1° Conferenza d'organizzazione UIL

Page 1

LA PRIMA CONFERENZA D’ORGANIZZAZIONE DELLA UIL

LA CRESCITA DELLA

RAPPRESENTANZA SINDACALE COMPORTA IL DOVERE DI ESSERE SEMPRE PIU’ A CONTATTO CON I

LAVORATORI CON UNA ORGANIZZAZIONE CAPACE E DIFFUSA SUL TERRITORIO E NEI POSTI DI LAVORO

Roma giugno 2018

Prefazione

La storia ci aiuta a interpretare e a vivere il presente, ma anche a immaginare il futuro. È il caso di questa pubblicazione che ci racconta una fase particolare della vita della nostra Organizzazione e ci offre una chiave di lettura anche della nostra quotidianità. Si tratta di una questione apparentemente specifica, limitata a una determinata fase storica, ma in realtà viene affrontata una parte essenziale dell’azione sindacale: la celebrazione dei Congressi e delle Conferenze di Organizzazione. Come è noto, l’articolo 39 della Costituzione non ha trovato compiuta attuazione. Tuttavia, alcuni aspetti sono stati comunque definiti nei fatti. Ad esempio, in quella norma si fa riferimento alla necessità che gli statuti dei Sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. Ebbene, la stagione congressuale risponde a questo criterio, coinvolgendo direttamente iscritti e militanti nella scelta sia della linea sia del gruppo dirigente che, proprio da quel percorso, riceve legittimazione democratica e capacità di rappresentanza anche rispetto ai soggetti terzi. La Conferenza d’Organizzazione, invece, persegue obiettivi più “interni”, ma non per questo meno significativi dal punto di vista della politica sindacale. Non esistono regole o criteri codificati che stabiliscono quale debba essere la scansione tra i due momenti: la distanza biennale è solo il frutto di una convenzione, oltreché la conseguenza di ragioni di opportunità organizzativa. La storia che racconta questo libro ne è la conferma e la testimonianza.

C’è, invece, un problema di sostanza con il quale dovremo fare i conti. Rispetto agli anni di cui si parla in questo libro, il mondo in cui siamo immersi è radicalmente cambiato. La velocità delle decisioni non è più una variabile indipendente e va a impattare sugli stessi processi democratici che caratterizzano il Sindacato. La democrazia è un valore fondante e imprescindibile che va preservato e rispettato, ma i tempi della sua attuazione possono essere accelerati per garantire l’efficacia dell’azione di tutela degli interessi e dei diritti dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani in cerca di lavoro. La modalità di svolgimento di un Congresso, dunque, è difficile che possa essere modificata, ma la Conferenza di Organizzazione può sicuramente diventare il luogo della sperimentazione di modelli più flessibili e, soprattutto, meglio rispondenti alle esigenze di rapidità e concretezza che possono valorizzare i processi organizzativi.

Questa pubblicazione ha il pregio di farci rileggere una vicenda storica, senza cristallizzarne il significato, ma alla luce di dinamiche che ci fanno prefigurare prospettive di sviluppo. La capacità di un’Organizzazione di persistere nel tessuto sociale

dipende dall’attitudine a governare il cambiamento e non a ostacolarlo. Se la Uil continua a crescere, evidentemente questo principio è riuscita a incarnarlo e a viverlo quotidianamente. Insieme, dunque, possiamo costruire un grande futuro.

Carmelo Barbagallo

Insegnamenti che la Uil di oggi può trarre

dalla storia della Uil delle origini

Perché parlare oggi del 1959? Perché la prima conferenza d’organizzazione nella storia della Uil fu fatta l’anno dopo il congresso del 1958: si sentiva il bisogno di compenetrare le decisioni politiche e quelle organizzative, in un’epoca di grandi cambiamenti. Può essere uno spunto attuale, quello di trovare modalità di svolgimento del congresso e della conferenza d’organizzazione che tengano insieme più e meglio di quanto non avvenga oggi il momento politico e quello organizzativo.

