Il Sommelier n.4/2016

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Periodico Trimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/03 conv. Legge n. 46 del 27/2/04 art. 1, comma 1, Aut. MBPA/CN/P/0006/2016

Rivista di enologia, gastronomia e turismo - Anno XXXIV n. 4 - 2016

Anno XXXIV - Numero 4 - 2016 - Dir. Resp. Roberto Rabachino - Reg. Trib. Pisa n. 21 del 15.11.1983 - Lg. 47/1948

L’anima

del vino ®

Giuseppe Martelli Presidente Comitato Nazionale Vini – MIPAAF

I consumatori giapponesi? Sempre più attenti ed esigenti per qualità e prezzo

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€ 7,

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FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI

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di Laura Maggi - Segretario Nazionale, segretario.nazionale@fisar.com FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI

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“il Sommelier”.

Con il tesseramento 2017 in OMAGGIO la prestigiosa edita da Slow Food Editore in collaborazione con F.I.S.A.R.

F.i.s.a.r. segreteria Nazionale

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Anno XXXIV - Numero 4 - 2016

Lettera del Presidente Nazionale F.I.S.A.R. di Graziella Cescon

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L’Italia si conferma al primo posto nel 2016, la produzione diminuisce in tutto il mondo

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I consumatori giapponesi? Sempre più attenti ed esigenti per qualità e prezzo

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a cura del Direttore Responsabile Roberto Rabachino di Giuseppe Martelli

parola all’esperto

Colline Lucchesi: fare rete per esaltare il territorio di Davide Amadei Intervista a Franco Ziliani, il Signore del Franciacorta di Lara Loreti Erbaluce di Caluso, luce dell’aurora di Alberto Cugnetto Cucina Molecolare: la tecnica al servizio del gusto di Enza Bettelli Ora il vino è davvero la luce del sole in un libro scritto “secondo Tachis” di Luciana Rota Pilzwiderstandfähig (PIWI), i vitigni resistenti ai funghi di Davide Biasco Soave, il paesaggio storico di a cura di Roberto Rabachino Gaetano Trovato, uno chef sognatore elegante e fantasioso di Gladys Torres Urday Degustando

selezionati, richiesti e provati dalla Redazione Centrale

turismo nel mondo Israele: Gerusalemme, la capitale più contesa del pianeta di Jimmy Pessina Intervista a Marco Giannoni Fabbri, presidente Consorzio Vini Cortona di Alessandro Maurilli Slow Wine 2017: vini e produttori buoni, puliti e giusti di Davide Amadei Biblioteca a cura di Gladys Torres Urday

Incontro con Letizia Cesani di Luisella Rubin Salone del Gusto Terra Madre 2016 a

cura Gladys Torres Urday

il piatto

Salmone marinato, una delizia chiamata Gravadlax di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello B.E.A. – Banco Etico Agroalimentare Soc. Cooperativa a cura di Diletta Nobler QUALITY NEWS Le notizie di enogastronomia e turismo a cura della redazione di Quality ADV La Segreteria Nazionale comunica di Laura Maggi, Segretario Nazionale In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni

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di Graziella Cescon, Presidente Nazionale F.I.S.A.R.

Un anno intenso e pieno di qualità Ci siamo distinti per qualità, professionalità, capacità di intercettare l’interesse degli appassionati, ma anche di intraprendere percorsi inediti.

È

stato un anno molto intenso. Abbiamo potenziato le nostre risorse per rendere più incisiva ed efficace la presenza di Fisar nel mondo del vino. Ci siamo distinti per qualità, professionalità, capacità di intercettare l’interesse degli appassionati, ma anche di intraprendere percorsi inediti. Ora che siamo quasi arrivati alla fine del 2016 e possiamo tirare le somme, mi fa piacere ripercorrere con voi i momenti più significativi che Fisar ha vissuto grazie al contributo e all’impegno di ogni suo socio. Il primo è stato Vinitaly. In un evento che di edizione in edizione diventa sempre più attento all’eccellenza enoica e alla cura degli eventi correlati, la presenza dei sommelier Fisar ha saputo essere all’altezza e si è dimostrata un valore aggiunto, raccogliendo una partecipazione attenta e interessata sia da parte dei tecnici, che di coloro che amano il vino come momento di piacere e di cultura. E proprio quest’ultimo è stato il target a cui abbiamo dedicato le nostre energie negli scorsi mesi,

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culminando nella creazione di un evento senza precedenti come “Vino è”. Rinnovando, nel rispetto della tradizione, la formula classica del Congresso Nazionale, con questo nuovo concept abbiamo voluto accogliere tutti gli interessati nell’essenza di Fisar e del nostro modo di concepire il vino: prodotto vivo che racchiude la terra in cui nasce, racconta la storia di chi lo produce, esalta la qualità degli elementi gastronomici, ispira altre arti e con il suo linguaggio universale traduce l’Italia nel mondo. Essere il punto di riferimento ed imporsi nella sommellerie, prevede però anche un’organizzazione interna altrettanto accurata. Nel frattempo abbiamo quindi continuato a lavorare sulla nuova stesura dello Statuto e del Regolamento Fisar, raccogliendo tutti i suggerimenti delle delegazioni territoriali per rispondere in maniera puntuale e precisa alle loro esigenze, rendendo sempre più coesa ed efficiente la nostra Federazione. Infine, in linea con il generale aggiornamento, abbiamo attuato anche un restyling della comunicazione. Come ambasciatori della cultura del vino sappiamo quanto sia essenziale l’informazione. Per avere la massima qualità in maniera oggettiva e trasparente, è stato indetto un bando e tra le numerose Agenzie di Comunicazione che si

sono candidate, è stata selezionata la più adatta ad interpretare Fisar e a diffonderne i contenuti rendendola visibile e fruibile sia attraverso la stampa tradizionale che i nuovi media. La collaborazione inizierà a breve e valorizzerà sicuramente tutte le nostre future iniziative. Abbiamo fatto abbastanza. Nel ringraziarvi personalmente per aver consentito a Fisar di raggiungere ogni obiettivo di quest’anno, auguro un felice Natale a voi e alle vostre famiglie e vi do appuntamento al 2017 con la certezza che, collaborando tutti insieme, renderemo ancora più grande il successo di Fisar e il merito di ciascuno di noi! Buone Feste a tutti!


a cura di Roberto Rabachino, direttore responsabile

L’Italia si conferma al primo posto nel 2016,

la produzione diminuisce in tutto il mondo Anche quest’anno l’Italia si conferma primo produttore di vino a livello mondiale. In totale 48,8 milioni di ettolitri di vino prodotto (-2% rispetto al 2015) testo, fonte e dati winestrategies.eu.

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nche quest’anno l’Italia si conferma primo produttore di vino a livello mondiale. In totale 48,8 milioni di ettolitri di vino prodotto (-2% rispetto al 2015). Lo ha annunciato l’Organizzazione internazionale della Vigna e del Vino nella tradizionale conferenza stampa annuale. A seguire la Francia, con 41,9 milioni di ettolitri (-12% rispetto al 2015) e la Spagna con 37,8 milioni (+1% rispetto al 2015). In generale, la produzione mondiale 2016 ha registrato dati molto bassi, 259 milioni di ettolitri, il valore più contenuto da 20 anni a questa parte secondo l’Oiv. Il calo, del 5%, è attribuibile soprattutto a “situazioni molto contrastanti dovute agli eventi climatici”. Per quanto riguarda invece il consumo mondiale di vino, l’Oiv precisa di non avere ancora disponibili cifre definitive in questo periodo dell’anno. Tuttavia la stima dovrebbe attestarsi ad una cifra

compresa tra 239,7 e 246,6 milioni di ettolitri. Nell’Unione Europea la produzione media di vino 2016 è stimata in 158,5 milioni di ettolitri (esclusi succhi e mosti), pari a un calo significativo di 7,7 milioni di ettolitri rispetto alla produzione media 2015. Tra i tre principali produttori europei, Italia e Spagna registrano una produzione leggermente superiore alla media degli ultimi cinque anni, mentre la produzione 2016 della Francia è sensibilmente più bassa rispetto alla media. La Germania e il Portogallo, con rispettivamente 8,4 e 5,6 milioni di ettolitri, registrano una flessione (-4% e -20%), mentre in Romania (4,8 milioni di ettolitri) e in Grecia (2,6 milioni di ettolitri) la produzione è in crescita (+37% e +2%). Nei principali Paesi produttori al di fuori dell’Ue, invece la produzione 2016, come già quella 2015, si dovrebbe confermare in calo rispetto alla produzione elevata del 2013 e 2014. Guardando oltre oceano, infatti, gli Stati Uniti mettono a segno una produzione di 22,5 milioni di ettolitri, segnando una crescita del 2% rispetto al 2015 e tornando nuovamente a vedere un livello di produzione elevato. Nell’emisfero australe, invece, si osserva una riduzione generale della produzione.

L’America del Sud ha sofferto le conseguenze degli eventi climatici: l’Argentina registra un forte calo della produzione, con 8,8 milioni di ettolitri vinificati nel 2016 (-35% rispetto al 2015), mentre il Cile, con 10,1 milioni di ettolitri vede diminuire la produzione del 21% rispetto al 2015. Infine, con una produzione di 1,4 milioni di ettolitri il Brasile registra una drastica flessione: -50% rispetto al 2015. Il Sud Africa registra un calo del 19%, con una produzione di 9 milioni di ettolitri, mentre in Oceania si osserva una leggera crescita della produzione in Australia con 12,5 milioni di ettolitri (+5%), mentre in Nuova Zelanda, con una produzione di 3,1 milioni di ettolitri (+34%) si assiste al ritorno a un livello prossimo al record storico del 2014. Siamo in prossimità delle festività di fine anno: auguri dalla redazione della rivista Il Sommelier! il Sommelier | n. 4 - 2016

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Registr. Tribunale di Pisa n° 21 del 15.11.1983 ®

Rivista Ufficiale della F.I.S.A.R.

Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori Ric. di Pers. Giuridica PI. n.° 1070/01 Sett. 1 del 9.5.01 FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI

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Direttore Responsabile: Roberto Rabachino

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Graziella Cescon, Filippo Franchini, Laura Maggi, Valerio Sisti, Luigi Terzago redazione@ilsommelier.com Hanno collaborato a questo numero

Giuseppe Martelli, Alberto Cugnetto, Davide Biasco, Luciana Rota, Gladys Torres Urday, Lara Loreti, Jimmy Pessina, Alessandro Maurilli, Enza Bettelli, Luisella Rubin, Nicola Masiello, Davide Amadei e le Delegazioni della FISAR Per la fotografia

Jimmy Pessina, Davide Amadei, Lara Loreti, Slow Food, Consorzio del Soave, Luisella Rubin, Roberto Rabachino, Enza Bettelli e immagini di Redazione

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2016 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore Srl Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinieditore.it

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di Giuseppe Martelli, Presidente Comitato Nazionale Vini - MiPAAF

I consumatori giapponesi?

Sempre più attenti ed esigenti per qualità e prezzo In Giappone la recessione economica sta penalizzato i vini di alta gamma, favorendo quelli più economici. Nonostante ciò le bottiglie italiane si stanno sempre più affermando. Dopo quelle francesi, sono quasi appaiate con quelle cilene, per i vini fermi e con quelle spagnole per gli spumanti.

I

l Paese del Sol Levante, con un mercato di 127 milioni di abitanti, nel 2015 ha incrementato le sue importazioni di vino del 2,2% in valore (114 miliardi di yen) e del 3% in volume (185.600 milioni di litri). In questo contesto l’Italia detiene il terzo posto dopo Francia e Cile per i vini fermi e dopo Francia e Spagna per gli spumanti. Per le nostre bottiglie il Giappone è il sesto mercato, arrivando dopo Stati Uniti d’America, Germania, Regno Unito, Svizzera e Canada.

Confusione tra vino d’uva e vino di frutta Dando un’occhiata alle statistiche si rileva che agli inizi degli anni ‘70 se ne consumavano solo 11 (undici) milioni di litri. Attenzione in Giappone

con la parola vino non si identifica solo il prodotto ottenuto dall’uva, bensì dalla frutta in generale. Anche da ciò si capisce quanto sia recente l’ingresso del “vino d’uva” nelle abitudini alimentari giapponesi. L’incremento dei consumi di vino d’uva si ebbe nel 1989 quando le vendite aumentarono fino a raggiungere il picco storico di 298 milioni di litri. Una quantità esorbitante dovuta, nell’arco di pochi anni, a diversi concomitanti fattori tra cui spiccano per importanza: l’ingresso di bottiglie di vino a prezzi bassi, la maggiore conoscenza del vino da parte dei consumatori acquisita durante i viaggi all’estero, la crescente occidentalizzazione degli stili di vita, ma soprattutto la

diffusione da parte dei mass media dei benefici effetti salutistici del resveratrolo nei vini rossi.

1988, anno d’oro per i consumi di vino L’incremento di vendite fu tale che, per far fronte alla domanda non bastarono le quantità disponibili di vini italiani, francesi e nazionali, da qui il ricorso alle importazioni da paesi produttori, allora cosiddetti emergenti che, proprio in grazie a quel frangente, conquistarono notorietà soprattutto fra i nuovi consumatori. Nel 1998, ad esempio, le importazioni di vino cileno aumentarono del 408% in valore, consolidandosi nel tempo grazie all’ottimo rapporto qualità prezzo, il Sommelier | n. 4 - 2016

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Giappone in pillole Quello giapponese è un mercato più da costruire che da conquistare visto che il consumo di vino è ancora piuttosto contenuto e, anche se in crescita, oggi non raggiunge i 3 litri a persona per anno, considerando anche i “vini” ottenuti non solo dall’uva ma anche dalla frutta. Va sottolineato che i giapponesi sul vino d’uva stanno diventando sempre più attenti ed esigenti, prediligendo sempre di più bottiglie di qualità a prezzo contenuto.

tanto che ancor oggi, come dicevo prima, per i vini fermi hanno superato l’Italia. A fine anni ’90 la corsa all’accaparramento di vini da parte degli importatori giapponesi, determinò però un eccesso di scorte con la conseguente diminuzione, di quasi il 50%, rispetto al 1998. L’andamento decrescente dopo tre anni si smorzò fino all’inversione di tendenza avvenuta nel 2002, quando le importazioni ripresero con un incremento dell’11,8% in valore. Nel 2015 complessivamente le importazioni di vini fermi (da uva) in bottiglia sono cresciute del 2,2% in valore toccando i 1142 miliardi di yen e del 3% in volume (185.609 milioni di litri). La recessione economica e il perdurante andamento deflazionario hanno penalizzato i vini di alta gamma, favorendo quelli più economici. Attualmente la scelta dei consumatori premia ancora abbondantemente i vini rossi (54%), seguiti dai bianchi (37%) e dai rosati (9%).

La birra rimane la bevanda nazionale Il vino ottenuto solo dall’uva, come alimento o bevanda, solo in questi anni sta entusiasmando i giapponesi e pertanto, sia pur lentamente, entrando nelle loro abitudini alimentari, per decenni è restato 6

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I giapponesi sono e rimangono infatti grandi bevitori di birra, che detiene il 31,4% dei consumi complessivi di bevande alcoliche, percentuale che in certi casi arriva anche al 50%. Il 75% del vino consumato in Giappone è importato. Il rimanente 25% è prodotto in zona anche se con procedure e materia prima non ascrivibili alle nostre leggi. La concentrazione maggiore di superficie vitata si registra nella provincia di Yamanashi, non molto distante da Tokio.

soltanto un ingrediente di base per la produzione di “vini di frutta” nella stragrande maggioranza dei casi, dolci. Nonostante ciò i consumi di vino, anche se in leggera crescita, rimangono comunque bassi, non raggiungendo i 3 litri procapite compresi anche quelli di frutta diversa dall’uva. Inoltre va sottolineato che i giapponesi sul vino d’uva stanno diventando sempre più attenti ed esigenti, prediligendo sempre di più bottiglie di qualità a prezzo contenuto. I giapponesi sono e rimangono comunque grandi bevitori di birra, che detiene il 31,4% degli alcolici complessivamente consumati, se poi la consideriamo nelle sue diverse e molteplici declinazioni la percentuale sale fino a raggiunge il 50% dei consumi complessivi di bevande alcoliche. Il 75% del vino consumato in Giappone è importato. E il rimanente 25% di chi è? Forse pochi sanno che anche il Pese del Sol Levante produce vino anche se, come dicevo all’inizio, non proprio intendendolo come prescritto dalle nostre leggi.

Si punta anche sul vino nazionale Forse pochi sanno che il Giappone è anche produttore di vino. Tutto iniziò nel 1868, quando il governo nipponico cercò di incoraggiarne

la produzione per ovviare ad un periodo di carenza di bevande alcoliche ricavate dal riso. Nel 1877 furono inviati in Francia due enologi, Ryuken Tsuchiya e Masanari Takano, per apprendere le tecniche di coltivazione della vite e della produzione del vino. Rientrati in patria misero in pratica quanto acquisito nella prima azienda vitivinicola nazionale giapponese: la Dainippon Yamanashi Budozake Kaisha. Alla fine del 1800 erano diversi i vitigni importati dall’Europa e dagli Stati Uniti, la stragrande maggioranza dei quali però si dimostrò inadeguata al clima e alla virulenza dei parassiti locali e pertanto si iniziarono a selezionarono varietà idonee al territorio. Tra esse quella a bacca bianca che ebbe più successo fu il “Muscat Bailey A”, ottenuto nel 1927 da Zenbei Kawakami, mentre recentemente, per le varietà a bacca rossa, spicca per interesse il Kai Noir e la Koshu (bacca bianca) assai utilizzata per la produzione di vini nazionali. Anche in Giappone sono comunque arrivati i vitigni internazionali che, come nel resto del mondo, si sono ben adattati. Tra i più diffusi ricordiamo Merlot, Cabernet Sauvignone e Pinot Nero per i rossi e Chardonnay, Riesling e Semillon per i bianchi. Oggi la produzione generale di vino, e quindi non solo derivato dalla fermentazione del mosto d’uva, avviene per il 90% in cinque province del Giappone. La concentrazione maggiore di superficie vitata si registra nella provincia di Yamanashi, non molto distante da Tokio. Complessivamente in tutto il Giappone si contano un’ottantina di aziende vitivinicole.


di Davide Amadei

Colline Lucchesi: fare rete per esaltare il territorio È proprio vero che i vini buoni nascono in posti belli: sulle colline attorno a Lucca, da una parte e dall’altra del fiume Serchio, la bellezza è di casa.

È

la zona dove storicamente, nei secoli, molti Lucchesi nobili o benestanti hanno costruito grandi ville, famose ed ammirate, per abitarvi o per passarvi l’estate, evitando il caldo umido della città grazie alla ventilazione ed all’altitudine. In questi pendii, dove oggi hanno i vigneti le aziende più importanti, si fa vino da sempre, nella consapevolezza delle loro potenzialità. Probabilmente già coltivate a vite e ad olivo dagli Etruschi e dai Liguri, le Colline Lucchesi erano senz’altro valorizzate per la qualità dei loro vini in epoca romana e medioevale: risultano rivestite di viti nel IX secolo e, nell’epoca dei Comuni, con il fiorente sviluppo di Lucca, produzione e consumo di vino erano di notevole importanza,

quantitativa e qualitativa. Nel 1392 un mercante, Antonio di Pace degli Orsi, scrive alla compagnia Datini di Pisa che il vino lucchese “è saporoso” e “quanto più ne bevo, quanto più mi stimola la voglia di bere”. Ed il famoso Sante Lancerio, bottigliere e consulente di Papa Paolo III Farnese, nel XVI secolo descrive l’ottima qualità dei vini lucchesi. Lucca nel Medioevo si specializza nel commercio della seta, soprattutto verso i paesi del Nord Europa, molte famiglie si arricchiscono e col tempo vengono esportati, insieme ai tessuti, anche i vini e l’olio. Ma soprattutto, dopo la scoperta dell’America, il commercio della seta entra in crisi e i capitali accumulati vengono investiti nella viticoltura. Si pensi alla famiglia Guinigi, una delle più

potenti della città, che nel 1615 apre due negozi per la vendita di vino, uno alle Pizzorne (subito fuori Lucca) ed uno a Viareggio. Con i primi del 1800, con le campagne di Napoleone, arriva a Lucca Elisa Buonaparte, insieme alla sua corte, ed influenza anche la viticoltura: nasce il catasto dei terreni lucchesi e alcuni ufficiali napoleonici (Grabaw, Meuron) acquistano ville utilizzate anche come fattorie per la produzione di vino ed olio. E questa tendenza non cessa più, fino allo sviluppo qualitativo netto e costante degli ultimi vent’anni. Del resto, gli elementi per l’individuazione di un vero e proprio terroir di qualità e di eccellenza ci sono tutti, e i vignaioli da tempo hanno saputo valorizzarli. L’ambiente è condizionato dalla il Sommelier | n. 4 - 2016

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vicinanza dell’Appennino e del mare: il primo porta la abbondante piovosità che caratterizza l’area di Lucca e consente rilevanti escursioni termiche; il secondo dà luce, funge da termoregolatore e garantisce ventilazione costante, decisiva per la sanità delle uve. Il clima è comunque in generale piuttosto mite durante l’anno, con primavere precoci, estati calde, settembre con ottime escursioni giorno-notte, e piovosità concentrata soprattutto nei mesi invernali, anche per costituire notevoli ed importanti riserve idriche. Ne deriva un periodo vegetativo particolarmente lungo, con uve che normalmente arrivano alla piena maturità e riescono col tempo a prendere dal terreno tutto quanto è in grado di dar loro. Quanto alla geologia, molti vigneti sono in aree dove nell’antichità era presente un mare, che poi si è ritirato lasciando microrganismi, fossili, minerali: è la marna calcarea che è presente a fornire profumi, freschezza ed equilibrio; si trova anche arenaria, come il tipico macigno toscano, ricco di minerali. I terreni migliori presentano importanti stratificazioni di sabbie, argille, calcare, a dare alle uve ed ai vini complessità e struttura. L’origine geologica è comunque recente, per cui i terreni sono piuttosto fertili, capaci di dare vigore nelle viti, con buona resistenza alle annate estreme (siccitose o fredde). I vitigni sono quelli storici toscani e lucchesi, con il sangiovese a farla da padrone, insieme a colorino, canaiolo, ciliegiolo, malvasia nera, ma anche aleatico, per i rossi, e, per i bianchi, vermentino, malvasia bianca, trebbiano, cui si accompagna spesso anche il moscato. Poi, si sono piantati 8

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anche ceppi internazionali quali il cabernet sauvignon, il merlot ed il syrah per i rossi, lo chardonnay ed il sauvignon blanc per i bianchi. Le vigne “storiche”, recentemente riprese e modernizzate, anche con impianti da selezione massale, presentano una “complantazione” di vitigni diversi: ciò si spiega anche con la variabilità ed imprevedibilità del clima, così che la eterogeneità delle uve, quanto a periodo di maturazione e caratteristiche organolettiche, consente di compensare le eventuali mancanze o problematicità della singola annata. Così, ecco la collina della Majulina, vero e proprio “grand cru” lucchese, noto da sempre per la qualità delle sue uve; e poi la zona di Valgiano, dove ha sede l’azienda che è diventata il “faro” di molte altre, ma anche di Gragnano, sulla sinistra orografica del Serchio. Oggi sull’area, da tempo rinomata, insiste la DOC Colline Lucchesi Rosso e Bianco; molte aziende però producono, più liberamente, IGT Toscana. Un segno distintivo dell’intera zona, cui debbono aggiungersi anche le colline della Garfagnana più vicine a Lucca, è la grande importanza che la maggioranza delle aziende dà alla viticoltura con criteri biologici e soprattutto biodinamici. Alcuni operatori della zona sono ormai riconosciuti nel mondo del vino come maestri in materia, e sicuramente lo sono Giuseppe Ferrua, titolare di Fabbrica di San Martino, e Saverio Petrilli, enologo di Tenuta di Valgiano, grande appassionato e comunicatore delle indicazioni di Steiner, Joly, Podolinsky: sentir parlare Petrilli di biodinamica fa capire davvero perché ormai i più grandi vini del

mondo (in Borgogna in particolare) si fanno con tale viticoltura, esaltatrice delle vitalità del terreno, alla ricerca della naturalezza espressiva, della sincera lettura del territorio, della bevibilità senza perdere complessità e struttura. Così, di fatto dal 2003 molti produttori lucchesi si sono tra loro collegati per condividere le proprie esperienze, finché nel 2013 è emersa l’idea di costituire una vera e propria associazione, consacrata poi con l’enorme successo della degustazione e presentazione delle aziende biodinamiche per la festa di San Giovanni del 2015. Oggi la Rete Lucca Biodinamica conta 13 aziende (su 20 che producono la DOC Colline Lucchesi), ed è significativo il fatto che la grande maggioranza di esse sia gestita da under 40. Unificante è l’adozione della viticoltura biodinamica secondo i canoni di Alex Podolinsky (il quale tra l’altro ogni anno una o due volte va a Valgiano per incontrare i produttori), per tradurre nei vini e comunicare al meglio le potenzialità del proprio territorio, bello come i vini che ne derivano.

