IL GRANDE GATSBY
DALLA CARTA ALLA PELLICOLA
IL VECCHIO E IL MARE
UN MARE DI LETTERATURA
LO SCANDALO MANET ARTEGGIAMENTI
CLEOPATRA LE ALI DI ISIDE ETTORE MAJORANA DOMANDA. PERCHÈ?
E MOLTO ALTRO ....
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INDICE
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INTRODUZIONE Un mare di letteratura Un libro..un sorriso Echoes Dalla carta alla pellicola Metti un...classico moderno a cena Scorci dal mondo incantato The horror! The horror! Chiacchierando con Libri vintage Romantico inchiostro Il gabinetto del dottor Lamberti News from the English Library Discover the cover L'angolo degli esordienti-emergenti La bacheca dello scribacchino Le ali di Iside Frammenti vagabondi e scaglie di natura Feel Music ...E azione! Arteggiamenti Domanda. PerchĂŠ? Memorie di viaggi Phil e Sophia INDICE CONTATTI
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INTRODUZIONE
ari lettori e lettrici, finalmente Eclettica – La voce dei blogger ha preso vita, che emozione! Ora vi starete chiedendo, cos’è Eclettica? Non la definirei propriamente una rivista, ma più una sorta di “blog in pdf”.
Molti saranno gli argomenti trattati. La nostra Claudia ci parlerà del rapporto tra mare e letteratura, proponendoci “Il vecchio e il mare” di Hemingway. Vi farete grandi risate, con la simpaticissima Vanessa che recensirà per voi “Fermate gli sposi” di Sophie Kinsella. Fabiana e Lidia invece ci parleranno di autrici nostrane: la prima si occuperà di Amabile Giusti e dei suoi romanzi, invece la seconda di Katherine Keller, pseudomino di Patrizia Zinni e Angela Contini. Facciamo poi un salto nel passato con Roberto che recensirà “Alèxandros” di Valerio Massimo Manfredi e Francesca che ci presenterà il mondo orientale, debuttando con un articolo su Cleopatra. Viaggeremo con Priscilla e Fabiana, che ci porteranno rispettivamente in Irlanda e a Copenaghen. Sarà poi il turno di Daniela, che ci parlerà di “Il grande Gatsby” di Fitzgerald e della sua trasposizione cinematografica. Classici, o meglio, romanzi di una volta, e classici del futuro: ecco di cosa si occuperanno rispettivamente Lucy e Paola. Parleremo di scienza, e in particolare di Ettore Majorana, con Clara, e di filosofia con Mirko. Lo stesso Mirko ci terrà compagnia con altre due rubriche: “Feel the music” e “E..azione”. Conosceremo meglio Tiziana Iaccarino grazie all’intervista di Roberta, e guarderemo nel dettaglio due opere di Manet con Cristina. Antonio si occuperà di una rubrica dedicata ai romanzi rosa, e ci parlerà di “Tutto ciò che sappiamo dell’amore”, proponendoci anche un estratto. Loredana e Giuliano si occuperanno del lato dark dei libri, occupandosi rispettivamente del genere horror e thriller\giallo. Non solo libri italiani, ma anche libri non ancora tradotti in Italia: Loredana nella sua rubrica “News from the english library”, vi presenterà “The clockwork scarab”, la cui copertina sarà poi approfondita da Elisabetta. Infine, grazie a Mary, avremo dei consigli utili per quanto riguarda l’inizio della stesura di un romanzo. Ecco, questa è Eclettica. Prima di lasciarvi alla lettura, ringrazio mia sorella Chiara che si è occupata della veste grafica e dell’impaginazione, tenendo conto di tutte le richieste, e tutti coloro che hanno deciso di intraprendere quest’avventura con me.
Giovanna Samanda Ricchiuti
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UN MARE DI LETTERATURA Ernest Hemingway – “Il vecchio e il mare”
“Un mare di letteratura” è il nome di questa rubrica che si occuperà di tutti gli autori che hanno utilizzato il mare come protagonista o sfondo nelle loro opere. Romanzi, poesie, autori moderni e meno moderni, sono i protagonisti di questo “angolo di paradiso”, come lo definisco io. Spero di lasciarvi incantati ma ,soprattutto, spero di incuriosirvi. Per iniziare alla grande, ho deciso di parlarvi di un romanzo che ho letto questa estate : “Il vecchio e il mare” di Hemingway. TITOLO: Il vecchio e il mare AUTORE: Ernest Hemingway EDITORE : Oscar Mondadori PREZZO : 9.00 Euro
TRAMA: Il romanzo, ambientato nelle isole caraibiche, narra la storia di un vecchio pescatore di nome Santiago, sempre rintanato nella sua capanna, affiancato dal suo apprendista, Manolin, al quale i genitori, tuttavia, ordinano di non imbarcarsi più con il vecchio ma di scegliere pescatori migliori. Manolin continua comunque ad avere fiducia nel vecchio che considera suo maestro oltre che amico. Santiago decide di prendere il largo da solo, riuscendo a far abboccare all’esca un gigantesco marlin, lungo mezzo metro in più della sua barca. Tre giorni e tre notti, durante i quali Santiago, si mantiene mangiando altri pesci pescati . Le riflessioni sulla vita, sulla pesca, non mancano. Alla fine il Vecchio riesce ad uccidere e legare il pesce tenendolo in acqua ma il suo rientro al porto è molto sofferto a causa dei pescecani che divorano tutto il marlin bianco, lasciandolo sfinito e sconfortato solo con il ricordo di essere riuscito a pescare un gigantesco pesce. Giunto alla sua capanna, Manolin corre subito a prestargli soccorso e a prendergli un caffè. Il ragazzo gli riferisce, inoltre, che d’ora in avanti torneranno a pescare insieme. Il morale di Santiago, dopo questa notizia, è decisivamente risollevato.
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“Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce.” Inizia così il romanzo dello scrittore statunitense Ernest Hemingway, intitolato Il vecchio e il mare, pubblicato per la prima volta sulla rivista Life nel 1952. E’ la storia di un vecchio, Santiago, che decide un giorno di affrontare l’immenso mare senza il suo apprendista Manolin.
“Il vecchio aveva insegnato a pescare al ragazzo e il ragazzo gli voleva bene." Il racconto di un uomo, ormai vecchio, con le rughe disegnate in volto, ma con gli occhi del color del mare. Un uomo ormai sconfortato, demoralizzato, avvilito, ma pieno di coraggio. Tanto coraggio ha quest’uomo in corpo, che decide di avventurarsi da solo per mare, senza il suo fidato Manolin. Decide di affrontare la Natura, il mare in questo caso, e tutte le sue insidie. Ama il mare, lo affronta combattendo alla stregua delle sue forze con il marlin gigantesco. Vive il mare, Santiago.
E’ un romanzo che ti fa stare con il fiato sospeso. Ma non mancano le riflessioni : Santiago rappresenta l’uomo pieno di forza di volontà, coraggio , che, consapevole dei rischi, decide di unirsi a ciò che ama di più : il mare. Durante la sua avventura, o “disavventura positiva” come la definisco io, Il Vecchio cerca di sopravvivere, perde la sua preda, divorata dagli squali. In quel momento non ha più nulla se non quelle poche forze ormai che gli rimangono per sopravvivere. Ma è in tutto questo che Santiago stringe una fratellanza con le forze incontenibili della natura. Diventa un essere unico con il mare. Possiamo quindi dire che nel romanzo è presente un chiaro richiamo al panismo, ovvero la fusione con la natura. Il Vecchio ne esce sconfitto, ma arricchito. Leggere questo libro è stato, per me, come affrontare un viaggio. Un viaggio dentro me stessa. La lotta con l’enorme pesce è come se rappresentasse il coraggio che troviamo ogni giorno per affrontare i problemi che la vita ci mette davanti. La vita intesa come natura. Pur rispettandola, accettandola, se ne esce più forti e con un’altra forza d’animo. Una forza d’animo, forse, più cosciente. E’ difficile capire cosa abbia voluto dirci Hemingway
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con il suo romanzo. “L'uomo può essere ucciso, ma non sconfitto”. Io ho la presunzione di cercare una lezione morale alla fine di ogni lettura, che a volte c’è e a volte non c’è. In questo caso? Non so. Può anche essere che Emingway abbia voluto parlare solamente di un vecchio, e della sua passione per il mare. Passione per il mare insieme al rispetto della natura e dei suo esseri che la vivono. Insomma, il premio Pulitzer( vinto nel 1953) e il premio Nobel (vinto nel 1954), vinti proprio grazie a questa magnifica opera, non mi ha deluso. Consiglio a tutti di leggerlo. Possibilmente, con l’immensa distesa d’acqua davanti a voi.
A cura di claudia risi
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Un libro… un sorriso
Sophie Kinsella – “Fermate gli sposi” Matrimonio, divorzio o paura di restare soli? La Kinsella ce lo spiega con un sorriso. Benvenuti nell’angolo del sorriso. Perché del sorriso? Semplice, ci dimentichiamo spesso, presi dalle corse giornaliere, di ridire e divertirci. Un libro non è solo spunto di riflessione e svago ma può tramutarsi in un vero cabaret, divertendoci. E io amo ridere e amo quel pizzico di follia che rende la vita ancora più magica e gustosa ed eccomi qui con la mia rubrica UN LIBRO… UN SORRISO.
TITOLO: Fermati gli sposi. AUTORE: Sophie Kinsella EDITORE: Mondadori (Collana Omnibus) PAGINE: 379 PREZZO EDIZIONE CARTACE: 20,00€ (non proprio anticrisi, si trova a 17€) PREZZO EDIZIONE DIGITALE: 9,9€ (follia!) TRADUTTORE: Bertante P. (non sarà mica colpa sua se non ho riso?) TRAMA: Sarà una luna di miele molto strana... Lottie non vede l’ora di sposarsi. Con
l’uomo giusto, naturalmente: non ne può più di lunghe relazioni con fidanzati che sul più bello non se la sentono di impegnarsi davvero. E così quando anche Richard, che lei è convinta stia per farle la tanto attesa proposta, la delude, decide su due piedi che è ora di passare all’azione e accetta di convolare a nozze con Ben, un flirt estivo conosciuto per caso su un’isola greca molti anni prima e che lei non ha mai più rivisto. Ben si è appena rifatto vivo, e basta una cena per far scoccare nuovamente la scintilla tra i due: perché perdere tempo in inutili preparativi? Presto! Ci si sposa in quattro e quattr’otto e via per un’indimenticabile luna di miele nel luogo che ha visto nascere il loro amore. Ma non tutti la pensano così: Fliss, la sorella di Lottie, e Lorcan, il socio in affari di Ben, sono contrarissimi e preoccupatissimi. Bisogna intervenire subito. I due sabotatori partono all’inseguimento dei neosposi che devono essere fermati a tutti i costi, prima che avvenga l’irreparabile... Le conseguenze saranno disastrosamente comiche per tutti. Con Fermate gli sposi! Sophie Kinsella firma una nuova, spumeggiante commedia romantica, in cui non mancano le sue proverbiali trovate condite da un pizzico di sesso e da un insuperabile senso dell’umorismo.
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Cari lettrici e lettori, questo primo numero vede come protagonista della rubrica “un libro… un sorriso” l’ultima opera dell’autrice Londinese Sophie Kinsella: Fermate gli sposi. Non potevo non inaugurare la rubrica con quest’autrice che in un modo o nell’altro mi ha sempre strappato un sorriso. Ho sempre apprezzato le sue storie e appena uscito il libro sono corsa ad acquistarlo. Il titolo preannuncia da subito qualcosa di diverso. Fermate gli sposi ci fa capire che abbiamo una coppia che convola a nozze ma che forse non dovrebbe. Appena sfogliamo le pagine ci accorgiamo che la Kinsella ha deciso di dare un nuova impronta al suo stile, non più una sola, ma bensì due punti di visita. Lottie e Fliss due sorelle che non potrebbero avere vita più differente. Lottie è in cerca dell’amore eterno, del matrimonio e dei figli. Non le piace perdere tempo, odia i fidanzamenti che non conducano a nulla ed è per questo che quando Richard le annuncia di doverle dire qualcosa d’importante, “una domandona”, lei si aspetta una proposta di matrimonio a tutti gli effetti. Purtroppo non va così e la protagonista si ritrova, dopo anni di relazione, a dover ricominciare la sua ricerca da capo. Il problema è che Lottie non è capace di affrontare le delusioni di cuore
con un bel pianto liberatorio ma bensì cela il dolore, lo oscura e si immerge in progetti folli o compie gesti affrettati. La sua trovata sarà il matrimonio. Ben, un’ex fiamma con cui ha vissuto a Ikonos in Grecia durante il suo anno sabatico, ritorna e, senza troppi preamboli, preda di una crisi di mezz’età, pieno di responsabilità a causa della morte del padre, la chiede in sposa. Lottie dal canto suo non aspetta altro che sposarsi e mettere su famiglia e non ci pensa molto a pronunciare il fatidico “sì”. Fliss è la sorella maggiore, divorziata e con un figlio. Conosce i pro e i contro di un matrimonio, il dolore del divorzio, soprattutto quando questo è difficile. La gestione di un figlio piccolo, Noah, da mandare avanti e a cui non far pesare una situazione che la sta distruggendo. È la parte ragionevole, che non si lascia trasportare dal sentimento troppo presa dalla catastrofe di una famiglia distrutta. Vede il mondo dall’alto della sua esperienza e quando Lottie la chiama annunciandole il suo matrimonio non capisce subito che non stanno più parlando di Richard, consolidato fidanzato, ma bensì di un nuovo uomo. La verità arriva presto e la sconvolge. Non riesce a immagine reazione peggiore alla rottura della relazione con Richard. Fliss immagina già il
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divorzio, il dolore di restare sola e i sogni romantici di sua sorella infranti e non riesce a sopportarlo. Decide di convincere la sorella a non sposarsi, fa leva su tutte le sue fantasie romantiche sino a farle credere che la decisione di rimandare il matrimonio è sua. Ma Ben sconvolgerà tutti i piani dopo aver parlato con il suo amico, Lorcan, e in un impeto di galanteria, o forse di follia, raggiunge Lottie al lavoro ricreando quasi a perfezione la scena del film “generale gentiluomo”. Capiamoci, quale donna potrebbe resistere a un rapimento in piena regola da parte di un uomo che ti prende in braccio senza spaccarsi la schiena riuscendo addirittura a uscire in grande stile dal luogo di lavoro? Presumo nessuna o quasi. Sposati in gran segreto partono per la loro luna di miele su un’isola la stessa dove hanno passato il loro anno sabatico di sesso e amore folle, un amore che secondo loro non si è mai spento dopo ben quindici anni. Più che una luna di miele si ritrovano in una prigionia atta a non far consumare ai due novelli sposi il matrimonio. Trappola organizzata da Fliss per tutelare la sorella. Le scene sono sicuramente divertenti, ne succedono di tutti i colori ma questa volta la Kinsella non è riuscita a trascinarmi, non è riuscita a farmi fare una bella e grassa risata. Ho
arrancato tra le pagine cercando di lasciarmi andare, di immedesimarmi eppure ciò non è avvenuto. Forse i due punti di vista che volevano spezzare la scena, invogliare il lettore a scorrere le pagine più velocemente, hanno avuto l’effetto opposto o forse la Kinsella in questo libro ha perso la sua verve comica. Di sicuro manca quel pizzico di romanticismo, di comicità, di sorpresa che ha sempre inserito nei suoi precedenti romanzi. Sicuramente era interessante mostrare due sorelle diverse, con due approcci alla vita differenti, aspettative di vita e di coppia totalmente contrastanti ma questo libro non brilla come i precedenti. È come un aeroplano che resta sospeso a mezz’aria senza mai decollare del tutto, anzi a volte pare ci sia un’avaria ai motori. Che dire, speriamo che la Kinsella torni a sorprenderci con la sua comicità. Ovviamente non vi svelo il finale, è un buon libro per una lettura estiva o forse anche per l’inverno che presto busserà alla nostra porta. Kinsella, Kinsella ci vediamo al prossimo libro. Sperando di esservi stata d’aiuto vi auguro di continuare a sorridere anche senza un libro. A CURA DI VANESSA VESCERA
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ECHOES
Valerio Massimo Manfredi – “Alèxandros” Echoes, echi da un passato lontano… Uomini e donne che hanno fatto la storia, ma prima di tutto l’hanno vissuta. Un loro gesto o una loro parola hanno contribuito a costruire il mondo nel quale viviamo. Ricordare eventi e date non dev’essere noioso, anzi. Ripercorrere le tappe che ci hanno portato qui oggi sarà piacevole e magnifico al tempo stesso. Uno sguardo al passato per sorridere al futuro.
TITOLO: Alexandros AUTORE: Valerio Massimo Manfredi EDITORE: Oscar Mondadori PAGINE: 967 PREZZO: 15,00€ TRAMA: Conquistò un impero enorme, toccando i confini del mondo allora conosciuto. Ma chi era davvero Alessandro, il giovane re macedone considerato un dio dai suoi contemporanei? Questa trilogia ci porta nel cuore della sua avventura: dall’infanzia, segnata dall’assassinio del padre Filippo, al patto di sangue con i più fedeli compagni; dai presagi sul suo grande destino fino alla conquista dell’Asia, un’impresa impensabile per un greco del IV secolo a.C. Lo vediamo marciare, combattere, amare. Lo accompagniamo nello svolgersi di una vita irripetibile e favolosa. E siamo con lui quando il suo sogno sembra infrangersi di fronte al termine del viaggio, al confine estremo della terra.
