratrice del giovane artista

Pucci Giuffrida che un

catanese Alfredo Guglielmino,

buon vino è poesia , e

che ha letto le opere di

per farlo ci vuole “arte” nasce

Martoglio, cui i vini si ispirano,

l’ azienda Al-Cantàra. Seppur

ricreandone

giovanissima, sono riusciti in

l’atmosfera e riproponendo, in

poco tempo ad affermarsi sul

modo elegante e raffinato, il

mercato sia per il connubio,

particolare sapore di ciascuna

unico e prezioso nel suo genere,

di esse in chiave figurativa. Per

tra uva, versi e pastelli, sia per

l’implementazione dell’aspetto

la qualità dei vini, riconosciuta

culturale dei prodotti si sono

con alcuni premi di portata

avvalsi del prezioso aiuto di

nazionale e internazionale.

Sarah

L’azienda prende il nome dal

Ordinaria di Letteratura Italiana

fiume che lambisce la Contrada Feudo a Randazzo (Ct), presso la quale si trovano i terreni. Hanno

voluto

Al-Cantàra

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non

denominarla solo

per

poesia. Il ponte, che collega un volto femminile con l’acqua fiumana, è peraltro diventato il nostro logo.

sapientemente

Zappulla

Muscarà,

presso l’Università degli Studi di Catania, occupatasi sia della consulenza letteraria sia della cura della stampa anastatica delle

poesie

martogliane.

sottolineare il legame con la

Ogni bottiglia è intrinsecamente

terra siciliana, ma soprattutto

letteraria,

perché al-cantàra in arabo

la

significa ponte: e proprio come

denominazione

con

nella sua etichetta. Il poeta

dell agronomo Nunzio Puglisi.

simbolo di unione, l’azienda

belpassese

L’arte e la cultura di questa

vuole collegare arte, vino e

scorso è stato, infatti, la musa

un

ponte,

tradizionale

martogliana

precisione,

nella e del

Per l’aspetto più propriamente

per

enologico

sua

servita

artistica secolo

l’Azienda del

si

valido

è

aiuto

dell’enologo Vincenzo Angileri e

azienda è stata premiata.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


speciale

Sicilia

... e proprio come con un ponte, tradizionale simbolo di unione, l’azienda vuole collegare arte, vino e

poesia...

Al Vinitaly 2010 l etichetta del vino Occhi di Ciumi è stata premiata come miglior etichetta nella categoria vini bianchi ricevendo l’ambito premio “Etichetta d’Oro 2010” . Il Territorio: Randazzo Sul versante nord-occidentale dell Etna, il vulcano chiamato persino da Dante Mongibello, altrimenti noto in dialetto come a muntagna, non lontano da luoghi impregnati di mitologia classica (Aci e Galatea, Vulcano e i Ciclopi, Ulisse e Polifemo, Scilla e Cariddi), lambita dal fiume Alcantara, sorge la città

di Randazzo, la più vicina al cratere centrale dell Etna. Il nome Randazzo potrebbe essere una forma derivata (Randacium), in seguito a diverse modifiche e storpiature, da Trinacium, la più antica città che sorse in questo sito, oppure potrebbe prendere il nome da un qualche parente non meglio identificato del governatore di Taormina, di cognome Randas appunto, mandato a morte nel 934. Anche le origini di Randazzo, nonostante i numerosi studi, sono ancora ammantate dal dubbio.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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speciale

Sicilia

Etna tra natura e leggenda ricerca di Roberto Rabachino

L’Etna è il vulcano più alto d’Europa, si trova nella Sicilia nord orientale ed è attivo da tempo immemorabile.

C

on la sua enorme mole si affaccia sul mare Jonio ad est, a nord è delimitato dal fiume Alcantara, il quale scavando il suo letto su terreno lavico ha dato origine a stupende strette gole, le cosidette “Gole dell’Alcantara”. Ad ovest e sud ovest l’Etna è invece delimitato dal fiume Simeto. L’Etna è attualmente alto circa 3330 metri, si estende su un perimetro di circa 210 Km e su una superfice di 1600 chilometri quadrati. Durante i periodi di intensa attività eruttiva, la lava può fuoriuscire da centinaia di crateri avventizi che si trovano sui fianchi del vulcano, questi crateri sono raccolti in oltre 260 sistemi eruttivi. In tempi storici la più grande eruzione fu quella che avvenne nel 1669. La colata lavica, distrusse molti paesi e terreni agricoli, seppellendo in parte la stessa città di Catania e raggiungendo il mare. Parco dell’Etna La prima volta che si pensò all’istituzione di un Parco dell’Etna, fu intorno agli anni sessanta, quando cominciò ad affermarsi, fra gli appassionati della Muntagna, la necessità di tutelare la natura dalla invasione del turismo di massa portato dalla diffusione dei mezzi di trasporto personali. Sull’argomento si discusse molto sia fra la

popolazione che fra i politici e si andò avanti fino agli anni ottanta quando, finalmente, una legge, (n. 98 del maggio 1981) della Regione Siciliana, istituì tre Parchi Regionali e fra questi quello dell’Etna. Per arrivare però alla reale costituzione del Parco, occorse attendere ancora altri sei anni ed arrivare al marzo 1987. Seguì poi nel corso dello stesso anno la costituzione dell’Ente Parco dell’Etna con sede a Nicolosi, presso l’antico monastero di San Nicolò l’Arena.Lo scopo del Parco è quello di tutelare il patrimonio boschivo e la conservazione e lo sviluppo delle specie floreali e faunistiche Castagno dei Cento Cavalli

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Sicilia

dell’Etna in territorio del comune di Sant’Alfio (CT). Il castagno, considerato come il più famoso d’Italia, è stato studiato da diversi botanici e visitato da molti personaggi illustri; la sua storia si fonde con la leggenda di una misteriosa regina e di cento cavalieri con i loro destrieri, che, si narra, vi trovarono riparo da un temporale. Si narra che una Regina, con al seguito cento cavalieri e dame fu sorpresa da un temporale, durante una battuta di caccia, nelle vicinanze dell’albero e proprio sotto i rami trovò riparo con tutto il numeroso seguito. Il temporale continuò fino a sera, così la regina passò sotto le fronde

speciale

specifiche dei luoghi e di regolamentare e coordinare lo sviluppo di quelle attività turistiche che possano dare fruibilità ai luoghi e benessere alle popolazioni insediate nell’ambito territoriale. Nella zona sommitale del vulcano non vi è alcun tipo di vegetazione in quanto sulle lave recenti nessun seme può germogliare. Scendendo intorno ai 2400 metri si incontrano la saponaria (Saponaria sicula), l’astragalo siciliano (Astragalus siculus) e qualche muschio e lichene. Già intorno ai 2000 metri si possono incontrare, su alcuni versanti, il pino loricato, la Betula aetnensis e il faggio ed ancora più in basso anche castagno e ulivo. Assieme a questa vegetazione convive la ginestra dell’Etna che con i sui fiori gialli crea, nel periodo della fioritura, un bel cromatismo con il nero della lava vulcanica. Nella zona collinare delle falde si incontrano i vigneti di Nerello, dai quali si produce l’Etna vino DOC della zona pedemontana. Nel versante nord-ovest del vulcano, dai 600 agli 850 metri di altitudine, prosperano i pistacchi (Bronte) e le fragole (Maletto) unici per il loro sapore e colore dovuti alla tipicità del territorio e del microclima. Altra notevole produzione è quella delle pere di vario tipo e delle pesche, tra cui spicca fra tutte la “tabacchiera dell’Etna”. Circa un secolo e mezzo fa Galvagni, descrivendo la fauna dell’Etna, raccontava della presenza di animali ormai scomparsi e divenuti per noi mitici: lupi, cinghiali, daini e caprioli. Ma l’apertura di nuove strade rotabili, il disboscamento selvaggio e l’esercizio della caccia hanno portato all’estinzione di questi grandi mammiferi e continuano a minacciare la vita delle altre specie. Nonostante ciò sul vulcano vivono ancora l’istrice, la volpe, il gatto selvatico, la martora, il coniglio, la lepre e, fra gli animali più piccoli, la donnola, il riccio, il ghiro, il quercino e varie specie di topo, pipistrello e serpente. La leggenda Il Castagno dei Cento Cavalli è un albero di castagno plurimillenario, ubicato nel Parco

Etna in eruzione

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Sicilia speciale

del castagno la notte in compagnia, si dice, di uno o più amanti fra i cavalieri al suo seguito. Non si sa bene quale possa essere la regina, secondo alcuni si tratterebbe di Giovanna d’Aragona, secondo altri Giovanna I d’Angiò ed è così che la leggenda verrà collegata all’insurrezione del Vespro (XIV-XV secolo). Ma è tutto, molto probabilmente, frutto della semplice fantasia popolare. Ad esempio la regina Giovanna d’Angiò, pur essendo nota per una certa dissolutezza nelle relazioni amorose, è quasi certo che non fu mai in Sicilia. Traendo spunto dalla leggenda, alcuni poeti cantarono del castagno e della regina, fra questi vanno citati Giuseppe Borrello e Giuseppe Villaroel che furono fra i maggiori poeti dialettali catanesi del XIX secolo, e Carlo Parini. Il castagno, (Castanea sativa), misura circa 22 m di circonferenza del tronco, per 22 m d’altezza. In realtà, oggi si presenta costituito da tre polle (fusti), rispettivamente di 13, 20 e 21 m; su queste polle è vivo il dibattito sulla unicità della pianta. Negli ultimi anni il libro dei Guinness dei primati ha

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registrato il Castagno come l’albero più grande del mondo, per la rilevazione del 1780, quando furono misurati ben 57,9 m di circonferenza con tutti i rami. L’albero si trova nel bosco di Carpineto, nel versante orientale del vulcano Etna, in un’area tutelata dal Parco Regionale dell’Etna. Diversi botanici concordano che avrebbe dai due ai quattro mila anni di vita e secondo il botanico torinese Bruno Peyronel è l’albero più antico d’Europa ed il più grande d’Italia. Le prime notizie storiche certe sul Castagno dei Cento Cavalli furono fornite dal De Amodeo, Carrera e da altri nel XVI secolo. Pietro Carrera ne «Il Mongibello» (1636), descrisse maestoso il tronco e l’albero «...capace di ospitare nel suo interno trenta cavalli». Successivamente ne parlerà anche Antonio Filoteo (1611). Il 21 agosto 1745 venne emanato un primo atto dal «Tribunale dell’Ordine del Real Patrimonio di Sicilia» che tutelava istituzionalmente il Castagno dei Cento Cavalli ed il vicino Castagno Nave. Visto il periodo (fine del XVIII secolo) è un atto da annoverare fra i primati della tutela ambientale.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 Il Castagno dei 100 Cavalli


speciale

Sicilia

Pino Cuttaia, premiato chef siciliano grida: Ho fatto l’uovo! con la seppia. di Roberto Rabachino

Molte sono le cose che si possono raccontare su questo importante ed innovativo chef siciliano. Ho scelto, però, di lasciare a lui la parola in prima persona. Di presentarsi e di parlarci di questa nuova, innovativa, affascinante ricerca che ha fatto.

M

i chiamo Pino Cutaia. Ho 41 anni e 3 figli ed ho aperto la Madia a Licata insieme a mia moglie Loredana nel 2000, e abbiamo ricevuto la stella Michelin nel 2006. Sono nato a Licata, e da bambino ho seguito la famiglia nel nord Italia. Ho vissuto a Torino, e dopo gli studi ho cominciato a lavorare in fabbrica. Nel fine settimana cucinavo, per distrarmi. Poi la distrazione si è trasformata in lavoro, con lunghi soggiorni nelle cucine di ristoranti importanti (Il Sorriso a Soriso, Novara; Il Patio a Pollone, Biella). Al nord ho imparato la precisione

nel lavoro. Al sud ho ritrovato il calore, la passione, gli ingredienti e le ricette della mia infanzia. Quel

concorso di cose che tutte insieme si chiamano “identità”. Ed è proprio questo che mi dà la libertà di reinventare, di cucinare ricordando momenti passati, stagioni, simboli della storia gastronomica della mia gente. Ed adesso parliamo della mia seppia.

Pino Cuttaia

La seppia con i suoi colori, che vanno dal marrone al grigio al nero; il candore del manto, che appena pescato è fosforescente, ha sempre esercitato su di me un certo fascino. Nessuno dei miei piatti è stato creato se non dietro una precisa

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suggestione, il cucinare tanto per cucinare non mi appartiene, non ne sono capace. Ma nel caso della preparazione della seppia, non ho inseguito soltanto una seduzione. In questo caso si è trattato di una necessità, fare i conti con qualcosa che porto dentro di me: ricordi, legami con la mia terra, con la mia gente. Per questo la cucina è cultura: quando si prepara e quando si consuma. È il frutto della identità di ognuno di noi. La cucina è uno strumento per esprimere e comunicare la propria identità e la propria cultura. Dietro ogni piatto c’è una narrazione, che parla di noi. In questi piatti che vi propongo ci sono ricordi di infanzia, episodi di vita siciliana. Quando decido di cucinare qualcosa, il processo che porta alla creazione di un piatto non è diverso dalla sfida che quotidianamente tutte le massaie siciliane affrontavano, o affrontano, per portare in tavola qualcosa di buono ai propri familiari. I gesti forse sono più attenti e le tecniche esasperate. Ma il modo in cui si arriva ad un piatto finito, da poter inserire in menù, è assolutamente identico, anche se richiede molta più fatica: una infinita serie di esperimenti e prove. Esperimenti e prove che ci sono anche nella cucina tradizionale. Una ricetta della tradizione è il frutto di una ricerca

corale, che si è svolta in tutte le case, nel corso di secoli. Un piatto della cucina tradizionale si evolve nel corso del tempo, anche attraverso il confronto fra diversi modi di prepararlo, con i suggerimenti ed i consigli che ci si scambia, con i segreti ed i trucchi che ci si tramanda di generazione in generazione. Non conosco la chimica o la fisica. I miei gesti non sono molto diversi da quelli che ognuno può compiere nella propria cucina di casa, i miei attrezzi non sono quelli di un chimico, non ho microscopi o cose del genere, la mia cucina può ricordare la bottega di un artigiano. Come un artigiano, non sempre ho consapevolezza, dei processi che giustificano una determinata preparazione di un prodotto, cerco di assecondarne la natura, ed osservo le reazioni a determinati processi. Attraverso gesti comuni, con attrezzi semplici, un approccio di curiosa conoscenza cerco di esaltare le caratteristiche e le qualità di un prodotto. Cerco di dare a ricette della tradizione siciliana nuove forme, nel tentativo di coniugare creatività e semplicità. La stagionalità Le massaie cosa portavano in tavola? Quello che il mercato offriva loro a basso prezzo. Quindi era la stagionalità ad imporre il menù in tutte le case. La stagione di un determinato pesce o di un prodotto della terra, veniva attesa lungo tutto l’anno. Questo creava la memoria di un sapore, di un profumo che era tipico di quel periodo, e nel resto dell’anno veniva evocato, ricordato, desiderato. Un profumo che si imprimeva inevitabilmente nella memoria di tutti, perché non era una singola massaia a cucinare quel prodotto. Preparare i prodotti di stagione era un rito collettivo, in ogni tavola di ogni casa, in un determinato periodo, si trovavano gli stessi prodotti. In primavera, a Licata la seppia era la regina incontrastata delle tavole. Costava poco ed era disponibile in grandi quantità. Mia madre cucinava le seppie, le madri dei miei cugini cucinavano le seppie, le madri dei miei amici cucinavano le seppie. C’erano periodi in cui non c’era modo di sfuggire alla dieta a base di seppie, neanche facendosi invitare a pranzo

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La seppia, però, non ha avuto grande fortuna tra i ristoratori. Non ha mai avuto troppi onori, è un pesce popolare: più presente sulle tavole che nei banchetti. Era il pesce che arrivava nelle case dei poveri, ai palati raffinati poteva risultare stopposo. La seppia, infatti, nella cottura esige attenzioni, va cotta con estrema delicatezza, ad alte temperature si ossida, e ne risultano compromessi consistenza e gusto, superati i 65 gradi subisce un processo di solidificazione che la rende dura, diventa croccante, anche per questo non ha mai avuto grande successo nei ristoranti. Paradossalmente la seppia è più famosa per il nero, che è entrato in tante preparazioni, anche in alcune particolarmente raffinate. Poteva capitare che i ricchi mangiassero il risotto al nero di seppia, magari con qualche tentacolo, mentre ai meno fortunati era riservato il resto del pesce.

Sicilia

L’abbondanza Le seppie in primavera si avvicinano alla costa per deporre le uova, rimangono sotto costa fin quando l’acqua è sufficientemente calda, anche fino a novembre. In questo periodo, dunque, riempivano le reti, anche delle barche più piccole che pescavano sottocosta. Persino i ragazzi (i carusi), con nasse o con vari arnesi di fortuna, riuscivano a pescarle. Un marinaio con una piccola lancia a remi (lancitedda) poteva pescarne grandi quantità. Che venivano riversate sul mercato abbassandone drasticamente il prezzo. Anche nelle case più povere poteva arrivare una intera cassetta di seppie. Ed i soldi che un marinaio guadagnava dalla vendita delle seppie li utilizzava per comprare dal contadino qualcosa, che di solito non si poteva permettere, con cui avrebbe accompagnato le seppie. Così le seppie arrivavano nelle case di tutti. Nelle case dei pescatori, come in quelle dei contadini e degli operai. La seppia si presta a numerose preparazioni sia nei primi che nei secondi e le casalinghe siciliane, nei secoli, hanno dovuto esplorare tutte queste possibilità che il prodotto offriva loro, perché dovevano affrontare questa abbondanza, dovevano riuscire ad inventare sempre nuovi modi di cucinare la seppia. In cucina la seppia non perde la capacità di mimetizzarsi e di nascondersi che ha in natura: si può preparare in tanti modi. Le casalinghe utilizzavano vari espedienti, ed illusioni: cambiavano la forma, la cottura o gli accostamenti per evitare che la famiglia si lamentasse che si mangiava sempre la stessa cosa. Quindi la ricerca di preparazioni nuove e diverse, il tentativo di dare alla seppia anche una forma differente era una necessità, era un espediente con cui le massaie gestivano l’abbondanza. Anche i ristoratori avevano la necessità di gestire l’abbondanza. Le trattorie proponevano numerosi piatti a base di seppie, sviluppando una

artigianalità legata alla preparazione di un pesce povero ma che consentiva una ricca varietà di utilizzi, piegandosi a varie modalità di cottura. Ho cercato di non smarrire questo approccio semplice, artigianale, al quale ho soltanto aggiunto la creatività e la voglia di comunicare un ricordo.

speciale

da qualcuno. Quando fra bambini ci incontravamo in strada per giocare, negli assolati pomeriggi siciliani, spesso ci chiedevamo a vicenda “cosa hai mangiato?”, in primavera era un coro unanime: seppia! Cambiavano le preparazioni, le varianti erano infinite, ma sempre seppia era.