Calafata Fortuna o Provvidenza, un incontro di persone ha fatto nascere un progetto sociale, un’azienda agricola, una produzione di vino di qualità. Affascinante. Occorre innanzitutto riferirsi alla famiglia Citti, lucchese da svariate generazioni, proprietaria di una villa con terreni in zona San Concordio di Moriano. Lorenzo Citti ha voluto soltanto i terreni (non la villa), ma poi suo figlio ha preferito fare altro, non era interessato alla viticoltura; non trovando acquirenti


per l’azienda, i Citti, alla fine del primo decennio degli anni 2000, proposero di dare in comodato gratuito i vigneti a chi avesse un progetto meritevole per utilizzarli. Ecco che un gruppetto di amici, che avevano il sogno di diventare agricoltori, seppe dell’offerta e, con il supporto e la collaborazione della Caritas della Diocesi di Lucca, aderirono, creando una realtà che potesse coinvolgere ed aiutare, con il lavoro, soggetti con difficoltà di vario tipo (tossicodipendenti,

migranti, detenuti, etc). Mauro Montanaro e i suoi amici, partendo da zero, si rivolsero ad alcuni “maestri”, viticoltori già affermati, che avevano la fortuna di conoscere: Giuseppe Ferrua (Fabbrica di San Martino), Gabriele Da Prato (Podere Concori in Garfagnana) e soprattutto Saverio Petrilli, enologo della Tenuta di Valgiano e profondo conoscitore della zona, il quale, descrivendo la Collina della Majulina, ebbe a dire “questa è la Ferrari dei vigneti di

Lucca, se imparate a guidarla, è fatta!”. Del resto, non a caso, proprio qui, fin dai primi del 1900 operava in questa zona l’azienda agricola Del Secco, la prima impresa lucchese ad imbottigliare vino. Così, i Citti hanno messo a disposizione i vigneti (circa 3 ettari) ed una parte della villa, ad uso cantina; i ragazzi di Calafata sono arrivati nel corso del 2010, hanno seguito la vendemmia e la vinificazione, insieme ai precedenti proprietari, ma la prima annata interamente prodotta da loro è stata la 2011. Successivamente, diffondendosi la notizia della nuova realtà e del suo progetto anche sociale, molte famiglie benestanti lucchesi, proprietarie di ville o fattorie, hanno offerto a Calafata i propri appezzamenti vitati, spesso piccoli ed inferiori all’ettaro, ma con piante anche molto vecchie. Così oggi la cooperativa dispone di circa 10 ettari di terreni vitati, con alcuni filari ripristinati ed altri reimpiantati. Ci piace raccontare che Calafata arricchisce il proprio ambito di azione con la coltivazione di 4 ettari, in zona Camaiore, per la produzione di ortaggi e frutta, che vengono distribuiti in tutta la Provincia di Lucca con il sistema “P’Orto”, con cassette miste e stagionali consegnate direttamente a casa dei clienti, anche ristoratori di primo piano. Come detto, le vigne sono tutte sulla collina della Majulina, una zona bellissima e panoramica, con tanti ulivi, ville, alberi da frutto. L’esposizione dei filari è a Sud, con l’evidente influsso del mare: è stato significativo camminare nel vigneto il 4 agosto, con il caldo estivo attenuato dalla ventilazione della collina, dalla brezza marina proveniente dalla Versilia, il Sommelier | n. 4 - 2016

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guardando verso valle con la luce del sole a Mezzogiorno. Il vigneto più importante ha piante anche su piede franco, prefillosseriche, di fine ‘800, e molti ceppi impiantati con selezione massale da quelli più vecchi; in prevalenza sono sangiovese, con altri vitigni tipici toscani, ma alcune piante non sono state identificate neppure con gli studi dell’Università di Pisa; danno 15/20 quintali per ettaro, con grande concentrazione, complessità ed equilibrio. In vigna si seguono i dettami della viticoltura biodinamica; in cantina tutto è naturale, si usano i lieviti indigeni; per i vini da vecchie vigne e per lo Scapigliato, si diraspa a chicco intero, per una accurata selezione, e si pigia con i piedi; poi si lascia che la vinificazione avvenga nel modo più spontaneo possibile. Mauro Montanaro si occupa degli assemblaggi, che ama sottoporre, oltre che a Massimo Motroni, enologo, l’unico consulente esterno retribuito, agli amici e maestri già

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citati, ma anche a Fabio Pracchia (Slow Wine) e ai responsabili di Triple A (catalogo degli Agricoltori, Artigiani, Artisti della distribuzione Velier), per un loro parere. Calafata produce due bianchi: il “Levato di Gronda” da vecchie viti di vermentino, vendemmiato la sera tardi e la mattina presto, tenuto per 24 ore in cassette al fresco nelle cantine della villa (14/15° C), vinificato in mastelli aperti a circa 20° C; e “Almare”, un bianco che compie una macerazione di 20/25 giorni sulle bucce del Levato di Gronda, bagnatissime e da pressatura soffice (da pressa manuale), nato per non gettar via tali bucce, cui, appunto, viene aggiunto un po’ di mosto. E poi i rossi: il “Levato di Redola” è il vino dalle vigne più giovani; lo “Scapigliato”, new entry dalla vendemmia 2015, dalle varietà precoci delle vigne vecchie (aleatico, moscato d’Amburgo, altre), per circa 600 bottiglie di vino fresco, immediato, gastronomico; il “Levato di Majulina”, dalle vigne antiche.

GLI ASSAGGI Levato di Majulina 2015 (da vasca) È il vino di punta, che prende il nome dal territorio, prodotto con le uve dei vigneti più vecchi, che hanno circa 60 anni di media, ma con ceppi anche di più di cento anni; vi si trova molto sangiovese, ma anche canaiolo, colorino, aleatico, moscato d’amburgo, ed altre specie non individuate. Ha una veste brillante, rubino e porpora, vivace; al naso il frutto è intenso, netto, nonostante la spillatura dalla vasca, dopo pochi giorni dalla realizzazione dell’assemblaggio, è già aperto ed espressivo su note speziate e minerali, di frutti rossi e fiori, elegante; in bocca colpisce per il tannino netto ma fine, con l’irrequietezza della gioventù, ma con una dinamica gustativa incalzante, centro bocca sapidissimo, verso un finale preciso, ricco, molto lungo. Sangiovese 2015 (da vasca) Il Sangiovese delle vigne meno vecchie, di circa 20 anni, destinato normalmente a costituire l’assemblaggio del Levato di Redola insieme a cabernet sauvignon ed altre uve; nel futuro, da questa annata, il Levato di Redola sarà probabilmente tutto sangiovese. All’olfatto presenta fiori e ciliegia fresca, è molto fine; in bocca ha una bevibilità già notevole, con tannino sfumato, leggero e fine, ma con acidità tagliente, rinfrescante, che induce un finale penetrante e goloso. Levato di Redola 2013 (presentazione Guida Slow Wine) Tanti fiori, ciliegia, cenni minerali; bocca freschissima, golosa, piena di succo, non privo di una netta spinta tannica; finale floreale; vino gastronomico, di grande bevibilità.


Tenuta di Valgiano È l’azienda da tutti riconosciuta come faro, come iniziatrice della viticoltura di qualità sulle Colline Lucchesi. È stata acquistata e rifondata nel 1992 da Laura Collobiano e Moreno Petrini, piemontesi con la voglia di trasferirsi e produrre vino in Toscana. Saverio Petrilli già lavorava in zona e fu chiamato per una consulenza sulle vigne, prima dell’acquisto da parte dei coniugi Petrini; per metterli alla prova, per verificare la loro passione e volontà, inizialmente rifiutò di collaborare, minimizzando la qualità dei vigneti, ma poi, dopo qualche mese, appurata la serietà del progetto, è divenuto il motore trainante dell’azienda. Personalmente, conservo come un

ricordo indelebile il mio incontro di qualche anno fa a Valgiano con Saverio: ho avuto la fortuna di sentir descrivere la biodinamica

per la prima volta proprio da lui, che da tempo la pratica con passione e convinzione e ne raccoglie i risultati in vini di grande

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barriques) usate, nuove soltanto quando occorre sostituirne una o alcune, e poi in contenitori di cemento.

naturalezza espressiva. E così è Valgiano: gli alberi da frutto, l’erba nei filari della vigna, gli animali, la spontaneità delle persone che collaborano, la semplicità dell’accoglienza, esaltano la natura e quanto può dare. Le vigne sono in collina ad un’altitudine tra i 250 ed i 280 m. I terreni sono dell’era preglaciale, 60 milioni di anni fa; nella parte più alta, da cui vengono le uve per il “Tenuta di Valgiano”, c’è grande complessità geologica, con stratificazione di alluvione, sabbie, argilla (bianca e grigia) e calcare in fondo; nella parte più bassa (vigneto “Palistorti”) il calcare è puro, subito presente (la Villa, come le altre della zona, è infatti costruita a questo livello, dove il terreno è più forte, più duro, ma meno complesso e ricco). Il mare è a 12 km in linea d’aria, c’è grande ventilazione, con notevoli escursioni termiche in settembre; i vigneti, con esposizione a Sud, Sud-Ovest, sono ben protetti dai venti freddi del Nord dalla alta collina e dal bosco. 12

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In vigna si usano il corno-letame (il preparato 500) ed il corno-silice (il preparato 501), oltre agli altri accorgimenti previsti dal protocollo biodinamico. Le uve vengono pigiate con i piedi in mastelli aperti, dove si svolge anche la fermentazione; successivamente, l’affinamento avviene in botti (per lo più

GLI ASSAGGI Palistorti di Valgiano Bianco 2015 Assemblaggio di Trebbiano, Vermentino, Malvasia e Grechetto, è vinificato e affinato in acciaio, salvo il 10% del Vermentino che, dopo due ore di macerazione sulle bucce, è vinificato ed affinato in barriques. Questo 2015 è stato imbottigliato dal 13 luglio, tardi poiché la fermentazione naturale è durata molto a lungo. Al naso ha frutto bianco netto, cenni agrumati e fiori gialli; in bocca ha grande freschezza acida ed il finale, lungo, è quasi salato, nettamente minerale, con ritorni floreali netti. Valgianino 2014 Una parte delle uve del 2014, annata piovosa e fresca, difficile, è stata destinata a produrre questo vino semplice e piacevole, tutto in acciaio, imbottigliato dopo sei mesi dalla vinificazione. Decisamente


fragrante al naso, con leggera sensazione speziata, qualche fiore; molto fresco in bocca, tannino solo accennato, senza alcun amaro, netta ciliegia fresca nel finale; è vino goloso, “da merenda”, di alcol contenuto (11%), venduto solo localmente, vino per la tavola. Palistorti di Valgiano Rosso Il vino prende il nome dal toponimo della vigna, che ha sempre avuto molte rocce dure in superficie che non permettevano di collocare i pali in fila, diritti e regolari. Vi si trovano piante di sangiovese, in prevalenza, di ciliegiolo, canaiolo, colorino, ma anche syrah e merlot. Il vino normalmente fa un anno di maturazione in botti di rovere di varia età, e poi un anno in bottiglia, prima di uscire sul mercato. Racconta Laura di Collobiano che nel 2012 furono effettuati ben sei trattamenti con il 501 (il prodotto biodinamico a base di silicio): dinamizzato e nebulizzato, mediante cristalli misti ad acqua, sull’apparato fogliare del vigneto, normalmente è utilizzato per aumentare la luce quando è scarsa, ma nell’annata calda ha lo scopo, benefico, di far maturare le uve prima che il sole ed il suo calore ne determinino una sorta di “cottura”, con eccessivo tenore zuccherino. Il 2012 ha frutto rosso maturo e grafite, note balsamiche e mora; in bocca ha grande succosità, il frutto rosso è caldo e avvolgente, ma è netto il contrasto sapido, il tannino è fine ed il finale è lungo e pulito. Il 2011 ha naso intrigante e complesso, con rabarbaro, erbe officinali, ciliegia matura e cenni minerali; in bocca colpisce per l’equilibrio, il tannino è finissimo, il frutto è pieno, con finale persistente dai ritorni rinfrescanti balsamici, medicinali. Il 2010 all’olfatto ha un’elegante

evoluzione dei toni balsamici, con canfora, note di sottobosco e terra umida, fiori macerati, legni aromatici; al gusto colpisce per la fresca bevibilità, per la tensione ancora giovanile; ha tanta sapidità, nel finale è complesso con sensazioni di tabacco e fiori freschi, mineralità scura, appena amaro, ma comunque piacevole. Il 2013, imbottigliato da poco, dopo il Tenuta di Valgiano, è chiuso al naso, poco espresso, con leggera riduzione smaltata, ma poi ciliegia e fiori; in bocca colpisce la freschezza, ha sorso dinamico, in progressione, è goloso e gastronomico, con finale sapido e floreale, frutto nero pieno (mora), succosissimo, invitante. Tenuta di Valgiano 2013 C’è proprio la differenza, dovuta solo al diverso territorio (geologia, altitudine) che corre in Borgogna tra un Premier Cru ed un Grand Cru: stesse uve, solo il vigneto diversifica e crea la gerarchia tra i vini che ne derivano. Si tratta del vigneto conosciuto da decenni come “Scasso dei Cesari”, di cui è iniziato il reimpianto nel 2013. È composto dal 65% di sangiovese, e poi da syrah e merlot in prevalenza. Nel vino si ritrovano le caratteristiche dell’annata, fonte d’eleganza ed equilibrio; al naso è decisamente complesso, con piccoli frutti rossi, erbe aromatiche, spezie orientali, pepe; grande salivazione in bocca, dove ha volume e materia da vendere, tannino netto, tanto e finissimo, grande equilibrio, potenza ed eleganza, freso e sapido, tutto al posto giusto, il finale è molto lungo, con frutta rossa, roccia, tabacco, spezie fini; è vino ricco e profondo, grande paladino del suo territorio, modello da seguire.

Gli altri assaggi FABBRICA DI SAN MARTINO Colline Lucchesi Bianco 2014. Leggera riduzione iniziale all’olfatto, poi nette note macerative, e, in crescendo, frutta a polpa gialla, fiori gialli, ginestra, erbe di campo; bocca netta, ficcante, dove le sensazioni macerative sono accennate e fini, il finale è persistente, con ritorni anche rocciosi e balsamici, freschi. Un bianco sorprendente, dell’azienda di Giuseppe Ferrua, uno dei pionieri e migliori interpreti delle Colline Lucchesi, sul lato destro del Serchio, verso la Val Freddana e la Versilia. Rubino (Sangiovese 100%) 2012. Al naso è poco complesso, un po’ caldo, con marasca matura, anche macerata, e fiori rossi; ma è grande in bocca, con attacco avvolgente, tannino molto fine; potente e molto sapido, ha un’incalzante progressione gustativa, con finale ricco e davvero molto lungo. TENUTA LENZINI Poggio de’ Paoli 2012 (Cabernet Sauvignon 50% - Merlot 50%) Spezie del legno ma anche arbusti aromatici, tabacco e terziari; legni pregiati (sandalo); bocca in crescendo, volumica, carnosa a centro bocca, finale appena tostato, ma le componenti sono ben integrate, il finale è succoso e davvero molto lungo. Casa e Chiesa 2014 Merlot. Cenni di frutto rosso maturo, anche terrosi, leggera spezia; bocca di bella struttura, ematica, frutto rosso, floreale, buona progressione gustativa. L’azienda ha i vigneti in zona Gragnano, lato sinistro orografico del Serchio, verso Montecarlo. il Sommelier | n. 4 - 2016

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di Lara Loreti

Intervista a Franco

Ziliani,

il Signore del Franciacorta

Franco Ziliani, che insieme ai figli Arturo, Cristina e Paolo gestisce l’azienda, è una di quelle persone senza tempo. Che carisma ed esperienza rendono magnetiche: staresti ore ad ascoltarle parlare di vigne, di vino, di bollicine, di vita.

P

ioniere del Franciacorta, patron della Berlucchi, impegnatissimo e completamente immerso in tralci e grappoli tra il cuore verde della Lombardia e le campagne toscane bolgheresi (dove gestisce Caccia al Piano), a 85 anni Ziliani è ancora quel giovane rampante e pieno di energie che nel 1961 spiazzò tutti con il suo Pinot spumantizzato, tanto audace da voler fare concorrenza allo champagne. Ma il bello del patron della Berlucchi è la sua onestà e la spontaneità con cui da un lato esalta il lavoro di eccellenza fatto negli ultimi 55 anni nella sua azienda e un po’ in tutta la Franciacorta, e dall’altro traccia una linea nell’evidenziare le dovute differenze rispetto alle bollicine

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d’oltralpe. Pronto comunque a nuove esperienze ed esaltanti sfide. Una su tutte, inedita: vuole investire in Inghilterra. Ecco che cosa ha raccontato a Il Sommelier, all’indomani del festival del Franciacorta, a Brescia. “Ero a fare un aperitivo in un elegante pasticceria al centro di Brescia con degli amici. A un certo punto arriva uno che gira il mondo e che beve solo Taittinger (rinomato champagne ndr). Si siede accanto a me e io gli dico: ‘Guarda che qui si beve Berlucchi’. Lui annuisce con sospetto e si siede. Quindi degusta e un 61 Brut: ne beve un calice e poi in altro. Alla fine mi fa: “Sai che l’ho bevuto

molto volentieri?”. E meno male che è uno di quelli che snobbano le bollicine italiane… Questa è la dimostrazione che anche chi beve solo champagne può apprezzare la qualità dei nostri prodotti”. Un’eccellenza che viene da lontano: come ci si sente ad aver inventato il Franciacorta? “A me non sembra di aver fatto granché… Forse in Italia mi danno un merito superiore a quello che ho realmente. Sono stato fortunato, quello sì, e sa perché? Negli anni Cinquanta frequentavo la scuola enologica di Alba: mio padre, come pure il nonno, erano del mestiere. E io da studente, grazie a lui, ho potuto assaggiare lo champagne, che all’epoca era considerato un


Borgonato castle, ph Antonio Saba

prodotto di gran lusso, e infatti per le case non circolava. Per me fu amore a prima vista: lo trovai così piacevole che ancora oggi ricordo quella sensazione. E fu grazie a quell’assaggio che capii quale era la strada da seguire. Di questo devo ringraziare mio padre. Lui purtroppo, quando io terminai gli studi, venne a mancare. E così presto mi ritrovai a gestire l’azienda di famiglia”. E poi che cosa è successo? “È successo che in zona c’era Guido Berlucchi, che aveva un’azienda vinicola e che aveva un piccolo vigneto di Pinot bianco. A lui serviva un imbottigliatore ed ecco che mi feci avanti. Andai a fargli visita e subito mi resi conto

del potenziale che avevano l’uva, la vigna, il terroir: tutto faceva presupporre che c’era la possibilità di fare uno spumantizzato nello stile dello champagne. A queste caratteristiche però ho dovuto aggiungere la mia tenacia e la sua fiducia. All’inizio è stata dura, avevamo tutti contro, anche chi avrebbe dovuto assecondarci, mi riferisco a chi fa le regole. La legge ancora oggi non protegge gli spumanti. E all’epoca la priorità dei produttori erano i rossi. Ma pian piano i risultati sono arrivati: io avevo già una buona esperienza, avevo visitato tutte le cantine più importanti, soprattutto quelle piemontesi. La strada è stata in salita, ma il lavoro e la passione ci hanno ripagati”.