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Un grande condottiero… Alessandro Magno. Alessandro Il Grande. Un bambino comune, un esserino che corre e gioca con i suoi amici. Un infante che non sa cosa gli riserverà il futuro. Qualcosa di enorme, di fantastico, di glorioso… Alessandro Il Macedone. Ben presto le corse infinite sarebbero divenute colpi di spada, le sterminate pianure si sarebbero tramutate in sconfinati campi di battaglia e le urla di gioia sarebbero divenute urla di dolore e disperazione... Crescere di fianco a suo padre, il re, temuto e rispettato da tutti. Un esempio, un uomo da ammirare, da emulare. Un valido amico. E il suo primo, vero, avversario. Che fosse stata una semplice discussione o una lotta sanguinaria, sarebbe stato lo stesso. Doveva batterlo, per elevarsi al rango che gli competeva. L’avrebbe messo al tappeto, a tutti i costi. La prima prova della sua vita. E, in un certo senso, la più difficile. Quella che gli avrebbe donato più gioia. Ma anche un dolore infinito. I primi addestramenti sarebbero stati i più duri. Ogni avversità sarebbe stata sconosciuta, Alessandro non aveva le conoscenze necessarie per affrontare le sfide che gli si proponevano ogni giorno. Ogni nuova alba sarebbe stata una benedizione, per lui. Un giorno, sulla sua strada, incrociò
Leptine. Che farne? Troppo giovane per essere la sua amante, troppo tenera e ingenua per abbandonarla al suo destino crudele di schiava. O peggio. Così la fece divenire la propria ancella personale. Appena adulto, probabilmente, le avrebbe chiesto molto di più. Lo avrebbe preteso. Magari con la forza del suo corpo, o forse con la lucentezza della sua anima. Una semplice amante o la donna da amare? Lei come avrebbe visto Alessandro? Come l’ennesima imposizione, oppure… In ogni caso l’avrebbe servito, l’avrebbe seguito, l’avrebbe adorato. E probabilmente amato. Fino alla fine. Poche altre persone sarebbero state così importanti per lui, nel corso della sua breve vita. Efestione, il suo migliore amico, e anche qualcosa di più. Un’amicizia vera, un’amicizia che andava oltre il sesso, le donne, la ricchezza. Un legame indissolubile, un filo rosso che nemmeno il destino, con la morte dell’amico, è riuscito a spezzare. Un amico che non lo tradirà mai, nemmeno dopo la morte. E poi il suo fido cavallo, Bucefalo, compagno di tante avventure. Mille e più battaglie hanno visto molte vite arrendersi al destino, ma Alessandro e Bucefalo le avevano vinte tutte, perdendo sangue e soldati, ma non ciò che li legava. Aveva doma-
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to Bucefalo quando ancora era un ragazzino. Più che domato, forse, era stata una specie di simbiosi, un legame che si era creato tra quel ragazzo straordinario e un animale che voleva essere libero e domato al tempo stesso. Rossane, la donna che incontrerà una volta partito per le sue conquiste. Una donna che lo costringerà a scelte ben precise, scelte che avranno ripercussioni gravi sulla sua vita… E ancora i suoi fedeli amici, e anche i suoi cari nemici. Le donne, amanti o meno, che incontrerà nella sua strada, che lo ameranno, odieranno, vezzeggeranno… Amori fisici, amori dell’anima, comunque amori che sconvolgeranno la vita di Alessandro… Una vita dedicata a creare il suo futuro, la sua grandezza, il suo mito… Purtroppo ogni storia, piccola o grande che sia, deve giungere alla propria conclusione… Una fine che farà entrare Alessandro nel mito ma, soprattutto, nei vostri cuori… Valerio Massimo Manfredi non ha certo bisogno di presentazioni. Archeologo, conduttore televisivo seguitissimo e grande scrittore italiano. Una passione tramutata in lavoro, un lavoro che svolge nel migliore dei modi. Le sue non sono parole, sono forme geometriche che
escono dalle pagine e designano attorno a voi lo scenario che sapientemente descrive. Percepirete l’odore del sangue, la sabbia dei campi di battaglia, le urla di disperazione di Alessandro per la perdita delle persone amate. Attenzione, però, devo avvertirvi: una volta iniziato il libro, lascerete perdere lavoro, amici e fidanzate per seguire le gesta del nobile Alessandro. Come spiegare altrimenti il fatto d’aver letto la trilogia completa in pochi giorni? Appena avrete i proverbiali cinque minuti, vi tufferete nell’assolata Macedonia, nell’impervia Asia e in tutti i luoghi che la vita metterà sul sentiero di Alessandro… Forse molti di voi avranno visto il film con Colin Farrell, e faranno confronti tra il libro e la pellicola. Forse sarò poco originale, ma quando si fa questo tipo di confronto, di solito la pellicola ne esce con le ossa rotte… Poche, pochissime sono state le eccezioni, come nel caso de “La storia infinita”, “I pilastri della Terra” o “Dune”, chiaramente la trasposizione di David Lynch. In questo caso, nonostante il film sia fedele alla storia, il risultato è nettamente a favore della versione cartacea. Un cast stellare composto da Colin Farrell, Angelina Jolie, Val Kilmer, Jared Leto e altre stelle
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di prima grandezza capitanate da Oliver Stone, ben poco ha potuto contro la penna e la sapienza del nostro Valerio Massimo Manfredi. Una storia magnifica, scritta in maniera eccezionale. Anzi, piÚ che scritta oserei dire narrata, perchÊ sentirete sul serio i dialoghi di Alessandro, le grida del campo di battaglia e le parole d’amore che giungeranno da e per Alessandro. Un coinvolgimento totale che accetterete ben volentieri, ore ben spese mentre leggerete le gesta di questo proverbiale condottiero. Da leggere e assaporare. Avidamente.
A CURA DI ROBERTO BALDINI
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DALLA CARTA ALLA PELLICOLA Il grande Gatsby
L’incubo di tutti i lettori è la trasposizione di un romanzo in pellicola cinematografica!! Non sempre il risultato è all’altezza dell’opera originale e raramente supera le nostre aspettative. Ma allora è vero che è sempre meglio il libro del film?
Il 16 maggio di quest’anno è uscito nelle sale “Il grande Gatsby” di Baz Luhrmann, tratto dall’omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald del 1925. Nel web, e non solo, in molti hanno commentato sia il libro che il film; dividendosi, giustamente, tra chi lo ha amato e chi lo ha odiato. Quindi ho deciso di rispolverare questo grande romanzo, per poter dire anch’io la mia a riguardo.
» IL LIBRO Il giovane Nick Carraway, voce narrante del romanzo, si trasferisce a New York nell’estate del 1922. Affitta una casa nella prestigiosa e sognante Long Island, brulicante di nuovi ricchi disperatamente impegnati a festeggiarsi a vicenda. Un vicino di casa colpisce Nick in modo particolare: si tratta del misterioso milionario Jay Gatsby, che abita in una casa smisurata e vistosa, riempiendola ogni sabato sera di invitati alle sue stravaganti feste. Feste alle quali lui non si
AUTORE: Francis Scott Fitzgerald EDITORE: Mattioli
PAGINE: 180
PREZZO: 15.90€
fa vedere, alimentando così numerose leggende sul suo passato e presente. Dall’altra parte della baia vive la cugina di Nick, Daisy, bella e superficiale, sposata con Tom Buchanan, nobile d’origine, arrogante e con un debole per le donne. Nick viene catapultato nell’accattivante mondo dei super-ricchi, tra le loro illusioni, amori ed inganni. Egli è conquistato da Gatsby e da tutto ciò che gli ruota attorno, diventando suo mal grado testimone e complice dell’amore tra quest’ultimo e Daisy.
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Bellissimo romanzo in cui Fitzgerald, in modo poetico e romantico, racconta la decadenza del sogno americano attraverso gli occhi di Nick. Il mito americano si decompone pagina dopo pagina, mantenendo tutto lo sfavillio di facciata, ma mostrando anche il ventre molle della sua fragilità. Proprio come andava accadendo all’autore stesso, ex casanova ed ex alcolizzato alle prese con il mistero di un’esistenza ormai votata alla dissoluzione finale. Infatti, Fitzgerald fa parte della così detta “generazione perduta” di scrittori (come James Joyce e Ernest Hemingway), che in quegli anni si accingevano a cambiare per sempre la letteratura. Leggendo questo libro si viene catapultati nei ruggenti anni venti, caratterizzati da jazz, luci, party, belle auto, vestiti da cocktail, proibizionismo, delinquenza e dubbia moralità. Jay Gatsby è un personaggio affascinante, ricco e sicuro di sé, ma allo stesso tempo misterioso e oscuro; di lui si sa poco e la curiosità viene alimentata dalle leggende che gli aleggiano intorno. È l’ultimo dei romantici: disposto a tutto per riconquistare l’amata Daisy; al punto che, lo stesso Fitzgerald, ci fa credere fino in fondo nel detto “il fine giustifica i mezzi”. Convinzione che si sgretola verso la fine del romanzo
in cui si capisce che l’amore di Gatsby per Daisy si basa più sui ricordi e sull’immaginato che sulla realtà, diventando così vittima del suo sogno: poter rivivere il passato. I suoi affari illeciti e la sua condotta non del tutto immacolata, intaccheranno alla fine il suo desiderio di riavere la sua amata. Daisy è superficiale, egoista e vuota. In realtà non ama Jay, ma preferisce la stabilità che la ricchezza del marito Tom le da; per questo non è vittima indifesa del suo matrimonio, ma complice consapevole di suo marito. Di tutto questo Nick, narratore ed osservatore, è il primo ad accorgersene ed è anche l’unico e solo a rimanere accanto a Gatsby alla fine di tutto. Una leggera, e immediata, antipatia va a Tom Buchanan. Anche lui superficiale ed egoista come la moglie; probabilmente innamorato di Daisy, anche se non lo dimostra dato i frequenti tradimenti, o forse solo legato alle apparenze e disposto a mantenere la facciata di una “felice” famiglia borghese.
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IL FILM « REGISTA: Baz Luhrmann ATTORI: Leonardo Di Caprio, Carey Mulligan, Tobey Maguire, Isla Fisher, Joel Edgerton DURATA: 143 minuti quando si tratta di sfarzo, luccichii, colori e feste (ricordiamo tutti “Moulin Rouge” del 2001, diretto da lui, vero?). Le feste a casa di Gatsby sono caotiche, lucenti e colorate, sono l’emblema del lusso e del divertimento sfrenato. In ogni scena è evidente lo stile che caratterizza questo regista in tutte le sue splendide produzioni. I cambiamenti adottati nel film sono I simboli fondamentali nel libro, minimi e percepibili solo se si ha cioè il faro verde, il cartellone del letto il libro, ma probabilmente in- dottor T. J. Eckleburg e la valle deldispensabili per il fluire della storia le ceneri, appaiono anche nel film sul grande schermo. in tutta la loro importanza. In parPrima grande scelta di Baz Luhrticolare, osservando il cartellone mann è l’aver trasformato pubblicitario, si può notare il tributo Nick nello stesso autore del roche Baz ha voluto fare alla copertimanzo: con problemi di alcolina della prima edizione del romansmo, depressione e il periodo passa- zo. to in sanatorio. Questo aiuta molto Chiunque abbia letto il libro sa che la narrazione di tutto il film attrain tutte quelle pagine non c’è mai verso la voce di Nick/Fitzgerald. un dialogo tra Daisy e Gatsby e, inLe ambientazioni sono riprodotte fatti, in molte scene del film lo spetal meglio. Luhrmann non ha paura tatore vede chiaramente che i due
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amanti stanno parlando, ma non può sentire cosa si dicono. Tutti gli attori reggono bene i loro ruoli, tranne forse Carey Mulligan, la quale interpreta una Daisy un po’ più debole e vittima di quanto invece non lo sia nel libro. Di Caprio se la cava egregiamente nei panni di Jay Gatsby, i suoi sguardi verso Daisy sono da pelle d’oca; e ancora una volta si conferma uno dei più bravi attore della sua generazione. Per quanto riguarda la colonna sonora, a me non dispiace il tono R&B/Rap che viene dato alle canzoni, sebbene non siano coerenti con il periodo storico, si adattano molto bene alle scene. Costumi e gioielli sono assolutamente splendidi e mi aspetto che, almeno per questo, venga candidato agli Oscar del 2014. Da non dimenticare, e quindi da guardare, un’altra famosa trasposizione cinematografica de “Il grande Gatsby” cioè quella del 1974, diretta da Jack Clayton, con Robert Redford nei panni di Jay Gatsby e Mia Farrow in quelli di Daisy; per poter vedere le similitudini e le differenze tra le due opere e l’interpretazione diversa dei personaggi da parte degli attori.
Personalmente il mio Gatsby, immaginato mentre leggevo il libro, assomigliava di più a Robert Redford, ma anche Leonardo Di Caprio non mi dispiace.
A cura di daniela mionetto
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METTI UN… CLASSICO MODERNO A CENA Pascal Mercier – “Treno di notte per Lisbona” Questa rubrica nasce per abbattere il pregiudizio nei confronti della letteratura moderna e contemporanea, spesso disprezzata a causa – probabilmente – della facilità con cui un libro può ottenere una pubblicazione presso case editrici rilevanti, rispondendo soltanto ai principi del mercato. Inutile infatti negare che il libro sia diventato una merce alla portata di tutti, dal momento che i costi di stampa e distribuzione su grandi scale consentono prezzi accessibili a chiunque; nonostante ciò, non si può generalizzare abbandonandosi all’ottimismo mnestico e disprezzando invece ciò che è all’avanguardia. Si sarà capito che non sono una laudatrix temporis acti: amo i classici, che tuttavia ho momentaneamente accantonato per darmi alla ricerca di nuovi talenti. In questa rubrica mi occuperò di quelli che ho, forse un po’ troppo presuntuosamente, definito classici moderni: non che mi ritenga una profeta, ma credo che in molti libri di nuova pubblicazione si possano già ravvedere quei caratteri che li porteranno ad avere notevole importanza nella storia del pensiero. Ovviamente anche in questo c’è chi ci ha già pensato, e meglio, uno dei primi classici moderni: Italo Calvino1. TITOLO: Treno di notte per Lisbona AUTORE: Pascarl Mercier EDITORE: Oscar Mondadori PAGINE: 431 PREZZO: 10,00€ TRADUTTORE: Elena Broseghini TRAMA: Voleva veramente gettarsi dal ponte la donna trattenuta una mattina da Raimond Gregorius, compassato insegnante svizzero di lingue morte? Gregorius non sa nulla di lei, se non che è portoghese. Basta però quella parola a dare un nome all’inquietudine che da tempo lo agita e in cui l’episodio lo ha precipitato. Qualche tempo dopo, complice la scoperta in una libreria antiquaria delle opere di un enigmatico scrittore lusitano, Amadeu Ignacio de Almeida Prado - coraggiosa figura di medico intellettuale dissidente durante il regime di Salazar -, l’altrimenti prevedibilissimo professore prende un treno diretto a Lisbona, dove spera di ritrovare le tracce del misterioso autore che tanto ha colpito la sua fantasia. 1
Italo Calvino, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, 1995.
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La prima recensione deve, per forza di cose, essere l’eccezione che conferma la regola: non so se si possa parlare di classico moderno nel caso di questo libro, in quanto le influenze di altri autori sono – a parer mio – molto evidenti. Sto parlando di Treno di notte per Lisbona2 di Pascal Mercier3, romanzo da cui è stato recentemente tratto anche un film, ma mi limiterò a parlare del libro, che ho impiegato moltissimo tempo a leggere, un po’ a causa di impegni di varia natura, un po’ anche – e soprattutto – per l’effetto che i temi trattati avevano su di me: inquietudine, angoscia, ma anche presa di coscienza di qualcosa che resta sempre, troppo celato. Raimund Gregorius è un insegnante di latino che vive a Berna, in Svizzera, una persona tranquilla che ha sempre avuto una vita convenzionale, almeno da quanto traspare dall’esterno; in realtà, sotto gli occhiali4, cela un senso del dovere nascosto agli altri, perfino a sua moglie: «Quello che gli importava era molto
semplice: conoscere a fondo i testi antichi, conoscerli in ogni dettaglio grammaticale e stilistico e padroneggiare la storia di ogni singolo enunciato. In altre parole: eccellere. Non c’era ombra di modestia: quando si trattava di esigere qualcosa da se stesso, era del tutto immodesto. E non si trattava neppure di eccentricità o di una forma distorta di ambizione. Si trattava, questo aveva pensato più di una volta in seguito, di un’ira silenziosa che si era indirizzata contro un mondo tronfio, di un’inflessibile ostinazione con cui si era voluto vendicare del mondo dei millantatori...». Questo lato inquieto del suo carattere non esita a venire a galla quando, nelle vicinanze di un ponte, incontra una donna, che sembra volersi gettare: lui la salva e viene folgorato da quest’evento casuale, e da una dolce parola – português – che ha il sapore dell’epifania joyciana. Può una sola parola avere una risonanza su un’esistenza, tale da far cambiare radicalmente abitudini
Edizione di riferimento: Pascal Mercier, Treno di notte per Lisbona, Oscar Mondadori, Milano 2008 2
Pascal Mercier, pseudonimo di Peter Bieri, è uno scrittore e filosofo svizzero. Mondadori ha pubblicato anche Partitura d’addio (2008). 3
Quello degli occhiali e della miopia è ormai quasi un tòpos nella letteratura: pare indicare una sorta di ‘siepe’ leopardiana, un ostacolo che si interpone tra il protagonista e il mondo esterno. 4
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di vita, abbandonare tutti i sogni e le relazioni per cui si è sempre lottato? Quanto rivelano, del nostro carattere, i gesti inconsulti e le decisioni avventate? E la felicità – o il senso della vita – si consegue costruendola razionalmente o seguendo le pulsioni recondite? Português, parola quasi sussurrata da quella voce femminile, fa scattare qualcosa nell’animo di Gregorius, che lo spinge a recarsi in una libreria dove trova un libro di un tale Amadeu Inácio de Almeida Prado. Questa nuova scoperta lo porta a mettersi sulle sue orme lasciando la scuola, la moglie e tutti i conoscenti: senza avvisare nessuno, sale quindi su un treno, un treno di notte per Lisbona, consapevole che questa scelta costituirà un punto di non ritorno nella sua esistenza. Dopo un lungo viaggio fatto di sete di conoscenza alternata a dubbi e rimorsi, intervallati dalla lettura del libro del misterioso scrittore portoghese, ci si ritrova a Lisbona, ampiamente celebrata come locus amoenus della letteratura moderna e contemporanea5. Ancora una volta ci si trova di fron5
te al tema del viaggio come metafora della vita, in un percorso di formazione in cui l’individuo (che Gregorius ‘Mundus’ sia l’alter ego di Pascal Mercier non ci è dato sapere, ma molti elementi nel testo possono farlo supporre) andrà alla ricerca di se stesso, nonostante l’età avanzata, alla scoperta di un lato inaspettato della sua personalità. Un orafo delle parole è il titolo del piccolo libro di Amadeu, che poi si scoprirà essere stato un medico intellettuale dissidente6 durante il regime di Salazar: nelle sue parole Gregorius cerca un senso a ciò che gli è capitato, perché il suo inconscio prende nettamente il sopravvento sulla sua razionalità, ma agisce inspiegabilmente. Ed ecco che Treno di Notte per Lisbona inizia ad assumere le sembianze di un libro nel libro (e anche di uno ‘specchio nello specchio’7): «Delle mille esperienze che facciamo, riusciamo a tradurne in parole al massimo una e anche questa solo per caso e senza l’accuratezza che meriterebbe. Fra tutte le esperienze mute si celano quelle che, a nostra insaputa, conferiscono alla nostra
Basti pensare agli scritti di Fernando Pessoa, Antonio Tabucchi e José Saramago.
L’iscrizione sulla tomba di Amadeu recitava: «Quando la dittatura è una realtà di fatto, la rivoluzione è un dovere». 6
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Espressione presa in prestito da Michael Ende, Lo specchio nello specchio, TEA, 1993.
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vita la sua forma, il suo colore, la sua melodia. Allorché ci volgiamo, quali archeologi dell’anima, a questi tesori scopriamo quanto sconcertanti essi siano. L’oggetto che prendiamo in esame si rifiuta di stare fermo, le parole scivolano via dal vissuto e alla fine sulla carta rimangono pure affermazioni contraddittorie». Gregorius diventa quindi, con Amadeu, un archeologo dell’anima, e noi con lui: siamo tutti compagni di viaggio su questo treno per Lisbona, e anche oltre. Non ci si aspetti un romanzo d’avventura, o una storia ricca di colpi di scena: tutto ruota intorno al pensiero, un pensiero mai immobile su se stesso, bensì in continuo mutamento; il viaggio è più intellettuale e emotivo che fisico. L’unica pecca che mi sento di riconoscere è il ritmo della narrazione, che a volte risulta troppo lento e prolisso. Un libro faticoso, non tanto per lo stile, quanto per i temi trattati, per le riflessioni del protagonista... mentre lo si legge, si può sentire la necessità di riporlo per riprenderlo in mano in seguito. Un libro che forse è più di filosofia che di narrativa: la storia è semplice, ma saldamente innestata in un sistema complesso di pensiero. Nell’epigrafe del libro, si trova un
passo di Fernando Pessoa, la cui presenza ci accompagna in diversi punti: «Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso. Perciò colui che odia il suo ambiente non è la persona che per esso si rallegra o soffre». Se si dovesse riassumere questo romanzo in poche parole, non ci sarebbe migliore sintesi.
A CURA DI PAOLA LORENZINI
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SCORCI DAL MONDO INCANTATO
Amabile Giusti: la risposta italiana all’urban fantasy d’oltreoceano!
La rubrica si occuperà di recensire autori o romanzi che rientrano in maniera più ampia in quello che io amo definire genere fantastico, in cui sarà presente il classico fantasy, il nuovo e gettonato Urban fantasy, il paranormal romance, il distopic, lo steampunk e tanto altro ancora. Insomma tutto ciò che vive sospeso in un mondo di fantasia e non segue le regole della logica e della ragione. Chi sono io? Semplicemente un’appassionata di libri. In queste poche pagine, senza pretese, vi racconterò i libri che più ho amato in questi anni/mesi, quei libri che mi hanno lasciato un dolce ricordo, una forte emozione e mai potrò dimenticarli. È un immenso onore per me aprire le danze di questa nuova rubrica, Scorci dal mondo incantato, dando ampio spazio a una delle mie autrici preferite di Urban fantasy: Amabile Giusti. Ho scoperto Amabile per caso mentre tutti osannavano il suo libro Cuore Nero e io strenuamente resistivo dal leggerlo. Ho deciso di comprarlo comunque e per lunghi mesi il romanzo è rimasto incastrato nella mia libreria insieme a tutti gli altri sui vampiri che l’editoria italiana ci stava propinando negli ultimi periodi. Lo ammetto, dopo i vampiri tutti belli, affascinanti, innamorati ero stufa e avevo EDITORE: Dalai Edizione bisogno di leggere delle novità, qualche altra PREZZO: 14,30€ strana creatura. Purtroppo qui in Italia quando si fissano con un filone diventa di moda e l’editoria pubblica solo e soltanto questo.