Carbone di nero di seppia

Confrontarmi con la seppia era inevitabile: un prodotto del territorio, un pezzo della tradizione gastronomica siciliana, una parte della mia cultura, della mia identità. Sono partito dal legame con la memoria, che mi riporta ai piatti che mangiavo da bambino e che mi piacevano, agli odori che si percepivano in quegli anni, per le strade. Mi sono confrontato con il territorio, con le ricette della tradizione che si tramandavano di madre in figlia. Sono partito da queste ricette: nella tradizione c’erano molte varianti. Ho cominciato quindi ad accostarmi al prodotto. Come tutti sono partito dal nero di seppia. Essiccando e disidratando il nero sono riuscito ad ottenere una sorta di carbone, l’aspetto è quello di un minerale. Polverizzando il carbone ho scoperto che la polvere è molto aromatica, come una spezia, la fragranza della tostatura ha forti sentori di caffè o fave di cacao.

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Sicilia speciale

Qui c’è una prima sorpresa. Il nero, sempre utilizzato come colorante, nella preparazione della pasta o nel risotto, o per dipingere un piatto, cambia forma è può essere utilizzato per aromatizzare, per insaporire e profumare un piatto. Ha subito una metamorfosi che ne ha esaltato l’aroma.

Popcorn di seppia

Le seppie in primavera vengono pescate in grande quantità perchè le femmine si avvicinano alla costa per deporre le uova di cui sono cariche. E qui ritorna la gestione dell’abbondanza, dovendo gestire tanta abbondanza, gettare via una grande quantità di uova di seppie era uno spreco che non ci si poteva permettere. Della seppia, come per il maiale, non si butta niente, era una sorta di comandamento. Quindi le massaie, attraverso varie prove ed esperimenti, sono arrivate ad utilizzare anche le uova che venivano aggiunte sia nel sugo al nero di seppia che in altre preparazioni. Le uova hanno le dimensioni ed il colore di grossi chicchi di riso. Ricordando il maiale le abbiamo fritte, come se si trattasse dei ciccioli. A contatto con l’olio abbiamo ottenuto dei popcorn che per profumo, sapore e consistenza ricordano prepotentemente la seppia fritta.

Gnocchi di seppia

Dal nero, passando per le uova sono arrivato al mantello bianco. La parte bianca della seppia, l’ho sempre vista come un qualcosa di candido, di puro, era un peccato farla ossidare con delle cotture aggressive. Ho pensato, che per preservarne il candore fosse necessario compiere un cambiamento della forma. Attraverso un lungo e faticoso processo di lavorazione ho trovato che nella gran quantità di proteine presenti nella seppia c’era anche l’albumina che, proprio come nell’uovo, si solidifica e che diventa bianca ed esalta il suo candore. Ed allora ho sfruttato queste proprietà

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del prodotto. Pulisco la seppia, la frullo, ottenendo una consistenza molle e collosa, quindi facilmente plasmabile. Con un sacco a poche, da pasticciere, ottengo dei piccoli bignè che ricordano la forma degli gnocchi. Li spruzzo con acqua di mare e li spadello velocemente a fiamma alta, così da formare un sottile strato croccante all’esterno che consente di mantenere i liquidi all’interno donando agli gnocchi particolare morbidezza. A questi gnocchi bianchi aggiungo, a mo’ di spezia, il carbone di nero di seppia ottenendo un piatto che, per sapore, e profumi, rinvia alla seppia fritta, ma con una rinnovata eleganza perché, sia dal punto di vista della presentazione che della consistenza, rimanda a preparazioni più raffinate. Una ricetta della tradizione:

Pasta con il sugo di seppie ripiene. Una ricetta tradizionale con le seppie è la pasta con il sugo di seppie ripiene. Così il menù del giorno era assicurato, con il sugo si condiva la pasta, per secondo c’erano le seppie. Un piatto molto rustico, tipico anche delle trattorie. Era un modo di realizzare con un’unica preparazione sia il primo che il secondo. In questo caso ognuno aveva la propria ricetta, che cambiava da quartiere a quartiere, di casa in casa: il ripieno, la farcia, variava a seconda dei gusti. Di solito, però, non mancavano i tentacoli della stessa seppia, il

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Etna

Sicilia

Sono passato quindi a riadattare la ricetta, influenzato dalle scoperte che ho compiuto lungo il percorso di ricerca. Ho tritato i tentacoli e, mischiati con del macinato di maiale, li ho inseriti in un budello di maiale. Ho cotto questa salsiccia di seppia, nel

sugo, insieme ad altri pezzi di seppia. In questo modo il sugo ha assunto il sapore della seppia. La salsiccia risulta ammorbidita dalla cottura, una volta macinata è perfetta per farcire la seppia. Ho riadattato la farcia, ora dovevo riadattare la seppia, dovevo dare alla seppia una forma che ne esaltasse la consistenza ed il sapore.

speciale

pangrattato (per dare compattezza) ed il tritato di maiale. La seppia ed il maiale può sembrare un connubio curioso, ma ha una giustificazione. Veniva utilizzato il maiale, o la pancetta o la salsiccia, perché la seppia non ha parti grasse, non ha grassi. La fusione di questi due elementi, tanto diversi tra loro, produceva però un connubio perfetto: l’unione fra le proteine, della seppia, ed i grassi, del maiale. Le seppie, farcite con il maiale, venivano cotte nel sugo, in cui erano aggiunti anche i tentacoli e le parti rimanenti della seppia, in alcuni casi anche le uova della seppia oppure delle uova sode. Nella mia memoria, come in quella di molti miei conterranei, questa ricetta occupa un posto molto importante. Il piatto che ho realizzato rappresenta un esempio di come partendo da un prodotto tipico, da un piatto della tradizione, attraverso la ricerca, e con degli adattamenti di una ricetta antica, si può giungere ad un approdo inaspettato.

Ho fatto l’uovo! con la seppia Le possibilità potrebbero sembrare infinite, io ho cercato la soluzione nella memoria, nella tradizione, e nel percorso di ricerca che ho compiuto attorno alla seppia. La parte bianca della seppia mi riporta alla mente il bianco dell’uovo sodo. E le uova sode potevano stare nel sugo della seppia o nel loro ripieno. Nella seppia, mentre provavo le varie preparazioni, ho trovato l’albumina. Il bianco della seppia, l’albumina: questi elementi, che mi avevano suggestionato molto, sono diventati predominanti e mi hanno portato a compiere la scelta di questa forma originale. Con la seppia… ho fatto l’uovo! Ora il problema era realizzare questa suggestione: dare alla seppia la forma dell’uovo. Ho preso un uovo di gallina. La seppia dopo aver incontrato il maiale, incontra la gallina. Fare entrare una seppia in un uovo non è operazione facile. Ho praticato un piccolo foro nel guscio attraverso cui ho svuotato l’uovo. Ho riempito il guscio dell’uovo con la pasta di seppia, la stessa che ho usato per fare gli gnocchi. Ho lasciato una cavità che poi ho provveduto a riempire con la farcia, ottenuta dalla salsiccia di seppia. Ho sigillato l’uovo con la seppia. E l’ho sottoposto ad una cottura delicata, 60° per 20 minuti. A questo punto ho una sorta di uovo sodo, a tutti gli effetti, che viene sgusciato e portato a tavola. La forma è originale ma è possibile ritrovare nell’uovo le consistenze, i colori, i sapori ed i profumi di un piatto della tradizione che, attraverso una forma insolita, scopre un’eleganza nuova.

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Sicilia speciale 54

Pasta al pesce

donare resistenza alla farina: la stessa funzione

Per giungere a questo piatto ho dovuto fare i conti anche io con l’abbondanza. La necessità di gestire l’abbondanza è un problema che ho dovuto affrontare, come lo affrontavano le massaie, non nelle stesse forme, e con esiti diversi. I numerosi tentativi per giungere al piatto finito, mi hanno donato l’abbondanza delle altre parti della seppia. Prima di tutto la testa. La testa è una parte che si utilizza poco, è una parte dura, ricca di nervature. Nelle cucine dei ristoranti era riservata al personale. Anche i miei collaboratori, in questo periodo, sono stati sottoposti ad una ferrea dieta a base di teste di seppie. Quindi ho iniziato a cucinare le teste, ho dovuto cucinarle considerata l’abbondanza. Quando il personale ed io eravamo sfiniti dalle seppie, dopo la cottura le ho essiccate ed infine polverizzate. Ho così ottenuto una polvere di pesce, una sorta di farina dal forte aroma di pesce fritto e dal colore della farina integrale. A questo punto si è posto il problema di come utilizzare questa farina, per quale tipo di preparazione. Dapprima abbiamo provato a fare il couscous, arrivare all’idea di fare la pasta è stato un attimo. Però, si poneva una questione di non poco conto: nella farina, il glutine dona tempra alla pasta, che consente di ottenere i vari formati che resistono alla cottura. Bisognava trovare, nella seppia, una proteina che svolgesse la stessa funzione del glutine. Anche qui non ho fatto analisi al microscopio per trovare la proteina. Ho messo a frutto la mia conoscenza del prodotto e l’esperienza artigianale delle varie preparazioni. Ho pensato di utilizzare le ghiandole della seppia, che sono delle sacche bianche e gommose. Si poteva utilizzare questa loro compattezza, per

che ha il glutine nel grano. Ho marinato le sacche, rigenerandole hanno una consistenza gommosa, hanno resistenza ma anche elasticità. Alcune caratteristiche che possono tornare utili per fare della pasta. Per trasferire queste caratteristiche nella farina ho dovuto polverizzarla, ed una volta aggiunta alla farina di pesce, ottenuta in precedenza, ne ha aumentato la compattezza. È stato così possibile fare un vero e proprio impasto ed ottenere degli spaghetti: una pasta al pesce. Così ho riadattato, in tutte le sue parti, l’antica ricetta della pasta al sugo di seppie ripiene. Ho una pasta alla seppia da condire con il sugo delle seppie ripiene. Credo

che

questi

piatti

possano

ben

rappresentare il lavoro di un cuoco che, oggi, non consiste soltanto nel compiere i gesti della tradizione culinaria. Oggi un cuoco esplora un prodotto in maniera diversa dal passato. La ricerca gastronomica porta a compiere diversi tentativi e, a volte, dagli errori possono nascere creazioni nuove. Anche in cucina, a volte, la fortuna arriva inaspettata; e viaggiando fra i fornelli si scoprono continuamente, per caso o per intuito, cose che non si stavano assolutamente cercando. Si riceve il dono di trovare cose buone e belle anche senza averle mai cercate, sta alle capacità del cuoco trasformare in buone e belle cose che non lo sono o che non appaiono come tali. Può capitare, ed è un dono che si riceve per l’impegno e la fatica che si mette nella ricerca, ed è una cosa che insegna ad amare la cucina e ci consegna una lezione che può tornare utile anche lontano dai fornelli.

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Sicilia speciale

Degustando La degustazione dei vini che a nostro giudizio rappresentano e caratterizzano la Sicilia è stata fatta allo Sheraton Hotel di Catania da un panel composto da 12 degustatori FISAR. Tasca d’Almerita Rosso del Conte Sicilia DOC 2005 Nero d’Avola Colore rosso vivo dalle sfumature violacee, profumo di ciliegie succose, frutti di bosco, vaniglia e cannella, al palato una sensazione di freschezza, di fruttato e di floreale intensa. www.tascadalmerita.it

Fondo Antico Grillo Parlante Sicilia IGT 2007 Grillo in purezza Colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, profumi delicati di fiori, fresco con una buona sapidità, equilibrato con una piacevole sensazione acida. www.fondoantico.it

Gulfi Nerobaronj 2005 - Sicilia IGT Nero d’Avola in purezza Colore rosso rubino carico intenso con riflessi violacei, profumo intenso, tipico, di frutta rossa e di vaniglia, sapore fruttato, armonico, di struttura, molto persistente al gusto. www.gulfi.it


speciale

Azienda Agricola COS Cerasuolo di Vittoria Classico 2007 DOCG 60% Nero d’Avola, 40% Frappato di Vittoria Colore rosso ciliegia, profilo aromatico ricco, fruttato con un sapore caldo, armonico, pieno. www.cosvittoria.it Barone di Villagrande Etna bianco sup. 2008 DOC Carricante in purezza Colore giallo tenue con riflessi verdi, profumo fine di mela e biancospino, sapore fresco, persistente, armonico. www.villagrande.it Girolamo Russo Feudo Etna rosso IGT 2007 DOC 98% Nerello Mascalese e 2% Nerello Cappuccio Colore rubino con riflessi porpora, l’impatto olfattivo è di piacevole sentori floreali di rosa, fruttati di marasca,

ribes, eucalipto, con cornice minerale e speziata, di grande struttura. Girolamo Russo Passopisciaro AVIDE Riflessi di Sole Vittoria DOC 2007 Insolia in purezza Colore giallo paglierino carico, olfatto di legno tostato e vaniglia con frutti esotici prevalentemente banana e ananas, al gusto presenta struttura piena con un giusto equilibrio. www.avide.it

non sciroppo, caldo equilibrato con una buona acidità, persistente. www.marcodebartoli.com

Sicilia

Murgo Extra Brut 2004 Nerello Mascalese in purezza Colore giallo paglierino, di buon perlage, fruttato con una buona sensazione di lieviti, fresco con una piacevole nota di frutta secca e una persistente sensazione sapida. www.murgo.it

Cantine Pellegrino Vino Marsala Vergine Riserva DOC 1962 Grillo e Catarratto Colore ambrato e integro, il profumo è etereo, speziato quasi balsamico, gusto secco, asciutto e armonico con una ancora presente vivacità. www.carlopellegrino.it

Barone di Villagrande Malvasia delle Lipari - Passito DOC 2005 Malvasia delle Lipari 95% e Corinto Nero 5% Colore ambrato, profumo intenso di fiori di ginestra ed erbe aromatiche, sentori di albicocca matura e miele, sapore pieno, gradevolmente persistente. www.villagrande.it Marco De Bartoli Bukkuram - Passito di Pantelleria - DOC 2006 Zibibbo in purezza Colore oro/ambra ha eccellenti sensazioni aromatiche di frutta esotica candita, fichi secchi e liquirizia, in bocca è dolce ma

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Sicilia speciale

Calatrasi Terre di Ginestra - Sicilia IGT 2008 Nero d’Avola in purezza Colore rosso carico con profumi di frutta matura a bacca rossa, al palato intenso e persistente, ricco di sentori di ciliegia e piacevolmente tannico alla fine. www.calatrasi.it Duca di Salaparuta Duca Enrico - Sicilia IGT 2008 Nero d’Avola in purezza Colore rosso rubino con riflessi granato, profumi di frutti maturi, iris e spezie. Al palato possente, rotondo con sensazione di legno ben fusa nell’insieme. Elevata persistenza. www.duca.it Nicosia Fondo Filara - Sicilia IGT 2007 Nerello Mascalese in purezza Colore rosso rubino tenue, elegante con note speziate e di liquirizia, al palato caldo, intenso con retrogusto balsamico, ben equilibrato. www.cantinenicosia.it Fazio Bagli Catarratto - Sicilia IGT 2009 Catarratto in purezza Colore giallo paglierino con riflessi verdognoli con profumi di frutta

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esotica e crosta di pane, al palato fresco e persistente con sentori di frutta esotica. www.faziowines.it Firriato Quater - Sicilia IGT 2006 Nero d’Avola, Perricone, Frappato e Nerello Cappuccio Rubino fitto con tonalità violacee e profumi di ciliegie sotto spirito, frutti neri con sentori di cioccolato, spezie, di grande struttura ed eleganza. www.firriato.it Viticultori Associati Canicattì Aynat - Sicilia IGT 2008 Nero d’Avola in purezza Colore rosso intenso, quasi nero con riflessi purpurei, sentori di prugna, ciliegia nera sotto spirito e note di liquirizia, gustoso al palato e con delicati tannini. www.viticultoriassociati.it Planeta Passito di Noto - DOC 2007 Moscato Bianco in purezza Colore giallo oro brillante con ricchi profumi di frutti esotici, albicocche e marmellata di agrumi, in bocca è dolce, denso e di lunga persistenza. www.planeta.it

Rallo Grillo - Sicilia IGT 2009 Grillo in purezza Colore giallo paglierino con riflessi verdastri, al naso presenta spiccati sentori di pompelmo, piacevoli note di ananas, agrumi e frutti tropicali, in bocca è pieno e ben equilibrato. www.cantinerallo.it Milazzo Duca di Montalbo - IGT 2007 Nero d’Avola, Nerello Cappuccio, Inzolia Rossa Colore porpora scuro con riflessi violacei, al naso note di frutti di bosco, menta, liquirizia e spezie, sapore caldo, armonico e di grande persistenza. www.milazzovini.com Donnafugata Ben Ryè Passito di Pantelleria DOC 2008 Zibibbo in purezza Colore giallo ambrato lucente con intense note di albicocca e pesca, profumi dolci di fichi secchi e miele, erbe aromatiche, complesso per dolcezza, sapidità e morbidezza. Finale lungo. www.donnafugata.it

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Sicilia

I vini dell’Etna: una storia che viene da lontano di Antonio Iacona

Antichissimi ritrovamenti alle falde dell’Etna farebbero risalire la presenza viticola addirittura all’età terziaria.