Franco Ziliani che cosa pensa di questa competizione tra champagne e Franciacorta? “Mi piacerebbe fare un vino che faccia realmente competizione allo champagne. L’ultimo assaggio più importante l’ho fatto da Krug. Avevo tre vini: giovane, meno giovane e molto maturo. Io preferisco i primi due, lo champagne mi piace “adolescente”, anche se ultimamente in Francia stanno seguendo tempi di maturazione sempre più lunghi. Ma resta sempre un vino irraggiungibile. In ogni caso, la concorrenza in Italia si può fare: certo, se bevi un Franciacorta non puoi subito dopo degustare uno champagne, le differenze si notano eccome. il Sommelier | n. 4 - 2016

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Io dico sempre la verità, anche quando va a mio svantaggio. Ma se bevi uno champagne venuto un po’ di corsa… allora forse le differenze si notano meno (ride ndr). Per una competizione onesta, però, il paragone deve essere tra il miglior Franciacorta e il migliore champagne”. Qual è il suo Berlucchi preferito? “Il 61 Brut è quello che mi regala più emozioni. E poi c’è il Nature, dove mio figlio Arturo ha fatto un lavoro eccellente, seguendo un procedimento scrupolosissimo: l’uva viene selezionata acino per acino”. 
 In che direzione sta andando la Franciacorta e cosa c’è nel futuro

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della bollicina made in Italy? “Ormai siamo al top della tecnica e non si può fare di più. Ma per guadagnare qualche punto si potrebbero ridurre i giorni di vendemmia, della raccolta e della pigiatura. Ad esempio, se la pigiatura richiede 18 giorni, la prima uva raccolta rispetto all’ultima è po’ più difficile. Stringere i tempi vuol dire migliorare la qualità. Questo dipende, però, anche da chi dirige il consorzio. La legge dovrebbe essere fatta in maniera tale da imporre i parametri della quantità di uva non per ettaro, ma per ceppo”. 
 Come è andata la vendemmia 2016? “All’inizio la situazione sembrava preoccupante per via del tempo che è stato molto incerto. Poi invece le cose sono cambiate: i risultati sono stati ottimi. C’è stata una maturazione rallentata e questo favorisce la finezza del gusto. I primi assaggi che ho fatto sono stati molto soddisfacenti. La mia filosofia è sempre stata e

continua ad essere quella di fare piccoli passi, un po’ alla volta. La verità è che non c’è ancora un metodo analitico che sostituisca la valutazione soggettiva del gusto e soprattutto la memoria del gusto, che ti permette di fare paragoni con gli anni passati”. Qual è la sua opinione rispetto al mondo del vino oggi in Italia? “Non va male, anzi. Sento dire che c’è un aumento delle esportazioni e questo è un buon segnale. Inoltre la qualità media sta migliorando molto”. 
 Che vini le piace bere, a parte Franciacorta? “Amo i bianchi e degusto volentieri i prodotti del Trentino e del Friuli. Non mi dispiacciono i campani come Greco di Tufo e Fiano ma non li adoro perché troppo aciduli. Se si passa ai rossi, sono molto esigente. Il Barolo mi ha un po’ deluso ultimamente: quando pronuncio questo nome mi viene in mente qualcosa di molto strutturato, dalla gradazione importante e dal colore profondo. Invece di recente me ne sono capitati alcuni un po’ troppo scarichi e poco intensi”. 
 Che progetti ha per il futuro? “Vorrei investire in Inghilterra: ho già fatto dei sopralluoghi e ho individuato una zona promettente vicino a Dover: vorrei piantare lì una vigna. Voglio tornarci, capire bene e poi scegliere la varietà da piantare: devo capire che sviluppo ci può essere in quella zona e quindi sfrutterò l’esperienza degli altri. Che male c’è? Del resto in Franciacorta è stato così, tutti hanno copiato da noi. Non si finisce mai di imparare”.


di Alberto Cugnetto, Enologo PhD

Erbaluce di Caluso,

luce dell’aurora

La zona del Nord Piemonte denominata Canavese, nella quale viene prodotto il vino “Erbaluce di Caluso”, interessa tre 3 Province: Torino, Vercelli e Biella per una superficie totale di 140 ha circa, per una produzione totale di circa 10.000 hl.

L

a zona del Nord Piemonte denominata Canavese, nella quale viene prodotto il vino “Erbaluce di Caluso”, interessa tre 3 Province: Torino, Vercelli e Biella per una superficie totale di 140 ha circa, per una produzione totale di circa 10.000 hl. La posizione geografica è idonea alla coltivazione della vite in quanto a nord e ad ovest è protetta dall’arco alpino che protegge l’intera zona da forti sollecitazioni climatiche provenienti da Francia e Svizzera. Il territorio è fertile,

a)

ricco di boschi e vegetazione, è prevalentemente collinare ma con una conformazione molto diversa dalle più famose colline del Monferrato e della Langa. Queste colline hanno origine glaciale; sarebbe meglio definirle morene glaciali originatesi durante le glaciazioni avvenute in tempi lontani. Sono molto lunghe e dolci e sono caratterizzate da suoli sabbiosi-argillosi e con presenza notevole di scheletro di dimensioni variabili. Questo aspetto è molto importante in quanto incide

notevolmente sulla lavorabilità dei suoli, sulla capacità di ritenzione idrica e sulla loro fertilità. Particolarmente unica la reazione acida dei suoli, che se da un lato mette a dura prova l’adattabilità della vite a pH così estremi, per contro contribuisce a determinare in modo caratteristico ed unico le proprietà organolettiche dei vini che qui vengono prodotti, garantendo una spiccata sapidità, freschezza gusto olfattiva e mineralità ai vini qui ottenuti.

b)

Fig. 1: a) Areale di produzione dell’Erbaluce di Caluso DOC; b) Mappa delle aree coltivate ad Erbaluce in Piemonte atti alla produzione di vini a d.o. il Sommelier | n. 4 - 2016

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Fig. 2: Cloni CVT di Erbaluce: da sinistra a destra CVT TO 29; CVT TO 30; CVT TO 55; CVT TO 71 La zona di produzione della DOC Erbaluce di Caluso (figura 1a), sia nelle versioni “fermo”, “passito” e “spumante”, come riportato dal disciplinare DOCG, coinvolge un areale ampio ed abbastanza eterogeneo, soprattutto dal punto di vista climatico, che va da Roppolo ad est, comune adiacente al Lago di Viverone, ad Agliè ad Ovest. Il limite a sud dell’areale è rappresentato dai comuni di Mazzè e Caluso mentre a Nord dal comune di Ivrea. Già conosciuto in epoca romana con il nome di Alba Lux (luce dell’aurora), ritenuto da alcuni una variante del fiano importata dai romani stessi, viene largamente coltivato nel Medioevo; nel 1606 G.B. Croce, gioielliere presso il duca Carlo Emanuele I, ben descrive le caratteristiche di questo vitigno: “Elbalus è uva bianca così detta perché biancheggiante risplende: ha li grani rotondi, folti e copiosi, ha il guscio o sia scorza dura: matura diviene rostita e colorita e si mantiene in su sulla pianta assai”. Proprio la particolare colorazione che assumono gli acini più esposti al sole, simili ai colori del cielo albeggiante ne hanno determinato il nome (figura 2). È un vitigno vigoroso, esigente sia in termini gestionali che in termini di adattabilità ad ambienti 18

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climaticamente diversi dalla zona di origine. Queste sono le cause ne hanno limitato la diffusione, nonostante molti viticoltori avessero tempo addietro provato ad impiantarla altrove. L’Erbaluce infatti viene coltivato quasi esclusivamente nella provincia di Torino con qualche eccezioni nel Novarese, dove viene chiamato “Greco”, e nella bassa Valle D’Aosta che ultimamente ha cercato di rivendicare una denominazione basata sul nome “Erbaluce”. Entra a far parte di tre DOC e una DOCG nel territorio Piemontese: Erbaluce di Caluso o Caluso DOCG, nelle varie versioni precedentemente citate, Canavese Bianco DOC, Colline Novaresi e Coste del Sesia Bianco DOC (figura 1b). Questo aspetto certamente ne ha limitato la conoscibilità ma allo stesso tempo garantisce originalità e rarità dei prodotti da esso ottenuti. Dal punto di vista enologico l’Erbaluce è un vitigno molto duttile tanto che da essa si ricavano tre vini (fermo, spumante e passito) dalle caratteristiche diverse (fino a poco tempo fa se ne ricavava anche uno liquoroso). Se però dal lato enologico il vitigno dimostra di essere plastico, non altrettanto si verifica dal punto di vista viticolo: la vigoria accentuata, che impone una adeguata scelta di portainnesti

e la scarsa fertilità basale delle gemme impongono un sistema d’allevamento espanso come la pergola, tipica sistemazione di tutto l’areale del Canavese. Alcune prove hanno dimostrato che l’Erbaluce mal si adatta alla sistemazione in controspalliera e che ipotetici vantaggi gestionali non sono sufficienti a giustificare l’abbandono della pergola, quale ottimo compromesso sia per i risultati quantitativi che qualitativi. L’attuale selezione clonale, operata dall’Università di Torino e dall’Istituto di Virologia Vegetale del CNR, ha individuato quattro particolari cloni di Erbaluce (figura 2). Il clone CVT TO 29, tendenzialmente con maturazione più precoce risulta particolarmente idoneo all’appassimento (grappolo poco compatto) e alla produzione di vini bianchi fermi, il clone CVT TO 30, simile al 29 per alcune caratteristiche colturali, ma maggiormente idoneo alla produzione di vini bianchi fermi e basi spumante, il CVT TO 55 e il CVT TO 71, rispettivamente il meno vigoroso ed il più vigoroso tra i cloni, ma con caratteristiche acide particolarmente pronunciate ottimali per la produzione di basi per spumanti. La composizione dei principali parametri tecnologici dell’uva “Erbaluce” campionata con leggero anticipo di maturazione, momento ideale per la raccolta di uve idonee alla spumantizzazione, è riassunta nella tabella 1. I dati si riferiscono a campionamenti effettuati nella sottozona di Ivrea, di Mazzè, di Piverone, di S. Giorgio Canavese e Caluso. Si può osservare che il contenuto in solidi solubili del mosto si attesta intorno al 20 %, l’acidità totale


espressa in g/L di acido tartarico, supera i 10 g/L. L’acido tartarico si attesta intorno a 8 g/L e l’acido malico supera i 4 g/L mentre il pH risulta sempre essere basso con valori talvolta inferiori a 3. Pertanto l’uva raccolta nelle varie zone presenta le caratteristiche acide e di struttura ottimali per la produzione di vini bianchi fermi ma anche e soprattutto di vini base per spumanti, grazie al gran nerbo, ma senza mai essere spigolosi se il residuo zuccherino non è troppo basso. Relativamente alla produzione di vini spumanti l’Erbaluce rientra a pieno titolo tra i grandi spumanti d’Italia prodotti con monovitigno (vedi anche Arneis, Cortese di Gavi, Verdicchio, Bombino Bianco…). La combinazione tra le caratteristiche pedoclimatiche e viticole del Canavese e le caratteristiche particolari del vitigno “Erbaluce” (terroir), risulta ideale per la produzione di vini base spumante, e nel caso dell’“Erbaluce di Caluso” spumante o “Caluso” spumante, possono rivendicare tale menzione solo se viene elaborato con il metodo tradizionale della seconda fermentazione in bottiglia con un periodo minimo di permanenza sui lieviti di 15 mesi. Qui vengono riportate le

caratteristiche al consumo dei vini “Caluso” spumante così come riportate in sintesi nel relativo disciplinare di produzione (prima edizione 1967, ultima revisione del 2010): spuma: fine e persistente; colore: giallo paglierino; odore: delicato, caratteristico (note floreali e di frutti bianchi); sapore: fresco, fruttato, caratteristico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% Vol.; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 17,0 g/l; zuccheri residui naturali: massimo: 12,0 g/l. Uno degli aspetti che maggiormente impattano sulle caratteristiche sensoriali del prodotto finito, oltre alla tecnica di produzione dei vini base (resa in liquido e affinamento in legno) e delle fasi successive alla presa di spuma (durata permanenza sur lattes, utilizzo e composizione degli sciroppi di dosaggio), è la fermentazione malolattica che può, non essere effettuata del tutto, effettuata solo parzialmente (ad una parte delle basi destinate alla cuveè) oppure totalmente. La fermentazione malolattica nei vini base, se da un lato aiuta

Tab. 1: Composizione uve “Erbaluce” prodotte nelle sottozone di Ivrea (1), Piverone (2-3-45-6), San Giorgio Canavese (7-8), Mazzè (9-10) e Caluso (11-12-13-14) (Da Lanati, 1994, modificata).

a migliorare l’equilibrio gusto olfattivo, riducendo le asperità acide quando eccessive, da un lato riduce le caratteristiche fruttate del prodotto, conferendo ai vini che la subiscono un profilo più floreale e meno legato al frutto fresco. Questa pratica risulta pressoché obbligatoria per la parte delle basi che vengano eventualmente affinate in legno, soprattutto se di piccole dimensioni; rimane invece facoltativa per vini ottenuti con basi vinificate in acciaio e che successivamente alla presa di spuma avranno un periodo di affinamento sur lattes medio corto. Trattandosi di un vitigno molto ricco in acido malico, risulta invece una pratica consigliabile, se effettuata su una percentuale ristretta delle basi, qualora si vogliano effettuare dosaggi finali con basse concentrazioni zuccherine o nulle (extra brut e pas dosè). Un’altra variante che alcuni produttori propongono è la produzione di vini senza l’aggiunta si saccarosio per la presa di spuma, ovvero utilizzando mosto di uve appassite (prodotto che nel calusiese tradizionalmente non manca) per la presa di spuma, o sotto forma di vino passito (Caluso passito DOCG) affinato, come ingrediente principale dello sciroppo o liqueur di dosaggio. Questa pratica conferisce ai prodotti caratteristiche sensoriali originali ed uniche. Gli spumanti di “Erbaluce” sono ideali come aperitivo e con antipasti e qualora risultino affinati sur lattes per molti mesi, possono essere idonei con dei primi piatti non troppo impegnativi (risotti), o a tutto pasto soprattutto con piatti a base di pesce.

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di Enza Bettelli

Cucina Molecolare: la tecnica al servizio del gusto

È la filosofia dello Chef Ettore Bocchia del Grand Hotel Villa Serbelloni di Bellagio, instancabile ricercatore di prodotti di eccellenza che rende unici con preparazioni e cotture su misura.

V

illa Serbelloni, magnifico esempio di stile neoclassico, si affaccia maestosa su uno dei tratti più belli del Lago di Como e da aprile a novembre accoglie visitatori da tutto il mondo nei suoi saloni e nelle stanze arredate con lo sfarzo che ci si aspetta da un 5 stelle lusso, ma temperato dall’eleganza di un buon gusto collaudato nel tempo. A rendere ancora più interessante il soggiorno in questo Hotel, vera 20

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perla del Lago di Como, è l’offerta gastronomica del ristorante Mistral, regno di Ettore Bocchia, una Stella Michelin, che è anche alla guida de La Goletta, l’altro ristorante dell’Hotel nel quale si possono gustare i piatti tipici italiani. La cucina del Mistral, strutturata all’italiana e non alla francese, è un vero e proprio laboratorio di ricerca dedicato alla cucina molecolare nel quale sono impegnati una ventina di cuochi insieme allo Chef

Ettore Bocchia. Ma questo non implica che i piatti che arrivano in tavola siano tecnici o artefatti. Al contrario, ognuno di essi rasenta la perfezione del gusto perché, grazie alla conoscenza approfondita delle peculiarità di ogni ingrediente ottenuta con analisi chimica, i piatti possono essere preparati e cucinati rispettando e valorizzando dette peculiarità. È questa la cucina molecolare,


la logica conseguenza del mondo che progredisce e che ha cambiato il modo di pensare ai fornelli e ha ampliato il dizionario della cucina, creando nuove parole e indicando alla moderna gastronomia la direzione da prendere. RICERCA, QUALITÀ E RISPETTO DELLA MATERIA PRIMA Ettore Bocchia si appassiona quando spiega il concetto della

“sua” cucina molecolare che è prima di tutto cucina italiana e che, malgrado l’approccio scientifico, è assolutamente naturale perché realizzata con tecniche che esaltano la materia prima senza snaturarla e che va “dentro l’anima” degli ingredienti rispettandone anche i valori nutrizionali. Per arrivare a questo lo Chef ha speso anni in una approfondita ricerca, sia personale sia in collaborazione con l’Università di Parma e in

seguito con l’Università di Ferrara. Il suo primo menu di cucina molecolare, primo anche in Italia, risale al 2002 ed è praticamente nato in risposta a una domanda semplice ma importante: perché lo stracotto (o la pasta, o il pesce, o….) cucinato oggi non è buono come quello della nonna? Una curiosità che lo ha portato a studiare i vari prodotti per conoscerne le proprietà fisiche e chimiche, realizzando tecniche il Sommelier | n. 4 - 2016

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Tagliolino con scampi

Faraona ripiena

Vitello molecolare

Milanese perfetta

Mousse cioccolato bianco

Dolce ciliegia

innovative di preparazione degli alimenti, preziose anche per la salute. Per esempio la frittura negli zuccheri fusi e senza grassi; l’utilizzo dell’inulina, la fibra che può sostituire fino al 30-50% dei grassi; la lecitina di soia in sostituzione del tuorlo d’uovo; gnocchi e cialde a base di amidi vegetali adatti anche per i celiaci; l’azoto liquido per creare all’istante un gelato che si scioglie in bocca senza congelare le papille gustative. La cucina molecolare di Ettore Bocchia vuole restituire al palato del moderno gourmet i sapori dimenticati di una volta offrendo allo stesso tempo nuovi sbocchi per la cucina dietetica. Tutto questo si basa su una ricerca parallela e ugualmente importante che lo Chef porta avanti con pignoleria quasi maniacale, quella dei prodotti che entreranno nei menu di Villa Serbelloni. Lo Chef acquista solo il meglio, a volte veri e propri pezzi unici gastronomici, selezionando personalmente i

fornitori durante i mesi di chiusura dell’hotel, senza stancarsi di viaggiare da un capo all’altro d’Italia e del mondo alla scoperta di un artigiano, un contadino, un pescatore che accontentino le sue altissime aspettative. Per questa ricerca si affida alla sua esperienza e a un palato a dir poco eccezionale, che gli consente di percepire anche le minime sfumature di gusto.

sono pronti per essere stappati. Il ricarico è comunque volutamente minimo e di solito non tiene conto dell’effettivo valore di mercato. Ettore Bocchia, appassionato di vini quanto il proprietario di Villa Serbelloni, si occupa anche della ricerca dei vini di cui è un raffinato conoscitore e, grazie al suo palato eccezionale, è considerato uno dei migliori degustatori di millesimati. Il suo hobby è acquistare vecchie cantine, sempre alla ricerca di qualche bottiglia speciale da trasferire nella sua cantina privata, ma che offre con generosità ai suoi ospiti personali: non importa quanto sia rara e preziosa, basta che sia in perfetto accordo con il piatto che accompagna.

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UNA CANTINA A CINQUE STELLE L’offerta della lista dei vini non è certo inferiore a quella gastronomica. La cantina si estende per circa 500 metri quadrati sotto un’ala di Villa Serbelloni e vi sono custodite bottiglie pregiate, rare, perfino introvabili, suddivise per tipologia: Champagne, vermut, vini bianchi, vini rossi, Bordeaux, Borgogna e super alcolici, poi un bancale di Porto e il reparto acqua. I vini sono tenuti in affinamento nella cantina fino al momento in cui


di Luciana Rota

Ora il vino è davvero la luce del sole in un libro scritto

“secondo Tachis”

La cultura del vino è ormai nel dna dell’uomo. E va studiata, ripassata, letta e riletta. Di quel dna italiano, certo, che è tipico di certi uomini diventati mondiali grazie al vino. Come accaduto con Giacomo Tachis, di cui si presenta il libro Giacomo Tachis e la luce di Galileo. Storia del più grande enologo italiano e del suo credo nella teoria vinicola del padre dell’astronomia, Class editori (euro 24,00). Lo ha scritto Cesare Pillon, un giornalista politico, economico, critico del vino e del cibo, che ha saputo fare qui il compositore di una piccola preziosa opera alla quale hanno contribuito Paolo Panerai e Tommaso Ciuffoletti. All’origine di questa storia e di questa cultura, ci sono pagine, da sfogliare, da leggere, da studiare. C’è un libro. E un pezzo di storia del mondo del vino. Dici Giacomo Tachis e pensi immediatamente ad un vino e alla

sua terra, che non è “una” ma in questo caso si moltiplica, nel corso della sua avventura, in altre terre. Tutte votate al vino. Dal Piemonte, alla Toscana, alla Sardegna. Ad esempio. Dici Giacomo Tachis e pensi di aver già sentito e letto tutto, a maggior ragione a pochi mesi dalla sua scomparsa. Tutto compreso il suo di libro, Sapere di vino, Mondadori (18 euro, 2010), illuminante, esemplificatore di un personaggio, anzi di una personalità del mondo del vino. Invece no. Non è tutto. E chi lo sa bene, ne ha fatto un nuovo racconto. Più umano, forse. Con tutta la cultura e l’informazione che ci vuole per disegnare, all’uncinetto fine, si potrebbe dire, una personalità come quella del

Dottor Tachis, senza dimenticare un aneddoto, anche quello, che ti fa pensare a lui in un modo diverso. Più umano, appunto. Dici Giacomo Tachis e questa volta più che altro lo leggi, tutto d’un fiato, in una lettura filante, mai ricercata, ma autentica grazie alla penna di Cesare Pillon, giornalista della vecchia (e nuova!) guardia che sa come fare per introdurre un uomo prima di descriverlo, come tutti sanno, come un grande uomo del vino. Ma per introdurlo ci vuole appunto quel po’ di umanità non scontata che solo l’aneddoto giusto di Pillon ti può dare: è un po’ come se questa volta, nel “racconto Tachis”, il vino non c’entrasse. C’entra la scoperta. Il gioco. La sorpresa di provare qualcosa che solo ti il Sommelier | n. 4 - 2016

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immaginavi. Quando eri bambino. Vedere il mondo da un elicottero. Eccolo l’aneddoto di Pillon che cambia tutte le prospettive. C’entrano le cose che la vita d’improvviso ti regala e che non potevi immaginare. In un viaggio dalle Marche alla Toscana. Lui e l’altro. In volo. Su un elicottero che s’alza fra le vigne. E quella faccia divertita da bambino. Che è di Giacomo Tachis accanto a Cesare Pillon che ti racconta placido e divertito come se anche lui... Sorrideva Tachis, si guardava attorno e poi, in una confidenza che non c’era mai stata (al di là del vino e dei suoi discorsi), mi disse proprio così: io in elicottero Cesare non c’ero mai stato, che bello! Questo è l’incipit di un racconto che ti regala un nuovo Giacomo Tachis, molto più umano e vero, proprio al di là del vino, delle celebrazioni e degli aggettivi che oggi – si sa – si tende a sprecare, esagerare. Soprattutto quando qualcuno ci lascia e non è mai il momento per farlo. 24

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Al di là delle mescolanze, del mestiere, del Rinascimento e di tutte le creature divine (di vino) nei calici, in cantina e fuori, che quell’uomo – un grande uomo dell’enologia mondiale – ha saputo creare. Incontri Cesare Pillon in una serataevento, in pieno centro a Milano, al circolo privato del Palazzo di Ralph Lauren, dove scopri come nasce il frutto del suo lavoro, il suo libro su Tachis. È un libro, questo, scritto con il piacere di scoprire meglio un uomo come racconta l’autore stesso: «Avevamo solo due anni di differenza ed eravamo anche nati in luoghi non distanti. In Piemonte, certo. Ci eravamo frequentati per 10 anni almeno solo in occasione di numerosi incontri professionali. Fino a quel giorno, a quando, su un elicottero ho scoperto quel suo lato umano e poi, dico la verità, mettermi a scrivere di lui mi ha fatto davvero capire la statura di quest’uomo». Dice Cesare Pillon: «Era quello che aveva sempre l’idea vincente. Quel

suo saper creare qualcosa di nuovo era di sicuro anche frutto della sua cultura. Una cultura fatta da solo, certo, ma classica, capace di dare l’apertura giusta alle idee vincenti. Quell’apertura mentale che gli ha consentito di creare vini per i quali – ancora oggi – gli dicono in molti grazie». Così la statura di Tachis viene fuori sul serio. Ed è un tratteggio fine: «Io l’ho compresa davvero scrivendo. – spiega Pillon -Man mano che proseguiva il racconto mi sono reso conto della sua cultura. Mi sono reso conto di chi era Tachis, e mi vengono in mente proprio le parole di Piero Antinori, quando mi disse: ecco chi sta cambiando la storia del vini in Italia». C’è anche un vino in questo racconto, un vino che emerge di colpo, buca la scena: «Pensate al Galestro - racconta Cesare Pillon - Tachis fece un vino, quel vino, che permise il Rinascimento del vino italiano. Un vino di straordinaria modernità, dal disciplinare al nome. Registrò una sorta di Doc privata che stabiliva la gradazione massima per andare incontro alle esigenze del momento: si cominciava ad ascoltare le raccomandazioni dei dietisti. E lui aveva già preso la strada. Così, grazie al suo genio, il vino che nacque per l’estate diventò il vino per tutto l’anno…». Continua l’autore: «Tachis ha fatto capire l’unicità del vino italiano nel Mediterraneo. Ha fatto in modo che si restituisse alla storia e al presente qualcosa che ci avevano rubato i Galli. Ha fatto il mestiere di mescolatore dei vini – come diceva lui – scegliendo di non farne mai uno da monovitigno». Oltre le pagine: «Era capace


sempre di proporre temi che potevano portare a dibattiti approfonditi e mi auguro che questo libro possa essere interpretato proprio così, come un patrimonio di discussione sul vino, a disposizione di tutti». «Scrivendo e leggendo, documentandomi come dovevo, – conclude Cesare Pillon – ho capito molto di più del personaggio: ho capito come le accuse che lo hanno addolorato nella sua carriera lo hanno reso ancora più forte. Ho capito così la sua grandezza».

