Pagine di storia brindisina

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“1” Gianfranco Perri 2019
PAGINE DI STORIA BRINDISINA

PAGINE DI STORIA BRINDISINA

Gianfranco Perri

“1” 2019

PREFAZIONE

Scrivereunaprefazioneallosplendidolibro Pagine di storia brindisina diGianfrancoPerrinonèun’impresafacile,perchéicriteriseguiti-come precisal’autorestesso-sonomolteplici:aquellocronologicodellatrama principale,incentratasullastoriadellacittà,sialternaquellotematicodei numerosi approfondimenti (ampiamente e variamente documentati)sul contestostoricoeculturale.

Questo libro, oltre a essere un’accurata ricostruzione delle vicende brindisine, utile a tutti coloro che vorranno accostarsi alla storia della città per studio o diletto, rappresenta l’ennesimo atto di amore di Gianfranco Perri per la sua Brindisi (numerose le sue precedenti pubblicazioni sull’argomento), che ha dovuto lasciare da giovane dapprima per ragioni di studio e poi per svolgere importanti attività professionaliall’estero.

E tale immenso amore trapela dalle pagine di accuratissime descrizioni di episodi e luoghi, arricchite sovente da riproduzioni pittoricheefotografiche.

Con questo libro Gianfranco Perri, anche se per diletto - ma non c’è nulla che si faccia meglio quando nel farlo si prova diletto - dà un importantecontributoallaricostruzioneedalladivulgazionedellastoria dellacittàdiBrindisi.

La formazione di una storia, nota e condivisa, è uno dei principali elementi che fanno sì che un insieme di persone possa qualificarsi ed essere una comunità, e che consente ad una comunità di adottare consapevolmente, conoscendoilpropriopassato, lescelte miglioriperil propriofuturo.

Nessuna scelta può essere adottata per il futuro se non si ha conoscenzaeconsapevolezzadelpropriopassatoedellapropriastoria.

L’autore riesce a mettere sapientemente in luce i punti di forza della nostra città, il suo bellissimo mare e la terra feconda che la circonda, l’essereBrindisiluogodiincontrotraOrienteeOccidente,ilportosicuro per ogni veliero fin dall’antichità, l’esserci oggi anche un aeroporto di rilevanteimportanza.

Le Pagine di storia brindisina ci mostrano dunque tutte le forti potenzialità della città, esortandoci, tra le righe, a ridare a Brindisi il ruolodiprimopianoalivellonazionaleeinternazionalecheessamerita.

Grazie,quindi,GianfrancoPerri.

PAGINE DI STORIA BRINDISINA

Non è questo un testo di storia, ma è solo la raccolta di alcuni episodi della storia di Brindisi, non tra di essi necessariamente collegati, qui rieditati e riordinati seguendo in principiolasequenzacronologica dei fatti illustrati. Sitratta, infatti, divariarticoli già pubblicati nel trascorso di anni recenti, alcuni sul settimanale il7 Magazine, altri online, sul blog “Via da Brindisi” del quotidiano Senza Colonne News o sulle pagine Brindisiweb.it, Fondazioneterradotranto.it, eccetera

Il distintivo, scelto per la copertina di questa raccolta, vuole essere un omaggio alla figura e alla memoria di un illustre brindisino, Don Pasquale Camassa, generoso amante,nonchéprolificodivulgatore,dellastoriadellasuacittà.

Fu Pasquale Camassa, presbitero, bibliotecario e storico. Nacque a Brindisi il 24 dicembre del 1858 e fu tra i principali artefici della divulgazione della cultura e dell'istruzionestoricaallapopolazionediBrindisi.

Creò, presso la propria abitazione di via Lauro 37, la "Biblioteca circolante gratuita", conunaimportanteraccoltadicirca3.000volumiapertaachiunqueneigiorniferiali. FurettoredelCimiteroComunaleefudirettoredelMuseoCivico,lacuisedeeraallora nell’anticoTempiodiSanGiovannialSepolcro.

Amato dalla popolazione, “Papa Pascalinu”, come era conosciuto dai brindisini, fu promotore di innumerevoli altre iniziative culturali e nel 1921 fondò la famosa “Brigata amatori storia ed arte”, un’associazione culturale che organizzava, regolarmenteigiovedìsera,pressoiltempiettodiSanGiovannialsepolcro,riunioniin cuiCamassaerasolitoinvitareletterati,scienziatiedartisti.

Fu l’artefice della salvaguardia di alcuni monumenti cittadini, come la Fontana De Torres in piazza della Vittoria e soprattutto la Porta Mesagne, quando non solo si oppose alla demolizione ma occupò fisicamente l’antica porta, facendo dapprima interrompere i lavori e inducendo poi gli organi competenti a sospendere indefinitamentel’ordinanzadiabbattimento.

Traisuoiscritti:CennostoricodiSanOronzo,protomartiresalentino,Brindisi1894Guida di Brindisi, Brindisi 1897 e 1910 - Brindisini illustri, Brindisi 1909 - Breve cenno storico dei santi fratelli minori Cosimo e Damiano con suppliche ed inno, Brindisi 1914 - Cenno storico di San Pasquale Baylon con preghiere al medesimo, Taranto 1923 - La romanità di Brindisi attraverso la sua storia e i suoi avanzi monumentali,Brindisi1934.

PapaPascalinumorìinospedaleaMesagne,a83anni, feritonelcrollodellasuacasa inBrindisi,conilbombardamentoaereodellanottetrail7el’8novembredel1941.

PAGINE DI STORIA BRINDISINA

▪ Le mappe di Brindisi: rassegna storica e curiosità

▪ Tra Messapi e Coloni Romani i primi abitanti di Brindisi documentati dalla storia

▪ Brindisi durante il fugace ma significativo regno italiano dei Goti

▪ Brindisi nella guerra greco-gotica

▪ Brindisi bizantina e longobarda nei cinquecento anni più bui della sua storia

▪ Brindisi: da Messapica a Salentina e da Calabrese a Pugliese

▪ Brindisi tra IX e X secolo in balia del 'tutti contro tutti'

▪ Brindisi nel regno normanno di Sicilia del XII secolo

▪ A Brindisi il principale traguardo terrestre della medievale “via Francigena”

▪ “La più antica e più illustre tradizione brindisina… unica in tutto il mondo…”

▪ Il Duca di Atene: un personaggio trecentesco temuto e odiato dai brindisini

▪ Brindisi al tempo dello scisma d'occidente sotto i re durazzeschi

▪ Brindisi al tempo dei re aragonesi sul trono di Napoli

▪ Brindisi durante il regno dell’imperatore Carlo V

▪ Brindisi vs Oria: tra le chiese brindisina e oritana 500 anni di aspri contrasti

▪ Brindisi e Venezia: dall’XI al XVI secolo tra accordi solenni e severe dispute

▪ 1595 - 1600: pagine di cronaca brindisina di fine Secolo XVI

▪ Compie 400 anni ‘quasi’ al suo posto la fontana Pedro Aloysio De Torres

▪ Mamma li turchi! Cronache brindisine di scorrerie, rapimenti, schiavi e…

▪ Al centro di un conflitto: Brindisi tra il 1799 e il 1801

▪ Francesco Gerardi: eclettico sindaco brindisino di fine ‘700

▪ Il generale Alexandre Dumas prigioniero a Brindisi

▪ 200 anni fa quando Mesagne era più importante di Brindisi

▪ Il canale d’ingresso al porto interno di Brindisi: Pigonati “NO” - Monticelli “SI”

▪ Lo storico e glorioso Idroscalo di Brindisi

▪ 2015: 100 anni dalla tragedia della Benedetto Brin

▪ 2016: 100 anni fa arrivarono a Brindisi i MAS

▪ Lo sradicamento delle Sciabiche 1900-1959

▪ La motobarca del Casale: tra attualità e storia

▪ Quanti Brindisini sono esistiti nel corso della storia? 2.536.733

Le mappe di Brindisi: rassegna storica e curiosità

Pubblicato su.Brindisiweb.it

Un’anticaimmaginetopograficadiBrindisièstampatanellibroconcuisipubblicòla versioneinlinguavolgaredelfamosolibrodiGiulioCesare“ICommentaridiC.Givlio Cesare ...con le figvre in rame de gli alloggiamenti, dé fatti d'arme, delle circonuallationi delle città & di molte altre cose notabili descritte in essi, fatte da Andrea Palladio per facilitare la cognition dell'historia a chi legge”. Gli autori: Julius Caesar; Francesco Baldelli; Andrea Palladio; Leonida Palladio; Orazio Palladio. L’editore:AppressoPietroDe'Franceschi,VeneziaM.D.LXXV[1575].

I fratelli Leonida e Orazio morirono prematuramente durante la preparazione delle stampe del libro e le immagini per la stampa furono quindi completate dal padre Andrea.QuellastampadelPalladiocheillustral’assediocheCesareimposeaPompeo inBrindisinel49A.C.aitempidelDeBelloCivili,inseritanellibroeditonel1575,può esserestoricamenteconsideratalapiùanticamappadiBrindisi.

Mappa del 1575 di Andrea Palladio (180 x 136 mm)

Seguirono numerose altre versioni illustrate di quel famoso testo di Cesare, una di esse è quella in inglese curata da Martin Bladen e pubblicata a Londra da Richard Smith nel 1705: l’assedio a Pompeo è ancora illustrato da un’incisione in rame intitolata “The haven of Brindisi”. In questa stampa inglese corredata da leggenda, a differenzadiquelladelPalladio,lacittàentrolemuraèchiaramenteassimilatadauna testaanimale,forsediuncervo.

Primadiquellainglese,vieranostateanchealtreedizioniillustratedellibrodiCesare, e tra queste, quelladelLezzi pubblicatadi nuovo a Venezia dall’editore Misserini nel 1635 in cui la città, a differenza delle altre versioni, è rappresentata squadrata come un“castrum”racchiusanellesuemura,conle sueporteelesuetorri. Epoicifurono altreversioniancora,anchesuccessiveaquellainglese,nellequalisievidenzianoidue bacini del porto “maior & minor" riducendo i due seni ad un fossato che circonda la città,tipomappadiBlaeu.

Arigordicronaca,eprimadi proseguire, è però doveroso citare una apparentemente ancor più antica mappa di Brindisi con il suo porto: quella che, datata intorno all’anno 1525, è attribuita al cartografo, nonché grande ammiraglio ottomano, Piri Reis, vissuto tra il 1465 ed il 1554.Unamappaquesta,che presenta la città vista dal mare, e quindi con il Nord rivoltoinbasso.

Mappa di Piris Reis – 1525

The haven of Brindisi - Londra 1705 (190 x 142 mm)

L’ironia dellasorte vuolechequellacheprobabilmente puòessereconsiderata lapiù antica mappa ¨moderna¨ della città di Brindisi, tralasciando appunto quella del Palladio e i cinquecenteschi disegni sapientemente elaborati dal condottiero navigatore ottomano, sia venuta alla luce con un errore nientemeno che nel titolo: TARENTO.

Lamappa,orientataconilNordversol’alto,fuelaboratadalcartografoolandeseJoan Blaeu, divenuto in seguito anche cartografo ufficiale della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. In altoa sinistra è rappresentato lo stemma della città di Brindisi e a destra lo stemma della famiglia Orsini. Nel cartiglio in basso ben 57 richiami, purtroppononleggibiliaocchionudo.

Sonoperòchiaramenteidentificabilituttaunaseriediimportantielementi:ilcastello dimareeleisolePedagnesulportoesterno,conlacatenasulcanaled’entrataalporto interno. La chiesa di Santa Maria del Casale con la strada che la congiunge alla principale porta d’entrata alla cittá dalla strada da Mesagne. Poi l’altra porta di accesso dalla strada da Lecce attraverso un ponte che sorpassa il seno di levante. Quindi le mura di cinta complete dei vari torrioni distribuiti partendo dal castello di terra.Dentrolemuraprimeggianoleduecolonneromane,dicuiunagiàcrollata,ela rete stradale è dominata dalla strada che attraversando tutta l’urbe collega Porta MesagneconPortaRealesullarivadelsenodilevante:laRuaMagistris.

Mappa del 1663 di Joan Blaeu (515 x 412 mm)

Lamappa,conincisioneinrameecolorazione coeva,fuportataallastampanel1663 con il “Theatrum civitatum nec non admirandorum Neapolis et Siciliae regnorum”, un atlanteincuiJoanBlaeucambiaimpostazionenelconcepirequellochedovevaessere un atlante di città. Mentre quelli che aveva precedentemente prodotto per l’Olanda, sono una semplice serie di mappe e piante, questo per l’Italia è un atlante molto più topografico che combina mappe geografiche con bellissimi panorami prospettici mostranticittàepaesaggiagresticomepuredisegniarchitettoniciemonumenti. L’attività tipografica di Blaeu cessò drammaticamente nel 1672, quando un incendio distrusse il suo stabilimento. Solo le mappe collocate in alcuni rami appartati della tipografiaealcuneprecedentiedizioniimmagazzinatealtrove,sisalvaronodalfuocoe furono vendute all’asta. Pierre Mortier, libraio belga che operava in Amsterdam, compròlematricidellecittàitaliane.

Nel 1705 il Mortier stampó il “Nouveau Thèatre d'Italie ou description exacte de ses Villes, Portes de Mer, Palais, Eglises, Principaux Edifices & c. et avec cartes chorographiques sue les desseins de feu monsier Jean Blaeu”, aggiungendo un quarto volume relativo al Nord Italia e Toscana. Nel Volume III, la tavola 25 riproduce la mappadiBlaeu.

Mappa di Joan Blaeu ristampata nel 1705 da Pierre Mortier (496 x 410 mm)

Rispetto alla carta originalmente stampata dal Bleau, vi son solo dei piccoli cambiamenti: nel cartiglio centrale oltre il titolo errato Tarento, dopo 41 anni non ancora corretto, è aggiunto il sottotitolo “Ville du Royoume de Naples situèe dans la Terre d'Otrante”; nel cartiglio in alto a destra è scomparso lo stemma della famiglia Orsini; la legenda ha sempre 57 richiami ma in basso a destra è aggiunto: “A Amsterdam par Pierre Mortier -avec privil-”.

L’errore nell’intitolazione é stato attribuito a quell’incendio, immaginando che il materiale salvato alle fiamme avesse subito un grande disordine (“Brindisi ignorata” diN.Vacca-1954),maevidentementeciònonrispondeallarealtà,vistochelaprima pubblicazionegiàcontenentel’errorefuprecedenteall’incendio

Sulla pagina web della biblioteca del Senato della Repubblica, cercando l’opera postuma in tre volumi dell’Abbate Giovanni Battista Pacichelli “Il Regno di Napoli in prospettivadivisoindodeciprovince”stampatanel1703aNapoli,appareunascheda bibliograficachecontienelariproduzionedelle183stampechecorredanol’opera,ela stampaN°113delVolume2,siintitolaBRINDESI,eriproduceun´acquafortediautore ignoto.

Éinteressanteladidascaliadelcartiglioalpiededellamappa,cheidentificaelocalizza 14elementi:1Duomo.2S.Mariadellegratie.3Carmine.4Castelloditerra.5Fortezza dimare.6Portochesiserraconcatena.7Portareale.8PortadiMesagne.9L’Assunta 10 Cappuccini. 11 S. Fran.co di Paola. 12 S. M. degli Angioli. 13 La Maddalena. 14 Le Colonne.

Stampa del 1703 di autore ignoto (168 x 122 mm)

DaosservarecheconilN°14sonoindicateleduecolonneromaneantistantialporto, rappresentateinpiedinonostanteunadelleduefossecrollatanel1528,sidicesenza causa apparente: 175 anni prima della stampa. Da notare inoltre, che molte delle chiesesonorappresentatenellelorostrutturemedioevali.Potrebbepertantodedursi che questa stampa, orientata con il Nord verso destra, sia stata verosimilmente ricavata rielaborando una qualche opera precedente, possibilmente realizzata tra gli ultimiannidel´400eiprimidel´500.

Prescindendo da queste considerazioni, si deve comunque osservare che trattasi di unamappadecisamentemenoavanzatadiquelladiBlaeudel1663,precedentediben quaranta anni, che il Pacichelli evidentemente non aveva nemmeno visto giacché in essatral’altro,viéinvececorrettamenterappresentataunasolacolonnainpiedi.

Esigiungecosìal1739,annoalqualesifarisalirelapiùanticamappatopograficadi Brindisi, nel senso tecnicamente effettivo del termine. Si tratta della famosa “Mappa Spagnola”, alcuipiedelaleggendaincludeladataA.D.1739, cheperò sembraessere scrittaconcaratteridiversidaglialtri,ilché farebbepensareadunaaggiunta,magari legataalladatadell’episodioriportatonellaCronacadeiSindacidiBrindisi:

«...aldì12detto(marzo1739)arrivòilmaresciallod.AndreadelosCovesspagnuolo,con tre ingegneri, e due commissarij d’artiglieria, e due volontari, cioè un colonnello, e un tenentecolonnello,edettomarescialloerailprimoingegneredelre,equestipiglioronola pianta del Forte, del castello di terra, e di tutta lacittà, conmisurate tutte le strade della città,emura...»

Lamappaspagnolacompletaédimetri1,25x2,05es´intitola“Plano y Mapa En que se comprende la Ciudad de Brindesi sus Castillos de mar y tierra, Puerto piccolo y Grande con porción de los contornos de su Campaña en la Provincia de Otranto “ .

Porzione centrale della Mappa Spagnola di Brindisi – 1739 (dopo il restauro)

Futracciataconunapenna d’inchiostroacquarellosucarta in parte filigranata, trala finedelsecoloXVII e l’inizio delXVIII, quinditrailperiodocheprecedette lafinedel viceregnospagnoloequellochevidel’iniziodelregnodeiBorboneaNapoli.

LamappafurecuperatainestremisaPalermodaDomenicoGuadalupi,giàsegretario del cardinale Pignatelli poi arcivescovo di Salerno; fu da lui portata a Brindisi e gelosamentecustodita,primadiessereconsegnataalMuseoCivicoinSanGiovannial Sepolcro.Primadelsuorestauro(LidianaMiotto,1986)lamappaeraincollatanelsuo insiemesuunateladilinocheasuavoltaaderivasuunsupportoligneoconunafascia centraledicongiunzione.Ivarichiodiusati,arrugginendosi,avevanocompromessoil documento. Il tutto era variamente e pesantemente macchiato. Finalmente la mappa erastataalteratadalunghistrappiefenditure,daossidazione,muffeeammanchi.

É poi del 1800, cioè di circa sessant’anni dopo, la mappa di Brindisi che cronologicamente segue a quella spagnola. Si tratta di una mappa appartenente a un piano topografico, disegnato a colori e identificato con il nome di Città di Brindisi N°38, conservato nella biblioteca dell’Istituto Geografico Militare, con la descrizione seguente:DocumentoN°27delXIXsecolo.Unfogliodicirca0,42x0,42metri.Rilievo ascala1/10000delTenenteLepier.

In effetti, si tratta del solo frammento destro di un piano geografico, orientato con il Nord verso sinistra, che riporta il rilievo topografico della costa di levante del porto (quelladiponenteeranelframmentomancantedelpiano)eche nell’angoloinferiore destropresenta,a mo’didettaglio,lamappaascala1/5000dellacittà, conunindice diquattropunti(a.Castelloditerra,b.LaSanità,c.LaDogana,d.Seminario-?-).Nonè certo una mappa ricca di dettagli, un quadrilatero con circa 10 cm di lato, ma comunque permette di indovinare i limiti urbani e il contorno della città edificata, coloratadirossoedifferenziatadaicampi,coloratidiverde.

Mappa a Scala 1/5000 - Dettaglio del Piano del Porto rilevato da Lepier - 1800

E la situazione appare comunque mutata di poco, nel “Piano Generale del Porto di Brindisi”rilevatodopopochiannidall’incorporazionediBrindisialRegnod’Italia,nel 1866 a scala 1/10000, e topograficamente orientato con il Nord verso l’alto: forse l’unica novità importante la costituisce la presenza della ferrovia, da Bari e dopo un giro di 90° a Lecce, con anche indicata la stazione ferroviaria che era stata appena inaugurata,il25maggio1865.

Piano Generale del Porto - 1866 (dettaglio)

Da osservare le tracce ben rappresentate dei vari pezzi di muraglia ancora esistenti appartenutialle fortificazioni cinquecenteschedella città ele vasteestensioni ancora disabitate, bianche nella mappa, presenti dentro il recinto di quelle fortificazioni: quellaadiacentealcastelloditerra,cheerastatoadibitoabagnopenaledellacittàda GioacchinoMuratnel1814,etuttaquellaaSuddiPortaMesagnedelimitataaestdalla direttrice della strada di Porta Lecce e divisa in due dalla direttrice della strada Vialata.

AncheasudestdellastradaVialatadominanoglispazidisabitatiedinoltre, un’ampia areabiancatrapezoidale,LargodellaAnima,èpresenteinprossimitàdell’incrociotra lastradaVialataelastradadiPortaLecce.

Esiécosìgiuntiainostrigiorni:sifaperdire,vistochelaprossimamappacomunale dellacittàèquella,giàtecnicamenteavanzata,delpianostradalediBrindisidel1871, successivadisolicinqueanniaquelladelPianoGeneraledelPortodel1866.

Anchesenoncisonograndissimenovitàdasegnalareperquelcheriguardal’impianto urbanistico generale, però la scala i dettagli e la qualità grafica di questa mappa, un elio piano manoscritto che ho voluto forzosamente orientare con il Nord verso l’alto, consentono finalmente addentrarsi nella formulazione di alcune altre interessanti osservazioni a complemento di quelle già formulate in merito alla mappa precedentementeriportata.

Quellachenel1797eragiàdiventatalaStradaCarolinaechepoinel1882diventeràil CorsoGaribaldi,èancoraidentificataerroneamentecomeStradaAmena,cheinrealtà in origine era stata la Strada della mena, dall’insalubre canale di scolo che per tantissimiannil’avevasolcataportandoalmareleacquepiovane,equant’altroviavia raccolto.

La Strada Amena ha un estremo in prossimità della banchina portuale, sbucando tra quelli che saranno i giardini Vittorio Emanuele II° che nella mappa sono Largo San FrancescoelaStazionemarittimachenellamappaèlaSanitàmarittima,egiungefino alla Piazza Mercato, indicata nella mappa dove poi ci sará Piazza Vittoria e ben separata dalla Piazza Sedile, che è sita un po’ più a Nord, dove è anche identificato l’edificiodelMunicipio.

Pianta della Città di Brindisi - Scala 1/2000 - Carlo Fauch 1871

Superata Piazza Mercato, la Strada Amena svanisce in uno slargo molto ampio, indicato nella mappa con Largo della Anima. La traversa Nord della Strada Amena prima dei Piazza Mercato, oggi via Rubini, si chiama Strada Orologio – e si sa molto beneperché–mentrelatraversadifronte,quellaSud,conducealPozzoTraiano.

A Sud della mappa, è indicata Porta Lecce con a fianco l’imponente sagoma della Chiesa Cristo e quindi la Strada di Porta Lecce che raggiunge perpendicolarmente la Strada Lata la quale si sviluppa retta e lunga, in direzione NE puntando al mare e in direzione SO assumendo il nome di Strada Saponea e puntando verso una non ben identificatastazione.TralaStradaLataelaStradaAmena,èancheidentificatoilLargo SanDionisi,equindileduestradequasiparalleleS.DionisieS.Lucia.

AOvestèindicataPortaMesagneeaffiancolaStradapelCastelloorientataaNord.Da Porta Mesagne parte la Strada Carmine che dopo Largo Angioli assume il nome di Strada Angioli, oggi via Ferrante Fornari, che raggiunge Piazza Sedile e prosegue sul lato opposto con la Strada Maestra fino al mare, dove vi giunge tra Largo San Francesco a destra e la Dogana a sinistra, non essendoci nella mappa traccia alcuna della Porta Reale, che proprio da lì aveva nei secoli precedenti costituito l’entrata in cittàdalmare,mentrelaPortaMesagneneavevacostituitol’uscitaversol’entroterra. Questa fondamentale direttrice stradale, in qualche modo separa il giá descritto settoreSuddellacittàdalsettoreNord.

Sul settore Nord, l’imponente castello di terra, non rappresentato nella mappa, con l’adiacentePiazzaCastello,delimitalacittàadOvest,nellazonaincuièidentificatala Strada S. Benedetto ed è rappresentata l’omonima caserma. Seguendo una direttrice parallela a quella della Strada Maestra, tutto il settore Nord della città è solcato, da Ovest versoEst,dallaStradaS. Barbara, ancoraunerrore dellamappa giacchénon si tratta della santa ma del cognome di Piertommaso Santabarbara, fino a Largo S°Prefettura, quindi la Strada delle Scuole Piefino a Largo Cattedrale e finalmente la Strada Colonne. Su Largo Cattedrale, oltre alla chiesa sono identificati il Collegio, l’attuale Palazzo arcivescovile e l’Ospedale Civile. Da quel largo partono la Strada SantaChiaraelaStradaMontenegroversoNord,elaStradaDelDuomoversoSud.

PiùaNordfinalmente,partendonuovamentedalcastelloditerra,c’èlaStradaS.Aloy fino a Largo S. Paolo dové indicata l’imponente impronta della chiesa tutt’una con quella dell’adiacente S°Prefettura e quindi, la Strada De Leo e il Largo S. Teresa con l’impronta della chiesa. Da S. Paolo, da De Leo e da S. Teresa, si poteva scendere alle Sciabicheequindialmare,transitandosuunodeitrependiideiqualiilmenoripidoe più esteso era quello centrale, il Pendio Marinazzo tra la Strada De Leo e la via Sciabiche.L’altroerailFontanaSalsa.Eilterzo?

IllungomarecentraletralaSanitàMarittimaeleSciabiche,sichiamaStradaMarina,e su quel lungomare è già chiaramente posizionato l’Albergo delle Indie Orientali, costruitonel1870conl’iniziodelleoperazionidellaValigiadelleIndie.