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ualunque settore si tocchi, si sfiori o si approfondisca del vulcano attivo più alto d’Europa, la parola d’ordine sembra essere una e una soltanto: “unico” nel suo genere. È anche la realtà del vino dell’Etna, un prodotto che negli ultimi decenni ha conosciuto una nuova, importante diffusione, grazie a caratteristiche, appunto, uniche dei sui vitigni, tanto che gli stessi vini etnei si distinguono nettamente anche da tutti gli altri vini siciliani e sono ormai in molti gli studiosi e i cultori che definiscono il territorio catanese “un’isola nell’isola”. Se è vero, come qualcuno ha scritto, che “ogni bottiglia di vino è un libro” da leggere con attenzione, allora l’Etna, con i suoi profili, i suoi paesaggi, la sua storia, le sue tradizioni, ha molto, moltissimo da raccontare,

anche e soprattutto in fatto di vini. È una storia che parte da lontano, che affonda le radici nell’età classica greca e latina, e forse ancora prima, quando la realtà dei popoli oscillava piacevolmente tra il mito, la leggenda, la cultura, la religione. Antichissimi ritrovamenti alle falde dell’Etna farebbero risalire la presenza viticola addirittura all’età terziaria. Ma è nel Neolitico che le popolazioni dell’isola si dedicano alla viticoltura. Sarà con i Greci che compariranno i primi, veri protagonisti del vino, in particolare tra i paesi etnei, ed essi ebbero anche il merito di trasferire sulle coste joniche l’arte del bere, come testimoniano i molti recipienti rinvenuti. Un gran bevitore di vino, come racconta Omero nell’Odissea, fu il ciclope Polifemo, ubriacato e accecato dalla furbizia di Ulisse. Anche

grazie ai Romani, giunti subito dopo i Greci, la produzione di vino conobbe nuovo vigore. Da lì, nel corso dei secoli, il prestigio delle viti dell’Etna fu un continuo crescendo. Dopo lo splendore del periodo Aragonese e dei Vicerè, tra il 1700 e il 1800 in quello che era considerato uno dei più importanti porti del mare Jonio, Riposto, arrivavano tutti i vini prodotti sull’Etna per essere commercializzati fuori dalla Sicilia. Non è la prima volta che la storia del vino ricorre a poeti e scrittori per testimoniare la grandezza delle produzioni. Così avviene che poeti come Giovanni Meli o Domenico Tempio, conosciuti per la loro arguzia, abbiano elogiato in più di un’occasione il “sangue di Bacco” sgorgante dai paesi etnei. Unica nel suo genere, e nel corso dei secoli, è stata ed è

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tutt’oggi anche la tenacia dei produttori di vino dell’Etna, che hanno sempre trovato dinanzi a sé un ostacolo fatto di lava, di un terreno aspro e selvaggio, a tratti lunare. A dimostrarlo sono le grandi opere di terrazzamento, con i muri paraterra a secco, nati dallo sforzo di uomini e muli. Anche questa architettura rurale fa del paesaggio etneo uno sfondo unico del mondo del vino, dove natura della terra, esposizione delle viti e altitudine denotano le caratteristiche dei vitigni: dal Nerello Mascalese (Niureddu Mascalisi, si presume originario della piana di Mascali, da cui

il nome, dove è coltivato da almeno 4 secoli) al Nerello Cappuccio (Mantiddatu Niuru o Niureddu Ammantiddatu, coltivato esclusivamente nelle province di Catania, Messina, Reggio Calabria e Catanzaro), dal Carricante (Carricanti, presente, in particolare, nei territori di Viagrande e soprattutto di Milo; il nome indicherebbe la tendenza di questo vitigno a dare sempre abbondanti produzioni e, fino agli anni ’50, è stato il vitigno ad uva bianca più diffuso nella provincia etnea) al Catarratto (molto diffuso, oltre che sull’Etna, anche nella provincia

di Trapani). Un vitigno a bacca bianca, anch’esso autoctono e coltivato esclusivamente nella zona etnea, è il Minnella (Minnedda Janca, si trova, in particolare, nei vecchi vigneti, e viene utilizzato per l’Etna D.o.c. assieme agli altri vitigni). I vini dell’Etna si distinguono da tutti gli altri vini siciliani per due fondamentali motivi: per le loro caratteristiche chimiche e sensoriali, dovute all’ambiente pedoclimatico e ai vitigni autoctoni; e per la loro naturale capacità di conservare l’originaria piattaforma ampelografica, che proprio dai vitigni autoctoni deriva e che è stata regolata,

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 Un Vigneto a “terrazza” sull’Etna (Az. Barone di Villagrande)



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con il riconoscimento dell’Etna D.o.c. l’11 agosto del 1968, dal disciplinare di produzione con decreto di riconoscimento del Presidente della Repubblica. Così, i “biglietti da visita” del vulcano, nei calici di siciliani e di turisti, sono costituiti dall’Etna Rosso (dal colore rosso rubino, poi granato quanto più passano gli anni, caldo, robusto, secco, pieno, armonico); dall’Etna Rosato (vivace, spesso fruttato, gentile, morbido); dall’Etna Bianco (giallo paglierino, quasi dorato, fresco, armonico). L’Etna Bianco, inoltre, prodotto nella

zona di Milo, con la presenza di almeno l’80% di uva di Carricante, prende il nome di Etna Bianco Superiore. Sono 20, infine, i Comuni etnei della provincia di Catania, che rientrano nella zona di produzione (Biancavilla, Santa

Maria di Licodia, Paternò, Belpasso, Nicolosi, Pedara, Trecastagni, Viagrande, Aci Sant’Antonio, Acireale, Santa Venerina, Giarre, Mascali, Zafferana, Milo, Sant’Alfio, Piedimonte, Linguaglossa, Castiglione, Randazzo).

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 Veduta dell’Etna dal vigneto dell’Azienda Tenuta San Michele


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Sicilia

Quantico, un vino siciliano dell’agricoltura quantistica di Gladys Torres

Le recenti scoperte della fisica considerano l'uomo, gli animali ed i vegetali immersi in un campo quantico universale.

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li squilibri vibrazionali che attualmente si individuano e si curano per gli umani possono essere similmente analizzati e curati anche per piante ed animali. Utilizzando particolari apparecchiature innovative e tecniche diagnostiche non invasive è possibile analizzare oltre che gli animali, anche terreni e colture nella profondità delle loro strutture atomico molecolari, individuandone gli squilibri e pianificando terapie mirate che utilizzano, oltre a rimedi frequenziali, anche opportuni omeopatici testati al momento e per il caso specifico, che danno quindi, una percentuale di efficacia vicina al 100% delle proprie capacità curative. Queste metodiche rendono possibile la riduzione e l'eliminazione di anticrittogamici, concimi di

sintesi, pesticidi, fitofarmaci, con conseguente detossificazione dei terreni e delle colture ed immediato miglioramento della produzione sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, con una evidente riduzione dei costi. Così come negli ultimi decenni, accanto alla medicina ponderale, si è sviluppata una medicina energetica, si ritiene, alla luce delle conoscenze acquisite, si svilupperà l'agricoltura energetica, ovvero l'agricoltura quantistica. Il principio di base prevede il passaggio dall'approccio chimico, fondato sull'uso di materiali e sostanze che promuovono processi di tipo biochimico, all'approccio dinamico-energetico, che utilizza apporti di varie forme di energia, quali le onde

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Sicilia speciale

elettromagnetiche e le interazioni energetiche della fisica quantistica. L'agro ecosistema agricolo, oltre a presentare una complessa rete di interazioni e processi biochimici dei vari elementi abiotici e biotici, presenta una complessa rete di interazioni e flussi energetici di vario tipo. In effetti sono questi ultimi che regolano ed indirizzano gli stessi processi biochimici. Uno squilibrio a livello energetico è la causa prima di problemi

che successivamente si evidenziano, poi, a livello biochimico e fisico. La stessa vitalità di tutti gli organismi viventi ha alla base processi di tipo energetico. Con l'agricoltura quantistica si mira al riequilibrio, prima, ed allo stimolo, successivamente, dei processi energetici regolatori. I processi energetici complessi sono oggi più compiutamente descritti non solo dalla fisica Newtoniana, per quanto riguarda le energie di tipo

elettrico e di tipo magnetico, ma dalla fisica quantistica che prende in considerazione anche le interazioni più sottili fra le particelle subatomiche. Queste ultime sono le più importanti nei fenomeni regolatori e di stimolo dei processi biologici più sottili. Sono oggi disponibili apparecchiature che utilizzano processi fisici quantistici con protocolli applicativi per l'agricoltura. Agendo principalmente a livello di riequilibrio e stimolo energetico, gli interventi sono intesi come trattamento di fondo. Il loro risultato può essere variabile a secondo della situazione di partenza. È, quindi, importante poter effettuare una “diagnosi” approfondita di tutte le componenti dell’ecosistema; oggi possibile soltanto con l’utilizzo della nostra strumentazione quantistica. Rivolgiamo alcune domande specifiche al Dr. Michelangelo Catalano, proprietario dell’azienda. In cosa consiste questa tecnica? Si tratta di un sistema tecnologico che prevede l'utilizzo di varie forme di energia, quali le onde frequenziali e le interazioni energetiche della fisica quantistica, basato sulle scoperte di Max Planck (Nobel per la fisica nel 1918), il quale rilevò che il nostro universo

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è formato da energia sottile (i cd. quanti) che compongono la materia visibile ed invisibile. Un hardware gestito da un sofisticatissimo software consente di pervenire all’analisi e alla cura delle “anomalie” funzionali dell’agroecosistema, senza l’utilizzo di composti chimici.

Che tipo di difficoltà ha dovuto affrontare? La maggior difficoltà è stata la difesa del vino dai processi ossidativi. È importante, quindi, curare tutte le fasi con estrema attenzione.

Perché avete sentito la necessità di sperimentare questo innovativo sistema? La globalizzazione dei mercati ha reso difficile per molti agricoltori produrre in modo competitivo, con la conseguenza che gli stessi sono sempre più spinti a preferire le monocolture intensive al fine di ridurre i costi, o a lasciare incolti i terreni. Questo sistema innovativo permette, particolarmente in un Paese come l'Italia che fa della tipicità il suo cavallo di battaglia, di accentuarne le caratteristiche aumentandone la forza di penetrazione nei mercati internazionali.

Le caratteristiche organolettiche variano? No. Il vino è interessante ed unico sia nei profumi (si percepisce una leggera nota di aldeide abbinata a sentori di mela cotogna). Al sapore è assai interessante, sapido, lungo con una buona mineralità.

Che tipo di interesse suscita una sperimentazione del genere nel consumatore finale ? Questo metodo rende possibile la riduzione e l’eliminazione di anticrittogamici, migliorando le caratteristiche organolettiche del prodotto e riducendone i possibili effetti allergenici. Il QUANTICO, primo vino prodotto senza solfiti, può essere consumato in tutta tranquillità anche da chi presenta allergie a questo tipo di sostanza.

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Può avere uno sviluppo su larga scala una produzione con queste caratteristiche? Certamente. La rivoluzione tecnico-scientifica dell inizio di questo millennio basata sui quanti ha una potenzialità pressoché infinita, quindi sfruttabile sia in piccola che in larga scala. Il nostro progetto, con l'appoggio già in atto di alcune Università Italiane, è finalizzato a diffondere nella misura più ampia possibile, tale metodica.

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da sinistra verso destra: Sig. Pennisi, Sig. Di Giovanni (enologo), Dott. Catalano, Sig. Raiti (prorpietario terreni, e seduta Sig. Pennisi (designer)

Il vino prodotto con questo sistema è longevo? E quali sono i vitigni più indicati ? Siamo al primo anno di sperimentazione e, quindi, non sappiamo ancora quanto potrà essere lunga la sua conservazione. Il futuro ce lo dirà. Tutti i vitigni possono essere utilizzati per essere vinificati con questo sistema. Noi per il Quantico abbiamo utilizzato: Caricante 70%, Cataratto 20%, Grillo 10%.

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Nuovi orizzonti del bere in Sicilia

Nikao e Rodio: la scommessa vincente del Barone La Lumia di Giancarlo Roversi

Il barone Nicolò coltiva un’altra ambizione: quella di creare a Licata una realtà vinicola che per qualità e sfruttamento del terreno faccia a gara con gli Chateaux francesi.

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ikao (dal greco vincitore, con una sottile allusione a Nicolò, il nome del barone La Lumia che nè è l’appassionato creatore) è il primo passito di Nero d’Avola al mondo. In un momento come l’attuale in cui i passiti mostrano un trend di consumo in aumento, il Nikao rappresenta un’autentica rarità del gusto. Del resto i passiti rossi (da non confondere con i vini liquorosi che hanno avuto un’aggiunta di alcol), sono un’autentica eccezione. A paragonarlo ai normali passiti si è completamente fuori strada perchè il Nikao più che un vino da chiusura di un pasto importante, è soprattutto un’emozione, un

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vino da meditazione intensa. È il frutto della tenacia e dell’entusiasmo di Salvatore figlio del barone Nicolò La Lumia, una casata di antico e illustre lignaggio il cui superbo palazzo baronale troneggia nel cuore di Licata la storica città dell’Agrigentino. Dopo instancabili sperimentazioni di appassimento delle uve e di vinificazione il caparbio Salvatore, uno dei giovani più preparati del mondo del vino siciliano è riuscito a stillare dalle botti di Nero d’Avola in purezza la sua essenza più intima e intrigante, il Nikao, un vero capolavoro enologico. Per realizzare questo prodigio ha impiegato i sapidi grappoli provenienti dai vigneti a spalliera

della tenuta baronale situata ai piedi delle colline di Licata in faccia al mare dove sfocia il fiume Salso (l’antico Himera). Le uve sono lavorate e vinificate secondo la “manualità greca”. Sulla base di un meticoloso lavoro di ricerca e di verifica sul campo e su antichi testi enologici, il rampollo dell’antico casato di Licata si è reso conto di aver individuato il metodo di produzione degli antichi Greci, i quali scelsero queste stesse terre accarezzate dalla brezza del mare africano (i Campi Geloi che includevano l’odierna piana e parte della collina di Licata) per dar vita a quei vini che la resero ricca e famosa. Le uve vengono fatte interamente appassire al

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L’epoca di massimo godimento per gustarlo nella sua pienezza inizia dal secondo anno in avanti con una temperatura di servizio ideale sui 22°. Rodio: il vino di Federico II Per la casa baronale di Licata la ricerca di nuovi orizzonti enologici o meglio la riscoperta di quelli sepolti nel tempo non si limita al Nikao ma riguarda un altro straordinario nettare, il Rodio. Anche in questo caso

il tenace Salvatore La Lumia è andato a scavare nella storia e si è imbattuto nel “Grecisco”, il vino prediletto da Federico II. Veniva prodotto nelle tenute reali di Licata secondo una tradizione tramandata dalle popolazioni rodio-cretesi che si erano insediate lungo la costa meridionale della Sicilia nell’attuale territorio di Agrigento. Questo nettare elegante e di nobile blasone, idolatrato nel mondo greco e nell’antica

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sole. La maturazione in vasca d’acciaio si protrae per almeno due anni mentre l’affinamento in bottiglia raggiunge i 12 mesi. Ma non basta: il Nikao si fregia in etichetta della dicitura “ad alto contenuto di resveratrolo”, una sostanza contenuta nei vini rossi che esercita benefici effetti a livello cardiocircolatorio. Un privilegio che spetta anche agli altri intriganti vini rossi delle cantine La Lumia (Signorio, Stemma, Torreforte, Cadetto rosso, Delizia del Conte, Don Totò, Limpiados) perchè le analisi di laboratorio hanno accertato che, grazie alle particolari condizioni pedoclimatiche dei terreni della tenuta, possono vantare un contenuto di resveratrolo 3-4 volte superiore a quello degli altri rossi in commercio. Insomma una specie di toccasana ! Il barone Nicolò coltiva un’altra ambizione: quella di creare a Licata una realtà vinicola che per qualità e sfruttamento del terreno faccia a gara con gli Chateaux francesi. Il Nikao ha un colore rosso rubino carico con riflessi violacei e all’esame olfattivo presenta una gamma aromatica non riconducibile a nessun altro prodotto ove spiccano il glicine la marasca ed i fichi. Al gusto si rivela dolce ma non stucchevole, complesso e perfettamente equilibrato. Un vino deliziosamente seducente e non soverchiante insomma.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 Il barone Niccolò La Lumia e suo figlio Salvatore

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Roma, rivive oggi gli antichi splendori grazie alle cantine del barone La Lumia. Con una paziente quanto meritoria opera di recupero è riuscito a farlo sgorgare dalle sue vigne che parlano con la brezza del mare, mettendolo a disposizione degli intenditori in una limitatissima scorta di bottiglie da mezzo litro per esaltarne le sue profonde radici. Contrassegnato dal marchio IGT Sicilia è un rosso ottenuto da Nero D’Avola in purezza, naturalmente dolce invecchiato per dieci anni in barrique di ottavo passaggio e straordinariamente ricco di resveratrolo, quindi – giova ripeterlo - se consumato in giuste dosi, utile per prevenire l’invecchiamento delle cellule e arginare il colesterolo. La tecnica di produzione prevede l’appassimento delle uve sulla pianta mediante torsione del peduncolo su grappoli selezionati. Il tempo di disidratazione medio degli

acini si aggira sui diciotto-venti giorni. Ad appassimento completo si procede alla raccolta e alla diraspatura manuale quindi alla fermentazione in contenitori di acciaio e alla follatura manuale. Si passa poi alla pigiatura con torchio manuale e a un’ulteriore fermentazione di tre mesi del

mosto pulito in barrique dove avviene l’invecchiamento per dieci anni. Il Rodio appartiene alla ristretta cerchia dei vini rari, dei vini che vanno goduti in letizia e con sorsi lenti e estatici per coglierne tutte le nobili sfumature olfattive e di sapore. Insomma un vino per veri intenditori.

nne fondata rone Nicolò La Lumia ve L’azienda agricola del ba superficie ata e comprende una Lic di na pia lla ne 83 18 nel destinati alla terra di Sicilia, di cui 50 di 150 ettari di ottima luminosità, microclima unico per vite, tutti favoriti da un ca. L’azienda re ed escursione termi giusta vicinanza al ma o origine da uve proprie, che hann te en am siv clu es a ific vin e vini unici ri di Sicilia, da cui ottien vitigni autoctoni tra i miglio vola, Inzolia, di gusto quali: Nero d’A per intensità di aromi e ti con le Frappato commercializza Nerello Mascalese e o, Signorio tto Rosso,Cadetto Bianc de Ca a, mm Ste tte he etic o, Sogno Di Delizia del Conte Ross Rosso, Gloria Bianco, Limpiados Rosso, Torreforte Rosso, Dama Bianco, Don Toto’ sso, tutti IGT Nikao Rosso, Rodio Ro Rosso, Halykàs Bianco, Sicilia. ienda, è stato iante dove ha sede l’az Il casale di stile arabegg e costituisce 0 dalla famiglia La Lumia edificato alla fine del ‘70 ola. le più affascinanti dell’is una delle proprietà vinico

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 LA LUMIA fattoria


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Sicilia

L’orgoglio di un grande prodotto: il Marsala di Attilio L. Vinci Fotografie: Comune di Marsale e Walter Lunardi

Cantina Storica

territorio di produzione, ricco di siti naturalistici, storici, archeologici e di coinvolgenti tradizioni enogastronomiche. L’ultima visita straordinaria è quella della regina di Danimarca, Margrehte II. In vacanza in Italia, volle dedicare una giornata alla zona di produzione del Marsala ed alle secolari cantine Florio. La figlia di Federico IX era accompagnata dal principe consorte, il conte francese Henrik di Laborde di

Marsala

La storia Il Marsala per le sue origini, la storia e la fama è il “Principe” dei vini italiani da dessert. Uno dei vini mito dell’enologia italiaca che ha avuto, ad onor del merito ed in più occasioni, anche tante visite reali. Teste coronate, d’ogni angolo del mondo, per interesse, curiosità, e per il fascino che ha varcato già secoli fa i confini di tutti i continenti, hanno voluto visitare il suo incantevole

Montpezat, grosso produttore di vini francesi e personaggio assai competente. Tracce sulle origini del Marsala si trovano già nei primi secoli del Cristianesimo: in una lettera indirizzata a Decio, Vescovo di Lilybeo, S. Gregorio Papa raccomandava di dotare il costruendo convento di una superficie vitata. Il nuovo convento si stava costruendo sul podere della nobildonna lilybetana Adeodata, che aveva voluto farne il dono al vescovo concittadino per costruirvi, appunto, un convento. E siccome Papa Gregorio assieme alla notizia del gentil pensiero della nobile ricevette anche vino ed uva prodotti da quelle parti, che giudicò ottimi, nell’inviare il suo messaggio di ringraziamento pensò bene di raccomandare il vescovo Decio di impiantare un vigneto. Nel 1560 Carlo V concesse dei privilegi a favore della produzione vinicola del territorio di Marsala.