Il perché di un titolo Giacomo Tachis e la luce di Galileo. Storia del più grande enologo italiano e del suo credo nella teoria vinicola del padre dell’astronomia, Class editori. Per tutti coloro che amano il vino, la sua cultura, il suo valore anche terapeutico, siano essi addetti ai lavori o semplici wine lover. Giacomo Tachis non è stato solo il più importante enologo italiano. Non è stato solo il padre di vini icona come Sassicaia, Tignanello, Solaia, Turriga e tantissimi altri. È stato anche e soprattutto un insaziabile e appassionato studioso di storia e di filosofia che al vino s’è legata nel corso dei secoli. Negli ultimi anni in particolare aveva approfondito le letture intorno agli studi di Galileo Galilei, e dei suoi discepoli, sulla luce ed i suoi effetti. Studi che trovavano proprio nell’osservazione dell’uva, della struttura degli acini, della loro maturazione e poi nella fermentazione per diventare vino, un campo d’applicazione che lo intrigò tantissimo. Tanto da diventare un pensiero sempre più ricorrente. Nella parte seconda, ci conduce alla luce del … vino, un testo traslato in italiano “moderno” da Tommaso Ciuffoletti, responsabile della comunicazione di Domini Castellare di Castellina. Si tratta di un testo di Lorenzo Magalotti (proposto anche nella versione originale), “Sopra il detto del Galileo”, che ci chiarisce come il vino sia un composto di umore e di luce… e che ci illumina con una frase emblematica, attribuita a Galileo Galilei, che dice che “Il vino è la luce del sole tenuta insieme dall’acqua”. Anche per questo, il libro, concepito da Domini Castellare di Castellina, il cui proprietario, Paolo Panerai, e il cui enologo, Alessandro Cellai, hanno avuto con Tachis un rapporto speciale, vuole essere un omaggio a Giacomo Tachis, grande studioso per tutta la vita. il Sommelier | n. 4 - 2016

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di Davide Biasco

Pilzwiderstandfähig (PIWI), i vitigni resistenti ai funghi Il processo di selezione delle viti resistenti segue uno schema standard: prima si operano degli incroci che portano ad ottenere delle piantine da seme che vengono deliberatamente esposte al fungo.

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al qualche tempo in alcuni ambienti enologici si fa uso di una parola che sembra da iniziati e che ha una sonorità che evoca o suggerisce immagini fuorvianti. Con il temine “piwi” infatti non si intende un nuovo frutto esotico, ne’ l’ultimo simpatico animale recentemente scoperto in Nuova Zelanda. Stiamo parlando di viti, e più specificatamente di una particolarità di viti che ci caratterizzano per la loro alta resistenza ai funghi. Con il termine Piwi, acronimo di Pilzwiderstandfähig, si intendono esattamente tutta una categoria di vitigni ibridi resistenti ai funghi. Per capire la portata innovativa di queste piante mandiamo il pensiero a tutto il lavoro che è necessario fare in vigna, a partire dalla primavera, soprattutto in relazione alle precipitazioni. La pioggia, anche in considerazione degli evidenti cambiamenti climatici attuali, automaticamente significa per un vigneto pericolo di funghi e muffe. La vite europea (vitis vinifera) è particolarmente sensibile agli attacchi di 26

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oidio e peronospora (insieme alla botrite tra le più temute malattie fungine della vite) e per scongiurare questo rischio l’agricoltore interviene prontamente e ripetutamente con interventi chimici volti a prevenire qualsiasi conseguenza spiacevole ed assicurarsi una resa minima. Anche nelle coltivazioni biologiche non si può fare a meno del solfato di rame che è l’unico prodotto ammesso ed accettato in qualunque tipo di viticoltura biologica. In una stagione i trattamenti possono arrivare a dodici o quindici per

assicurarsi una vendemmia anche quantitativamente adeguata a tanto lavoro. Ma proprio non se ne può fare a meno? Proprio no, a meno che si sperimentino le viti ibride. Risultato di decenni di incroci da piante sempre più resistenti, sono quanto ad oggi è disponibile in agricoltura per poter coltivare le viti limitando il più possibile l’impiego di prodotti chimici. Werner Morandel, della tenuta Lieselehof e presidente dell’Associazione vignaioli indipendenti dell’Alto Adige, è il testimonial italiano più rappresentativo di chi è riuscito


a limitare i trattamenti coltivando una serie di varietà di viti resistenti alle crittogame nei suoi ampi appezzamenti ai piedi del lago di Caldaro a sud ovest di Bolzano. Per questi nuovi vitigni sono stati tra l’altro coniati anche dei nuovi nomi: Bronner, Cabernet Carbon, Cabernet Cortis, Gamaret, Helios, Muscaris, Johanniter, Prior, Regent e Solaris. Le prime selezioni di vitigni piwi datano tra il 1880 e il 1935 ed hanno fornito vitigni dalle uve di qualità non sempre ottimale, cosa che ha sicuramente danneggiato l’immagine della varietà resistente come uva da vino. Da allora molti passi in avanti sono stati fatti sino a rendere il risultato difficilmente distinguibile dai vini ottenuti dai vitigni tradizionali. A questo punto vengono selezionati gli esemplari resistenti che saranno oggetto di verifica dal punto di vista delle corrispondenti qualità enologiche dei vini prodotti. A volte questa selezione viene integrata con la selezione assistita dai marcatori che, sugli esemplari più giovani di vite, possono evidenziare i genotipi con i geni auspicati della resistenza. Il processo di selezione dei piwi risultante è quindi molto lungo. Basti pensare che nel caso del Regent, uno dei primi vitigni resistenti ai funghi ad essere stato messo in commercio, sono stati necessari più di trent’anni. Infatti la sperimentazione è iniziata nel 1967 mentre l’iscrizione allo specifico registro è data solo 2001. Per la maggior parte questi vitigni sono di origine tedesca perché è storicamente la Germania il Paese più attento alla selezione dei Pilzwiderstandfähig, ma sono coltivati anche in Austria ed in Svizzera. A livello di ricerca

italiano particolarmente attive sono la Fondazione Edmund Mach - Istituto Agrario San Michele all’Adige a nord di Trento, l’Università di Udine, Innovitis, un Istituto privato con sede a Bolzano, e il CRA-Vit di Conegliano (TV), che ha iniziato un lavoro di selezione per produrre vitigni resistenti a partire dalla Glera e dal Raboso Piave. È poi particolarmente attiva “Piwi International”, un’associazione di produttori che fa capo proprio a quel Werner Morandel, sopra citato. A partire della sua fondazione nel 2000, questa aggregazione è cresciuta costantemente e fino a raggiungere gli attuali 350 membri provenienti da 17 paesi in Europa e Nord America. La mission di Piwi international è quella di costituire una piattaforma di scambio nella quale far confluire esperienza, conoscenza ed idee in un’ottica di stretta collaborazione tra coltivatori, vivaisti e centri di ricerca e sperimentazione. Questo anche al fine di garantire ai produttori di individuare le varietà più adatte alle differenti caratteristiche

regionali. Essi infatti trovano utile non solo l’informazione sulle nuove varietà piwi, ma anche l’indicazione di quella più adatta alla loro zona unitamente al contesto commerciale e legislativo di riferimento per questo nuovo e diverso modo di vinificare. Dal 2011 Piwi International organizza a cadenza annuale anche il “INTERNATIONALER PIWI WEINPREIS”, nell’ambito del quale vengono premiati i migliori vini ottenuti da varietà PIWI a livello internazionale. I vini attualmente ottenuti, anche a detta di specialisti competenti, sono di tutto rispetto e dal punto di vista organolettico sono quanto di più interessante e nuovo si possa scoprire. Normalmente vengono vinificati in termini qualitativamente elevati per cui sono tutti da conoscere senza timore di sorprese infelici e con la consapevolezza di dare un contributo importante al tema di sostenibilità verso il quale l’attenzione globale è sempre più accesa. il Sommelier | n. 4 - 2016

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A cura di Roberto Rabachino – Credit Photo: Consorzio del Soave

Soave, il paesaggio storico

Quella del Soave è la prima doc italiana ad ottenere il riconoscimento ministeriale di “Paesaggio rurale di interesse storico” entrando a far parte del “Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali”.

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opo aver analizzato 123 zone produttive dell’agroalimentare

italiano, e dopo aver considerato 35 candidature, con la dicitura “Le Colline vitate del Soave” l’Osservatorio nazionale del Paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze

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tradizionali, istituito col medesimo decreto, ha quindi accolto la canditura della denominazione veronese che, assieme al Conegliano Valdobbiadene e al Parco Rurale del Paesaggio Appenninico di Moscheta, entra nel registro dei paesaggi nazionali considerati patrimonio

storico-rurale d’Italia. Un traguardo di fondamentale importanza non solo per la promozione e la valorizzazione del territorio, ma anche per la ridefinizione del ruolo del viticoltore, che, con il proprio lavoro, viene oggi percepito come primo garante della ricchezza


ambientale e naturalistica del comprensorio produttivo in cui opera. Secondo l’osservatorio la zona meritava di essere inscritta perché «presenta un alto grado di integrità in termini di conservazione della destinazione agricola delle colline; il presidio storico vitivinicolo gioca un ruolo fondamentale non solo per l’attualità ma anche per il futuro; la ridotta urbanizzazione nell’area collinare assicura la qualità del paesaggio ed è sostenuta soprattutto dalla

struttura produttiva del Soave e dal consorzio dei produttori che li riunisce». Suolo vulcanico, pergola veronese, viticoltura eroica, piccole aziende, garganega e trebbiano: sono queste le tipicità che hanno consentito alla doc del Soave di raggiungere un traguardo così prestigioso. Esse costituiscono un unicum assolutamente inimitabile, un mosaico di contenuti ricco di significati da comunicare, un’opportunità in più per le tante aziende che credono fortemente

nella vocazione enologica di questo territorio. La valenza storico-rurale del comprensorio è sotto gli occhi di tutti. Al suo interno, nella zona classica, sono stati individuati 1700 ettari collinari, microparcellizzati, coltivati secondo le tecniche della viticoltura eroica. Risale infatti al 1816 la prima mappa, tratta dal catasto napoleonico, che censisce i vigneti del Soave, in base alla quale poi nel 1931, con decreto regio, è stata istituita la prima denominazione italiana. In questa zona sono ancora oggi presenti il Sommelier | n. 4 - 2016

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delle comunità e dei soggetti che operano in questa zona. Di tutti questi temi abbiamo parlato con Arturo Stocchetti, presidente del Consorzio di Tutela del Soave, che ci ha illustrato significati e opportunità, dirette e indirette, che questa novità porta per tutto il comparto vitivinicolo del Soave.

elementi di edilizia storica, capitelli votivi, forme di allevamento come la pergola, muretti a secco. Esistono inoltre vigneti di oltre 100 anni, tutt’oggi produttivi. Il Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico introduce anche un radicale cambiamento, considerando per la prima volta l’uomo al centro del contesto agricolo, non più come soggetto che turba l’ecosistema esistente con una forma di agricoltura intensiva ma, al contrario, come artefice principale nel mantenimento della biodiversità e nella conservazione del paesaggio. Farne parte significa per il Consorzio del Soave operare insieme al Ministero per definire “la significatività, integrità e vulnerabilità” del paesaggio rurale, tenendo conto sia delle valutazioni scientifiche, sia dell’importanza 30

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Presidente, questo è senza dubbio un bel risultato per la doc del Soave, ma quale significato assume questo riconoscimento per le cantine associate? Si tratta di un grande risultato per la denominazione del Soave, che si vede riconosciuta a livello nazionale la primogenitura quale comprensorio vitato storico. Questo riconoscimento costituisce un valore aggiunto per tutti i soci del nostro Consorzio e per l’attività che quotidianamente svolgono, perché ribadisce ancora una volta l’unicità del patrimonio che hanno in dotazione, che può trovare la giusta valorizzazione solo in una logica di sistema, in cui la cultura condivisa e il senso di appartenenza svolgono il ruolo di protagonisti. Inoltre questo importante traguardo, che sottolinea una valenza ambientale storicizzata ed immutabile, pone le basi per un nuovo approccio, soprattutto da parte del legislatore, per una ridefinizione degli strumenti di sostegno per la viticoltura in areali tanto particolari ed estremi. L’auspicio è che nell’immediato futuro si possano mettere a disposizione dei viticoltori di collina opportunità di finanziamento specifiche per questi territori. Un riconoscimento che sicuramente viene da lontano.

Si può individuare un momento preciso in cui è nata l’idea di perseguire anche una valorizzazione dal punto di vista storico? Certi successi non si possono improvvisare, ma sono il frutto di un lavoro lungimirante e condiviso da parte di tutte le forze che operano sul territorio, a partire proprio da chi quotidianamente lo vive in prima persona: i nostri viticoltori e le nostre cantine. Il Consorzio, con la collaborazione di Viviana Ferrario, docente allo IUAV di Venezia, è stato protagonista assoluto in questo percorso a partire dal 2006 quando, con la pubblicazione del volume “Un paesaggio Soave” ha di fatto aperto una riflessione a livello nazionale sul tema del paesaggio storico e della sua tutela. Ora che avete raggiunto questo traguardo cosa farete? Il nostro obbiettivo è quello di portare avanti ed anzi incrementare gli sforzi fatti fin qui per promuovere il nostro territorio e il suo comparto vitivinicolo. Il riconoscimento di “Paesaggio rurale di interesse storico” non può rappresentare un punto di arrivo, ma al contrario, deve essere il trampolino che ci dà uno slancio per affrontare il futuro, forti delle nostre eccellenze. Proprio per questo abbiamo avviato assieme allo IUAV di Venezia e alla professoressa Viviana Ferrario un nuovo studio finanziato dalla Regione Veneto destinato ad evidenziare le opportunità in chiave turistica del comprensorio del Soave, proponendo un modello di conservazione del paesaggio storico, basato sulla consapevolezza collettiva del suo valore culturale.


E nel concreto come si articolerà questo progetto? Due ricercatrici saranno impegnate per un intero anno in un lavoro di indagine storico-paesaggistica sulle colline del Soave, realizzando mappature, rilievi e campionature, con lo scopo di definire linee guida innovative per la manutenzione e il restauro dei terrazzamenti e dei muretti a secco e la rimozione o la mitigazione dei maggiori detrattori del paesaggio. Proprio questo paesaggio infatti, che con i suoi sistemi di ciglionamenti e terrazzamenti, si è cristallizzato sin dagli anni Trenta, con la prima perimetrazione della zona di produzione di un “vino tipico”, rappresenta uno dei più interessanti esempi dell’incontro tra la viticoltura italiana e la prima modernità. Come è stata accolta all’estero la notizia dell’inserimento del Soave nel registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico? Molto bene, c’è grande interesse all’estero per questo tema che ha ancora una forte valenza etica: cambia la visone del viticoltore che adesso è visto come la figura che garantisce la conservazione del paesaggio. È una svolta considerevole: l’uomo e il suo lavoro non solo assumono un ruolo cardine nella definizione dell’ambiente agricolo, ma diventano i primi difensori della biodiversità del territorio. E dal punto di vista strettamente promozionale quali sono i vantaggi? Il contesto viti-enologico oggi si caratterizza più per una competizione tra territori che tra aziende. Poter presentare il Soave come un sistema produttivo da sempre coerente con la sua identità paesaggistica e stilistica ci consente di accreditare le colline del Soave come uno dei vigneti più identitari e storicizzati d’Italia.

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di Gladys Torres Urday

Gaetano Trovato,

uno chef sognatore elegante e fantasioso

Il Ristorante Arnolfo in Colle di Val d’Elsa è dal 1999 segnato come nell’olimpo della prestigiosa Guida Michelin dove attualmente vanta le due stelle.

U

na sosta da non perdere per i gourmet del terzo millennio è il ristorante Arnolfo, in terra di Siena e precisamente a Colle Val d’Elsa, dove dal 1982 lo chef patron Gaetano Trovato esprime nel locale di famiglia la sua cucina di ispirazione mediterranea contemporanea. Situato in un palazzo rinascimentale il ristorante prende

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il nome da Arnolfo di Cambio, architetto e scultore del 1200 nativo di Colle Val d’Elsa, che presentò il primo progetto del Duomo di Firenze e di Palazzo Vecchio. All’interno di queste mura opera oggi un vero e proprio architetto di cucina, Gaetano Trovato diventato cuoco grazie alla sua passione, talento e creatività, il cui percorso professionale inizia con

un apprendistato a Saint-Moritz, per proseguire ad Ameglia sotto la guida del grande chef Angelo Paracucchi. Altre tappe il Moulin de Mougins di Roger Vergé e a Parigi da Gaston Lenôtre, dove trova il suo equilibrio e la sua determinazione culinaria. Meglio ora passare la parola allo chef Gaetano Trovato, patron del ristorante.


Chef quali solo secondo lei i principali ingredienti della sua cucina italiana? I miei cinque ingredienti della cucina italiana più significativi sono il microclima di ogni regione con il suo andamento stagionale, le verdure, le carni, i pesci, la pasta e i formaggi. Cucina di oggi e cucina del domani? La cucina di oggi è semplicemente il frutto di esperienze professionali, portate avanti rileggendo, i piatti che hanno segnato la storia del nostro Paese. La cucina di domani dovrà essere salutare, genuina trattando Ingredienti, freschi e seguendo l’andamento che offre il mercato, con cromaticità, gusto e profumi. E per ottenere il successo quali sono i segreti? Prima di tutto è necessario sapere che non esiste la perfezione nella cucina. È possibile avvicinarsi, questo sì. La perfetta conoscenza della

preparazione, dell’abbinamento dei colori, delle consistenze, l’acido, il dolce, il salato sono tutti elementi importanti per ottenere una cucina di qualità. È portante e fondamentale non dimenticare mai la tradizione fatta di ricordi e di memoria del passato.

cantine climatizzate sistemate nei piani interrati di un palazzo del 1600. Il vino è complice nella cucina e il territorio deve essere l’assoluto protagonista senza mai dimenticare di premiare altre zone del mondo particolarmente prestigiose, tipo la Francia.

Quanto è importante la carta dei vini in un ristorante stellato? È di fondamentale importanza. Nel mio locale ho diviso il reparto vino, affidato a mio fratello Giovanni (che è oltre ad essere il sommelier è anche il direttore del ristorante) in due

Siamo in prossimità delle festività di Natale e di fine anno. Ci regali una sua ricetta. Certamente: Piccione, Ostriche e lamponi. E per l’abbinamento al vino lascio la parola a Nicola Masiello, Presidente Emerito FISAR.

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Piccione, Ostriche e Lamponi di Gaetano Trovato, maestro premiato con due Stelle Michelin

Ingredienti per 4 persone

• 2 piccioni • 4 ostriche • 200 gr. di lamponi per il coulis • 8 lamponi per la guarnizione finale del piatto • 4 foglia d’ostrica • sale di cervia, olio EVO

Procedimento per il piccone

Mettere 200 gr di lamponi con 20 gr di zucchero a bollire con un po’ d’acqua per circa 15 minuti, dopo di che frullare con il minipimer. Pulire il piccione dalle interiora mettendo da parte i fegatini, togliere i cosci dalla carcassa, disossarle e farcirli con i fegatini scottati in padella e sfumati con il vin santo. Chiudere i cosci con la pellicola dopo mettere un foglio di alluminio e cuocere a 63°C vapore per 2 ore, dopo di che abbattere, togliere l’alluminio e la pellicola, pararli e passarli nella farina, uovo e panko, ed infine friggerli. Per il piccione: scottare la carcassa con i petti attaccati da ambo le parti, finire in forno per 3 minuti a 180°C.

Abbinamento del piatto a cura di Nicola Masiello La valutazione tecnica del piatto proposto dal Maestro Gaetano Trovato comporta una serie di passaggi per configurarne un perfetto abbinamento con il vino: - il piccione è una carne considerata rossa (con alcuni distinguo riferiti al sistema di allevamento), particolare, che già di per sé indirizza l’abbinamento; - la cottura, doppia in preparazione, complessa, con due risultati sul piatto: una parte scaloppata e morbida, l’altra

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Ingredienti per il fondo

2 carcasse di piccione Carote, sedano, scalogno e cipolla bianca 100 ml di vino bianco Olio extra vergine d’olive qb Chiodi di garofano, stecca di cannella, pepe bianco in grani, bacche di ginepro

bianco, unire il fondo di piccione appena filtrato, far ridurre fino a consistenza desiderata, infine filtrare in etamina.

Composizione del piatto

Rosolare la mirepoix di sedano carote e cipolle con un filo d’olio, unire le carcasse di piccione precedentemente brunite in forno a 210°C per 10 minuti, coprite con acqua, far bollire a fuoco moderato per 48 ore. Preparare un fondo di scalogno e rosolare con le spezie, sfumare con vino

Mettere al centro del piatto un cucchiaio di coulis di lamponi e passarvi il pettine, adagiare sopra 2 lamponi, l’ostrica condita con un’emulsione di aceto di lamponi e olio (100gr di olio, 40 gr di aceto di lamponi e un pizzico di sale), il coscio fritto, mezzo petto di piccione scaloppato ed infine il suo fondo con una foglia d’ostrica e qualche granello di sale di cervia.

croccante e tendente al secco; - la speziatura ampia su note dolci/forti. Il fruttato tendente all’acido del lampone; - la componente salina e grassa dell’ostrica in simbiosi con il piatto. Queste quattro caratteristiche li ritroviamo tutti nel piatto che, a seguito di ciò, definiremo strutturato, equilibrato nella componente grasso/untuosa grazie all’acidità del coulis di lampone, profumato di spezie. L’ostrica chiude il piatto con una sensazione salino/minerale che aiuta nella pulizia di bocca. Sicuramente una preparazione intrigante, equilibrata e piacevole. Ho abbinato un Syrah Cortona Doc “Vecchievigne 2012” dei Tenimenti D’Alessandro.