Le Sciabiche, lo storico e antichissimo quartiere marinaro, insediato ai piedi di S. Teresa, così come nelle mappe dell´800, è rappresentato sulla mappa dai lati del grande blocco triangolo compreso tra S. Teresa la Strada Montenegro e la via Forno Sciabiche, e da altri sette blocchi minori allineati di fronte al mare lungo la banchina delSenodiPonente,compresitrailpendiochescendedaS.PaoloaovestelaStradaS.

Chiara a est. La via Forno Sciabiche sbuca a Nordest su Piazza Monticelli, e di fronte allaStradaMontenegroèindicatoLargoMontenegro.

TuttoquelquartiereSciabichefupoicancellatodallamappadiBrindisiinvarieondate demolitrici, dapprima idue blocchi più a Nord, quelli di fronte alle strade S. Chiara e Montenegro,neiprimidel´900epoiilresto:nel1934lametàOvestenel1959laEst.

Attorno al 1880, “...il crescere dei movimenti e dei traffici, l’incremento della popolazione e lo svolgersi delle aspirazioni ad un a maggiore civiltà...” indussero l’amministrazionecomunaleadaffidareatreprofessionistibrindisinilaredazionedel piano regolatore della città, “...perseguendo necesarie nuove reti stradali e necessari nuovi assetti urbani, ampliando, addrizzando e riordinando le vie antiche, nonché abbattendodannosiingombriesviscerandolemalsanecontradesecondounmoderno sistemadicostruzioni...”.

IlpianoregolatoredellacittàdiBrindisividelalucenel1883,plasmatoinunaseriedi quattro tavole manoscritte, il cui assemblaggio ho predisposto e rappresentato come si trattasse di una mappa orientata con il Nord in alto. I colori indicano in verde le demolizioni e in rosso le nuove lottizzazioni da incorporare allo schema urbano. La retestradaleèmantenutabianca.

LaTav. Ièquelladelquadrilaterodisudovest:su unlatolastradaPorta Leccepiùla strada Conserva, sull’altro la strada Carmine, quindi la muraglia da Porta Mesagne al Bastione San Giacomo con a metà il Bastione Cappelli di fronte alla stazione ferroviaria, e sul quarto lato la muraglia dal Bastione San Giacomo a Porta Lecce. É tracciato il quadrato che sarà di piazza Cairoli e sono indicatele tracce del corso che saràUmbertoI°edelcorsochesaràGaribaldiechepoiinqueltrattosaràRoma,con alsuoestremolachiesadell’Addolorata,poidellaPietà.

LaTav.IIèquelladelquadrilaterodinordovest:suunlatolastradaCarmine,sull’altro lastradaArmengolpiúilpendioFontanaSalsachescendedaLargoS. Paolofinoalla spiaggiasulSenodiPonente,quindilarivafinoalCastelloditerrachefungedabagno penale,esulquartolatolamuragliatrailcastelloe PortaMesagne.Domina l’enorme piazzaCastello,adiacentealcastelloeancoracompletamentevuota,ecisonolachiesa diS.BenedettoequelladiS.Anna.

La Tav. III è quella del quadrilatero di nordest: su un lato corso Garibaldi piazza CommestibiliecorsoUmbertoI°,sull’altrolastradaConservapiùlastradaArmengol più il pendio Fontana Salsa, quindi il terzo e quarto lato lo costituiscono le banchine contigue del Seno di Ponente, da corso Garibaldi a Montenegro una, e da lí al pendio Fontana Salsa l’altra. Sono compresi in questo settore il Duomo con il Seminario, le chieseS.Teresa,S.Paolo,S.Chiara,S.CosimodettapoidelleScuolePie,S.Giovannial SepolcroelachiesadegliAngioli.

LaTav.IVèquelladelquadrilaterodisudest:suunlatoicorsiGaribaldieUmbertoI°, sull’altro la strada Conserva tra corso Umberto I° e Porta Lecce, quindi il terzo e il quarto lato lo costituiscono le banchine contigue del Seno di Levante, da Porta Lecce finoallosboccodellastradaVialatauna,edalìallaSanitàefuturaStazioneMarittima, l’altra. SonobenvisibililechiesediCristo,S.Lucia, S.SebastianooLeAnime,epoile chiesedell’AnnunziataedelMonte.

Piano regolatore della Città di Brindisi - 1883

La mappa seguente, quella topografica di Brindisi del 1916, stampata con il Nord orientato verso l’alto, anche se non ricca di dettagli, aiuta a capire quanto del piano regolatoredel1883furealizzato,equantono.

Sitrattadiunpiano,nuovamenteappartenenteallabiblioteca dell’IstitutoGeografico Militare, identificato con il nome di Pianta della Città di Brindisi e corredato dalla seguentedescrizione:Rappresentazioneorograficaplanimetrica.Stampaeliograficadi 0,70x0,54metri.Rilievodel1916ascala1/4000delCapitanoA.Urbani.

Ledirettricistradaliprincipali,conilcorsoGaribaldiprolungatofinoallaferroviaeil corsoUmbertoI°conlapiazzaCairoli,sonostaterealizzatecompletamente.Oltrealla Stazione Ferroviaria principale, anche quella Marittima è completa ed ambe sono intercollegateepienamentefunzionali.

L’area di piazza Castello non è più vuota, vi sono stati costruiti l’edificio dell’AmmiragliatodettoanchePresidioelacasermachesaràintitolataEderle,indue lotti contigui separati dal prolungamento della via Rodi e delimitati a Sud dalla via

CastelloaNord daquellochepoisaràvialedeiMilleead Ovest daviaIndipendenza, giàcompletamentetracciatafinoalsuoaltroestremosullafinedicorsoGaribaldi,non ancoraRoma.Aestdellacasermac ’éviaCittadella,cheperòprosegueancoraconvia S.MargheritafinoalCalvariodoveraggiungeviaCarmine.

Cioè non è stato attuato, né lo sarà mai più, il piano regolatore che prevedeva l’eliminazionedellaviaS.MargheritaeilprolungamentoinlinearettadiviaCittadella finoaviaCarmine.NéfuronomairettificateviaMadonnadellaNeveviaSantabarbara eviaTarantini,chenelpianoregolatoredovevanocostituire,conviaCastello,unasola via retta fino alla piazza del Duomo. E neanche via S. Benedetto fu mai rettificata nel suopezzettofinaleversoviaCarmine.

Pianta della Città di Brindisi - Scala 1/4000 - A. Urbani – 1916 (700 x 540 mm)

La piazza Sottoprefettura non fu mai ampliata e non fu mai costruita la strada retta che sulla direttrice di via Marco Pacuvio doveva giungere fino a corso Umberto I° all’altezza di via Paolo Sarpi, dopo aver incrociato via Angioli, la attuale Ferrante Fornari.

In quanto alle Sciabiche, il piano regolatore del 1883 prevedeva abbattere il piccolo blocco antistante a via S. Chiara, che in effetti nella mappa del 1916 non c’è più, e anche quello adiacente molto più grande, cheiniziando difronte a via Montenegro si estendeva occultando al mare sia il largo Monticelli che via Pompeo Azzolino, questo bloccograndenellamappadel1916c’éancora,comprendevalapalazzinaMonticellie fu demolito nel 1924. Come ulteriore novità per il settore Sciabiche, nella mappa del 1916 sono indicati i fabbricati a due piani costruiti negli ultimi anni dell ´800 a prolungamento delle Sciabiche verso il Castello di terra, siti su tre isolati contigui occupando una fascia compresa tra il lungomare e la strada Sdrigoli, poi via Lucio Scarano, che risalendo fino a Santa Aloy era stata aperta prolungando la famosa via Sciabiche,quellacheiniziandoinlargoMonticelliattraversavatuttoilquartiere.

Meno di 10 anni più moderna che la precedente, è la bella mappa dell’importante editore Antonio Vallardi, nella quale è rappresentata la pianta di Brindisi molto dettagliata,nonostantelapiccolascaladi1/15000equindilepiccoledimensionidella stampa.Peròèmiglioratadecisamentelaqualitàtipografica:sitrattadiunaincisione cromo-litografica su acciaio vivacemente colorata ed ottima nella risoluzione calligrafica.

Pianta della Città di Brindisi - Scala 1/15000 - A. Vallardi - 1924 (155 x 105 mm)

Certamente si tratta di una cartina inserita in una delle opere dell’editore milanese intitolate “Viaggi e guide turistiche per l’Italia ...contenenti la descrizione storica artisticaecontemporaneaconvariecarteepiantinetopografichedelleprincipalicittà dell’ItaliadellaSiciliaedellaSardegna”.

Anche per questo motivo la cartina è complementata da varie note, le quali sono riferitesulpianoconuntotaledi11numeri.

A Brindisi ci sono ancora: un bacino galleggiante di fronte allo sbocco del canale di Cillarese, la spiaggia diS. Apollinarenel portointerno, la via Sciabiche interne conla palazzina Monticelli, il teatro Verdi, le due piazze Vittoria e Sedile, il parco della Rimembranza senza il nome e con i Bastioni Carlo V, piazza d’Armi e le caserme d’artiglieriaS.BenedettoeMontenegro,ilcorsoGaribaldiancoratuttointero,...

Poi, con la fine della Seconda guerra mondiale e con l’avvento della repubblica, arriva ancheaBrindisil’EnteProvincialeperilTurismoeilturismodimassa;econquesto, letantemappeocartineturistiche,pubblicatesuvolantipiegabilioinseriteneilibridi guidaperivisitantieviaggiatori.

E finalmente ecco l’era delle mappe elettroniche, del digitale online, del GPS e di GoogleEarth:

Brindisi su Tutto Città Brindisi su Google Earth

Tra Messapi e coloni Romani i primi abitanti di Brindisi che la storia ha documentato

Pubblicato su il7 Magazine del 3 e del 10 agosto 2018

Pur tralasciando qui ogni possibile approfondimento relativo alla fondazione di Brindisi, è comunque oppotuno ricordare quanto meno le due classiche tradizioni leggendarie che la fanno risalire, l’una agli Etoli al seguito dell’eroe greco di Argo, Diomede figlio di Tideo, attestata da Pompeo Trogo, l’altra, attestata da Strabone, ai CretesipartitidallaSiciliasottolaguida dell’eroeIapige,figliodiLicaoneefratellodi DaunoePeucezio,opartitidaCnossoconl’eroeatenieseTeseo,figliodiEtraedEgeo.

Duetradizioniche,vanotato,pursetradiessechiaramenteincompatibili,sono entrambe di derivazione greca, anche se sull’origine degli Iapigi-Messapi va però segnalata larecentementepiùaccettatatradizione chelisostiene originaridell’Illiria, sostenutaeampiamentesopportataetnograficamentedaF.RIBEZZO,1907:

«Una prova definitiva della pertinenza del messapico, genericamente al gruppo delle lingue balcaniche o slavo-baltiche e direttamente all’illirico-albanese, sarebbe la concordanza nel trattamento caratteristico delle gutturali palatali, che è la nota più differenziativaespecificadellelinguediquelgruppo».

LostessoRibezzospiegaancheilperchédell’indubbiapresenzaellenisticanella civiltà messapica. Si tratterebbe, in effetti, non di ellenicità ma di ellenizzamento, conseguente a immigrazioni protostoriche in condizioni di civiltà e di cultura non molto superiori a quelle dei primitivi che vi si trovavano già stanziati e da questi assorbitoeprofondamenteassimilatointantisecolidiconvivenzapacifica.

L’idioma messapico, del resto, al pari degli altri dell’Italia antica, non poté superare la concorrenza letteraria civile del greco e successivamente, e soprattutto, quella anche politica del latino che determinò, finalmente, la sua soppressione. Il caduceo bronzeo di Brindisi, al pari di vari altri reperti epigrafici anteriori alla romanizzazione, attesta quell’introduzione del greco come lingua nobile, ufficiale o interfederale. Mentre il messapico, anche in iscrizioni di carattere funerario, non giunse oltre l’ultimo secolo della Repubblica, giacché anche in esse subentrò prepotentementeillatino.

“Sallentum” F. Sammarco, 2017 - “La penisola salentina nelle fonti narrative antiche” N. Valente, 2018

Strabone,ilgiàcitatogeografo-storicogrecovissutonell’eraaugustea,semprea proposito di Brindisi scrisse che l’importante città messapica venne privata di gran parte del suo territorio ad opera degli Spartani che, guidati da Falanto, avevano fondato Taranto intorno all’VIII secolo a.C. e commentò come Brindisi - dal ferace territorio e dallo splendido porto - sul piano storico fosse stata un’antica città di nobilissimeorigini,nonchécapitaleregaledelmondomessapico.Quindi,aggiunse,che “tutto il territorio messapico fu un tempo ricco e popoloso con 13 città, ma di quelle solo sopravvivevano Taranto e Brindisi, mentre le altre erano ridotte a cittaduzze, avendo tutte subito grandi devastazioni e sofferenze”, probabilmente - anche se lui nonloscrive-adoperadeiconquistatoriRomani.

In quanto al territorio messapico citato da Strabone, la tradizione ormai consolidata lo ritiene facente parte della Iapigia - pressoché l’attuale Puglia - divisa appunto in - da Nordovest a Sudest - Daunia, Peucezia e Messapia, i cui confini a nordovest eranodelimitati all’incircadall’istmochecollegaTarantoaOstuni ed ilcui nome era legato a quello di Messapo, il comandante dell’esercito conquistatore della Iapigia giunto sulla costa adriatica con Iapige - o con suo padre Licaone - ed i cui abitanti [N. Valente, 2018] appartenevano a due etnie: i Salentinoi stanziati intorno all’estremo promontorio peninsulare e, stanziati sul restante territorio e quindi su Brindisi, i Kalabroí, da cui il nome di origine epicoria ‘Calabria’ con cui i Romani sostituironoquellogrecodi‘Messapia’.

Quellarivalità-tralalacedemoneTarantoelamessapicaBrindisi-segnalatada Strabone, non cessò certo con l’insediamento spartano in Taranto, ma bensì perdurò endemicamente ed attivamente per i tanti secoli che intercorsero tra quella fondazione e la romanizzazione dell’intero territorio iapigio, e quindi messapico, avvenutanellaprimametàdelIIIsecoloa.C.Maquelladellasecolareespessocruenta rivalità tra Taranto e Brindisi è tutta un’altra lunga storia, una storia che poi finì proprioconfacilitarelaconquistaromana.

«Nel 272 a.C. i Romani, dopo la conclusione della guerra contro Taranto e il suo all’alleatoPirro,devonoaffrontareilproblemadellepopolazionicheduranteilconflitto si erano schierate con il principe epirota. D’altra parte, i Messapi, che avevano ormai manifestato chiaramente la loro ostilità verso i Romani, costituivano un pericolo costanteperquellenaviromanecheseguivanolarottadelcanaled’OtrantotralaGrecia e il golfo di Taranto. In questo contesto cresceva inevitabilmente l’interesse di Roma verso Brindisi, il cui porto avrebbe invece reso più rapidi e sicuri i collegamenti e i trafficicommercialiconlaGrecia.

Nel 267 a.C. pertanto, i Romani intraprendono una prima campagna militare contro i SalentinicolpretestocheessiavevanoaiutatoPirro,aggiudicandosifacilmenteiltrionfo de Sallentineis al comando dei consoli Attilio Regolo e Giulio Libone e poi, nel 266, con unasecondaedefinitivacampagna,iconsoliFabioPittoreeGiunioPeratrionfarono de Sallentineis Messapieisque

Successivamente, dopo pochi anni, i Romani trasformano l’ager brinisinus in ager publicus e poi, il 5 di agosto del 244 a.C., sotto il consolato di Manlio Torquato e Sempronio Bleso, vi deducono la colonia di diritto latino di Brindisi, con 6000 coloni.»

[G.LAUDIZI,1996]

IRomani[U.Laffi,2015]distinguevanoduetipidicolonie:didirittoromanoedi diritto latino. Le prime, marittime e con funzione essenzialmente di difesa militare,

eranopiccolecomunitàfondatesull’agerromanuscon300coloniiqualiconservavano la cittadinanza romana, con tutti i diritti-doveri che ne derivavano. Le colonie di diritto latino come la brindisina, invece, costituivano una specie di stati sovrani per quantoriguardavairapportiinterni:avevanounacittadinanzapropria,leggiproprie, magistrati, statuto, moneta, censoemilizia. Ciòchenon lerendevastativeriepropri era il fatto che le relazioni estere erano delegate a Roma, alla quale erano inoltre obbligatiaforniretruppe.Icolonilatini-nevenivanodedottitra2000e6000-erano alleatiprivilegiatidiRomaepossedevanoparticolaridiritti,tracuiquellialconnubioe alcommercioconiRomani.

Quei nostri concittadini ancestrali, i coloni, si sommarono quindi a quelli autoctoni - messapi - sul finire della prima metà del III secolo a.C., quando la città fu romanizzata e divennero cittadini brindisini di diritto latino. Brindisi poté così conservarealungolasuapregevoleautonomia,finoallapromulgazione -nel90a.C.della legge Iulia de civitate latinis et sociis danda, con cui Roma concesse la cittadinanzaromanaagliabitantidituttelecolonielatineeatuttiglialleatiitalici.

Quali dunque i nomi e le specificità di quegli abitanti ancestrali di Brindisi che, circa 2250 anni fa, la storia cominciò finalmente a registrare? In realtà le fonti pervenutealriguardo,specialmenteinrelazioneagliinizidiquelperiodostorico,non sono numerosissime ed anche per questo spesso non risulta facile neanche il poter attribuire quei primi nomi a cittadini messapi o a cittadini latini Tutto, infatti, fa supporre che la mescolanza e l’integrazione iniziò presto e fu presto destinata ad essere gradualmente ma inesorabilmente dominata dalla componente latina, sia sul pianoculturalechesuquelloeconomicoe,naturalmente,politico.D’altraparte:

“ mentre si sottolinea un ruolo indigeno attivo nelle situazioni coloniali successive all’avvento romano, l’urbanizzazione preromana dell’area brindisina si caratterizzò come un complesso processo dalle forti radici indigene, con grandi cambiamenti avvenuti anche nel corso dello stesso III secolo a.C. nel ridisegno complessivo della mappaterritorialeedelpopolamento,”[G.CARITO,2018]

Emblematica della segnalata integrazione è la figura del grande intellettuale Quinto Ennio da Rhudie (239-169 a.C.), zio materno del nostro celeberrimo concittadinoMarcoPacuvio(220-130a.C.).Ennio,alparidialtripersonaggibrindisini dell’epoca, si dichiara essere greco tra i greci, romano tra i romani e messapico fra i suoi conterranei: di nascita apparteneva all’élite messapica, poi era greco per educazione,maeraromanoperadozioneepersceltapropria.

M.Silvestrininelgennaio1996hapresentatoalIVConvegnodistudisullaPuglia romana,unlavorointitolato“LegentesdiBrindisiromana”conallegatol’elencodelle “gentes documentate a Brundisium”. Si tratta di 218 nomi familiari ‘nomina’ provenienti dall’intero patrimonio epigrafico e documentale brindisino disponibile alladata.

Nell’elenco, i nomi, che vanno dall’epoca coloniale a quella imperiale, sono ordinati alfabeticamente e sono opportunamente identificati quelli appartenenti a famiglie di rango senatorio, di rango equestree di rango decurionale – 30 in totale –mentreinomidariferireallacolonialatinacompaionoincorsivoesonosolamente5: Hortensii, Pacuvii, Polfenii, Ramnii e Statorii. Di questi 5 personaggi tratterà la secondapartediquestoarticolo!

La viabilità preromana della Messapia – G. Uggeri, 1975

Ara sepolcrale messapica di una fanciulla di nome Teodoridda con dedica a Afrodite (ritrovata a Ceglie M.)

Ecco quali sono i primi nomi e cognomi brindisini che la ‘storia’ ha documentato

Le fonti ‘storiche’ più antiche rinvenute sugli abitanti di Brindisi fanno essenzialmente riferimento alla popolazione messapica, alla quale – a partire dalla metà delIIIsecoloa.C. –sisommòquella romana. IMessapi,secondolepiùrecentie accreditateipotesi, erano di origine illirica e le più remote tracce della loro presenza sull’attuale territorio salentino, e quindi su quello brindisino, risalgono a ben prima dellafondazionespartanadiTaranto,avvenutasulfiniredell’VIIIsecoloa.C.

“In una cornice geografica come quella salentina, probabile teatro di continui spostamenti e sovrapposizioni, è comunque improbabile che si possa supporre una purezzaetnicaperlastirpemessapica,mentrepiùlogicoèinveceipotizzarelapresenza di immissioni e infiltrazioni etniche allogene, elleniche o persino celtiche” (M. LEONE, 1969).

“L’urbanizzazione preromana dell’area brindisina si caratterizzò come un complesso processo dalle forti radici indigene, con grandi cambiamenti avvenuti anche nel corso dello stesso III secolo a.C. nel ridisegno complessivo della mappa territoriale e del popolamento… Le indagini sul campo indicherebbero che durante quel periodo la società regionale nell’area brindisina sarebbe stata caratterizzata da processi di urbanizzazioneecentralizzazione,primache–apartiredallametàdelIIIsecoloa.C.–si verificasselagradualeinevitabileintegrazionenell’orbitaromana”[G.CARITO,2018].

Nel244a.C.infatti,iRomanidedusseroa Brundisium unacoloniadidirittolatino compostadaseimilacoloni.Enel90a.C.,dopolaguerrasociale,conlapromulgazione della legge Iulia de civitate latinis et sociis danda, Roma assegnò la cittadinanza romanaagliabitantidituttelecolonielatineeatuttiglialleatiitalici.EancheBrindisi, quindi, in quell’ultimo secolo a.C. fu Municipium romano – i cittadini furono iscritti alla tribù Maecia – e con tale status entrò poinel lungo periodo imperiale, durante il quale,giàquasideltuttoromanizzata,dovevaraggiungerel’apicedelsuosplendore. Il canonico Pasquale Camassa (1934) ci racconta che la maggior parte di quei seimila coloni romani dedotti a Brindisi provenivano dalla tribù Palatina, una delle quattrotribùurbanediRoma.MentreA.Ferraro(2009)cispiegachelamaggiorparte degli iscritti a quella tribù erano liberti e soprattutto ingenui figli di liberti, anche se numericamente consistente era il gruppo degli apparitores – funzionari ai quali era affidata l’esecuzione coattiva delle sentenze dei magistrati – con, inoltre, una buona rappresentanzadipersonedirangoelevato,magaridiscendentidiunliberto,giacché, cosa che comunque poteva accadere anche tra senatori e personaggi di nobiltà recente,diversimembridell’ordineequestreavevanoun’umileorigine.

Non è dato disaperequanti fossero gli abitanti messapici di Brindisi, né la loro composizione sociale,quandogiunseroiseimilacoloni romani,maèpresumibile che il processo di integrazione sociale tra le due etnie non abbia tardato molto a svilupparsi. Ed è per questo che, in un contesto sociale come quello che si venne a stabilire a Brindisi in quei primi anni della colonia, risulta spesso difficile per i personaggi più antichi di cui si è trovata una qualche traccia storica, poter differenziare con precisione quelli appartenenti alla etnia messapica da quelli di provenienzaromana.

M. Silvestrini (1996), su un totale di 218 nomina fino ad allora individuati nel patrimonio epigrafico e documentale brindisino, ne segnala solamente cinque come sicuramente appartenenti al periodo coloniale, mentre tutti i restanti sono da

attribuire al periodo municipale, maggioritariamente imperiale. Questi, in ordine alfabetico, quei cinque più antichi cognomi brindisini, storicamente documentati: Hortensii, Pacuvii, Polfenii, Ramnii e Statorii, e tra loro, in ordine di importanza e notorietà, sono invece indubbiamente primi i Pacuvii e i Ramnii, rappresentati dai famosi Marco Pacuvio e Lucio Ramnio. Poi, tra i già più numerosi nomi del periodo municipalepreimperiale,vannosegnalatiiduebenconosciutiLaenii,LenioFlacco–il mecenate che accolse più volte Cicerone, nonché uomo d’affari, negotiator, anche in Bitinia–eLenioStrabone–ilriccocavaliere,eques,inventoredellevolierecheospitò Varrone–Quindi,aseguire,itantiBrindisini,piùomenonoti,vissutiduranteisecoli delperiodoimperiale,traiquali,Silvestrinirisaltalapresenzaestremamentecospicua degliIulii,quindideiClaudii,eccetera.

SulnostroceleberrimoconcittadinoMarcoPacuvio(220-130a.C.)labibliografia storica e letteraria è molto ricca, e allora basti qui solo ricordare che fu poeta e scrittore–nonchépittore–efuindubbiamenteunodeiprincipalitragediografilatini. Mainquestocontestovaanchedettoche,mentresuopadreeraunnobilebrindisino, sua madre era sorella del famoso Quinto Ennio di Rhudiae, uno dei padri della letteratura latina, il quale vantava orgogliosamente la sua nobile ascendenza diretta dal reMessapoeproclamava insistentemente dipossedere tre cuori:uno messapico, unogrecoeunoromano.

AnchesuLucioRamnio–pressochécontemporaneodiPacuvio–riccocavaliere brindisino con probabile ascendenza messapica e raffinato anfitrione di personalità militari romane e altri dignitari in transito a Brindisi, è disponibile una buona bibliografia e, recentemente (2018), Giacomo Carito ha pubblicato un dettagliato lavorosuquestopersonaggio,percertiversiunpo’enigmatico,vissutoaBrindisinel periodo coloniale ed elevato alla notorietà storica perché protagonista della rivelazione del supposto complotto che il re macedone Perseo ordiva ai danni di Roma,inquel172a.C.quandoRamnioloscoprìmentreeraospiteallacortediPerseo, che lo avrebbe invitato a partecipare attivamente in quel complotto contro Roma, dietropromessadilauticompensi.