Quante volte abbiamo spiegato agli iscritti più giovani la natura e il funzionamento di congressi e conferenze d’organizzazione! Quante volte abbiamo raccontato la cadenza quadriennale dei congressi e delle conferenze d’organizzazione, con le seconde posizionate negli intervalli tra un congresso e l’altro, un biennio dopo ciascun congresso. Analoga pedagogia facevano Cgil e Cisl. Tante volte è stato così, tante volte è stato spiegato così, che alla fine è sembrato un ordine naturale, fuori discussione. In realtà, non fu così che andò la prima volta, nella storia della UIL: al congresso del 1958, seguì la conferenza d’organizzazione del 1959, la prima. Sul finire del decennio ’50, in cui la Uil era nata, e l’Italia era risorta dalle macerie materiali e psicologiche della guerra, si sentì la necessità di riorganizzare l’azione sindacale. Il boom economico era stato fondato anche sui bassi salari e su un poderoso movimento migratorio interno. L’Italia agricola aveva ceduto il passo a quella industriale. Nei luoghi di lavoro e nelle città, c’era da fare un enorme lavoro sindacale, contrattuale, sociale, che richiedeva un sindacalismo adeguato, moderno, inclusivo, democratico. È significativo che la giovane Uil, messa davanti al compito di passare dalla sopravvivenza al dispiegare un’azione strutturata, capillare, abbia sentito la necessità di far seguire presto al momento della decisione politica, quello organizzativo. Di qui l’uno-due congresso-conferenza, 19581959. Con gli anni Sessanta, la domanda di partecipazione alla nuova ricchezza prodotta in un Paese che si avviava a diventare una delle maggiori potenze industriali del mondo fu impetuosa, e il sindacato si orientò a raccoglierla ed organizzarla, dotandosi di strutture nei luoghi di lavoro e territoriali. Lo Statuto dei Lavoratori a fine decennio darà una veste giuridica all’attività e alla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro,

***

contribuendo grandemente alla promozione delle stesse e a disegnare i caratteri del sindacalismo anni Settanta. Non meraviglia che a quel punto, nel pieno della sua maturità, il movimento sindacale italiano abbia adottato la cadenza congresso politicoconferenza organizzativa che conosciamo. Ma oggi, che siamo nuovamente davanti a cambiamenti, peraltro di una portata molto più vasta di quelli pur epocali del primo dopoguerra, ci può essere utile ricordare che il momento politico e quello organizzativo possono essere diversamente collegati rispetto alla ormai canonica sequenza biennale; che modalità più ravvicinate di passaggio tra i due momenti possono essere utilmente prese in considerazione; che tempi troppo lunghi di dibattito interno possono essere abbattuti e che se inventeremo formule diverse per assicurare la massima partecipazione democratica degli iscritti alla definizione di nuove scelte di linea politica e di conseguente configurazione organizzativa. Si tratta di operare nel cuore della nuova rivoluzione industriale, per assicurarvi un ruolo alla nostra nazione; per la ricostruzione di un’Europa in cui le dimensioni politica e sociale si integrino con quella economica; per il ritorno dell’Italia alla crescita; in favore di un mondo del lavoro oggi frammentato e indebolito, che invece vogliamo nuovamente valorizzato e protagonista. A questo scopo, si tratta di mettere in campo un modello sindacale che accorci le distanze tra vertice e luoghi di lavoro e di organizzazione territoriale e che sappia trarre il massimo dalla ricchezza del doppio livello su cui è strutturato il sindacalismo confederale, verticale ed orizzontale, evitando separatezze ed aumentando le interconnessioni, come abbiamo cominciato a fare con le Conferenze d’Organizzazione di Bellaria (2012) e Roma (2016). Probabilmente, però, dovremo anche ripensare la modalità stessa con cui svolgiamo congressi e conferenze d’organizzazione, riducendo il tempo in cui ci ripieghiamo sul dibattito interno e raccordando maggiormente tra loro decisioni politiche ed organizzative. Dovremo saper innovare, anche traendo spunti dalla nostra storia, per esempio da vicende come questa della Uil delle origini, che vi proponiamo con questo opuscolo.

Roberto Campo Presidente Istituto Studi Sindacali “Italo Viglianesi”

1959 L’anno della prima Conferenza di organizzazione della UIL.

UNA ORGANIZZAZIONE MODERNA PER

UNA EFFICIENTE POLITICA SINDACALE

Nel 1959 a Grottaferrata, in provincia di Roma, l’11 e 12 novembre si tenne la prima Conferenza d’organizzazione della storia della UIL.

Fu un notevole sforzo di carattere strategico perché era necessaria la riorganizzazione non solo dell’apparato, ma anche di un modo di concepire il sindacato. C’era la necessità di proporre delle novità dal punto di vista politico e organizzativo, dopo circa dieci anni dalla costituzione della UIL. Era fondamentale passare da un’impostazione ‘emergenziale’ - ossia dettata dal bisogno di esserci, di far conoscere e diffondere la UIL - al radicamento sul territorio, con strutture definite, e sui posti di lavoro, cercando un maggiore coinvolgimento dei nuclei aziendali per staccarsi da un modo di far sindacato molte volte improvvisato e dettato da situazioni contingenti.

Era il momento di organizzare la vita della UIL.

Era stato il 3° Congresso confederale della UIL, svolto l’anno prima, che aveva dettato le linee per affrontare le sfide che dovevano accompagnare l’Italia che, dalla ricostruzione, si stava lanciando verso il miracolo economico. Queste linee erano veri e propri progetti di crescita organizzativa e politica, erano direttrici di lavoro per il futuro proprio attraverso il rafforzamento del potere contrattuale, la politica contrattuale di settore, l’azione integrativa aziendale e l’efficiente politica organizzativa politica. In un passo della relazione del Segretario generale veniva anticipato il lavoro futuro, cioè come fosse: “Necessario perfezionare la nostra direttrice di azione lungo i canali dell’organizzazione capitalistico-finanziaria che non coincidono più esattamente con il nostro schema organizzativo”.