Un vino austero, elegante e complesso al naso, con sentori di sottobosco maturo di ribes e lamponi, frutta rossa in confettura e spezie viranti dal chiodo di garofano alla vaniglia, note balsamiche e di erbe officinali che ben sposano i profumi del piatto. Caldo, di corpo, rotondo con tannino evoluto e pulito, acidità vestita, sapidità presente, marcante, lungo di beva, sposa perfettamente la complessità del piatto bilanciandolo. Credo sia un abbinamento perfetto ad un piatto eccezionale, un insieme di piacevolezza per chiudere in bellezza il 2016!

Procedimento per il fondo


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Bosio

Corte Franca (BS) - www.bosiofranciacorta.it Situata a Corte Franca, a pochi chilometri dal lago d’Iseo, l’azienda si estende su una superficie totale di trenta ettari, interamente compresi nell’importante zona a vocazione viticola “Franciacorta D.O.C.G.”. Negli anni ‘90 la famiglia Bosio, di antiche origini franciacortine, decide di intraprendere un’appassionante avventura nel mondo vitivinicolo, conciliando la passione per la terra con la voglia di innovare. L’Azienda Agricola Bosio ha come obiettivo primario la produzione di vini di qualità nel massimo rispetto dell’ambiente. I vigneti attualmente in produzione occupano una superficie di venti ettari e presentano giacitura collinare ed esposizione variabile.

Brut Nature Millesimato 2011 - Franciacorta DOCG

Le uve. Pinot nero 30%, Chardonnay 70%; vengono sottoposte a una pressatura soffice al fine di ottenere la separazione del solo mosto fiore che fermenta in vasche di acciaio inox termo-controllate, a una temperatura di 15°C; qui la base spumante ottenuta matura per 6-7 mesi. Maturazione sui lieviti di 30 mesi. Di colore giallo paglierino, presenta un bouquet equilibrato con note di lievito spezie ed agrumi; al palato presenta una bollicina delicata, di gusto fresco sapido e complesso. Bottiglie prodotte: 10.000 Prezzo consigliato in enoteca: 23 euro

Cantine di Castignano Castignano (Ascoli Piceno) - www.cantinecastignano.com L’azienda agricola Cantine di Castignano, è una delle tre più grandi cantine cooperative della Regione Marche, potendo disporre di circa 500 ettari vitati e più o meno altrettanti soci conferitori. Altra caratteristica interessante, ma di tutt’altra natura, è il richiamo all’immagine dell’Ordine Cavalleresco dei Templari che si può trovare in alcune etichette; a testimonianza di come i Templari, che erano monaci-combattenti e provetti agricoltori, nel loro passaggio nella città di Castignano (AP), in direzione Gerusalemme nel XII secolo, riuscirono a modificarne le abitudini e l’economia, così da radicarsi profondamente nella cultura e nella tradizione locale. L’azienda è stata fondata nel 1960 con lo scopo di vinificare le uve degli agricoltori associati.

Gran Maestro 2010 - Offida Rosso DOC È un Montepulciano, Cabernet Sauvignon e Merlot con vinificazione tradizionale in rosso e svinatura a freddo Invecchiamento in botti di legno francese e americano, tipologia barrique, per metà nuove e per il resto di 2°e 3°passaggio. Romane 6 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Di colore rosso rubino finissimo con unghia violacee. Al naso si presenta con ciliegia sotto spirito, frutti rossi e un piacevole ricordo di cacao, peperone e ribes. In bocca è esuberante per ricchezza di estratti e alcolicità. Bottiglie prodotte: 6.500 Prezzo consigliato in enoteca: 15 euro

Badia a Coltibuono

Gaiole in Chianti (SI) - www.coltibuono.com Badia a Coltibuono ovvero “l’abbazia del buon raccolto”, fu fondata dai monaci vallombrosani circa mille anni orsono, quale luogo di culto e di meditazione. Nel 1051, i monaci dell’ordine di Vallombrosa iniziarono a costruire questo monastero del “Buon Raccolto” piantando contemporaneamente le prime vigne in quest’area. Nel XV secolo Coltibuono ebbe un ulteriore sviluppo sotto il patronato di Lorenzo de’Medici. Nel 1810, sotto il dominio napoleonico, i monaci furono obbligati a lasciare Coltibuono. Negli anni successivi la proprietà fu venduta prima attraverso una lotteria e nel 1846 fu acquistata da Michele Giuntini, banchiere fiorentino e antenato degli attuali proprietari. Sotto la guida di Piero Stucchi Prinetti la fattoria fu trasformata in azienda affermandosi in Italia ed all’estero. Una nuova generazione, Emanuela, Roberto e Paolo, prosegue oggi nell’opera intrapresa dagli antenati. Sangioveto 2011 - Toscana IGT “San Zoveto”, poi divenuto “Sangioveto“ era il nome comunemente dato in passato al vitigno Sangiovese. Il Sangioveto di Coltibuono, 100% Sangiovese, nasce come omaggio ad una tradizione colturale che risale al Medioevo. Viene prodotto soltanto nelle annate migliori a partire dal 1980. Invecchiamento di 12-18 mesi in barriques di rovere francese, nuovi al 10%; minimo 6 mesi di affinamento in bottiglia. Colore rosso rubino intenso e profondo con riflessi porpora. Al naso note floreali, frutti rossi, vaniglia e chiodi di garofano. In bocca svela una grande struttura: armonico, asciutto e sapido, con acidità ben bilanciata; molto rotondo e persistente con grande potenzialità di invecchiamento. Bottiglie prodotte: 8.700 Prezzo consigliato in enoteca: 39 euro 36

il Sommelier | n. 4 - 2016


Cantina Produttori di Bolzano

Bolzano (BZ)- www.cantinabolzano.com Sin dalla fondazione nel 2001, in qualità di cantina altoatesina legata alla tradizione, si impegniamo a produrre vini di qualità e dal carattere regionale. Offrono agli appassionati un ampio spettro di vini premiati e di prim’ordine. Grazie a procedure moderne, know-how tecnico, sperimentazioni decennali per l’affinamento del vino e molto amore per il prodotto, mirano a soddisfare i più elevati standard di qualità e a creare nettari straordinari, unici e inconfondibili. Con molta passione e dedizione creano vini ricchi di sfumature, peculiari e moderni, che non fanno mai dimenticare la loro provenienza.

Sauvignon Mock 2015 - Alto Adige DOC È un grandissimo Sauvignon Blanc in purezza coltivato sui ripidi pendii nei dintorni di Bolzano, a 500 m s.l.m. . Vinificato con pressatura soffice delle uve selezionate, fermentazione a temperatura controllata e maturazione in botti di acciaio, per mantenere la freschezza del vino. Colore giallo paglierino con riflessi verdognoli. Al naso sentori di foglie di pomodoro e ortiche, peperoni verdi, menta, fruttato di pesca gialla e pompelmo rosa, acacia e sambuco, minerale e se invecchiato pietra focaia. In bocca è fruttato con un’acidità delicata e bilanciata, buona struttura e retrogusto persistente. Bottiglie prodotte: 40.000 Prezzo consigliato in enoteca: 13 euro

Gianni Gagliardo La Morra (CN) - www.gagliardo.it Dal 1847 la famiglia Colla lavora con grande dedizione le sue vigne in una terra d’eccellenza, le Langhe. Dalla seconda metà degli anni Ottanta, Gianni Gagliardo assume le redini della cantina che porta il suo nome. Dai primi anni Duemila, la sesta generazione fa gradualmente il suo ingresso ufficiale in Azienda. Stefano, Alberto e Paolo, figli di Gianni Gagliardo, hanno ereditato il mix di passione per la vigna e moderna abilità imprenditoriale che continua a scrivere pagine di successo nella storia dei vini prodotti dall’Azienda di famiglia.

Serre 2012 - Barolo DOCG L’anno 2012 sarà ricordato per la sua calda e secca estate, che ha interessato molte regioni italiane, e per le rese più basse degli ultimi 50 anni. Il Barolo Serre, 100% Nebbiolo con 12 mesi in barriques a seguire 36 mesi in botte grande, è coltivato nel Vigneto Castelletto di Monforte d’Alba. Si tratta di un vigneto esposto ad est, quindi al sole del mattino, che si affaccia su una vallata fresca e ventilata. Si presenta di colore rosso profondo. Aromi legnosi e tostati uniti a note di caffè e confettura di prugne. Tannini piuttosto evidenti lasciano una finitura astringente. È un vino dal carattere teso ed affascinante, di particolare profondità. Bottiglie prodotte: 3.840

Prezzo consigliato in enoteca: 57 euro

Az. Agricola Paolo Calì Vittoria (RG) - www.vinicali.weebly.com Una piccola cantina è stata realizzata nel 2004, dotata di una moderna tecnologia, per la vinificazione e lo stoccaggio del prodotto, in modo da poter seguire e vivere quotidianamente l’evoluzione del mosto in vino. Quindi, nel 2005, si è provveduto alla ristrutturazione di una seconda cantina allo scopo di poter imbottigliare in azienda. Nella cantina avviene la vinificazione solo delle uve prodotte in azienda, sotto l’attenta e appassionata guida dell’enologo Emiliano Falsini.

Mandragola 2014 - Vittoria Frappato DOC È un Frappato in purezza. Vendemmia a fine settembre in contrada Salmè con una macerazione di 10 giorni, poi un affinamento di almeno 8 mesi in acciaio seguiti da 4 in bottiglia. Il colore è rosso porpora. Al naso sentori di confettura di ciliege, fragola, prugne e una piacevole nota di balsamico. In bocca i tannini morbidi con una buona acidità equilibrati, di buon corpo con un retrogusto che si avvicina alla mandorla amara. Bottiglie prodotte: 10.000

Prezzo consigliato in enoteca: 12 euro il Sommelier | n. 4 - 2016

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Testo e fotografie di Jimmy Pessina

Israele: Gerusalemme, la capitale più contesa del pianeta

Gerusalemme è da millenni la città più spirituale e contesa del mondo. Qui si sono incontrate e combattute, qui convivono oggi, in un difficile e pericoloso equilibrio, le tre più grandi religioni monoteiste: l’ebraismo, il cristianesimo, l’islamismo. 38

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Q

uando il Santo, Benedetto Egli Sia – dice il mistico libro dello Zohar – stava per creare il mondo, staccò una preziosa pietra da sotto il suo trono di gloria e la gettò negli abissi. Da una parte vi rimase sommersa, mentre la punta emerse, alta. Da qui ebbe inizio il mondo che poi si è espanso a destra e a manca e in tutte le direzioni. In ebraico questa pietra è detta shatiah, il fondamento. L’espansione della Terra si completò nella forma di tre anelli concentrici. il secondo anello comprende la Terra d’Israele, dichiarata santa. Il terzo anello è il resto della Terra, il luogo dove

vivono tutte le altre nazioni e il grande Oceano che le circonda. Ecco il punto intorno a cui ruota il mondo, la pietra stessa della sua fondazione è Gerusalemme, trono di Dio. Adagiata sugli aridi monti della Giudea, Gerusalemme è da millenni la città più spirituale e contesa del mondo. Qui si sono incontrate e combattute, qui convivono oggi, in un difficile e pericoloso equilibrio, le tre più grandi religioni monoteiste: l’ebraismo, il cristianesimo, l’islamismo. Ecco la mappa completa dei luoghi sacri a queste tre fedi. Più che una città è una metafora dello spirito, specchio di millenni,

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culla dell’umanità intera, delle sue altezze sublimi e ei suoi eterni, esasperati orrori. “Delle dieci misure di bellezza cadute sulla terra, Gerusalemme se ne è prese nove” avevano scritto i maestri del Talmud: e ancora oggi, lei, Yerushalaim, la città della pace, la “tre volte santa”, la prediletta di David, conserva quel richiamo misterioso che per tutti i 5000 anni della sua storia l’ha resa oggetto del desiderio, della fede, della volontà di potenza di egiziani e persiani, romani e arabi, mongoli e turchi. Per questo in nessun luogo il sacro e il profano si mescolano e convivono – per disegno e capriccio della storia – come in questa città adagiata sui monti della Giudea, distrutta e sempre ricostruita, che ancor oggi vive di quella straordinaria magia che hanno gli angoli del mondo in cui si “respira” il passato, il presente, il destino degli uomini. Così, nei secoli, “la celeste” Gerusalemme è divenuta la città sacra alle tre grandi religioni monoteiste, l’alveo del mondo post-pagano e della nostra stessa consunta civiltà, la causa di guerre e la meta di crociate antiche e moderne, contesa fin dal remoto momento della sua fondazione. Forse perché abitata, da sempre, da principi e dei, o più probabilmente perché al centro di quella ricchissima, opulenta terra “stilante latte e miele” di cui già parlava la Bibbia, sulle cui leggendarie colline coperte di cedri fiorivano in un tripudio di profumi e di colori, i banani e gli avocado, i giacinti e lo zafferano. Da quando, nel X secolo avanti Cristo, re Salomone vi edificò il Tempio, Gerusalemme è stata per gli ebrei la patria spirituale, 40

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il luogo dell’eterno ritorno che il popolo d’Israele ha invocato per tutti i 1900 anni della sua diaspora, ripetendo come una parola d’ordine il tradizionale saluto “l’anno prossimo a Gerusalemme” fino a quando – col conflitto del 1967 – la città venne definitivamente riconquistata. Per i cristiani visitare Gerusalemme equivale invece a ritrovare la memoria e la poesia della Via Sacra che vide il cammino della Croce e la drammatica morte del Figlio di Dio, e che oggi si sonda serpeggiando attraverso le strade della città vecchia. La Gerusalemme musulmana infine, non fu mai capitale politica dell’Islam ma la sua moschea divenne con quella della Mecca e di Medina una della più importanti del mondo arabo. Gerusalemme, la mappa di “luoghi santi” più importanti cari alle tre grandi religioni e, crediamo, a chiunque si senta un po’ cittadino del mondo, perché, come recita un’antica canzona ebraica, “ci sono uomini dal cuore di pietra, ci sono pietre dal cuore di uomo”. Monte degli Olivi: sorge appena fuori le mura, di fronte alla “porta d’oro” attraverso la quale, secondo la tradizione ebraica, il Messia entrerà nel Tempio nel giorno del Giudizio. Proprio per questa ragione qui c’è uno dei più grandi cimiteri ebraici: vi sono sepolti decine di migliaia di pellegrini, venuti a farsi sotterrare nel luogo in cui, dicono i profeti, avverrà la resurrezione dei morti. Monte Moriah o monte del Tempio: questa vasta spianata che domina, inconfondibilmente, la vista di Gerusalemme è forse uno dei luoghi al mondo più “carichi” di divino. Qui, secondo il Sommelier | n. 4 - 2016

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la Genesi, Dio creò il primo uomo;

Erode, nuovamente abbattuto dai

qui Abramo, il Patriarca d’Israele,

romani, ignorato dai bizantini, di

si accingeva a sacrificare il figlio

cui restano solo le pietre del Muro

prima che l’angelo gli fermasse

Occidentale. Ma soprattutto per

la mano; qui Salomone fece

l’Islam tutta la collina costituisce

edificare il Tempio, ricostruito da

un unico, immenso complesso

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sacro, chiamato haram. La rupe di Abramo è infatti anche quella dove il profeta Maometto, a dorso d’asina, salì per rivelare la propria familiarità con l’Altissimo; per questo nel 690, il califfo della dinastia omayyade Adb al Melik vi fece costruire uno dei “Sancta Sanctorum” del mondo arabo, la moschea della Rupe, una delle più belle di tutto il Medio Oriente. Con la sua grande, stupenda cupola d’oro la moschea è un autentico gioiello dell’arte islamica, in certi periodi dell’anno si può visitare. Monte Sion: qui, racchiusa oggi all’interno di un piccolo convento di francescani detto appunto “del Cenacolo”, si trova la stanza dell’Ultima Cena di Gesù. Sul Monte Sion si trova anche la tomba di David, la più importante mea del pellegrinaggio ebraico dopo il Muro del Pianto. Moschea Al Aqsa: costruita nel 780 dal califfo Wleed e più volte distrutta nel corso dei secoli, conserva, sotto la sua enorme


cupola argentea, ben poco delle strutture originarie, ma resta per i musulmani il terzo luogo santo dopo la Mecca e Medina. Muro del Pianto: il monumento più caro all’anima ebraica sorge proprio nella parte vecchia della città, occupata dalla Giordania dal 1948 al 1967. Un tratto di mura a grandi blocchi squadrati è ciò che rimane del tempio di Salomone, “gloria d’Israele” e testimonianza vivente della rovina di Gerusalemme: deve il suo nome alla copiosa e impalpabile rugiada che lo ricopre durante la notte e nelle prime ore dell’alba e che, per la pietà popolare, è il pianto del popolo ebraico, le lacrime versate per la distruzione del Tempio. Piscina di Siloe: vicino alla parte storica di Gerusalemme, è la più antica sorgente d’acqua della città e il luogo dove Gesù restituì la vista al cieco. Santo Sepolcro: al termine della Via Dolorosa, è la meta più importante del pellegrinaggio

cristiano condivisa, metro per metro, da cattolici, ortodossi, copti e armeni. Costruito sui resti della Basilica di Costantino racchiude le ultime e più tragiche stazioni della via crucis: il Golgota (dall’ebraico gulgoleth, cranio), un’altura di roccia nel terreno su cui fu eretta la croce.

Via Dolorosa: è il cammino percorso da Gesù dal luogo della condanna fino a quello della crocefissione: oggi attraversa il quartiere arabo e quello cristiano iniziando dalla Fortezza Atonia, il palazzo di Ponzio Pilato, la cui pavimentazione, detta “litostroto”, è ancora osservabile all’interno il Sommelier | n. 4 - 2016

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del convento di Nostra Signora. Gerusalemme, rappresenta una meta di sicuro fascino. Per poter capire lo stato d’Israele, non deve mancare una visita a Nazareth, con i suoi percorsi della fede. Eliath, la porta d’ingresso dal Mar Rosso, con uno dei delfinari più attivi del mondo. Il Negev, dove si trovano le splendide miniere di Re Salomone. Una sosta al Mar Morto e una salita in funivia ai reperti della Rocca di Masada. Prima di riprendere l’aereo della EL AL dall’aeroporto Ben Gurion, una sosta di un paio di giorni a Tel Aviv li merita. Non è una città dalla lunga storia. A conquistare la passerella mondiale ha impiegato però pochi decenni. Tutt’altro che eterna, tanto meno santa, preferisce il cappuccino ai salmi. Qui pulsa il cuore dello spettacolo, della moda, della cultura e del divertimento. Tel Aviv 44

il Sommelier | n. 4 - 2016

si considera come l’avanguardia

sfigurerebbero a Londra, a Parigi

del Medio Oriente di una cultura

o New York. È una città delle più

diversa: importata, è vero, ma

moderne e vive del Mediterraneo,

che ha messo le radici. I suoi

che sa apprezzare un buon

locali notturni, i suoi ristoranti,

cocktail o un raffinato piatto di

i suoi teatri, i suoi caffè non

cucina cinese.


il Sommelier | n. 3 - 2016

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di Alessandro Maurilli

Intervista a Marco Giannoni Fabbri, presidente Consorzio Vini Cortona

Tra le attività del Consorzio anche quella di promozione della denominazione che avviene con un’efficace attività culturale e divulgativa. Un Consorzio giovane per una Doc giovane.

Il Syrah è un po’ il vostro fiore all’occhiello.

Sicuramente come Denominazione siamo “giovani”, ma il vino a Cortona è storicamente radicato, nella storia, abbiamo tracce fin dagli etruschi, ma anche nel passato più recente, perché la vite in questo territorio è stata sempre presente con produzioni di qualità.

Abbiamo svolto nel territorio uno studio pedoclimatico con l’intenzione di capire quale fosse

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il Sommelier | n. 4 - 2016

un tipo di vitigno migliore per valorizzare la Doc. Il territorio della Valdichiana è molto particolare. Abbiamo caldo forte d’estate e temperature miti d’inverno.


un’opera d’arte e ogni anno cercano di accostare al meglio i colori che andranno a comporre il dipinto.

Presidente, a Cortona l’arte e la storia sono di casa. Come definirebbe i vini del territorio? Passionali, buoni, con una storia. Si viene a Cortona prima per la sua storia, per la sua bellezza, ma poi si finisce per bere il vino accompagnandolo ai tanti prodotti del territorio. Una Doc che racchiude il patrimonio enologico del territorio. La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei Abbiamo riscontrato sulla base di questo che il Syrah è quello che ci ha dato risultati migliori, tanto che la nostra Doc è la prima in Italia ad aver riconosciuto questo vitigno nel disciplinare.

Che vino è quello della Denominazione. Un vino che sicuramente nasce

dalla vigna. I nostri produttori sono molto attenti alla tutela della vite in vigna. Un po’ per il clima, come si diceva prima, ma soprattutto perché dal nostro territorio dobbiamo ricavare il meglio che si può pensando poi al lavoro di catina. I vignaioli a Cortona sono un po’ come degli artisti che devono realizzare

vini a denominazione d’origine controllata “Cortona” ricade nella provincia di Arezzo e comprende i terreni vocati alla qualità di parte del territorio amministrativo del comune di Cortona. Oggi gli ettari interessati dalla produzione della Doc sono oltre 300, ma il potenziale è in espansione. Si produce ogni anno circa un milione di bottiglie contraddistinte dalla fascetta Cortona Doc, una denominazione ampia, dominata tuttavia dalla produzione di Syrah, Merlot e Sangiovese. Sono 45 i produttori e 33 gli imbottigliatori attualmente soci del Consorzio di Tutela, realtà costituita nella primavera del 2000 con l’obiettivo di controllare e tutelare i vini della Doc. Tra le attività del Consorzio anche quella di promozione della denominazione che avviene con un’efficace attività culturale e divulgativa. il Sommelier | n. 4 - 2016

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di Davide Amadei

Slow Wine 2017:

vini e produttori buoni, puliti e giusti La Guida 2017 è stata presentata al Teatro Verdi di Montecatini sabato 15 ottobre 2016, con tantissimi produttori presenti personalmente ed un folla di operatori, giornalisti, appassionati.