Grazie a quella rivelazione del ‘leale’ Ramnio, Roma intraprese la terza guerra macedonica,vincendolaconlabattagliadiPidnaalcomandodelconsoleLucioEmilio Paolo (168 a.C.) e abolendo così la monarchia macedone. Ma Carito ci rivela che probabilmentesitrattò–comesidirebbeoggi–diunaguerrapreventiva,giacchénon cisonotestimonianzerealmenteattendibilichePerseostessepreparandounaguerra controRoma,mentrelapropagandatadenunciadiRamniofueventualmentepartedi unfalsoannalistico.Eaggiunge–Carito–chelalealepartecipazionedeimaggiorenti brindisiniallapoliticaromanadiespansioneversoOrientepuòaverlasciatounaforte traccia nella memoria collettiva, esaltando l’episodio – del Ramnio – reale o verosimile,inungestodipatriottismodatramandarenellestorie.

E per concludere, cosa aggiungere a proposito dei tre meno noti antichi brindisini:StatorioHortensioePolfenio?

È di nuovo Carito che, nel suo riferito articolo, scrive che nel santuario di Delfi un’iscrizione racconta che Gaius Statorius, brindisino figlio di Gaio, nel 191-190 a.C. era garantito da prossenia – protezione che un cittadino prominente, il prosseno, esercitava sugli appartenenti a un’altra città, tutelando gli interessi degli stranieri affidatigli,ricevendoeospitandocolorochegiungevanonellasuacittàconunincarico

ufficiale – così come ne era garantito anche un altro brindisino, Lucius Ortensius, ricordato in altra iscrizione del 168-167 a.C. Se Delfi considerava un italico degno di prossenia,eglidovevaesserericcoeinfluente,conbuoneretidirelazioniinGreciaein Italia; un privilegio quello, che solo poche persone non greche ricevevano. Infatti, secondoleiscrizioni documentate, Delficoncesselaprosseniaapochissimiitalici:un pugno di romani, un anconetano, un pugliese di Arpi e i due brindisini. Il mercante Pulfennius da Brindisi, figlio di Dazoupos, invece, lo si ritrova garantito da prossenia nelsantuariodiDodonae,conundecretodel175-170a.C.,sonoconcessialuieaisuoi discendentivarialtridiritti,inclusoquellodipoteracquistareterraecasainEpiro.E conclude Carito che, eccetto Ortensio le cui origini non possono essere tracciate, gli altriparrebberoaveretuttiascendenzamessapica.

I nostri concittadini atavici quindi, quanto meno quelli che le fonti storiche ci hanno permesso di identificare con il loro nome, furono – i più – risultato della naturale integrazione etnica eculturale, tra leautoctone popolazionimessapiche ele sopraggiunte genti romane, conseguente a quell’incontro epocale che proprio nell’ambito urbano di Brindisi si originò intorno al suo porto, militarmente e commercialmentestrategico,apartiredallasecondametàdelterzosecoloa.C.,perpoi via via estendersi, nel periodo municipale e soprattutto imperiale, anche all’entroterra,all’ager[C.Marangio,1975].

Marco Pacuvio: tra gli antichi brindisini Lucio Emilio Paolo: vincitore a Pidna nel 168 a.C. ‘il nome più celebre’ (bronzo recuperato in mare a Punta del Serrone)

BIBLIOGRAFIA:

F.RIBEZZO La lingua degli antichi Messapi -Napoli,1907

G.LAUDIZIBrindisidall’etàmessapicaall’etàromana…-1996

N.VALENTE Quando Brindisi era in Calabria -Brindisi,2018

M.LEONE Terra d'Otranto dalle origini alla colonizzazione romana -1969

G.CARITO Lucio Ramnio.Un brindisino alla corte di Perseo di Macedonia -Brindisi,2018

P.CAMASSA La romanità di Brindisi attraverso la sua storia e i suoi avanzi monumentali -1934

M.SILVESTRINI Le gentes di Brindisi romana –1996

C.MARANGIO La romanizzazione dell’ager Brindisinus -1975

Brindisi durante il fugace ma significativo regno italiano dei Goti

Pubblicato su il7 Magazine del 23 agosto 2019

All’incirca mezzo secolo durò il regno ostrogoto in Italia: quarant’anni, dall’insediamentoinRavennanel493d.C.delreTeodoricoseguitoalladeposizionedi Odoacre – che nel 476 d.C. aveva deposto Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore d’Occidente–finoalloscoppiodellaguerragreco-goticanel535;piùaltrivent’annidi quellaguerra,finoalladefinitivasconfittadeiGotinel553conlaconseguenteeffimera occupazionebizantina.

Nonostante labreveduratadiquelprimoveroregnoromano-barbaricod’Italia, la magna figura di Teodorico ebbe modo di incidere notevolmente sulla storia della penisola, governando durante più di trent’anni in maniera notoriamente saggia, rafforzandoedassicurandoiconfinidelregnomedianteazionimilitariediplomatiche opportunamente intessute, promuovendo una serie di interventi tesi a risollevare i territori dal degrado conseguente alla crisi economica e sociale maturata durante la tarda età imperiale, e dedicandosi diligentemente a organizzare l’amministrazione dellagiustiziaearinnovareleinfrastruttureelestruttureamministrativelocali.

Sebbene secondo i calcoli più accreditati si sia trattato complessivamente di solo poco più di centomila individui, l’impatto dell’irruzione gotica e dello stanziamento nei territori italiani, sul piano dell’ordine sociale ed economico, fu impressionante. L’insediamento causò innumerevoli invasioni delle proprietà urbane e rurali – sia attraverso forme di occupazione violenta e sia attraverso contestazioni giudiziarie –condimensionidiverseperareegeografichedellapenisolaecausònumerosiconflitti, piùaccesiericorrentitraappartenentiaicetisocialipiùelevatiepossidentieviavia piùfievolialdiscenderenellascalasociale.

Teodorico – conoscitore della cultura greco-romana grazie ai dieci anni giovanili vissuti a Costantinopoli – ben consapevole che non avrebbe potuto sostituirsi all’imperatore d’Oriente e che il suo compito primario era quello di rappresentare l’istituzione imperiale sul piano politico gestionale, maturò comunque l’idea di poter realizzarenellapenisolaitalianailprogettodiunsoggettopoliticoromano-germanico, vincolato all’impero ma dotato di una propria autonomia governativa e legislativa, ricorrendoaunapoliticadiconcordiaedirispettoneiconfrontidell’elementoromano e della Chiesa di Roma. E così, pur conscio delle difficoltà insite nella convivenza fra popolazioniedetniecosìlontaneediversefraloro,volleperseguire,finoaquandogli fu consentito dalle circostanze, la strada della tolleranza e della concordia radicata intorno alla pace con il popolo romano e all’amicizia con il senato, osservando al contemporispettoversolaChiesaepreservandol’intesaconl’imperod’Oriente.

Pur mantenendo in funzione i capisaldi amministrativi romani – corrector, procurator, praefectus – Teodorico delegò il loro controllo a dignitari goti e, inoltre, introdusse la fondamentale figura del ‘comes Gothorum’ a cui affidò la direzione e il controllo del regno in tutti i campi, in primis nella giustizia e finanche nell’economia conicomiti siliquatorium –agentidoganali–neiporti.Icomitesrispondevanoalledue esigenzeprimariedelregno:l’unarafforzareilpoterecentraleeregolarelavitadegli Ostrogoti; l’altra promuovere l’integrazione fra elemento germanico ed elemento romano,rappresentandoilcomesunpuntodiincontroediriferimentoperentrambi.

Eperdefinireesattamenteilcampodicompetenzedeicomitesedeglialtrifunzionari del regno, Teodorico emanò una copiosa serie di editti – formulae – tra cui l’importante‘Formula comitivae Gothorum per singulas civitates’.Ecosì,amministròla giustizia in modo ibrido, ma efficiente ed equilibrato, avvalendosi del cospicuo corredo di leggi romane in relazione al senato e al popolo di Roma e, al contempo, mantenendo in vigore per il popolo goto le proprie leggi, tradizioni e consuetudini. Con tale spirito, le formulae distinguevano Romani e Goti di fronte al diritto, ma assicuravanoaentrambilagaranziadiunagiustiziaequa Teodorico, inoltre, di fronte alla legge e di fronte allo stato, aggiunse ai Goti e ai Romani un terzo ordine, quello dei fedeli, dei religiosi, di tutti coloro che in qualche modo gravitavano intorno alla sfera ecclesiastica e che riconoscevano nel pontefice romanol’unicaeveraguidaspiritualecuifareriferimento,nonsoloperlasoluzionedi questioni legate alle materie di fede, bensì anche per dirimere controversie di altra natura. Intuì, infatti, l’inutilità di opporsi al progressivo accrescimento del potere dei vescovi, e preferì piuttosto avvalersi del loro aiuto per raggiungere più facilmente i suoi scopi, nel desiderio ultimo di mantenere, con il potere, anche la pace e la concordiaall’internodelregno.Conscioinoltreche,ancheneiterritorifisicamentepiù lontani dall’influenza diretta della Chiesa romana, il popolo, sfiduciato ormai dal senato, dalle istituzioni civili, dallo stesso impero, trovava nelle istituzioni ecclesiastiche un elemento rassicurante circa il proprio destino. I vescovi delle province italianeottennero così alcuni compiti amministrativi precisi, sia nell’ambito dellavitacittadinachesulpianogiurisdizionale.

ManontuttorisultòfacileperTeodoricoelasituazioneinternarimasebenlungida una tranquillità che potesse considerarsi duratura. Il senato di Roma era troppo soggettoalleinfluenzedellepotentifamigliecittadinedallequaliuscivanoquasituttii suoi membri. E inoltre, era inevitabile il graduale delinearsi di una rivalità e di un contrasto di interessi fra l’antica aristocrazia senatoria romana e la nascente aristocrazia gota. I rapporti tra i Goti e i Romani andarono così a deteriorarsi, evidenziando sempre più la necessità da parte dei senatori di trovare appoggi in Oriente e, all’opposta parte, di riscontrare la volontà regia di impedire qualsiasi intromissione dell’impero. Così, nonostante Teodorico avesse avuto la maturità e l’intelligenzadicomprenderechequantopiùsolidalefossestatalasuapolitica, tanto piùlapresenzagotaavrebbepotutocontinuareaoperare,dovettefareiconticonuna realtàcheandavaoltreisuoiintendimentielesuepossibilitàrealidiintervento.

A tutto ciò si aggiunse la difficile e complessa situazione religiosa che, se al principioinqualchemodofavorìTeodoricoeiGotiitalianigraziealdistaccotraRoma eBisanzio,difronteallapacificazionetraledueChiese–quandonel518giunsealsuo termine lo scisma acaciano che aveva per lungo tempo contribuito a mantenere lontane le due grandi capitali dell’impero – cominciò a configurarsi quale motivo di crisi. Il contrasto si accentuò con l’editto dell’imperatore Giustino contro gli ariani. Teodorico,cheeraariano,nel525ordinòalpapaGiovanniIdirecarsiaCostantinopoli per indurre Giustino a ritirare l’editto e poi, irritato per l’esito non del tutto positivo delviaggiodelpapa,lofeceimprigionare,inunioneconalcunialtriprestigiosid’Italia.

A quel punto, l’Italia aveva ormai consolidato la sua mappa politica intorno a tre forze antitetiche: la corte gota, che mirava a conservare una propria autonomia rispetto al senato e alla forza imperiale, il senato, sempre più teso a riavvicinare

all’Occidente l’impero, e ultima la Chiesa di Roma, che nella figura del suo vescovo assumeva un ruolo sempre più consistente e sempre più importante nella sua funzionedimoderatriceedimediatricefraleduepartiinlotta.Equestanuovarealtà politicafinìperporreTeodoricoinunaposizionediestremaincertezza,aggravatasiin seguito alla riapertura dei rapporti tra Bisanzio e Roma e alla nuova politica antiereticaavviatadaGiustinoeperseguitadalsuccessoreGiustiniano.

Teodorico, pertanto, si sentì minacciato vedendo svanire i suoi progetti di una politica, se non antimperiale, tutta italo-germanica e, pur consapevole dello stato di subordinazione in cui si trovava nei confronti dell’autorità dell’imperatore bizantino, finìpervederequest’ultimocomeunavversario,controcuiperòvollesempreevitare unaguerra,sapendocheavrebbecondottoallafinedelsuogoverno.Lesuevolontàe le sue speranze però, si infransero contro le vicissitudini e la politica dei suoi successori – Amalasunta, sua figlia reggente del figlio Atalarico e Teodato, cugino maritoeomicidadilei,eglialtritre,Vitige,TotilaeTeja–iqualicondusserononsolo alla vanificazione del progetto teodoriciano, ma anche al totale dissolvimento della presenzaostrogotanellapenisola,seguitoallaventennaleguerragreco-gotica.

La storia di Teodorico e dell’età gotica italiana è quindi un intreccio tra la costruzione di un disegno politico e l’impossibilità di una sua traduzione in azione concretaeduratura.ForseiGotinonebberotemposufficienteperportareavanticon successo e concretezza politica un programma per sé troppo ambizioso e, probabilmente, quanto meno nella figura del loro re Teodorico, si posizionarono un po'troppoinavantiperilorotempi.Inognimodo,certoèchequeipochi–quaranta–anni di sostanzialmente buon regno gotico, dovevano di lì a poco essere, in buona parte dei territori italiani, amaramente rimpianti: nei vent’anni della sanguinosa guerra greco-gotica, negli anni dell’esosa amministrazione bizantina, in quelli della conquistalongobarda,inquellidelledevastazionisaracene,eccetera.

Infatti, ad esempio, nella regio romana di Apulia et Calabria – dove non risulta si fosse stanziato un numero apprezzabile di Goti – alla quale apparteneva l’allora calabra Brindisi, durante gli anni del regno gotico e fino allo scoppio della guerra greco-gotica, era perdurato lo stato di relativa prosperità economica, già avviato al principiodelVsecoloconilprocessoditrasformazioneagrariacheavevavistoanche l’impiantodiestesiolivetieilrichiamodiingentimasselavoratrici.

L’epistolariodiCassiodoro,prestigiosoministroromanodiTeodoricoestoricodei Goti, presenta laPuglia come grandeproduttrice difrumento e commenta chea quel tempo,iCalabri–cioèiSalentini–eranoconsiderati‘peculosi’.Mentreunaltrostorico dei Goti, Giordane, dà notizia di trasporti di grano salentino effettuati per via mare attraverso il porto di Brindisi, non solo verso le altre regioni d’Italia ma anche verso lontanimercatiesteri,acuipartecipavanoanchecommerciantiveneziani.

«InBrindisi,ilcommercioel’agricolturafuronoallorafavoriti,perchéleterreadiacentialla città, ricche di humus e d’acqua anche quando vi era siccità, fornivano ottimi raccolti. La città era anche fornita di magazzini per il grano e per gli altri prodotti agricoli che i commercianti provvedevano a esportare con navi proprie dal porto di Brindisi. Ricchi allevamenti intorno a Brindisi furono documentati da Procopio, il quale riferisce che in pienaguerraiGotitenevanoalpascolopressolacittàunamandriadicavalli.»[G.

]

Infine, anche altre evidenze – come le stesse disposizioni particolari, contenute nella famosa Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii di Giustiniano seguita alla

conquista bizantina, tendenti al recupero dei negotiatores Calabriae et Apuliae –indicano la preesistenza di una classe fiorente numerosa e ben organizzata di commerciantideditialtrafficodellederratealimentaridiproduzionelocale.

Ma dopo quella lunghissima guerra, anche per Brindisi ‘effettivo’ spartiacque tra tardoanticoemedioevo,

«…a partire dallasecondametà del VIsecolo tuttoil sistemaeconomico salentino subì un forte processo involutivo: Bisanzio considerò il Salento come un mercato cui esportare i suoi prodotti e non si preoccupò di favorire l’attività produttiva locale. Brindisi divenne così un semplice porto di frontiera, ormai quasi completamente fuori dagli itinerari commerciali che contavano. Lo spopolamento delle campagne, le inumane condizioni di vita dei contadini e il rapace fiscalismo bizantino, furono le cause della depressione che, iniziatasiinquelperiodo,saràcostanteperBrindisidurantesecoli,finoallafinedelprimo millennio»[

Se l’imperatore Giustiniano non avesse deciso di portare caparbiamente in Italia quella rovinosa guerra dalla quale ottenne null’altro che una costosissima quanto pirrica vittoria, forse, l’utopico progetto teodoriciano avrebbe potuto avere tutt’altro esitoelastoriad’Italiatutt’altrofuturo.

G. CARITO Lo stato politico economico di Brindisi dagli Inizi del IV Secolo all'anno 670 inBrundisiiRes-1976 Teodorico - nel'GestaTheodoriciRegis',1177 Mausoleo di Teodorico - Pietrad’Istria,520–Ravenna

Brindisi nella Guerra Greco-Gotica

Pubblicato dalla Fondazione Terra d’Otranto il 16 e 17 giugno 2019

La storiografia classica colloca convenzionalmente il passaggio dal Tardoantico al Medioevo in coincidenza con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, a sua volta associata alla deposizione dell’ultimo imperatore, Romulo Augustulo, per mano del generale romano di origini unne Odoacre, nel 476 dC., estromesso dopo tredici anni dalgotoTeodoricoedaquestiuccisonel493.Daqualchetempoperò,glistoricihanno messo in discussione tale convenzione, osservando che più significativo che l’individuazionediunadataprecisaincuicollocareiltrapasso,sial’individuarelafine della persistenza dell’antico, cosa che si traduce inevitabilmente in accettare una transizione più o meno lenta e solo eventualmente più o meno legata a un qualche specifico accadimento, in sostituire quindi a una data un periodo e infine, in considerareunpassaggiononunicomadiversodaluogooregionearegione.

Inquestoordinediidee,perBrindisieperlasuaregionesalentina,probabilmente lo spartiacque tra il Tardo Antico e l’Alto Medio, potrebbe averlo costituito la ventennale guerra greco-gotica iniziata nel 535, una sessantina d’anni dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente. Infatti, anche se le fonti sul corso della guerra intornoaBrindisinonsonomoltoprodighedinotiziechesonocomunquesufficientia poter determinare la ‘non occorrenza’ di un evento dalla portata emblematica di un cataclisma epocale, è indubbio che l’avvento del dominio bizantino conseguente al risultato di quella lunga guerra – che vide finalmente sconfitti i Goti – costituì certamente un cambio profondo e una interruzione drastica per un sistema socioeconomicoepoliticoche,sepuringradualeeoscillanteevoluzione,coniGotisi eramantenutoinsostanzialecontinuitàconiltrascorsoBassoImpero.

Le Variae diCaissiodoroFlaviusMagnusAurelius(~486-560)costituisconolafonte più diretta circa il cinquantennale periodo del dominio gotico in Italia, con il re Teodorico,AmalasuntasuafigliareggentedisuofiglioAtalarico,eilreTeodatocugino marito e omicida di lei. Mentre numerosi ed interessanti dettagli sono riportati nello “Stato politico economico di Brindisi dagli Inizi del IV Secolo all'anno 670” di Giacomo Carito in Brundisii Res, 1976 e “Sulle Condizioni Economiche della Puglia dal IV al VII Secolo dC”diFrancescoM.DeRobertis,1951inArchivioStoricoPugliese.

Fonte principale della guerra gotica è, invece, il De bello Gothico di Procopio di Cesarea(~495-565),storicogreco,segretarioeconsiglierealseguitodelcomandante bizantinoFlavioBelisario,inparte–finoal540–testimonedirettoeprivilegiatodegli eventi che si susseguirono in Italia fin dallo sbarco in Sicilia degli eserciti bizantini inviati dall’imperatore Giustiniano – l’ultimo imperatore con origini romane –completato dagli scritti di Agazia di Mirina (~536-582), un altro storico bizantino considerato il continuatore di Procopio, che iniziò la sua narrazione della guerra dal punto–circail550–incuil’interruppeProcopio,descrivendonedifattolefasifinali conlecampagnediNarsete,ilgeneralebizantinoeunucoegrandestratega,cherilevò Belisariodalcomandofinoaculminarevittoriosamentelaguerra.

Lalungaguerra si sviluppòin duefasiben separate tradiesse. Laprimavideuna relativamenterapidavittoriadeiBizantinidiBelisarioche,sbarcatonellugliodel535 inSiciliaeconquistatala,nel536,varcòlostrettoelungolaCalabriasidiresseaNapoli

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che,assediataeconquistatainsoliventigiorni,fusacchegiataindiscriminatamente.In seguito,losconfittoregotoTeodatovennesacrificatodaisuoiedalsuopostofueletto Vitige, il quale dalla capitale del regno, Ravenna, si dispose a organizzare la reazione gotica, mentre Roma senza resistere si arrendeva a Belisario il 10 dicembre del 536. Quindi,VitigetentòlariconquistadiRomaassediandolaconunnumerosoesercito,ma vanamente e dopo un anno ripiegò nuovamente su Ravenna. Poi, trascorso qualche altro anno di alterne vicende belliche – che nel 537 videro lo sbarco a Otranto di un contingente fresco di mille soldati e ottocento cavalieri comandati dal generale bizantino Giovanni – fu Belisario a porre l’assedio a Ravenna, che resistette a lungo finchè un vorace icendio, probabilmente doloso, distrusse tutte le scorte di grano. Vitigeallora,nellaprimaveradel540,decisedicapitolaree,alseguitodiBelisario,fu portatocometrofeoaCostantinopoli,dovepoirimaseinesiliodorato

La prima fase della guerra, conclusasi a favore dei Greci, aveva avuto come teatro delleoperazioniessenzialmenteRomaeleregionidelcentroedelnord’ItaliaeiGoti, in seguito alla capitolazione di Vitige, nel settembre-ottobre del 541 elessero re Baduila,dettoTotilachevuoldire“immortale”,dopoilbreveregnodiIldibald,unozio di Baduila che presto era rimasto ucciso e dopo Erarico, eletto re ma poi contrastato educcisodoposolicinquemesidiregno.

«Il ritorno di Belisario a Costantinpoli aveva lasciato l’Italia in mano ai comandanti militari[capeggiatidaundeboleCostanziano], inespertidiamministrazione, eagli esattoridelletasse,espertissimiedinesorabilinellospremeredenaroanchelàdove l’indigenzaelamiseriarendevanoprecarialastessavitaquotidiana.Lepopolazioni esasperatecominciavanogiàarimpiangereilgovernodelGoti.»[O.

]

Totila–chedasubitoapplicòunapoliticaintelligente, seguendol’esempiodelsuo antecessore Teodorico e facendo il contrario dei Bizantini, gravando i grandi proprietariefavorendocontadiniecoloni–organizzatalariscossa,conancheilfavore delle popolazioni, procedette a riconquistare gradualmente i territori controllati dai Bizantiniearioccupareleregionipiùmeridionalidelregno,chenonavendosubitole devastazionidellaguerracostituivanoterritoriottimiperirifornimentidivettovaglie.

«E poiché niun nemico veniagli contro, sempre mandando attorno piccoli drappelli di truppe,[Totila]operòfattidigranrilievo.Sottomisel’AbbruzzoelaLucaniaes’impossessò delle Puglie e della Calabria, e i pubblici tributi egli riscosse, e i frutti degli averi si appropriò in luogo dei possessori dei terreni, e di ogni altra cosa dispose come signore d’Italia.»[PROCOPIO2]

Era così iniziata la seconda fase della guerra, fase questa che coinvolse da vicino anche la Puglia, il Salento – cioè l’antica Calabria – e quindi Brindisi. Presa Napoli, nell’apriledel543,TotilasidiresseadassediareRomaeal contempoinviòunaparte dell’esercito verso Sud, su Otranto, sapendo che quella città con Brindisi e Taranto costituiva un triangolo chiaramente strategico per la logistica bizantina, che da quei tre porti dipendeva primordialmente per mantenere attivi e agili gli indispensabili collegamentimilitariemercantiliconlacapitaleeconilrestodell’impero.

Aquelpunto,Giustiniano,preoccupatoperilprecipitaredeglieventi,nell’estatedel 544 riaffidò il comando in Italia a Belisario, che nel 545 inviò Valentino a Otranto evitandone in tempo la resa, e i Goti abbandonarono l’assedio. Però vi ritornarono, e nel547fulostessoBelisariochedirottatoconlasuaflottasuOtranto,limiseinfuga.

«Saputo dell’arrivo di Belisario, i Goti che stavano ad assediare quel castello, tolto subito l’assedio,recaronsiaBrindisichedistadaOtrantoduegiornidicammino,edèsituatasulla rivadelgolfoesprovvistadimura»[PROCOPIO2]

«Procopioaffermachelacittàera priva dimura,ma nonspecificasele stesse eranostate demolite o abbattute per sguarnirla della sua fortificazione o per conquistarla in fase di guerra. Nella circostanza appare probabile che le mura fossero ormai vecchie e cadenti, dato che l’esame della superstite muraglia romana, o meglio terrapieno, che è sul seno di Ponente del porto, nei pressi di corte Capozziello, di fronte a quello che doveva essere l’approdo del porto, dimostra che i Romani si limitarono ad accomodare le preesistenti mura messapiche non costruendone di nuove, almeno da quel lato. Inoltre, non risultano esserci stati assedi o scontri armati dal tempo di Antonio e Ottaviano fino alla guerra gotica. È probabile quindi, che nei cinque secoli intercorsi tra i due eventi, le mura siano state superate dallo sviluppo urbanistico, o che fossero in rovina durante la guerra per essereormaivecchie.»[G.CARITO3]

SalpandodaOtranto,BelisariosidiresseconunridottoesercitoallavoltadiRoma assediata dai Goti, mentre Giovanni, l’altro generale bizantino, preferendo spostarsi verso Roma per via terrestre, si attardò con i suoi soldati in Calabria e riuscì a sorprendere i Goti che custodivano Brindisi, attaccandoli di sorpresa grazie alla catturaealtradimentodiunodiloroeobbligandoliafuggiredallacittà.