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Tra il 1590 ed il 1640, Pierre Paul Rubens, incuriosito dal fatto che il vino di Marsala era noto alla corte di alcuni potenti, volle assaggiarlo, e ne divenne fedele consumatore. Ma, il più antico riscontro, che si collega all’industria del Marsala, è una spedizione fatta nel 1773 da un commerciante inglese di Liverpool, John Woodhouse. Dal porto di Trapani, il commerciante venuto in Sicilia per acquistare ceneri di soda,

finì con lo spedire nella sua madrepatria 60 pippe (botti), da 412 litri ciascuna, del vino che casualmente aveva avuto modo di assaggiare e di apprezzare molto, in una bettola vicino al porto di Marsala; aggiungendovi un po’ di acquavite da vino per salvaguardarlo da sofferenze e da alterazioni da viaggio (circa due litri per ettolitro di vino). Fu un grande successo e l’inizio dell’ascesa alla notorietà internazionale.

Persino l’ammiraglio Horatio Nelson, eroe del tempo, richiese ai Woodhouse una grossa fornitura di vino Marsala per la sua flotta. A titolo di curiosità storica riportiamo il testo del primo contratto stipulato nel marzo del 1800 tra il Woodhouse e l’ammiraglio Nelson: “Una convenzione fu fatta e redatta fra l’onorevole ControAmmiraglio Orazio Lord Nelson (K.B.), cavaliere dell’Ordine

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 Cattedrale di Marsala


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Sicilia

del Bagno, in Sicilia, ecc., con Giovanni e Guglielmo Woodhouse, negozianti di vino Marsala, a Palermo, il giorno 19 marzo 1800, per fornire le navi di S.M. nella rada di Malta di 500 pipe del miglior vino Marsala ed essere consegnato libero di nolo e di ogni altra spesa, senza perdita di tempo, ad uno scellino e cinque pence di sterlina per ogni gallone, misura di vino, ed essere pagato in cambiali sui Commissari per la Provveditoria della flotta di S.M. alla consueta data, a firma dei pagatori dei bastimenti di S.M. ai quali il vino sarà stato consegnato, e nel caso che i fusti siano trattenuti con il vino sarà aumentata una spesa addizionale di una lira sterlina per ciascuna pipa. Il vino dovrà essere consegnato quanto più speditamente si può, e tutto essere consegnato nello spazio di cinque settimane da quella data; una scorta sarà necessaria per il bastimento che parte da Marsala, …”. Il contratto è firmato da Bronte Nelson e da Giovanni Woodhouse per sé ed il fratello.

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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 Bottaio al lavoro


Sicilia

Marsala

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Il successo del Marsala è travolgente, e si afferma sempre più nel mondo intero, contro la concorrenza degli altri vini stranieri della stessa natura quali di Jerez, il Madera, il Porto, il Malaga. Nel 1880, in provincia di Trapani, i grandi stabilimenti di Marsala sono 18. E se teniamo conto anche di quelli a conduzione familiare il numero sale a 40. Il proliferare di tante aziende, però, accende un’accanita concorrenza, e la mancanza di leggi che disciplinano la produzione di Marsala induce molte ditte poco scrupolose a non seguire più nei dovuti modi i metodi di lavorazione e soprattutto i tempi di invecchiamento introdotti ed applicati dei prodotti seri. All’inizio del ‘900 e nei successivi due decenni tale fenomeno degenerativo si accentua. I vini spagnoli e portoghesi recuperano in breve tempo gli spazi portati via loro dal Marsala, e riprendono ad imporsi in tutto il mondo. Le conseguenze dell’ultimo conflitto mondiale accentuano ancor più i mali del Marsala. Vengono invocate leggi più severe che disciplinano la produzione e la commercializzazione. Leggi di tutela Ma si riesce solo nel 1950, e con non poche difficoltà, ad ottenere un decreto, il n. 1069 del 4.11.1950, che sancisce una serie di disposizioni

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concernenti i metodi di preparazione del Marsala, i tempi d’invecchiamento e la classificazione degli stessi. La legge, però, rimane inoperante per 11 anni, poiché non viene emanato il relativo regolamento di esecuzioni. È con il DPR n. 1644 del 20.10.1961 che finalmente viene emanata la prima legge sul Marsala. Purtroppo in sede di conversione della legge, vengono apportati alcuni cambiamenti al testo originale, che finiscono con lo snaturare i principi basilari su cui poggia tutto lo spirito dell’autodisciplina che si voleva dare. Ad esempio, Marsala aromatizzati possono essere prodotti al di fuori della zona tipica di produzione, cosa che in breve tempo apre la strada ad ampie contraffazioni e ad ulteriori svilimenti della qualità e dell’immagine. La DOC Nel 1969, precisamente con il DPR n. 143 del 2 aprile 1969, il Marsala ha riconosciuto la Denominazione di Origine Controllata. Ma, anche questo decreto non porta alcun concreto vantaggio al miglioramento della produzione e quindi ad innalzare la scarsa considerazione il cui il Marsala è finito. Così, dopo altri 15 anni di inutili tentativi di rilancio, si arriva alla Legge 851 del 28 novembre 1984 che, definisce la zona di produzione (la sola provincia di Trapani con esclusione dei

comuni di Alcamo, Favignana e Pantelleria), dei vitigni ammessi (Grillo, Inzolia e Catarratto con Pignatello, Calabrese, Nerello mascalese e Nero d’Avola), dei metodi di preparazione, dei tempi di invecchiamento in fusti di legno (da 1 anno per il Fine ai 10 anni per il Vergine Soleras Stravecchio o Riserva), della classificazione per colore (oro – ambra - rubino), per contenuto zuccherino ( secco – semisecco - dolce), delle caratteristiche a seconda dei tipi prescritti (quanta gradazione alcolica, estratto secco netto, acidità fissa e volatile), dell’imbottigliamento obbligatorio in zona tipica senza possibili deroghe inquinanti. La Legge del 1984 punta all’effettivo rilancio, come i più seri produttori dell’industria marsalista auspicano da tempo. L’immagine generale che ha oggi il Marsala è quella di un prodotto vecchio, superato nei confronti del gusto dei consumatori; di un prodotto troppo dolce e del convincimento che molto sovente ci si trovi di fronte a qualcosa di contraffatto. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, i volumi di vendita non hanno subito grandi flessioni, ma, non sono cresciuti come è avvenuto per tutti i prodotti alcolici e per i vini liquorosi in particolare. Cosa invece molto grave è il prezzo basso cui sono esitati i Marsala, conseguenza sempre del modesto apprezzamento riservato loro, che consente una

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


che mortifica le aziende serie

concentrato

che nel Marsala hanno sempre

acquavite di vino, il cui insieme

creduto, e che in tale attività

è chiamato concia. Si ottiene

hanno profuso e profondono le

partendo

proprie energie e risorse.

rilanciare il Marsala. Per esempio è facile evidenziare la mancanza di un “efficace” supporto pubblicitario. zione fortificherebbe la fedeltà dei consumatori ed amplierebbe gli spazi di mercato. Il Consorzio Volontario per la Tutela del Vino Marsala, istituito il 27 dicembre del 1962 (che da qualche mese ha rinnovato il consiglio di amministrazione, eleggendo Presidente il rag. Giuseppe Ingargiola, già in Florio) può fare la sua parte di primo piano nel programmare e concretizzare una grande promozionale, un

tipo

di

operazione analoga a quella attuata per la valorizzazione dello Spumante italiano nei confronti dello Champagne, puntando a riproporre il Marsala in alternativa al Porto ed allo Sherry. Aneddoto

storico

non

trascurabile: la campagna pro Spumante ha fatto effettuare il sorpasso nelle vendite sullo Champagne. Dunque,

sarebbe

a valori di 20 gradi. Quindi

bene

profittare “legittimamente” del

Cantine a Marsala momento di favore che stanno vivendo all’estero i prodotti made in Italy. La produzione Con uve bianche: Catarratto, Grillo, Inzolia e Damaschino. Uve rosse (consentite solo per la produzione del Marsala rubino): Pignatello, Nero d’Avola e Nerello Mascalese.

rimane in botti di rovere da 20 a 60 ettolitri da 6 mesi a 2 anni. Entro i tempi di stazionamento nelle botti viene travasato a causa

precipitazioni.

Dopo viene aggiunto al vino base in proporzioni varie. Classificazioni

L’art. 2 della Legge 851 del 28 novembre 1984 enuncia le classificazioni: il MARSALA FINE

Tecnica di preparazione La tecnica di base per il Marsala fine superiore: vino base DOC alcolizzato, aggiunto di mosto concentrato ( o di sifone) e di mosto cotto(che è ottenuto dalle uve destinate alla preparazione del Marsala). Quest’ultimo viene posto in caldaie di rame dai 15 ai 40 ettolitri e concentrato a fuoco diretto o a vapore per 24 ore; fino a ridursi a circa 1/3 ed a caramellizzarsi. Durante la cottura viene continuamente agitato e schiumato (la schiuma viene poi utilizzata per preparare la concia). Il mosto cotto conferisce sapidità al Marsala, sapore di cotto, e per i prodotti caramellizzati, il caratteristico amarognolo.

delle

Marsala

Sicuramente un’ottima promo-

effettuando

fiore

aggiunta di alcol di vino sino

che

esistono diverse premesse per

campagna

mosto

del mosto di pressatura, con

Visti gli elementi negativi è aggiungere

dal

di

aggiunto alla prima frazione

Possibilità di rilancio doveroso

addizionato

Sicilia

Il sifone o mistella è un mosto

speciale

modestissima remunerazione e

è

quello

invecchiato

almeno 1 anno; il MARSALA SUPERIORE

è

invecchiato

almeno 2 anni; il MARSALA SUPERIORE RISERVA almeno

4 anni; il MARSALA VERGINE e/o

SOLERAS

almeno

5

anni; il MARSALA VERGINE STRAVECCHIO

RISERVA

almeno 10 anni.

La stessa Legge distingue i 5 tipi di Marsala per il “colore” in: Oro, Ambra e Rubino. E

per il “contenuto zuccherino” in:

Secco,

con

zuccheri

riduttori inferiori a 40 grammi/

litro; semisecco, con zuccheri superiori a 40 ma inferiori

a 100 grammi/litro; dolce, con zuccheri superiori a 100 grammi/litro.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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speciale

Sicilia

Amore per la Sicilia: il Conte Lucio Tasca d’Almerita di Roberto Rabachino - fonte Studio Suitner

Disponibilità ed interazione di diversi fattori, ambientali, genetici, umani, il tutto legato da una sola parola: Amore.

L

a storia dell’azienda inizia nel 1830 quando i fratelli Don Lucio e Don Carmelo Mastrogiovanni Tasca acquistarono l’ex feudo Regaleali, circa 1200 ettari nelle campagne di Sclafani, al confine della provincia di Palermo con quella di Caltanissetta. Lucio Tasca diresse l’intera proprietà e, con il suo esempio, impresse uno sviluppo decisivo all’intera industria agraria siciliana. L’erede e nipote omonimo, Lucio Tasca, primo Conte d’Almerita, allo stesso modo si appassionò alla conduzione dell’impresa agricola: sugli Annali dell’Agricoltura Siciliana nella seconda metà dell’Ottocento i tecnici agrari più autorevoli dell’epoca citano la fattoria come un modello da seguire per tutta la Sicilia. Suoi successori a Regaleali furono il figlio secondogenito Giuseppe

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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


speciale

ereditato il talento ad occuparsi, a pubblica utilità, di una vasta impresa rurale”. L’unico figlio, il Conte Giuseppe Tasca d’Almerita anche lui Cavaliere del Lavoro, ereditò tutta la terra e l’amore per essa. A partire dal 1957 il Conte Giuseppe Tasca, coadiuvato dalla moglie Baronessa Franca Cammarata, assunse l’intera responsabilità della conduzione aziendale, dedicandovi tutto il suo amore. Quattro i loro figli:

Anna, Costanza, Rosemarie e Lucio, che oggi presiede l’azienda. Il Conte Lucio - così è chiamato da amici e collaboratori - è il simbolo del rinnovamento dell’intero sistema aziendale. A metà degli anni Ottanta, grazie agli impianti sperimentali di alcuni vitigni alloctoni, presenta, primo in Sicilia, un Cabernet Sauvignon e uno Chardonnay vinificati in purezza, pluripremiati nelle diverse annate che seguirono, e con il Rosso del Conte è uno dei primi produttori del Nero d’Avola in purezza, portando così, per la prima volta, la Sicilia all’attenzione del mondo vitivinicolo internazionale e aprendo la strada a quelli che sarebbero stati i cambiamenti e le innovazioni della viticultura sull’isola. Nei primi anni del 2000 decide di acquisire direttamente il controllo dei mercati in cui sono presenti la marca Regaleali ed i prodotti Tasca d’Almerita, attraverso la creazione di una S.r.l, società del gruppo alla quale affida la commercializzazione in Italia e negli oltre 50 mercati esteri. Alla vecchia struttura esterna sostituisce una moderna e completamente automatizzata organizzazione interna, dotata di strumenti tecnologici avanzati per il controllo di gestione e

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 Le vigne a triangolo Regaleali

Sicilia

Tasca Lanza, Senatore del Regno e due volte Sindaco di Palermo, e poi il nipote Lucio Tasca Bordonaro, con lo stesso grande amore e competenza dell’omonimo nonno: “Era stato don Lucio Tasca, Barone di Regaleali, a spingere il sistema della masseria a latifondo verso un vero progresso agricolo in Sicilia” affermava il Prof. A. Scifò “e il giovane Lucio Tasca Bordonaro Cavaliere del Lavoro, oltre alla fortuna nel 1922, aveva

75


Sicilia speciale

le procedure amministrative, affidata a personale scelto e motivato, con la supervisione del figlio Alberto. Al primogenito Giuseppe, laureato in agraria, affida la gestione delle cantine e della Tenuta di Regaleali. Lucio Tasca vive tra la residenza cittadina di Villa Camastra Tasca, dimora settecentesca collocata tra i giardini della Conca d’Oro e gestita dalla figlia Franca, e la Tenuta di Regaleali, dove accoglie amici, clienti e gruppi di turisti attirati dalla magia del luogo e dalla cucina della Marchesa Anna Tasca Lanza, conosciuta in tutto il mondo per i suoi corsi di cucina tenuti all’interno della

Il trasporto dall'Isola di Mozia

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masseria di Case Vecchie. Ha recentemente acquistato la Tenuta di Capo Faro, dove è sorto un resort ed è iniziata la produzione di una Malvasia D.o.c. delle Lipari. Tra i numerosi riconoscimenti ai vini e all’azienda spicca quello tributato all’imprenditore: nel 1997, il Conte Lucio, riceve il “Premio Speciale Gran Vinitaly”; nello stesso anno l’azienda Tasca d’Almerita ottiene il “Premio Internazionale Vinitaly”. La Famiglia Tasca da sempre cura la terra con passione, attenzione all’innovazione tecnologica e profondo rispetto per il territorio. Inserita in un contesto paesaggistico di rara bellezza, ad un’altezza media compresa tra i 400 ed i 750 metri s.l.m., la Tenuta di Regaleali gode naturalmente di un microclima vocato alla viticoltura, che viene qui praticata fin dal 1.100. L’insistere di temperature atte alla perfetta maturazione dei frutti e la fondamentale escursione termica giorno-notte di oltre 15° C. consentono la salvaguardia del patrimonio aromatico delle uve. Apripista in Sicilia nell’introdurre tecniche di potatura corta per ottenere, attraverso basse rese, uve con elevate caratteristiche organolettiche, nel valorizzare i vitigni autoctoni - Inzolia e Nero d’Avola - nell’introdurre proprio con il Nero d’Avola un

uso moderato della barrique e nello sperimentare sull’isola Chardonnay e CabernetSauvignon. Il terreno di proprietà, oltre 500 ettari di cui 400 coltivati a vigneto, di differente composizione geologica, rappresenta un patrimonio di grande versatilità rendendo possibile la selezione della varietà ideale di uva da porre a dimora in funzione delle caratteristiche di ciascun suolo. Ai vigneti si alternano alberi di mandorle, distese di grano, avena, uliveti vecchi e nuovi; e le pecore, antico “diserbante” naturale permettono la produzione di ottime ricotte e formaggi, guarniti con un prelibato miele di rosmarino o con marmellate fatte in casa. Piante di ginestre, rosmarino ed eucalipti crescono attorno le riserve di acqua piovana che durante il periodo invernale sono affollate da anatre selvatiche e da aironi grigi. La caccia è bandita, e non è difficile dopo il tramonto incontrare istrici, lepri, conigli selvatici e porcospini. In tale contesto l’apporto dell’uomo sta nello stabilire le tecniche colturali prima e nella conduzione e vinificazione poi. Da quell’oasi ecologica di oltre cinquecento ettari la Tasca d’Almerita oggi produce quattro vini bianchi (Regaleali, Leone d’Almerita, Nozze d’Oro e Chardonnay), cinque vini rossi (Regaleali Nero d’Avola, Camastra, Cygnus, Rosso del Conte, Cabernet Sauvignon),

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


speciale

Sicilia

Villa Tasca un rosato (Rose di Regaleali) e due spumanti; completano la gamma le specialità: le Grappe (di Chardonnay e di Rosso del Conte) e l’Olio ExtraVergine di Oliva Regaleali. Sperimentazione e ricerca, nella vigna come in cantina sono espressione di una tendenza alla qualità totale che si concretizza nella finalizzazione dei prodotti.