C’

è un’immagine, utilizzata da Slow Food per promuovere la Guida Slow Wine, che descrive più di tante parole il senso della pubblicazione: un paio di scarponi usati e sporchi di fango, quel fango che dai filari di vigna rimane attaccato alle suole di chi li percorre. Ed infatti Slow Wine non è certamente una Guida come le altre, con classifiche di vini, voti e premi, ma un giro d’Italia per raccontare la vita e le scelte dei produttori, visitando le aziende e “camminando le vigne”

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il Sommelier | n. 4 - 2016

(come avrebbe detto Veronelli), descrivendo, prima di tutto ed oltre ai vini, il territorio, l’ambiente, le persone: il sottotitolo in copertina, “Storie di vita, vigne, vino in Italia”, ne è una sintesi programmatica efficace. Certamente, i riconoscimenti ci sono e di vario tipo. Innanzitutto la “chiocciola” per le aziende di alto livello qualitativo più vicine alla filosofia Slow Food. Poi il “vino slow”, attribuito al singolo prodotto di un’azienda che sia “buono, pulito e giusto”, per dirla con la terminologia di Carlo

Petrini, il “grande vino”, quello che raggiunge l’eccellenza di per sé, ed il “vino quotidiano”, il vino particolarmente bevibile, piacevole e gastronomico, ad un costo inferiore a 10 Euro per il consumatore finale. La Guida 2017 è stata presentata al Teatro Verdi di Montecatini sabato 15 ottobre 2016, con tantissimi produttori presenti personalmente ed un folla di operatori, giornalisti, appassionati. Dopo i saluti di benvenuto del Sindaco di Montecatini e di Daniele Buttignol, Segretario Generale di


Slow Food Italia, i due curatori, Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni hanno evidenziato le caratteristiche della Guida e le particolarità di questa edizione: è la settima, ma, come ha scherzato Giavedoni, nessuna “crisi del settimo anno”. Anzi: lungi dal farsi condizionare dalla crisi delle guide cartacee, la Guida Slow rilancia e si arricchisce. Importanti, infatti, le tre novità della edizione 2017, decisamente originali e distintive. Innanzitutto, Slow Wine è l’unica Guida italiana che, da questa edizione, recensisce vini di territori fuori d’Italia: si è scelto di inserire le aziende delle zone slovene di Goriska-Brda, Vipavska-Dolina, Kras, che, pur essendo separate ed in territorio straniero per motivi storici, non hanno alcuna soluzione di continuità o diversità rispetto alla parte italiana. Sono quindi recensite in guida 32 aziende di Slovenia, che con quelle italiane del Collio e del Carso costituiscono

una grande comunità di cultura del vino e di metodi di produzione. Così, sono aumentate le pagine della pubblicazione, caso davvero unico nel panorama della guide cartacee sul vino che diminuiscono costantemente le aziende recensite ed il volume dello stampato. Poi, vengono segnalati in Guida i 100 locali che hanno la carta dei vini più ragionata, particolare, territoriale: i ristoranti, osterie, winebar o simili dove poter “bere-slow”, che abbiano, cioè, una selezione di vini buoni, puliti e giusti secondo la filosofia Slow Wine. Infine, una novità che in realtà è un’accentuazione di una scelta di fondo della Guida: nessun premio Slow (“Chiocciola” all’azienda o “Vino Slow” al singolo vino) è stato conferito a quei produttori che utilizzano diserbanti chimici in vigna, dal momento che è ormai appurato che l’alternativa naturale è diffusa ed efficace. Da sempre Slow Wine evidenzia e valorizza i produttori che

abbiano un approccio naturale o poco interventista, biologico o biodinamico, alla viticoltura, ed è un giusto vanto dei Curatori il fatto che in sette anni le aziende con tale approccio in Guida sono aumentate del 50% dalla prima edizione ad oggi. Alla presentazione, per FISAR è intervenuto Valerio Sisti, Consigliere e membro di Giunta Nazionale, che ha portato il saluto della Federazione, ricordando la stretta collaborazione che, soprattutto per la Guida, da qualche anno si è realizzata tra le due associazioni. In particolare, ha sottolineato l’interazione sempre crescente, con il raddoppio, in tre anni, dei degustatori FISAR nei panel di assaggio per la Guida, ormai più di 40. Ed essendo la Guida distribuita ogni anno a tutti i soci FISAR, si crea con Slow Food la più grande comunità d’Italia di appassionati e comunicatori di cultura del vino di qualità. Dopo la presentazione, si è il Sommelier | n. 4 - 2016

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giovani nati tra il 1980 ed il 2000 (i cosiddetti Millennials); ed hanno sottolineato come molto si giochi sulla esigenza di chiarezza nella comunicazione (su riviste, sul web, nelle etichette). Nel pomeriggio, nella affascinante cornice delle Terme del Tettuccio si è poi tenuta la grande degustazione dei vini, circa 1000, delle aziende premiate, con tantissimi produttori presenti personalmente. Il servizio, per le aziende che non hanno potuto presenziare e per i tavoli “collettivi” (le cosiddette “isole”), è stato affidato, come sempre per gli eventi Slow Food, alla professionalità dei sommelier della FISAR, sotto la Guida di Massimo Marchi, Coordinatore Unico Nazionale dei Servizi, coadiuvato da Fabio Baroncini, Consigliere Nazionale, da Luca Canapicchi, Sommelier dell’Anno 2011, e da Angelo Laino, Delegato FISAR Pistoia, con la sua Delegazione di casa in prima linea. E per finire qualche assaggio.

svolto un interessante convegno sul mercato internazionale del vino, con gli interventi di rilevanti importatori dei principali mercati esteri. Bruno Colucci (consulente Cibochic, già direttore acquisti, marketing e logistica Gruppo Carniato) ha spiegato la penetrazione del vino italiano nel mercato francese, impresa difficile come “vendere ghiaccio agli eschimesi”, ma vinta grazie al cibo italiano che si è “portato dietro” il vino. Alessandro Mugnaioli (sales advisor di Yishang Wine Business Consulting, di Enoteca Italiana) ha descritto le difficoltà 50

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del mercato cinese, a causa di dazi, lontananza culturale, scarsa conoscenza, ma anche lo sviluppo esponenziale delle interazioni, delle attività di promozione e scambio, delle vendite, soprattutto con e-commerce, osservando che il vino rientra tra gli status symbol che i cinesi amano molto valorizzare. Infine, Iacopo Di Teodoro e Giuseppe Lo Cascio (entrambi dirigenti di grandi importatori in USA) hanno evidenziato i numeri, imponenti, del mercato del vino negli Stati Uniti, con particolare rilievo per il consumo pro-capite assunto dai

BARONE PIZZINI Franciacorta Dosaggio Zero Bagnadore Riserva 2009 (sboccatura maggio 2016) – Dalle uve di una singola e vecchia vigna (Roccolo), della prima azienda biologica di Franciacorta, uno spumante italiano ricco, che al naso si caratterizza per note marine fresche ma anche frutta bianca e tanti fiori; in bocca rapisce con una spuma fine ed avvolgente come seta, freschezza acida tagliente, finale lungo e pietroso. TERLANO Alto Adige Terlano doc Pinot Bianco 2004 – La Cantina


Produttori di Terlano, da molti ritenuta uno dei più importanti produttori di vini bianchi d’Italia, è nota anche per far uscire ogni anno una “rarità”: un bianco che in particolari annate, dalle migliori uve (chardonnay o pinot bianco) nei terreni più pregiati, è idoneo ad essere imbottigliato dopo più di dieci anni dalla vendemmia. Questo Pinot Bianco di dodici anni ha un colore giovanissimo, con toni ancora verdognoli; al naso è intrigante e complesso, con nette note minerali affumicate, ma anche susina e nespola, fiori bianchi, erbette di campo; la bocca è precisa, rotonda e tesa, è polposo a centro bocca, il finale è lunghissimo con ritorni di roccia ed erbette aromatiche. E.PIRA Chiara Boschis – Barolo Cannubi 2012 e Barolo Mosconi 2012 - Di questi due grandi Barolo colpisce la capacità di lettura del territorio: c’è, in modo quasi didattico, tutta la diversità delle espressioni del nebbiolo da Barolo nei terreni, tra loro eterogenei, di Barolo e di Monforte d’Alba. Il primo colpisce per l’elegantissimo olfatto pieno di fiori rossi, rosa e viola, e piccoli frutti rossi, in bocca il tannino è già piacevole, è tanta la freschezza del sorso, sostenuto da una presenza sapida continua; il secondo ha spezie, cenni agrumati (tamarindo, mandarino), tannino netto, fine, m anche austero; il finale è affusolato, minerale e molto lungo, appena caldo, ma decisamente umorale, caratteriale, territoriale. GRAVNER Ribolla Gialla 2008 - Bellissime erbe aromatiche, tè e camomilla, fieno e frutta gialla, sensazioni minerali affumicate; la bocca

ha grande freschezza acida, la macerazione è molto fine, il centro bocca è quasi salato, il finale è iodato, ficcante, continuo; un vino capace di mostrare come da sempre il vignaiolo Josko Gravner sappia interpretare il suo territorio con il vitigno più rappresentativo della zona. - Rosso Breg 2004 – E’ il Pignolo di Josko Gravner che esce dopo ben 12 anni dalla vendemmia. Un po’ contratto al naso, in bocca è profondissimo, ha volume e tannino potente, privo di amaro; nel bicchiere all’olfatto poi escono belle note di spezie, frutto rosso maturo, fiori macerati, tutti presenti nel ricco e lungo finale di bocca. PRANZEGG MARTIN GOJER Il Lagrein I.E.A. Quirein 2013 ha fini note floreali, bel frutto nero (mirtillo, mora), cenni balsamici, bocca pulita e precisa, con grande sapidità, tannino appena rustico ma piacevole, senza amaro. Di grande carattere territoriale la Schiava Campill 2013, da vecchie viti, con notevole presa sul palato, con un alternarsi di fiori e spezie, piccoli frutti rossi, non senza cenni terrosi ed umorali a dare originalità, ficcante e succosissimo il finale, per un vino di bevibilità inarrivabile. F.LLI TEDESCHI Amarone della Valpolicella Riserva Capitel Monte Olmi 2010 – Ad una complessità olfattiva fuori dal comune, con note affumicate, pepe, frutti rossi macerati, alternati a tabacco, roccia e pietra lavica, segue un assetto gustativo potente ed elegante: all’attacco è avvolgente, subito sapido, con centro bocca carnoso, finale ricco e lunghissimo, succoso e pulito, pieno di frutto rosso e sensazioni minerali.

PIAN DELL’ORINO Brunello di Montalcino 2010 – Naso classico con belle note terrose, humus, poi anche fiori rossi, in un impasto territoriale fedele interprete del sangiovese; grip tannica notevole in bocca, colpisce per sapidità e per carattere, che segnano il finale puro, minerale, complesso e rinfrescante. TENUTA SAN GUIDO Bolgheri Sassicaia 2013 – Grande complessità olfattiva, di estrema finezza, tra cenni vegetali e note balsamiche fresche e spezie fini, frutto nero elegante; la bocca è di grande equilibrio, colpisce il tannino, che è una carezza di puro velluto, e poi il sorso è tutto in progressione, in crescendo, con finale marino e succoso ed una scia sapida ineterminabile. MAZZONI Colline Novaresi Vespolina di Ricetto 2015 - Un vero vino quotidiano, goloso, godibilissimo, speziato di pepe elegante, con cenni freschi di piccoli frutti rossi, succoso e gastronomico, da bere “a secchiate”. Valorizzare la vespolina per quello che può dare, così piacevole e intrigante, piuttosto che in assemblaggio, in minima percentuale, nel Ghemme, è senz’altro una scelta vincente, per il piacere del consumatore e della tavola. il Sommelier | n. 4 - 2016

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di Gladys Torres Urday – gladys@torresurday.com

7 Soste sulla Strada della passione

Print Service di Pavia Editore – di Valerio Bergamini

Meraviglioso libro scritto da Valerio Bergamini sulla passione di sette produttori. Il testo nasce dalla fantasia, dai sogni e dall’entusiasmo di un uomo innamorato della vita e del modo di viverla con un raffinato senso del gusto, e dalla penna di uno scrittore che descrivendo il mondo del vino riesce sempre a trovare le parole in grado di stupire. Certo le soste non sono stazioni e la passione qui non è quella con la P maiuscola, ma il travaglio, pur parlando di vini (tanto), birre (abbastanza) e cibo (le altre 7 soste, giusto per arrivare a 14 + 1, ma forse il paragone è un po’ azzardato) c’è e si sente. E’ travaglio nel significato più bello di questo termine, quello di lavoro, di costruzione meditata in anni di spedizioni fuori porta, assaggi ed elucubrazioni nel bicchiere. La passione quindi è ben distribuita tra i due mondi, rivali e affini, di vino e birra. Naturalmente tutto è filtrato dallo sguardo dell’autore, che non racconta la loro storia, ma la sua lettura di questa, le emozioni provate nell’incontro. Allora più che una storia di vignaioli e birrai, questo libro si potrebbe definire come una narrazione di incontri.

Divino Andino: viaggi e assaggi all’ombra della Cordigliera Polaris Editore – di Francesco Antonelli

Il viaggio della vite per il mondo, e di conseguenza del vino, è come il viaggio dell’uomo. Si nutre del caso, degli incontri, di uomini visionari, grandi fallimenti, successi alle volte. È sempre di grande umanità. Francesco Antonelli è partito con questo istinto, con l’idea che la vite possa aver colonizzato un mondo nuovo senza il pesante bagaglio dell’esperienza. “Quando si viaggia da soli è un po’ come si viaggiasse con tutta l’umanità.”, scrive Antonelli. Ed è questa disponibilità a rendere questo viaggio memorabile. Ci troverete dentro le tappe enologiche importanti di quei paesi, ma soprattutto la gente del sud del mondo e l’atmosfera magica di un continente, quello sudamericano, che ci somiglia, ma è pieno di invenzioni e identità. Il vino è un pretesto, è come sempre l’anima di una trama che parla soprattutto di uomini.

Slow Wine 2017

Slow Food Editore – curatori della guida Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni

La guida ai vini più venduta d’Italia torna con una nuova edizione che racconta il nostro patrimonio vitivinicolo e ci parla di cultura, di storia e del lavoro di vignaioli e vignaiole: tutte cose che ci rendono un Paese fiero della propria tradizione agricola. Come ogni anno oltre 200 collaboratori hanno “camminato le vigne” di tutta Italia per raccontare questo tesoro unico, visitando una a una le aziende segnalate. L’edizione 2017 è all’insegna di due importanti novità. La prima è rappresentata dall’allargamento a est della guida con l’apertura alle cantine del Collio e del Carso sloveno. Inoltre pubblicheremo, e questa è la seconda, una lista essenziale dei 100 locali (enoteche, winebar, ristoranti e osterie) da non perdere in Italia dove acquistare e bere il vino. Una top list di grandissimo interesse per tutti coloro che sono alla ricerca di bottiglie interessanti a prezzi onesti. La Guida Slow Wine 2017 vede nuovamente la collaborazione di FISAR. il Sommelier | n. 4 - 2016

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di Luisella Rubin - Coordinatrice Nazionale Fisar in Rosa

Incontro con Letizia Cesani, vignaiola e Presidente del Consorzio della Denominazione San Gimignano Oggi le donne in Italia, nel vasto mondo del vino, rappresentano una realtà qualificata e consolidata e sono sempre più protagoniste nell’assunzione di ruoli di rilievo manageriale e professionale.

N

e è un valido esempio Letizia Cesani, produttrice, riconfermata presidente del Consorzio della Denominazione San Gimignano, dopo ben due mandati e impegnata sul rilancio

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dell’antico bianco toscano e del suo straordinario territorio, nel cuore della campagna Toscana in provincia di Siena. L’inizio del suo terzo importante incarico è coinciso con la

celebrazione dei 50 anni della DOC Vernaccia di San Gimignano,26 giugno 2016, primo vino in Italia ad ottenere la DOC nel 1966 e poi la DOCG nel 1993. È un vino estremamente interessante,


a tramandare la tradizione familiare che da sempre produce vino, mi hanno fatto tornare all’azienda paterna dove al di là degli aspetti commerciali ho deciso di occuparmi in prima persona della vinificazione cercando di concentrarmi nella produzione di vini di alta personalità capaci di esprimere la perfetta sintesi tra nobiltà di un vitigno antichissimo, valori familiari ed essenza del territorio: è un percorso che continua ancora adesso e che è diventato la mia vita.

Cosa l’affascina di più della sua attività? conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo.

Quale è stata la molla che l’ha spinta a produrre vino in questo particolare territorio? Quando all’università mi sono iscritta alla facoltà di Scienze Economiche e Bancarie non sembrava così ovvio che mi sarei occupata della produzione di vino! Poi il legame con la mia città, San Gimignano e la voglia di contribuire

La cosa stimolante di questo mestiere è che non si finisce mai di impararlo e che non c’è un giorno uguale all’altro: fare il vino significa per me cercare di dare espressione al frutto della vite rispettandone le caratteristiche senza stravolgerlo o forzarlo a diventare un vino che “piaccia al mercato” ed è in questa ricerca della vera essenza dell’uva di ogni singola annata che ci si scopre quasi “creativi”, ed è un aspetto che mi piace molto.

Esiste un’interpretazione femminile del vino? L’uva è una “materia prima” naturale che varia ogni anno a seconda dell’andamento stagionale, è quindi fondamentale la sensibilità personale del produttore per potersi adattare a trattarla come si conviene, credo che per fare un grande vino sia necessaria un’estrema sensibilità da parte del produttore, uomo e donna che sia, si tratta perciò di una qualità personale non legata al genere.

Ci parli della Vernaccia di San Gimignano, vino che ultimamente è stato rivalutato

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per la sua grande crescita qualitativa. La vernaccia di San Gimignano, primo vino DOC d’Italia, è un vino bianco secco, che vanta in Italia una lunghissima tradizione letteraria ricca di citazioni ed aneddoti e che si caratterizza per essere “un rosso vestito di bianco” che fa della sua complessità, longevità e finezza elementi straordinari per accompagnare il cibo a tutto pasto. Ottenuto da uno dei vitigno bianchi rari nel mondo deve la sua presenza a San Gimignano per la particolare composizione geologica di sabbie plioceniche ricche di fossili che sembra quasi contenuto nel vino che si contraddistingue per questa nota, iodata, salina: la vernaccia è l’espressione del mare preistorico che ricopriva queste terre, un bianco intrigante così antico ma ancora da scoprire.

Come Presidente donna alla guida di un Consorzio costituito prevalentemente da produttori maschi, ha incontrato qualche difficoltà nello svolgimento del suo incarico? In effetti sì, non è facile farsi accettare in ambienti dove i rapporti umani sono tendenzialmente impostati come rapporti di forza e supremazia; le donne sono sempre ben accette 56

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se rivestono ruoli di pubbliche relazioni, ma quando si parla di dirigenza o indirizzo politico….! I miei colleghi produttori mi hanno eletta e quindi hanno superato questo stato mentale, ma ogni volta che incontro un nuovo interlocutore a me viene sempre chiesto di dimostrare le mie capacità più di quanto si faccia con un collega uomo, ma le cose stanno cambiando e io con la carica che ricopro ne sono evidentemente un esempio.

Quali sono le qualità femminili, necessarie per emergere nel settore vitivinicolo, storicamente di impronta maschile? Passione, competenza e pazienza e i risultati arriveranno. Il maggior sforzo che dobbiamo fare è, a mio avviso, far comprendere agli uomini la differenza tra autorità ed autorevolezza, non rinunciando mai alla nostra femminilità.

Come intende rilanciare e promuovere la Vernaccia di San Gimignano, in una situazione di crisi economica come quella attuale? La nostra idea, che stiamo perseguendo dall’inizio del mandato e che sembra darci ragione visto che nonostante la crisi i numeri della Vernaccia sono stabili sia in termini di quote di mercato che di prezzi, è quella

di rafforzare la divulgazione del nostro vino convinti che più se ne capisce la particolare identità più lo si ama: lo faremo rafforzando i momenti di degustazione in italia ed all’estero e, ve lo anticipo in anteprima, inaugurando l’anno prossimo a San Gimignano presso La Rocca una struttura di didattica e promozione permanente tutta dedicata alla conoscenza della Vernaccia di San Gimignano.

Come immagina il futuro di questo vino sui mercati nazionali ed internazionali? Ho sempre delle visioni di medio termine e mai di breve, perciò il futuro che immagino per la nostra denominazione è quella di vederla tra dieci anni, rafforzata nella diffusione nei diversi mercati mondiali e finalmente adeguatamente remunerativa per i produttori che tanti passi in avanti hanno fatto in questi anni in termini di crescita qualitativa ed imprenditoriale.

Per concludere , cos’è il vino italiano oggi? Il vino italiano è per me un prezioso strumento in mano al sistema paese per diffondere i valori storici, artistici, umani dell’intera nazione nel mondo; il vino è e sarà uno degli elementi di riscatto in termini di reputazione e di crescita economica del nostro paese.


a cura Gladys Torres Urday – Fonte Ufficio Stampa Slow Food

Salone del Gusto Terra Madre 2016

Partecipazione, confronto e condivisione: insieme per voler bene alla terra Impeccabile il servizio dei Sommelier FISAR nei vari spazi dedicati al vino capitanati dal Responsabile Nazionale Massimo Marchi con Vincenzo Fragomeni nella veste di Capo Servizio.

«L

a scommessa di Terra Madre Salone del Gusto 2016 per Slow Food era principalmente politica, culturale, sociale: affermare che il buono, pulito e giusto è un diritto di tutti e tutti devono poter dunque essere partecipi. Condividere un forte messaggio anche attraverso la forza mediatica dell’evento, per raggiungere milioni di persone nel mondo: questo èvoler bene alla terra! E questa scommessa è ampiamente vinta, possiamo dire che sotto questo aspetto il successo è pieno, assoluto. L’edizione 2016 è una pietra miliare, come il 1998, quando ha esordito il Mercato e c’è stato un boom di visitatori al Lingotto, come il 2004, quando è nata Terra Madre. Come in tutti i numeri zero, ovviamente, c’è tanto da riflettere per il futuro. L’unica cosa certa è che niente sarà più come prima e che per il 2018 tutto potrà ulteriormente

evolvere, tanti sono stati gli stimoli e le sollecitazioni di questi cinque giorni». Queste le parole di Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, ripetute all’unisono dalle

ragazze e i ragazzi dello staff di Slow Food, in prima fila nei 18 mesi del cammino che ha portato alla realizzazione di Terra Madre Salone del Gusto 2016.

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Partecipazione. Questa è sicuramente la parola che meglio rappresenta questa prima edizione nel cuore di Torino. Tantissime le persone che hanno passeggiato nei luoghi dell’evento, incuriosite dai prodotti dei molti espositori italiani e stranieri e affascinate dalle storie dei 7000 delegati di Terra Madre arrivati da ogni parte del mondo. «La seconda parola è confronto: quello dimostrato dalle oltre 5000 persone che hanno partecipato ai dibattiti e alle Conferenze al Teatro Carignano su land grabbing, migrazioni, legalità e diritti», continua Pascale. «Altrettanti i visitatori seduti fianco a fianco con i nostri delegati nei Forum di Terra Madre, a testimoniare un rinnovato interesse verso le tematiche legate al cibo». E poi c’è la condivisione: «in 58

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moltissimi hanno partecipato ai nostri percorsi tematici dedicati al consumo consapevole di carne, alla biodiversità, hanno scoperto il mondo dei legumi e incontrato rappresentanti di popolazioni indigene dai cinque continenti». Più di 1600 gli incontri B2B nello spazio Food Mood in piazzale Valdo Fusi: la nuova formula in città limitava gli spazi professionali nel Mercato ma l’accostamento con la novità di Food Mood ha ampiamente coperto questa esigenza delle aziende espositrici. Altro obiettivo pienamente raggiunto dalla manifestazione è stata la possibilità data ai visitatori, agli stessi espositori, ai giornalisti e ai delegati di scoprire una città meravigliosa, con i suoi palazzi, i musei e il bellissimo centro storico. «La straordinaria partecipazione

dei cittadini a Terra Madre Salone del Gusto in questa prima edizione all’aperto, la qualità delle produzioni nei diversi stand, il favore con cui questa iniziativa è stata accolta anche sui media ci fanno parlare di una scommessa vinta, cui la Regione Piemonte è orgogliosa di aver partecipato. Ai cittadini sono stati proposti prodotti, realtà, situazioni sociali che normalmente non sono conosciuti; e una grande presenza, unica al mondo, delle Comunità di contadini, un messaggio politico molto forte per il futuro del pianeta. L’attenzione alla biodiversità e alla qualità del cibo è sempre più un patrimonio comune e riconosciuto. Di tutto questo Slow Food ha grande merito, con le nostre azioni e scelte proviamo a confermare e rilanciare questa ricchezza del nostro agroalimentare», hanno dichiarato il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino e l’assessore regionale all’Agricoltura Giorgio Ferrero. «La città di Torino ha aperto le porte alle migliaia di delegati da tutto il mondo e a tutti i visitatori con l’energia e lo spirito di accoglienza che da sempre la contraddistingue, anche ospitando i molti contadini arrivati in questi giorni, e siamo felicissimi che la risposta sia stata così entusiasmante. Siamo pronti a cominciare a lavorare sulla nuova edizione, per renderla ancora più bella e coinvolgere tutta la città in questo meraviglioso progetto», aggiunge Chiara Appendino, sindaca della Città di Torino. «Il vero lavoro comincia adesso – sottolinea Daniele Buttignol, direttore generale di Slow Food Italia -, questa edizione numero zero è una scommessa fatta due anni fa a cui pochissimi credevano.