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Complice un febbrone da cavallo, mi son decisa ad abbandonare questi vampiri d’oltralpe per leggere quelli di Amabile e sono rimasta catturata nelle pagine. È stato un viaggio che mi ha accompagnato dalla tarda mattina fino all’alba quando ormai ogni vampiro si rifugia dal sole nascente. Cinquecento e passa pagine di libro che mi hanno tenuta avvinta senza mai provare stanchezza, ma solo tanta brama di arrivare alla fine e di scoprire che miracolosamente c’è ancora tanto da leggere. Questa è la sensazione che suscita la scrittura di Amabile, sono parole che stregano, affascinano, che non si è mai sazi e paghi di leggere. Come un assetato bramoso d’acqua in un deserto giunti alla fine dei suoi libri si ha proprio la necessità fisica di continuare con un altro suo romanzo. Ad Amabile non servono cornici fantastiche o mete ambite per rendere palpitanti i suoi romanzi. Ha il dono prezioso di rendere viva ogni parola che rimbalza davanti agli occhi come fosse la scena di un film. È qualcosa di nuovo eppure di stranamente possibile. Così appare Cuore Nero il suo libro di vampiri, ambientato a Palmi, una cittadina della Calabria.
Un luogo che ho visitato in un lontano passato e che ho visto prendere vita sotto i miei occhi in una veste decisamente suggestiva e inquietante. Insomma una nuova Palmi, densa di mistero e di fascino. Non sono solo le ambientazioni alternative e nostrane a essere vincenti nei suoi romanzi, ma anche la cura e la dovizia avuta nel tratteggiare i personaggi del libro. Sono vivi, reali, sono gli stessi che domani mattina potremmo incontrare anche noi per strada. Giulia non è la solita adolescente descritta negli urban fantasy stranieri, dove sono sempre belle, corteggiate oppure impacciate e maldestre ma alla fine sono comunque strafighe. Giulia è una diciassettenne con un ammasso di capelli ricci che non ha nulla di speciale nell’aspetto se non il suo carattere spigoloso e sincero. Affronta con coraggio le sfide che la vita le pone. Ha un carattere forte, indomito, alle prese con i soliti problemi adolescenziali e, per non farsi annientare, a volte mette molta rabbia nelle sue risposte. Ma è proprio la sua normalità a rendercela tanto cara perché qualsiasi adolescente si può facilmente rispecchiare in lei. La bravura di Amabile non finisce qui, è stata abile ad armonizzare
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una trama ricca di eventi, colpi improvviso, una fuga notturna, di scena, a farci credere una scopre di appartenere a un luogo situazione e poi lasciarci a bocca geograficamente non posizionabile: aperta capovolgendo le carte in Wizzieville. tavola. Amabile non si lascia Odyssea è una strega, nelle sfuggire neppure il finale di questo sue vene scorre il sangue di un libro che tocca dritto al cuore, potente mago, morto per salvarla rendendo le ultime righe così reali dalle grinfie del cattivo di turno, e poetiche da dare credibilità a Squartavene. un genere come l’urban fantasy Wizzieville ricorda alla lontana che molto spesso fatica a essere il magico mondo di Harry realistico. La scelta di lasciare che Potter per certe ambientazioni, questi due mondi inconciliabili per le strampalate invenzioni restino sopiti nei ricordi è la magiche. In alcuni punti persino prima conclusione veramente non la trama potrebbe ricordarlo, c’è scontata e banale che ho letto in l’antagonista cattivo che non si romanzi di questo genere. Una fa vedere e complotta nell’ombra decisione coraggiosa che dimostra per uccidere la protagonista, un quanto Amabile sia bravissima a padre morto quando lei è appena tessere trame ricche e mai scontate. nata. La similitudine tra le due Ma Amabile non è solo Cuore Nero opere finisce qua, a differenza del è anche Odyssea oltre il varco maghetto che da bambino diventa incantato, la sua ultima creatura adulto nell’arco di sette libri, qui pubblicata ma il suo in Odyssea abbiamo primo lavoro. Odyssea un’adolescente piena è una sedicenne di dubbi e incertezze, dall’aspetto poco la magia permea lo appariscente, alta, sfondo ma l’amore dinoccolata, solitaria e la passione sono e introversa. Di sempre in primo nuovo un’adolescente piano. Per tutti i fan e come tante, ma cela accaniti sostenitori di un segreto. Odyssea Harry Potter, Odyssea non è quello che senza ombra di dubbio sembra, non è la va decisamente classica ragazzina; oltre perché affronta EDITORE: Baldini & Castoldi problemi più adulti e durante un viaggio attualmente non disponibile
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maturi. La ritroviamo in Odyssea oltre le catene dell’orgoglio, il secondo libro della saga auto – pubblicato su Amazon dall’autrice. Amabile ha preso la decisione coraggiosa di pubblicare il romanzo per fare un dono specialissimo a tutte le sue lettrici, che non sarebbero riuscite ad aspettare ancora a lungo per sapere cosa accade alla piccola Odyssea. E il libro non delude, è valsa l’attesa, ma una volta chiuso il romanzo si ha ancora più bisogno di sapere quello che succederà ancora. Amabile è stata divina anche in questo frangente. Inizia tutto con il suo adattarsi a scuola e alle lezioni, ma nella sua mente c’è sempre il tarlo di un possibile ritorno di Squartavene. Tutto quello che le capita di strano o fuori dalle righe
EDITORE: Self publishing PREZZO: 2,99€ (formato ebook
viene letto con sospetto. Accanto a Odyssea c’è sempre Jacko che continua a far palpitare il cuore della protagonista, nonché delle appassionate lettrici. Di nuovo Jacko sarà pronto ad aiutarla, le sarà vicino in questa nuova disavventura e ancora la saprà emozionare. In questa avventura la giovane strega sarà visibilmente più matura del capitolo precedente. Ho cercato di leggere più lentamente possibile, centellinando ogni singola parola per arrivare più tardi possibile alla fine del romanzo. Mi piange il cuore a dover aspettare chissà per quanto il nuovo romanzo della saga, ma Amabile sa essere così avvincente che sicuramente il prossimo lavoro sarà ancora un capolavoro. Alla fine del romanzo ero un bagno di lacrime, mi sembra di aver vissuto sulla pelle tutti i sospiri e le delusioni di Odyssea. Amabile ha mostrato tutte le infinite sfumature dell’animo umano con il suo tocco poetico e magico. In queste pagine volevo ringraziarla personalmente, non solo perché è brava e ogni suo libro è spettacolare, ma perché prima che una grande scrittrice è una persona davvero speciale e “amabile”… scusate i giochi di parole. Una di quelle scrittrice che
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è pronta a gettarsi nell’avventura dell’auto-pubblicazione, dopo aver sperimentato la pubblicazione con una casa editrice di tutto rispetto, solo per fare un regalo alle sue lettrici. Beh credo che non ci sia altra persona al mondo come lei. Esco un po’ dal tema Urban Fantasy di questo articolo per sottolineare che Amabile non è solo una scrittrice di Urban fantasy, ma ha fatto centro anche con il suo romanzo Non c’è niente che fa male così, a tratti poetico e toccante. Pagine in cui ci si tuffa nella psicologia di questi personaggi caratterizzati così bene da sembrare vivi. Il linguaggio è colorato, tinteggiato qua e là di ricche e ardite metafore che ti fanno balzare agli occhi i personaggi senza mai annoiare. Poetico l’alternarsi del presente e dei ricordi. Passate a trovarla sul suo blog Parole di carta e sulla sua pagina facebook (facebook.com/
AmabileGiustiPaginaUfficiale), sarà più che contenta di accogliervi nella sua calorosa famiglia e per chi amasse il genere romance storico può leggere gratuitamente il suo romanzo a puntate: Cynderella 700. Inutile dirvi che anche questo è scritto sapientemente. Grazie di cuore, Amabile, perché ci fai sognare tra le pagine poetiche dei tuoi romanzi, perché ci fai volare cavalcando ogni sfumatura di emozione. Non vedo l’ora che arrivi aprile 2014 per tornare a Wizzieville insieme a Jacko e Odyssea, nel frattempo continuo a sperare che ci sarà anche un seguito per la piccola Giulia di Cuore Nero. Scrivi Amabile, scrivi in fretta e continua a farci sognare!
EDITORE: La Tartaruga edizioni attualmente non disponibile
A CURA DI FABIANA ANDREOZZI
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THE HORROR! THE HORROR! Stephen King – “Carrie”
In questa rubrica esplorerò l’orrore nelle sue manifestazioni letterarie, attraverso incontri con mostri sovrannaturali o in forma umana.
TITOLO: Carrie AUTORE: Stephen King EDITORE: Bompiani (collana I grandi Tascabili) PAGINE: 176 PREZZO: € 7,90 TRAMA: Il romanzo racconta la storia di Carrie White, una liceale che vive in una piccola città del Maine con una madre ossessionata dalla religione. Goffa, solitaria, vittima dei tiri mancini dei suoi coetanei, Carrie scopre gradualmente di avere poteri telecinetici, poteri che si erano già manifestati all’età di tre anni, dopo il primo choc della sua vita. Un giorno, l’innocente e beffeggiata Carrie userà il suo potere e sarà ovunque orrore, distruzione e morte.
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Nella mia biblioteca personale, i libri di Stephen King occupano un posto speciale, piuttosto ampio. Questo è stato il secondo che lessi, dopo Shining, ed è stato uno dei più amati e riletti. Vidi anche il film, di Brian De Palma, con Sissy Spacek nella parte della protagonista, che divenne famoso per una scena finale terribile, che mi tenne sveglia per alcune notti. In questo libro, Stephen King esplora e fa esplodere l’orrore contenuto negli esseri umani e nelle loro relazioni. Carrie White è un’adolescente particolarmente bizzarra, decisamente unica nel suo genere. Appartiene a quel gruppo di persone che non possono amalgamarsi o uniformarsi con niente e nessuno. Il suo aspetto è goffo, il suo modo di vestire è antiquato e anti-estetico, mirante a tener lontani gli sguardi, più che ad attirarli, il suo modo di fare è lento, guardingo, contrario ad ogni socializzazione, il suo modo di esprimersi è limitato, insicuro. Questa sua stranezza, impossibile da nascondere, la fa spiccare maggiormente contro il tessuto sociale un po’ ristretto e limitato della piccola Chamberlain, cittadina di provincia del Maine,
trasformandola nel capro espiatorio perfetto, la vittima designata di tutti gli scherzi crudeli, le prese in giro e gli sbeffeggiamenti del tutto gratuiti da parte dei suoi concittadini, bambini e adulti. All’origine di questa sua caratterizzazione vi è il rapporto con una madre terribile, Margaret White; fanatica religiosa, ossessionata dall’influenza del demonio che vede dappertutto, a partire dalla propria figlia, la fa vivere in un’atmosfera di perpetuo terrore e sudditanza psicologica, scandita da preghiere di contrizioni, e dalla continua ingombrante presenza di un Dio castigatore e spietato verso i peccatori. La scena iniziale del libro, apparentemente normale, ci presenta subito una forma di tranquillo orrore quotidiano, che passa quasi inosservato e sempre sottostimato, quello delle relazioni tra adolescenti, dello stesso sesso o diverso. Carrie White è sotto la doccia con le sue compagne, dopo una lezione di educazione fisica, tentando come al solito di nascondere il proprio terribile disagio e di sopportare le inevitabili frecciate crudeli delle altre. In quel momento, il suo
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corpo effettua il passaggio dalla bambina alla donna, con il primo sangue mestruale. Un passaggio obbligato e delicato, nella vita femminile, che normalmente si affronta con l’aiuto più esperto di una madre, o, se non presente, di un’amica più grande. Carrie non dispone di niente di quel genere. Le mestruazioni sono argomento tabù in casa sua, poiché sono il segno dell’impurità e del marchio del demonio. Terrorizzata, crede di essere in punto di morte. Le altre ragazze, invece di aiutarla, la scherniscono con particolare crudeltà, aizzate quasi dalla stessa angoscia e dalla terribile ignoranza della vita di Carrie. La scena colpisce proprio per il manifestarsi delle pulsioni più buie dell’animo umano: totale mancanza di empatia, gioia feroce nel colpire e umiliare un essere più debole, persino nelle ragazze migliori, quelle belle e popolari, amate e benvolute da tutti, come Sue Snell. Quest’ultima può essere considerata la co-protagonista del libro, insieme a Carrie. Da questa scena di ordinario orrore adolescenziale, ha inizio un doppio percorso: quello di Sue, che inizia a indagare i propri pensieri e le ragione dei propri
comportamenti, crescendo in maturità, e quello di Carrie verso il compimento della sua tragedia finale. C’è un’altra caratteristica fuori dal comune, che isola quest’ultima da tutti gli altri, ancora di più, e che la fa odiare e temere da sua madre: è telecinetica. E’ dotata dell’immenso potere di muovere gli oggetti con la forza di volontà. Nei momenti di maggiore stress emotivo, come questo appena vissuto, le cose intorno a lei sembrano animarsi e si muovono, cadono, si rompono, senza che nessuno le tocchi. Questo non fa che aggiungere alla fama di Carrie di paria, indesiderabile, odiosa sfigata, alimentando in lei la certezza di essere immondizia, marchiata dal demonio, come da deliri materni. Nessuno le ha mai spiegato che quell’immenso potere potrebbe essere usato in modo positivo, ed è una caratteristica che la rende speciale e nient’affatto orribile. Mentre Carrie affronta il crescente odio verso se stessa e il mondo, affidandosi a questo potere, Sue Snell vuole espiare il suo comportamento riprovevole, contrario all’immagine di “golden girl” nata con lei, e insiste affinché il suo fidanzato,
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l’atletico e desiderabile Tom Ross, accompagni al ballo della scuola che si terrà un paio di settimane dopo, l’emarginata Carrie White, al posto suo. Per quanto sorpreso, e all’inizio recalcitrante, Tom accontenta la fidanzata e invita la ragazza, che accetta non senza sospetti e diffidenza. A prima vista, questo potrebbe sembrare l’inizio di una nuova vita per Carrie. Un primo passo verso l’integrazione con gli altri, l’apertura verso il mondo, il superamento di ostacoli, problemi e incomprensioni. Non si verificherà nulla di tutto questo. La madre di Carrie sembra impazzire di rabbia e di orrore al pensiero che la sua figlia impura e progenie del demonio perseveri nel suo immondo cammino verso il peccato, andando ad un ballo scolastico, con un abito da sera, dove potrebbe persino ballare e amoreggiare con gli orrendi ragazzi, tesi solo a ricercare l’ignobile atto sessuale. Nonostante le scenate di furia instabile ed isterica, Carrie resiste e si prepara per il ballo, confezionandosi da sola l’abito adatto, totalmente ignara di un’altra persona che vuole rovinarle quest’occasione di divertimento, Chris Hargensen,
una sua compagna di scuola. Ricca, viziata e prepotente, trama nell’ombra uno scherzo particolarmente agghiacciante ai danni della ragazza, per la pura gioia di colpirla e umiliarla. La sera del ballo nella palestra scolastica, una Carrie emozionata ed elegante nel suo abito semplice, entra al braccio di Tom Ross, provocando risatine, ma anche commenti stupiti e bonari. La serata raggiunge il suo culmine, e Carrie avverte qualcosa simile alla felicità e alla speranza... quando tutto sprofonda in un abisso infernale rosso sangue. Tradita e umiliata per l’ultima volta, Carrie si trasforma in una sorta di angelo della morte, scatenando il suo immenso potere sull’intera città. Niente sarà mai più come prima, soprattutto per i sopravvissuti, che guarderanno la vita e gli esseri umani in modo completamente diverso. È l’orrore della consapevolezza, quello che lascia vuoti e timorosi; è la consapevolezza che all’interno dell’essere umano vi è una parte misteriosa, buia e incontrollabile, da dove emergono impulsi non sempre positivi. Lasciarli emergere senza filtrarli, produce altri orrori: quello dell’ossessione religiosa, che nega la vita in tutte
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le sue manifestazioni più forti e sentite, quello della paura verso il diverso e l’originale, che porta a emarginare e a rinchiudere nei ghetti spesso invisibili, quello della solitudine del diverso, che non sa come comunicare la propria umanità per rassicurare gli altri. Solo l’ex-golden girl Sue ha un barlume di empatia verso Carrie, quando si sforza di capire come si può vivere nei panni scomodi del capro espiatorio, e di cosa si può provare a incontrare solo paura, crudeltà e scherno nei visi vuoti dei cosiddetti cittadini perbene. Arriva tardi, troppo tardi, però: un’occasione mancata per aver ragione dell’orrore e trasformarlo in umanità.
A cura di loredana gasparri
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CHIACCHIERANDO CON…
L’avventura “chick lit” di Tiziana Iaccarino. Tiziana Iaccarino è una giovane scrittrice partenopea il cui nome non vi risulterà di certo nuovo. Immersa completamente nella realtà creativa, la Iaccarino vanta diverse pubblicazioni, quali “Un barlume di speranza” (Giovane Holden Edizioni), “Le catene del potere” ( Edizioni Eracle), “Sulle orme della notte” (Ciesse Edizioni). Da pochi mesi è uscito il suo nuovo lavoro letterario, che ha spinto la scrittrice a cimentarsi in un genere completamente diverso: il chick lit. Proprio percorrendo tale strada, è nato “Lanty&cookies”, il suo nuovo successo, disponibile su Amazon ad un prezzo lancio anticrisi.
1.Tiziana, ci spieghi in cosa consiste questo genere letterario e come mai hai deciso di scrivere proprio un chick lit? - Ciao Roberta, grazie per questa intervista. Il genere letterario chick lit è in voga da moltissimi anni maggiormente all’estero, grazie a scrittrici britanniche e statunitensi dove questo genere è cresciuto e si è fatto conoscere con il tempo. Tale definizione deriva da un modo di dire tutto americano: derivato da “chicken”, veniva usato per definire una ragazza “pollastrella”. La parola “lit” invece è l’abbreviativo di literature, appunto. Ed è un genere nel quale la protagonista femminile è, di solito, una giovane donna in carriera che ne combina di tutti i colori, ma se la cava sempre, tra la commedia e l’ironia. La parola “lit” invece è l’abbreviativo di literature, appunto. Ed è un genere nel quale la protagonista femminile è, di solito, una giovane donna in carriera che ne combina di ogni ma se la cava sempre, tra la commedia e l’ironia. Ho pensato di scrivere un chick lit perché ne sentivo la necessità. Avevo troppa voglia di mettermi in gioco con qualcosa di leggero.
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2. Quale suggerimento daresti ad uno scrittore alle prime armi che voglia dedicarsi al genere chick lit? - Credo che la vena ironica si abbia o meno, non la si può inventare. Non si può decidere di scrivere un chick lit se si è più portati per altri generi e se non c’è stoffa per la commedia in sé. Bisogna in primis imparare a ridere di sé nella vita. 3. Nel delineare i tratti della protagonista a chi ti sei ispirata? - Be’, sicuramente c’è la parte più comica di me. In tutte le mie protagoniste c’è un pezzetto di me. 4. Pensi che molte donne possano immedesimarsi in Lanty? - Oggi alle donne si chiede troppo: che siano brave mamme, mogli, professioniste in carriera e che, magari, dopo una giornata d’inferno al lavoro e nel traffico cittadino, a prendere i bambini a scuola, ad andare in palestra e a vedere gli amici, facciano trovare pronta la cena al marito. Be’, questo è impossibile. Noi donne ce la mettiamo tutta nei nostri ruoli, ma spesso le cose non vanno come speriamo, perché non ce la facciamo, anche se il modo di cavarcela lo troviamo sempre, pur nelle difficoltà. Basta avere un pizzico di ironia. 5. Senza anticipare troppo, raccontaci un particolare piccante ed uno divertente che i lettori troveranno in “Lanty&cookies”. - Nella commedia ci sono tanti particolari piccanti come, ad esempio, le scene erotiche che permettono di immedesimarsi nei personaggi, anche nelle situazioni più bizzarre. Una scena che può stuzzicarvi potrebbe essere quella della protagonista distesa nuda nella vasca da bagno vuota e completamente ricoperta di cioccolata che aspetta suo marito. Peccato che... avrà un incontro ben diverso in quella situazione. Ecco, questa scena è descritta sia in modo piccante che divertente.