Intervista al Conte Lucio Tasca d’Almerita Passato e presente: cosa desidera ancora per se e per la sua azienda? Non è mia abitudine guardarmi indietro perché niente ho da farmi perdonare sia come uomo sia come imprenditore. Il presente, poi, mi interessa relativamente. Il futuro, quello mi affascina. Vedere la mia Sicilia crescere e progredire all’insegna di quel progresso che passa per un percorso dove legalità e tradizione sono le pietre fondanti, mi entusiasma e mi da la forza giornaliera per migliorarmi. Legalità. È il live motiv di Tasca d’Almerita. Certamente. Noi da tempo abbiamo adottato un codice etico e di comportamentale molto rigido. Legalità e trasparenza sono i principi che regolano tutti i rapporti tra noi, i nostri dipendenti e i nostri fornitori. Parliamo della secolare filosofia produttiva della Famiglia Tasca d’Almerita. La nostra filosofia è molto semplice: innovazione nella tradizione. Oggi i miei figli Giuseppe e Alberto sono, con me, i custodi di queste tradizioni e mai, per nessuna ragione al mondo, cambieremo questa nostra strategia dove viene premiato prima su tutto il territorio con le sue peculiarità e poi la strategica ricerca di perfezionamento in vigna e in cantina.

Il Conte Lucio e le sue tenute Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

77


speciale

Sicilia

I vini della Provincia di Messina di Irene Picciolo

La Provincia di Messina produce vini riconducibile al proprio territorio dove premiata è sempre la tipicità e la tradizione. DOC FARO

I

Abbinamenti

Notizie Faro Uve: Nerello Mascalese (45-60%), Nocera (5-10%), Nerello Cappuccio (15-30%) ed eventuale aggiunta di Calabrese e/o Gaglioppo e/o Sangiovese (max 15%) Colore: rosso rubino intenso tendente al rosso mattone con l’invecchiamento Profumo: delicato, etereo, persistente, Sapore: secco, armonico di medio corpo, caratteristico

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Suino Nero dei Nebrodi I suino neri sono allevati allo stato semibrado e brado sui monti Nebrodi. I prodotti realizzati con suino nero quali il salame Sant’Angelo, il prosciutto e la salsiccia dei Nebrodi, i salami, i capicolli e le pancette presentano una particolare intensità aromatica e si prestano a lunghe stagionature.

Abbinamenti

l Faro Doc è un vino rosso prodotto nel territorio del comune di Messina sulle colline sovrastanti lo stretto, un’ area della Sicilia che vanta un’antichissima vocazione vitivinicola. Veniva prodotto già durante l’età Micenea (XIV secolo a.C. circa), come attestano alcuni reperti rinvenuti soprattutto nelle isole Eolie. Il processo di vinificazione del Faro Doc prevede la fermentazione del mosto a contatto con la vinaccia, che durante questa fase rilascia parte delle sostanze in essa contenute, quali antociani e tannini. Il processo di fermentazione dura generalmente oltre i 15 giorni. Seguono la fase della svinatura, con la separazione della vinaccia dal mosto, i travasi, l’affinamento e l’invecchiamento obbligatorio per un anno almeno. Al termine di questo periodo il vino viene stabilizzato ed, infine, imbottigliato.

Salame Sant’Ang

elo

Il salame Sant’An gelo si sposa fel icemente con vin i amabili e corposi, e lo si ap prezza per un alt o contenuto prote ico facile digeribilità. ed una Autentico capolav oro della civiltà co ntadina, il salame Sant’Ange lo è molto apprez zato in tutto il mo ndo per la sua particolare bo ntà, frutto del sa piente lavoro de i produttori artigiani, delle pa rticolari condizioni climatiche, dell’u midità e ventosità che fac ilitano la stagiona tura dell’insaccato . Il Salame Sant’Angelo nasc e probabilmente intorno all’XI seco lo, come conseguenza de lla colonizzazione da parte dei no rmanni che introdussero nuov e abitudini alimenta ri e il consumo de suina. Viene otten lla carne uto con un impa sto di carni di pr ima scelta di coscia, lombata, costata e pancett a tagliate a punta di coltello a grana grossa, lav orate ed impasta te con sale marin o grosso e pepe nero a mezz a grana per favorirn e una migliore cons ervazione. Insaccati sapiente mente in budella di suino, i salam i si fanno stagionare in sale arieggiate, per un periodo che và da i 30-100 giorni, secondo la pezzatura.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


Sicilia

io a pa brodi è un formagg La La provola dei Ne essere stagionata. l’unica provola ad è ltre ino ed , ne dimensio ica “testina” pendice, la class ’ap un n co ra” pe “a forma è la tipica ere le forme. r legare e append pe sta po ap ta fat ttile dei cacicavalli, istiche di crosta so esenta le caratter pr i od br Ne i de nzare La provola ambrato con l’ava tendente al giallo ino er gli pa llo gia e di color e, sua peculiare morbida e a sfogli za en ist ns co Di della stagionatura. moderatamente lce per il fresco, do re po sa l da e caratteristica, degustare, oltre ch gionato, ottima da sta llo ne o cis de odi. piccante e gno tipico dei Nebr ta dal miele di casta na ag mp co ac o, col vin

zo

Abbinamenti

M il a z

r la sta filata famosa pe

speciale

rodi

Provola dei Neb

DOC MAMERTINO Le prime testimonianze storiche sulla produzione del vino Mamertino risalgono al 289 a.C., quando i Mamertini piantarono nel territorio di Milazzo “una pregevole vite per la produzione di un pregevole vino”. Tale era la bontà di questo vino già all’epoca romana che, si narra, venne offerto da Giulio Cesare per celebrare il suo terzo consolato poi raccontato anche nel “De Bello Gallico”. Nel Mamertino Rosso e Rosso Riserva è presente l’uva Nocera che fino agli anni 60 era un vitigno ampiamente diffuso nella provincia di Messina ma col tempo è andato perduto perché soppiantato da altre varietà che negli ultimi decenni hanno costituito le basi per la produzione di rossi importanti allargando la piattaforma ampelografica. Il metodo di produzione del Mamertino di Milazzo Rosso Doc prevede la pigiatura delle uve, poi messe a fermentare e a macerare assieme alla vinaccia. Con la successiva svinatura, si separa la vinaccia dal mosto e, dopo l’affinamento e l’invecchiamento, il vino viene stabilizzato e imbottigliato. Questa Doc comprende le varietà di vino: Bianco, Bianco Riserva, Rosso, Rosso Riserva, Calabrese o Nero d’Avola, Calabrese o Nero d’Avola Riserva, Grillo-Ansonica o Inzolia. Per tutti i tipi l’affinamento in bottiglia è obbligatorio per 3 mesi prima della messa in commercio. Notizie Mamertino di Milazzo o Mamertino Bianco Uve: Grillo e Ansonica o Inzolia (minimo 35%), Catarratti (minimo 45%)ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca bianca della zona Colore: paglierino più o meno intenso, talvolta con riflessi verdolini Profumo: gradevole, fino, fruttato Sapore: secco, equilibrato Mamertino di Milazzo o Mamertino Bianco Riserva Uve: Grillo e Ansonica o Inzolia (minimo 35%), Catarratti (minimo 45%)ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca bianca della zona Colore: giallo dorato, talvolta con riflessi ambrati Profumo: etereo, pieno, passito Sapore: dal secco, all’amabile, al dolce, gradevole, tipico È obbligatorio l’invecchiamento di 24 mesi di cui 6 mesi in legno.

Mamertino di Milazzo o Mamertino Rosso Uve: Calabrese o Nero d’Avola (minimo 60%), Nocera (minimo 10%) ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca rossa della zona Colore: rubino tenue, tendente al rosso mattone con l’invecchiamento Profumo: tipico, lievemente fruttato, tipico, delicato Sapore: secco, corposo, sapido Mamertino di Milazzo o Mamertino Rosso Riserva Uve: Calabrese o Nero d’Avola (minimo 60%), Nocera (minimo 10%) ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca rossa della zona Colore: rubino intenso, tendente al rosso mattone Profumo: caratteristico, vinoso, armonico Sapore: secco, corposo, pieno È obbligatorio l’invecchiamento di 24 mesi di cui 6 mesi in legno.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

79


Abbinamenti

Sicilia speciale

Maiorchino È uno dei più grandi pecorini d’Italia sia qualitativamente che in senso fisico, il suo peso infatti va dai 10 ai 18 chili. Sembra sia comparso intorno al ‘600, in occasione della sagra chiamata “Maiorchina”. Tutt’oggi a carnevale, in alcuni comuni messinesi, con i Maiorchini stagionati si effettua la tradizionale “ruzzola”, gara consistente nel far rotolare le forme del formaggio il più lontano possibile. Si produce da febbraio a metà giugno con latte crudo di pecora al quale viene aggiunto caglio in pasta di capretto o agnello. Del tutto particolare la consuetudine dei casari di bucherellare la pasta con una sottile asta metallica o di legno per favorire l’uscita del siero. L’attrezzo si chiama minacino. Dopo quarantotto ore, il maiorchino viene salato a secco, con sale marino, per un periodo di venti-trenta giorni. La stagionatura avviene in locali di pietra interrati, a volte in grotte o cantine che garantiscono temperatura costante. Durante questo periodo, che dura otto mesi almeno, il prodotto viene pulito, deterso, girato più volte, poi trattato con olio d’oliva. Da assaporare abbinato

Abbinamenti

alle tipologie di Mamertino rosso.

Cappero di Salin

I capperi di Salina compattezza e pr

a

sono i migliori del

ofumo. La varietà

è la “nocellara” o “to

mondo per qualità,

più diffusa

Mamertino di Milazzo o Mamertino Calabrese o Nero d’Avola Uve: Calabrese o Nero d’Avola (minimo 85%) ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca rossa della zona Colore: rubino intenso Profumo: caratteristico, gradevole, fruttato Sapore: asciutto, pieno, armonico Mamertino di Milazzo o Mamertino Calabrese o Nero d’Avola Riserva Uve: Calabrese o Nero d’Avola (minimo 85%) ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca rossa della zona Colore: rubino intenso tendente al rosso granato Profumo: caratteristico, gradevole, fruttato Sapore: asciutto, corposo, armonico È obbligatorio l’invecchiamento di 24 mesi di cui 6 mesi in legno. Mamertino di Milazzo o Mamertino Grillo Ansonica o Inzolia Uve: Grillo e Ansonica o Inzolia (minimo di ciascuno del 20%) Colore: paglierino più o meno intenso, talvolta con riflessi verdolini Profumo: caratteristico, fruttato, delicato Sapore: secco, armonico, fresco

uniformità,

ndino” che dà bocc

rotondi e compatt

ioli

i, e un profumo for

te

e aromatico. Duran te la raccolta,che avviene da fine ma ggio ad agosto, i capperi vengon o stesi su teli di juta all’ombra. Do po qualche ora vengono salati, con sale marino grosso, nelle “tin e” e travasati og ni giorno per otto o die ci giorni, per arieggia re il prodotto, evitand o che l’azione comb inata del sale e del calore li rovini. Infine, do po circa un mese sono pronti per il consumo qu indi sono selezion ati nei diversi calib ri, conditi, se necessario, inv asettati e pronti pe r insaporire insala te, sughi a base di pesce, br uschette e abbin ato alle tipologie di Mamertino Bianco.

80

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


speciale

DOC MALVASIA DELLE LIPARI

Sicilia

La bellezza delle spiagge e delle grotte, la dolcezza del clima, la storia millenaria danno il benvenuto alle isole Eolie (o Lipari). Le fertili terre in cui crescono olivi, capperi e frutta, ospitano i vitigni della Malvasia di Lipari,da cui la DOC omonima trae origine. Lipari subì la colonizzazione greca nel IV secolo a.C. periodo in cui si attribuisce l’importazione nell’isola del vitigno Malvasia che si produce principalmente nell’isola di Salina. Il terreno vulcanico dona al vino particolari e raffinati sentori. Il sistema di allevamento della vite a spalliera bassa, unito alla preziosità dei radi grappoli e alla loro tarda vendemmia, conferiscono alla DOC un sapore pieno: le uve vengono lasciate più a lungo sulla pianta così da consentirne un primo moderato appassimento, portato a termine poi, una volta raccolte, quando le si fa riposare al sole sui tipici graticci di canna. Due sono le varietà di uve utilizzate: la malvasia di Lipari per il 95% e Corinto nero. È uno dei grandi vini dolci mediterranei, oggi interpretato nelle tre versioni previste dal disciplinare: naturale, passito e liquoroso.

Malvasia delle Lipari Naturale Uve: Malvasia di Lipari (massimo95%), Corinto nero(dal 5 all’8%) Colore: dorato vivo Profumo: morbidi di fiori bianchi e frutta gialla Sapore: aroma dolce di pesca, susina e albicocca corretta da una leggera nota salmastra

Abbinamenti

Malvasia delle Lipari Liquoroso Uve: Malvasia di Lipari (massimo95%), Corinto nero(dal 5 all’8%) Colore: giallo dorato Profumo: albicocca matura Sapore: dolce e aromatico

Piparelle

te ndorle, leggermen al cacao con ma Biscotti croccanti fetta tagliata di spezie. Forma a di ta iun gg l’a r piccanti pe sbieco.

Abbinamenti

Malvasia delle Lipari Passito Uve: Malvasia di Lipari (massimo95%), Corinto nero(dal 5 all’8%) Colore: ambrato Profumo: frutta dolce, fichi, datteri e agrumi canditi Sapore: sentori di eucalipto e di miele, mandorla, marmellata di arance

Cannolo Siciliano Dolce

costituito

da

un

involucro cilindrico di pasta fritta, farcito con un impasto di ricotta, zucchero e frutta candita.

Pignolata Si presenta come un mucchietto di pigne di varie dimensioni ricoperte di glassa bianca al limone e scura al cioccolato e dall’odore di essenza di limone (o bergamotto) e cioccolato

rla

Paste di mando

lce tipicamente è un impasto do la or nd ma di La pasta tipi di dolciumi. I nfezionare diversi co a rve se e ch siciliano igianale orla in maniera art i lavorano la mand ier cc sti pa tri es ma ndorla pura pasta di ma ad ottenere una con il miele, fino e o all’arancia matizzata al limon aro re se es ltre ino lle che può ro a velo. Una de operta di zucche ric re se es e ch oltre è la pasta di mandorle ni dolciarie della zio ca pli ap te no più i “finti frutti”: pasta reale, ossia o a an or art M tta cosiddetta fru o siciliano. ll’artigianato dolciari vero capolavoro de

vanigliato.

La

pignolata

glassata

deriva

direttamente

dalla pignolata al miele, che prevedeva un mucchietto di “pigne” fritte ricoperte da miele. La pignolata glassata nasce nel periodo della dominazione spagnola, quando su commissione di famiglie nobili si rielaborò la precedente ricetta “povera” sostituendo la copertura con una dolcissima glassa aromatizzata al limone ed al cacao. Oggi la pignolata, che nel corso dei secoli si è diffusa in tutta l’Area dello Stretto, è il dolce tipico più apprezzato della zona e vi è prodotto in grandi quantità per l’esportazione in Italia e all’estero.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 Vigneti di Malvasia delle Lipari

81


speciale

Sicilia

Una delizia: il Ragusano DOP di Roberto Rabachino

In Sicilia è considerato il simbolo della tradizione e della genuinità.

È

l’orgoglio delle mas-

Il

un

intenso. Per la stagionatura,

serie,

formaggio prodotto nell’intero

le forme del Ragusano D.O.P.

territorio

di

vengono legate a coppia con

campagna iblea costruiti su

Ragusa e nei comuni di Noto,

sottili funi e poste a cavallo

pietra

al

Palazzolo Acreide e Rosolini

di

abitazione

in provincia di Siracusa. È

da

del massaro e piccolo ca-

un formaggio a pasta filata

aerazione dell’intera forma. La

seificio dove viene prodotto

derivante da latte di vacca

maturazione può durare per

artigianalmente, secondo una

intero crudo. Ha la caratteristica

un periodo che va da quattro

ricetta che si tramanda da gen-

forma parallelepipeda a sezione

mesi ad oltre un anno, in base

erazioni, il prezioso formaggio.

quadrata con angoli smussati:

al tipo desiderato: la qualità di

i

complessi

architettonici

tempo

bianca stesso

della

calcarea,

Ragusano della

D.O.P.