L’operazione ambiziosa della UIL, per divenire un’organizzazione efficiente, moderna e funzionale pronta per le sfide e i bisogni che il mondo del lavoro, e più in generale il Paese, manifestava, doveva essere realizzata da una classe dirigente sindacale formata per consentire una visione d’insieme, affinché non fosse mai trascurata l’esigenza di creare legami e coinvolgimenti anche in altri campi.

Il terzo Congresso nazionale, dal titolo "Nuovi strumenti di lotta, più ampie prospettive per la classe operaia", la UIL aveva segnato un traguardo importante, ossia che la scommessa di quel 5 marzo 1950 era stata vinta. La mozione finale di quel congresso non poteva non porre al centro della propria attività problemi quali lo sviluppo occupazionale, le riforme di struttura dell'economia, l'unità dei lavoratori e in senso più stretto la salvaguardia dei diritti dei lavoratori.

Erano gli anni dello sviluppo economico - il miracolo economico - che cercava di fare dell’Italia una potenza economica. Questi nuovi tempi, come anche il Papa li definì, ponevano al sindacato una stringente agenda che si doveva gestire e guidare. Infatti, oltre allo sviluppo industriale e alla trasformazione del concetto stesso di industria, si stava trasformando anche il tessuto economico. E tutto ciò comportava una diversa concezione del lavoro, dei contratti e delle rappresentanze.

Erano mutati i rapporti all’interno dello sviluppo economico nazionale come delle strutture economiche internazionali. L’industria dava nuove prospettive per lo sviluppo economico.

Tutte queste novità comportavano notevoli difficoltà che la politica manifestava nei diversi equilibri all’interno della Democrazia cristiana e nel partito socialdemocratico che portarono alle dimissioni del governo Fanfani.

Luciano Rufino avviava il dibattito sulle tematiche oggetto della riflessione generale con un articolo apparso sul numero 46 de Il Lavoro Italiano, che introduceva i temi e la condizione con cui si era arrivati a quell’assise, evidenziandone attese e traguardi che la Confederazione si era posta. La UIL aveva, nel decennio trascorso, impegnate tutte le proprie energie nel trovare risorse, sponde politiche e alleanze per sopravvivere alla morsa tra la Cgil e la Cisl. Era importante, dopo la vittoria della sopravvivenza, dare seguito pratico alla struttura sindacale. Il dibattito era concepito senza impostazioni precostituite e aperto a tutti i contributi proprio per dare alla Confederazione un’impronta originale: “Una volta delineate le linee fondamentali della nostra politica sindacale e la conseguente politica organizzativa occorre senz’altro individuare il punto di partenza della nostra direttrice di marcia per aggiornare la struttura del sindacato ai compiti nuovi e in base alle analisi della nostra società”, scriveva Luciano Rufino.

L’attività propedeutica fu diffusa, affinché i partecipanti con le differenti aspettative potessero avere spazio e tribuna per le proprie proposte. E’ facile immaginare che a distanza di pochissimo dal 3° Congresso confederale, tenutosi nel febbraio del 1958, la scelta di tenere una Conferenza d’organizzazione fosse dettata dall’urgenza di trasformare le conquiste e i risultati raggiunti in qualche cosa di più stabile e duratura, proprio puntando sulla strutturazione delle realtà già organizzate e predisposte e su un personale tecnico e politico di qualità.

Da queste poche parole si sviluppava la proposta, ossia il potenziamento delle strutture di base che erano i nuclei aziendali nelle fabbriche e negli uffici, le leghe dei contadini e i rapporti che dovevano intercorrere tra i nuclei e le Commissioni interne. Il sindacato doveva poi identificarsi con i propri iscritti coinvolgendoli sia nelle formulazioni delle proposte sia nella partecipazione attiva alle riunioni. Per quanto riguardava le leghe contadine e il mondo dell’agricoltura era fondamentale sviluppare una progressiva e permanente azione di penetrazione. Quest’operazione era di vitale importanza, sia per la rilevanza che aveva l’agricoltura nell’Italia degli anni cinquanta, sia per la previsione che veniva fatta da Rufino: “Se si considera, fra l’altro, che ci dovrà essere il passaggio di una forte aliquota dei lavoratori della terra ad altre attività produttive, il lavoro organizzativo che andremo svolgendo in tale direzione ci assicurerà una continuità nel proselitismo anche nella previsione di variazionisostanzialinell’occupazione della manodopera, dall’agricolturaad altri settori”.

Infatti, il lavoro preparatorio era stato frutto di numerose assemblee che avevano predisposto le indicazioni e le proposte che, poi, la relazione introduttiva del Segretario generale Viglianesi aveva recepito. In questa maniera la UIL, favorendo il libero dibattito, la circolazione delle idee - confermando altresì l’autonomia e l’indipendenza del sindacato - esprimeva con questa diffusa partecipazione il progetto per quello che sarebbe stato il sindacato del domani attraverso una politica di organizzazione efficiente ed efficace.