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6. C’è qualche aspetto autobiografico nella tua opera? -Credo che tutti possiamo riconoscerci in Lanty. Sì, un pezzetto di me, come ho detto, c'è. 7. Come mai hai deciso di provare l’esperienza del self-publishing su Amazon? - Avevo voglia di provare l’ebbrezza della libertà editoriale in digitale, visto che l’opera è disponibile solo in formato eBook (decisione di cui vado fiera, perché il progresso va preso per ciò che è ed accettato) e su Amazon perché è la piattaforma di vendita più conosciuta al mondo. 8. La ripeteresti? Scriverai un seguito di “Lanty&cookies”? - Ci sto pensando. Ancora non so nulla, per cui non posso rispondere concretamente a questa domanda, ma spero ci sia un seguito, perché me lo hanno chiesto. Ringrazio Tiziana, giovane talento ma anche persona umile che ha saputo donare tutta se stessa ad una passione che dovrebbe essere ac-
A cura di Roberta Amorino
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LIBRI VINTAGE
Daphne Du Maurier – “I parassiti” Benvenuti nello spazio dedicato ai libri vintage; spenderò due righe per spiegare il nome e lo scopo della rubrica. Quando andiamo in libreria (sia quelle piccoline sia i grandi magazzini librari) nella sezione “classici” troviamo usualmente i greci e i latini e molti autori dei secoli passati e del Novecento, italiani e stranieri, ma alcuni libri che qui saranno presentati, come ad esempio quello di oggi, si trovano in altre sezioni, perciò la definizione di “classico” diventa un po’ stretta; di qui la scelta del nome della rubrica che potrà così comprendere un maggior numero di opere rigorosamente “di una volta”. TITOLO: I parassiti AUTORE: Daphne Du Maurier EDITORE: Il saggiatore PAGINE: 344 PREZZO: 9.50€ TRADUTTORE: M. Morpurgo TRAMA: Nella Francia e nell’Inghilterra tra le due guerre, la sagace penna di Daphne du Maurier narra gli intricati legami della famiglia Delaney. Di quegli orribili Delaney, cicale in un mondo di formiche: prima bambini selvaggi e indisciplinati, poi adulti intrappolati in uno stato di aridità emotiva. Parassiti. Arroganti. Ciascuno a modo suo affamato di attenzione e di affetto. Non una, ma tre volte parassiti. Perché si nutrono del barlume di talento ereditato dai genitori (artisti geniali, cantante lui e ballerina lei), perché non hanno mai veramente lavorato, perché vivono in un mondo di fantasia dove esistono solo loro tre: Maria, Niall e Celia Delaney, recitazione, canzoni e disegno. I primi due brillanti, frivoli ed egocentrici (l’amore che li lega è solo fraterno?), la terza tanto docile e timida da rinunciare a se stessa, alla vita e al proprio talento, nascondendosi dietro la dedizione al padre. Tutti così intimamente uniti da apparire estranei e distanti a chiunque altro, e da affidare a una voce corale, che fonde prospettive ed emozioni, il racconto della loro ricerca di un mondo diverso da quello sfavillante, privilegiato e senza regole in cui sono cresciuti. La scrittura di Daphne du Maurier, lei stessa nata in una famiglia di impresari teatrali e attori, è palpitante e attenta al dettaglio dei paesaggi interiori di questo strano clan: i Delaney sono il caos, e il caos lo portano ovunque.
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L’inaugurazione tocca ad un’autrice che di certo moltissimi di voi assoceranno subito alla sua opera più famosa: Rebecca la prima moglie. Daphne Du Maurier però ha scritto anche racconti e molti altri romanzi nella sua lunga carriera di artista, e quello che desidero presentare s’intitola I parassiti. A differenza di altre opere della scrittrice, Parasites non presenta atmosfere gotiche o spaventose, né grandi ambienti aperti o personaggi oscuri (Taverna alla Giamaica), né ambigui decessi (Mia cugina Rachele): è una storia di famiglia, la storia della famiglia Delaney. I Delaney sono presentati come l’emblema di tutto ciò che è famoso, artistico, sregolato, spensierato, bizzarro, caotico, contrapposti alle persone comuni o semplicemente al mondo più ordinato dell’aristocrazia inglese. La mamma è una grande ballerina e il papà un cantante famoso, ed entrambi prima di sposarsi avevano avuto figli per conto loro: Niall, ragazzino ombroso e timido, poi compositore di canzoni commerciali di enorme successo, è frutto della fugace relazione intrattenuta dalla mamma con un pianista francese; Maria, bambina viziata e poi attrice acclamata, è figlia del papà e di un’attrice viennese morta di
parto; Celia, infine, d’aspetto non appariscente e d’indole generosa e docile, è l’unica figlia di mamma e papà. Questi complicati rapporti di (non)parentela avranno un’importanza fondamentale nello sviluppo degli eventi, soprattutto nella relazione (sentimentale? di pura amicizia?) che corre tra Niall e Maria, non legati in alcun modo dal medesimo sangue. Una caratteristica che mi ha colpito nel romanzo è questo uso dei termini “mamma” e “papà” senza che si sappiano i nomi dei genitori, ma questo non impedisce alle loro personalità di emergere, con la mamma molto più interessata al ballo che ai figli e il papà con un carattere estroverso; la storia stessa è narrata in modo assai particolare, dove la prima e la terza persona singolare, e anche la prima plurale, si mescolano senza alcuna regola. All’inizio la cosa risulta leggermente confusionaria e io ho avuto l’impressione che ci fosse una quarta voce narrante presente, ma in realtà il punto di vista slitta da un fratello/sorella all’altro, da qui l’uso del noi o della prima persona riferita di volta in volta a Maria, Celia o Niall. L’incipit del romanzo è duro, in quanto Charles, lord di campagna e marito di Maria, definisce i Delaney
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“parassiti”: nell’atmosfera cupa e rigida di un salotto nobiliare, mentre fuori la pioggia invernale rende grigia ogni cosa, esplode una tensione repressa da più di dieci anni che dà il via alla storia. Charles lascia la stanza e i tre fratelli iniziano una conversazione liberatoria e sincera che li porta indietro nel tempo: con loro ripercorriamo l’infanzia, quando seguivano i genitori nelle tournées nell’Europa prima della Seconda Guerra, l’adolescenza segnata dalle prime avvisaglie dei loro talenti individuali e colpita da un tragico lutto, la giovinezza dove Niall scrive con noncuranza canzonette per il grande pubblico, Maria inizia come raccomandata la sua brillante carriera teatrale e Celia, per sacrificio o forse per timore, rinuncia alla sua bravura nel disegno per assistere il papà nella vecchiaia prima e i figli di Maria poi. Senza spoiler, vi dico che il grosso della storia si svolge nell’arco di un giorno e di una notte, e poi di uno o due giorni seguenti per il finale: il presente, distinto dalla conversazione che i tre fanno nel salotto della tenuta, si alterna a capitoli di narrazione del passato che in un film sarebbero tanti flashback. All’uggioso pomeriggio
segue una cena chiusa nelle formalità e in parole imbarazzate, alla fine della quale avverrà una sorta di rivelazione dopo la quale le cose cambieranno radicalmente: il finale non può che essere corale come tutto il romanzo, infatti è composto da tre capitoli, ognuno dedicato a uno dei tre Delaney. A conclusione del libro, mi è rimasta un’impressione amara, l’idea che la felicità, o almeno la serenità dell’animo distinta dalla tranquillità economica o una vita facile e comoda, sia per questi personaggi una utopia irraggiungibile. Tutti i personaggi, i protagonisti soprattutto ma anche i secondari e le comparse, emergono con i loro caratteri, nel bene e nel male, e come negli altri romanzi dell’autrice anche qui non c’è una divisione totale di buono e cattivo, bianco e nero, ma ci sono molte sfumature di grigio (scusate la citazione involontaria, ma questa frase esisteva prima del libro omonimo!): si possono prendere le parti di uno dei fratelli, o di tutti, ma alla fine ognuno presenta lati oscuri che spingono il lettore ad accusarlo per certe cose ed assolverlo per altre. La scrittura è molto bella, fluida, scorrevole, a volte colloquiale;
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vi è un magistrale intreccio di dialoghi e descrizioni, l’uso mescolato delle persone aiuta a calarsi maggiormente nella storia e gli oggetti e i luoghi sono rappresentati vividamente; il lettore non fatica ad immaginarsi l’atmosfera descritta né i minimi gesti dei personaggi, spesso catturati in conversazione intime o situazioni quotidiane che forse di per sé risulterebbero banali ma che nel contesto del romanzo divengono tasselli importanti per ricostruire i Delaney. Io consiglio “I Parassiti” sia che amiate questa scrittrice sia che non la conosciate; non commettete l’errore (almeno, secondo me è un errore) di paragonare a tutti i costi quest’opera a romanzi più famosi della Du Maurier, soprattutto a “Rebecca”. Sono libri impostati in modo differente: questo riporta una storia di una vita, o di tante vite, è un affresco familiare ispirato anche dalla stessa famiglia della Du Maurier, figlia d’arte, perciò va letto in quest’ottica senza cercare misteri, brividi o trame complesse, apprezzando invece la grande profondità psicologica che emerge di ogni singolo protagonista.
INCIPIT Fu Charles che ci chiamò parassiti. Il modo del tutto inaspettato con cui lo fece ci colse completamente di sorpresa. Charles era uno di quegli uomini tranquilli e riservati che non parlano molto e non esprimono facilmente le loro opinioni se non sulle cose più comuni e quotidiane; perciò quella sua uscita improvvisa, verso la fine del lungo e piovoso pomeriggio domenicale durante il quale non si era fatto altro che sfogliare i giornali, sbadigliare e stiracchiarci davanti al fuoco, ci fece sobbalzare come un’esplosione.
A cura di LAURA C- BENEDETTI
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ROMANTICO INCHIOSTRO
Collen Hoover – “Tutto ciò che sappiamo dell’amore” Salve a tutti i lettori di Eclettica. Io sono Antonio GoodReader, scrittore e blogger. In questa rubrica ho il compito di recensirvi i magnifici, anches se non sempre, romanzi rosa del momento. Vogliamo cominciare?
TITOLO: Tutto ciò che sappiamo dell’amore AUTORE: Collen Hoover EDITORE: Rizzoli PAGINE: 337 PREZZO EDIZIONE CARTACEA: 16,00€ PREZZO EDIZIONE DIGITALE: 9,99€ TRADUTTORE: G De Biase TRAMA: Lake arriva in Michigan dopo la morte del padre, rassegnata ad affrontare un nuovo, faticoso inizio. La risalita appare all’improvviso dolce grazie a Will, il vicino di casa, a sua volta costretto dalla vita a crescere in fretta. L’intesa è immediata, ma il primo giorno nella nuova scuola Lake scopre che il loro è un amore impossibile: Will è uno dei suoi professori - giovanissimo, ma dall’altra parte della barricata. Altrettanto impossibile allontanarsi, dimenticarsi, rinunciare: e così Lake e Will si parlano attraverso la poesia, anzi, le poesie, in pubblico ma in segreto, servendosi di uno slam - una gara di versi - per dirsi tutto ciò che devono e vogliono dirsi. Alla fine è qualcosa di molto semplice, di essenziale: tutto ciò che sappiamo dell’amore è che l’amore è tutto, come ha scritto Emily Dickinson a nome di tutti noi.
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Confesso che avevo grandi aspettative per questo libro. Ho trovato difficile credere che qualcuno potesse scrivere e pubblicare un libro in 30 giorni e potesse ottenere tutte recensioni a cinque stelle. Questo è sicuramente un libro young adult e, ad essere sincero, l’autrice ha fatto un lavoro incredibile (soprattutto considerando la quantità di tempo che ha trascorso sul libro). Sono rimasto senza parole. I personaggi sono forti, convincenti e credibili. Ero un po ‘ preoccupato per l’età di Kel, che è il fratello minore del personaggio principale e che ha 9 anni. Le sue azioni, le reazioni e le interazioni con la sorella, non sono tipici di un ragazzo della sua età, anche se a nove anni non si è di certo maturi. Questa storia inizia come un dolce YA romance , ma si trasforma ben presto in molto di più . Layken e Will affrontano un dilemma etico e morale talmente grande da portare la loro relazione a spegnersi , ma non a estinguersi del tutto. Questo di per sé mi ha fatto leggere ulte riormente per scoprire come si sarebbe risolta l’intera situazione. Ma c’è di più.: la madre di Layken ha un segreto che potrebbe cambiare per sempre la loro esi stenza.
I personaggi sono ben sviluppati, a tal punto da far commuovere il lettore. La storia ha un’andatura piuttosto rapida ma coinvolgente, e in nessun modo ti potrai sentire tagliato fuori dalla storia. Nel complesso, devo dire, ritengo che l’autrice sia una stella nascente nel mondo YA. Sono stupito del fatto che abbia scritto tutto questo in un mese . Ciò richiede un po’ di serio talento e, quindi, le darò il credito che merita in quanto ha veramente molto talento . Consiglio questo libro a giovani adulti (dalla scuola superiore in su) e adulti. La storia ha un impatto emotivo tale da afferrarti e dilaniarti il cuore; inoltre, vi farà venir voglia di abbracciare i vostri genitori e figli. VERDETTO: Layken ha diciotto anni e il destino non è stato clemente con lei, ed è forse per questo che la storia ha un non so che di misterioso ed affascinante.
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ESTRATTO Appena il suo corpo è sopra il mio, le sue labbra si staccano e lui si mette di nuovo a sedere. «Dobbiamo fermarci» dice. «Non possiamo farlo.» Chiude forte gli occhi, quasi strizzandoli, e piega la testa all’indietro sullo schienale del divano. Io mi metto a sedere, e ignorando le sue proteste faccio scivolare le mani sul suo collo e tra i capelli. Premo sulle sue labbra con le mie e mi siedo su di lui. Le sue braccia mi circondano la vita e Will mi attira a sé, baciandomi ancora più intensamente di prima. Ha ragione: ogni volta è più bello. Con le mani trovo l’orlo della sua maglietta. La tiro su e le nostre labbra si separano un istante mentre la maglietta passa tra di noi. Gli accarezzo il petto e traccio il profilo dei suoi muscoli, mentre continuiamo a baciarci con passione. Lui mi afferra un braccio e mi spinge giù sul divano. Io aspetto che ritrovi la mia bocca… ma, improvvisamente, lui si stacca di nuovo da me e scatta in piedi. «Layken, alzati!» dice in tono perentorio. Mi prende la mano e mi tira su. Io mi alzo, ancora stordita e senza fiato. «Questo… questo non può succedere!» Anche lui sta cercando di riprendere fiato. «Io sono il tuo professore. È tutto cambiato adesso e noi… non possiamo!»
A cura di antonio antico
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IL GABINETTO DEL DOTTOR LAMBERTI Sandrone Dazieri – “La bellezza è un malinteso”
Risalendo con la memoria indietro nel tempo, non riesco a ricordare quando iniziai a subire la fascinazione del nero. Noir non è un colore, è la sua presenza, come l’istinto della vittima avverte il predatore nella penombra. E’ il vedo non-vedo che la trama d’ombra costruisce ad intrigarmi, rispetto il giallo binario d’uno Sherlock Holmes, in cui l’investigatore segue la logica stringente degli indizi, le orme dell’assassino, fino al sole abbagliante della verità. L’abbagliante luce solare spazza via le ombre rivelando la triste pochezza di quello che si ammanta di nero, pochezza che lo rende famiglio, compare, umano. L’oscurità non nasconde; è un invito a scoprire, indagare, violare fino a raggiungere, non un risultato assoluto ma una tappa intermedia. La missione di questa rubrica è guidarvi verso tappe intermedie, nella segreta speranza che ogni storia raccontata sia un cioccolatino dal sapore inaspettato. TITOLO: La bellezza è un malinteso AUTORE: Sandrone Dazieri EDITORE: Mondadori (collana Piccola Biblioteca Oscar) PAGINE: 279 PREZZO EDIZIONE CARTACEA: 9,50€
TRAMA: “Sono scappato dal mio vecchio lavoro, ho lasciato i vecchi giri, sono diventato un bravo ragazzo. Ma tutto, a parte mia mogliew, a parte quello che ci diciamo io e lei quando siamo a letto assieme, a parte le giornate buone che ci prendiamo camminando per strada e pensando che non abbiamo bisogno di nient’altro, tutto mi è scivolato addosso senza lasciare tracce. Fino a oggi. Mi è bastato essere sfiorato dall’odore del sangue per ritrovarmi dentro, come un tossico del cazzo. E come un tossico mi sono dimenticato di quanto sia pericoloso spingersi oltre la linea, trasformare il lavoro in qualcosa di personale, che ti fa rischiare e stare male. Che ti fa perdere.” Milano, inverno. Il sospettato di un piccolo furto si uccide gettandosi sotto un treno della metropolitana. È un gesto che distrugge la tranquillità di Sandrone Dazieri, detto il Gorilla, un uomo che da tempo cerca di essere solo un investigatore al soldo delle assicurazioni e che ha rinunciato del tutto a occuparsi di delitti efferati. Un professionista, a volte brutale e senza scrupoli, che è riuscito però a costruirsi una vita perfetta agli occhi di tutti. Ma che nasconde qualcosa in sé: una follia che si chiama il Socio, la sua doppia personalità notturna, iperrazionale e violenta. Il Gorilla è costretto a esporsi di nuovo, e a esporre il suo Socio, per scoprire le ragioni di un suicidio di cui si sente responsabile.
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Passa il tempo, le persone: cambiano, crescono, evolvono; come è successo al nostro vecchio amico Gorilla. Finiti i tempi del Leoncavallo, dei lavori da due soldi, dei misteri con pulzelle in pericolo e licantropi armati di machine-pistol, del vivere randagio e solitario come un lupo. Ora Gorilla ha una moglie, gira in completo Tarocco-Armani con la ventiquattrore, ha bustapaga e segretaria, sta cercando casa e deve stipulare un mutuo; però continua a cercare i cattivi. Adesso li cerca tra gli addetti al magazzino di uno spedizioniere. Una storia banale, qualche pacco aperto, qualche costoso orologio che non giunge a destinazione e l’assicurazione invita il nostro eroe, con armamentario alla Lightman Group per analizzare espressioni e segnali di stress, ad individuare chi mente. Il Gorilla lo scova, tra i colpevoli possibili; un povero cristo colpevole come Giuda, una vita fatta di lavoro e piccole gioie gustando una birra fresca con gli amici, spezzata come una bacchetta di vetro dal colloquio con un cristone grande e grosso che legge la colpa dentro gli altri. Gorilla sente anche tutto questo e lascia andare il colpevole con la promessa che il giorno
dopo si costituirà. Promessa fatta e non mantenuta. Il reo scende in metropolitana, ne risale morto. Gorilla si sente colpevole a sua volta; colpevole di aver messo all’angolo un signor qualunque, costringendolo al suicidio per evitare l’umiliazione pubblica dell’arresto per furto. Da qui iniziano le tribolazioni del nostro eroe; per capire, comprendere il perché di un gesto, di un viso sereno prima del salto definitivo, di un colloquio confessionale per ottenere perdono da una emo, una sbandata incontrata casualmente nella folla, un incontro che le telecamere della metropolitana mostrano al Gorilla. Seguendo le tracce di questa Death milanese, uscita dalle pagine di un fumetto; Gorilla ritroverà «The Beauty Is a Misunderstanding», un installazione di Damien Hirst, nascosta in un baule nel garage che contiene la refurtiva dei pacchi “alleggeriti” allo spedizioniere. I malintesi continueranno, mettendo in pericolo lui, la moglie e tutto quello che ha costruito finora. Pagina per pagina la matassa continuerà a sbrogliarsi e imbrogliarsi fino all’epilogo finale che costerà al Gorilla una parte di se, consentendogli di acquisire quella normalità piccolo-borghese
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che, dopo tante avventure che difende da criminali di mezza crepuscolari, era desiderata dal tacca, rapidi con la pistola ma nostro eroe, come gli happy-end lenti di cervello. hollywoodiani. In questa quarta avventura del Gorilla, Dazieri racconta come le colpe non pagate possano infettare i migliori di noi, che la strada verso l’inferno e sempre lastricata delle migliori intenzioni e per quanto sia profonda l’oscurità in cui la colpa ci relega, anche lì si può trovare la luce del perdono e il coraggio di riconquistare l’onore perduto. E’ l’ultima avventura del Gorilla e del suo Socio; una strana società fatta d’una persona sola e due anime che colloquiano tramite post-it; un Dott.Jekyll&Mr.Hyde perso nello smog milanese e nella nebbia di Cremona che, contro la sua volontà, è chiamato a risolvere gialli chandleriani nella lombardia nostrana tra: extracomunitari, giostrai, notabili, e poliziotti a cui non va a genio. Un personaggio karmicamente diviso nell’animo, così da conservare la sensibilità per le disgrazie umane e disporre della violenza necessaria per uscire vincitore dagli scontri con i predatori urbani. Un Visconte Dimezzato calviniano che soffre della sua “diversità”, vivendola in clandestinità per non sentirsi A cura di Giuliano Latini rifiutato dalla società in cui vive e
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News from the English The clockwork Scarab In questa rubrica, introdurrò i libri che ancora non sono stati tradotti per il mercato italiano.