«AGiovanni,chel’interrogavainchemodolasciandolovivopotrebbegiovareaiRomanied a lui, questi rispose che lo avrebbe fatto piombar sui Goti mentre men se l’aspettavano. Giovanni disse che quanto chiedeva non gli sarebbe negato, ma che prima ei doveva mostrarglii pascoli deicavalli [dei Goti che custodivano Brindisi];ed avendo ancheinciò acconsentito il barbaro, andò egli con lui, e dapprima trovati i cavalli de' nemici che pascolavano,saltaronsudiessituttiquelli dilorochetrovavansiapiedi,ederanomoltie valorosi,quindidigaloppocorserocontroilcamponemico.Ibarbari,trovandosisenz ’armi, deltuttoimpreparatiestupefattipelsubitaneoattacco,senzadarniunaprovadicoraggio, furono in gran parte uccisi e alcuni pochi scampati recaronsi presso Totila. Giovanni con esortazioni e blandizie cercò di rendere tutti i Calabri bene affetti all'imperatore, promettendo loro grandi beni per parte dell’imperatore stesso e dell’esercito romano. Sollecitamente poi partitosi da Brindisi occupò la città chiamata Canosa, che trovasi nel centrodellePuglieedistadaBrindisicinquegiornidicamminoperchivadaversol’occaso eversoRoma»[PROCOPIO2]

Belisario non riuscì a liberare Roma dall’assedio di Totila e questi il 17 dicembre del 546 – corrotte le sentinelle della Porta Asinaria – penetrò in città mentre i Greci giàstrematidall’assedio,imprendevanounadisordinatafuga.Quindi,lasciatoinRoma unlimitatocontingentediforze,TotilasidiresseversoSudperaffrontareleforzedel generale Giovanni. Questi, saputolo, pensò bene di non affrontarlo e, rinunciando di fattoaraggiungereRoma perdaremanforte aBelisario, preferìtornarearifugiarsia Otranto. E così tutto il paese al di qua del golfo, ad eccezione di Otranto, tornò nuovamentesottoiGotidiTotila.

Nellaprimaveradel547, sorpresivamente Belisarioriprese Roma, cheerarimasta sguarnitaditruppegotichee,perpoterproseguirelaguerra,richieseinsistentemente nuovi rinforzi a Costantinopoli, da cui finalmente partirono alcuni contingenti alla volta dell’Italia, seguendo la rotta più breve che portava direttamente a Otranto. Un primo rinforzo, che giunse costituito da trecento Eruli comandati da Vero, appena sbarcatosidiressesuBrindisi,accampandosinellevicinanzedellacittà.

«Vero dovevaessere unpoco di buono;Procopio dice che oltre a nonessere una persona seria, era anche un formidabile beone: il vino lo rendeva temerario fino all’inverosimile e quando Totila lo attaccò, massacrò molti dei suoi soldati e lui si salvò in estremis solo grazie all’arrivo di una flotta imperiale, forte di ottocento uomini comandati dall’armeno Varazze,direttaaTaranto[perunirsialleforzediGiovanni].»[O.

]

IlSalento,perlasuastrategicaposizione,inquel frangentedellaguerrasitrovòdi fattoalcentrodelconflittoeTotilaimpegnòlesueforzeaprendereTaranto–chenel mentre era stata fortificata da Giovanni – per poter meglio ostruire la via ai rinforzi imperialirichiesti daBelisariocheliaspettavaasserragliatodentroRoma. Dopoaver conquistato Taranto, infatti, Totila tentò di riprendersi Roma, ma non ebbe successo giacchè Belisario riuscì a respingere i suoi tre attacchi. Seguirono due anni in sostanziale situazione di stasi, finchè, nell'autunno del 549 Totila pose nuovamente l’assedioaRoma.Sitrattòanchequestavoltadiunlungoassedio,nelmezzodelquale Belisario vanamente tentò di farsi mandare rinforzi dall’imperatore Giustiniano, inviando persino la propria moglie a Costantinopoli a perorare le sue richieste, ma questasoloottennecheilmaritopotesseritornareacasa.Poi,nuovamente,gliIsaurici tradirono aprendo la Porta di San Paolo al nemico e Totila entrò di nuovo a Roma, dove, con il senato già trasferito quasi al completo a Costantinopoli, restavano ormai solo pochi sopravvissuti dei duecentomila cittadini che vi abitavano prima della guerra. E con Roma, i Goti di Totila consolidarono il loro dominio su gran parte dei territoriitaliani,conlasolaeccezionedialcunepochecittà,tracuiOtranto.

Nel 552, Giustiniano – spinto anche dal papa Vigilio dai senatori e dagli altri esuli italianiconluirifugiatisiaCostantinopoli–decisediravvivarelaguerraeneaffidòil comando a Narsete, comes sacri erari, ministro del tesoro e prepositus sacri cubiculi, gran ciambellano di corte, eunuco armeno, ultrasettantenne, grande organizzatore e grande politico, il quale si rivelò essere anche uno straordinario e vincente stratega militare Narsete, con un nutrito ed eterogeneo esercito entrò in Italia dal Veneto, spostandocosìnuovamenteilteatrodelleoperazionidellaguerranelleregionicentrosettentrionali e, muovendosi verso Sud lungo la costa, raggiunse rapidamente Ravenna,evitandoleforzedelgiovanecomandantegotoTeia,chesieranoappostatea Verona per inteccertarlo. Totila quindi abbandonò Roma, ma raggiunto, fu sconfitto nella ‘battaglia dei giganti’ a Tagina, tra Gubbio e Gualdo Tadino, dove cadde ucciso allafinedigiugno552, dopoaverregnatoperundici anni.Nel553Narseteconisuoi soldati entrò a Roma accolto come un eroe. Poi, anche Teia, il giovane successore di Totila, proclamato a Pavia ultimo re dei Goti, che si era diretto a Sud, fu intercettato assediato e sconfitto, e dopo aver combattuto strenuamente fu ucciso tra i monti Lattari,pressoilVesuvionelmarzodel553,mentreilrestodeicaposaldigoticirimasti nelMeridione,siarreseroinrapidasuccessionealletruppeimperiali.

Laguerragreco-goticaera,inprincipio,finitaegliimperialibizantinidiGiustiniano avevano sconfitto i Goti, il cui regno d’Italia era stato definitivamente cancellato. Restavanocomunquealcunesacchediresistenzaedirivendicazionegotica,unadelle quali, pressoiconfininordicideiterritoriveneti, facevainqualche modoriferimento alregnodiTeodebaldo,redeiFranchid’Austrasia,pressoilqualechieseroaiutoiGoti d’oltrePo, mostrandosidispostiacompensarlolautamente. Teobaldo, in posizione di formaleneutralitàrifiutò,mafavorìl’entrataincampodidueAlemanniSuavi,fratellie condottieri inescrupolosi, Leutari e Boccellino, disposti a fornire “a titolo personale”

l’aiuto militare richiesto. I due Alemanni predisposero con la massima celerità una spedizionemilitare,chenellaprimaveradel553attraversòleAlpi,entròinItaliaesi diresserapidamenteversoilfiumePo.

«All’ingressodeidueduchiinItalia,l’assettodellapenisolaeraparecchioinstabile:alcune città o fortezze erano tenute da Goti passati all’ossequio dell’Impero, altre da Goti indipendentisti, certe altre erano ancora sotto attacco o assedio romaico. Alle prime favorevoli manovre dell’esercito franco-alamanno, qualche roccaforte ostrogota della Tuscia che si eragià arresa insorse col proposito di riunirsi ai connazionalitranspadani e alleforzed’invasione.»[G.ARNOSTI4]

«L’attacco franco-alemanno si rivelò da subito potenzialmente assai insidioso, anche perchémoltiGotisbandatidellaLiguriaedell’Emiliavisiunirono:daParmalaspedizione toccò l’Etruria e nella primavera del 554 si spinse verso Roma, oltrepassata la quale e giunti nel Sannio, gli invasori si divisero in due colonne d’attacco, ciascuna capitanata da uno dei fratelli: Buccelino guidò una lunga scorreria lungo la Campania, la Lucania e il Bruzzio,finoallostrettodiMessina.»[M GUSSO5]

«Leutari, con l'altra schiera infestava l'Apulia e le terre Calabre; e dopo che [essendo di certo passato anche da Brindisi] giunse a Otranto, che è proprio al confine del mare di AdriaedelloIonio,tuttiquellichec’eranodellastirpedeiFranchi,congrandereligiositàe riverenza risparmiavano gli edifici sacri per ubbidire alle giuste e rette volontà divine; anche perché, come dissi altrove - scrive Agazia - essi avevano sulla fede le stesse convinzionireligiosedeiRomani.»[G ARNOSTI4]

«La colonna di Leutari, che aveva intrapreso l’itinerario costiero adriatico, [sulla via del ritorno in piena estate del 554] si scontrò duramente con la piccola ma ben guidata guarnigione bizantina di Pesaro, perdendo in quella circostanza buona parte di quel bottinochecercavadimettereinsalvointerritoriosottocontrolloFrancoe,attraversatoin qualchemodoilPo,sidiresseincercadirifugionellaVenetia,accampandonel castrum di Ceneda,dovefucoltadaunamortaleepidemiainseguitoallaqualemorìlostessoLeutari... Narsete,intercettatoeinseguitoBuccelino,[inautunno]neavevarovinosamentesconfitte le schiere nei pressi del Volturno, dove cadde ucciso in combattimento lo stesso Buccellino.»[M GUSSO5]

Anche se la lunga ed articolata guerra greco-gotica coinvolse tutta l’Italia, dal Veneto alla Sicilia, e danneggiò seriamente la maggior parte della penisola, lo fece comunque con intensità e modalità diverse a seconda delle aree che interessò nei differenti momenti del suo percorso, non dovendosi pertanto necessariamente accettare del tutto la pur stereotipata lettura di un’Italia uscita completamente distrutta dal conflitto, con le campagne devastate e le città rase al suolo, la popolazioneimmiseritaedeportata,quandononuccisaodecimatadalleepidemie.

Brindisi,nellungo De bello Ghotico diProcopiodiCesareacompletatodaAgaziadi Mirina, è citata pochissime volte, meno che le dita di una sola mano e ciò, in tale circostanza, potrebbe forse assumere un significato positivo, nella misura in cui “ a menofattidiguerradaraccontare,menomortiemenodistruzionidacontabilizzare”.

«Durante il ventennale conflitto greco-gotico, Brindisi fu occupata in varie occasioni dai contendenti, ma i fatti si svolsero senza colpo ferire… Sembra che durante il conflitto fra GotieBizantini,iBrindisini,perproteggereilorointeressieconomici,abbianoseguitouna politicaambiguaparteggiando,divoltainvolta,perl’occupantediturno,consentendoalla città di uscire dalla guerra col minimo dei danni... Si sa che i danni più considerevoli la guerra li arrecò con la devastazione delle campagne, battute dagli opposti eserciti. Tale

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devastazionedovetteprovocare,diriflesso,squilibrionell’economiabrindisinachecontava molto,allora,sull’esportazionedeiprodottiagricoli.»[G.CARITO3]

In effetti, dall’analisi delle fonti pervenute, sembrerebbe che le azioni di guerra abbiano interessato più direttamente da vicino il territorio del brindisino e meno la propria città e, comunque, di fatto solo durante la seconda fase della guerra, quella corrispondentealregnogotodiTotilaedelsuoeffimerosuccessoreTeia,apartiredal ritornoinItaliadiBelisarionell’estatedel544,equindipercircaundecennio.

«Possiamo chiederci quale fosse l’atteggiamento delle popolazioni meridionali: sappiamo che durante la campagna di Belisario – prima fase della guerra – Bruzi e Calabri in particolare, non avendo truppe gotiche nel loro paese, volentieri patteggiavano per il generale bizantino. Ma – nella seconda fase della guerra – con la situazione militare cambiata, forse, è legittimo pensare che anche l’atteggiamento di quelle popolazioni cambiasse e si volgesse a favore dei Goti… In conclusione, gli atteggiamenti delle popolazioni furono determinati di volta in volta dal variare delle circostanze e a seconda dell’opportunitàdelmomento.»[O.GIORDANO1]

Se dunque la causa dell’indubbio profondo e prolungato decadimento che soffrì Brindisineisecolicheseguironoaquell’eventobellico[G.PERRI6]nonfututtasemplice e diretta conseguenza della guerra, e se inoltre – come è ben documentato anche da Cassiodoro – quel decadimento non si era manifestato prima dell’evento e forse –comofarebbepresumerlola Pragmatica Sanctio emanatadaGiustinianoallafinedella guerra – neanche immediatamente dopo, allora cosa realmente lo determinò? Quale nefularealecausa?Moltoprobabilmente,laspiegazioneèdaricercaredirettamente nel cambiamento indotto dal risultato della guerra, determinato cioè dalla sconfitta dei Goti e dalla vittoria dei Greci, in definitiva, dalla nuova conduzione politica e amministrativa:quellabizantinadeivincitori,iGreci,nuovidominatoridellaregione.

«Vicontribuironol’erratapoliticaeconomicadeisuccessoridiGiustiniano,ilprecariostato disicurezzadelleviedicomunicazioneterrestriedinfineunaseriedicatastrofinaturali… Lo spopolanento delle campagne, le inumane condizioni di vita dei contadini ed il fiscalismo eccessivo furono le cause della depressione che, iniziatasi in questo periodo, sarà costante per Brindisi fino alla fine del primo millennio… Con il declassamento del porto di Brindisi e la rivalutazione di quello otrantino, Brindisi perse il ruolo che aveva esercitato nella regione sin dall’età messapica… E sotto Costante II, la pressione fiscale esercitatadaiBizantinidivenneinsostenibile...»[G CARITO3]

BIBLIOGRAFIA:

1O.GIORDANO La Guerra Greco-Gotica nel Salento inBrundisiiRes-1974

2 PROCOPIO DI CESAREA La guerra Gotica. Testo greco emendato sui manscritti con traduzione italiana acuradiDOMENICOCOMPARETTI-1895

3 G.CARITO Lo stato politico economico di Brindisi dagli Inizi del IV Secolo all'anno 670 inBrundisiiRes-1976

4G.ARNOSTI Goti e Franchi Merovingi Nella Venetia aa. 450-565 -2015

5M.GUSSO Franchi Austrasiani nella Venetia del VI Secolo dC -2002

6G.PERRI Brindisi bizantina nei cinquecento anni più bui della sua storia -brindisiweb.it

http://www.brindisiweb.it/storia/brindisi_bizantina.asp

Brindisi bizantina e longobarda nei 500 anni più bui della sua storia con un’appendice sul monachesimo orientale in Puglia e in Brindisi

Pubblicato su.Brindisiweb.it

Per Brindisi, quel mezzo millennio di storia coincidente grosso modo con la seconda metà delprimomillennio–compreso,o ancormegliodettoschiacciato,tra l'ingombrante quanto meritata fama dell’urbe e la celebrità del suo porto negli anni della classicità di Roma repubblicana e imperiale da una parte, e la leggendaria e romantica epopea medievale delle crociate dei re normanni svevi e angioini dall’altra – è poco raccontato dai libriedallerivistedistoriaedè,di conseguenza, generalmente poco conosciuto e per nulla celebrato dalla tradizione popolare e dalla stessa cultura storica formale della città, rimanendo relegato nei confini e nei limiti degli addetti ai lavori e dei circoli degli studiosi ed appassionati dellastoriacittadina.

Eppure, si tratta di un periodo molto esteso, più di cinquecento anni, praticamente un quinto della plurimillenaria storia di Brindisi. Un lungo periodo storico che per la maggior partedel tempofusegnato daldominio –anche se spesso solonominale –bizantino, dei Romanoidell'imperoromanod'Oriente, checonlasua capitale Costantinopoli sopravvisse mille anni all'impero romano d'Occidente, dal quale aveva preso origine con la divisione che nel 395 d.C. ne fece l’imperatore Teodosiotraisuoiduefigli:ilmaggioreArcadio,primoimperatoreromanod’Oriente eilminoreOnorio,primoimperatoreromanodelsoloOccidente.

Si tratta dei cinque secoli di storia di Brindisi che, dopo la caduta nel 476 d.C. dell'imperoromanod’Occidente,vannodallacruentaconquistadellapenisolaitaliana ottenuta dall’imperatore d’Oriente Giustiniano con la ventennale guerra greco gotica conclusa nel 553, fino al crollo del dominio greco bizantino nel meridione d'Italia, conseguente allaconquistanormanna –quelladellacittàdiBrindisi nel1071–ealla fondazionedelRegnodiSicilia,ufficialmentenatoaPalermonel1131.

Si tratta di più di cinquecento anni di storia che, anche se per Brindisi furono decisamentetenebrosiperchécaratterizzatidaunaprofondadecadenzaedaunbuio quasiassoluto,hannocomunquemarcatofortementeilcaratteredellacittàedeisuoi abitantiedhannoincisoinmanieradeterminantesullalorosuccessivaevoluzionefino a inevitabilmente riflettersi anche nella cultura e idiosincrasia di noi brindisini del terzomillennio.

Ed è per ciò che considero possa essere utile ed importante, e spero anche apprezzato, questo contributo alla divulgazione di un capitolo della storia di Brindisi pococelebrato,macomunquefondamentaleedestremamenteinteressante.

Brindisi bizantina nei cinquecento anni più bui della sua storia

Dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, dalla storia formalmente ascritta all’anno476d.C.conlacacciatadell’ultimoimperatoreRomoloAugustoloadoperadel generaleOdoacre,lasuccessivadominazionegoticasull’Italia,iniziatanel493conilre Teodorico sotto gli auspici dell’imperatore d’oriente Zenone, culminò con il ventennaleconflittogreco-goticochenel553videvincitoriiBizantinidell’imperatore Giustinianoilquale,aspirandoaintegrarel’Italiaall’imperoromanod’oriente,istaurò conquella lungaguerraildominiobizantinosututtalapenisola.Malastoriaitaliana, quasid’immediato,ebbearegistrareunnuovoincisivoscossone.

Dopo solo pochi -15- anni infatti, nel568, provenienti dal nordest ed entrati inItaliaattraverso ilFriuli,in poco tempo iLongobardi strapparono aiBizantini una granpartedelterritoriocontinentaleitalianoasuddelleAlpi

Posero la loro capitale a Pavia e raggrupparonoleterresottomessein due grandi aree: laLangobardia Maior, dalleAlpiall'odiernaToscana elaLangobardiaMinor,costituitadai territori immediatamente a est e a sud dei possedimenti centro nordici rimasti bizantini i quali, attraverso partedelleattuali UmbriaeMarche, sistendevanodaRomaaRavenna.

Mentre la Langobardia Maior fu spezzettatainnumerosiducatietanti gastaldati, laMinor siarticolò in solo duepotentiducati,quellodiSpoletoa nordest di Roma e quello diBenevento che al sudest di Roma comprese i territori della Lucania e buona parte di quelli della Campania del Bruzio e della romana Apulia dai quali, instancabilmente, i Longobardi scorribandarono per vari secoli e dilagarono sui territori limitrofi, creandovi spesso anche loro unità territorialistabili:igastaldati.

I Bizantini allora, incentrarono il loro potere residuo nell’Esarcato di Ravenna, già capitaledelregnoitalianodeiGotiedoveconcentraronoillorocontrollonominalesu tuti i territori italiani inizialmente risparmiati dall’invasione: laVeneziae l'Istria; laLiguria; laPentapoli; ilDucato romano; ilDucato di Napoli e ilDucato di Calabria; coninoltrelaSicilia,laSardegnaelaCorsica.

Quel possedimento meridionale denominato ducato di Calabria, fu fondato dai Bizantini nei territori situati immediatamente ad est e a sud del caposaldo longobardo di Benevento, integrando in un’unica entità amministrativa i territori della penisola del Bruzio, l’odierna regione calabrese, con quelli della penisola costituita dalla parte meridionale della romana Apulia e da tutta la romana Calabria, o odierno Salento come preferir si voglia: due penisole certoben separate, mainizialmente collegateda un’ampia fascia costiera che si estendeva lungo larivanord-occidentaledelgolfodiTaranto.

In tutti i primi anni del dominio bizantino che nel meridione italiano seguirono alla fine della guerra greco-gotica, il malgoverno, l’esosità dei funzionari greci, la corruzioneimperante,ilprecariostatodisicurezzadelleviedicomunicazioneterresti infestate dal brigantaggio e, soprattutto, la miseria generalizzata e lo spopolamento, furono tali che a Brindisi, che pur fu sede di una delle prime comunità cristiane costituitesi in Italia, alla fine del secolo non siriuscì neanche ad eleggere un vescovo proprio,tantochenel595ilpapaGregorioMagnoscrisseaPietro,vescovodiOtranto, perché provvedesse alla chiesa di Brindisi priva di una guida dopo la morte del suo presule e ve ne facesse pertanto eleggere uno, vigilando perché non fosse elevato un laicoalladignitàvescovile NelcorsodelVIsecolo,dopolaguerragreco-gotica,infatti,fuOtrantoasubentrarenel ruolochegiàerastatodiBrindisieilcollassodeitrafficicommercialisegnòildeclino dellacittà,sedevacanteperunconsiderevolelassoditempofraVIeVIIsecolo.Tutto il contrario di quanto caratterizzò il precedente V secolo, quando Brindisi con il suo porto ancora molto attivo durante tutto il regno dei Goti, fu caposcalo per l’oriente, centro principale dell’antica Calabria, e centro d’irradiamento del cristianesimo nel Salento.

Nel 601 invece, non c’era ancora stata l’elezione del vescovo, quando lo stesso papa GregoriodovettenuovamenterivolgersialvescovodiOtranto,chiedendoglidirecarsi aBrindisiperfarpervenirereliquiediSanLeucio,ilcuicorposivenerava in Brundisii Ecclesia,all’abatedelmonasterodiSanLeucioinRoma,Opportuno,cheneavevafatto richiestaperchéilsuomonasteroneerastatoprivatoconunfurto.

E Brindisi non costituiva di certo l’eccezione nella Calabria bizantina: anche Lecce e Gallipoli, in quel finire di VI secolo, non avevano potuto eleggere il proprio vescovo. Situazioni tutte, conseguenza dell’abbandono in cui erano evidentemente versati per anni il clero e tutto il popolo in quelle città e in quell’intera regione, che avevano a lungosubito,echecontinuaronoasubireperaltrisecoliancora,lecontinueangherie eleprepotenzediun’amministrazioneaffidataalgovernodiunaseriedipatrizigreci, chedaOtrantoesercitaronoilpotereassolutoinnomedell’esarcadiRavenna.

A partire dalla seconda metà del VI secolo, in effetti, tutto il sistema economico salentino subì un forte processo involutivo, quando Bisanzio non si occupò di favorirne l’attività produttiva. Brindisi in particolare, a tutto vantaggio di Otranto,

divenne un semplice porto di frontiera, ormai quasi completamente fuori dagli itinerari commerciali importanti. Tutto ciò, assieme allo spopolamento delle campagneperleinumanecondizionidivitadeicontadini,accelereròunadepressione che, iniziatasi in quel periodo, perdurò per quasi cinquecento anni: fino all’inizio del secondomillennio.

Nel 605, dopo aver allargato i confini del proprio territorio e dopo aver tentato infruttuosamente di conseguire uno sbocco stabile sul basso Adriatico a scapito dei Bizantini,ArechiI,ducadiBenevento, stipulòconquelliun’instabiletregua, chedurò solo fino a quando l’imperatore bizantino Costante II sbarcò a Taranto nel 663, liberando temporalmente quasi tutto il meridione dalla presenza longobarda, senza peròpoterespugnareBenevento,energicamentedifesadalducaRomualdoedadove, adogninuovaoccasione,iLongobardisarebberoripetutamenteritornatiall’attacco. DellaBrindisidelVIIsecolo,durantegliannicheprecedetterolaconquistadellacittà dapartedeiLongobardi–circanel680–nonsihannomoltenotiziespecifiche,tranne quelle,comunqueapprossimatenonchèincerte,riguardantilasuastoriaarcivescovile, interrotta dal trasferimento della diocesi a Oria, conseguente, eventualmente, alla venutadeiLongobardi:

«Proculus, che precedette Pelino come vescovo di Brindisi e che fu venerato come beato, secondo l’Ughelli fu “romano di nazione”. Diversamente, Guerrieri lo ritenne brindisino,“madifamigliaromanaquistabilitasi,eilsuonomeAuloProculo” .

Pelino, monaco basiliano (*) formatosi in Durazzo, in quanto non aderente al Tipo, ossia all'editto dogmatico voluto dall'imperatore bizantino Costante II nel 648, e in quantodifensoredell’ortodossia,pensandoditrovareunasilosicurocoisiriGorgonio e Sebastio e col suo discepolo Ciprio, si trasferì a Brindisi i cui vescovi venivano confermatidaRoma (*) In appendice una nota sul monachesimo basiliano a Brindisi.

Seguita la morte di Proculus, il non ancora quarantenne Pelino assunse la dignità episcopale. Si mostrò in questa veste, fermo e intransigente innanzi ai funzionari imperiali che, infine, lo allontanarono dalla cattedra brindisina. Deportato a Corfinio, in Abruzzo, venne lì condannato a morte e ucciso, probabilmente nel662 in uno con SebastioeGorgonio,bibliotecari,ossiaarchivistidellasedeepiscopalediBrindisi. Ciprio,originariodiDurazzo,figliodelretoreElladioediscepolodiPelino,sisarebbe trasferitoaBrindisicolsuomaestro.Sfuggitoallamorteinoccasionedelmartiriodel maestro, in virtù della sua giovanissima età, sarebbe tornato a Brindisi e sarebbe succeduto a Pelino sulla cattedra episcopale. Poco lontano da una delle porte della città, nei pressi della chiesa di Santa Maria, avrebbe eretto una basilica in onore di Pelino,untempiochefudemolitoneltardoXVIsecolo.»-Giacomo Carito, 2007Dopol’omicidiodell’imperatoreCostanteII,avvenutoaSiracusanel668,iLongobardi del duca Romualdo I recuperarono molti dei territori e delle città del meridione d’Italia,occupandoanchegranpartedellostrategicoducatodiCalabria,inparticolare Taranto e, intorno al 680, anche Brindisi, che per la prima volta in centoventicinque anni fu formalmente sottratta al governo dei Greci. Il dominio bizantino nelle due penisolemeridionalid’Italiasiridusseallesolepunte:lecittàdiOtrantoeGallipolicon tuttoilloroentroterranelSalentoelapartesuddelBruzio,territorituttiche,integrati amministrativamente, continuarono comunque a denominarsi ducato di Calabria, nonostantefosserofisicamenteseparatidifattoinduepezzicompletamentedistinti.