La relazione svolta da Viglianesi si presentava ampia ed articolata, proprio per permettere di allargare il progetto come visione futura della UIL e della politica organizzativa, molto dettagliata, insieme con uno spirito di sollecitazione e di incoraggiamento: “Per quanto questo termine sembri improprio, in fondo si

tratta appunto di infondere negli organismi del sindacato un lievito nuovo e un interesse, dai quali i militanti o gli organizzati possano trarre nuovo impulso e nuove speranze”. (Relazione di Viglianesi pag. 9)

La prospettiva dell’impegno a cambiare e migliorare le prestazioni della UIL, in tutte le sue articolazioni veniva da una visione di un sindacato di classe attivo nel versante politico, responsabile nelle scelte di politica sociale ed attento alle novità ed alle scelte che il mondo economico presentava. Abbandonando il rivendicazionismo sterilmente ideologico come il classismo antigovernativo e senza programmi. In questa crescita culturale si partiva da una parte dalla condizione che si era data la UIL nel 1950, ossia l’autonomia dai partiti e dall’altra si sarebbe cercato di arrivare al necessario approfondimento sulle tematiche del mondo del lavoro e ad esso inerente per la preparazione dei responsabili sindacali proprio per tutelare la classe lavoratrice.

“Se è vero che il sindacato deve soprattutto elevare la capacità di contrattazione e dare alla classe lavoratrice un mezzo immediato di azione, esso deve rinnovare di continuo i suoi rapporti di presenza e il sistema stesso di rappresentanza”. (Relazione di Viglianesi pag. 5)

C’erano da eliminare le scorie della guerra ideologica che aveva avvelenato lo spirito e le battaglie sindacali del decennio precedente. Il problema, insieme alla soluzione, era dunque “organizzare una politica sindacale”.

“Noi possiamo dire che abbiamo seguito una concezione di politica sindacale rivolta a riaffermare l’autonomia della più immediata rappresentanza operaia [….] solo con l’avvento della distensione internazionale gli stessi comunisti hanno cominciato a imitare alcune nostre fondamentali rivendicazioni e a ritenere possibili alcune confluenze nei programmi, a scapito delle differenze di ideologia e di fini. Ciò è un’altra prova della superiorità della nostra concezione sindacale, o, più precisamente, della sua autenticità”. (Relazione di Viglianesi pag. 6)

Le scelte della politica massimalista avevano portato ad una lettura dello scontro con il capitalismo come un confronto ideologico e basta, senza criterio nella scelta di percorsi politici di crescita nella conoscenza della realtà dell’impresa.

“Sono mutate le strutture dell’economia e della società, sono mutati i rapporti di classe, debbono anche mutare gli strumenti dell’azione sindacale. [….] La concorrenza pacifica e la competizione costruttiva impone ai sindacati un’iniziativa che non è solo di rivendicazione economica e salariale, ma di riaffermazione dell’originalità della politica sindacale: il problema della “presenza” impone termini nuovi, che sono i termini di una “partecipazione decisionale” del sindacato a una politica economico-sociale di sviluppo tutt’ora alla mercé delle destre conservatrici. [….] Come avvertimmo nella relazione al 3° Congresso nazionale della UIL, “è necessario perfezionare la nostra direttrice d’azione lungo i canali della organizzazione capitalisticofinanziaria che non coincidono più esattamente con il nostro schema organizzativo”, non si postula soltanto un problema di aggiornamento organizzativo, ma di una nuova concezione della funzione del sindacato. [….] La direttiva di fondo che è stata individuata nel rafforzamento del potere contrattuale del sindacato attraverso una maggiore aderenza alle attività sindacali alle differenti esigenze dei vari gruppi merceologici del Paese. Le componentiindispensabilidiquestaautonomaedoriginaleimpostazionesono: la politica contrattuale di settore, l’azione integrativa a livello aziendale e infine la efficiente direzione politica e organizzativa del sindacato”. (Relazione di Viglianesi pag. 7)

“Nonèazzardatoaugurarsichesipossa tendere alla superiorità del sindacato sul partito, nel senso che la sede primaria dell’organizzazione dei lavoratori possa diventare anche il punto di partenza per un orientamento nuovo, più elevato e più critico dei lavoratori stessi nei confronti del vecchio partito politico”. [….] Come si vede, la riorganizzazione coincide con lo sviluppo dell’autonomia sindacale, e questa autonomia domanda un arricchimento dei mezzi di conoscenza, informazione e di formazione, di cui si parlava prima. La nostra politica sindacale e la nostra politica organizzativa devono coincidere strettamente. È su questo punto che il nostro impegno deve esercitarsi, al di là dell’occasione che una conferenza da, e che è in ogni caso preziosa per la continuità del nuovo lavoro che essa imposta e assicura nel suo sviluppo”.