TITOLO: The Clockwork Scarab: A Stoker & Holmes Novel AUTORE: Colleen Gleason EDITORE: Chronicle Books LLC PAGINE: 350 PREZZO EDIZIONE DIGITALE:11,32€ PREZZO EDIZIONE CARTACEA: 13,87€ TRAMA: Evaline Stoker e Mina Holmes, rispettivamente sorella e nipote di due grandi personaggi della storia inglese, Bram Stoker e Sherlock Holmes, non hanno mai avuto intenzione di seguire le orme dei loro parenti eccellenti. Tuttavia, se si nasce in famiglie di questo genere, la caccia ai vampiri e la risoluzione di misteri sono già presenti nel DNA. Quando due ragazze della società bene di Londa scompaiono, non esistono altri più qualificati di loro per occuparsi delle indagini. Perciò, l’impetuosa Evaline e la raziocinante Mina devono superare le loro rivalità, affrontare le avances di ben tre uomini misteriosi, e risolvere un omicidio avendo a disposizione solo un indizio: uno strano scarabeo egizio. La posta in gioco è alta: se le due giovani non si affrettano a scoprire perché le ragazze dell’alta società londinese corrono pericoli così gravi, saranno loro a diventare le prossime vittime.
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L’azione si svolge a Londra, nel 1889, espressa tramite le due voci principali che si alternano, quella di Alvermina Holmes, nipote del famosissimo e riverito Sherlock Holmes, e quella di Evaline Stoker, sorella minore dell’altrettanto famoso Bram Stoker, impresario del Lyceum Theatre di Londra, nonché scrittore del romanzo Dracula, ancora in corso. E’ una Londra peculiare: vittoriana, sì, ma “steampunk”, in cui le “macchine” presenti, tra cui una strana motocicletta, una sorta di robot cameriera per aiutare le signore a vestirsi, e un robot maestro di ballo per esercitarsi nelle danze, sono azionati dal vapore. Il sibilo del vapore si sente in sottofondo in ogni stanza e in ogni vicolo della città: l’elettricità del sig. Edison è fuorilegge a causa di un incidente grave capitato durante un temporale nel New Jersey qualche tempo prima. Le due ragazze, entrambe intorno ai diciotto anni, vengono convocate in segreto a mezzanotte presso la British Library, da un personaggio singolare: Irene Adler, l’avventuriera protagonista di un romanzo di Sherlock Holmes, che lavora apparentemente come curatrice di una parte delle antichità del museo, ma che in realtà è al servizio diretto di Sua Altezza la Principessa Alessandra, la nuora
della Regina Vittoria, incaricata di svolgere attività segrete per conto della Corona Britannica. Qualche settimana prima, si era verificata la misteriosa sparizione della signorina Corteville, figlia di un visconte, dalla casa paterna, lasciando dietro di sé solo un misterioso scarabeo metallico, di fattura egizia. La preoccupazione per la famiglia Corteville, insieme alla scoperta di uno scarabeo simile vicino al corpo senza vita di un’altra fanciulla delle classi elevate, ritrovato qualche giorno prima della sparizione della signorina Corteville, spinge la Principessa Alessandra ad avvalersi dell’acume e delle conoscenze dell’unica donna capace di aver la meglio sull’invincibile Sherlock Holmes, Irene Adler. A sua volta, costei convoca altre due donne eccezionali che si assumeranno l’incarico di ritrovare la signorina Corteville e risolvere un mistero inspiegabile. Prende così l’avvio una storia bizzarra, intessuta di società segrete imbevute di egittologia, personaggi misteriosi ed elusivi, tentativi quasi fantascientifici di richiamare antiche divinità egizie dal loro pantheon dimenticato per impossessarsi del loro potere, tutto filtrato dal doppio punto di vista di un’altrettanto bizzarra accoppiata di detective! Alvermina
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Holmes, meglio nota come Mina Holmes, e Evaline Stoker sono l’esatto opposto l’una dell’altra. La prima è tutta osservazione, raziocinio, logica, deduzione, distribuite in un aspetto piacevole ma goffo, incastonate in un carattere solitario e refrattario alle regole maschiliste della società vittoriana, che vedeva la donna sottomessa in tutto all’uomo. La seconda è forza ed energia compresse in una statura non troppo elevata, un aspetto molto grazioso, scarsa capacità di osservazione e impazienza di agire, muoversi, e una vita sociale fin troppo ricca. Mina Holmes è una studiosa, fa esperimenti nel suo laboratorio, veste pantaloni maschili, porta armi di strana fattura, azionate dal vapore, spesso diventa saccente, ed è un carattere solitario. Evaline Stoker è circondata da una famiglia, porta abiti graziosi, sa comportarsi in società, ma il suo carattere impetuoso la mette spesso nei guai. Entrambe, però, nascondono disagi segreti ma comuni. Mina soffre di solitudine; sua madre abbandonò lei e suo padre perché stufa di essere trascurata dal marito, troppo preso dai suoi studi, dalle sue serate al club e dai suoi incarichi per la Corona Britannica
per ricordarsi di avere una casa, una moglie e una figlia. Sempre all’ombra del famosissimo zio, scalpita per potersi mettere alla prova e mostrare il proprio valore, a prescindere da qualunque uomo. Evaline è la prescelta per essere una cacciatrice di vampiri, secondo la tradizione che discende dal ramo femminile della sua famiglia, i Gardella, di cui l’esponente di spicco fu la prozia Victoria, che si occupò di sterminare quasi tutti i vampiri di Londra. Ha forza e velocità, combatte con efficacia, ma al suo primo incontro con un vampiro, le cose non andarono così bene. Anche lei scalpita per poter dimostrare il proprio valore e di essere degna di un’eredità pesante come quella dei Gardella. Per quanto la maggioranza sia nettamente femminile, nel libro, non mancano uomini affascinanti, misteriosi e pericolosi che faranno battere i cuori delle due signore. Mina si divide in una sorta di triangolo amoroso, fatto solo di intenzioni e rossori (siamo in piena era vittoriana), tra uno sbrigativo ispettore di Scotland Yard dall’accento scozzese e parenti eccellenti, e un improbabile studente arrivato in città tramite...un viaggio nel
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tempo. Evaline fronteggia e soccombe alle avances di un ladro di bell’aspetto, dal forte accento cockney (è molto interessante tradurre la parlata di questo personaggio), restio a farsi conoscere, ma informatissimo su di lei e sulla sua vera identità. Colpi di scena, ironia e giudizi pungenti da parte dell’una sull’altra si susseguono veloci, in un libro leggero, pensato per divertire e per immaginare le avventure scaturite dall’incontro improbabile tra personaggi letterari così diversi tra di loro. Non manca comunque una certa evoluzione nei rapporti tra le due giovani signore, che imparano a lottare e a sostenersi, a prezzo di errori e incomprensioni.
A cura di LOREDANA GASPARRI
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DISCOVER THE COVER
The Clockwork Scarab: A Stoker & Holmes Novel DISCOVER THE COVER non è una rubrica, bensì un minuscolo angolo di vere e proprie “freddure" brevi e divertenti considerazioni su alcune copertine dei libri recensiti all’interno della rivista. Non c’è alcun dubbio, questa copertina (oltre ad essere un bel colpo al cuore per qualche entomofobo, diciamocelo!) ha tutte le carte in regola per essere un ottimo biglietto da visita della nuova fatica della Gleason. Nessuna immagine violentata da un qualsiasi programma di grafica, simbolica o vaga. No, signori. Lo scatto semplice, raffinato e ben definito ci propone, con un’eleganza che solo due mani di donna riescono a trasmettere, l’elemento chiave del romanzo stesso: uno splendido scarabeo meccanico. L’amabile insetto a quanto pare non è che uno dei numerosi riferimenti steampunk che troveremo all’interno del libro. Lo stile del titolo (che spererei tanto non venisse storpiato quando giungerà in Italia) segue perfettamente quello dell’immagine, mantenendo una sobrietà tale da non levare visibilità al vero protagonista della cover. Un bel 10 cum laude a questa singolare copertina che già dal primo sguardo è in grado di proiettarci tra le nebbie di una Londra mai esistita.
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L’ANGOLO DEGLI ESORDIENTI-EMERGENTI Katherine Keller – “The Shadows Saga”
Ciao a tutti mi presento: io sono Lidia, una Blogger con la passione della lettura e scrittura. Curo la rubrica dedicata a voi emergenti/esordienti. Ogni mese metterò un libro o, se si tratta di saghe, libri di autori appena nati. Prediligo per molti motivi, che, non sto qui ora a spiegare, gli scrittori che pubblicano da soli o che hanno case editrici non a pagamento. Quindi sono qui per voi aspiranti scrittori, sia chiaro fin da ora che scriverò solo di libri che ho letto o leggerò e di libri che mi sono piaciuti. Definizione: Esordiente è uno scrittore che ha appunto esordito, pubblicando o facendosi pubblicare, il suo PRIMO romanzo, dal momento in cui ti pubblicano o pubblichi il SECONDO romanzo, non sei più “esordiente”, ma “emergente”. Oggi come primo articolo nell’Angolo Esordienti-Emergenti, vi parlerò di un’autrice nuova, anche se in realtà sarebbero due: Katherine Keller, cioè l’alterego letterario di Angela Contini e Patrizia Zinni e della sua/loro saga. Patrizia e Angela, sono due amiche che condividono la passione per la scrittura, per la lettura e per il fantasy. Angela ha già pubblicato il suo romanzo di esordio “Biscotti alla vaniglia” mentre Patrizia è un’autrice alla sua prima esperienza. Queste due scrittrici
italiane hanno spopolato nel web con la loro saga Urban Fantasy intitolata The Shadows Saga. Ad Aprile hanno pubblicato il primo romanzo Black Shadows e a Giugno è uscito il secondo capitolo Crimson Shadow. Come la maggior parte dei nuovi autori, hanno deciso di fare tutto da sole, dall’editing alla cover, dalla pubblicità alla pubblicazione, che è stata affidata ad Amazon per Ebook, e a Youcanprint per il cartaceo. Il self-publishing (auto pubblicazione) è il mezzo più facile per far notare le proprie
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opere: i nuovi autori che non hanno possibilità di avere un editore, mostrano a tutti i loro libri pubblicandoli da soli e anche le nostre scrittrici, hanno utilizzato questo innovativo mezzo. B L A C K S H A D O W TITOLO: Black Shadow PREZZO: 2.99€ (Formato ebook)
questo, spunta Schezeliel l’angelo custode di Alelke, sì perché ogni demone sulla terra ne ha uno. Quest’angioletto decide di dare al nostro demone un pezzetto di anima che brucia come tutte le cose orribili che ha fatto nel passato, ma, gli darà la cosa più bella e dolce che si può avere, l’amore. Purtroppo non sarà tutto rosa e fiori, Deny sfugge da molto tempo dal padre che le vuole rubare i poteri e da un antico nemico, Tiberius, un malvagio stregone. Riusciranno a salvarsi? Questo è tutto da leggere. Nella storia fa capolino in qualche scena il personaggio di Lance, il vampiro centenario che sarà protagonista del secondo volume della saga.
Black Shadow tratta di un demone di nome Alexander Blackwood spietato e senza scrupoli, abituato a ottenere sempre ciò che vuole e quello che vuole è l’anima di Deny Grayson, una donna gentile e bella con un grande segreto: è una strega. I due s’incontrano casualmente una sera; nascono così tra i due protagonisti dei vivaci scontri verbali che si trasformano in una perversa ossessione, in un sadico gioco d’intrighi, sensualità, provocazioni e infine amore. In mezzo a tutto
Black Shadow, è una bellissima storia d’amore, di amicizia e di tormenti, di ironia, di gioco e di complicità. In questo romanzo c’è tutto ciò che può piacere in un Urban Fantasy, Romance, Paranormal. C’è il bel tenebroso demone intrigante e sexy, la sfortunata strega bella e gentile, la coscienza sotto forma di angelo attraente e poco angelico, l’amico fedele vampiro, il cattivo stregone; il tutto ambientato in un affascinante paesaggio come è la Scozia.
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Le autrici hanno mixato tutti questi personaggi in un unico piacevole interessante, romantico e ironico, libro, mettendo a nudo il lato psicologico dei personaggi. C R I M S O N S H A D O W TITOLO: Crimson Shadow PREZZO: 2.99€ (Formato ebook)
Vi chiederete “è una saga logicamente i personaggi sono ancora quelli” invece vi sbagliate. Crimson Shadow è ambientato in una Londra popolata da creature della notte. Il protagonista maschile è Lance Galahad, un vampiro egoista, pieno di sè e avvolto dalla lussuria. Nato da una famiglia nobile, Lance è sempre stato abituato a ottenere tutto senza fatica e senza regole e da immortale la sua facilità è raddoppiata come la sua oscura perversione e la sua brama di sangue. Uno sguardo negli occhi
di chi ha veramente amato gli cambierà la vita. Si saziava con sangue ma senza uccidere le sue prede, diventerà un docente in un’università e, dietro l’angolo, inaspettatamente, troverà una persona che gli farà battere il cuore che credeva di non avere più.
Dalla quarta di copertina: La cacciatrice Sophia Holloway, una donna temeraria, irriverente, senza peli sulla lingua, pronta a tutto pur di sterminare gli odiati vampiri dalla faccia della terra. Ma non ha fatto i conti con un affascinante vampiro ultracentenario dai modi galanti, Lance Galahad, che farà di tutto per domare il suo spirito ribelle. Tra i due inizierà un gioco fatto d’incontri/scontri che li porterà inevitabilmente ad avvicinarsi. E mentre cercheranno di convivere con il legame che inizia a unirli, Sophia dovrà combattere per la sua vita e per vendicare la morte dell’amato padre. Anche qui, come nel primo libro, fa capolino in qualche scena il personaggio Christian, il lupo mannaro che sarà protagonista del terzo volume della saga che in anteprima vi dico si chiamerà Grey Shadow, e di cui troverete un piccolo estratto alla
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fine di questo racconto. Un amore proibito, l’odio della cacciatrice per la razza vampira, la sconvolgente rivelazione riguardante suo padre: tutto questo in un romanzo pieno di adrenalina e di fascino. Se avete amato il primo capitolo Black Shadow , adorerete questo secondo romanzo. Amerete Sophie con tutte le sue sfaccettature, adorerete Lance per la sua eleganza e i suoi modi da gentiluomo, soffrirete, gioirete con loro. Vi lascerete trasportare da questo bellissimo racconto senza neanche accorgervene. La capacità di narrazione e lo stile delle tue autrici, vi porteranno nel loro romanzo facendovi sognare. Due romanzi che si leggono tutto d’un fiato, costano come due caffè e vi assicuro che ne vale la pena leggerli.
G R E Y S H A D O W
arte Patrisha Mar, pubblicherà su Amazon e poi in cartaceo in altri stores, il suo primo romanzo da solista intitolato I Protettori dell’Oracolo – Buio. Mentre Angela Contini in arte Angela C. Ryan, ci annuncia il suo secondo romanzo da solista a Ottobre, per ora non si sa la data e il titolo ma a breve sapremo di più. Concludo con il nostro motto Ma non è finita qui, vi do qualche “Aiutiamo gli emergenti, no all’echicca in esclusiva per concludere. ditoria a pagamento”. Come anticipato, uscirà il terzo capitolo intitolato Grey Shadow. La data è da confermare, ma non è tutto qui: per i numerosi FANS di queste due autrici, annunciamo due uscite imminenti. Il 24 Settembre Patrizia Zinni in
Al prossimo articolo! Un affettuoso Bye-Bye dalla vostra Blogger Lidia Ottelli.
A cura di lidia ottelli
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LA BACHECA DELLO SCRIBACCHINO. – APPUNTI E SPUNTICari scrittori, è con sommo onore che vi do il benvenuto nella rubrica “La Bacheca dello Scribacchino – Appunti e Spunti”. Questo angolo della rivista si propone come punto d’incontro per noi scrittori emergenti, che inseguendo un sogno, ci siamo ritrovati la mente sovraffollata di dubbi e crucci. Attenzione però: la rubrica non dev’essere vista come un corso di formazione, né io come il vostro mentore. Sono una di voi: la mia immatura esperienza letteraria – chi mi conosce lo sa – mi è testimone, ma come voi, inseguendo un sogno, mi sono ritrovata la testa popolata di insicurezze che cerco di risolvere giorno dopo giorno raccogliendo consigli e spunti che mi possano esser d’aiuto. Il mio intento è di condividere con voi quanto sono riuscita a scoprire, di sbrogliare i nodi che bloccano i pensieri e di esser quindi compagna delle vostre avventure.
Senza ulteriori indugi iniziamo il viaggio alla scoperta della nostra avventura. E direi, come prima tappa, di partire dal principio: dal momento esatto in cui una fantasia ha attraversato il palcoscenico della nostra mente impregnando totalmente i pensieri. E facendo quindi nascere in noi l’esigenza di scrivere un romanzo. Ecco, soffermiamoci e catturiamo quel preciso istante. Non importa se il nostro romanzo è solo abbozzato o già in piena fase creativa, riacciuffiamo quell’attimo. Bene o male ci siamo passati tutti. Ora che l’avete ben focalizzato, proseguite con la lettura di questo articolo rispondendo con sincerità alle domande che sto per proporvi. Non è necessario che ci facciate avere le vostre risposte, l’importante è che nel vostro intimo, osservando il riflesso delle vostre fantasie, siate sinceri con voi stessi.
Perché avete deciso di scrivere un romanzo?
La prima risposta che d’impatto riaffiorerà tra i vostri pensieri sarà… “Scrivo perché vivo”, e simili varianti. La scrittura per noi scrittori è una sete che disidrata i pensieri della realtà, una fame che ci divora da dentro, finché non le diamo retta e la strappiamo via, portandola fuori nel mondo reale. È nella nostra natura di scrittori concedere libertà al canto della nostra fantasia, affin-
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ché tappezzi di emozioni ed inchiostro i pallidi fogli che aspettano soltanto noi. È un’esigenza, altrimenti questo canto finirà per tramutarsi in urla che incastrerebbero i nostri stessi pensieri. Tutto ciò è normale, ma non è sufficiente. Se scrivessimo solamente con questo obiettivo, per dar quindi sfogo ad una nostra esigenza interiore, perché non munirsi di un diario personale da riempire con le nostre disavventure, che vedremmo solo noi? Perché annoiare gli altri con le nostre nenie opprimenti? Per scrivere un romanzo dobbiamo metterci in testa che il nostro pubblico non siamo noi stessi, ma gli altri. I lettori saranno gli spettatori da ospitare nel nostro mondo: saranno loro infatti che decideranno circa l’acquisto o meno del nostro libro e che vivranno delle emozioni che abbiamo saputo regalargli. La nostra prima esigenza deve quindi coesistere con un obiettivo: scrivere per gli altri. Faccio un esempio, per maggior chiarezza. Supponiamo il caso di sentirci frustrati dalle sfortune che si susseguono nella nostra vita quotidiana. Per dar sfogo alla nostra inquietudine decidiamo di narrare le nostre disavventure. Noi finiremo col sentirci meglio, la carta ha ascoltato i nostri piagnistei. Ma chi avrà voglia di leggere i tormenti che ci affliggono? Il lettore è una creatura esigente, che ama sfidare la brezza dell’avventura, che non nega di lasciarsi sedurre dal fascino delle emozioni. Ricordatelo sempre.