Ora siamo felici di raccogliere i commenti positivi e i complimenti ma sappiamo, dal backstage, che c’è tanto da fare per l’edizione 2018. Come abbiamo detto a tutti i nostri interlocutori sin dall’inizio del cammino di questo nuovo progetto, coinvolgeremo chi ci ha accompagnato nella realizzazione di questa edizione anche nella fase di restituzione post evento. Partiremo dai ritorni degli attori più direttamente coinvolti (espositori in primis) e da quelli di chi ha avuto la pazienza e la generosità di accompagnarci nei lunghi mesi di costruzione della manifestazione. Tutto ciò costituirà la base di lavoro per il futuro. Ci sono già alcuni punti fondamentali da risolvere, prima fra tutti la sostenibilità economica dell’evento, a cui segue un ragionamento sui luoghi e gli aspetti organizzativi quali la logistica. Sempre avendo come stella polare la missione politica, sociale e culturale per cui Terra Madre Salone del Gusto esiste». «Ringraziamo i torinesi che sono stati una componente fondamentale di questo successo: chi ha partecipato e anche chi ha sopportato i disagi, certi di aver ripagato tutti quanti. Ringraziamo tutti quelli che hanno lavorato al buon esito di questo evento, dallo staff Slow Food ai tanti volontari, dai nostri fornitori e partner a tutti i collaboratori degli enti, delle istituzioni, dei corpi di polizia: una enorme comunità senza la cui generosità non sarebbe stato possibile tutto questo», conclude Pascale. Tra spettacoli teatrali e giochi per capire cos’è la biodiversità, oltre 1800 bambini e genitori hanno partecipato alle attività di Slow Food Educazione al Borgo medievale, insieme a 50 classi delle scuole.

Esauriti i posti agli appuntamenti su prenotazione (circa il 60% dall’estero), dai Laboratori del Gusto a quelli di Mixology, dalla Scuola di Cucina alle cene in città, tutti organizzati in alcuni tra i luoghi più caratteristici di Torino, da Palazzo Reale al Circolo dei Lettori. Presi d’assalto la Via del Gelato e del Miele, i Food Truck e l’Enoteca in Piazzetta Reale, per non parlare delle Cucine di strada e di BirraMurazzi, trasformatesi naturalmente nel punto di incontro di torinesi e non solo. Come sempre, uno dei pezzi forti degli eventi targati Slow Food è l’Enoteca, che in occasione di Terra Madre Salone del Gusto 2016 è stata realizzata in uno spazio di rara bellezza: il Polo Reale di Torino, che mette a disposizione del pubblico il Cortile d’Onore

di Palazzo reale. Camminando sotto i portici di questo storico edificio oltre 900 etichette italiane suddivise tra vini quotidiani e grandi vini, vini del Nord, del Centro e del Sud, un modo di percorrere un viaggio ideale tra le numerose etichette delle aziende che partecipano al “Progetto Vino” di Banca del Vino e Slow Food. Impeccabile, come sempre, il servizio dei Sommelier FISAR capitanati dal Responsabile Nazionale Massimo Marchi con Vincenzo Fragomeni nella veste di Capo Servizio. Insomma, Terra Madre Salone del Gusto è stato il primo passo di un cammino che vuole fare di questa manifestazione un luogo d’incontro e di dialogo, senza barriere ideologiche, politiche e materiali sul tema cibo. il Sommelier | n. 4 - 2016

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di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello Presidente Emerito F.I.S.A.R.

SALMONE MARINATO, UNA DELIZIA CHIAMATA

GRAVADLAX

Nato come metodo semplice di conservazione dei salmoni che si pescavano lungo i fiordi della Svezia, è oggi diventato un ricercato piatto di fama internazionale.

I

n Svezia la pesca dei salmoni è particolarmente abbondante in primavera e un tempo quelli che non si consumavano subito venivano inseriti in una profonda buca scavata nel terreno e poi ricoperti con un sottile strato di sale. I salmoni così trattati fermentavano e si conservavano abbastanza a lungo, prendendo però un gusto e un odore decisamente forti. Questa preparazione, il cui nome deriva dallo svedese gravad (fossa) e lax (salmone), è stata da sempre alla base dell’alimentazione di contadini e pescatori nel Nord della Svezia. Con il passare dei secoli questa ricetta con il salmone, una volta cibo “povero” per eccellenza, è diventata più raffinata, elaborata dai cuochi delle agiate case svedesi. La preparazione è molto semplice e prevede l’impiego dei filetti presi dalla parte centrale di un grosso salmone, diliscati ma con la pelle, cosparsi con sale grosso,

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zucchero, pepe, coriandolo e aneto e quindi di nuovo appaiati per ricomporre il pesce. I filetti vengono infine avvolti nella pellicola e lasciati in frigorifero per circa 36-48 ore, sotto un tagliere sul quale viene appoggiato un grosso peso. Trascorso questo

tempo, il salmone viene ripulito, affettato sottile e servito con una aromatica salsa agrodolce di senape. Il gravadlax è un ottimo antipasto ed è inoltre uno dei piatti principali dello smörgåsbord, il ricchissimo buffet svedese conosciuto in tutto il mondo.


Smörgåsbord, la tavola di acquavite Questo buffet ha origini antiche ed è nato in Svezia come tavolo di antipasti serviti in appoggio ad abbondanti libagioni di acquavite in attesa di mettersi a tavola. Probabilmente l’usanza deriva dai buffet allestiti per i matrimoni ai quali gli invitati contribuivano portando piatti preparati da loro. Il buffet moderno può essere gigantesco, con salmone fresco, affumicato e gravadlax e molte aringhe. Abbondano inoltre i piatti di preparazioni calde e fredde: zuppe, insalate, pesci, carni, verdure, frutta, dessert e molti tipi di pane. A Natale lo smörgåsbord prende il nome di julbord e i piatti disposti sulla tavola sono ancora più copiosi e ricchi.

L’abbinamento di Nicola Masiello E’ questo un pesce molto particolare che fin dalla nascita si porta dentro una vita tribolata, basti pensare alla sua risalita dei fiumi per deporre le uova, fonti di nuova vita, superando correnti tumultuose e rischi legati agli orsi che ne apprezzano le carni. Le carni sono classificate grasse ma con tanti omega3, ideale e completo per tutte le età. In cucina è molto versatile, si comporta egregiamente sia negli antipasti che nei primi e nei secondi piatti assecondando tanti sistemi di cottura. La proposta gastronomicala possiamo considerare una vera leccornia che, passando attraverso il metodo della” marinatura”, ci consegna un salmone” base “per tante preparazioni , soprattutto a freddo. In questo contesto la valutazione/analisi del piatto è riconducibile ad una pietanza di buona grassezza che può essere accompagnato da erbe aromatiche,s pezie,f rutta fresca o

secca o da basi acide . Per fare un buon abbinamento dovremo prendere in considerazione questi tipi di complemento del piatto ricordando che la parte grassa del pesce può essere apprezzata in maniera più o meno marcata secondo del tempo di marinatura: più lunga è la marinatura e più la sensazione di grasso viene attenuata . Prendiamo in considerazione tre tipologie di marinatura 1) Marinatura breve Si può accompagnare con vinegrette o citronette, panna acida o frutta fresca tipo kiwi, melone o pesca bianca acerba; in questo caso l’abbinamento gioca con vini bianchi ,con buona fragranza, di media struttura, rotondi ,con la parte acida vestita quali Malvasia Colli Piacentini Doc, ,Friuli Acquileia doc Pinot Bianco ,Frascati Doc, Oltrepo Pavese Riesling doc, senza disdegnare una bollicina metodo Charmat dal perlage fine ed olfattivamente riconducibile alle note di fruttato acerbo e/o acide del piatto. 2) Marinatura media Le fette di salmone si possono accompagnare con pepe fresco in chicchi sia rosa che verde, cristalli

di sale nero di Cipro sapido ma meno aggressivo di altri, timo fresco ed olio Evo in quantità generosa. Vini bianchi di struttura ,profumati anche di fiori gialli, fruttati, speziatura dolce, caldi, rotondi,con buona mineralità e persistenza di beva quali Cortese do Gavi Docg,Vernaccia di san Gimignano Docg, Falerno del Massico Doc Falanghina, senza escludere dei chiaretti del Garda o rosati ottenuti da salasso di uve a bacca rossa. Inoltre spumanti con perlage fine, fragranti , con note di lievito ,al gusto rotondi e sapidi, di lunga persistenza. 3) Marinatura lunga Si possono accompagnare al piatto scaglie di frutta secca, mandorle, pinoli ,qualche acino di uva passa,olio evo generoso ed una spruzzata di pepe macinato fresco. I vini da abbinare sono bianchi ,di buona persistenza aromatica ,con profumi evoluti, caldi e rotondi, di buona struttura e beva: Vermentino di Gallura Docg, Lacryma Christi Vesuvio Doc,Sciacchetrà Cinque terre Doc,rosati del Salento o del Bolgherese , Spumanti metodo classico di buona freschezza: Trento Doc, Reno , Alta langa Docg, Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg. il Sommelier | n. 4 - 2016

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a cura di Diletta Nobler

B.E.A. – Banco Etico

Agroalimentare Soc. Cooperativa Valorizzare e promuovere in Italia e all’estero le eccellenze enogastronomiche italiane e con esse i territori di origine e le aziende produttrici, dando così impulso costante allo sviluppo del settore agroalimentare e alla creazione di valore condiviso.

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a qualche anno si sta affacciando prepotentemente sul mercato Italiano ed Estero una nuova dinamica realtà tutta made in tuscany: B.E.A. Banco Etico Agroalimentare Soc. Cooperativa. Per conoscerne progetti e la chiave del loro successo siamo andati ad intervistare il suo presidente: Roberto Manetti.

Chi è B.E.A.? BEA nasce come Cooperativa di Servizi e Consulenze, per Ricercare - Certificare - Promuovere - Commercializzare le Aziende Agroalimentari, Vitivinicole e Olearie della Toscana e di tutte le Regioni 62

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d’Italia per soddisfare le nuove esigenze di commercializzazione nel mercato italiano ed estero. E’ inoltre un marchio italiano registrato

che assicura correttezza (BANCO), trasparenza (ETICO) e genuinità (AGROALIMENTARE) dell’eccellenza dei prodotti Made in Italy.


Come si entra a far parte della famiglia B.E.A.? Solo rispettando criteri di identità territoriale, alta qualità dei prodotti, attenzione verso le persone che vi lavorano, mostrando rispetto per la terra e per l’ambiente in cui operano si può entrare nella famiglia B.E.A. Sono questi infatti gli elementi chiave che diventano sinonimo di “un’eccellenza corretta e consapevole” da portare con orgoglio sulle tavole d’Italia e del mondo.

Quale è la Mission? Valorizzare e promuovere in Italia e all’estero le eccellenze enogastronomiche italiane e con esse i territori di origine e le aziende produttrici, dando così impulso costante allo sviluppo del settore agroalimentare e alla creazione di valore condiviso.

E la Vision? Recuperare e conservare le tradizioni produttive e culinarie locali combinandole in modo armonico e innovativo con una cultura d’impresa vocata alla sostenibilità e alla responsabilità sociale per giungere finalmente al “nuovo rinascimento del gusto” attraverso l’esperienza sensoriale di sapori unici.

Sono solo belle parole o siete già operativi? Ad oggi hanno aderito al nostro progetto 63 aziende agroalimentari toscane, ma puntiamo a triplicarne il numero entro dicembre 2018. Grazie ad uno staff giovane e dinamico, costituito da professionisti di alto profilo con competenze e capacità diverse e complementari, capace di coordinare le aziende aderenti al progetto e una società partner operante nel settore dei trasporti e specializzata in logistica integrata, riusciamo a presentarci con forza

sul mercato italiano ed estero. Siamo infatti presenti in molte regioni d’Italia, in particolare in Toscana, Lombardia, Lazio e Marche, all’estero lavoriamo già costantemente con Germania, Austria, Francia e Lussemburgo. Infine abbiamo numerosi progetti in essere con Inghilterra, Giappone, Cina, Stati Uniti, Canada e Columbia.

Ci sono nuovi progetti anche in Italia? L’ultimo Progetto è nato in collaborazione con Serge, uno spin-off dell’università di Siena e la possibilità di realizzarlo è divenuta oggi concreta grazie alla vittoria di un P.I.F. con cui abbiamo ottenuto i fondi per la realizzazione. Ma veniamo al progetto, il nostro obiettivo è quello di far rivivere i grani antichi. Senatore Cappelli, Gentil Rosso, Verna, Frassineto sono solo alcuni nomi di questi grani, oggi sconosciuti ai più, ma che erano ben vivi nelle agricolture dei nostri nonni. Questi grani, non avendo subito modificazioni genetiche conservano elevate qualità nutritive aromi più complessi ed intensi. Ne derivano quindi prodotti non solo più ricchi di nutrienti e digeribili rispetto a quelli che utilizzano la farina bianca raffinata, ma anche capaci di prevenire malattie quali il diabete, il colesterolo e l’obesità. L’idea su cui si basa in nostro progetto è semplice: I nostri produttori piantano grani autoctoni in terreni controllati e naturalmente fertili, e lasciano che la Natura faccia il resto. In questo modo riusciamo a salvare la biodiversità e contribuire alla diffusione di un modello agricolo più sostenibile e a conferire alla produzione dell’agricoltore un maggior valore

aggiunto, attribuendogli una più marcata caratterizzazione. Il progetto B.E.A in Toscana mira alla riscoperta e coltivazione, tesi a svolgere un ruolo didatticoinformativo e a creare nuove filiere all’insegna dell’agricoltura naturale impegnandosi anche in un lavoro di miglioramento genetico. In un mondo sempre più globalizzato consente al consumatore la massima trasparenza sull’origine e la qualità del prodotto, frutto dell’antica sapienza contadina.

Un ultima domanda. Quale è il vostro rapporto con i Social? Oggi il mercato viaggia ad una velocità elevatissima e i consumatori sono continuamente bombardati informazioni, offerte, e super sconti. Attraverso il nostro e-commerce e le nostre pagine social il messaggio che vogliamo far passare è quello dell’eccellenza, vogliamo che i nostri clienti siano in grado di riconoscere e scegliere il vero Made in Italy, e dargli gli strumenti per rifiutare le vantaggiose offerte continuamente proposte dall’Italian Sounding. il Sommelier | n. 4 - 2016

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QUALITY NEWS Vini del Po, la rinascita della Fogarina di Gualtieri Dieci cantine e due rive, una emiliana e una lombarda, per far conoscere prodotti tipici e particolari come i vini del medio corso del Po, quelli nati da vitigni radicati nelle sabbie alluvionali del fiume più grande ed enologicamente più sorprendente d’Italia. Sono gli ingredienti della rassegna “I vini del Po”, andata in scena nella sua prima edizione sabato 29 ottobre al Museo Po 432 di Boretto (Reggio Emilia) tra incontri, degustazioni e una performance teatrale dedicata al protagonista di giornata. Sotto i riflettori nel convegno pomeridiano la Fogarina di Gualtieri, vitigno simbolo del legame tra viticoltura e grande fiume e che a inizio Novecento arrivava a coprire quasi l’80% della superficie totale coltivata nelle zone di Gualtieri, Brescello e Boretto, grazie alla sua forte capacità di adattamento ai terreni golenali. A illustrare proprietà e potenzialità della Fogarina è stato Mauro Manini, responsabile commerciale della Cantina di Gualtieri, realtà che all’inizio degli anni 2000 ha avviato un importante progetto di recupero del vitigno scomparso nel corso del secolo scorso, arrivando a proporne oggi due intriganti interpretazioni: un frizzante rosé dai profumi e sapori fragranti e un goloso vino passito ideale per un fine serata tra amici. CANTINA SOCIALE DI GUALTIERI www.cantinasocialegualtieri.it

Medaglia d’oro per Colletto al mondiale dei vini di montagna Calici in alto per l’azienda agricola biologica Colletto di Adrara San Martino, che alla 24esima edizione del concorso internazionale “Mondial des vins extrêms” dedicato ai vini di montagna conquista la Medaglia d’oro con il Bergamasca Rosso Igp “Colletto Rosso Barrique” 2009. La competizione, organizzata dal Cervim (Centro di ricerca, studi, salvaguardia, coordinamento e valoriz-

zazione per la viticoltura di montagna), ha visto gareggiare 738 vini provenienti da 16 diversi stati. Obiettivo del concorso è valorizzare la migliore produzione vitivinicola portata avanti ad alta quota, in scenari spesso “eroici”. A conquistare la giuria di esperti sommelier nella categoria dei vini rossi sono stati proprio i profumi intensi e complessi di frutta rossa, confettura, erbe aromatiche e spezie del Colletto Rosso Barrique 2009, un blend di Cabernet Sauvignon e Merlot che riposa per 24 mesi in botti di rovere prima di affinare in bottiglia. Dal gusto pieno e appagante, è impreziosito da tannini vellutati e un finale piacevolmente persistente. “I nostri vigneti si trovano a oltre 450 metri di altitudine – raccontano i titolari Graziana e Duilio Picchi – su terrazzamenti in forte pendenza dove spesso è possibile lavorare solo manualmente. Sono condizioni ambientali difficili ripagate dal microclima di questa zona, capace di conferire grandi aromi e personalità ai nostri vini”. AZIENDA AGRICOLA COLLETTO www.collettoagribiorelais.it

DiVento: il vino “sostenibile e solidale” delle Donne della vite Con DiVento, vino “sostenibile e solidale”, che le Donne della Vite hanno realizzato nella vendemmia 2016, l’Associazione apre le porte alla solidarietà per condurre le bambine di strada di Nairobi in un nuovo luogo, più sicuro, che offra loro alternative e opportunità. Con il ricavato della vendita di DiVento, circa 1.200 più alcune magnum, la onlus Amani sosterrà il progetto della Casa di Anita (www.amaniforafrica.it/cosa-facciamo/casa-di-anita). La struttura accoglie bambine, traumatizzate dalla strada e spesso


QUALITY NEWS dall’abbandono o dalla violenza familiare, cresciute in bande randagie nella miseria di sterminati slums. “Il vino non è buono a prescindere, ma per la storia che racconta e non si ricorda solo per le sue caratteristiche organolettiche – sottolinea Valeria Fasoli, presidente delle Donne della Vite - Ecco perché spero che DiVento, che aiuterà le bambine di strada di Nairobi, venga raccontato e ricordato”. DiVento è stato prodotto con attenzione particolare alla sostenibilità, per tecniche agronomiche, vinificazione e packaging, realizzato con materie prime rinnovabili e riciclabili, grazie all’impegno delle Donne della Vite e di chi ci ha creduto mettendo a disposizione materiali, servizi e professionalità (VCR Vivai Cooperativi Rauscedo, Cantina Tuscania, Enoplastic, Enovetro, Nomacorc Italia, Lallemand Italia, Ovis Nigra, Isvea, Promuovere). “DiVento annata 2016 – racconta Alessandra Biondi Bartolini, tra le fondatrici delle Donne della Vite – sarà un bianco aromatico. Seguendo il mosto che diventava vino e sentendone i profumi, ho capito che per aiutare le bambine africane a recuperare la leggerezza dell’infanzia, DiVento non poteva essere che così: fresco, intenso e profumato”. È possibile acquistarlo con un’offerta minima di 10 euro su www.donnedellavite.com

In febbraio a Venezia la IX edizione di Gusto in scena® Il 12 e 13 febbraio 2017 prenderà il via la nona edizione di Gusto in Scena ancora sotto il segno della salute. Proseguirà infatti il percorso intrapreso da qualche anno da Marcello e Lucia Coronini su “La Cucina del Senza®”, senza grassi, sale o zucchero aggiunti. Il prestigioso evento si svolgerà come sempre a Venezia e sarà ancora alla Scuola Grande San Giovanni Evangelista che è il laboratorio di idee da dove è partito il grande successo di questa straordinaria cucina che coniuga il piacere della tavola con la salute e che ha portato i suoi due ideatori a rappresentare l’Italia durante la “Settimana mondiale della Cucina Italiana” svoltasi alla fine di novembre nei saloni dell’ENIT a Francoforte alla presenza del Console generale d’Italia. Inoltre prosegue il

successo del libro di Marcello Coronini “La Cucina del Senza®” edito da Feltrinelli-Gribaudo e giunto, dopo soli sei mesi dalla sua presentazione alla Fiera del Libro di Torino, alla seconda edizione con oltre 11.000 copie vendute. Il libro fornisce le regole che sono alla base di questo nuovo stile alimentare con suggerimenti per sostituire senza problemi questi tre ingredienti che sono essenziali per la nostra alimentazione, ma che, utilizzati in eccesso, diventano negativi e presenta ricette semplici e facili da realizzare, gustose e saporite senza l’aggiunta di sale, grassi e zucchero. Appuntamento quindi a febbraio con i quattro eventi che compongono la manifestazione: il “Congresso di Alta Cucina”, che vedrà sul palco grandi cuochi stellati, maestri pasticceri e pizzaioli, “I Magnifici Vini”, con oltre 200 etichette italiane ed estere in assaggio e “Seduzioni di Gola”, eccellenze gastronomiche selezionate. In parallelo, nella città lagunare si svolge “Fuori di Gusto” con ristoranti e grandi alberghi che offrono menù in linea con le regole della Cucina del Senza®. www.gustoinscena.it

La Regola inaugura la nuova cantina Vini biologici, energia pulita e paesaggio le parole d’ordine del grande progetto. Due anni di lavori per realizzare la nuova cantina del Podere La Regola, la prima azienda a produrre i vini sin dalla sua nascita nel 1990 a Riparbella in Val di Cecina, a nord di Bolgheri, a pochi passi dal mare. Questa storica etichetta da tempo si è fatta portavoce di un messaggio che riecheggia sulle colline della Costa degli Etruschi “Territorio, Natura, Uomini: da questo nascono le nostre “Regole”. Una frase che racchiude in pieno lo spirito della Cantina alla quale si è aggiunto un nuovo elemento che condensa e racchiude il senso degli altri: l’Arte. La cantina, totalmente ecosostenibile e alimentata con energia pulita, è immersa tra i filari di un appezzamento di proprietà di circa 10 ettari di vigne (in totale l’azienda conta 20 ettari di vigneto ed a breve effettuerà l’impianto di altri 5 ettari). La sua inaugurazione rappresenta un punto di arrivo, a livello fisico, ma anche di partenza per la famiglia Nuti. Ad impreziosire la cantina l’arte di Stefano Tonelli che ha trasformato la barricaia in una grande sala da museo, un affresco che richiama gli Etruschi e il cosmo; un modo per vivere l’arte nel luogo eletto in cui


QUALITY NEWS il vino è nel pieno della sua trasformazione. Un’opera, quella di Tonelli, che è solo l’inizio del percorso artistico che il Podere La Regola vuole tracciare; sono già in fase di ideazione nuove installazioni che arricchiranno l’esterno della cantina, così da creare un vero e proprio luogo di meditazione artistica alla ricerca dell’umanità che cresce e si sviluppa anche attraverso la vite ed il vino in tutte le loro fasi di lavorazione. PODERE LA REGOLA www.laregola.com www.poderelaregola.it

Malvasia, Perera, Verdiso, Moscato, Chardonnay, Glera e Traminer creano un connubio tra la forza d’animo femminile, richiamata dal bouquet complesso e deciso del vino, e il rispetto silenzioso per la famiglia e il lavoro, raccontato dal gusto morbido e vellutato, quasi misterioso. Mineralità e sapidità, sfumature floreali e leggeri sentori di frutta bianca gli conferiscono un carattere fresco e giovane. Intrigante al naso, raffinato e sfuggente in bocca, questo vino regala un brivido di sensualità. COMITATO GRANDE GUERRA www.prolocosanpietrodifeletto.it

Due vini per non dimenticare Sapori, storia e cultura lungo la Grande Guerra la strada della Romagna “Grande Guerra: la coscienza della conoscenza” è un progetto di Comune e Pro Loco di San Pietro di Feletto(TV) in cui la memoria affianca la ricerca di uve che hanno segnato la storia della locale viticultura. Un valore interpreta le quattro annualità dell’iniziativa e si lega ad un vino in edizione limitata, la cui etichetta nasce dalla mano di un artista, diverso di anno in anno. Nel 2015 compare “Ardore Patrio”, un bianco tranquillo che include Bianchetta, Perera, Verdiso, Pinot Bianco, Riesling, Chardonnay e Prosecco, tipologie un tempo diffuse nelle terre del Feletto. Tali varietà, opportunamente tagliate, coniugano l’ardore della gioventù, trasferito nel vino dalla sua acidità, col sentimento patriottico affidato al gusto. Complesso e deciso al palato, Ardore Patrio sprigiona un’emozione che persiste e lascia un ricordo gentile e vellutato. “Forza Silenziosa” è invece il blend del 2016.Esprime il valore di quelle donne che con forza, caparbietà e silenzio gestirono famiglia e lavoro.