(Relazione di Viglianesi pag. 10)

“Il legame fra gli obiettivi di ordine sindacale e la politica organizzativa diventa palese e altrettanto chiara dovrebbero risultare l’azione di rinnovamento organizzativo della UIL per adeguare le sue strutture e i propri metodi di lavoro alle nuove prospettive che le indicazioni di fondo ci hanno offerto e che le ultime esperienze ci hanno confermato come essenziale alla vita di un sindacato che intende essere un fattore propulsivo e dinamico della società”. (Relazione di Viglianesi pag. 11)

LINEE DI ORGANIZZAZIONE

La politica organizzativa, che assumeva contorni precisi, si concretizzava in opzioni di responsabilità e di impegno. I tre punti fondamentali che rappresentavano l’asse di riferimento per il nuovo assetto sindacale erano: il potenziamento delle strutture di base, il rafforzamento delle organizzazioni nazionale e di categoria, adeguamento della Confederazione e delle Camere sindacali ai compiti di guida politica della classe lavoratrice.

Il primo aspetto si enucleava intorno a due organismi il Nucleo aziendale (UIL) e la Commissione interna. La Commissione era uno strumento con una storia gloriosa, tuttavia legato più all’aspetto politicamentepartitico che dei lavoratori in sé; la pluralità sindacale aveva spinto questa realtà a reclamare autonomamente rivendicazioni e diritti di organizzazione. Tuttavia, a seguito della fondazione di altre forze sindacali, queste avevano spinto perché ci fosse una loro rappresentanza diretta, comportando la necessità di avere strumenti propri o diretti nei luoghi di lavoro. Questi Nuclei aziendali avevano ampliato la loro sfera attraverso il tesseramento, l’incremento della propria efficienza con il reperimento di contributi, vivificando la propria azione ed esperienza con l’apporto dei lavoratori aderenti. Per la Commissione interna le funzioni dovevano essere quelle legate all’applicazione delle norme più generali e di legge recepite dai contratti nazionali.

Questa necessità di far convivere due realtà che si potevano sovrapporre e contrastare era ben chiara alla UIL, tanto che il problema si poneva nella misura in cui questo Nucleo non era capace di liberarsi dai limiti determinati dalla Commissione, poiché

scarsa di coscienza sindacale e di povertà organizzativa, laddove la crescita numerica nella rappresentanza aziendale cresceva attraverso i consensi nelle elezioni interne e nel lavoro di rappresentanza. Tuttavia, era fondamentale trovare un punto di equilibrio tra i due organismi, come era necessario trovare sempre il senso della presenza del sindacato in fabbrica, allontanando i burocratismi a favore di un riequilibrio sostanziale tra le forme di rappresentanza, sia nella partecipazione generale che nella militanza. Cercando di colmare anche il ritardo sia organizzativo che di lavoro politico-sindacale, dettato dalla scarsa partecipazione periferica all’elaborazione delle richieste contrattuali, dalla poca circolazione delle idee nel sindacato di categoria, dalla tendenza ad operare in maniera esclusivamente e strettamente aziendalista, così come dalla limitata presenza della UIL nelle realizzazioni delle azioni sindacali. Questa analisi era il segno di un punto di svolta nella politica organizzativa della UIL, proprio perché permetteva di guardare in maniera serena, ma attrezzata, all’evoluzione della presenza della UIL nei posti di lavoro, perché portava diritta a porre le basi per una condizione di crescita e di radicamento.

Il secondo punto era dettato dalla diversa distribuzione dei carichi di responsabilità politica e sindacale. La UIL aveva dall’inizio impostato l’azione organizzativa in funzione del potenziamento delle Camere sindacali e questo permise di sviluppare linee comuni a tutte le categorie con battaglie sindacali confederali, come il conglobamento o l’accordo sui licenziamenti per citarne solo due. Questa scelta ha comportato però, di sviluppare con minor cura le Federazioni di categoria, che insieme alle istituzioni camerali sono le strutture che permettono il rafforzamento ed il funzionamento del sindacato sul territorio, con una penetrazione organizzativa che comportava un

incremento dei tesserati con relativo sviluppo finanziario. La scelta della rivendicazione della politica di settore come la linea di sviluppo contrattuale aveva messo ben in rilievo queste condizioni. Questa nuova dimensione funzionale di relazione verticale ed orizzontale avrebbe consentito alla UIL di compiere quel balzo in avanti sul piano contrattuale, del proselitismo e dell’influenza, indispensabile per organizzare i lavoratori.