Brindisi longobarda …

I Longobardi trovarono in Brindisi una cittàinprofondacrisi,conleantichemura romanedirute,cosìcomelamaggiorparte degliedificimonumentalidell’etàclassica Quindi, la abbandonarono, essendo un porto per essi inutile e difficile da difendere contro gli abili navigatori bizantini, e fecero di Oria il loro più forte caposaldo in Terra di Otranto, un caposaldo facile da difendere trovandosi in una posizione baricentrica e sopraelevata.

In quegli anni era vescovo di Brindisi Prezioso, l’ultimo residente in città prima del trasferimento della sede episcopale a Oria, indottoocomunque resoinevitabile propriodaltemutoatteggiamentodistruttivodeiLongobardineiconfrontidiBrindisi. Prezioso morì un venerdì 18 agosto – forse del 685 o del 674 – poco dopo o poco prima dell’arrivo dei Longobardi e venne seppellito in un sarcofago con una scritta quasi graffita ad indicare la sepoltura affrettata fatta da una cittadinanza sbandata e, possibilmente,giàinfuga. Brindisi, in effetti, con l’arrivo dei Longobardi fu abbandonata e restò quasi priva d’abitanti,consoloqualchesparutogruppodicittadinichesistabilìintornoalvecchio martyrium di San Leucio e pochi gruppi di Ebrei che restarono per mantenervi un piccolo scalo marittimo per la loro colonia oritana. In una città comunque ormai ridotta a un parvissimum oppidum fortificato, molto contratto rispetto all’antica urbe romana.

Unabbandonodocumentatoanchedall’Anonimotranese,chedescrisselacittàquando i suoi concittadini trafugarono nottetempo le spoglie del protovescovo Leucio portandole a Trani, perché poi, depredate dai Saraceni fossero da questi vendute al presulediBenevento.Abbandonoancheinevitabilmenteassociatoalla giàconsumata perdita di centralità del porto e confermato, ulteriormente, dalla quasi totale mancanzadiriferimentiaBrindisinellefontidiquell’epoca.

Nel750iLongobardidelreAstolfoinvaserodanordl’esarcatobizantinoeriuscirono a conquistare la stessaRavenna, capitale e simbolo del potere bizantino in Italia. Poi, nel 753, l'ambizioso re longobardo invase il ducato romano e assediò Roma. Il papa Stefano II, sollecitò allora l'aiuto del re di Francia, Pipino il breve, il quale discese in Italia, sconfisse i Longobardi e costrinse Astolfo a cedere l’Esarcato con la Pentapoli, però al papa invece che all’impero, promuovendo con ciò la nascita formale di unoStatodellaChiesaindipendentedaBisanzio.

I Longobardi dominarono il centro-nord d’Italia per ancora vent’anni, fino al 774, quando i Franchi del re Carlo, richiamati dal papa Adriano, li sconfissero di nuovo a più riprese e consegnarono alla Chiesa di Roma buona parte del territorio centrale

della penisola, dando così inizio al potere temporale dei papi e separando del tutto, anchefisicamente,lapartesettentrionaledallameridionaledellostivale.

Mentretuttoilsettentrioned’Italiapassò sotto l’influenza delsacro romano impero, sorto con l’incoronazione papale di Carlo Magno in San Pietro nel Natale dell’800, i territori a sud di Roma ritornarono sotto il “nominale” controllo bizantino, tranne Benevento che con tutto il suo vasto territorio rimase autonomamente longobarda, assurgendo a principato e conservando in parte il suo dominio, o comunque una sua certainfluenza,sulleareecontigue,lanominalmentebizantinaBrindisiinclusa.

E tranne la Sicilia, che nell'827 fu occupata dagli Arabi divenendo provincia musulmana,mentre,comeconseguenzaditaleavvenimento,tuttii“nominali”domini bizantini nell'Italia meridionale entrarono in situazione di maggiore incertezza ed insicurezza, permanendo costantemente alla mercé delle insidie degli irriducibili Longobardi beneventani e delle razzie dei nuovi arrivati, gli imprevisibili e violenti Saraceni.

Nell’838, infatti, Brindisi venne assalita, saccheggiata, bruciata epoispontaneamente abbandonata dalle bande berbere, nonostante il sopraggiunto soccorso delle truppe del principe beneventano Sicardo che, nella lotta intrapresa per liberare la città, rischiòdiperderelapropriavita,comunquegiàdestinataaunafineimminente.Ilsuo regicidiodell’annoseguenteprovocòlascissionedelprincipato,conlaproclamazione di suo fratello Siconolfo a principe di Salerno e del regicidaRadelchi a principe di Benevento.

EiSaraceni,resipiùbaldanzosidaquellelotteintestinelongobarde,nelgirodipochi anni dilagarono: vicinissimo alla “pluri-distrutta” città di Brindisi, occuparono stabilmenteGuacetoovecostruironouncampotrincerato;s’impadronironoquindidi Tarantoe,soprattutto,fondaronol’emiratodiBari.

Così, oltre che dalla Sicilia, ancheda Taranto eprincipalmente da Bari, partirono per anni leincursioni arabe, semprepiùvasteepiùincisive, direttesullecittà esututtii territorideiresiduidominibizantinidelmeridioneitaliano.

Nell’850 fu eletto sacro romano imperatore Ludovico II e scese nel sud d’Italia nel tentativo di liberare le città pugliesi, Bari innanzi tutto, ma fallì nell’intento contro i Saraceni, resi ancor piùaudaci dai contrasti inevitabilmente sortitral’imperatore e i principi longobardi, primordialmente interessati a difendere e conservare la propria autonomiadaambeduegliimperi.

Il successo sui Saraceni, ottenuto nell’864 da Orso, doge di Venezia, permise per qualche anno la restaurazione del dominio bizantino su Taranto, ma comunque non impedìai Saracenidiresisteredinuovoalsacroromanoimperatore LudovicoII che, ridisceso in Puglia nell’866, in Terra d’Otranto solo riuscì a liberare dall’occupazione araba Oria e Matera, mentre l’enorme flotta di ben quattrocento navi inviatagli nell’869 da Costantinopoli per liberare Bari, abbandonò l’Adriatico, si diresse a Corintoelolasciòsoloedimpotente.

Ludovico,infatti,sierainspiegabilmenteritiratoaVenosarifiutandodiacconsentireal già in precedenza accordato matrimonio di sua figlia, Ermengarda, con Costantino, figliodell’imperatored’orienteBasilioI.

Nel trascorso di quella campagna, con lo strategico obiettivo di colpire i Saraceni dell’emirato barese, intorno all’867 Ludovico II assediò e quindi assaltò anche Brindisi,chenell’864erastatarioccupatadaiSaraceni.

Dopoqualcheanno,traidueimperisiristabilìunacertacollaborazioneeLudovicoII potépuntaresuBari,conquistandolafinalmenteil3febbraiodell’871,liberandoladal trentennale dominio arabo, e facendo prigioniero l’emiro Sawdan, che fu portato dal principeAdelchiaBenevento,doverimaseincarceratoperanni.

Quindi, venne anche la volta della liberazione di Taranto, che era stata rioccupata nell’868 dai Saraceni. E in quella occasione, tra l’878 e l’880, l’azione spettò ai Bizantini dell’imperatore Basilio I, che inoltre, strapparono Bari all’influenza del principebeneventanoAdelchi.

Poi, lo stratega Niceforo Foca estese la controffensiva bizantina globale su tutto il meridioneitaliano,riconquistandoleultimecittàrimasteinmanoarabaeriuscendoa recuperareancheilrestodeiterritorioccupatidaiprincipilongobardi,compresiquelli cheavevanoseparatoindueilducatodiCalabria,cioèl’antico Bruttium dalleantiche Apulia et Calabria.Inquellavittoriosacampagna,ilgeneralebizantinosolamente non potéliberarelaSiciliadall’occupazionearaba.

… e di nuovo bizantina

E funelcontestodi quellalungacampagna, chenell’886 ancheBrindisitornòsottoil formale controllo del Bizantini, i quali, naturalmente, dopo duecento anni la incontrarono praticamente tutta in macerie: “macerie longobarde del 674, macerie saracenedell’838emacerieimperialidell’867”.

Nell’886 morìl’imperatoreBasilioIe gli succedette sultronod’orienteil figlioLeone VI, il quale richiamò il vittorioso generale Niceforo Foca nominandolo comandante supremo dell’esercito imperiale e questi s’imbarcò da Brindisi alla volta di Costantinopoli con gran parte del suo esercito e lasciando alla città numerosi prigionieriutiliallaricostruzione.

Il ritorno dei Bizantini a Brindisi fu accompagnato da timidi e presto interrotti segnali di rinascita quando, alla fine di quel secolo IX, si iniziò la ricostruzionedellachiesadiSanLeucio, impulsata da vescovo oritano Teodosio in occasione del ritorno in città di una parte delle reliquie sottratte dai Tranesi. E negli anni a seguire, la popolazione, di sua iniziativa, intraprese anche la costruzione di un’altra chiesa, che fu localizzata nei pressi dell’imboccatura del porto, in omaggio e ringraziamento allo stratega Niceforo Foca. Ma poi, quasi null’altro: presto,infatti,ritornaronoipirati.

Il 18 ottobre 891, dopo un assedio di due mesi, anche la stessa Benevento capitolò e nell’892iBizantinifondaronoilThemadiLangobardiaconcapitaleBari,cheaffiancò quellodiCalabriaconcapitaleReggioecheconquellariorganizzazionenoncomprese più l’antica Calabria, ossia l'odierno Salento, che invece fu parte del nuovo Thema di Langobardia.

LadenominazionediCalabria,infatti,dopoesserestataestesaalBruzio,aquell’epoca aveva già finito con l’abbandonare del tutto il suo originale territorio salentino e il Thema di Calabria comprese, oltre al Bruzio e il Sannio, anche i territori di nuova acquisizioneeperqualcheannolacapitalefuBenevento,chepoi,nell'895conl'aiuto delducatodiSpoleto,siliberòdeiBizantiniscacciandolidallacittà,facendotrasferire aBarilacapitaledelThemadiCalabria.

Poi, per tutto il successivo secolo, il X, le coste adriatiche ritornarono ad essere ripetutamentepredadei piratisaraceni, aiqualisialternaronoanchequellislavi, che nel 922 assaltarono per la prima volta Brindisi, dove ritornarono ancora nel 926 e dovegiunseroanche,nel929,gliSchiavoni.

Nel975 il Thema di Calabria e quello di Langobardia furono integrati per formare ilCatapanatod'Italia,mentreinquellostessoannoeperidecennisuccessivi,gliArabi dalla Sicilia saccheggiarono Reggio ed altri territori calabresi, da dove, continuando l'avanzata verso nord, superarono Cosenza e, di nuovo, entrarono inLucaniae in Puglia, dove nell’agosto del 977 distrussero Taranto, che trovarono abbandonata dai suoiabitantiequindi,saccheggiarononuovamenteancheOria.

Tralafinedelprimomillennioel’iniziodelsecondo,lasituazionegeneraledellecoste edell’entroterranelmeridioneitalianononpotéesserepiùdisperata:

«Assente l’impero bizantino nella lotta intrapresa dalle città pugliesi contro la pressione araba; impotenti ad intervenire i Longobardi di Benevento e Capua, coinvolti in guerre intestine e quelli di Salerno timorosi della crescente potenza amalfitana; ormai in fase di decadenza Gaeta, Napoli e Sorrento; inefficace la rapida apparizione del sacro imperatore Ottone III; le uniche forze in grado di opporsi ai Saracenifuronolerepubblichemarinare,lequalisiandavanoaffermandosulTirreno conPisae,soprattutto,conVeneziasull’Adriatico.»-Tommaso Pedio«Finalmente, dopo che Durazzo nel 1005 tornò a far parte dei domini dell’impero d’Oriente, l’assetto politico del settore meridionale della costa adriatica italiana e, naturalmente, anche del suo entroterra, costituirono territori di vitale importanza strategica,giacchélacapitaledell’imperopotevaesserefacilmenteraggiuntaviaterra dopolabrevetraversatadaBrindisiaDurazzo.

Il porto di Brindisi diventò, come lo era stato per tutta l’antichità, il più importante terminaled’ItaliadellaviaEgnazia.Lacittàfucosìchiamataasvolgeredinuovo,dopo secolidianonimato,unruolodiprimopianoinunpiùvastopanoramapolitico. Laportatadell’investimentobizantinoaBrindisidopoquell’avvenimentoèvalutabile grazie alla testimonianza di un’epigrafe, in parte ancora leggibile, scolpita sul basamento di una delle due colonne che dal promontorio di ponente guardavano propriol’imboccaturadelportointerno.

La sua datazione, riferita alla prima metà del secolo XI, rende ancor più evidente la consequenzialità del nesso tra l’impresa del funzionario e la restaurazione del dominioimperialesullecostedalmate.»-Rosanna AlaggioQualcheannodopoperò,conl'arrivodeiNormannigiunse,finalmente,periBizantini del meridione italiano, la resa dei conti. Nel 1041, Normanni e Longobardi alleati batterono i Bizantini impossessandosi di gran parte del territorio del Catapanato d'Italia e, nel settembre del 1042, Guglielmo I d'Altavilla fondò, a Melfi, la Contea di Puglia:unterritoriononomogeneoesuddiviso in baronie, distribuitetra Capitanata, Gargano, Apulia e Campania, fino al Vulture dove Melfi ne fu la capitale. In Apulia, la contearaggiunseduelocalitàsulmare:TranieMonopoli

Nel 1047, il sacro romano imperatore Enrico III legittimò i possedimenti dei Normanni e conferì a Drogone d'Altavilla, succeduto a Guglielmo I, l'investitura di conte di Apulia e Calabria. E nel 1051, il papa Leone IX dichiarò decaduta la stirpe longobarda in Benevento, riconoscendo l’investitura di Drogone a conte di Puglia e condizionandola alla sottomissione al papato. Nel 1059 la contea fu elevata a ducato dalPonteficeNiccolòIInelConciliodiMelfieRobertoilGuiscardofunominatoducadi PugliaeCalabria.

Finalmente, quindi, anche per i due principati longobardi, di Benevento prima e di Salerno dopo, l'arrivo deiNormannivenne a sancire la fine. Nel1053, Roberto il Guiscardo conquistò Benevento, già da anni in franca decadenza,e ne dichiarò la sudditanza al papato. Poi, nel 1076, fu la volta di Salerno, che aveva esteso i suoi confinifinoadAmalfi,Sorrento,GaetaepartediPugliaeCalabria:lostessoRobertola espugnò e così, nel1078, ampliato e consolidato dai Normanni il nuovo ducato di PugliaeCalabria,anchel'ultimoprincipelongobardoinItalia,preselaviadell'esilio.

Il dominio bizantino nel meridione italiano invece, dopo la conquista normanna e la fondazione dellaconteadiLecce, difattocessònel1071, conlapresadiTarantoedi Brindisi da parte dello stesso Roberto il Guiscardo e la successiva fondazione, nel 1088,delpotenteprincipatodiTaranto,alqualeancheBrindisifuascritta.

Nel luglio del 1127 Guglielmo, duca di Puglia e Calabria, morì senza figli e Ruggero II, nipote del Guiscardo e conte di Sicilia, reclamò in eredità tutti i possedimenti degli Altavilla e la signoria di Capua. Nell'agosto 1128 Ruggero II fu proclamato nella città di Benevento duca di Puglia, regione che fu allora germe della prima grande monarchia siciliana. Finalmente, nel 1131, riuniti tutti i possedimenti nel neonato regno, la notte di Natale di quello stesso anno, Roberto fu solennemente incoronato re, assumendo in quella storica ccasione l'intitolazione ufficiale di “rex Sicilie, ducatus Apulie et principatus Capue”

APPENDICE

(*) IL MONACHESIMO ORIENTALE IN PUGLIA E IN BRINDISI

Lastoriadelmonachesimonell’Italiameridionale,edinPugliainparticolare,periprimianni delperiodomedievalecostituiscelaprincipalestoriaculturalericostruibilediquellaregione, nella misura in cui il monachesimo fu per secoli un fattore culturale fondamentale della vita religiosaeinbuonaparteanchediquellasocialedellegenti.

IlmonachesimocristianonacquenelbassoEgittoallafinedelIIIsecolo,perpoidiffondersiin Siria, Palestina, Mesopotamia e in Asia Minore, giungendo nel cuore dell’impero di Costantinopolidopol’emanazione,nel313,delfamosoEdittodiCostantino,quellochesancìla libertàdicultopericristiani.

Grazie a quella svolta radicale, già nel corso del IV secolo, gruppi di monaci, eremiti e anacoreti,iniziaronoaritirarsiinsolitudine“perraggiungerelapaceinterioreeunarmonico rapporto con Dio”. Successivamente, i monaci accolsero con loro anche dei discepoli e ben presto formarono le prime organizzazioni di vita in comune, uscendo dall’isolamento e aprendosiaunpiùdirettocontattoconifedeli.

Il primo momento fu dunque quello dell’eremitismo, in cui i monaci si ritirarono in luoghi solitari, inospitali e difficili da raggiungere, praticando l’ascesi più dura e rigida. Oltre alla rinunciaaogniformadicontattoumano,inquellafaseimonaciabbandonaronoanchelacura della propria persona: spogliandosi degli abiti terreni e vestendosi con una semplice tunica, cibandosi solo di legumi e cibi non cotti, bevendo solo il necessario per sopravvivere; e facendosicrescerelabarba,undistintivopoirimastoperimonaciorientali.

Dalla prima fase eremitica, transitando per una fase intermedia detta lauritica, si giunse finalmente alla fase cenobitica, in cui i monaci passarono a aggregarsi, a vivere insieme in un’unica struttura, a riconoscere l’autorità di un superiore, a mangiare tutti insieme e incominciarono, quindi, a vivere in gruppo, in comunità. Quei gruppi monacali crearono momentidipreghieraincomune,oltrechedivita,dedicandosiasemplicipraticheagricoleper provvederealsostentamentodell’interacomunità.Inquellafase,inoltre, nacqueunrapporto più stretto tra monaci e fedeli, un rapporto che andò anche a mutare le realtà socioeconomichelimitrofeaimonasteri.

Anche la culla del primo monachesimo organizzato fu l’Egitto, dove l’opera di San Pacomio, vissutotrail290eil346circa,diedeunaforteimprontacenobiticaalmovimento.Eglifondòil primo cenobio sulle rive del Nilo, imponendo ai monaci di seguire una regola comune e prescrivendo, oltre alla vita contemplativa e alla preghiera, l’uso del lavoro manuale come formadiautosostentamento.

Dall’Egitto gli ideali monastici si diffusero per tutto l’Oriente, fino a giungere in Asia Minore. Propriolì,epiùprecisamenteinCappadocia,ilmonacoBasilioaccolseeinnovòlaprimordiale formadiorganizzazionemonastica,riprendendoerielaborandogliinsegnamentipacomiani.

Basilio nacque a Cesarea, verso il 330, in una facoltosa famiglia cristiana. Andò a studiare a Costantinopoli e poi ad Atene e ritornato a Cesarea nel 356, fu insegnante di retorica. Dopo averricevuto il battesimonel 358, decise ritirarsia vita ascetica sulle rivedell’Iris dove, con ungruppodisuoicompagni,fondòunacomunitàreligiosa.

Fu da subito assertore dell’ortodossia cristiana e dopo la morte del vescovo di Cesarea, nel 370, fu eletto vescovo di quella sua città e dovette abbandonare la vita ascetica, senza però rinunciare al dialogo e alla frequentazione con le comunità degli asceti. Si dedicò anche a scrivere e a perfezionare le “regole e pene” per quelle comunità e lasciò alla sua morte, sopraggiuntanel379,un’operaletterariamoltovasta,cheincluseanchescritturedicarattere apologetico,trattatidiesegesi,edunvoluminosoepistolario.

Il monachesimo seguace gli insegnamenti di San Basilio, nel corso dei secoli intraprese un lungo viaggio da Oriente verso Occidente e nel VI secolo si registrò nel sud della penisola italianalaprimapresenzacertadeimonacibizantiniche,conlafunzionedicappellanimilitari, seguironoletruppediNarsetedurantelaguerragreco-gotica.

Nel meridione d’Italia, a quella guerra seguirono anni di profondo impoverimento e disorganizzazione, uno stato di cose che provocò un preoccupante vuoto di potere, a cui la Chiesa romana tentò di sopperire. Così, i vescovi furono chiamati alla gestione e alla salvaguardia dell’ordine politico e morale, divenendo anche depositari della funzione di controllodilarghisettoridell’attivitàamministrativadellecittà.

Paradossalmente, in quel periodo, le funzioni civili della Chiesa di Roma crebbero sensibilmente, mentre proprio quelle propriamente religiose vennero costantemente contratte dall’espansione della Chiesa orientale, che contribuì direttamente anche allo sviluppoealladiffusionedelmonachesimooccidentale,cheinevitabilmentefumoltosensibile allacircolazionedellepratichemonasticheprovenientidall’Oriente.

Uno dei tratti caratteristici del monachesimo bizantino che in principio maggiormente si innestarono nella realtà religiosa del meridione italiano a partire dalla conclusione della conquistagiustinianea,fusicuramentelatendenzaeremitica Praticachepoi,conl’arrivodei monaci orientali in fuga dalla Sicilia a causa della conquista islamica, fu superata dalla diffusionediunmaggiorcontattotraimonacielepopolazionideifedeli.

AnchesegiàversolafinedelVIsecolomoltinucleimonasticigiunserosullecosteadriatiche meridionali dalla penisola balcanica, senza dubbio il più massiccio afflusso si produsse durante il VII secolo, causato dall’imperversare in Oriente dell’invasione araba, quando monaciprofughidallaSiriaedall’Egittoraggiunseromoltedelleprovincemeridionaliitaliane ancora appartenenti all’impero di Bisanzio e, quindi, con un ben radicato processo di bizantinizzazione.

L’arrivo,giànellaprimametàdiquelVIIsecolo,dituttiqueinumerosiimmigratigreci,finìcon rafforzare notevolmente l’elemento culturale bizantino già presente in quei territori e così, ancheneimonasterilarealtàreligiosafuprofondamenteinfluenzatadallepraticheorientali.

Alcuni monaci giunsero sulle coste del basso Adriatico provenienti dalle regioni balcaniche anche nella seconda metà del secolo, spinti dalle persecuzioni che si produssero contro i sostenitori dell’ortodossia dopo l’emanazione del Tipo, l’editto dogmatico dall'imperatore bizantinoCostanteII,nel648.

Tutto ciò accadde specialmente nelle porzioni più estreme delle due penisole meridionali dellostivaleeancheinSicilia,dovegranpartedeimonacipresentineimonasterieradilingua greca,edadovemoltidiloropassaronosulcontinente.

Un nuovo momento delle migrazioni monastiche dirette verso l’Occidente iniziò nella prima metà dell’VIII secolo, più precisamente nel 726, anno in cui l’imperatore bizantino Leone III Isauricosancìl’iniziodellapersecuzioneiconoclasta,ossiadellalottacontroleimmaginisacre.

La nuova dottrina fu respinta nella parteoccidentale dell’impero, e la persecuzione proseguì anche sotto il nuovo imperatore, Costantino Copronimo, anzi, proprio nel suo regno divenne più dura e violenta. La politica di aggressione imperiale contro gli iconoduli fu rinnovata da Leone V e continuò fino alla morte di Teofilo, avvenuta nell’842. Finalmente, il sinodo costantinopolitano del marzo 843, decretò la fine dell’iconoclastia e l’imperatore Michele III riaffermòlaliceitàdelcultodelleimmagini.

All’iniziodiqueipiùdicent’anniincuil’iconoclastiaperduròacavallotral’VIIIeilIXsecolo,i monaci basiliani giunti sulle coste italiane evitarono la Calabria meridionale e la Terra d’Otranto, in quanto territori soggetti al controllo di Bisanzio con in vigore le leggi contro le immagini sacre, preferendo dirigersi nelle regioni sotto il dominio longobardo, Campania,

BasilicataeisettoripiùsettentrionalidiPugliaeCalabria.Tuttavia,poteronoprestostabilirsi anche nei territori occupati dai Bizantini, quando si constatò che in essi la forza dei decreti iconoclastinonebbelastessaviolenzaeintransigenzacheinOriente.

La diffusione del monachesimo orientale nel meridione d’Italia proseguì anche tra il X e l’XI secolo: le chiese bizantine si moltiplicarono in tutto il Mezzogiorno e inoltre, negli anni intornoalMille,lecomunitàmonacaliricevetteronumerosilascitiedonazioniaconseguenza delclimadiattesamessianicachecaratterizzòtuttal’Europaoccidentaleecosì,siarricchirono notevolmenteipatrimoniimmobiliarideivarimonasteri.

La situazione, finalmente, s’invertì sul finire dell’XI secolo con l’arrivo dei Normanni, con la conseguentedecadutadeldominiobizantinointuttoilmeridioneitalianoeconlafondazione nel 1131, del nuovo Regno di Sicilia. Gradualmente, ma irreversibilmente, la Chiesa di Roma preseilsopravventoeilmonachesimoorientalebasilianocedetteilpassoaquellooccidentale marcatamente rappresentato dal monachesimo benedettino il quale, comunque già presente nelle regioni del meridione italiano, si estese poi anche in quelle città e in quei territori in precedenzaoccupatidapopolazioniconunaculturareligiosaprevalentementegreca.