Chi sarà il vostro pubblico?
Una volta messo a fuoco il primo punto è d’obbligo inquadrare a quali lettori vogliamo rivolgere la nostra opera. La scelta è essenziale per capire i contenuti e lo stile da proporre. Sembrerà banale, ma vi porto all’attenzione un paio di esempi. Se decidiamo di scrivere un romanzo per ragazzi, di certo non possiamo proporre contenuti di violenza o vietati, né tantomeno possiamo proporre uno stile di scrittura troppo complesso, altrimenti non verrà capito. Viceversa, se presentiamo un romanzo con uno stile troppo semplice o con contenuti troppo fanciulleschi ad un pubblico abituato a leggere “mattoni” anziché libri, questo si sentirà terribilmente annoiato. Innanzitutto quindi identifichiamo una fascia d’età del nostro pubblico. Fatto questo cercheremo anche un genere in cui inserire la nostra opera: come sapete ci sono lettori che leggono di tutto, altri fissati con un genere in particolare. Pertanto inquadriamo già il nostro romanzo in un genere piuttosto che in un altro, per rivolgerci poi alla fascia di lettori più opportuna.
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È difficile definirlo a priori, basandosi semplicemente su una fantasia appena concepita, ma ciò che vi suggerisco non è di stampare un’etichetta immutabile con cui catalogare la vostra creatura, ma di orientarvi approssimativamente su un genere piuttosto che un altro. Parlo quindi a grandi linee: orientarsi verso il fantasy, ad esempio, piuttosto che verso un giallo, senza scendere nelle particolarità e sottocategorie che ogni genere può avere. Cominciamo già quindi ad abbozzare un target a cui rivolgersi.
Il nostro romanzo è veramente qualcosa di nuovo?
Ed eccomi giunta alla domanda più pesante di tutte: mettiamoci faccia a faccia con la nostra fantasia, con la nostra idea, ancor prima di aver sviluppato la trama e le vicende che si susseguiranno. Si tratta realmente di una fantasia che non ha pari? O ne esistono altre di simili? Come vi anticipavo qualche paragrafo innanzi il lettore è diventato una personcina esigente, che sguazza in una realtà dove ci sono più scrittori che lettori, dove ci sono più libri di quanti realmente riesca a leggere in una vita intera. Ergo, dobbiamo dargli una motivazione affinché scelga di leggere la nostra opera piuttosto che le altre. Dobbiamo invitarlo ad una realtà diversa, ed il volto migliore che possiamo dare al nostro invito è l’originalità. Con questo non vi sto dicendo di gettar via la vostra fantasia appena sbocciata, ma se vi accorgete della presenza di altri racconti simili, date alla vostra opera un volto originale con cui mostrarsi. Rendetela unica. Al concetto di originalità ci appiccichiamo subito un altro dubbio in cui potreste imbattervi: vista l’ampia gamma di libri pubblicati nel nostro paese, come si fa a sapere se l’idea che abbiamo è originale? Come si fa a sapere che non ce ne sono già di simili nel mercato letterario? La risposta credo sia ovvia, ma ve la schiaffo ugualmente su questo foglio: leggere molto. Se volete realmente conoscere cosa offre il panorama letterario attuale dovete sfidare i limiti del vostro tempo quotidiano e leggere in abbondanza. Studiate con scrupolosità il genere letterario in cui vi siete prefissati di appartenere, ma sconfinate anche negli altri generi. Imparate dalla realtà e lasciatevi affascinare dai vari stili proposti. Chi è scrittore è in primo luogo un inguaribile lettore. Mi impongo di concludere questo mio articolo: troppi sono gli argomenti che vorrei trattare con voi ma devo mettermi in testa di dosare i miei pensieri, che in questo istante si stanno accavallando nella mia testa per trovar
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inchiostro prima di altri. Nella speranza di non avervi annoiato, di non esser inciampata nel banale, vi invito a ritrovarci nel prossimo numero di Eclettica. Qualsiasi suggerimento, qualsiasi argomento vi farebbe piacere trattare, fatecelo sapere! Contattateci nella nostra pagina Facebook, sarĂ un piacere incontrare, seppur virtualmente, i nostri lettori. A presto!
A cura di Mary Chioatto
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LE ALI DI ISIDE Cleopatra. L’ultima grande regina d’Egitto La rubrica “Le Ali di Iside” prende il nome da un accessorio molto usato nella danza del ventre, emblema di eleganza e libertà. Si propone, di volta in volta, di raccontare l’Oriente in ogni sua sfaccettatura, di farlo scoprire nella sua complessità e nelle mille sfumature che lo compongono, considerando una vasta aerea geografica che comprende il mondo arabo-islamico fino al Sud Est asiatico. Un viaggio tra letteratura, cultura e società.
Cleopatra, la più famosa, discussa, celebrata, amata e odiata regina d’Egitto, ultima discendente della dinastia tolemaica, ultima sovrana di un regno tanto potente quanto instabile e fragile. Su di lei si è detto e scritto tantissimo, grandi pittori hanno perfino provato a immaginarne l’aspetto nei loro quadri, spesso accentuandone la sensualità e la regalità, per cercare di penetrare il mistero di questa donna che fu madre, moglie, regina e politico. Nessuno riuscirà mai a cogliere la vera essenza di Cleopatra, forse custodita sotto il mare turchese d’Alessandria d’Egitto, o tra le sabbie che circondano un antico tempio, prova di un passato glorioso, ma si può tentare di capirne la personalità, la strategia politica e sfatare alcuni pregiudizi di uno dei personaggi più
affascinanti della Storia.
• La vita Cleopatra VII Philopatore (69 a.C – 30 a. C.) era figlia del faraone Tolomeo XII Aulete e di una delle sue concubine. Nel 51 a.C. succedette al padre, governando insieme a Tolomeo XIII, il fratello di dieci anni sposato secondo la tradizione egizia. Tre anni dopo Tolomeo XIII tentò di spodestarla e, nello stesso difficile
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momento, la sorella Arsinoe IV rivendicò per sé il trono. Si scatenò una guerra civile che destò preoccupazioni perfino a Roma. Allo scopo di ingraziarsi il favore di Giulio Cesare, Tolomeo fece
avvenimento entrato nella leggenda: la giovane sovrana, temendo un attentato, si presentò al cospetto di Cesare avvolta in un tappeto che, una volta srotolato la mostrò in tutto il suo splendore. A quanto sembra Cleopatra e
Antonio e Cleopatra (1883)
assassinare il suo rivale, Pompeo, giunto in Egitto dopo essere stato sconfitto dal potente console romano. La reazione di Cesare, però, non fu quella che il faraone attendeva. Nessuno poteva osare uccidere un cittadino romano senza il suo consenso e certo non un uomo del rango di Pompeo. Decise, così, di convocare sia Tolomeo che Cleopatra nel suo palazzo. Qui accadde un
Cesare iniziarono la loro relazione quella stessa notte. La guerra civile proseguì, l’esercito romano e Cleopatra contro Tolomeo XIII e Arsinoe. Nel 48 a.C. ci fu una battaglia così violenta da provocare il gravissimo incendio della Biblioteca d’Alessandria, in cui vennero distrutti manoscritti dal valore incalcolabile.
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• Curiosità
perfino un trattato sulla cura dei capelli. Fin qui la Storia. Cleopatra, però, Non una ragazzina viziata e lasciva fu un personaggio a tuttotondo, come molti si ostinano a dipingerla, impossibile da riassumere in poche dunque, ma una vera signora delle righe o etichettare. Per quanto arti, delle scienze e della strategia riguarda il suo aspetto fisico, la politica il cui esempio, ancora bellezza per alcuni ovvia, per altri oggi, può insegnare moltissimo alle un po’ meno, (ma bisogna ricordare nuove generazioni di donne in tutto sempre di attenersi ai canoni il mondo. dell’epoca e non proiettare sul passato categorie in vigore oggi), • Cleopatra nell'arte si sono fatte, inutile nascondersi, solo ipotesi. Una cosa, però, è certa: Sarebbe impossibile elencare tutte Cleopatra possedeva un fascino le opere di cui Cleopatra è protagoammaliante, capace di stregare nista, ma ce ne sono alcune imperchiunque, una personalità vivace e dibili, da conoscere. particolare. Fu una donna coltissima, si dice Al cinema il film più famoso, preconoscesse alla perfezione nove miato e citato è, senza dubbio, lingue (tra cui greco e latino), “Cleopatra” (1963) di Mankievicz portata per lo studio e la politica, con la stupenda Liz Taylor, ma anintelligente, curiosa e attenta drebbero rispolverso il mondo circostante. verati anche la Apprese l’aritmetica, la geometria, “Cleopatra” di la geografia, l’astronomia e la Edwards (1917) medicina dai migliori insegnanti con Theda dell’epoca. Studiò, inoltre, musica, Bara, “Cesacanto e si dedicò all’attività fisica re e Cleopatra” (1946) con Vivien imparando a cavalcare. Leigh, diretto da Gabriel Pascal e il La sua voce melodiosa incantava più recente “Cleopatra” (1999) con chiunque l’ascoltasse, ma Cleopatra Leonor Varela. era anche molto attenta al modo Numerosi pittori hanno cercato di in cui si presentava; rispolverò le dare un volto alla celebre regina, inpiù antiche ricette per preparare terpretando dei momenti fondamencosmetici e, a quanto pare, scrisse tali della sua vita: “Morte di Cleo-
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patra” di Rosso Fiorentino (1525), “Cleopatra” di Artemisia Gentileschi (1620), “Cleopatra e Giulio Cesare” di Jean Leon Gerome (1866) e “Antonio e Cleopatra” di Lawrence Alma-Tadema (1885). Inoltre la regina d’Egitto è la protagonista dell’opera di Shakespeare “Antonio e Cleopatra”, del romanzo “Memoirs of Cleopatra” di Margaret George da cui venne tratto il film del 1999, del libro di Colleen McCullough edito da Rizzoli e che fa parte di una saga dedicata ai grandi personaggi di Roma antica e della recente opera “Cleopatra” di Stacy Schiff (Mondadori), completa e
ben scritta, da non perdere assolutamente. L’ultima pubblicazione in ordine di tempo è la saga di Javier Negrete edita da Newton Compton, che restituisce l’immagine di una regina colta e astuta.
Cleopatra, una donna, una leggenda, una figura storica appassionante che il mondo non dimenticherà mai.
A cura di francesca rossi
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FRAMMENTI VAGABONDI E SCAGLIE DI NATURA
Irlanda
La mia rubrica ha un tema molto vario: vario, ma simile negli aspetti più piccoli. Questa rubrica è lo specchio di una delle mie più grandi passioni: il viaggio. Il viaggio sia fisico che psicologico, quel legame così intimo tra un determinato luogo e l’interiorità della persona che lo visita. Ma non mi occuperò solo di questo: il mio spazio è basato sul viaggio in generale, quindi anche su possibili consigli di mete e destinazioni rare e poco conosciute, su diari di viaggio, sia vissuti sia utopici, e quindi, automaticamente, delle bellezze della natura… …Ma anche della letteratura di viaggio: quel tipo di letteratura che sta prendendo piede in questi ultimi anni, probabilmente troppo tardi rispetto alla sua bellezza ed al suo interesse. Vorrei trattare nel migliore dei modi di autori che al tempo stesso son stati viaggiatori, girando il mondo e trasferendo le loro emozioni su romanzi e resoconti tramandati fino ai nostri giorni (e che, in gran parte, hanno influito sul bisogno di fuga e di evasione), recensendone una determinata opera: recensione che non si baserà sull’aspetto tecnico o strutturale, ma bensì sul senso vero e proprio del contenuto, sull’effetto che può far provare ad ogni persona diversa, sul messaggio che lo scrittore ha cercato di lanciare. Perché il viaggio è l’unico modo di essere liberi.
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Ho deciso di inaugurare la mia rubrica parlando dell’Irlanda, in particolare Dublino, capitale del paese nonché città principale, costantemente ricca di turisti, specialmente italiani. L’Irlanda è conosciuta anche come "la terra Smeraldo’’, grazie alla sua numerosa vegetazione il cui colore ricorda quello della meravigliosa pietra, così naturale e brillante. Ma, ovviamente, non è famosa solo per questo: come ogni paese ha le sue bellezze che la rendono originale e particolare agli occhi di chi la visita, specialmente per la prima volta. Ho visitato la capitale irlandese circa tre anni fa: questa città, nonostante sia passato diverso tempo, mi ha lasciato delle emozioni e delle sensazioni indescrivibili, tipiche di chi vive il viaggio non solo per visitare il luogo ma per conoscere se stesso.
sostare mentre si aspetta un volo o dopo un atterraggio, è collegato con navette e pullman al resto della città, da cui è possibile poi visitare il centro, i siti turistici e le vie maggiori irlandesi. L’Irlanda è un paese ricco di gioventù con una vita notturna molto movimentata, grazie ai numerosi pub e locali per cui è conosciuta e rinomata. Iniziando a descrivere Dublino nelle sue attrazioni, specialmente naturali e di svago, una delle strade più note della capitale che salta subito
all’occhio è Grafton Street, che si Dublino è facilmente raggiungibi- estende dal parco pubblico St Stele con un volo diretto senza scali (i phen’s Green a sud fino al Trinity low cost sono quelli più gettonati) College ed ai suoi giardini a nord. di circa tre ore, da Roma ma anche Nonostante la strada principale irda Milano o Palermo, ad esempio. landese sia O’Connell Street (ricoL’aeroporto principale è il Dublin noscibile da un obelisco immenso Airport situato sulla Swords Road, che sembra perforare il cielo, mol’unico presente in Irlanda, fonte numento caratteristico della via), ogni giorno di numerosi passeggeri. personalmente sono stata più colpiAeroporto moderno, ricco di nego- ta da Grafton Street, anche se ovzi, ristoranti e punti di svago in cui viamente il tutto è molto soggettivo.
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Le strade irlandesi sono molto trafficate, specialmente nelle ore di punta, ma sarà per la novità, sarà per l’adrenalina, ma passeggiare guardando con occhi incuriositi le insegne dei negozi è un qualcosa di meraviglioso. La gamma dei negozi è molto molto varia: è possibile venire a contatto con locali la cui merce e vendita è basata su prodotti tipici del luogo, ma è possibile incontrare negozi presenti anche in Italia come ‘’Lush’’ famoso per i suoi prodotti di bellezza naturali. Camminando per la via, si giunge ad un enorme centro commerciale a vetri riconoscibile grazie ad una sorta di cupola di vetro, il St Stephen’s Green Shopping Centre dove, di fronte alla sua entrata, è uso comune per gli artisti di strada esibirsi attraendo il pubblico con i loro spettacoli.
Numerosi inoltre sono i negozi la cui vendita è basata sugli oggetti tipici irlandesi, che siano d’abbigliamento, per la casa e quant’altro. Sono molto famose, ad esempio, le t-shirt o i portachiavi con il trifoglio: sicuramente, per i viaggiatori locali di questo genere sono imperdibili, specie per chi è amante dei souvenirs, tutti da collezionare! Un’altra caratteristica imperdibile di Dublino (imperdibile per la maggior parte dei giovani) è il quartiere del Temple Bar. Conosciuto anche per essere il ritrovo di molti artisti di strada (e quindi è un ottimo luogo per venire a contatto con persone ed etnie differenti dalle nostre), è caratterizzato da numerosi pub, bar e club ognuno con
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insegne e colori differenti, tra cui il Temple Bar (che trae il nome dall’omonimo quartiere), l’Hard Rock Cafè, altra tappa imperdibile di un possibile viaggio in questa terra, con tanto di musica e luci colorate, e la Porterhouse Brewing Company, ovvero una catena di pub che è possibile trovare anche nella città di Londra. Oltre alla Grafton Street, O’Connell Street (anch’essa assai trafficata e ricca di negozi), alla zona del Temple Bar, un’altra imperdibile tappa per chi decide di fare un salto in Irlanda, è la fabbrica della Guinnes, conosciuta come ‘’Guinness Storehouse’’. È una delle attrazioni turistiche più visitate in Irlanda, e ci si può accedere previo acquisto di un biglietto, il cui prezzo varia in base alla fascia d’età. La Guinness Storehouse è una fabbrica di sette piani situata al St. James’s Gate, in cui viene perfettamente raccolto l’enorme patrimonio legato alla Guinness, raccontandone la storia, ammirando la lavorazione e la produzione della birra in tutte le sue fasi… Ma non solo! Nella fabbrica è possibile visitare il negozio originale del marchio, in cui si ha l’opportunità di acquistare di tutto: dai poster alle magliette, da oggetti per la
cucina agli accendini, dai guanti ai cappelli e quant’altro! Ma la bellezza mozzafiato di questa attrazione, è racchiusa nell’ultimo piano dell’edificio, occupato da un bar circolare adornato di grandi vetri da cui si ha una spettacolare vista della capitale, in cui – mentre ci si bea di questa visuale – è possibile sostare e bere qualche drink, per chiudere in bellezza la visita in questo pezzo di storia chiamato Guinness. Ma non basta scriverlo, per cercare di trasmettere la bellezza di quei luoghi. Non basta illustrare il nome di un negozio o di un edificio particolare, come ad esempio la St. Patrick’s Cathedral, la più grande cattedrale protestante in stile gotico del paese, nonché uno dei simboli principali irlandesi, il cui nome è tratto da Patrizio d’Irlanda, patrono della nazione.
No, non basta una semplice descrizione, un diario di viaggio, un resoconto per illustrare le bellezze
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di Dublino. Bisogna visitarla, per rimanerne completamente avvolti. È una città che per quanto sia movimentata, è costantemente avvolta da un alone di malinconia. Ma quella piacevole malinconia, quella dolce tristezza che ti lascia camminare per quelle vie la cui tendenza gotica si nota anche dalle semplici case, con occhi sognanti, come un bambino alle prime armi con il suo gioco preferito. ‘’Se ho scelto Dublino per scena Mi sento di consigliare questo è perché quella città mi viaggio a chi ama, la malinconia. appariva come il centro della A chi riesce a gestirla, a quelli che paralisi…’’ si lasciano dolcemente avvolgere da questa sensazione, mentre passeggiano con la macchina fotografica al collo prestando attenzione anche ai più piccoli particolari. E non solo Dublino, ma tutta l’Irlanda. Dalle città più movimentate ai centri meno conosciuti, dai locali notturni giovanili ai pub di paesi meno visitati e gettonati. Trovo giusto concludere questo ‘’diario d’Irlanda’’ con una citazione di James Joyce, una figura – assieme ad Oscar Wilde – che rappresenta pienamente la cultura e la letteratura di Dublino, nel cui centro è possibile trovare due statue in loro memoria. A CURA DI PRISCILLA GALLAGHER
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FEEL MUSIC
Il tesoro dei Cocteau Twins “Feel Music” è la rubrica dedicata alla musica, ma sarebbe una pretesa affermare che qui si fanno recensioni. Feel Music: sentire la musica. E non parliamo solo di ascoltarla! Sentirla dentro, a contatto con i nostri gusti personali e le nostre sensazioni e reazioni, da buttare sulla carta per noi. E da leggere per voi. l’alternanza delle canzoni, per come sono distribuite. Si salta dalla gioia, dal canto languido, fino a sprofondare nella cupezza, in un sottofondo oscuro, ma sempre dannatamente affascinante. E voi lì a seguire tutte quelle capriole di sensazioni. Ma andiamo con ordine.