“Le categorie nella loro complessa strutturazione di settore e di organismi comunali, provinciali e nazionali rappresentano il grande canale attraverso cui vengono trasmessi i motivi sindacali che fanno vivere la categoria, sono l’unico mezzo per far divenire le grandi impostazioni della Confederazione concreti obiettivi di lotta sindacale, lo strumento attraverso il quale i

lavoratori fanno giungere al tavolo delle trattative le loro diverse e complesse rivendicazioni ed esigenze, permettendo al sindacato di incidere direttamente sullo sviluppo tecnologico e sui grandi settori di produzione”. (Relazione di Viglianesi pag. 17)

Tutto ciò comportava un’insopprimibile urgenza nel procedere verso una nuova organizzazione dettata dalla necessità di fornire a tutti i lavoratori gli strumenti adatti per realizzare quei desideri e quelle speranze che li animavano, che solo una Confederazione potenziata poteva dare.

Il terzo punto riguardava la capacità della Confederazione di rispondere alle sfide che si era posta, proprio per poter dare risposte esaurienti e obiettivi concreti ai lavoratori. Poneva una imprescindibile base di partenza e cioè che l’intera UIL si dotasse di validi strumenti che potessero, fra le diverse strutture, far conciliare e crescere in funzione del progresso politico, questa prospettiva di sviluppo all’epoca del tutto parziale e appannaggio di strutture sindacali più avanzate.

I fatti che risaltavano erano legati alla incapacità di intercettare, attraverso il lavoro complessivo a cui il sindacato era chiamato ad intervenire, il consenso oltre i posti di lavoro. Questa impostazione riduceva l’azione del sindacato ad una funzione rivendicazionista e contrattualista, abbandonando quella visione d’insieme del nuovo modo di fare sindacato. La condizione era di estremo ritardo nei confronti delle problematiche economiche, produttive, della scuola, della formazione professionale, ecc..

“L’insufficienza e lo scarso attivismo, oltre a svalorizzare il sindacato togliendogli ogni prospettiva e la funzione di guida del gruppo sociale che rappresenta, ha come diretta conseguenza il distacco dall’Organizzazione dei lavoratori dell’opinione pubblica, l’impoverimento qualitativo dei quadri dirigenti, la burocratizzazione dell’organizzazione, la stasi dell’attività nei settori che hanno esaurito la fase contrattuale e vertenziale”. (Relazione di Viglianesi pag. 18).

La classe operaia non poteva prescindere dall’esigenza di avere un sindacato, la UIL, che la indirizzasse e ponesse il traguardo nel determinare le trasformazioni produttive e i cambiamenti delle strutture sociali. Era la condizione privilegiata perché si ottenesse la possibilità di una democratizzazione, allargata anche nel confronto con la pubblica amministrazione, e un miglioramento della qualità degli interventi nei servizi degli

uffici preposti. La UIL era chiamata al nuovo con l’elaborazione di piani di lavoro organizzativo e sindacale, che comportava, conseguenzialmente, un’ampia circolazione delle idee, la divulgazione delle soluzioni adottate ed un sindacato con un linguaggio più completo ed organico.

Da tutto ciò si sviluppava la proposta, ossia il potenziamento delle strutture di base che erano i nuclei aziendali nelle fabbriche e negli uffici, le leghe dei contadini e i rapporti che dovevano intercorrere tra i nuclei e le Commissioni interne. Informazione sulla produzione, sulle tecniche industriali e commerciali per dare al sindacato gli strumenti per condizionare questi processi. Oltre alla partecipazione agli organismi internazionali contrapporre un potere supernazionale del sindacato alla internazionalizzazione del capitalismo, poiché quest’ultimo, attraverso intese e accordi, si è organizzato.

Predisposizione degli uffici studi, istituzioni fondamentali di informazione e formazione di “quadri” al centro e in periferia, capaci di seguire gli avvenimenti economici le innovazioni tecnologiche e formare delle scuole sindacali vere e proprie. A voler riassumere pochi elementi la scommessa della UIL nel 1959 era sicuramente molto ambiziosa.

In questa fase era importante per gli organi dirigenti sottolineare come darsi una politica organizzativa non significava burocratizzarsi, ma creare le condizioni per uno sviluppo. Questa preoccupazione indicava in certo qual modo il modello di origine della UIL, un’organizzazione estremamente flessibile e oltremodo indipendente, si potrebbe dire autonoma, in tutte le proprie componenti; laddove questa impostazione “libertaria” e al tempo stesso precaria, permetteva alle strutture di essere organizzate secondo schemi diversi, sollecitate dalle condizioni di partenza, dalle caratteristiche del territorio e del settore merceologico, molto parcellizzato, di competenza. Inoltre, l’esperienza sindacale di quei protagonisti aveva le radici nelle organizzazioni prefasciste per la maggior parte dei casi. Con naturali eccezioni. Infatti, se la tradizione del solidarismo socialista, cooperativistico e delle leghe contadine, il mazzinianesimo e il repubblicanesimo con venature anarchiche, il sindacalismo rivoluzionario (Amilcare

De Ambris portò il proprio saluto alla riunione del 5 marzo 1950) aveva la maggioranza, erano presenti dirigenti di rango come Arturo Chiari vice segretario dei metallurgici con

Buozzi, d’altra parte c’era una larga compagine di giovani la cui unica esperienza era nata nella Cgil unitaria nata dal Patto di Roma.