In tutta la Puglia e anche nell’agro brindisino in particolare, si sono conservate e sono state rinvenute numerose grotte che furono abitate da monaci basiliani e da comunità religiose rurali,concripteoriginalmentebasilianeochiesettesotterranee.

Tralepiùimportanti,lacriptanelcomplessorupestrediSanBiagioaSanVitodeiNormannie quella del santuario della Madonna del Belvedere a Carovigno. Inoltre, la grotta della MadonnadellaGrottaelagrottadiSanMichele,entrambenelterritoriodiCeglie.EPoi,altre decine di chiesette rupestri disseminate negli stessi territori di San Vito dei Normanni, Carovigno,CeglieeFasano,eancoravariinsediamentirupestricivilicontenenticripteadibite aluogodiculto.

In quanto ai calogerati o cenobi e monasteri che vi ebbero i Basiliani in Puglia, i principali sonoriportatinellatabelladellafigurae,comunque,nefuronoistituitianchemoltialtri,creati siainprossimitàdicentriurbanioppuresparsinelterritorio.

Traitantiindicati,ilpiùragguardevoleefamosomonasterobasilianoinPugliafucertamente quello di San Nicola di Casole presso Otranto. Eretto nella seconda metà del secolo XI, fu saccheggiato fino ad essere quasi completamente distrutto dai Turchi nella presa di Otranto del 1480. Ad esso appartennero numerose ricche grancie e parecchi calogerati, di Terra d’Otrantoeanchedifuori

La religiosità orientale in tutta la Puglia, nonostante l’avvento e l’affermazione del monachesimo occidentale, lasciò tuttavia a lungo un profondo e prezioso retaggio culturale che accompagnò gli stessi monaci Benedettini nel loro nuovo importante ruolo, sia incampo religiosoesiainquelloeconomico-sociale.

InalcuneareediTerrad’Otrantoèdocumentata,findallafinedelsecolo XI,lacoesistenzadi monaci greci e latini. Tanto che non è né semplice, né facile dissociare o distinguere pienamente le due culture religiose che caratterizzarono non solo il superstrato linguistico conidialettilocalielareligiosità,maanchelaculturapiùingenerale,finoaimodulipittoricie architettonici,emoltoaltro.

Le ragioni di questo fenomeno vanno probabilmente ricercate nel fatto che la conquista normanna non produsse nessuna frattura profonda nel tessuto etnico-culturale delle popolazionieanzi,contribuìconlenuovepresenze,qualiiBenedettini,adarricchirlo.Nonci fu,infatti,unrealeesododeimonacidiritogreco,maunasempliceriduzionedelloronumero, probabilmente solo naturalmente conseguente agli eventi bellici che segnarono il passaggio daldominiobizantinoallostatonormanno.

Dentro la propria città di Brindisi, la presenza e l’influenza - e il retaggio - della religiosità monacale e più in generale orientale, sono ampiamente documentate soprattutto dalle numeroseedimportantichiesechefuronoedificate,odirettamentepervolontàdeiBasiliani, ocomunqueinstrettaconnessioneconlaculturareligiosagreca

LachiesadiSanPelinofuerettanelVIIsecolo,pervolontàdiCiprio,successoresullacattedra episcopalediBrindisideldedicatario,entrambimonacibasilianigiuntiaBrindisiprovenienti dall’OrientenellasecondametàdelVIIsecolo.InessafuronocollocatelereliquiediSebastioe Gorgonio, anch’essi monaci basiliani greci, bibliotecari archivisti della sede episcopale di Brindisi, condannati a morte ed uccisi in uno con Pelino nel 662 a Corfinio, negli Abruzzi, a causa della loro ferma difesa dell'ortodossia e del conseguente rifiuto di adesione al Tipo, l’edittodogmaticodall'imperatorebizantinoCostanteII,emanatonel648.

La chiesa, situata vicino alla Cattedrale, alle spalle del palazzo Granafei, fu anche utilizzata qualecappelladall'università,ossiadall'amministrazionecittadina,finoal1565,mentreperil 1606fudescrittacomedirutaeprofanata.Probabilmentefuutilizzataqualecavaperilavori occorsinellabasilicaCattedraleperlacostruzionedelvanoperilcorodeicanonici

Intornoall’880,labasilicadiSanLeucio,monacoegizianoevangelizzatoreeprimovescovodi BrindisiagliinizidelVsecolo,fuvolutadalvescovodiOriaTeodosioperriporvilapartedel corpo del santo ritornata da Benevento. Si iniziò a costruire verso la fine del IX secolo e fu consacrata,neiprimissimiannidelXsecolo,daGiovannivescovodiCanosaeBrindisi.Ilresto del corpo di San Leucio rimase a Benevento, dal cui vescovo fu comprato ai Saraceni che lo avevano saccheggiato a Trani, la città in cui fu deposto dopo che i suoi cittadini lo ebbero trafugatonottetempodallasuatomba,il martirium,inBrindisi,sulfiniredelVIIsecolo.

La chiesa, ubicata nel rione Cappuccini, fu descritta come diruta alla fine del secolo XVII e fu finalmente distrutta nel 1720 per utilizzarne il materiale nella costruzione del palazzo del Seminario.

LachiesadiSanGiacomofu,sinoal1173,diritogreco.DivennepoichiesadiSanFrancescodi Paola e proprietà della municipalità e fu anche cappella regia. Fu demolita e ricostruita interamentetrail1747eil1748.

Ubicata in prossimità dello scalo marittimo, sull’angolo interno che dà sui Giardinetti, fu finalmente sconsacrata ed adibita ad usi civili quando, nel 1808, il governo napoleonico soppressel’ordinedeifratiMinimi,aiqualiaqueltempoapparteneva.

Nei primi anni del XIV secolo, i cavalieri del Santo Sepolcro vollero sorgesse in Brindisi un albergo sotto il nome della loro religione e adiacente ad esso, si costruì la chiesa di San GiovannideiGreci,chesinoalXVIIsecolofuservitadasacerdotidiritogreco.

Lachiesa,edificatasuviaReginaMargheritaangoloviaSantaChiarasucuidavalafacciata,fu danneggiata dal terremoto del 20 febbraio 1743, fu restaurata ad iniziativa della comunità grecabrindisinaefinalmentefudemolitanel1877.

IlegamiconilritogrecorimaserodunqueperlunghissimotempobenradicatiinBrindisi,sia formalmente e sia, dopo la definitiva partita dei governanti bizantini, informalmente nelle consuetudinireligioseenellaculturapopolare.

Seguendo una tradizione molto antica della Chiesa di Brindisi, a tutt’oggi la Domenica delle Palmesi leggonoingreco, ora nella Cattedrale, l'Epistola e ilVangelo. Una tradizione questa, checontinuaquelladellacelebrazioneliturgicacheseguivalaprocessionedellePalmechesi snodavadalCapitolofinoall'Osanna,unapiramidetroncasucuisisalivadaigradinidisposti sui tutti i suoi quattro lati e sulla cui sommità vi era una colonna di marmo innalzata a sostegno di una gran croce, dove per secoli l'arcivescovo e il clero, proponendo Vangelo ed Epistolaingreco,ricordaronoglistrettilegamifralachiesalocaleeilmondoorientale.

Quellaprocessioneversol'Osanna,infatti,inqualchemodoconfiguròlamemoriadeiluoghiin cuilacittadinanzasaldòsenzasoluzionedicontinuità,laBrindisidellapredicazioneLeuciana a quella delle crociate. E la tradizione si protrasse nonostante i vari tentativi di sopprimere ogni traccia del rito greco, come accadde nel 1649 su iniziativa dell'arcivescovo Dionisio O'Driscoll, quando però, la Congregazione dei Riti rilevò l'insussistenza di motivi tali da giustificarnelasoppressione.

Negli anni '30 del secolo scorso, il complesso dell’Osanna fu demolito senza che, tuttavia, s'interrompesse la tradizione, da allora ricollocata nello spazio della Cattedrale. Mentre la colonna in marmo pario con croce che sormontava l'Osanna, si conservò in Santa Maria del Casale.Quellacroce,scolpitasopralacolonnarecaunpiccologloboallabaseefudatatatraIX eXsecolo,facendociòsupporrechel’Osannafossestataedificata inperiodoaltomedievalee che,forse,fossepropriocontemporaneadellavicinabasilicadiSanLeucio.

L’attuale chiesa greco-ortodossa di San Nicola, si costruì nel 1910 sul suolo acquistato il 12 aprile 1891 dalla comunità greca di Brindisi, per volontaria sottoscrizione e grazie ad una contribuzionedellozarAlessandroIII.NefuprimoarchimandritaNicandroedal5novembre 1991èpartedellametropoliad'Italiaedesarcatodell'EuropadelsudconsedeinVenezia.La parrocchia brindisina è a tutt’oggi il punto di riferimento più importante per tutti i grecoortodossidiPuglia,Basilicata,CalabriaeSicilia.

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BRINDISI: DA MESSAPICA A SALENTINA E DA CALABRESE A PUGLIESE

Gianfranco Perri

Pubblicato su Academia.edu e parzialmente su SenzacolonneNews e ilgrandesalento.it

• ManoidiBrindisidaquand’èchesiamoSalentini?Eperché?

Pubblicato su Senza Colonne News del 2 novembre 2013 (*)

• QuandocomeeperchénoiBrindisinidaCalabresi (+) diventammoPugliesi?

Pubblicato su Senza Colonne News dell’ 8 settembre 2016 (*)

(*) Versionerivistaecorretta

(+) PiùcorrettosarebbeparlarediCalabriediApuli,macosìforsecisicapiscemeglio

Ma noi di Brindisi da quand’è che siamo Salentini? E perché?

Tuttisappiamobene,operlomenolodovremmobensapere,cheBrindisifuelevataal rangodiprovinciaabbastanzadirecente,nel1927perlaprecisione,sottoilgovernoe per volere di Benito Mussolini, mentre fino a quell’anno la città era amministrativamente un comune appartenente alla provincia di Lecce. Però è anche interessante ricordarecosafossesuccesso un po’piùindietroneltempo, anzimeglio detto,unpo’piùindietronellastoria.

Tra l’XI e il XII secolo, con i Normanni nasceva il primo Regno di Sicilia, che univa i territoridellaconteadiSicilia,deiducatidiPugliaeCalabria,delducatodiNapoli,del principato di Capua e dell’Abruzzo. E con la fondazione del regno si originò una suddivisione amministrativa dei territori continentali che li vide organizzati in tre grandi unità: la Calabria, la Apulia e la Terra di Lavoro. I confini di queste tre unità amministrative erano invero piuttosto labili e la loro stessa struttura amministrativa nonerabendefinita.Nell’Apuliafuronofondatiintornoal1055,laconteadiLecce,la contea di Nardò, la contea di Soleto e nel 1088 il principato di Taranto, al quale fu ascrittaancheBrindisi.

Nel XIII secolo, con il regno dello svevo Federico II, subentrò l’istituzione dei “giustizierati”, ovvero distretti di giustizia governati da funzionari, i giustizieri, nominati dal sovrano e che rappresentavano l’autorità regia a livello territoriale. L’imperatore organizzò il territorio del suo regno italiano in undici giustizierati: due insulari e nove peninsulari. Sul continente i nove giustizierati erano: Abruzzo, Basilicata,Calabria,Capitanata,PrincipatoeTerraBeneventana,TerradiBari,Terradi Lavoro e Contado di Molise, Valle di Crati e Terra Giordana, e Terra d’Otranto che grossomodocompreseleattualiprovinciediLecceTarantoeBrindisi.

Inepocaaragonese,duranteilXVsecolo,lafiguradelgiustizierevennesostituitacon quella del funzionario regio, mentre i territori amministrativi del Regno di Napoli vennerodenominati“province”configurandounassettodidodiciprovincetralequali Terra d’Otranto – la Provincia Hydruntina – che, seppur con alcune variazioni territoriali, manterrannoconglispagnoliinvariati ilnumeroeladenominazione fino allariformanapoleonicadel1806

Con la legge 132 dell’8 agosto 1806, il re Giuseppe Bonaparte riformò la ripartizione territoriale del Regno di Napoli sulla base del modello francese e soppresse definitivamente ciò che restava del sistema dei giustizierati. Tra le tante innovazioni introdotte dai francesi vi fu anche la sistematica suddivisione delle province, ognuna delle quali con a capo un “intendente”, in successivi livelli amministrativi gerarchicamentedipendentidalprecedente.

Allivello immediatamentesuccessivoalla provincia appartenevanoidistretti, conun capoluogo e con a capo un “sottintendente”, che a loro volta erano suddivisi in circondari. Questi erano costituiti dai comuni che, con ognuno a capo un sindaco, costituivano l’unità di base della struttura politico amministrativa dello stato, grazie all’introduzionedelconcettodientecomunalechesisostituivaaquelloplurisecolare di“universitas”dioriginelongobarda.

Isindacivenivanonominatidalreodall’intendenteasecondadellatagliademografica delcomune,ederanoaffiancatidaun“consigliodecurionale”compostodaunnumero

di membri variabile in funzione della popolazione del municipio e che erano eletti all’interno di liste di ‘elegibili’ confezionate sulla base della rendita annua e delle professioniliberali

Il territorio del Regno delle Due Sicilie risultò così suddiviso in 7 province insulari e 15 province continentali. Queste ultime erano: Provincia di Napoli, Terra di Lavoro, PrincipatoCitra,PrincipatoUltra,Basilicata,Capitanata,TerradiBari,Terrad’Otranto, Calabria Citeriore, Calabria Ulteriore Prima, Calabria Ulteriore Seconda, Contado di Molise,AbruzzoCiteriore,AbruzzoUlteriorePrimo,AbruzzoUlterioreSecondo.

Le 15 province continentali del Regno delle Due Sicilie

LaprovinciadiTerrad’Otrantocomprendevaiseguentiquattrodistretti:Lecce–che fungeva anche da capoluogo della provincia – Brindisi, Gallipoli e Taranto. Ogni distrettoerasuddivisoincircondari,difattoicomuniconognunoirispettiviadiacenti villaggi rurali, per un totale di 44. E questo sistema amministrativo napoleonico, di fatto resto invariato anche dopo la parentesi decennale che, conclusa nel 1816, precedettelarestaurazioneedilritornodeiBorbonesultronodelregno.Inquell’anno 1816 Brindisi, capoluogo dell’omonimo distretto composto da 15 comuni, contava 6114abitanti.

Dopo l’unità d’Italia, nel 1861, la provincia di Terra d’Otranto cambiò il nome in Provincia diLecce. Iquattrodistrettiin cuieradivisoilsuoterritoriorestaronoperò inalterati, divenendo circondari del Regno d’Italia. Nel 1923 fu costituita la provincia di Taranto scorporandone il territorio da quella di Lecce e finalmente, nel 1927, fu costituita la provincia di Brindisi, scorporandone allo stesso modo il territorio da quelladiLecceeaggregandoviicomunidiFasanoeCisternino,scorporatialorovolta dallaprovinciadiBari.

MacosaeraavvenutointornoaBrindisiprimaancoradeiNormanni?Ebbenedopola formale caduta dell’impero romano d’occidente registrata nell´anno 476 dC, e a conclusione del ventennale conflitto greco-gotico, nel 553 dC i vincitori Bizantini tentarono di reintegrare l’Italia all’impero romano d’oriente, e nella parte più a sud della penisola italiana fondarono il Ducato di Calabria con Otranto capitale, aggregandoiterritoridelBrutium,l’odiernaregionecalabrese,aiterritoridell’attuale meridione pugliese, quelli che avevano costituito la Calabria dei romani e che estendevanoiconfinisettentrionalilungounasortadimuragliadifensivacostruitatra BarieBrindisiasalvaguardiadelterritoriodallaminacciadeinuoviarrivatidalnord,i Longobardi.

Quandoperòquestiinvasorinordicicominciaronoaoccuparepartediqueiterritori,e inparticolareTarantoeBrindisi,ilnomeCalabriacominciòaessereutilizzatopiùper designareilsoloBruzio,mentreperquellacheerastatalaromanaCalabriacominciòa essere utilizzato il nome di Terra d’Otranto. I Longobardi non furono certo campioni di organizzazione amministrativa e perciò si dovette attendere fino all’arrivo dei Normanniperfinalmentepoterricominciareaparlarediunostatoveroeproprioper iltuttoilmeridioneitaliano.

Efinalmente,primadeiRomani,cheaBrindisigiunseronel267aC,cosaeraavvenuto nelterritoriobrindisino? Ebbeneormaiquasitutti glistorici concordanopienamente sulleoriginimessapichediBrindisi,Brundaappunto,primadidivenirelaBrundisium romana in quel 267 aC, quando Brunda fu probabilmente l’ultima città importante a essere incorporata ai domini italici di Roma, dopo la vittoria degli eserciti repubblicaniromaninelleguerresanniticheelalorosuccessivaconquistadiTaranto nel272aCequelladiReggionel271aC.

Peròiconsensideglistoricisivannoviaviadiradandoquandositrattadidefinirechi fossero i Messapi, dadove e quando fossero giunti equale fossel’estensione del loro territorio, la Messapia. I Romani infatti, quando conquistarono la Messapia, oltre a riscattareilnomeCalabria,seppellironoconleloromemoriestorichemoltodiciòche poterono vedere di quel popolo e di quei territori e che poterono eventualmente conosceredeiloroantecedenti.ElaloronuovaaugustaRegioIIromana,sidenominò “ApuliaetCalabria”.

È inoltre storicamenteabbastanzaaccreditataanchelatesisecondo cuiquellaApulia et Calabria, l’attuale Puglia, coincidesse già molto prima del 1000 aC, con la denominata Japigia, e che a un certo momento questa si era suddivisa in Daunia al nord, Peucezia al centro e al sud Messapia, la quale fu abitata dai due diversi popoli messapici: i Calabri a nordest – Brindisini inclusi – e i Salentini a sudovest, ai quali, con la fondazione della lacedemone Taranto, si aggiunsero quei nuovi greci che si stanziaronoanordovest,sullacostaionica.

E allora...? I Brindisini fummo Messapi e poi Calabri, ancora poi Otrantini e quindi, Leccesi...MadaquandoSalentini?EperchéSalentini?

Stando alla ricostruzione di cui sopra, sembrerebbe che “Salentini” fossero chiamati quegli abitanti della Messapia che erano stanziati sulla costa ionica a sud di Taranto, diversi sia dai più numerosi Calabri e sia soprattutto diversi dai Lacedemoni di Taranto, con i quali Calabri e Salentini coesisterono, non certo amichevolmente, per

qualche centinaio di anni, fino a quando tutti quanti furono alla fine conquistati e latinizzatidaiRomani.

Quelladenominazioneetnica“Salentini”,cheallevoltefuerroneamenteutilizzataper tuttigliabitantidell’interaCalabriaenonsoloperquellidellaparteoccidentaledella penisola a sud di Taranto, potrebbe derivare dal termine latino “salum” inteso come “terra in mezzo al mare” risalente a un patto d’amicizia stipulato “in salo”, ovvero in mare,fraCretesi,IlliricieLocresi.

Lastoria,invece,quelladocumentataeaccertata,noncertificaunaltrettantousoperil toponimo“Salento”,nétantomenoriportaunadataounperiodonelqualeilterritorio più estremo della Puglia si sia formalmente o amministrativamente denominato Salento,mentreinsegnache insuccessionecronologica quelterritorioha,durante gli ultimi 3000 anni, via via costituito la Messapia, la Calabria, la Terra d’Otranto, la Provincia di Lecce e, finalmente, l’assieme delle tre province di Lecce Taranto e Brindisi.

E quindi, sembrerebbe che il toponimo Salento sia d’introduzione relativamente recente,esiapertantopiùgiustosuppeditarloaltermine“Salentini”cheinvece,come già commentato, può rivendicare un uso certamente molto più preciso e molto più antico, quando identificava gli abitanti di una porzione specifica e abbastanza ben delimitata della penisola messapica o calabra che dir si voglia: quella sulla costa principalmenteionicaasudestdiTaranto.

Eallora,inconclusione,quellocheèchiaroècheBrindisiappartienealSalentodanon tantissimo tempo e che neanche sappiamo bene perché i Brindisini siamo diventati Salentini;esoprattutto,nonèchiaroperchénonsialastoricaMessapia,enonSalento, la denominazione di questa nostra storica regione che si estende tra due mari a sud delladirettriceTaranto-Ostuni,“lasogliamessapica”,appunto!

gianfrancoperri@gmail.com 2 Novembre 2013

Quando come e perché noi Brindisini da Calabresi diventammo Pugliesi?

Quando un qualche tema appassiona, inevitabilmente si finisce sempre con rigirargli attorno. Qualche anno fa, il 2 novembre del 2013, sulle pagine di questo mio blog scrissi un articolo intitolato «Ma noi di Brindisi da quand’è che siamo Salentini? E perché?»Unarticoloincuicercaidiricostruiresinteticamentelastoriadell’evoluzione che, dalle origini fino ad oggi, ha subito la denominazione che ha contraddistinto la regionegeograficaincuièda“sempre”esistitaBrindisi,conilsuo territorioedisuoi abitanti.

In quell’occasione, mi volli specialmente occupare del toponimo Salento e conclusi scrivendo:«…IBrindisinifummoMessapiepoiCalabri,ancorapoiOtrantiniequindi, Leccesi.MadaquandoSalentini?…ABrindisisiamoSalentinidanontantissimotempo eneanchesappiamobeneperchélosiamo;esoprattutto,nonèchiaroperchénonsia la storica Messapia, e non Salento, la denominazione di questa nostra regione che si estende tra due mari a sud della direttrice Taranto-Ostuni: “la soglia messapica”, appunto!»

Ebbene adesso, invece, voglio riprendere l’argomento proprio dalla denominazione “Calabria” per tentare di capire “il quando il come ed il perché” la si abbandonò per poi confluire nella attuale “Puglia”; e quando come e perché quella denominazione originaria migrò sull’altra e più meridionale appendice peninsulare dello stivale italico.Maprocediamoconordine!

L’imperatore Augusto, tra il 9 e il 14 dC, intraprese un riordino amministrativo profondodituttalapenisolaitalica,suddividendolainundiciregioniecreandocosìla Regio II con la denominazione “Apulia et Calabria”, un po’ più estesa dell’attuale Puglia,elaRegioIIIconladenominazione“Lucania et Bruttium”,estesaasudsututto ilrestodelterritoriopeninsulare.

La subregione “Apulia” occupò il territorio a nordovest dell’istmo Taranto-Ostuni, abitato da Dauni e Peucetii; la subregione “Calabria” occupò il restante territorio a sudest dell’istmo, abitato dai Messapi: i Calabri a nordest e i Salentini a sudovest Brindisi dunque, “ai tempi di Roma” appartenne alla Calabria, l’antica Messapia o l’odiernoSalento,comepreferirsivoglia.

Ebbene,inquantoal“quando”dellamigrazionediquelladenominazione“Calabria”,si può anticipare che anche se il passaggio fu molto probabilmente lento e graduale, certamente si sviluppò nell’alto medio evo, poiché è indubbio che allafine del secolo VIII, il toponimo Calabria avesse già definitivamente identificato il nuovo territorio, tantonellinguaggioufficialequantonell'usocomune.Macontinuiamoconordine! Dopo la caduta dell’Impero Romano d’occidente, dalla storia formalmente ascritta all’anno476dC,lasuccessivadominazionegoticasull’Italiaculminòconilventennale conflitto greco-gotico che, nel 553, vide vincitori i Bizantini i quali, aspirando a integrare l’Italia all’Impero Romano d’oriente, instaurarono l’Esarcato di Ravenna nella città già capitale del regno italiano dei Goti e misero sotto il suo controllo nominaleilrestodeiterritoriitalianiconquistati.

Però dopo solo pochi anni, a partire dal 568, i nordici Longobardi scesero in Italia e, giunti nel meridione, crearono a Benevento un potente ducato a loro caposaldo di tuttoilsuddellapenisola,incorporandovidasubitoquasituttiiterritoridellaLucania epartediquellidellaCampaniadelBruzioedell’Apulia,daiquali,instancabilmentee sempre più incisivamente, continuarono per secoli a scorribandare sui territori limitrofi,occupandolitemporalmenteocreandovianchelorounitàterritorialistabili,i gastaldati.

A fianco, nei territori situati ad est e a sud di Benevento, i Bizantini fondarono ilDucatodiCalabria,integrandoin taleentitàamministrativaiterritoridellaromana Calabria, l’odierno meridione pugliese, con quelli del romano Bruttium, l’odierna regionecalabrese,inizialmentebencollegatidaun’ampiafasciacostiera,lungolariva nordoccidentaledelgolfodiTaranto.

Nel663,l’imperatoreCostanteIIsbarcòaTarantoeliberòtemporalmentequasitutto ilmeridionedallapresenzalongobarda,senzaperòpoterespugnareBeneventodifesa dal duca Romualdo e da dove, ad ogni occasione, i Longobardi ritornarono ripetutamenteall’attacco.

Dopo l’omicidio dello stesso Costante II, avvenuto a Siracusa nel 668, infatti, i Longobardi recuperarono molti dei territori e delle città del meridione d’Italia, occupando anche gran parte dello strategico Ducato di Calabria, e in particolare Tarantoe,nel674,ancheBrindisi.

Fu probabilmente a partire da allora, se non già da qualche anno prima, che il nome “Calabria”cominciòaessereutilizzatoperdesignareindistintamentetuttoilterritorio storicamenteappartenutosiaallaCalabriachealBruzio,cominciandocosìamandare quest’ultimonomealdimenticatoio.

Nel680,infatti,aCostantinopolisitenneunConcilioeivescovicheviparteciparono, nel sottoscriversi, al nome proprio e a quello della diocesi aggiunsero anche quello dellaprovinciaoregionecomprendenteladiocesi.IvescovidiTauriana,diTropea,di Turii, di Locri, di Vibona, nonché quelli di Otranto e di Taranto, si dichiararono della “Calabria”. I vescovi di Cosenza, di Crotone, di Squillate e di Tempsa si dissero appartenential“Bruzio”.Evidenzacheinquell'anno680dCsiesitavaancorafraidue nomi e che, in conseguenza, il momento della sostituzione, o perlomeno dell’estensionedelladenominazione “Calabria”al“Bruzio”,vastoricamentesituatoin unadataseguente,anchesecomunqueprossima,aquell'anno.