Siete pronti a perdervi? Perché è proprio questo il rischio, l’avvertenza che dovrebbero stampare sul retro di questo album datato 1984. Avete mai avuto l’impressione di perdere la cognizione del tempo, ascoltando un album o una playlist? Non era niente rispetto a Treasure. Dopo che le dieci canzoni vi saranno scivolate addosso, vi ritroverete a pensare di essere appena usciti da un labirinto di emozioni. È proprio questo l’effetto che crea
Prima di questo terzo album, gli scozzesi Cocteau Twins andavano avanti nella ripetizione opaca di un dark-punk, che spettava di diritto ai Siouxsie and The Banshees (la stessa Fraser era una grande fan di Siouxsie). Non si producevano in composizioni malvagie, tutt’altro, ma non sarebbero mai entrati nella storia della musica. Non se non avessero compiuto una rivoluzione tale, da riuscire a portare alla luce questo grande tesoro. Elizabeth Fraser (voce) e Robin Guthrie (chitarra e tastiere), con
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strepitare, sussurrare, inseguendo (o venendo inseguita) dalle note di Guthrie e dal sottofondo impeccabile di Raymonde. Questo è l’album. Dieci tracce. Dieci nomi di donna. E, a sentire le esibizioni di Fraser, viene il dubbio che siano un po’ tutte degli alter ego di questa talentuosa cantante. Quando prende il nome di Lorelei o Aloysius, l’aggiunta del nuovo bassista e percussionista Simon Raymonde, sembra quasi una bambina che se affrontano questo passo. Si lascia- ne va in giro saltellando e cantanno alle spalle (almeno in parte) la do. Quando diventa Pandora, ci troviamo di fronte ad una ragazza zavorra punk e spiccano il volo, che ci sussurra parole d’amore. atterrando verso lidi di un altro mondo. O forse sono loro gli alieni Siamo noi a galleggiare su quelscesi fra noi, a scombinare le note, le note. Con Amelia si fa strega e sembra ripeterci all’infinito una a giocarci, dando vita ad un nuovo genere, che di lì in poi avrebbe dolcissima maledizione. E quando arriva Otterley, attenti, perché poavuto una schiera enorme di proseliti, più o meno degni: il Dream trebbe essere qualcosa di oscuro, uno spettro che vi parla alle spalle. Pop. Sibila quasi la sua voce in questa traccia, esce appena dal sottofonDescrivere un album del genere do ambient preparato a puntino risulta difficile, quasi impossibile, forse anche abbastanza inutile. da Guthrie (insieme a Pandora, la traccia migliore dell’album). Sono canzoni che si confrontano direttamente con noi stessi, con le In Persephone, Fraser dà tutta se stessa, con progressioni quasi imnostre corde più intime. E ognupossibili da imitare, un virtuosismo no avrà una differenza reazione che lascia sempre a bocca aperta, di fronte l’anarchia che stiamo ascoltando. Sì, perché sarebbe riduttivo anche chiamarle canzoni. I testi sono quasi indecifrabili, senza senso, una scusa per lasciare libera la voce della Fraser, che può cianciare, cinguettare,
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ad ogni ascolto. L’esatto opposto di Beatrix, dove invece pare quasi contenuta, in una litania schematica come la composizione stessa. Nell’album, nonostante la nuova strada intrapresa, i Cocteau Twins continuano comunque a riproporre episodi più strettamente dark-punk. Oltre alla già citata Persephone, Ivo e Cicely mostrano ancora dei collegamenti con il loro passato, anche se in maniera magari velata. Chiude il disco, la superba e indomita Donimo. Cos’altro aggiungere? Anche le parole sembrano perdere di significato nella dimensione irreale nella quale si sprofonda, ascoltando Treasure. Tutto ciò che rimane è l’ascoltatore e le canzoni con le quali entra in contatto. E l’esperienza di un viaggio quasi mistico, dal quale si fa fatica a ridestarsi.
A cura di mirko de gasperis
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…E AZIONE! Rush
"...e azione!" è la rubrica sul cinema. Recensioni di film appena usciti o di grandi classici, di film di serie B sottovalutati, o megaproduzioni dimenticabili. Purché sia Cinema, purché ti ispiri qualcosa, dalla commozione al disgusto, dalla rabbia alla risata. Comincia tutto quando si inizia a girare. Quindi... azione!
Tratto dalla biografia di Niki Lauda, “Rush” è un film che romba potente come i motori protagonisti dell’intera vicenda. L’atteggiamento glamour, tronfio, quasi sfacciato dell’intera pellicola però riesce a non infastidire (come invece capita in tanti altri film del genere, tipo “Giorni di tuono” di Tony Scott, tanto per dirne uno), supportato e imbrigliato dalla sceneggiatura intelligente ed equilibrata del britannico Peter Morgan (The queen), alla seconda collaborazione con Ron Howard (A beautiful mind, Cinderella man), dopo l’ottimo Frost/Nixon, che si conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, uno degli sceneggiatori più interessanti di questi anni. Sono infatti le vicende narrate a dettare il
ritmo e a scegliere con sapienza quando mostrare scene più discorsive e descrittive della vita di James Hunt e Niki Lauda, e quando rilasciare tutto il potenziale esplosivo nelle ricostruzioni delle gare
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automobilistiche, coinvolgenti anche per chi non è appassionato di questo sport. Ron Howard adagia la sua regia di conseguenza, con inquadrature sobrie, sempre pronte a lasciare il posto ad un montaggio serrato, quasi da spot pubblicitario (e davvero viene da pensare spesso allo stile dei fratelli Scott), quando vengono mostrate le gare. Ma anche quest’ultime riescono spesso a limitarsi, a non scadere
nel narcisismo, approfittandone anzi per denunciare il fattore di rischio che una volta, neanche tanto lontana, regnava sulla Formula 1. E lo si nota dagli incidenti, per niente spettacolari e anzi piuttosto drammatici. Viene da sé che in un film del genere molto della riuscita del film passi per le interpretazioni dei due protagonisti, anche se aiutati da una sceneggiatura che li delinea ottimamente, mettendone
in mostra pregi e debolezze. E se Chris Hemsworth (Thor) è convincente nella parte di Hunt, aiutato anche dal non trascurabile physique du rôle, Daniel Brühl (Good Bye Lenin!, Bastardi senza gloria) riesce a compiere un ottimo lavoro, dando vita ad un Lauda, senza scadere nella caricatura, un personaggio che sta in piedi, anche per chi non ha mai avuto modo di vederlo, negli anni ’70. Menzione a parte per il nostro Pierfrancesco Favino, nel ruolo di Clay Regazzoni, con l’interpretazione però in parte rovinata da un pessimo doppiaggio (compiuto da se stesso, peraltro), che si sarebbe potuto evitare. La musica di Hans Zimmer risulta alquanto anonima ed è incisiva solamente quando viene fuori nell’emozionante ricostruzione del Gran Premio d’Italia, quando Lauda torna in pista, dopo l’incidente. Per il resto del film, l’unica e prepotente colonna sonora sono i motori che rombano nelle gare e nella testa dei piloti. Se proprio si vuole trovare un difetto al film, forse sta nella voce fuori campo che, se nella
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prima parte era contenuta e adatta a descrivere i due piloti, nel finale risulta davvero invadente e da la mazzata ad un finale evitabile, ma che per fortuna non riesce a intaccare un film potente, emozionante e molto riuscito, che corre per la sua strada, fino al significato dell’intera pellicola, cioè di come la rivalità fra Hunt e Lauda fosse stata per entrambi una molla, la spinta a tirarli fuori dai momenti più bassi e difficili della loro vita, spingendoli a rimettersi sempre in gioco e a ripartire. Fuori e dentro i circuiti. Curiosità: Oltre a James Hunt, Niki Lauda e Clay Regazzoni, nel film sono presenti o vengono nominati altri vip dell’epoca. Infatti, in un paio di scene si può riconoscere la presenza di Enzo
Ferrari, storico fondatori della casa automobilistica di Maranello, e vengono nominati anche i due attori Richard Burton ed Elizabeth Taylor. Infatti Suzy Miller, prima moglie di Hunt, sarà la causa del secondo divorzio della coppia d’oro di Hollywood, e sposerà proprio Burton quello stesso anno.
A CURA DI MIRKO DE GASPERIS
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ARTEGGIAMENTI
Sguardi impudenti: lo scandalo Manet Visioni, immagini, risonanze di tempi lontani trasmessi attraverso pennelli, scalpelli e macchie di colore; ritratti di pensieri e società, voci da un mondo che vive di linee, luci e ombre: tutto questo è "Arteggiamenti", uno spazio dedicato all'arte, ai suoi protagonisti, alle esposizioni e alle filosofie che si celano dietro ai capolavori d'ogni epoca.
É. Manet, Le déjeuner sur l’herbe, olio su tela (1862,1863), Parigi, Musée d’Orsa
Nel 1863 il trentunenne Éduard Manet presenta un dipinto al Salon dell’Accademia delle belle arti, esposizione artistica parigina a cadenza biennale, ma se lo vede rifiutare per motivi sia etici che tecnici: la sua opera, oltre che di cattiva esecuzione, è considerata offensiva rispetto alla morale comune, perché ritrae due giovani donne, una delle quali nuda, che si intrattengono sulle rive di un fiume con due
gentiluomini. Il suo quadro è fra gli oltre quattromila che in quell’anno vengono respinti dagli accademici, ed è in compagnia delle opere di Manet, Pisarro e molti altri artisti che vengono esposte al Salon dés Refusés, voluto da Napoleone III, con una scelta che viene considerata convenzionalmente il punto d’origine dell’Impressionismo. Inizia così la storia del dipinto forse più noto di Manet, la Colazione sull’erba.
Tiziano o Giorgione, Concerto campestre, olio su tela (1510), Parigi, Musée du Luvre
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Non ottiene un’accoglienza più calorosa l’altra opera che Manet realizza nello stesso anno, il ritratto di donna nuda intitolato Olympia, il cui soggetto
É. Manet, Olympia, olio su tela (1863), Parigi, Musée d’Orsay
è evidentemente una prostituta parigina reduce da una notte di passione alla quale vengono portati da una serva i doni floreali di un amante. Anche Olympia, come l’anonima donna in primo piano nella Colazione, fissa lo spettatore del dipinto. La volontà dell’artista di stabilire un rapporto diretto fra lo spettatore e lo sguardo della donna, quindi con la donna stessa, deve aver colpito profondamente la società parigina: l’attenzione del pubblico è evidentemente attratta dagli occhi delle protagoniste nude dei due dipinti e distolto con prepotenza dagli altri elementi. Certo, non è la prima volta
che l’arte ospita figure di nudi femminili, ma quelli ritratti da Manet non sono corpi di divinità, né di giovani e morigerate borghesi, bensì di cortigiane che si mantengono grazie alla loro bellezza e al loro fascino, che esercitano non solo sugli amanti raffigurati accanto a loro (come nella Colazione) o solo evocati (dal mazzo di fiori di Olympia), ma, proprio attraverso quell’apostrofe silenziosa, anche a coloro che stanno dall’altra parte della tela.
Tiziano, Venere di Urbino, olio su tela (1538), Firenze, Galleria degli Uffizi
Entrambi i dipinti si ispirano a originali rinascimentali, il primo al Concerto campestre di Tiziano o Giorgione del Louvre (1510), il secondo alla Venere di Urbino di Tiziano (1538), ammirabile agli Uffizi, eppure evocano una concretezza che è estranea alle idealizzazioni dei
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loro modelli: gli sguardi delle donne di Manet stabiliscono un rapporto che impedisce qualsiasi astrazione, che radicano lo spettatore alla realtà sociale in cui vive. Gli occhi di Olympia e della bagnante nuda sono un richiamo alla coscienza, l’invito a non nascondersi dietro le apparenze, una sfida ad affermare una vita lontana da qualsiasi idealizzazione, ma ugualmente meritevole di far parte dell’arte.
A CURA DI CRISTINA MALVEZZI
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DOMANDA. PERCHÉ? Ettore Majorana È scientificamente provato che un perché al giorno migliora la salute. È tra le prime parole che un bimbo impara, perché il desiderio di conoscenza è insito nell’uomo sia per quanto riguarda il mondo esterno che verso la propria interiorità. Questa rubrica nasce dall’idea che la scienza è tutto ciò che ci circonda nessuno è esente, nasce per creare un punto di contatto tra letteratura e natura. “Che scopo si prefigge il vostro lavoro? Io credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana” B.Brecht Ettore Majorana è un illustre scienziato catanese nonché ingegnere e fisico, vive a cavallo delle due guerre mondiali in un periodo di massiccio sviluppo in ambito scientifico e tecnologico che agevolerà l’ascesa di giovani scienziati i quali animeranno negli anni a seguire il dibattito scientifico mondiale. Majorana presenta ben presto un’innata attitudine per i calcoli matematici. Amaldi in Nota Biografica racconta che Ettore a quattro anni riusciva a estrarre
radici quadrate e cubiche quando i numeri non sapeva ancora leggerli e quando gli si chiedeva di fare un calcolo il bambino si nascondeva sotto il tavolo e in pochi secondi dava la risposta esatta. Questa eccessiva ritrosia e timidezza caratterizzerà sempre la sua vita e sarà una costante nei sui rapporti con gli altri. Frequenta la facoltà di fisica di Roma dove incontra Segrè e Volterra. Segrè, però, giunto al quarto anno di studi decide di passare alla facoltà di Fisica e probabilmente convince Majorana a seguirlo, come
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racconta Leonardo Sciascia in La scomparsa di Majorana: «Egli venne all’Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell’occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un’andatura timida, quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme, l’aspetto di un saraceno.»
Autore: Leonardo Sciascia Titolo: La scomparsa di Majorana Editore: Adelhpi Prezzo: 9.00€
Fermi è un ventiseienne, il più giovane professore di fisica italiano, e lavorava allora al modello statistico dell’atomoo e tra i due scienziati la discussione si incentrò subito sulle ricerche in corso all’Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello; mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori sull’argomento e, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valorinumericii delpotenziale universale di Fermii. Majorana dopo aver chiesto qualche chiarimento, se ne andò. Il giorno dopo, nella tarda mattinata, si presentò di nuovo all’Istituto, entrò nello studio di Fermi e gli chiese di vedere la tabella avuta in mano il giorno prima per qualche minuto. Estrasse dalla tasca un foglio su cui era scritta un’analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattro ore. Confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, disse che la tabella di Fermi andava bene. Questo passaggio ci da prova della bravura, ma anche del rapporto competitivo tra i due fisici. Laura Fermi così lo descrive: “Ettore Majorana aveva un carattere davvero strano: era eccessivamente timido e chiuso in
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sé. La mattina, nell’andare in tram all’Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto cercava Fermi o Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea.” Dopo aver scoperto che all’interno dell’atomo oltre ai protoni erano presenti i neutroni, non volle pubblicare il suo lavoro dichiarando che era incompleto. Nello stesso anno Heisenberg pubblicò la teoria sulle forze “di scambio alla Heisenberg” che lo portò a ricevere il premio nobel per la fisica. L’unico con cui intratterrà un rapporto di lavoro e di amicizia sarà Heisenberg, lavorandoci insieme per diversi mesi a Lipsia, con cui condividerà la passione per la fisica, la passione per gli scacchi e le lunghe ore passate
a conversare. Majorana trovava semplicemente, ciò che gli altri cercavano,per lui la scienza era connaturata al suo essere. Probabilmente la sua scomparsa ha a che fare con le ultime ricerche di Fermi riguardo esperimenti per la scoperta dell’elemento n° 93 della tavola periodica, scoperte confutate da una chimica tedesca, Ida Noddack, la quale invitava Fermi a rivedere i propri calcoli perché non coincidevano assolutamente con quelli riguardo la scoperta di un nuovo elemento della tavola periodica e fu la prima ad elaborare l’idea della fissione nucleare, idea da cui prenderà il via lo sviluppo della bomba atomica. Majorana scompare proprio durante queste scoperte. Fermi darà questa definizione del collega: “Al mondo c’è però anche gente di primissimo rango, che arriva a fare scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Infine, ci sono anche i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso”. Invece può darsi proprio
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che egli abbia dimostrato più buon senso degli altri in quanto, prevedendo l’entità delle scoperte, non abbia voluto prenderne parte, ma abbia preferito vivere lontano dagli altri e dalla scienza.
(2009): 337,6 TWh/anno. Il rischio di incidenti vale la quantità di energia prodotta? La spesa per creare una nuova centrale nucleare, che si aggira attorno ai 5 miliardi di euro per una centrale di terza generazione già Oggi sappiamo quale fu considerata obsoleta per i metodi l’entità delle scoperte di Fermi: di produzione e di stoccaggio dei condussero alla progettazione rifiuti, è necessaria? Invece, con della bomba atomica e la stessa cifra spesa in energie successivamente allo sviluppo rinnovabili, che non hanno né della ricerca nucleare da utilizzare la stessa resa né la stessa durata come fonte alternativa a quella di una centrale nucleare, si naturale per produrre energia. Si creerebbero migliaia di posti di può essere d’accordo o meno sul lavoro avendo anche esse, però, nucleare, ma bisogna non chiudere un forte impatto ambientale, ma mai gli occhi davanti ai disastri non si avrebbero rifiuti radioattivi e ai danni causati dall’utilizzo da smaltire. di esso. Il disastro di Cernobyl, Quando si parla di materiale di Fukushima e la numerose radioattivo si intende che questo inchieste riguardo lo smaltimento materiale emette una radiazione dei rifiuti radioattivi e la messa ionizzante, che non è altro che in sicurezza degli impianti più una serie di particelle o onde vecchi sono tra le problematiche elettromagnetiche che hanno più scottanti. A voi il compito di un’energia sufficiente da poter fare i calcoli, considerando che staccare gli elettroni da un atomo la vita media di un impianto è di o da una molecola, ovvero circa 60 anni e, a differenza delle di ionizzarli. Se l’energia in energie rinnovabili, non risente gioco è sufficientemente alta, la dei cambiamenti climatici; ogni radiazione è in grado di eccitare centrale moderna produce circa anche il nucleo dell’atomo e 1,6 GW lavorando per circa 8500 addirittura disintegrarlo. Dalla h producendo in un anno circa disintegrazione possono derivare 13,6 TWh; il fabbisogno elettrico due conseguenze: danni somatici, italiano in termini di Energia che descrivono gli effetti sul
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funzionamento fisiologico del corpo umano; danni genetici, che si riferiscono al danno alle cellule in fase di riproduzione che può portare anche a malfunzionamenti ereditari, come malformazioni o cromosomi danneggiati. Gli effetti tardivi si manifestano dopo anni o addirittura decenni dall’irradiazione e sono a carattere probabilistico. Tra le conseguenze che spiccano per la loro gravità e la loro frequenza ci sono le leucemie che compaiono tra i 3 e i 15 anni e i tumori maligni (carcinoma mammari, cutanei, polmonari, tiroidei e sarcomi ossei) che si presentano tra i 10 e i 30 anni dalle irradiazioni. Gli effetti delle radiazioni possono interessare, oltre al soggetto esposto, anche i suoi figli. Queste conseguenze ereditarie consistono in mutazioni genetiche cioè l’alterazione nella funzione dei singoli geni; aberrazioni cromosomiche, che risultano dalla rottura e riorganizzazione dei cromosomi e variazione del numero di cromosomi. Greenpeace, citando vari studi indipendenti, rileva 270mila casi di cancro attribuibili a Chernobyl, di cui 93mila mortali.
Ogni anno si devolvono in beneficienza milioni di euro e si fanno numerose raccolte fondi per finanziare progetti di sviluppo di nuove terapie contro tumori, malattie ereditarie e patologie rare. Perché da una parte sosteniamo lo sviluppo della ricerca scientifica e dall’altra permettiamo ai nostri figli di ammalarsi?