Vini dal forte legame con il territorio, tesori d’arte e di storia, prodotti tipici capaci di rendere unica una terra: anche per le prossime festività la Strada della Romagna proporrà le proprie eccellenze alle migliaia di enoturisti che sceglieranno la provincia di Ravenna come meta delle loro vacanze o di una gita fuoriporta. Articolata in tre diversi itinerari – la Via del Sangiovese, la Via del Sale e la Via delle Pievi – la Strada dei vini e dei sapori collega tra loro luoghi di particolare fascino storico e artistico, dalla Faenza rinascimentale e neoclassica con le sue note ceramiche al suggestivo borgo medievale di Brisighella e a Riolo Terme, stretta attorno alla sua antica rocca, proponendo di volta in volta cibi e vini fortemente caratteristici. Tra questi c’è il Centesimino, vino rosso semiaromatico che trova la sua culla di sabbie e argille a Oriolo dei Fichi e per il quale è stato avviato il riconoscimento dentro la DOC Romagna. Tra le otto realtà che oggi producono questo vino merita una visita la cantina e agriturismo La Sabbiona (via di Oriolo 10, Faenza), che con il suo Ravenna Igt Centesimino 2014 ha conquistato la medaglia d’argento ai Decanter World Wine Awards 2016. Da provare anche la versione con uve appassite “Giulia” e lo spumante rosé “Bellavita” che ben rendono la grande versatilità del vitigno. STRADA DELLA ROMAGNA www.tenutacasali.it


di Laura Maggi, Segretario Nazionale FISAR, segretario.nazionale@fisar.com

La Segreteria Nazionale comunica

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FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI

RISTORATORI

Siamo pronti per nuovi successi.

V

orrei iniziare con un ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile il successo del Congresso Nazionale di Firenze e della prima edizione di Vinoè. Un importante risultato raggiunto grazie all’impegno e alla passione della Giunta Esecutiva, dei Consiglieri Nazionali, dei Delegati e dei Soci. Sono certa che lo stesso entusiasmo ci accompagnerà anche nel 2017 e ci guiderà nel raggiungimento di nuovi obiettivi. Un ringraziamento particolare va ai dipendenti della Segreteria Nazionale, Carlo, Patrizia, Giovanni, Paolo e Alessandro per aver collaborato in modo professionale ed efficace ai nuovi progetti del Consiglio Nazionale e per avermi supportato durante il mio primo anno da Segretario Nazionale. Gli uffici della Segreteria Nazionale sono aperti anche durante le festività natalizie e di inizio anno, periodo di rinnovo del tesseramento FISAR, per lavorare all’emissione delle tessere 2017 che, nella nuova veste grafica progettata da Alessandra Maccanti vincitrice del concorso Progetta la Tessera FISAR, arriveranno a tutti i Soci accompagnate dalla prestigiosa guida Slow Wine 2017.

Per tutte le attività in programma nei prossimi mesi la Segreteria Nazionale aggiornerà i Soci con le circolari e con la FIS@R News. Con piacere vi comunico che il prossimo numero della nostra rivista (…. quello che verrà distribuito al prossimo Vinitaly di Verona) sarà dedicato al 44° Congresso Nazionale – Vinoé di Firenze con la copertina a Lorena Lancia della Delegazione di Milano quale Miglior Sommelier Fisar 2016 – Trofeo Rastal! A tutti i Soci auguro un buon Natale e un nuovo Anno sereno e ricco di soddisfazioni.

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In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni Notizia inviata da Marcello Carrabino della Delegazione FISAR L’Aquila

LA VIA DELLE CANTINE 2016: UN SUCCESSO DOC!

A

nche quest’anno a Rocca di Botte grande successo e larga partecipazione di pubblico per la rassegna enogastronomica “la Via delle Cantine” giunta quest’anno alla sua 12° edizione. L’iniziativa si è confermata come una delle più valide del territorio ed è divenuta un orgoglio della Delegazione FISAR L’Aquila che ne cura l’organizzazione. Il convegno sulle nuove frontiere del vino dal titolo: “Naturale, biologico, biodinamico, vegano… le nuove frontiere dell’enologia made in Abruzzo.” ha aperto la manifestazione. Molti ed importanti i relatori intervenuti: Marcello Masi ex direttore del Tg2, il vinosofo Franco D’ Eusanio della cantina Chiusa Grande, il sindaco di Rocca di Botte Fernando Marzolini, il

Consigliere regionale Maurizio Di Nicola ed il delegato Fisar Marcello Carrabino. Il dibattito, coordinato da Enzo D’Urbano dell’ufficio di Presidenza Borghi Autentici, si è svolto alla presenza di un attento pubblico che è stato invitato a riflettere sulle nuove frontiere del vino: biodinamico, naturale, vegano, che ormai appartengono alla realtà del mondo enologico e non sono più solo “moda”. Al convegno inoltre, si è parlato di Abruzzo, qualità, certificazioni, degustazioni innovative, ma anche di emozioni e del “piacere” della degustazione, inteso in senso dannunziano. “Si è trattato di un autentico successo dovuto alla novità della proposta che ha visto un’offerta all’insegna della qualità culturale nel rapporto cibo-vino, tra i quali voglio citare quelli della

cantina “Italo Cescon” della nostra Graziella Cescon e quelli sardi della Cantina Monti. L’incremento delle presenze lo ha confermato - dichiara entusiasta Marcello Carrabino, delegato Fisar L’Aquila – e l’edizione di quest’anno sarà ricordata come una delle più entusiasmanti. Un ringraziamento sincero va a quanti hanno contribuito all’organizzazione ed ai sommelier Fisar che hanno saputo servire ed illustrare i vini con la solita professionalità”.

Notizia inviata dalla Delegazione FISAR di Livorno

ALLA FISAR LIVORNO: CENA A TEMA PER AMATRICE

C

ome ogni anno, dopo le prime lezioni del Corso di Primo Livello per Sommelier che inizia a settembre, la Delegazione FISAR di Livorno ha organizzato la cena “per farli conoscere”: una serata pensata e realizzata per far conoscere ed incontrare i nuovi soci corsisti tra loro ma soprattutto con i “vecchi” soci e sommelier. Ma questa volta, giovedì 13 ottobre 2016, l’evento ha avuto principalmente la finalità 68

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di raccogliere fondi per la città di Amatrice, distrutta a fine agosto dal terremoto. Naturalmente, i piatti della serata non potevano che essere a tema, per essere ancora più vicini al territorio colpito dal sisma. Ecco quindi i vari crostini o bruschette laziali, i saltimbocca alla romana, il cazzimperio (una sorta di pinzimonio di sedano, carota, finocchio, peperone, in olio, sale e pepe), i fagioli con le

cotiche, e naturalmente la pasta all’amatriciana, preparazione che dal paese di Amatrice è divenuta bandiera del Lazio in Italia e dell’Italia nel mondo, con il guanciale offerto dalla norcineria Battaglia. La cena è stata realizzata interamente dai “Cuochi-FISAR” della Delegazione: alcuni soci, sommelier e consiglieri di Delegazione (compresi Delegato e Segretario) che, dopo


aver frequentato i corsi della Associazione Cuochi Livornesi (affiliata alla Federazione Italiana Cuochi), hanno creato un affiatato gruppo di lavoro per le cene

conviviali, le lezioni di abbinamento del corso per sommelier, le degustazioni. Dal ricavato della cena sono pertanto stati inviati € 2.000,00

all’associazione “Amatrice Siamo Noi”, su indicazione del Delegato della FISAR L’Aquila, Marcello Carrabino.

Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO

GENIO E SREGOLATEZZA NEL VINO CON WALTER MASSA

D

ifficile definirlo: molto più che vignaiolo ed enologo, Walter Massa è un istrionico ed eclettico interprete della viticoltura moderna: figura leggendaria nel mondo vitivinicolo, nemico di ogni forma di burocrazia e sempre controcorrente, è l’artigiano del vino unanimemente considerato padre putativo del Timorasso, pioniere della riscoperta di questo interessante vitigno, nonché artefice del rilancio di un intero territorio, quello dei

Colli Tortonesi. Abbiamo avuto il piacere di incontrare questo intraprendente vignaiolo nel corso della Degustazione organizzata da FISAR Milano lo scorso 30 settembre durante la quale Walter si è generosamente raccontato spiegandoci come negli anni ’80 abbia intuito le potenzialità del Timorasso, vitigno autoctono a bacca bianca del Tortonese, e abbia insistito caparbiamente per coltivarlo sperimentando tecniche diverse in cantina. Dopo i primi due

vini introduttivi, il Derthona 2014 e 2012 (con mineralità spiccata e note di idrocarburo che ricordano il Riesling), abbiamo degustato una verticale del suo Cru, il Costa del Vento delle annate 2010, 2008, 2007, 2005 con il sentore di idrocarburo che, col tempo, si va ad attenuare a vantaggio di un naso più elegante e profumi più amalgamati, sensazioni che sono ben espresse da uno dei celebri aforismi di Massa: “Il Timorasso si deve bere quando il suo colore verde si fonde con l’oro come nella bandiera do Brasil”. Ci siamo congedati con una degustazione di Croatina (2008, 2006, 2003 e 1999) che, da sempre uva da taglio, Massa è riuscito a nobilitare. Abbiamo così potuto apprezzare una ricca degustazione di 10 vini che rispecchiano la sua filosofia in qualità di viticoltore ed enologo.

Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO

L’ALTO ADIGE DIPINTO IN BLAUBURGUNDER

I

n Alto Adige i vigneti si estendono tra i 200 e i 1.000 metri di quota lungo i versanti

che costeggiano i fiumi Isarco e Adige, fino alle piane soleggiate della Bassa Atesina. Qui, su

terreni formati in prevalenza da detriti calcarei e a quote medio-alte, il Pinot Nero riesce a esprimere tutto il proprio potenziale dando vita a vini strutturati che si distinguono per

il loro profumo intenso di bacche rosse, di spezie e di violetta. La degustazione organizzata lo scorso 20 ottobre da FISAR Milano in collaborazione con IDM Sudtirol, ha messo a confronto il Sommelier | n. 4- 2016

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ben 12 eccellenze di Pinot Nero dei tre principali territori altoatesini accompagnando i calici con speck, formaggio e schüttelbrot. L’introduzione sul vitigno e i territori, nonché la degustazione guidata dei vini, è stata appassionatamente condotta dal docente Pierluigi Gordini. Partendo dalle zone a nord di Bolzano, intorno a Terlano e Merano, con i Pinot Nero minerali, eleganti, con buona acidità e un frutto leggero, abbiamo poi attraversato il cuore dell’Alto Adige vinicolo, l’Oltradige e il lato destro della Bassa Atesina (zona che gode di un clima temperato favorito dalla vicinanza del lago di Garda), dove le note fruttate più mature sono emerse nettamente. Abbiamo

infine raggiunto l’altopiano di Mazzon, una sorta di terrazza naturale di circa 80 ettari dove sussistono le condizioni ideali per produrre Pinot Nero di statura internazionale tanto che oggi questa zona è considerata la

Côte d’Or d’Italia, roccaforte del Pinot Nero: qui i vini sono maturi, rotondi e i tannini setosi. L’intero incasso di questa piacevole serata è stato devoluto alle vittime del terremoto che ha colpito il Centro Italia negli scorsi mesi.

Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO

VISITA NEL CANAVESE INSEGUENDO “LA LUCE DELL’AURORA”

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ià noto in epoca romana come Alba Lux (Luce dell’Aurora), il nome Erbaluce deriva dal colore che assumono gli acini in autunno: i riflessi rosati e caldi si fanno, infatti, più intensi e ambrati nelle parti superiori esposte alla luce, in particolare nel momento in cui inizia a sorgere il sole che li colpisce con i suoi raggi. Siamo andati ad approfondire la conoscenza di questo vitigno lo scorso 15 ottobre a San Giorgio Canavese in provincia di Torino, nel corso di una visita didattica organizzata da FISAR Milano. Francesco Orsolani, titolare dell’omonima Cantina, ci ha accolto raccontandoci la storia dell’azienda che, nata nel 1894, oggi

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rappresenta un punto di riferimento per la produzione di Erbaluce (il loro Erbaluce Passito fu addirittura servito al Presidente degli Stati Uniti d’America nel 2007 a Roma durante un pranzo ufficiale) con un occhio attento alla sostenibilità e alla rinuncia all’uso della chimica. Dopo aver degustato una triade ben rappresentativa dei vini Orsolani (Cuvée Tradizione Caluso Spumante DOC 2011, La Rustìa Erbaluce di Caluso DOCG 2015 e il Sulé Erbaluce di Caluso Passito DOC 2009), una passeggiata tra i caratteristici filari a pergola ha aperto la visita all’Azienda Agricola Cieck. Nata nel 1985 come piccola casa spumantiera, nei suoi 16 ettari Cieck oggi coltiva uve Erbaluce,

Barbera, Nebbiolo e Neretto di San Giorgio, raro vitigno autoctono di pregio per il quale la Cantina sta attuando un progetto di recupero e valorizzazione proponendolo anche in versione Brut Rosé. La degustazione si è chiusa in bellezza con un Erbaluce di Caluso Alladium Riserva DOC Passito 2004 da uve selezionate lasciate maturare in bottiglia per almeno 10 anni.


Notizia inviata da Paola Cappellini della Delegazione FISAR DI PRATO

PRATO FESTEGGIA I NEO SOMMELIER

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iovedì 7 Luglio, in una calda serata estiva sono stati consegnati gli attestati ai 16 nuovi Sommelier della Delegazione di Prato. L’evento ha avuto luogo nella splendida cornice de “La Limonaia di Villa Rospigliosi” e precisamente nel suo suggestivo giardino all’italiana, circondato da limoni secolari, che fanno di questo luogo un ambiente unico ed

irripetibile. Il raffinato ristorante, noto per la sua cucina di alta qualità, ha proposto un buffet ricco di squisiti antipasti per proseguire poi con tortelli di pasta fresca ai crostacei con nero di seppia, una superlativa tagliata di tonno con caponatina in agrodolce e per finire un cremoso alle pesche nettarine e crumble alla vaniglia. Ad accompagnare i piatti, i vini della storica Azienda Mosnel,

situata a Camignone di Passirano, nel cuore della Franciacorta : Franciacorta Brut, Franciacorta Brut Rosé, Franciacorta Brut Satén 2011. Presenti alla serata i componenti del Consiglio della Delegazione oltre ai membri della Fisar: Sig.ra Marinella Bozzola, Filippo Franchini e Massimo Marchi. Guidati con professionalità e passione dal direttore di corso Monalda Cerfeda , hanno ricevuto il diploma ed il tastevin : Bardi Simona, Baroni Francesco, Bartolozzi Carla, Benedettini Matteo, Castagnoli Fausto, Conti Matteo, Costanza Calogero, Di Blasi Giancarlo, Di Blasi Vito, Laschi Alberto, Lombardi Olivia, Mazzeo Christian , Nardi Marzia, Priami Elena, Tosti Simone e Vinattieri Alessio. Che sia per piacere o per professione auguriamo ai nuovi Sommelier di continuare a percorrere con passione “le infinite strade del vino” . Congratulazioni a tutti.

Notizia inviata da Gionni Bonistalli della Delegazione FISAR di PRATO

SCARPERIA WINE

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ella stupenda cornice del palazzo de’Vicari nel paese medievale di Scarperia (Fi) uno dei cento borghi più belli d’Italia, i giorni 7-8 Maggio 2016, la Fisar di Prato ha organizzato un bellissimo evento su una denominazione in crescita, Chianti Rufina. Rufina è tra le più piccole ed omogenee specificazioni geografiche del

Chianti , ad oggi sono 600 gli ettari vitati. Il territorio di produzione si apre alle porte di Firenze, dove le colline toscane abbracciano le ultime propaggini dell’Appennino. Da un punto di vista geologicoclimatico, si può dire in generale che a caratterizzare la zona del Chianti Rufina sono le alte colline, terreni calcareo-marnosi, e un clima più rigido rispetto alle

altre zone vitivinicole toscane. Il consorzio è composto da 20 produttori, denominazione molto sfaccettata, dove i diversi stili e le diverse interpretazioni portano a risultati molto diversi. Traendo le conclusioni, dalle due giornate, quello che è saltato all’occhio è la grande personalità, la struttura e lo spessore di questi vini, soprattutto con le riserve, capaci il Sommelier | n. 4- 2016

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di invecchiare per decenni. Durante la manifestazione, oltre ai banchi d’assaggio, si è tenuta una degustazione di nove Chianti Rufina riserva, guidata dalla miglior sommelier d’Italia Fisar, Anna Cardin, che ha incantato la

platea con leggerezza e maestria. I vini presentati erano nove Riserve, appunto per dimostrare la longevità di cui godono i vini Chianti Rufina, ed erano datate dal 2012 al 1995. In ordine, le aziende erano: Frascole, F.lli

Bellini, Il Balzo, Lavacchio, I Veroni, Il Trebbio, Colognole, Selvapiana e Marchesi Gondi Tenuta Bossi. L’intenzione è quella di riproporre eventi simili, per far conoscere le piccole realtà della zona.

Notizia inviata da Raffaella Grassone della Delegazione FISAR di Vercelli e Novara

A GATTINARA CONSEGNA DEGLI ATTESTATI AI NEO SOMMELIER

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iovedì 7 Luglio a Gattinara, presso l’Osteria “La Brioska” alla presenza del sindaco Daniele Baglione e del Consiglio di Delegazione, sono stati nominati nuovi sommelier: Silvia Alloero, Samantha Angelino Giorset, Daniela Calefato, Valentina Casagrande, Andrea Corrias, Ivana Cottura, Simona Cristiano, Rossella Fassio, Enrico Gambarini, Emanuele Gregorio, Simone Macchioni, Maurizio Mazzuchetti, Fabrizio Medina, Nicodemo Panetta, Sara Riccheldi, Massimo Sella. Tema della serata il Metodo Classico prodotto con uve Durella della Società Agricola Fongaro di Roncà (VR), presentato dal titolare Matteo Fongaro. Uva autoctona coltivata in regime biologico che ben si esprime poiché dotata di grande freschezza, acidità, predisposizione ai lunghi affinamenti sui lieviti, senza

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dimenticarne la mineralità ed eleganza. Interessanti oltre alla DOC Lessini Durello gli altri uvaggi dei V.S.Q. prodotti dall’azienda (Durella e Incrocio Manzoni, Durella e Chardonnay). I Consiglieri presenti nelle persone di Simone Antonietti, Paolo

Baltaro, Monica Limina e Corrado Pasqualin, hanno ringraziato tutti i soci e sommelier presenti. Un grazie particolare ai sommelier di servizio e a Pietro Mascazzini titolare del locale nonché sommelier Fisar, per la consueta ospitalità.


®

di Laura Maggi - Segretario Nazionale, segretario.nazionale@fisar.com FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI

RISTORATORI

Essere Socio F.I.S.A.R. vuol dire: usufruire di tanti vantaggi nel mondo enogastronomico Associarsi alla Federazione

non è mai stato così facile! Le modalità per aderire al tesseramento sono indicate sul sito

www.fisar.org La quota sociale

per l’anno 2017 è di €

70,00

Ricevere la rivista di enogastronomia e turismo

Partecipare a condizioni vantaggiose alle cene, alle degustazioni, agli eventi.

Usufruire di sconti e omaggi nelle maggiori manifestazioni enogastronomiche nazionali (Vinitaly, Salone del Gusto, Slow Cheese, Slow Fish, ecc.).

Usufruire di sconti in locali convenzionati in tutta Italia (Ristoranti, Enoteche, Cantine, Agriturismi, ecc.).

“il Sommelier”.

Con il tesseramento 2017 in OMAGGIO la prestigiosa edita da Slow Food Editore in collaborazione con F.I.S.A.R.

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Periodico Trimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/03 conv. Legge n. 46 del 27/2/04 art. 1, comma 1, Aut. MBPA/CN/P/0006/2016

Rivista di enologia, gastronomia e turismo - Anno XXXIV n. 4 - 2016

Anno XXXIV - Numero 4 - 2016 - Dir. Resp. Roberto Rabachino - Reg. Trib. Pisa n. 21 del 15.11.1983 - Lg. 47/1948

L’anima

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Giuseppe Martelli Presidente Comitato Nazionale Vini – MIPAAF

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