è

provincia

appositi garantire

sostegni, una

per tale motivo viene chiamato in dialetto anche scaluni, perché la sua forma ricorda il gradino di una scalinata, o pruvuluni. La crosta è liscia, sottile, compatta e di colore giallo dorato o paglierino tendente al marrone con il protrarsi della stagionatura. La pasta è compatta e al taglio si presenta di colore bianco tendente al giallo paglierino più o meno Marchiatura del Ragusano DOP

82

Masseria nel Ragusano

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

così

perfetta


profumi aumenta con il passare

per il prodotto meno stagionato Cerasuolo di Vittoria, Etna Rosso, Faro; per quello stagionato Marsala; mentre ad un Ragusano con stagionatura oltre i diciotto mesi si può piacevolmente accostare del miele di carrubo (o castagno) abbinando un Moscato Passito di Pantelleria.

del tempo e il miglior Ragusano ha dagli otto ai ventiquattro mesi di stagionatura. Il prodotto può essere affumicato solo con

procedimenti

naturali

e tradizionali; in tal caso la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura affumicata.

Caratteristiche e fasi

per una prima cottura; quindi,

che serve a far filare la pasta.

di produzione

la cagliata viene depositata

Le forme vengono immerse,

Ragusano

dentro dei canestri da cui viene

poi, in piccole vasche di acqua

DOP ha una tipica forma

fatto uscire il siero. Di seguito,

e di sale per la prima salatura.

rettangolare (altezza 13-15 cm

viene eseguita una seconda

Possono restare in questo

e lunghezza 40-45 cm), pesa

cottura della cagliata, sempre

stato di salamoia da due o otto

normalmente più di 10 chili.

a 80°C, che termina dopo

giorni, a seconda del peso delle

Tipo di formaggio: a pasta

un paio d’ore, utilizzando la

forme. Infine, vengono portati

compatta morbida. Il latte viene

scotta, residuo della ricotta.

alla stagionatura (spesso in

filtrato in un grande recipiente

Infine, la cagliata viene riposta

locali ricavati da grotte naturali).

di legno - spesso fasciato in

nei canestri per completare il

Nei centri di stagionatura avviene

rame - e viene aggiunta la

filtraggio del siero e qui viene

la seconda salatura, che dura

pasta di caglio d’agnello o di

lasciata

venti

circa trenta giorni. Al termine di

capretto. La cagliata è pronta

ore per far maturare il giusto

questa fase le forme vengono a

dopo più di un’ora: viene rotta

grado di acidità e il sapore.

coppie a cavallo di travi di legno

in granuli della dimensione di

Dopo questo tempo la pasta

e controllate periodicamente.

una lenticchia con un’asta di

densa viene tagliata a fette e

Il “Ragusano” viene lasciato

legno che termina a forma di

posta nello staccio, un altro

maturare per un periodo che va

disco. Contemporaneamente,

recipiente in legno o in rame su

da quattro mesi ad un anno, in

viene aggiunta acqua a 80°C,

cui viene versata acqua calda

base al tipo desiderato.

Il

caciocavallo

riposare

per

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

Sicilia

la complessità di sapori e di

speciale

Vini consigliati per l’abbinamento:

questo formaggio è tale che

83


Il Segretario in compagnia dei sommelier della FSI-BRASIL

Graziella Cescon

Luigi Mastrocicco all'assaggio

L'arrivo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Cristiano Ribeiro, Roberto Rabachino, Jefferson Nunes, Pres. FSI-Brasil, Vittorio Cardaci, Marcio Muller, e Mario Del Debbio

La delegazione dei Sommelier Brasiliani

Lo stand della nostra rivista


vinitaly

2010

protagonista

Il Conte Lucio Tasca con Vittorio Cardaci

Tiziana Baldassari alla postazione FISAR allo stand di Toscana Promozione

F.I.S.A.R.

Il Presidente Cardaci con Lucia Buffo capo redattore RAI TG2 premio Carpenè Malvolti

Il nostro stand istituzionale

Francesca, Lavinia, Enza e Giusy hanno accolto i visitatori agli stand


2 DIVINANDO 010

i v D i n a n d o 2

Presentata al Vinitaly la nuova edizione con una sfida tutta al femminile.

omenica 11 aprile al Vinitaly la Giornata del Sommelier FISAR allo stand di Carpenè Malvolti con il Grande Slam Carpenè e le nostre sommelier Fisar che si sono sfidate in una edizione straordinaria di Divinando. Tre squadre, rappresentate da tre donne capitane dei rispettivi team sfidanti, ovvero Giusy Certo di Messina, Michela Taffarel di Treviso e Stefania Sforzi di Montecarlo di Lucca, si sono affrontate in una sfida-degustazione “all’ultima bollicina” per identificare il neonato Petit Manseng tra quattro vini de L’Arte Spumantistica Carpenè Malvolti attraverso le caratteristiche organolettiche distintive. Ad aggiudicarsi la gara è stata la giovane Giusy Certo, ventottenne di Milazzo (ME) che si è abilmente destreggiata tra le fini differenze individuando le note sensoriali del Petit Manseng Carpenè Malvolti nella prima sfida e del Viognier nello spareggio. Prima della premiazione, il Presidente Nazionale FISAR - Vittorio Cardaci Ama, ha pubblicamente ringraziato la Rosanna Carpenè per la manifestazione che, ormai da quattro anni, vede la FISAR festeggiare i propri associati alla Carpenè Malvolti durante la kermesse veronese. Durante la manifestazione, il Segretario Nazionale Mario Del Debbio ha presentato al pubblico la prossima terza edizione del Trofeo Divinando, torneo a squadre tra le delegazioni Fisar dedicato al vino in tutte le sue sfaccettature, attraverso quesiti teorici sulle caratteristiche dei vini e prove di “abilità” di varia difficoltà. Teatro della fase finale del concorso, come avviene già da due edizioni, sarà - l’ultima settimana di ottobre - una cantina storica di Conegliano Veneto, ovvero quella di Carpené. Le iscrizioni al torneo inizieranno il 15 maggio, per chiudersi il 20 giugno, mentre le eliminatorie si terranno nella prima settimana di settembre.

0 1 0

Nalla stessa giornata, Carpené Malvolti ha consegnato il “Premio Carpené Malvolti ai protagonisti della comunicazione” a Lucia Buffo, capo redattore RAI del TG2 e inviata per le Rubriche “Eat Parade”. La vincitrice, intervistata dal direttore della rivista Il Sommelier Roberto Rabachino, è stata premiata con una Magnum dorata di Prosecco Carpené Malvolti e con una pergamena attestante il premio ricevuto. Giusy Certo tra Laura Sandoli e Rosanna Carpenè

86

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


diVinando inando diV 2010

FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI RISTORATORI


Speciale Assemblea

A CASTELBRANDO, NEL CONGRESSO AUTUNNALE, LA VERIFICA DEI NOSTRI IMPEGNI.

bella assemblea la re ia iv ch ar di po m te Appena il o appuntamento. m si os pr al a ns pe si à di Forte dei Marmi e gi

F

88

orte dei Marmi ha accolto

ancora

con entusiasmo gli amici

Per questo, domenica mattina,

saranno

fisariani regalandogli una

una sala gremita di soci in

tecniche ed organizzative. Quello

calda domenica di primavera. Lo

rappresentanza

grande

che riusciremo a fare in questi

splendido scenario di Villa Bertelli

maggioranza delle Delegazioni

pochi mesi è fondamentale per

ha fatto da sfondo alle interessanti

italiane, ha registrato la volontà di

decretare fin da subito un grande

degustazioni che i banchi di

fare un ulteriore sforzo. Quello di

exploit nel 2011 ed arrivare

assaggio della manifestazione

percorrere questi ultimi metri che

FORTE

ai

devono portarci definitivamente

pronti e decisi all organizzazione

partecipanti. Ma è nella mattinata,

nel futuro, con un impegno ed

durante i seguitissimi lavori, che la

un attenzione ancora maggiori.

FISAR ha dimostrato il suo oramai

Sappiamo tutti benissimo che,

conclamato rinnovamento. Un

dopo una corsa lunghissima,

rinnovamento iniziato nel 2003

trovare la forza per alzarsi ancora

e che ha portato la Federazione

sui pedali è prerogativa solo dei

ad occupare in modo stabile

grandi campioni, ma è proprio

un posto di primaria importanza

questo che i soci presenti in

nella sommellerie italiana. Un

assemblea

successo

dal

di voler dimostrare. Ognuno di

FORTE DIVINO per la splendida

continuo e crescente interesse

noi si è assunto un impegno

accoglienza che ci hanno riservato

che il mondo dell enogastronomia

preciso con la consapevolezza

coronata dal Premio giornalistico

rivolge ai nostri sommelier. La

che il tempo per attuarlo è molto

internazionale

nostra professionalità è ormai

breve. Ad autunno ci ritroveremo

2010 che lo stesso comitato ha

partner ufficiale di tantissime

tutti a Castelbrando (TV). Lo

deciso di assegnare a ROBERTO

manifestazioni. Ciò nonostante

splendido

RABACHINO, presidente ASA e

sono molti gli impegni che

accoglierà infatti il Congresso

DIVINO

offrivano

testimoniato

dobbiamo

affrontare.

della

hanno

castello

promesso

medievale

annuale al quale sicuramente abbinate

riunioni

dei festeggiamenti dei 40 anni di FISAR nel 2012 con evento veramente memorabile.

Un

ringraziamento alla Delegazione Fisar

Versilia

profuso

per

l impegno

nell organizzazione

di questa Assemblea e un ringraziamento particolare anche al

comitato

organizzativo

FORTEDIVINO

Direttore della nostra rivista.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

di


Il delegato Flav io Nuti durante il suo intervento

Roberto Rabachino con il Premio

Speciale Assemblea

la

I Soci in sa

parla Luisella Rubin della FISAR delle DONNE

Fortedivino 2010

I sommelier de

Baglietti, Del Debbio, Priscilla Occhi pinti e Vittorio Cardaci

lla Delegazione

Il "grande" M

arzio

Versilia

Carlo Stasi ap

re le danze

tta

n etiche annoni co Grappa N ta za personaliz FORTE DIVINO Magiche Degustazion

i

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L'iniz

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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

I Soci in assemblea

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Il Principe dei vini Trentini: Il Teroldego Rotaliano

di Luca Iacopini e Massimo Bracci

Un vino di montagna profumato ed elegante

Q

uante volte abbiamo percorso l’autostrada del Brennero in direzione nord, che dopo il lago di Garda si incunea nella catena delle Prealpi; Questi monti hanno sempre suscitato un fascino particolare perché difficilmente capita di poter ammirare così tanti rilievi, molte volte imbiancati dalla neve, comodamente seduti in macchina, e così vicini; un paesaggio fiabesco che non smette mai di meravigliarci ogni volta che la percorriamo. Dopo la città di Trento la valle si apre, e gli osservatori più attenti, non si saranno fatti sfuggire le distese di vigneti a pergola trentina che caratterizzano la Piana Rotaliana. Siamo nel regno del Teroldego: Il vino rosso che identifica questa terra. Il fiore all’occhiello del Trentino è lo spumante metodo classico, il vino più esportato in tutto il mondo con quelle fragranti bollicine oramai riconosciute su qualsiasi tavola, ma i trentini definiscono il Teroldego come il “principe dei vini trentini”: quel bel rosso di corpo, pieno ma elegante. Il vino è prodotto esclusivamente con le uve del vigneto omonimo. È un vitigno autoctono e recenti studi hanno individuato molte affinità con il Lagrein e il Marzemino, “cugini” di casa che danno eccellenti risultati in aree attigue. Cresce solo in questa zona, se infatti viene coltivato in altre zone, pur con lo stesso sistema di impianto e di cure colturali, produce risultati deludenti e

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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


completamente diversi, ne sono un esempio in Veneto, in Lombardia e in altre zone del Trentino. Quindi la piana Rotaliana con il suo territorio e il suo microclima è l’habitat ideale. Il nome sembra derivi da Tirodola, una modalità di coltivazione che prevede l’uso delle tipiche “tirelle” che costituivano il tutore vivo a cui si reggeva la vite. Vi è anche una tesi più mitica che vuole il nome derivato da “Tiroler Gold”, l’oro del Tirolo, così come il vino veniva chiamato alla corte di Vienna, infatti era estremamente popolare in Austria, Germania e Svizzera alla fine del XVIII secolo, ma più realisticamente l’origine sembra sia da ricercare sul nome di un posto locale, la località Teroldeghe, nel comune di Mezzolombardo. Grappoli grandi affusolati capaci di produrre il doppio di un normale vitigno autoctono italiano. Il Teroldego con un buon livello qualitativo riesce a dare anche dieci tonnellate di uva per ettaro. Attualmente il sistema di allevamento più usato è la pergola trentina caratterizzata dal tetto inclinato leggermente verso l’alto di 20-30° rispetto al palo verticale. La pergola trentina necessita di una palificazione complessa e piuttosto onerosa ma è stata pensata per ottimizzare l’esposizione al sole e il perfetto circolo dell’aria tra i filari dove si possono produrre frutti asciutti e sani. I capi della vite vengono appoggiati a raggiera sul tetto della pergola e potati a Guyot. Il Campo Rotaliano su cui si coltiva la vite è una zona pianeggiante che ricade nei comuni di Mezzacorona, Mezzolombardo e San Michele all’Adige tutti in provincia di Trento. Il territorio è caratterizzato da una struttura alluvionale formatasi con le frequenti esondazioni del fiume Noce, con presenza di limo e ghiaia in superficie, sabbia e ciottoli in profondità, quindi un ottimo drenaggio anche se variabile da zona a zona. Dal punto di vista climatico questa “piana” è protetta dai venti grazie a queste alte pareti rocciose. Il vino è prodotto esclusivamente con le uve del vigneto omonimo, può essere anche nella tipologia Superiore se ha una gradazione alcolica minima di 12 gradi e riserva se invecchiato almeno due anni in cantina prima della sua commercializzazione. Esiste anche la versione rosato che deve avere una gradazione minima di 11,5 gradi. Abbiamo degustato un vino fra i vini simbolo di questa terra: Teroldego Rotaliano 2005 della cantina Foradori di Mezzolombardo con gradazione

alcolica di 13°. Si presenta con un colore quasi impenetrabile, rubino carico con sfumature violacee. Al naso si caratterizza da profumi intensi e fini. All’inizio predomina la frutta rossa come la ciliegia e la mora, dopo pochi secondi si apre con uno spettro di profumi variegato dovuto anche al passaggio in barrique come la noce moscata e sentori di sottobosco: humus. In bocca è fresco, sapido e morbido, lungamente fruttato che confermano i sentori olfattivi. Ha un ottima acidità che fa da giusto contrasto con la sua struttura, equilibrato. Il tannino è setoso, in bocca sentiamo dei sentori minerali e della buona sapidità, caratteristica principale di questi terreni. È un vino di ottima struttura e ci lascia la bocca in perfetta sintonia. È un da servire ad una temperatura di 14-16° e magari alcune versioni come il superiore o vecchie annate anche a 18°. I Teroldego giovani sono ideali da abbinare ai primi piatti semplici ma saporiti come i piatti trentini, ottimo anche con frittate farcite e affettati. Le versioni invecchiate e strutturate prediligono la carne e i formaggi stagionati. Possiamo solo concludere confermando che da questa meravigliosa valle nasce un vero vino principe.

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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la Biblioteca di Gladys

di Gladys Torres

Collana Coltura & Cultura Editore: Bayer CropScience Autore: vari L’agricoltura italiana ha oggi due necessità non sempre facili da conciliare: saper innovare ed avere la fiducia dei consumatori. Come comunicare dunque l’innovazione? Non solo attraverso un’informazione tecnico-scientifica, ma piuttosto con una comunicazione “integrata” che preveda di comunicare le ragioni ed i benefici dell’innovazione, la cultura e i valori della nostra agricoltura, senza appiattirsi sulla retorica dei “buoni sapori di una volta”, e, che sappia affiancare innovazione ad altri aspetti dell’agricoltura, sicuramente apprezzati dai consumatori; in altre parole che rimetta l’agricoltura nella cultura, e la cultura nell’agricoltura.In linea con questi principi, Bayer CropScience ha reso possibile la realizzazione della collana “Coltura & Cultura”, che ha come primo scopo quello di far conoscere i valori della produzione agroalimentare italiana, della sua storia e degli stretti legami con il territorio. Info: www.colturaecultura.it

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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


la Biblioteca di Gladys L’Atlante dei vini Spumanti Editore: Carlo Cambi Editore Autore: Andrea Zanfi Costo: 130,00 euro L’Atlante degli Spumanti d’Italia (due volumi indivisibili in prestigioso cofanetto: “Metodo Classico di Territorio” e “Metodo Classico di Vitigno”) è un’opera importante, completa, informativa e didattica, che pensiamo contribuirà a fornire chiarezza e un’ulteriore promozione al movimento produttivo delle bollicine italiane. Un lavoro di grande pregio, in conformità agli alti standard qualitativi delle pubblicazioni della Carlo Cambi Editore. Il lettore potrà scoprire in quest’opera le migliori aziende produttrici di Spumante Metodo Classico - interpretate da Andrea Zanfi con la sua solita metodologia originale - e attingere altresì le informazioni complete sulla produzione degli Spumanti, sui territori, sui vitigni utilizzati, sulle fasi della vinificazione, le caratteristiche dei vini selezionati, la degustazione e molto altro... Hanno collaborato per i testi inseriti all’interno del doppio volume il prof. Attilio Scienza dell’Università di Milano, la Ager s.c. Agricoltura e Ricerca, Giampietro Comolli del Forum degli Spumanti d’Italia, gli enologi Stefano Capelli e Mattia Vezzola. Un libro da leggere, da consultare, da tenere in biblioteca, ma anche semplicemente da sfogliare e da gustare con gli occhi - grazie anche alle splendide fotografie inedite di Giò Martorana. Un nuovo e importante tassello che consente a tutti i lettori, siano essi semplici appassionati o professionisti del mondo del vino, di avere una fotografia dettagliata del movimento spumantistico italiano e dei suoi protagonisti.