Altra evidenzia, è il fatto che il pontefice Gregorio Magno, nel 601 mandò a trarre legnameperl'impalcaturadellabasilicadiSanPaolo,dai boschi«delBruzio»,mentre al termine del secolo, quando il pontefice Sergio I ebbe ancora bisogno di quel legname da costruzione per i lavori della stessa basilica, lo fece estrarre «dalla Calabria».Iduenomidiversi,quindi,rappresentavanoevidentementelostessoluogo eancheilBruzio,pertanto,alterminediquelVIIsecolo,sichiamavaCalabria.

Senza prove certe, tuttavia, che per quel momento l'antica Calabria avesse anch'essa giàcambiatoufficialmenteilproprionomeaquellodiTerrad’Otranto,nétantomeno, che fosse stata incorporata con una qualche formalità, all’Apulia. E allora, quando fu checiòavvenne?Proseguiamoconordine!

I Longobardi dominarono l’Italia per ancora cent’anni, fino al 774, quando i Franchi, chiamati in Italia dal papa Adriano, li sconfissero a più riprese e consegnarono al papato gran parte del territorio centrale della penisola, dando così formale inizio al poteretemporaledeipapieseparando,anchefisicamente,lapartesettentrionaledalla meridionaledellostivale.

603 674

Mentre il settentrione d’Italia passò sotto l’influenza del sacro romano impero, sorto con l’incoronazione di Carlo Magno in San Pietro nel Natale dell’800, il meridione ritornò sotto il controllo – anche se solo nominale – bizantino, tranne Beneventoche rimase autonomamente longobarda assurgendo a principato, e tranne la Sicilia che nell'827 fu occupata dagli Arabi rendendo ancor più insicuri ed incerti tutti i domini bizantininell'Italiameridionale.

Solo sul finire del secolo, nell'880, i Bizantini riconquistarono effettivamente varie città, tracui Taranto e Brindisi, riuscendoinoltreasottomettereiterritorilongobardi che avevano separato in due il Ducato di Calabria, separato cioè l’antico Bruttium dall’anticaCalabria.

Finanche,il18ottobre891dopounassediodiduemesi,lastessaBeneventocapitolò al generale bizantino Niceforo Foca. Quindi, si fondò il Thema di Langobardia con capitaleBari,cheaffiancòilThemadiCalabriaconcapitaleReggio.

Il Thema di Calabria però, non comprese l’antica Calabria romana, ossia l'odierno Salento,cheinvecefupartedelnuovoThemadiLangobardia.Aquell’epocaquindi,la denominazione “Calabria”, già in precedenza estesa al Bruzio, aveva ormai finito con l’abbandonare del tutto il suo originale territorio salentino: la migrazione si era definitivamenteconsumata.

Nel corso del ‘900, il Thema di Calabria e quello di Langobardia furono integrati per formareilCatapanatod'ItaliaedurantetuttoquelsecoloXnoncessaronolelotteper ildominiodelterritoriotraiLongobardibeneventanieiBizantini,allequalisifurono alternamente sommando gli eserciti imperiali del nord -quelli del sacro romano impero-eletantebandearabeeslave,inunperenneclimadi“tutticontrotutti”sotto lacostantelaregia,piùomenoocculta,delpapato.

Conilnuovomillennio,finalmente,l’intricataecaoticasituazioneeconomicapoliticae militare del meridione italiano, prolungatasi per secoli, incontrò una radicale via d’uscitaconl’arrivodeiNormanni,unastirpediscaltriguerrieriprovenientidalNord, dallaNormandia.

Nel 1041, Normanni e Longobardi alleati, batterono i Bizantini impossessandosi di granpartedelterritoriodelCatapanatod'Italiae,nelsettembredel1042,ilnormanno Guglielmo I d'Altavilla fondò la Contea di Puglia con capitale Melfi: un territorio non omogeneo suddiviso in baronie distribuite tra Capitanata, Gargano, Apulia e Campania,finoalVulture.

Nel 1047, il sacro romano imperatore Enrico III, legittimò i possessi dei Normanni e conferìaDrogoned'Altavilla,succedutoaGuglielmoI,l'investituradicontediPuglia. Poi,nelConciliodiMelfidel1059,laconteafuelevataaducatodalponteficeNiccolòII eRobertoilGuiscardofunominatoducadiPugliaediCalabria.

Finalmente, nel 1071, il dominio bizantino formale nel meridione italiano cessò del tutto e per sempre, con la conquista di Lecce e la fondazione della contea di Lecce, e conlaconlaconquistadiTarantoeBrindisielafondazionedelpoderosoprincipatodi Taranto,alqualerestòascrittaancheBrindisi.

Contemporaneamente,ancheperiduerimanentiprincipatilongobardi,diBenevento ediSalerno,l’arrivodei Normannivenneasancirnelafine:nel1053,ilsolitoRoberto ilGuiscardoconquistòBeneventoenel1076Salerno,divenendoinfina,nel1078,duca diPugliaeCalabria

Nel luglio del 1127 Guglielmo II, duca di Puglia e di Calabria, morì senza figli e gli succedetteilfratelloRuggero,giàcontediSicilia,ilqualeinpochiannifinìcolriunire sottodiséancheirestantipossedimentidelmeridioneitalianoe,nellanottediNatale del1131,fuincoronatoredelnovelloRegnodiSicilia.

Quel regno, nato unendo i territori della contea di Sicilia, dei ducati di Puglia e Calabria, del ducato di Napoli, del principato di Capua e dell’Abruzzo, fu amministrativamente suddiviso in quattro unità: Sicilia, Calabria, Apulia e Terra di Lavoro.

I confini delle tre unità continentali furono invero piuttosto labili e, anche se la loro struttura amministrativa non fu ben definita, nell’Apulia furono chiaramente compresi, la contea diLecce, la contea di Nardò, la contea di Soletoe il principato di Taranto,alqualeeraascrittaBrindisi,chedaallora-quindi-appartiene“formalmente” allaPuglia,giàApulia.

Poi sotto gli Svevi, nel 1230, Federico II riformò tutta l’amministrazione del regno, sopprimendoleconteeeistituendonuoveunitàamministrative,ognunaaffidataaun giustiziere.LaPugliafuallorasuddivisainquattrogiustizierati:Basilicata,Capitanata, TerradiBarieTerrad'OtrantoincuifuinclusaBrindisi.

Il giustizierato della Terra d'Otranto, la cui creazione certificò quindi “ufficialmente” per il suo territorio tale denominazione, invero già da tempo entrata nel gergo comune, comprese inizialmente tutta la penisola salentina e una parte della regione delle Murge, estendendosi a nordovest fino al Bradano e includendo quindi anche il territoriomaterano.

Pressoapococontalilimiti,tuttaquestacircoscrizioneamministrativafuconservata anche sotto gli Angioini e gli Aragonesi. Verso la fine del vice regno spagnolo invece, nel1663sottoFilippoIVdiSpagna,ilgiustizieratodiBasilicataconilsuoterritoriodi MaterafusottrattoallaPugliaedaquelmomentoin avantipassòadintegrarsiconil territoriodiPotenzaediMelfi.

Quell’assetto amministrativo del regno di Napoli perdurò, più o meno invariato, fino alla promulgazione della legge napoleonica del 1806 con cui il re Giuseppe Bonaparteriformò la ripartizione del territorio sulla base del modello francese, sopprimendoigiustizieratieintroducendoleprovince.

Le province furono suddivise in successivi livelli amministrativi gerarchicamente dipendentidalprecedente:immediatamentesottolaprovinciasicrearonoidistrettie questi, a loro volta, furono suddivisi incircondari. I circondari furono costituiti daicomuni,l’unitàdibasedellastrutturapoliticoamministrativadellostatomoderno, aiqualifecerocapoivillaggi,piccolicentriacarattereprevalentementerurale.

Le provincedel regno furono ventidue, di cui sette in Sicilia, con in totale settantasei distretti,dicuiventitréinSicilia.

LaprovinciadiTerrad'OtrantocompreseiquattrodistrettidiLecce,Taranto,Gallipoli e Mesagne, sostituitonel 1814 con quello di Brindisi. Il numero totale dei circondari, cioèdeiprincipalicomunidellaprovincia,fudiquarantaquattro.

Dal1ºgennaio1817,l'organizzazioneamministrativapostnapoleonicadelregnodelle Due Sicilie mantenne sostanzialmente lo stesso assetto napoleonico e dopo l'unità d'Italia del 1861, la provincia di Terra d'Otranto fu denominata provincia diLecce, mentreilsuoterritoriopermasedivisoneglistessiquattrodistrettidiLecce,Brindisi, TarantoeGallipoli

Durante il ventennio fascista, si soppressero i distretti e nell’ordinamento amministrativo dello stato si conservarono solamente le province e i comuni. In Puglia, la provincia di Lecce fu suddivisa in tre con la creazione, nel1923, dellaprovinciadiTarantoe,nel1927,diquelladiBrindisi,allaqualefuronoaggregati icomunidiFasanoeCisternino,primaappartenutiallaprovinciadiBari,portandocon essiilnumerototaledicomuniaventi.

Ebbene, giunti a questo punto, si è data risposta al “quando” e anche al “come” l’originale denominazione Calabria sia migrata da una all’altra delle due penisole dell’estremo sud italiano, cominciando con l’essere assegnata anche alla seconda in sostituzione della propria denominazione originale e finendo con abbandonare la prima per la quale venne finalmente adottata una nuova denominazione e si procedetteaincorporarlaaunaregioneterza.Edhaavutoancherispostail“quando” BrindisifuformalmenteinclusanellaPugliae“quando”ilterritorioincuieraBrindisi fuufficialmentedenominatoTerrad’Otranto.

Manca solo, quindi, rispondere al “perché” di tutto questo insolito processo. Insolito non perilcambiodi untoponimo -cosain effetti storicamenteabbastanzacomunee di fatto naturale - ma insolito per la migrazione di un toponimo da un luogo ad un altro.Perchémaispostareladenominazione“Calabria”dalsuostoricoterritorioadun altroterritorio,chedelrestounnomestoricopropriogiàloaveva?

Ebbene, purtroppo, finora non ci è ancora stato dato di giungere a un’unica spiegazionecerta:lostoricoMicheleSchipa,chesioccupòalungodell’argomento,nel 1895 scartò un’ipotesi ai sui tempi abbastanza accreditata e ne avanzò una seconda, sua.Raccontiamolebrevemente!

«Quando i Longobardi occuparono Taranto e Brindisi, intorno al 670, del territorio della vecchia romana Calabria, che pur aveva dato il proprio nome all’intero ducato bizantino comprendente anche il Bruzio, restò ben poco, praticamente la sola punta peninsulare,conamalapenaOtrantocomecittàimportante.

E fu a quel punto che ai Bizantini non venne migliore idea che, per occultare quella graveperditaesalvarel’onoreol’apparenza,inventarsitraslareilnomedelterritorio perduto “Calabria” al territorio in buona parte conservato “Il Bruzio” per poter così ufficialmenteaffermarechela“Calabria”continuavaadesseresaldamentebizantina».

Che ve ne sembra? Potrebbe reggere una così bizzarra e stravagante spiegazione?

Ebbene, per Schipa, assolutamente no! E lui di ragioni per negarla ne apporta e ne dettagliaabbastanza.

Poi, negata quella volontà squisitamente politica, Schipa avanza la possibilità che, invece,forseepiùsemplicementee,perluipiùverosimilmente:

«Una volta ridotto a un lembo il territorio bizantino resistente sulla punta estrema della romana Calabria e benché fisicamente separato dal meridionale Bruzio, pur si potè - per inerzia e consuetudine - continuare a mantenere il nome “Calabria” per tuttaquell’unitàamministrativaancorabizantina,nonostantefossecostituita“magari, solomomentaneamente”daunterritoriochenellaquasisuatotalitàeradelBruzio.

E così fu che, per anni e anni, il territorio del Bruzio continuò a denominarsi ufficialmenteducatodiCalabriaequindi…Calabria.Delresto,l’accettazionenondové incontrare molti ostacoli, giacché si trattava di un “bel nome dalla dolce fisionomia greca,percuimoltil’hanritenutogrecoincarneedossa”».

L’antica romana Calabria, nel mentre, non tornò più ad essere stabilmente bizantina edanzi,tuttafu,amomenti,perduta,inclusolastessaOtranto,cittàchecomunquepiù alungoresistettelapressionelongobarda colsuopurpiccoloterritorio.Efucosìche dell’antica romana Calabria, dopo lunghissimi bui anni senza ormai un territorio proprio,siperseanchel’identitàdelnome.

gianfrancoperri@gmail.com 8 Settembre 2016

Brindisi tra IX e X secolo in balia del 'tutti contro tutti'

Dopo un primo arrivo dei Saraceni a Brindisi - nell’838 - per due secoli intorno alla città non ci fu null’altro che un desolante 'tutti contro tutti' Pubblicato dalla Fondazione Terra d’Otranto il 4 e 5 giugno 2019 e su il7 Magazine

LefontirelativeallastoriadiBrindisitrailVIeilXsecoloinclusi,sonomoltoavare, particolarmente avare, costituendo tale carenza quasi assoluta un forte indizio della effettivamancanzadieventi,circostanzeepersonaggidariferireinrelazioneallacittà, un indizio quindi di marcata decadenza, associata, anche e certamente, ad un progressivoaccentuatoprocessodidepopolamentoed allaconseguente perdita della stessafisionomiaurbanadellacittà.

Esula dal proposito di questo scritto il trattare delle possibili cause di tale situazione e basti solo accennare che, eventualmente, la prolungata guerra grecogotica prima, l’esosa occupazione bizantina dopo, una serie di catastrofi naturali e finalmente, l’approssimarsi dei Longobardi ed il susseguirsi delle prime devastanti incursioni saracene, furono tutti eventi che più o meno in successione, per secoli affossarono completamente la città, la sua economia e la sua popolazione. Fino a quando, dopo che nel 1005 Durazzo ritornò sotto il controllo di Costantinopoli, Brindisifuchiamataarinascerepersvolgeredinuovounafunzionediprimopianonel contesto di un rinnovato e più vasto orizzonte politico di Bisanzio. Una rinascita rimastaincipiente,cheperò,pocodopo,fuimpulsatacondecisionedainuoviarrivati: iNormanni.

Dopo la rovinosa ventennale guerra greco-gotica conclusa nel 553 e dopo la distruttiva conquista longobarda – che per Brindisi si materializzò ai danni dei Bizantini intorno al 680 ad opera di Romualdo I duca Benevento – la città rimase semidistrutta, stremata e ridotta a poco più che un’espressione geografica quasi spopolata,anchesenondeltuttoabbandonata.

«La documentazione epigrafica indica che ai margini della città rimasero, sia alcuni gruppidiEbrei–partestabilitipressoilsenodilevantedelportointernoepartepresso l’attuale via Tor Pisana, dovevi fuanche unlorosepolcro – esia qualche altro sparuto gruppo di cittadini stabiliti intorno al vecchio martyrium di San Leucio [adiacente all’insenatura di ponente] Fino al X secolo, sono quasi nulle le notizie di transiti o approdi nella rada di Brindisi, eccezion fatta per quando – nel 908 – vi giunsero le reliquie di Santa Margherita d’Antiochia, che il monaco benedettino Agostino pavese trasferìdaCostantinopoliinItalia».[G.CARITO1,2]

Dunque, alla fine del VII secolo, Brindisi, sottratta al controllo bizantino, divenne longobardae poipercircaunsecoloemezzo diessa non seneparla più,né sene sa praticamentenulla,coneccezione–forselasola–dellacitazionechenefal’anonimo tranese, descrivendola “eversa vero atque diruta” nel suo racconto del trafugamento delle spoglie del protovescovo brindisino San Leucio, effettuato nottetempo da un gruppodiTranesiadulterioreriprovadell’estremadebolezzasociale,oltrechépolitica edeconomica,incuiversavalacittàconisuoisuperstitiabitanti.

Città quindi formalmente longobarda, Brindisi restò tale anche dopo l’arrivo dei Franchi di Carlo Magno che, sceso in Italia nel 771 chiamato dal papa Stefano III e sconfitti i Longobardi nel 774, rinunciò ad estendere il proprio controllo sulle longobarde terre beneventane. Quando poi, nel 787, Carlo decise di compiere una

sortita all’interno di quei confini, ottenuta una formale sottomissione del duca beneventano Arechi II alla propria autorità, lo elevò a principe. Probabilmente, il re Carlo preferì mantenere in vita quello stato longobardo in un certo qual modo a lui sottomesso, piuttosto che intraprendere impegnative campagne militari che avrebberopotutoattivarepericolosefrizioniconilconfinante–inquelsuditaliano–impero bizantino, nonché stimolare imbarazzanti richieste di ampliamento territorialeversoSuddapartepontificia.

Se ne riparla – di Brindisi – solo nell’838 e se ne riparla perché sullo scenario del Meridione continentale d’Italia è apparso un terzo litigante ad affiancare i due precedenti e già secolari contendenti longobardi e bizantini. Si tratta degli Arabi originari del nord Africa, poi più comunemente detti Saraceni, provenienti dalla loro nuovavicinabase,laSicilia,chedapocopiùdiunadecinad’anni–dall’827–avevano gradualmente cominciato ad occupare (Palermo sarebbe caduta nell’831 e, ultima, Siracusa nell’878) sottraendola ai Bizantini. E perché mai e come mai, i Saraceni provenientidallaSiciliagiunserofinoaBrindisi?

Accadde semplicemente che, una volta sbarcati e ben insediati nella Sicilia, fu naturale che gli Arabi guardassero all’Italia peninsulare come ad una meta di conquistee,soprattutto,discorrerie.Leincursionieleloroazionidioffesaverificatesi nel Meridione d’Italia, infatti, per lo più contrastarono con la stabilità propria dell’insediamento musulmano insulare della Sicilia, dove da subito si manifestò il desideriodiunadurevoleconquistaconlavolontàdiincluderlaneldominioislamico.

Nelterritoriopeninsulare,invece,ipochiisolatiepisodidiconquista,comequellidi BarieTarantoosulGariglianoasuddiGaeta,siestinseronelgirodidueotredecenni almassimo;mentreperbenduesecoli,ilIXeilX,quasil’interoMezzogiornovissela presenzamusulmanacomeunendemicoflagellodiguerraedirapina,continuamente combattuto–daBizantini,Veneziani,Longobardi,Pontifici,Franchi–emaidebellato.

E tutto ciò durò così a lungo anche perché gli Arabi furono abili a inserirsi nelle vicende della tribolata storia altomedievale del Meridione italiano, proprio come avvenne in quella loro prima incursione dell’836 e 837, quando fu lo stesso duca di Napoli, il console Andrea, che li chiamò in suo soccorso contro Sicardo, il principe longobardodiBenevento,cheloavevaassediato.

Da lì in avanti il prosieguo fu inevitabile e, solo un anno dopo, gli Arabi di Sicilia comparveronelleacquedell’Adriaticoes’impadronironoindisturbatidiBrindisi.

«Per idem tempus Agarenorum gens, cum iam Siculorum provinciam aliquos tenuerunt per annos pervasam, iam fretum conabantur transire Italiam occupandam. Dum vero cum multitudine navium fretunque ille transmeassent, sine mora Brindisim civitatem pugnando ceperunt (ChroniconSalernitanum)»

Il duca Sicardo, appena saputolo, accorse da Benevento con numerose forze a cavalloperrespingerli, malasuacorsasibloccòperunbanaletranello:gliassalitori, scavata una lunga e profonda trincera in prossimità dell’ingresso alla città, la ricoprirono con rami e con zolle di terra; quindi vi attirarono l’ingenuo nemico che cadde nella trappola subendo gravissime perdite, anche se Sicardo riuscì fortunosamenteasalvarsi.

Quegli Arabi giunti fino a Brindisi, probabilmente in pochi, avuta notizia che dopo loscaccoilduca-principeSicardostavafacendograndipreparativiperlarivincita,non esitarono a dar fuoco alla città e a ritirarsi, non senza averla depredata del poco

ancoradepredabile.Eventualmente,fuancheoperaloroladistruzionedelmonastero bizantino di Santa Maria Veterana [a meno che tale monastero non sia invece stato edificato a fine secolo, in concomitanza con il primo avvio – poi presto interrotto –dellaricostruzionebizantinadellacittaseguitaallariconquistadiNiceforoFoca,esia statoquindidistruttoinunadellesuccessiveincursionisaraceno-slave].

Poi, abbandonata momentaneamente Brindisi, alcuni Saraceni si stabilirono una quindicina di chilometri più a nord, nella strategica e protetta baia di Guaceto, ove costruirono un campo trincerato – denominato "ribat" del quale fino a tutto il XVI secolo si scorgevano ancora le rovine – che servì loro come base da cui dedicarsi, a lungoeindisturbati,aorganizzarescorreriepermareeperterra.

I Saraceni, che con l’intervento a favore di Napoli prima e con la presa di Brindisi poi,avevanosperimentatoladebolezzadelducatobeneventano,nell’840risalironole coste della Calabria ed occuparono Taranto e subito dopo, nell’841, riattaccarono la costa adriatica con un primo assalto fallito alla città di Bari, che finalmente fu stabilmente occupata l’anno dopo. Così, oltre che dalla Sicilia, anche da Taranto e soprattutto da Bari – città che divennero sedi di emirati – partirono per anni le incursioniarabe,semprepiùpenetrantiepiùincisive,direttesullecittàesuiterritori adiacentiappartenentiaidominibizantiniresiduiinItalia,nonchéaquellilongobardi.

La situazione di instabilità causata dalla presenza araba nell’Italia meridionale cominciò finalmente a preoccupare seriamente anche il papa e quegli stessi principi cheavevanoinqualchemodoflirtatocongliArabidiSicilia,iqualipensaronobenedi richiedere l’aiuto dell’impero, quello dei Franchi – il quarto contendente nello scacchiere dei “tutti contro tutti” – e così, eletto sacro romano imperatore nell’850, Ludovico II nipote di Carlo Magno, nell’852 fu sollecitato a scendere nel sud d’Italia, nel tentativo di liberare le città pugliesi – Bari in primis – dal giogo arabo, ma fallì nell’intento a causa dei contrasti ben presto sorti con i principi longobardi, primordialmenteinteressatiaconservarelapropriaautonomia.

FuVeneziapoi,conilsuoDogeOrso,chenell’864inviòunaflottadiquarantanavie finalmente batté i Saraceni e permise per qualche anno la restaurazione del dominio bizantinosuTaranto.Ciòperò,nonimpedìaiSaracenidiresisteredinuovoallostesso sacro romano imperatore, il franco Ludovico II, il quale, ridisceso a sud nell’866, in Puglia nell’868 solo riuscì a liberare dall’occupazione araba Matera Canosa e Oria, giacchél’enormeflottadibenquattrocentonavi–comandatadalpatrizioNicetaOrifa inviataglidall’imperatorebizantinonell’869persupportarel’attaccoterrestreaBari–si ritirò a Corinto e lo lasciò impotente. Ludovico II, infatti, nel mezzo di una disputa ideologica con l’imperatore d’Oriente Basilio I, si era rifiutato di acconsentire al già accordatomatrimoniodisuafiglia,Ermengarda,conCostantino,figliodiBasilioI.

Nel trascorso di quella campagna, con lo strategico obiettivo di colpire i Saraceni delvicinoemiratobarese,iFranchidiLudovicoIIassediarono equindiassaltaronoe presero–867?–ancheBrindisi,chenelfrattempoerastatarioccupatadagliArabi.

«Due reperti archeologici testimoniano l’influenza franca sul territorio brindisino tra fineVIIIsecoloeinizidelIX.Sitrattadiunaveradipozzoediunostampoconilnomedi santa Petronilla, patrona dei Franchi, che potrebbero essere appartenuti al monastero di Santa Maria Veterana, dai Normanni ricostruito nell’XI secolo per ospitare le suore benedettine – unico edificio religioso documentato in Brindisi per il secolo VIII, nell’ambitodellavecchiacittà» [G.CARITO1]

Dopoqualcheanno, trai dueimperatorisiristabilìunacerta collaborazione ecosì Ludovico II poté puntare su Bari, conquistandola finalmente il 3 febbraio dell’871, liberandoladaltrentennaledominioaraboefacendoprigionierol’emiroSawdan, che fuportatodalprincipeAdelchiaBenevento,doverimaseincarceratoperanni.

Quindi, già morto – nell’875 – l’ormai vecchio imperatore Ludovico II, i Bizantini dell’imperatoreBasilioInell’876sottrasseroBariall’influenzadellongobardoAdelchi e, finalmente – nell’880 – riuscirono anche a liberare Taranto dai Saraceni nel corso dellacampagnadiriconquistacondottadallostrategaNiceforoFoca.

Partendodallapuntadellostivale,NiceforoFocaesteselacontroffensivabizantina su quasi tutto il Meridione continentale, riconquistando sia le città rimaste in mano araba e sia la maggior parte dei territori occupati dai principi longobardi. I limiti territorialidellaconquistanonsonodefiniticonesattezzanellefonti,maèverosimile cheiBizantiniabbianorioccupatotuttalaregionechesiestendedallavalledelCratia Taranto e la Lucania orientale con le vallate del Sinni e del Bradano, nonché la costa salentina,mentreèpiùarduodefiniredoveessisianoarrivatianordovestdiBari.

E quindi, fu nel contesto di quella lunga campagna condotta contro Longobardi e Arabiche,dopoTaranto,ancheBrindisiintornoall’885tornòsottoilformalecontrollo dei Bizantini, i quali, naturalmente, la incontrarono praticamente tutta in macerie: “macerielongobardedel674,maceriesaracenedell’838emacerieimperialidell’867”.