A CURA DI CLARA TRIMARCHI
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MEMORIE DI VIAGGI
A spasso con la sirenetta e Amleto Copenaghen la capitale Europea delle fiabe di Anderson, tra ombre e luci di un sole che ogni tanto si affaccia dopo un violento acquazzone. È stato un agosto intenso il mio, ho preso più voli di quante volte ho guidato la macchina per recarmi a lavoro. Prima Londra, poi Lisbona e infine Copenaghen. È proprio di questo ultimo viaggio che vi voglio raccontare, una toccata e fuga nella capitale europea conosciuta al mondo per la statua della Sirenetta. Prima di partire avevo raccolto un po’ di feedback tra amici e conoscenti e mi ero preoccupata non poco del costo elevato della vita, per cui ho buttato giù un piano di sopravvivenza per il risparmio totale. Con questo diario di viaggio non voglio sfatare un luogo comune: Copenaghen è effettivamente cara per quanto riguarda trasporti, alberghi, ristoranti, attrazioni tuttavia si può assaporare il clima della città senza farsi svuotare le tasche. Tanto per cominciare, per chi ama camminare e non si spaventa a
percorrere manciate di chilometri, il centro storico e le principali attrazioni sono raggiungibili tranquillamente a piedi, risparmiando sui mezzi di trasporto che mi sono sembrati più cari di Londra. Più o meno una corsa in metro dall’aeroporto al centro sta sui 4,50 €, un biglietto giornaliero 18€ circa. Ma non vi servirà assolutamente, anzi, camminando a piedi potrete assaporare l’anima della città, l’architettura, i danesi che sfrecciano in bicicletta tutti biondi e atletici, un sole birichino che di tanto in tanto si affaccia a spezzare la monotonia di un cielo grigio di nubi e carico di pioggia. E quando spunta il sole, Copenaghen si trasforma in una nuova veste, diventa una signora affascinante e splendente, una città ricca di colori e di sfumature. Poi le nubi coprono velocemente il cielo e la città si tinge di un cupo velo di malinconia. È la
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volta di un violento acquazzone, e allora vedrete tutti i danesi ripararsi sotto un albero, dentro a qualche caffetteria, sotto un ponte mentre imperterriti turisti continuano a camminare sotto le intemperie. Con la pioggia un po’ tutto si ferma perché a differenza dell’ignaro straniero la gente del posto sa che è semplicemente di passaggio per pochi minuti. Se proprio non voleste andare a piedi, vi verrà voglia di affittare una bicicletta e pedalare lungo i canali nelle infinite piste ciclabili. È possibile perdersi per ore a guardare i danesi che pedalano perché è un carosello di gente tutta diversa che si muove per la città. C’è il papà che porta i figlioletti, il manager in giacca e cravatta, la donna in carriera e le amiche che passeggiano tutte insieme. Insomma è impossibile trovare uniformità in questo mare umano. Le biciclette da aprile a novembre
sono prelevabili gratuitamente in
alcuni punti dislocati nel centro cittadino, si prende inserendo all’incirca 3 euro nel relativo posteggio. Si possono recuperare i soldi una volta riconsegnata la bici. In Danimarca, la moneta locale è la corona danese, 7.36 corone valgono un euro. Ma non dovete allarmarvi se non siete riusciti a partire con le corone dall’Italia, che a quanto pare risultano introvabili, a Copenaghen si paga praticamente tutto con il bancomat. Dal supermercato, biglietti metro, musei, persino l’ingresso in discoteca. Vi serviranno degli spicci per acquistare cibo dalle bancarelle sparse qua è là nella cittadina o per comprare qualche oggettino artigianale. E ora veniamo al mito dell’acqua che costa 6 euro: effettivamente nei ristoranti, bar etc. è abbastanza cara e in giro non ci sono fontanelle disseminate a tappeto come a Roma. Tuttavia per chi non volesse morire di sete o ubriacarsi, in quanto in proporzione le bevande alcoliche costano di meno, nei supermercati una bottiglia grande viene circa 1 €, nelle bancarelle troverete quelle piccole a poco più di 1 €. Quindi state tranquilli che non
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morirete di sete! Il danese è una lingua incomprensibile sia scritta che parlata ma anche in questo caso no problem: tutti parlano un inglese perfetto. Armatevi di cartina e un po’ di pazienza perché se pronunciate i nomi delle vie a un danese vi capirete soltanto voi. Cosa mangiano i danesi? Beh in giro non è che abbia visto molti locali pieni degli oriundi eppure sono stata in Danimarca proprio per il week end. Leggendo la guida turistica ho scoperto che i Danesi preferiscono mangiare a casa e uscire successivamente per far movida notturna. In effetti con il costo caro della vita conviene una scelta più casalinga. Come tutti i paesi nordici, non ha un vero e proprio piatto tipico, ma si trova l’aringa affumicata, carne con patate, wurstel e polpette danesi. Quest’ultime le avrei volute proprio assaggiare ma ho scelto proprio questo viaggio per sentirmi male di stomaco, per cui sono andata avanti con panini bianchi (buonissimi). Comunque capitasse non perdetevi la specialità gastronomica più famosa: smorrebrod, una specie di tramezzino a cui manca un lato ed è riccamente farcito.
Di notte la silenziosa cittadina sui canali si trasforma in un coloratissimo guazzabuglio di vie piene zeppe di locali, discoteche per la maggiore aperte fino alle 5. Quindi per gli amanti del divertimento non c’è da preoccuparsi, basta recarsi in alcune vie specifiche e si potrà fare l’alba senza accorgersene. Io vi consiglio la discoteca Zen Nørregade 41 senza dubbio la migliore tra quelle che ho visitato durante il soggiorno. Una delle cose che mi ha lasciata più stupita è la facilità con cui i ragazzi danesi attaccano bottone… diciamo che in alcuni casi si sono rivelati parecchio molesti, quindi occhio ad andare in giro da sole di notte. Io e le mie amiche siamo comunque sopravvissute alla notte brava a nord ma toccava schivare un po’ di mani lunghe. Arrivati a questo punto forse vi starete chiedendo dove sono finite le attrazioni culturali.
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Non temete, Copenaghen non si risparmia neanche in questo. C’è da dire che non è che trasuda arte e cultura come quando si gira per Roma e Firenze, ma ha un’ architettura che affascina, almeno a me ha letteralmente rapito. È una tipica città del nord, precisa, ordinata, pulita. Il mio giro turistico è iniziato con un omaggio alla Sirenetta, il simbolo di Copenaghen, nonché mia grande passione e ossessione. Per raggiungerla ho percorso mezza città a piedi tra sole e pioggia, passando per il parco e il castello di Rosenborg. Dove ovviamente non sono riuscita a mettere piede perché a Copenaghen, come in tutte le città del nord, musei e negozi seguono un orario inconciliabile con la vita turistica. Apre tutto troppo tardi e chiude troppo presto per cui o si ha a disposizione una settimana di tempo per vedere tutto o è richiesta una cernita di attrazioni da vedere. Comunque qui, oltre al bellissimo palazzo, mi ha
colpito la presenza al parco di una coppia che stava festeggiando una ricorrenza: fiori, calici, spumante e cioccolatini, accanto le bici da passeggio. La romantica custodita in fondo alla mia persona in un istante si è fatta un film. Da lì poi sono giunta alla Chiesa di Federico, uno dei più bei edifici religiosi di Copenaghen. È comunemente conosciuta come la Chiesa di Marmo, sovrastata da una cupola che ricorda una sorella piccina di San Pietro. Abbiamo tagliato per il Palazzo Reale di Amalienborg per poi camminare lungo il canale, tra un mare nero petrolio per il cielo grigio che ci si specchiava, fino ad arrivare alla fontana di Gefion, un’antica divinità germanica della vegetazione e della fertilità che sprona i suoi figli trasformati in buoi a lavorare. Veramente spettacolare. Da lì in una volata e sotto una pioggerellina ho raggiunto la Sirenetta. Me la immaginavo più imponente e maestosa e invece se ne sta lì solitaria posata sulle rocce con il viso rivolto verso la terra che amerebbe calpestare ma una coda
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di pesce la lega al mare. Chi non conosce Christian Andersen e le sue fiabe che purtroppo nulla hanno a che vedere con quelle Disney, e hanno tutte una fine piuttosto tragica e cruenta? La statua dello scrittore può essere ammirata proprio vicino al Tivoli o in alcuni negozi di souvenir è presente il pupazzo a grandezza naturale accanto al quale è possibile farsi una foto. Sono rimasta una marea di tempo ad ammirare la semplicità di questa statua che è riuscita a diventare il simbolo stesso di una città. Poi si è scatenato un violento acquazzone ma da ignara turista ho continuato a camminare diventando zuppa in pochi minuti. Non so quanta pioggia è caduta né quanti chilometri ho percorso a piedi, so solo che a furia di camminare sono arrivata distrutta e contenta a Christiania, nota anche come Città Libera, un quartiere parzialmente autogovernato della città di Copenaghen.
Quando si entra in questo luogo si esce formalmente dalla comunità europea e si finisce in un mondo alternativo. Non ho parole per spiegarvelo, si mostra da sé e si coglie sulla pelle. Nessuno può fare foto all’interno di questa piccola città. Venne fondata nel 1971, quando un gruppo di hippie occupò una base navale dismessa costituita da edifici militari abbandonati. È famosa per la sua via principale, nota come Pusher Street, dove l’hashish viene venduto nei chioschetti. Consiglio un giro anche per chi come me è intollerante al fumo, giusto per cogliere il forte stridore tra dentro e fuori la comunità. Non ancora contenta, con le ultime forze a disposizione sono andata a vedere la splendida biblioteca nuova che hanno costruito vicino a quella reale. Viene
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chiamata il diamante nero perché è costruita di granito e vetro nero. Davvero spettacolare la sua imponenza che si staglia nella notte, specchiandosi nel canale. Il giorno dopo, di nuovo carica e pimpante, mi sono dedicata al Nyhavn che con le sue case a schiera colorate lungo il canale piena di bistrot e caffè mi ha ricordato tanto Amsterdam. Poi di corsa per le vie affollate e piene di negozi dello Stroget, dove nonostante Copenaghen sia cara da morire , sono riuscita a fare persino shopping. La marcia si è arrestata dentro al parco giochi Tivoli. Per chi ama le altezze, la velocità e stare a testa in giù è giunto nel posto giusto. Ci sono i calci in culo più alti d’Europa, il venerdì sera si può assistere a concerti e d’estate ci sono i fuochi d’artificio. Il biglietto pomeridiano senza giostre costa 13 euro, ma se siete amanti del pericolo prendete il biglietto completo di ogni attrazione in modo da risparmiare. Ancora non contente di aver camminato a piedi, ci siamo diretti verso la stazione dei treni dove ci siamo imbattute in un mare di biciclette parcheggiate. Abbiamo dato un’occhiata a un paio di quartieri eleganti e pieni di locali che di sabato pomeriggio sembrano un po’
morti, visto che è tutto chiuso (Vesterbro e Østerbro). Il pomeriggio si è chiuso con una lunga passeggiata nel parco cittadino. Poi stanca morta e fuori uso, mi sono riposata ammirando uno splendido tramonto dal sesto piano del mio Ostello. Per chi ha modo di fermarsi per più giorni consiglio una visita al castello di Amleto presso Elsinore, a 45 chilometri da Copenaghen e solo 4 km dalla Svezia. Raggiungibile con una mezz’ora di treno che passa molto frequentemente e chi ha la Copenaghen card avrà il biglietto gratis per il trasporto e per il castello. Per 5 giorni costa 100 euro e vi permetterà di viaggiare gratuitamente su tutti i mezzi pubblici ed entrare gratuitamente o con riduzioni in molte attrazioni (Grazie a Domenico Uccellini per i suoi preziosi consigli). Copenaghen mi è rimasta nel cuore, è una lunga pista ciclabile tra palazzi antichi e canali, che mi ha fatto venire una voglia matta di andare in bicicletta una volta tornata a Roma. A chi servissero spiegazioni più dettagliate su locali, ostelli e via dicendo non esiti a contattarmi, sono sempre disponibile come tour operator. A cura di fabiana andreozzi
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PHIL E SOPHIA
Storia di un amore, fra carogne e hamburgers Perché Phil e Sophia? Oltre all’assonanza con la parola “filosofia” (ammettilo: non ci eri ancora arrivato), credo che le due parole e, in questo caso, i nomi dei due personaggi rendano molto bene ciò che la filosofia è in generale, tornando utili anche per quando si affronteranno diversi filoni o filosofi. Phil siamo noi, ogni volta che ci domandiamo qualcosa, alla quale cerchiamo una risposta che non appare subito scritta sulle istruzioni del nuovo cellulare appena acquistato. Da dove veniamo? Chi siamo? Dove finiremo? Stamattina è tempo nuvoloso, me la rischio a prendere l’ombrello? Phil è innamorato di Sophia da sempre, perché Sophia è davvero troppo bella. Sophia sa tutto, voi avete un qualche dubbio e lei ha la risposta. O perlomeno ne è convinto Phil, e un po’ tutti noi. Ma Sophia è di un altro giro, un altro livello, un altro mondo. Ed è sempre troppo impegnata per il povero Phil. Così il disperato, ogni volta che ha un dilemma, un dubbio, afferra il telefono e la chiama, le scrive. Magari un giorno gli risponderà. Dovrebbe farsene una ragione, direte voi. Ma qui sta il punto: lui non può farne a meno. E non lo dico io, eh! Lo dice un certo Aristotele, un Phil greco del IV secolo a.C. «Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui.» Chiaro, no? Ecco, ora siete costretti a continuare a leggere.
In questo primo articolo diamo un’occhiata al volo a cosa è stata la filosofia nel corso della storia. Oh, ma tranquilli daremo soltanto una rapida occhiata, semplicemente perché non voglio annoiarvi con qualcosa che trovereste scritto meglio e in maniera più approfondita anche su Wikipedia, tanto per dire. Stabilire quando sia nata la filosofia è pressoché impossibile
e sono sorte delle vere e proprie discussioni fra occidentalisti, che reputano l’inizio della disciplina sita nel mondo occidentale, e orientalisti, che invece propendono per le zone asiatiche, zone dove nacquero e vissero personaggi del calibro di Zarathustra, Confucio e Buddha. Personalmente non credo sia molto importante trovare una data di partenza. Già il primo scimmione che smise di mangiare la carogna, per guardare verso la luna,
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chiedendosi cosa fosse quella cosa luminosa in cielo, a mio parere può essere considerato il primo filosofo, il primo Phil.
conoscenza che non poteva essere raggiunta da soli. Proprio per questo divenne famoso per i dialoghi che intratteneva, i botta e risposta nei quali coinvolgeva Da lì in poi, per quel che giovani allievi, ma anche politici interessa soprattutto la nostra sofisti dei quali smascherava i civiltà, la prima figura di una limiti, dietro l’abile parlantina. certa importanza sarà Talete Viene da sé che per i poteri forti che, insieme a Anassimandro, ateniesi era un personaggio Anassimene, Pitagora (sì, quello scomodo, da condannare. Socrate del teorema…), Parmenide non fuggì e finì per essere ed Eraclito (tanto per citare messo a morte. Un evento che i più noti e importanti) quel segnerà profondamente l’allievo gruppetto di filosofi presocratici Platone, il quale baserà la propria (prima di Socrate), accomunati filosofia futura principalmente dal loro indagare su questioni sul concetto di giustizia. Intanto cosmologiche e dall’essere odiati continua il costante declino delle da ogni studente di terza liceo. poleis greche e ci sono già i A modo loro, ognuno di loro macedoni alle porte. Proprio in tenterà di risponderà ad una delle questo periodo troviamo il nostro maggiori domande di Phil: da caro Aristotele, che introdurrà dove veniamo? Tutti alla ricerca il concetto di libertà, anche del di Sophia, dell’arché, questo pensiero stesso, che così può elemento primordiale da dove arrivare ancora più lontano. Dopo sarebbe venuto il tutto. Il successo la fine del mondo greco, con di quella che allora divenne una l’avvento dell’ellenismo, collegato vera e propria disciplina portò alle conquiste di Alessandro alla formazione di un’intera Magno, la filosofia torna a farsi schiera di sofisti, abili oratori e, in più concreta, più legata all’etica e definitiva, dei gran sapientoni (lo ai comportamenti, dando vita a tre diceva Socrate, non io!). Partendo correnti quali l’Epicureismo (dal proprio dall’avversione per quei filosofo Epicuro), lo Stoicismo e sapientoni, Socrate fonderà la lo Scetticismo. Sarà un concetto, propria filosofia sul “non sapere”, quello della concretezza che ammettendo tutti i limiti di una influirà anche sul mondo romano,
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da sempre molto pragmatico che troverà il modo di applicare la filosofia per questioni di stato oppure come “guida” per il modo migliore di vivere, come sostenevano Cicerone o Seneca. Il crollo dell’impero romano segna l’inizio del medioevo e, di conseguenza, dell’affermazione e diffusione del cristianesimo. Per secoli la filosofia verrà considerata come ancilla theologiae, quindi sottomessa. In poche parole, Sophia poteva essere un ottimo spunto per delle riflessioni, ma senza Dio non si andava da nessuna parte. Restituirà la propria dignità di disciplina indipendente un certo Guglielmo di Ockham, francescano che, con un colpo di rasoio, tornerà a separare teologia e filosofia. Durante l’Umanesimo, tutto ciò porterà ad una maggiore indagine rivolta all’uomo, piuttosto che a Dio, e a tutta una serie di persecuzioni contro Tommaso Campanella e Giordano Bruno. Il seicento, con tutte le proprie scoperte scientifiche porterà la convinzione nel metodo, come strada da seguire attraverso ragionamenti e dimostrazioni, come avrà modo di sostenere
Cartesio. Cogito ergo sum, a sottolineare quanto per lui (e per Leibniz) fosse importante un fondamento solido e matematico, per poter sciogliere ogni dubbio. Ma tutti i limiti della semplice ragione per poter raggiungere Sophia, furono già messe a nudo da John Locke, che specificherà di come dipenda molto dalle conoscenze di ognuno. E proprio la conoscenza sarà il motto di Kant, per specificare la filosofia durante l’Illuminismo, con il suo “Sapere aude”, l’esortazione ad usare la propria intelligenza per contrastare l’oscurantismo della chiesa e i limiti delle tirannie. Sarà sempre lui, tramite le sue due “critiche”, alla Ragion pura e pratica, a ridefinire il rapporto fra la filosofia e la scienza durante il ‘700. Una filosofia attiva, che può intervenire anche nella storia. Il contrario di ciò che affermerà Hegel, sostenendo di come la filosofia fosse più fine a se stessa e, in definitiva, una conseguenza degli eventi storici. Per lui era irrazionale tentare di capire o anticipare la realtà, mentre era vero il contrario. Schopenhauer e Marx prima, e Nietzsche e Freud in seguito criticheranno
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l’atteggiamento hegeliano, usando la filosofia come mezzo attivo per tentare di spiegare la condizione umana (concludendo in un certo senso il percorso iniziato durante l’Umanesimo, con i riflettori puntati sull’uomo e non su Dio), ognuno a modo loro. E oggi? Oggi Phil si domanda se sia ancora il caso di andare dietro Sophia. La filosofia pare essersi spostata sull’utilità della filosofia stessa come mezzo per trovare la soluzione ai problemi, in attesa forse di un altro Phil che emergerà magari, dando un nuovo impulso… ma per ora, la nostra società pare relegare gli studenti di filosofia in una categoria etichettata con parole che vanno dall’inutilità al posto riservato accanto ai friggitori di patatine nei fast-food. Insomma di strada ne abbiamo fatta dallo scimmione con la carogna. Oggi noi mangiamo gli hamburger.
A cURA DI mIRKO dE gASPERIS
Se volete contattare uno di noi ecco dove potete trovarci. Di seguito una lista con tutti i link di nostri siti\blog\pagine facebook. PAGINA FACEBOOK ECLETTICA: https://www.facebook.com/Ecletticalavocedeiblogger Giovanna Samanda Ricchiuti (Dal prossimo numero si occuperà di CHIACCHIERANDO CON…) https://www.facebook.com/unlettoreungransognatore http://lettoreungransognatore.blogspot.it/ Chiara Ricchiuti (Grafica) https://www.facebook.com/ChiaraRGraphicLab UN LIBRO UN SORRISO, Vanessa Vescera https://www.facebook.com/ConvivenzaLeggeraMatrimonioDaffari http://scheggedamore.blogspot.com UN MARE DI LETTERATURA, Claudia risi https://www.facebook.com/passioneletteratura http://passioneletteratura.blogspot.it/ SCORCI DAL MONDO INCANTATO/MEMORIE DI VIAGGIO, Fabiana Andreozzi https://www.facebook.com/FabianaAndreozzieVanessaVescera http://labottegadeilibriincantati.blogspot.it/ ECHOES, Roberto Baldini: http://scrivoleggo.blogspot.it/ LE ALI DI ISIDE, Francesca rossi www.divineribelli.blogspot.it www.lamanodifatima.blogspot.it https://www.facebook.com/FrancescaRossiAutrice http://elioreds.wix.com/francescarossi DALLA CARTA ALLA PELLICOLA, Daniela Mionetto https://www.facebook.com/Appuntidiunalettriceblog http://appuntidiunalettrice.blogspot.it/ LIBRI VINTAGE, Laura C. Benedetti https://www.facebook.com/pages/Laura-Caterina-Benedetti/397863926952672 L’ANGOLO DEGLI EMERGENTI\ESORDIENTI, Lidia Ottelli
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