Raboso del Piave - Fascino della terra Editore: Dario De Bastiani Autore: vari Costo: 25,00 euro Vitigno autoctono della Marca Trevigiana, coltivato da sempre lungo le rive del fiume Piave, dal quale si ricava un grande vino da invecchiamento ricco di personalità e fascino, espressione di storia, cultura e tradizione. Scritto in italiano ed inglese, questo testo è un progetto volto a rivalutare l’autenticità del Raboso del Piave, in cui si alternano le immagini di viti e cantine, con antiche scene rupestri e rare cartine topografiche del bacino della zona “DOC Piave”. Si rievocano le usanze paleovenete, con uno sguardo che attraversa il presente e si protrae al futuro, inseguendo gli aspetti tecnologici più raffinati. Lo sguardo è concentrato sulla cultura più vera di un popolo in cui si basano le tradizioni e le radici di un’epoca che non potrà essere dimenticata. Nel libro “Il Raboso del Piave (207 pagine) sono raccolte le preziose testimonianze degli autori sul tema Raboso: Antonio Calò, già direttore dell’Istituto Sperimentale per la viticoltura; Francesco Francini, nutrizionista e docente all’Università di Padova; Paolo Lauciani, giornalista della rubrica Gusto del Tg5; Giampiero Rorato, studioso di enogastronomia; Diego Tomasi ricercatore del Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano (TV). Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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news dall'Italia Un Vinitaly 2010 da record Record storico di visitatori stranieri alla rassegna, che ha visto anche per la prima volta nella sua storia la visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Torna la fiducia tra i produttori. Vinitaly caput mundi dell’enologia, con un incremento del 4,4% degli operatori esteri per un totale di 47.000 provenienti da oltre 110 Paesi e soprattutto da nuovi mercati, per un totale di 152.000 presenze. Oltre 2.500 giornalisti accreditati, in arrivo da oltre una cinquantina di Paesi. “La mia soddisfazione più grande – afferma Ettore Riello, presidente di Veronafiere – è aver visto ritornare la fiducia sul volto degli espositori, che hanno potuto constatare il lavoro svolto dalla squadra di Vinitaly per incrementare la presenza di operatori”. “Per raggiungere questo risultato – dice Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere - Vinitaly ha realizzato massicce azioni di marketing diretto sui principali mercati e ha portato a Verona delegazioni qualificate da Nord, Centro ed Est Europa, Russia, ma anche da Usa, Canada e Australia, Paesi mediterranei, Asia, Estremo Oriente, America Centrale e Meridionale”.

“Storica per questo Vinitaly la visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – ricorda Riello – che ha dato al settore la misura dell’attenzione delle istituzioni e uno sprone a guardare avanti. Per questo è di buon auspicio l’idea condivisa con il presidente della Repubblica di indire un concorso per realizzare la bottiglia celebrativa del 150° dell’Unità d’Italia, da presentare insieme al Vinitaly del prossimo anno (7-11 aprile 2011)”. “Questo è stato il Vinitaly della serenità, abbiamo lavorato fin dal primo giorno di manifestazione e c’è la coscienza che il settore può uscire più velocemente di altri dalla crisi”. Lo dice Sandro Boscaini della Masi, ma dello stesso parere sono altri storici produttori, da sempre presenti al salone del vino di Verona. “Un Vinitaly di successo, con una buona affluenza di operatori italiani e stranieri», dice Lamberto Vallarino Gancia, e Andrea Sartori conferma, sottolineando “l’ottimismo che si respira e che rassicura sulla volontà di lasciare alle spalle un periodo difficile”. Molto bene anche per Francesco Zonin: “Al di là dei numeri, l’aspetto più positivo è proprio l’ottimismo. Ben organizzato Vinitaly, che ha visto gli operatori stranieri concentrati soprattutto nei primi due giorni”. “È andata benissimo, abbiamo visto i nostri importatori, ma ne abbiamo incontrati anche di nuovi,

tra i quali anche cinque-sei società russe”, dice Jacopo Biondi Santi. Molto soddisfatta pure Francesca Planeta, che ha visto spazzata via la paura che aleggiava nel 2009: “Buona l’affluenza dai mercati esteri”, confermata da Lorenzo Biscontin di Santa Margherita: “Parecchi i contatti di business senza appuntamento e ho sentito che anche altre cantine hanno fatto affari. Presenti quest’anno Sudamerica, Turchia, ma anche Nord Europa”. “Il segnale di questo Vinitaly è che i mercati stanno andando bene, con la presenza qui a Verona di tutti i principali partner stranieri asiatici e nordamericani, ma abbiamo avuto anche nuovi contatti da Ungheria, Ucrania e Kazakistan. La crisi c’è ancora, la differenza – spiega Alberto Chiarlo – è che adesso il mercato si concentra sui marchi che danno garanzie e sicurezza, così c’è una dicotomia sempre più accentuata fra cantine che vanno bene e quelle che fanno fatica”. Nuovi contatti pure per Masciarelli: “Siamo soddisfatti dell’andamento generale e dei contatti con italiani e operatori internazionali. Sull’organizzazione, poi – dice Rocco Cipollone – nulla da eccepire”. “Complimenti al presidente di Veronafiere Ettore Riello” li fa Gianluca Bisol, “per l’intensità di eventi e incontri importanti di grande forza attrattiva. Qualificata la presenza di importatori con la firma di accordi di distribuzione per i mercati dell’Est europeo e dell’America Latina”.

Ufficio Stampa Verona Fiere

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in famiglia La Delegazione di Milano consegna gli attestai di 1° livello 20 nuovi aspiranti sommelier hanno ultimato con impegno e ottimo profitto il corso di 1° livello nella Delegazione di Milano e hanno ricevuto il 27 aprile gli attestati di partecipazione durante una cena al ristorante “Lo Chalet” di Opera, dove lo chef Stefano Jelo ha proposto un menu di sua creazione: Theobroma l’alimento degli Dei, accostando tradizione e innovazione. Tema della serata cioccolato “dolce e salato”, un accostamento audace ma molto interessante che è stato apprezzato e discusso dai commensali, abbinato con insolia Principi di Butera, aglianico del Vulture delle cantine Maschito e un zibibbo liquoroso. Si è poi proceduto alla consegna degli attestati dal delegato Gianni Longoni e dal segretario Carlo Boggero, presente il consigliere di delegazione Emanuela Terrazzini Zini ai soci: Bonanno Oscar, Invernizzi Mauro, Colombo Franco, Geraci Lucrezia, Versari Silvia, Tuason Margarita, D’agata Francesco, Melli Matteo, Gallo Silvia, Graziano Giovanni, Meneghini Barbara, Suardi Elisa, Bellone Filippo, Boggero Dario, Gabbioneta Giovanna, Rosa Luigi, Garbarino Alice.

Con l’occasione sono stati consegnati anche gli attestati ai seguenti partecipanti di un minicorso che si è svolto nel mese di aprile: Vanni Di Giustino, Elena Ricci, Fabio Di Petrillo, Marco Prato, Damiano Baccelloni, Darya Deliyeva, Edoardo Sforza, Carmen Canillas, Enea Da Olio, Daniela Lipari. La serata si è conclusa con un brindisi augurale e un arrivederci al prossimo corso di 2° livello.

Notizia inviata dalla segreteria della Delegazione FISAR di Milano

Consegnati a Milano gli attestati di 2° livello Il 26 marzo al ristorante Café Canottieri Milano, storico

tradizione gastronomica della regione, accompagnato

luogo d’incontro milanese tra sport e buona cucina

dai vini delle Tenute Zonin proposti dall’amico sommelier

gestito dal socio Vittorio Zaccagni, sono stati consegnati

Bartolomeo Mansi.

gli attestati ai partecipanti al corso di secondo livello

Agazzi Tiziano, Barbieri Giovanna, Bulgheroni Emanuele,

della delegazioone di Milano. Il tema della serata è

Contrafatto Omar, Crovetto Mario, Danelli Daniele,

stato il Veneto ed il menù è stato rispettoso della

Delduca Igino, Fachini Maria Teresa, Guidara Massimo, Hassmueller

Cornelia,

Longoni

Cristina,

Nannini

Leandro, Olewczyska Ewa, Pintos Sinai, Rizzi Carolina, Boselli Enrico, Santoro Francesco, Terrazzini Zini Emanuela, Uberti Anna, Venagli Laura, Zaccagni Vittorio, Zaccagni Andrea, Zerbini Mario hanno superaro con ottimo profitto il test di verifica e la consegna degli attestati da parte del delegato Gianni Longoni e del segretario Carlo Boggero ha coronato una serata all’insegna della cordialità e amicizia.

Notizia inviata dalla segreteria della Delegazione FISAR di Milano

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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in famiglia La Delegazione di Catania festeggia Pucci Giuffrida Se fosse stata a Hollywood, cuore del mondo cinematografico, il premio sarebbe certamente stato un Oscar. Del resto, fantasia e creatività ci sono tutte. Il prestigio, anche, e a vincerlo per ben due volte (caso unico per un’azienda vitivinicola siciliana) è stata “Al-Cantàra” del produttore Pucci Giuffrida di Randazzo, sull’Etna. I premi, assegnati all’azienda pochi giorni prima dell’apertura del Vinitaly 2010, sono la Medaglia d’Oro per l’etichetta “Occhi di ciumi” e la

Gran Menzione per l’etichetta “La fata galanti”, nell’ambito del “Concorso internazionale Packaging”. Ad affascinare la qualificata giuria del concorso è stato il messaggio culturale, fortemente legato alla qualità dei vini siciliani, che “Al-Cantàra” da anni ha messo in commercio, gettando un ponte ideale tra vino, arte e poesia. Una mission vincente,

visto che già al Vinitaly 2008 la Gran Menzione era andata a un’altra etichetta dell’azienda, “O’ scuru o’ scuru”, annata 2005. Il messaggio culturale è già nella presentazione delle bottiglie dell’azienda, con etichette tratte da opere di scrittori siciliani, come Nino Martoglio e Luigi Pirandello, e illustrate da insigni pittori. I nomi sono significativi: “Luci luci”, “Cappiddazzu paga tuttu”, “ ‘A nutturna”, “Lu disìu”, con il merito di esportare l’arte siciliana, oltre al prodotto dei rinomati vitigni del vulcano. Anche la storia di Pucci Giuffrida è interessante, un po’ da self made man siciliano: commercialista, appassionato di vino, introdottosi nel mondo enoico con un corso per sommelier F.i.s.a.r. (di cui è ancora orgogliosamente socio!), da alcuni anni ha deciso di investire nella produzione vitivinicola, ottenendo prestigiosi successi in manifestazioni internazionali come il Vinitaly. E proprio la “sua” delegazione F.i.s.a.r., quella etnea, ha deciso nei giorni scorsi di festeggiare le etichette “Al-Cantàra” con una piacevole serata di degustazione e di letture di poesie organizzata al Katane Palace Hotel di Catania, alla presenza del presidente nazionale F.i.s.a.r., Vittorio Cardaci Ama, del delegato provinciale, Gaetano Prosperini, del segretario di delegazione, Carlo Guzzardi, e di numerosi soci. Ad essere degustate sono state le produzioni vecchie e nuove dell’azienda, a cui è andato l’augurio F.i.s.a.r. per sempre più grandi successi ( nella fotografia Pucci Giuffrida con il Presidente Cardaci).

Notizia inviata da Antonio Iacona Delegazione di Catania

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in famiglia XXVII Primavera in Valdichiana. La Delegazione FISAR Valdichiana a Montefollonico Un piccolo ma accogliente borgo medievale, Montefollonico di Torrita di Siena ha ospitato sabato 27 marzo 2010, al Ristorante “Il Medioevo”, la Delegazione FISAR Valdichiana che ha celebrato la sua ”Primavera in Valdichiana“ sposando una fresca aria di montagna ad una invitante cena di pesce calabrese. La Manifestazione, che da 27 anni si rinnova puntualmente in vari locali del territorio, mira a valorizzare ogni anno la cucina tipica di una regione italiana in abbinamento ai rispettivi vini. La Delegazione consegna, in questa occasione, un premio di riconoscimento per l’attività svolta nel campo enogastronomico da un giornalista, un enologo o un cuoco e quest’ anno il premio è stato assegnato al Commendatore Pierluigi Stiaccini, cuoco di fama internazionale che in Castellina in Chianti opera nel locale di famiglia l’ “Antica Trattoria la Torre“ risalente al 1860. Lo spirito avventuroso e creativo di Pierluigi lo ha portato e lo porta tuttora in giro per il mondo quale testimone e maestro della cucina italiana e prevalentemente toscana di cui ci rende grandemente fieri. Non sono comunque mancati altri ospiti quali giornalisti, personalità dell’Amministrazione comunale di Torrita e Sinalunga,rappresentanti dell’AICOO, e poi i Soci fisariani che hanno degnamente fatto onore ai cuochi calabresi Biagio e Umberto Di Marco che dalla Trattoria di famiglia “A’ Campagnola” in Gallina Di Reggio Calabria hanno portato e cucinato i loro succulenti piatti di pesce caduto nella rete solamente il giorno prima. È stato un cammino di sapori marini fatto di stocco, alici, cozze, gamberoni, pesce spada,moscardini ed altri manicaretti che accostati ai vini calabresi della Casa Vinicola CRISERA’ di Reggio Calabria hanno regalato ai commensali una serata particolare, terminata da un brindisi finale con un Moscato d’Asti D.O.C.G. “Castello del Poggio“ di Portocomaro d’Asti. Durante la cena si è rinnovato l’appuntamento per la consegna dei tulipani che quest’anno si sono vestiti

solamente d’oro. L’ambito traguardo è stato raggiunto da: Masiello Claudia, Palmerini Luciana, Senserini Roberto. Ad essi vanno le nostre più sentite congratulazioni. A complemento della Manifestazione non poteva logicamente mancare il servizio dei Sommelier della Delegazione Valdichiana: Palmerini Luciana (responsabile Sommelier), Laurini Giorgio, Sensi Marilena, Senserini Roberto, Passeri Michela, Magi Leonardo hanno fatto da Tutor ai Neo Sommelier, Del Buono Luca, Farfarini Sabrina, Morello Simona, Paoloni Roberto, che durante la cena sono stati investiti ufficialmente dello stemma F.I.S.A.R. e del tasteven insieme agli altri diplomati del corso di 3° livello conclusosi il 25 febbraio 2010: Spada Pierluigi, Baldini Giorgio, Tedeschi Marco, Paoloni Marco, Mannucci Federico, Silvi Gabriele, Liccardi Mario, Carnasciali

Giuseppe, La Fauci Sara, Menchini Fabiana, Pietrini Pierangelo, Presenti Andrea; hanno premiato il Vicepresidente Masiello Nicola, Il Delegato Emma Lami, Il Consigliere nazionale Franco Rossi,il segretario Magi Leonardo, Il Tesoriere Esposito Amedeo, Il Resposabile dei Sommelier Palmerini Luciana, il Direttore di Corso Senserini Roberto. La serata si è conclusa con il gentile omaggio alle signore di una rosa nella calda atmosfera della sala medievale del Ristorante.

La notizia è inviata dal Delegato Emma Lami

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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in famiglia “Ad Maiora!” L’evento nei Castelli di Jesi Si è svolto sabato, nell’elegante cornice del Ristorante dell’Hotel Federico II di Jesi l’evento “Ad Maiora!”

organizzato

dalla

Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori (F.I.S.A.R.) Delegazione dei Castelli di Jesi, per festeggiare la qualifica dei

di Valutazione Nazionale. L’evento intitolato “Ad Maiora!” proprio come auspicio per più grandi futuri traguardi si è svolto nel Ristorante dell’Hotel Federico II di Jesi con un menù a base di carne sapientemente preparato dallo chef in abbinamento ai vini

primi Sommelier che hanno

simbolo internazionale dei professionisti del settore, il Delegato Giovanni Elce Fabbretti ha voluto ringraziare gli organizzatori dell’evento i Sommelier Stefano Cantarini e Luciano Todisco, il Consigliere Nazionale Franco Rossi ed ha quindi augurato ancora una

frequentato i corsi interamente nella Delegazione stessa, nata a Maiolati Spontini nel dicembre del 2007 per iniziativa di un gruppo di appassionati e che conta oramai 100 soci nella provincia di Ancona. I Sommelier hanno fatto il loro percorso di formazione nel 2008 e 2009 ed hanno sostenuto l’esame,

estremamente

selettivo, il 18 gennaio 2010 presso l’Albergo la Torre di Moie di Maiolati Spontini. Questo a coronare un percorso di studi certo non facili ma nel quale gli allievi si sono impegnati fortemente e con passione per

conseguire

la

preziosa

qualifica; grande soddisfazione anche nel Consiglio Direttivo della Delegazione che ha fatto un grosso sforzo organizzativo per poter permettere questo risultato, coronato anch’esso dalla valutazione positiva del corso data dalla Commissione

di una delle realtà emergenti più importanti dell’attuale panorama enologico marchigiano ovvero la Cantina Cològnola (Az. Agraria Lombardi Antonietta), presentati da Corrado Drudi, titolare dell’azienda. Al termine dell’evento, prima della consegna delle qualifiche e dell’ambito tastevin, ormai

volta un percorso professionale pieno di grandi successi ai nuovi Sommelier: Barbara Scaloni, Francesca Perini, Paola Balducci, Andrea Bonvecchi, Sauro Bini, Silvano Zannotti, Paolo Sartini, Stefano Argentati, Matteo Sticozzi, Alberto Cerreti, Flavio Maria Federici.