Legati all’antifascismo e alla Resistenza, tuttavia, non negarono l’ingresso a molti che avevano fatto scelte diverse, consentendo, così, di arricchire il panorama sindacale con la loro esperienza di sindacalisti autonomi. In tutto questo la politica in senso stretto era preminente; molti dirigenti politici erano anche dirigenti sindacali, Viglianesi era Segretario del PSU e Vanni era stato Segretario della Federazione giovanile repubblicana, tanto che, non solo per la precarietà finanziaria, alcune sedi erano collocate all’interno di sezioni di partito. Oltretutto questa visione molto politica non era estranea alla maniera di fare sindacato in quegli anni. Per questo la UIL rivendicando la propria autonomia non si astiene dalla partecipazione alla politica schierandosi dalla parte di istanze politiche e sociali che fanno parte delle indicazioni politiche di partiti sui quali fare assegnamento per permettere di orientare i lavoratori nella direzione di quella crescita delle convinzioni politiche il più possibile omogenee.

La proposta per le categorie era chiarissima. Queste dovevano assumere una sempre più ampia autonomia, aumentando le loro funzioni. Il decentramento funzionale, che coinvolgeva anche le camere sindacali, era da considerarsi imprescindibile in tutta l’azione di rafforzamento sindacale, allo scopo di sviluppare una sempre maggiore adesione ai mandati delle grandi linee della politica generale che la UIL elaborava, consentendo di dare maggiore respiro alle iniziative e una partecipazione più approfondita e vissuta sui grandi temi economici e sociali che impegnavano il sindacato per un cambiamento della società.

La Confederazione doveva dare stimoli ed indirizzi nel quadro di un programma generale, che si imperniava sul totale coordinamento degli interventi organizzativi. Era fondamentale, seppur sbilanciata, la scelta di privilegiare zone, settori e categorie dove gli obiettivi avevano la possibilità di essere raggiunti, proprio perché c’era la necessità di concentrare gli sforzi perché si ottenessero risultati lusinghieri, in termini di presenza e di crescita d’iscritti. Che poi tutto ciò significasse anche una crescita economica e finanziaria della UIL, sia per le zone coinvolte - produttivamente attiveche di crescita armonica tra settore di categoria e zona territoriale, era scontato.

In questa valutazione un’analisi di merito era indirizzata al mondo dell’agricoltura. Era necessario incrementare il proselitismo e la diffusione sindacale tra i contadini anche perché si era creata nel movimento operaio occidentale una frattura tra operai e contadini consegnando questi ultimi ai conservatori. Eppure, nonostante questo dato di partenza ed aver evidenziato quel tipo di problemi ideologici, l’agricoltura era una voce importante dal punto di vista economico e di impiego. I lavoratori impegnati nelle attività rurali erano tantissimi e la UIL sentiva forte l’impegno nella realizzazione di azioni coordinate per coinvolgerli.

Rispetto a questa visione così impegnativa era necessario tracciare, comunque, una linea di condotta, ovvero dei piani di lavoro, proprio per omologare tutte le strutture coinvolte e i responsabili delle categorie. Infatti, il risultato di questa faticosa elaborazione produceva un documento finale (riprodotto in copia) che raccogliendo tutti gli stimoli e le indicazioni dei lavori indicava il percorso da attuare.

Il piano confederale di lavoro indicava non una strategia, ma il cambiamento di mentalità del lavoro sindacale, abbandonando lo spontaneismo e la buona volontà, oltre che l’entusiasmo, per contribuire allo sviluppo dell’Organizzazione attraverso l’approfondita conoscenza del territorio di competenza, della padronanza delle consistenze numeriche e professionali dei lavoratori nelle imprese, del quadro economico particolare e generale. La funzionalità di tutto ciò, nel pieno dello svolgimento dell’azione sindacale, avrebbe consentito alla UIL di crescere, in termini di presenza, nella vita produttiva ed economica del Paese. Quest’aumento del volume e carico d’informazioni avrebbe portato, nella pratica sindacale, non solo a scoprire problemi di gestione, ma anche filoni inesplorati proprio per rendere duraturi e concreti i risultati ottenuti nella crescita dell’organizzazione. Ovviamente questo quadro immaginava che il passaggio successivo fosse destinato alla stesura del regolamento dei Nuclei aziendali. In questo ambito era importantissimo che venissero coinvolti i lavoratori iscritti, affinché il processo decisionale passasse attraverso il contributo di tutti. Per i lavoratori la pratica democratica, la discussione, il confronto e le relative deliberazioni erano momenti di crescita politica ed organizzativa, oltre che di formazione alla prassi sindacale. Per questo si sottolineava che la relazione sempre più stretta tra iscritti e Organizzazione portava, proporzionalmente, all’incremento del tesseramento con i relativi contributi. La forza di un sindacato era (e resta tale) anche nella sua capacità

economica di reggere nel tempo. Tuttavia questa impostazione, ancorché veritiera tralascia il dato politico e cioè che il pagamento delle quote mensili doveva essere sentito come un obbligo morale e politico, prima ancora che semplicemente un dovere. In questo senso l’appartenenza alla UIL diventava un modo di partecipazione e di coinvolgimento.