Notizia inviata da Giovanni Elce Fabbretti della Delegazione dei Castelli di Jesi

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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


in famiglia Alla scoperta della Lunigiana con la Delegazione di Pisa e litorale La delegazione di Pisa e litorale, sempre alla ricerca di nuovi vini da proporre ai suoi soci, ha organizzato una degustazione di vini della Lunigiana. Questa storica regione, a cavallo tra Toscana e Liguria, incastonata come un gioiello dai dolci riflessi del mare della Versilia, tra l’Appennino, le Alpi Apuane e il Mar Ligure, produce vini poco conosciuti, ma dalle interessanti potenzialità. Attualmente i suoi confini includono 14 comuni della media e alta Val di Magra in Toscana e in Liguria, la cittadina di Sarzana, Luni e tre comuni alla sinistra del Magra. Boschi, colline, aspre montagne, caratterizzano il paesaggio dove antichi borghi testimoniano le antiche vicissitudini della regione. Molti i popoli che hanno cercato di dominare queste terre partendo proprio dall’antico porto di Luni, che a partire dal II secolo avanti Cristo, ha visto succedersi il domino dei Romani, dei Liguri e dei Longobardi. Gli antichi borghi e le storiche dimore dei Malaspina, che nel medioevo estesero il loro dominio su queste terre, testimoniano le mille vicissitudini della Lunigiana. In un territorio così variegato per condizioni podologiche e climatiche, nascono varietà antiche, recuperate solo in tempi recenti, per dare vini fortemente ancorati ad una terra dalle forti tradizioni rurali, come la Pollera nera, la Durella, il Vermentino nero, la Masseretta. I vini di Lunigiana appartengono alla IGT Val di Magra e alla DOC Colli di Luni. Il locale che ha ospitato la degustazione, organizzata dal sommelier e consigliere Luca Barsanti, si chiama Modus Bibendi di cui è titolare col suo socio, l’amico Stefano Micheletti, che ha brillantemente conseguito l’anno scorso il titolo di sommelier professionale nei corsi Fisar. Il locale, situato in Via Cavalca a Pisa, nel centro storico vicino al mercato delle Vettovaglie, mantiene la vecchia architettura con i soffitti a volta di

mattoni rossi, ma con uno sguardo alle linee moderne più attuali, buona musica di sottofondo, ottima ospitalità, cucina ben curata e una bella varietà di vini. Il cuoco ha voluto affidarsi alle ricette lunigianesi per accompagnare i vini in degustazione. Il primo vino, a base di uve Ruzzese bianco, storica varietà a bacca bianca, parente prossima del più noto Rossese del Ponente ligure, di cui divide l’origine, è stato abbinato con bordatino tagliato a tocchetti e fritto. Il vino è prodotto dall’azienda dei Conti Picedi Benettini, il Chioso di Baccano d’Arcola, in provincia di Spezia. Azienda dalle origini secolari che ha creduto fortemente nel recupero di questa varietà che però, al momento, non è ancora iscritta al registro nazionale dei vitigni da vino. Il vino, vendemmia 2008, 12,5 gradi alcol, è un bianco dal colore paglierino carico, di spiccata acidità e sapidità, che ben si è sposato col primo piatto proposto. Come secondo vino è stato proposto un rosso a base di uve Pollera, prodotto dal Podere Benelli della località Oppilo, antico borgo a pochi chilometri da Pontremoli. Vino della indicazione Val di Magra, vendemmia 2007, 13 gradi alcol, dal colore rosso rubino, spiccata acidità e tannini ancora vivi. Vino ancora fresco abbinato ottimamente alla torta d’erbe, a base di finocchio selvatico, carote e patate. Terzo vino la Masseretta dell’azienda Cima, nota azienda di Massa, che produce vini di taglio moderno con un calibrato uso della barrique per i rossi più potenti come questo. La Masseretta è coltivata sporadicamente e quasi esclusivamente nel massese come testimonia anche il suo nome. Vino di buona struttura, annata 2007, 13,5 gradi. Il vino ha accompagnato i coi pieni, involtini di cavolo

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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in famiglia verza con carne e aromi.

nota di legno. L’abbinamento col

successo. Lo spirito dell’iniziativa

Infine il Vermentino nero, sempre

coniglio in salsa di pomodoro.

è stato rispettato grazie anche alla

di Cima. Vino rosso di struttura,

Forse un piatto un po’ delicato di

collaborazione del socio Micheletti

vendemmia 2006, anch’esso sui

fronte a un tale vino.

che non tarderà ad ospitare

13,5 gradi, con aromi di piccoli frutti

I commenti ai vini hanno animato

nuovamente gli amici sommelier e

rossi, ribes, mirto e una leggera

la serata e hanno garantito il suo

tutti gli appassionati di Bacco.

Notizia inviata da Simone Canton della Delegazione di Pisa e litorale

La FISAR di Pisa e Litorale consegna i diplomi La FISAR di Pisa e Litorale consegna gli attestati di primo livello nel corso di una cena organizzata all’ “Osteria La Madia”in via Che Guevara, 17 a Pontasserchio. Si è iniziato con gli antipasti di Barchette di verdure con mousse di funghi e formaggio, Bresaola al pompelmo e crostini toscani con polenta gratinata accompagnati dal Fiano d’Avellino DOCG 2008 dell’Azienda Cantina di Tufo. Ai primi piatti di Caserecce alle melanzane e Pappardelle al coniglio è stato abbinato il Chianti Clemente VII DOCG 2007 dell’Azienda Castelli del Grevepesa che ha anche accompagnato il successivo Cosciotto di maiale e patate al forno. Per finire, frittelle dolci, con Passito liquoroso Pantelleria DOC Buvl’re 2007. Ottimo il servizio vini eseguito dai sommelier FISAR, Roberto Menichetti e Piero Ristori. La conviviale si è conclusa con la consegna degli attestati da

parte del delegato Maria Cristina Messina ai bravi corsisti che hanno superato l’esame : Alessandra Bartoli, Alda Battini, Simona Bettini, Sandro Buchignani, Marika Calò, Marco Cuocci, Lorenzo Cutelli, Nicola De Bartoli, Paola Donati, Anita Falezza, Antonio Filippone,

Simona Fiori, Stefania Ghelardi, Massimiliano Guerrini, Giada Guidi, Daniel Manetti, Mariù Masucci, Mariangela Mazzillo, Melissa Mei, Stefano Pagani, Carla Ramacciotti, Amanuel Sikera, Antonio Tosciri,e Bruna Vinci.

Notizia inviata da Tiziano Taccola della Delegazione di Pisa e Litorale

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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


in famiglia Grande Evento in Versilia a Lido di Camaiore Domenica 7 e Lunedì 8 Marzo si è svolta a Lido di Camaiore (Lu), la terza edizione di “Terre di Toscana” organizzata dal periodico on line di cultura enogastronomica; L’AcquaBuona. La manifestazione si è svolta presso UNA Hotel, un prestigioso hotel del lungomare della Versilia durante due bellissime giornate baciate dal sole. Una manifestazione di riferimento per tecnici di settore, i neofiti, i winelovers, gli operatori e gli addetti ai lavori. Un appuntamento di alta qualità a livello nazionale. Cento delle più grandi e storiche aziende vitivinicole toscane hanno presentato le ultime annate e non

solo. Le due giornate hanno visto un grande afflusso di persone. Grande novità di quest’anno, il “Come eravamo” con tante vecchie annate proposte dai produttori la domenica dalle 14 alle 17, una sorta di “ricapitolazione” della storia del vino toscano dalla sua rinascita in poi con qualche intrigante salto nelle sue radici profonde. Sono state degustate bottiglie oramai uniche come: Badia a Coltibuono Chianti riserva 1970, Chianti Selvapiana 1979, Castello Monsanto 1982, Sassicaia 1984, Chianti Grosso Sanese 1982/1990, Rocca di Montegrossi 1990, Vin Santo Villa Petriolo 1968 e molte altri grandi

nomi. Una grande retrospettiva di vecchie annate selezionate dai produttori stessi di Terre di Toscana. Una occasione più unica che rara per capire percorsi, stili, orizzonti e vertici. Nella sera di domenica si è svolta la cena, in compagnia dei produttori con le oltre 150 etichette da abbinare liberamente ai piatti ispirandosi anche al proprio gusto, a disposizione degli ospiti e di tutti i vignaioli. Il servizio è stato effettuato dalla Delegazione Fisar Versilia con 15 sommelier per coprire tutte le degustazioni e i servizi richiesti dall’organizzazione.

Notizia inviata da Luca Iacopini

Serata di aggiornamento e consegna dei diplomi alla Delegazione di Vercelli Martedì 22 febbraio alle ore 21,00 nella sede formativa della Delegazione FISAR di Vercelli, presso la sala conferenze dell’Agenzia formativa CO.VER.FO.P., si è tenuta una lezione – degustazione dal titolo “Barolo e Barbaresco: i signori del Piemonte” con la partecipazione di 25

sommelier, vari corsisti di secondo livello e altri ospiti. I vini degustati sono stati forniti dall’Azienda “Poderi Colla” e presentati dal dott. Fiorenzo Cirio, agronomo e Direttore Commerciale dell’Azienda e dalla sig.ra Luisa Pezzia, agente di zona. Sono stati degustati Dardi Le Rose – Barolo 1996 e 2004 di

Monforte e il Barbaresco di Tenute Roncaglia annate 1997 e 2005. Al termine sono stati consegnati gli

attestati

nuovi

e

tastevin

sommelier

del

a

19

corso

terminato nel dicembre scorso. I nuovi sommelier: Marco Rondinelli, Andrea Carpani, Fulvio Bovolenta, Carlo Franciscone, Ambra Bonato, Paola Ghittino, Milena Armignago, Maria Rita Cedone, Mario Martinetti, Luca Campana, Antonio Mordanini, Massimo Villarboito,

Calliera, Massimiliano

Roberto Bellini,

Stefano

Monfermoso,

Robert

Kennedy

Tagliafierro,

Roberto

Graziano, Matteo Zingarelli, Davide Grosso.

Notizia inviata da Claudio Valenza della Delegazione di Vercelli Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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in famiglia Corso di perfezionamento in enotecnica alla Delegazione di Venezia Un bel successo di adesioni ha

metodi di analisi e di ricerca che

strumenti utilizzati come anche

avuto il Corso riservato ai soci

vengono utilizzati in campagna

i metodi matematico - numerici

sommelier che si è tenuto nei

ed in cantina per arrivare ad un

e

giorni 3 e 16 dicembre 2009 e

prodotto finale, il vino, di qualità.

laboratorio. Il corso si è chiuso

13 e 26 gennaio 2010 presso

La Dr.ssa Franceschi, ha trattato

l’Istituto Berna di Mestre.

i seguenti argomenti:

Nato

da

un

idea

del

gli

strumenti

in

con la consegna degli attestati ai partecipanti, che si sono

• La qualità delle uve

portati a casa pure un notevole

analisi tecnica e sensoriale

arricchimento “enotecnico”.

• La qualità del vini

Finalmente

analisi chimico-fisica

accompagnano certe schede

(Centro

• La qualità del vini

dei vini (pH, estratto, polifenoli,

Interdipartimentale per la Ricerca

analisi sensoriale

SO2 libera…) non hanno più

in

Enologia)

• La produzione degli spumanti

segreti; le indicazioni di carattere

Conegliano

Nel corso dei quattro incontri

“edonistico” sono state così

dell’Università degli Studi di PD.

sono state illustrate, tra l’altro,

collegate con i vari parametri

Scopo

stato

le tecniche di raccolta dei dati

enotecnici, utili ad offrire una

approfondire le conoscenze dei

sul campo, cioè in vigna, e gli

base oggettiva di valutazione.

Consigliere Nazionale Giorgio Pennazzato il corso è stato creato in collaborazione con la Dr.ssa Deborah Franceschi del

C.I.R.V.E. Viticoltura

della

sede del

ed di corso

è

Notizia inviata da Lucio Chiaranda - Delegazione di Venezia

102

utilizzati

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

i

numeri

che


in famiglia Presentati al Vinitaly i Vini delle Corti Benedettine del Padovano Nella sala degustazioni della Regione del Veneto, nel 4° Padiglione del Vinitaly, il Consorzio Doc Corti Benedettine del Padovano ha organizzato, nell’ultima giornata del Vinitaly, dedicata agli operatori, di fronte ad un pubblico molto attento e interessato, una degustazione di quattro vini Doc selezionati presso la “Sansovino Vigneti e Cantine Sca” di Conselve (PD). Ha introdotto l’incontro, che ha visto la collaborazione del Delegato Fisar di Padova, Andrea Zampieri, il Presidente del Consorzio Onorio Finesso, che ha ricordato come i vini che portano le insegne delle Corti Benedettine del Padovano, abbiano da poco conquistato la DOC, pur vantando una storia molto lunga e importanti riconoscimenti ottenuti a livello anche internazionale grazie ad un’indiscussa qualità. La

degustazione è stata introdotta da una relazione storica del giornalista e scrittore Giampiero Rorato, che ha ricordato in particolare il ruolo svolto, soprattutto fra il XII e il XIX secolo, dai grandi monasteri benedettini del

Padovano, che avevano il loro centro nel monastero di Santa Giustina, nel cuore di Padova, sorto già nel VI secolo ai tempi di San Benedetto, da cui dipendevano importanti complessi monastici a Legnaro, ad Anguillara, a Correzzola e in altre località della zona. Da queste storiche realtà religiose iniziarono delle autentiche opere faraoniche di bonifica di un vasto territorio a sud di Padova, prima paludoso, poi fertilissimo e a cui si è ispirata e ha preso nome il nuovo Consorzio Vini DOC, che ha sede legale proprio all’interno del meraviglioso complesso Benedettino “Grande Vanezza” di Correzzola, antico centro amministrativo dei monaci, recentemente restaurato, all’interno del quale sono stati ritrovati antichi carteggi e manoscritti, fedelmente riprodotti, nelle etichette dei vini Corti Benedettine. Oltre ai vitigni internazionali, di recente introduzione, il vitigno principe di questa recente DOC, è da sempre il Raboso, prodotto anche nella forma passita, che anche anticamente dalle cantine dei monasteri passava a Venezia, essendo considerato il miglior vino da viaggio per nave. La degustazione di quattro vini: Chardonnay 2008, Merlot

2007. Cabernet 2007 e Raboso 2006, è stata guidata con grande competenza e professionalità dal sommelier Fisar Andrea Da Ros, che si è soffermato sulle aristocratiche caratteristiche

dei

quattro

vini,

in particolare sull’eleganza e sui profumi raffinati del Chardonnay, la signorile personalità del Merlot, la forte struttura del Cabernet dal bouquet inconfondibile e la straordinaria armonia del Raboso, frutto di vendemmia tardiva (inizio novembre) con aggiunta di uve passite in fruttaio, uno dei veri grandi vini rossi italiani. Dopo la degustazione è intervenuto anche il Presidente della “Sansovino Vigneti e Cantine”, Nicola Zaggia, che ha illustrato l’enorme impegno della Cantina Sociale di Conselve che dal 1950 opera coi suoi tecnici anche in campagna, presso i soci, per ammodernare la viticoltura e portare quindi ad alto livello qualitativo i vini prodotti. “Ed il mercato”, ha concluso, “ci sta dando ragione, privilegiando i nostri vini ancora poco conosciuti ma di sicuro avvenire, come abbiamo visto in questi giorni al Vinitaly, per l’interesse dimostrato da tanti operatori italiani e stranieri.” Ha concluso l’incontro il Presidente del Consorzio Finesso, ringraziando la Fisar per il prezioso e competetene contributo dato alla manifestazione, ottimamente

riuscita

grazie

al

Delegato di Padova Andrea Zampieri e ai relatori, Giampiero Rorato e Andrea da Ros, entrambi soci e docenti dei corsi Fisar.

Notizia inviata dalla Delegazione di Padova

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3

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in famiglia La Fisar Pisana esplora “LA BUCA” La FISAR di Pisa e Litorale, nel quadro delle iniziative primaverili per la riscoperta dei sapori della cucina locale, ha organizzato una riuscitissima conviviale al ristorante “La Buca” di via D'Azeglio, 2 a Pisa. La cena è iniziata con un ventaglio di squisiti antipasti : cozze ripiene, crostini con cacciucchino, insalata di mare, gamberi gratinati ed involtini di pesce spada, il tutto bagnato da un Prosecco IGT della Cantina Sociale La Marca dal profumo fruttato e sottile. Per

i primi piatti di Risotto di mare, mantecato al punto giusto, e sedanini alla polpa di dentice, risultati veramente eccezionali, è stato abbinato il Vermentino

di Sardegna DOC dell'Az. Agr. Santadì, dai delicati sentori floreali e fruttati. Particolarità di questo vino è il 15 % circa di Nuragus, antico vitigno autoctono, presente una volta, in tutti gli appezzamenti dediti alla vigna delle antiche famiglie del Sulcis e dintorni. Inoltre tutte le uve vengono vendemmiate a mano e pressate sofficientemente per ottenerne il mosto che viene fatto fermentare in acciaio inox termocontrollato. Il vino viene tenuto per qualche mese con i lieviti e quindi imbottigliato per la distribuzione. Il colore lucente paglierino assume leggeri riflessi verdognoli e dorati mentre i profumi risultano freschi e piacevoli con delicata continuità in bocca accompagnata da stuzzicante mineralità, dovuta ai terreni tendenzialmente di medio impasto sabbioso e argilloso in cui le vigne vengono allevate in controspalliera. Ma la vera meraviglia dello chef Carmine Jovine è stata la presentazione della successiva fantasia di mare

alla griglia: scampi, gamberoni, totani e filetto di pesce che ha deliziato i palati dei convenuti in un tripudio di sapori esaltati dagli aromi e dai sentori del Pradalupo Roero Arnés DOCG 2008 dell'Az. Agr. Fontanafredda. Questo bianco in purezza, fermo e secco, piemontese

autoctono,

e, vinificato in acciaio inox, matura un profilo aromatico intenso che ci ricorda i frutti tropicali e a tratti la pera matura. Ottimo l'abbinamento che ne esplicita la

sapidità,

la

morbidezza,la

rotondità e la freschezza in bocca. Ha degnamente chiuso il menù il Tortino di pasta fillo con crema pasticcera e pere che ha suscitato grande apprezzamento in un bridisi finale di calici colmi di Strevi Moscato d'Asti DOCG dell'Az. Agr. Marenco. Al termine, la delegata Maria Cristina Messina ha ringraziato, tra fragorosi e partecipati applausi, la brigata di cucina ed il rango di servizio per l'impegno profuso e la bravura dimostrata. Un riconoscimento particolare è andato al Sommelier Roberto Menichetti per l'ottimo servizio vini effettuato.

Notizia inviata da Tiziano Taccola della Delegazione di Pisa

104

viene

prodotto nel cuore delle Langhe

Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3


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Organo Ufficiale della FISAR Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori



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