Il lavoratore si sarebbe sentito, così, tutelato e protetto dal punto di vista contrattuale e legislativo, altrimenti sarebbe stata un’adesione solo strumentale, subordinata alla logica burocratica o elettorale e quindi destinata all’abbandono o a non far pagare le quote.

Risorse imprescindibili all’azione di proselitismo sindacale oltre che di coinvolgimento del lavoratore iscritto erano gli enti della UIL che, seppur non sempre, già cooperavano e collaboravano all’azione sindacale. L’Ital e l’Enfap avevano assunto ruoli importanti sul fronte dell’assistenza e della formazione professionale. Proprio per migliorare le comunicazioni tra sindacato e lavoratori, in tutte le loro specificità e necessità, e proprio per poter penetrare più capillarmente questi enti erano chiamati ad essere maggiormente coinvolti nella UIL e dalla UIL.

Un approfondimento a parte fu dedicato al tempo libero e alle attività cooperativistiche. Infatti, in quel torno di anni si era cominciato a parlare di tempo libero, derivante dalla riduzione dei tempi di lavoro, come momento ricreativo o sportivo e anche turistico. Era un mondo estraneo alla cultura popolare italiana legata esclusivamente ai circoli chiusi. Per le cooperative, la UIL riteneva necessario continuare la penetrazione in quel mondo, superando il già collaudato rapporto di collaborazione con l’Associazione generale delle cooperative italiane. “Questo permetterà alla UIL di considerare l’attività cooperativistica non come un fatto estraneo, ma strettamente legato al suo rafforzamento e faciliterà la costituzione delle Federazioni provinciali delle cooperative e dei relativi organismi ed assicurerà una funzionalità democratica delle federazioni stesse. Un insieme di obiettivi che ci daranno modo di puntare su un progressivo espandersi della cooperazione nel nostro Paese e di riportare il sindacato ad un’azione comune con il movimento cooperativistico” (Relazione di Viglianesi pag. 31).

Quasi a corollario di quanto illustrato, l’ultima parte della relazione fu dedicata ai quadri dirigenti. Proprio coloro che avrebbero compiutamente realizzato quanto discusso e approvato. Il fulcro della dirigenza della UIL era legata al sindacato

prefascista e dunque ad una esperienza che nasceva dal basso, dal posto di lavoro; tutto ciò non veniva rifiutato, anzi era considerata una regola fondamentale per un positivo sviluppo della UIL. Tuttavia le nuove modalità, gli aggiornamenti, le indicazioni di carattere economico, le novità tecnologiche e anche i rapporti con le istituzioni dettavano i tempi e i modi per il lavoro sindacale; per tutti questi aspetti c’era bisogno di una classe dirigente preparata oltre che motivata. Se l’esperienza organizzativa e l’impegno erano requisiti importanti non poteva ovviamente mancare la necessità di dare, soprattutto ai più giovani, l’occasione di avere degli strumenti per poter affrontare le sfide e le incombenze del futuro. Per questo erano già in cantiere corsi di carattere formativo, non solo per formare quadri, ma anche per formare formatori, cominciando con semplici incontri a carattere locale per poi immaginare di arrivare ad appuntamenti più ampi, con maggiore spessore professionale e programmi più impegnativi.

L’ultima notazione era dedicata allo sviluppo e alla diffusione della stampa sindacale che aveva necessità di un forte rilancio proprio per avere strumenti validi di diffusione delle informazioni su tutto il territorio nazionale, tale da permettere una trasversalità delle notizie e permettere a tutti di essere partecipi della vita sindacale della UIL.

Le conclusioni sono state riportate così come scritte.

A conforto di quanto finora descritto, i due giorni in cui la UIL svolse i lavori furono densi di interventi e di indicazioni utili per riuscire a concretizzare quanto era stato proposto. Nel documento finale oltre ai riconoscimenti per la crescita organizzativa, per l’impegno, per la diffusione delle idee e dei principi ispiratori, che avevano concorso alla costituzione della UIL, si evidenziava come fosse divenuto indispensabile il coinvolgimento di tutti i soggetti, dirigenti o semplici iscritti, per dare alla Confederazione quella dimensione che le competeva. Infatti, era necessario sviluppare il legame fra la linea politica sindacale della UIL e la politica organizzativa che richiedeva una programmazione in relazione ai compiti imposti dalle relazioni sindacali che si stavano sviluppando in quegli anni.

Da

Lavoro Italiano il dibattito durante i lavori della Conferenza

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.