Nell’886 morì l’imperatore Basilio I e gli succedette il figlio Leone VI, il quale richiamò il vittorioso generale Niceforo Foca nominandolo comandante supremo dell’esercito imperiale e questi s’imbarcò da Brindisi alla volta di Costantinopoli con gran parte del suo esercito e lasciando alla città tutti i prigionieri longobardi, sottraendoli magnanimamente alla schiavitù e rendendoli così potenzialmente utili allaeventualericostruzionecittadina.

Il ritorno dei Bizantini a Brindisi, infatti, fu seguito da timidi e presto interrotti segnali di rinascita quando, alla fine di quel secolo IX, si iniziò la ricostruzione della chiesadiSanLeucio,impulsatadalvescovooritanoTeodosioinoccasionedelritorno in città di una parte delle reliquie sottratte dai Tranesi. E negli anni a seguire, la popolazionedisuainiziativa,intrapreseanchelacostruzionediun’altrachiesa,chefu edificata di fronte all’imboccatura del porto interno, sulla cresta della collina di ponenteeconannessaun’altatorre–unaspeciedifaroperinaviganti–inomaggioe gratitudineallostrategagrecoNiceforoFoca.

«L’edificio può essere presumibilmente identificato nella chiesa di San Basilio, che fungeva anche da faro grazie ad un’alta torre che la sovrastava. Essa, eretta secondo tradizione locale al ritorno bizantino, era ancora visibile nel XVII secolo, come testimonia G. B. Casimiro,e inseguito andò distrutta per lasciare il posto adabitazioni civili».[G.CARITO-S.BARONE3]

Il 18 ottobre 891 i Bizantini fondarono il Thema di Langobardia concapitale Bari, che affiancò quello di Calabria con capitale Reggio e che con quella riorganizzazione non comprese più l’antica Calabria, ossia l’odierno Salento, che invece fu parte del nuovoThemadiLangobardia.LadenominazionediCalabria,infatti,dopoesserestata estesa al Bruzio, a quell’epoca aveva già finito con l’abbandonare del tutto il suo originaleterritoriosalentino.

Con l’avvento del secolo seguente, il X, le coste adriatiche ritornarono ad essere ripetutamente preda dei pirati saraceni, ai quali si alternarono con frequenza quelli

slavi, che nel 922 assaltarono per la prima volta Brindisi e vi ritornarono nel 926, dopoaveroccupatoSiponto;epoi,nel929,giunseroanchegliSchiavonidiSabir,che dopoaver–il7agosto928–presoOtranto,risalironolacostafinoaTermoli.

«I Saraceni impiegarono ampiamente schiavi e mercenari slavi sulle loro navi e molti assurseroancheaposizionidicomandoeprestigio.Trail922eil924,loslavoMas‘ūd,a capo di venti navi saccheggiò la rocca di Sant’Agata. Poi, il 10 luglio 926 “comprendit, Michael rex Sclavorum, civitatem Sipontum” : un’irruzione slava il dì di santa Felicita, ch’ebbe a condottiere Iataches, che assaltò e prese la città di Siponto, estendendo le scorrerie anche più a sud. Tra il 927 e il 930, Ṣābir lo schiavone, si apprestò con una grande flotta alle coste dell’Italia meridionale, dove con tre incursioni, ripetute a poca distanza l’una dall’altra, saccheggiò varie città [da Otranto a Termoli] e catturò molti prigionieri».[M.Loffredo4]

«Non cessa, però, la minaccia saracena e le incursioni ed i saccheggi continuano sulle costecalabresiesuquellepugliesi.EaiMussulmanisiaggiungonoancoraunavoltagli Slavi:dopoaverperdutoSipontonel936,tornanonel939econloroUngarieSchiavoni minacciando le coste e spingendosi all’interno della Capitanata e nell’entroterra tarantinoe,ancoranel947,assediandoConversanoeOtranto».[T.PEDIO5]

Nel970ilThemadiCalabriaequellodiLangobardiafuronointegratiperformareil Catapanato d’Italia e nel 976, successo a Giovanni Zimisce, l’imperatore bizantino BasilioIIsitrovòadovergestirepiùurgentementeifrontidell’AsiaMinoreenonebbe disponibilità di truppe per stanziare contingenti di rinforzo a guardia dell’Italia meridionale e così, gliArabi di Sicilia dell’emiro Abu Al-Kasim, ripresero a vessare le popolazioni della Calabria e della Puglia, che non riuscivano a garantirsi una buona difesamilitareconlesoleguarnigionicittadine,insufficientiaproteggereleroccaforti.

In quell’anno 976, gli Arabi risalirono la Calabria, giunsero alla Valle del Crati e assediarono Cosenza, che fu costretta al pagamento di un tributo. Poi, nell’agosto del 977, con gli eserciti di Al Kasim, giunsero a Taranto perseguendo lo stesso obiettivo, ma trovarono la città abbandonata dai suoi abitanti e la distrussero. Quindi saccheggiarononuovamente lavicina Oria bizantina e altripaesidelCapo. Poi, anche negliannisuccessivi,finoal981,glistessiArabimiseroripetutamenteaferroefuoco sialaCalabriachelaPuglia,arrivandospessoaridossodeiterritorilongobardi.

In reazione, nel 982, il sacro romano imperatore Ottone II decise una spedizione punitivacontroiSaracenidiSiciliae,scesonelMezzogiorno,provòprimaaridurrela potenza bizantina nella regione costringendo all’obbedienza i piccoli stati della CampaniadellaLucaniaedellaPuglia,finoaOria,TarantoeBari,doveperòil13luglio fu battuto dai Bizantini. Quindi l’imperatore si diresse verso la Calabria e la Sicilia, giungendo in quell’occasione ad un passo dalla vittoria contro gli Arabi, ma nella battaglia di Capo delle Colonne subì una completa disfatta con almeno quattromila morti. Ottone II morì l’anno seguente e per qualche decennio sullo scenario del Meridione italiano, anche l’azione militare antiaraba dell’impero di Occidente – allo stessomodochequelladell’imperod’Oriente–praticamentescomparve.

Nel 986 gli Arabi di Abu Said ripresero le ostilità contro la Calabria ritornando a Cosenza,dicuidistrusserolemuraperpoidilagarefinoinPuglia:aBarinel988,dove isobborghifuronosaccheggiaticongrantrafficodiprigionieriversolaSicilia.

Conilnuovosecoloeilnuovomillennio,leincursionipirateschenondiminuironoe interessaronosialaPuglia,perlopiùBari,esiainCalabrialaValledelCratieCosenza.

Tra la fine del primo millennio e l’inizio del secondo, insomma, la situazione generale delle coste e dell’entroterra nel tribolato Meridione italiano, di nuovo, non potéesserepiùdisperata:

«Assentel’imperobizantinonellalottaintrapresadallecittàpugliesicontrolapressione araba;impotenti adintervenire i Longobardidi Benevento e Capua,coinvolti inguerre intestineequellidiSalernotimorosidellacrescentepotenzaamalfitana;ormaiinfasedi decadenza Gaeta, Napoli e Sorrento; inefficace la rapida apparizione del sacro imperatore Ottone III; le uniche forze in grado di opporsi ai Saraceni furono le repubbliche marinare, le quali si andavano affermando sul Tirreno con Pisa e, soprattutto,conVeneziasull’Adriatico».[T.PEDIO5]

Nellaprimametàdell’XIsecolo,dopochenel1005l’esercitobizantinoriconquistò lecostedalmate, Brindisiriacquistòimmediatamentel’antica strategicità –conilsuo porto dirimpettaio a quello di Durazzo da cui partiva la via Egnazia che lo collegava allacapitaledell’impero–eiBizantinineintrapreseroprestolaricostruzione.

«La portata dell’investimento bizantino è valutabile grazie al testo dell’epigrafe datata alla prima metà dell’XI secolo, scolpita sul basamento di una [quella superstite] delle due colonne che dal promontorio di ponente guardavano proprio l’imboccatura del portointerno: Illustris pius actibus atque refulgens Protospatha Lupus urbem hanc struxit ab imo. Una formula che attribuisce al programma imperiale il valore di una vera e propriafondazione…».[R.ALAGGIO6]

Al contempo, il secolare arricchimento accumulato nell’isola aveva finito con indurregliArabidiSiciliaanonoccuparsipiùtantodiguerreggiarenédiconsolidarsi sul continente, quanto a godere dei tanti notevoli agi acquisiti. Un atteggiamento questo,cheneiprimidecennidell’XIsecolopermisealleforzebizantinediriprenderei territori dell’Italia peninsulare e di dedicarsi a controllare le rivolte filoimperiali internecheinessiviaviaandavanoscoppiando.

Così, nel 1038 – quindi duecento anni dopo quella prima incursione saracena a Brindisi – le forze bizantine sbarcarono a Messina e si diressero verso Siracusa, ponendo l’assedio alla città. I Musulmani di Sicilia non riuscirono a rispondere per moltotempoalleforzegrecheecosì,inquellaprimametàdell’XIsecolo,ebbeiniziola fine della storia islamica nell’isola e di conseguenza anche di quella nella penisola, lasciandoloscenariosgombroall’arrivodeinuoviconquistatori:iNormanni.

BIBLIOGRAFIA

1 G.CARITO Lo stato politico economico della città di Brindisi dagli inizi del IV secolo all'anno 670 in "BrundisiiRes"-1976

2 G.CARITO Brindisi nell’XI secolo: da espressione geografica a civitas restituita -2013

3G.CARITO-S.BARONE Brindisi cristiana dalle origini ai Normanni Brindisi -1981

4 M. LOFFREDO Presenze slave in Italia meridionale (Secoli VI-XI) in “Annali della Schola Salernitana”-2015

5 T.PEDIO La Chiesa di Brindisi dai Longobardi ai Normanni in“ArchivioStoricoPugliese”-1976

6 R.ALAGGIO Il medioevo delle città italiane: Brindisi -2015

Brindisi nel

regno normanno di Sicilia del XII secolo con un’appendice sulle istituzioni religiose a Brindisi nel XII Secolo

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La breve parabola del regno normanno di Sicilia

Fu nel maggio del 1060 che nella bizantina Brindisi, per la prima volta, entrarono i Normanni di Roberto Altavilla, il Guiscardo. Ci rimasero però pochi mesi, fino a quando,inottobre,il miriarca riconquistòlacittà.Poinel1062ilGuiscardoneriprese il controllo per conservarlo fino al 1067, quando una flotta imperiale bizantina, al comandodel katepano MichaelMaurikas,ripreseilcontrollodellaradadiBrindisi. Eranotrascorsiquattrosecolidaquando,nel674,iLongobardiavevanoconquistatoe, difatto,completamentedistruttoBrindisi.Unadistruzionecheimplicòlaquasitotale cancellazione della città dalla mappa geografica, condannandola a secoli di miseria spopolamentoeabbandonoeriducendolaapocopiùcheun’espressionegeografica. Per quei lunghi secoli bui, infatti, non vi è quasi traccia di riferimenti alla vita economicaopoliticacittadinae,dopoqualcheisolatotimidotentativo,fusoloconl’XI secolo già inoltrato, che Brindisi provò a riacquistare parte della sua antica importanza, quando la dirimpettaia Durazzo e la via Egnazia ritornarono sotto il controllo di Costantinopoli, cioè dell’impero romano d’Oriente, stimolando quella circostanza, sia il rinnovato interesse dell’impero bizantino che finalmente decise di intraprendererisolutamentelaricostruzionediBrindisiesial’appetitoconquistatore deinuoviarrivatisullascenadelMezzogiornoitaliano,inordicieintrepidiNormanni che,tral’altro,neanchecelavanotroppoleloromiregiàpostepropriosuquell’impero.

Ecosìnel1069,al katepano MichaelMaurikastoccòdifendere-consuccesso-Brindisi daunnuovoattacconormannocondottodaRobertoilGuiscardo,siaperpartediterra cheperpartedimare.L’annoseguenteiNormannitornaronoadassediare lacittàeil comandante bizantino della piazza, lo strategos Nikephoros, tese un vile tranello agli assedianti che, mentre con scale valicavano le mura, furono uccisi, un centinaio in tutto, e le loro teste tagliate furono inviate all’imperatore Romano IV. Ma quell’ingannoservìsoloastimolarelareazionedegliingannatiearitardaredipocola conquistanormanna.

Il Guiscardo - quarto duca di Puglia dal 1057, succeduto alla morte in sequenza dei suoi tre fratelli, Guglielmo Drogone e Umfredo, che lo avevano preceduto con quel titolo - nel sinodo di Melfi del 1059 si era dichiarato vassallo di papa Niccolò II in cambiodell’intitolazionedelducatodiPugliaeCalabria,allorasoloparzialmentesotto influenzabizantina,edellaSicilia,ancorainmanoislamica.Così,unacittàdopol’altra e una provincia dopo l’altra andarono perdute in favore dei Normanni, che nel 1071 espugnaronoBari,l’ultimaimportantecittàbizantinaesededelCatepanatod’Italiae, infine,Brindisi,ilcuigoverno,RobertoloconcessealconteGoffredo,unsuonipote.

Parallelamente, il 25 dicembre 1071, fu espugnata anche Palermo e fu fondata la conteadiSiciliailcuigovernofuassuntodaRuggeroI,fratellominoredelGuiscardo, mentrequesti-all’epocaliderdituttiiNormanniarrivatinelMezzogiornoitaliano-si dedicòallaconquistadiCostantinopoli,nonriuscendoviperpoco:morìsull’isolagreca diCefaloniail17luglio1085,duranteunapausadellacampagnadiconquista.

In seguito alla morte del Guiscardo, il ducato di Puglia e Calabria fu ereditato dal secondogenito, Ruggero Borsa, nato dal secondo matrimonio con Sichelgaita, mentre alprimogenitoBoemondo,natodalprimomatrimonioconAlberada,dopoprolungate disputeefortitensioni,econlamediazionedellozioRuggeroIdiSicilia,fuassegnato ilprincipatodiTarantoche-fondatonel1086-88-compreseancheBrindisi.

In Sicilia, qualche anno dopo, alla morte di Ruggero I avvenuta nel 1101, la contea passò in eredità al primogenito Simone, che però morì bambino nel 1105 e così, a succederefuilsecondogenitoRuggeroII, sotto la reggenzadellamadreAdelasiafino al1112.

Quando nel 1127 morì senza eredi diretti il duca di Puglia e Calabria, Guglielmo, che era succeduto al padre Ruggero Borsa morto nel 1111, Ruggero II conte di Sicilia rivendicòildirittodisuccederealcuginoe allafine, facendoricorso ancheallaforza, più o meno tutti gli riconobbero la sovranità sui territori che erano stati dello zio, il Guiscardo.

Finalmente, nel Natale dell’anno 1130, Ruggero II venne incoronato «re di Sicilia e Italia» dall’antipapa Anacleto II. Nel mezzogiorno d’Italia - unendo i territori della conteadiSicilia,delducatodiPugliaeCalabria,delducatodiNapoli,delprincipatodi Capua e dell’Abruzzo - era nato per la prima volta nella storia un regno unitario, il “Regno di Sicilia” con capitale Palermo, città cosmopolita, inaugurandosi un’epoca di splendoreediguerre,interneedesterne,perquelmeridionalenuovoregno.

Nel1154RuggeroIImorìeglisuccedetteilfiglioGuglielmoI,dettoilmalo,cherestò al potere fino al 1166. A succedergli fu il figlio Guglielmo II, che acconsentì al matrimoniodisuasorellaCostanzaconEnricoVIHohenstaufen,figliodelBarbarossa. Alla morte di Guglielmo II senza eredi nel 1189, il regno normanno sopravvisse qualcheannoancoraconTancredi,contediLecce,nominatore.Tancredi,infatti,morì presto, nel 1194. Enrico VI rivendicò il regno di Sicilia e - dopo soli 64 anni dalla fondazione del regno - venne incoronato re a Palermo. Sua moglie Costanza, ultima discendentedegliAltavilla,nonpartecipòall’incoronazioneperchédovettefermarsia JesiperdareallaluceFedericoII,lo stupor mundi,destinatoaereditareleduecorone diGermaniaediSicilia.

Per Brindisi una transizione tormentata

Inquelfiniredel1130einiziaredel1131,almomentocioèdellafondazionedelregno, BrindisiorbitavanelprincipatodiTaranto,chedallasuacostituzionenel1086-88era statorettodaBoemondo-primogenitodelGuiscardo-mortonel1111,epoidalfiglio BoemondoIImortoproprionel1130combattendoinSiria,ilqualefindal1127aveva peròcedutoisuoidirittisulprincipatoalpotentecuginopaterno,RuggeroII,contedi Sicilia,ducadiPugliaeCalabriaepoirediSicilia.BoemondoII,infatti,avevapreferito trasferirsi in Oriente per occuparsi del principato di Antiochia, fondato nel 1098 in SiriasulsultanatodiDamasco,dalpadreBoemondo,nelcorsodellaprimacrociata. Signore di Brindisi e vassallo, prima del Guiscardo e poi del principe Boemondo, era statoilcontediConversano,GoffredofigliodiEmmasorelladelGuiscardo,mortonel 1104 circa e succeduto dal figlio Tancredi, con la reggenza della scaltra madre Sichelgaitafinoalladileimorte,avvenutaintornoal1110 Tancredi,quindi,divennea tutti gli effetti comes Brundusii come vassallo di Boemondo II e poi di Ruggero II, entrambi suoi cugini, fino al 1132, quando la città divenne demaniale in seguito al fallimentodellasuareiterataribellionecontroilnovelloreRuggeroII.

Contro le pretese di Ruggero II di Sicilia, infatti, inizialmente sostenuti e aizzati dal papaOnorioII,sieranoimmediatamentesollevaticontiebaroninormanni,gelositutti deiloroprivilegi,difattoquasisempreereditari,messiarepentagliodalnuovoaudace pretendente. Tra di loro Goffredo d’Andria, Girolamo di Bari, Roberto di Capua, RuggerodiAriano,Rainulfod’AlifeeancheTancredi,ilcontediConversanosignoredi Brindisi. Ruggero II finì con l’aver ragione sulla coalizione ribelle e costrinse il papa OnorioIIariconoscere,conilnegoziatodel22agosto1128,lesuepretese.

Quindi Ruggero II ridusse uno ad uno tutti i baroni insorti e sottomise le loro città, Brindisi inclusa, che alla fine capitolò per fame dopo un prolungato e rigido assedio.

Tancrediinquell’occasione,fuincertamisuraperdonatodadalcuginoRuggeroIIefu quindilasciatonominalmenteagovernareBrindisi.

Benprestoperò-conlavenutainItaliadell’imperatoreLotarioII- Tancredireincise nella ribellione contro il re di Sicilia e nel 1132 fu definitivamente scacciato da Ruggero II, che riprese la città e nel 1133 catturò Tancredi - asserragliatosi con altri ribelliinMontepeloso-perdonandoglilavitamainviandoloprigionieroinSicilia.Dalì Tancredi, se pur non tornò più ad essere signore di Brindisi, riuscì finalmente a ritornareaConversanodove,nel1148,finìisuoigiorni.

Le ribellioni contro la corona di Sicilia però non cessarono, aizzate dal nuovo papa InnocenzoIIesostenutedall’imperatoretedescoLotarioII,ilquale,ridiscesoinPuglia nel 1136 e con l’appoggio dei baroni capeggiati questa volta da Rainulfo d’Afile nominato duca dal papa, nel 1137 incalzò Ruggero II e lo costrinse a rifugiarsi in Sicilia.

Poi, con il rientro in Germania e la successiva morte dell’imperatore, il re Ruggero II tornò alla riscossa e nel 1139 ebbe la meglio sul papa e tutti i suoi alleati ribelli. Li sconfisse, fece prigioniero il papa e lo costrinse al riconoscimento, con gli accordi di Mignanodel25luglio1139,deititolideisuoifigliedelsuostessosulregnodell’intero Meridione. E fu in questo contesto che la città di Brindisi passò definitivamente al demaniodell’ormaiconsolidatoregnonormannodiSicilia.

Brindisi nel regno normanno di Sicilia

I primi dieci anni trascorsi dalla fondazione del regno e quindi dall’appartenenza di Brindisiallostesso,perlacittàfuronoannicomplicati,anniditradimenticomplottie quindi ribellioni contro il re Ruggero II, ordite prima dal recalcitrante reincidente Tancredi,contediConversanoesignorediBrindisi,poicapeggiatedaRainulfod’Afile. E,comeènaturalechesuccedaincertifrangenti,inquegliannifuronoquasinulliper lacittàiprogressiciviliedeconomici,producendosidifattolaparalisieilregressodel grande fenomeno espansivo - demografico e fisico - che era iniziato con la conquista normannadel1071,impulsatodaGoffredocontediConversano dominator diBrindisi edasuamoglieSichelgaita,iqualidurantequarant’anniavevano,difatto,“ricostruito” Brindisidopoiprecedentilunghietristiquattrosecolididistruzioneeabbandono. Delresto,conl’entratadellacittànelregno,ancheladirettadipendenzadalsovranoe lalontananzadalpoterecontribuironoallariduzionedelprocessoespansivo,chepoté riprendere lentamente il suo percorso solo grazie al rinnovato progredire di quei movimenti di crocesegnati che già nei primi anni della ricostruzione avevano stimolato la creazione di strutture religiose e di edifici assistenziali e ricettivi dei grandi flussi di soldati e pellegrini diretti in Oriente, gestite dagli ordini monasticocavallereschi (*).

Emblematico della ripresa, fu il completamento della costruzione della cattedrale iniziata nel 1089 dal conte Goffredo con la benedizione in loco del papa Urbano II, giuntoaBrindisiappositamenteperquell’occasione.Uncompletamentorealizzatotra glianni1139e1143,supportatodirettamentedaRuggeroIIeaffiancatodalsorgere, lungo la strada magistri e nelle sue vicinanze, di numerosi altri importanti edifici, legati alla rinnovata vocazione marinaresca e commerciale della città, o legati alla presenza di potenti armatori amalfitani veneziani genovesi e pisani, o direttamente legatiallefortune personalidipersonaggi celebri, comelasfarzosa domus delgrande ammiraglioMargarito,edificatanelleadiacenzedella“rocca”. Ma presto risoffiarono su Brindisi i venti di guerra, portando inevitabilmente tempi benpiùtristidiquelliprecedenti,nonancoratroppolontani,giàpatitidallacittà.Il26 febbraio del 1154 morì a Palermo Ruggero II e, a novembre del seguente anno, l’imperatore bizantino Manuele I Comneno decise una nuova sortita sulla Puglia normanna.Inviòquindi,unpoderosoesercitoeunanumerosaflottasottolaguidadel cugino Giovanni Dukas e di Michele Paleologo, contando nell’appoggio dei baroni pugliesi, di nuovo pronti a insorgere al seguito del conte Roberto III di Loretello contro il nuovo re normanno, Guglielmo I, che era succeduto al padre Ruggero II di Sicilia

Senzaaiutodell’imperatoretedesco,FedericoIilBarbarossaindecisosuldafarsi,ma conilpapaAdrianoIVnoncertodispiaciuto,sostenutidabaroninormanniribellieda alcunecittàpugliesi,Brindisiinclusa,esercitoeflottadiManueleIComnenopoterono occuparelecittàdellacostadaAnconaaBrindisiegiungerefinoaTaranto.

BrindisiassunseunruolocentralenellavicendaedèaBrindisiche,infatti,avvennelo scontrofinale.GuglielmoI,riorganizzatoilsuoesercito,aiprimidel1156attraversòlo strettoconlesueforzeterrestrimentrelasuamarinapuntòsuBrindisi,tenacemente assediatadaisoldatibizantiniiquali,comandatidaGiovanniDukasecontandoconla complicitàdeiloronumerosipartigianilocali,penetraronolemuracittadine.

Entrati in città, i Bizantini posero l’assedio alla “rocca” in cui si erano asserragliati i soldati normanni rimasti fedeli al re, cercando invano per quaranta giorni di espugnarla dal mare guidati da Alessio Comneno, nipote dell’imperatore, da questi inviatoconnuovenavicarichedisoldatiarilevodiMichelePaleologo,mortoaBari. GuglielmoIgiunseaBrindisipermareeperterra.DebellatiiBizantini,conquistò con epica battaglia la città il 28 di maggio 1156, facendo prigionieri Giovanni Dukas, Alessio Conmeno e molti altri, che portò a Palermo, rilasciandoli solo dopo aver obbligato il papa e l’imperatore d’Oriente alla firma di una pace accondiscendente al suodominio.

Vinta labattaglia, GuglielmoIriservòmigliorsorteai prigionieribizantini cheai suoi sudditi ribelli. Brindisi fu risparmiata dalla distruzione totale solo grazie alla sua tenace resistenza all’assedio, ma fu comunque saccheggiata, spopolata e ridotta in estrema miseria per castigare i suoi traditori ribelli, e tutti i mercenari catturati furonouccisi.

L’arcivescovo di Brindisi, Lupo, che assisté alla devastazione della città operata dai vincitori, qualchemesedopoottennela grazia daGuglielmo I, recandosi inpersonaa Palermo e ricevendo finalmente la conferma dei privilegi propri della chiesa di Brindisiprecedentementerevocatiincastigoperlasuppostacomplicitàconiribelli.

Bari fu rasa al suolo compresa la cattedrale. Fu risparmiata solo la basilica di San Nicolaegliabitantiebberoduegiornipermettersiinsalvocoipropriaveri. Anchele altre città ribelli della Puglia furono punite duramente dal sovrano tradito e finalmentevincitore.

Quell’epica battaglia vinta dai Normanni nel porto di Brindisi il 28 maggio 1156, consegnò definitivamente la Puglia all’Occidente e sancì il fallimento dell’ultimo tentativobizantinodiriconquistaremilitarmentel’Italia.

GuglielmoIilmalomorìdieciannidopo, nel1166, eglisuccedetteilfiglioGuglielmo II, detto il buono, mentre Brindisi “a stento risparmiata dal fuoco” si era molto lentamente e solo parzialmente recuperata dalla profonda depressione in cui l’aveva lasciataimmersalacombattutissimaferocebattagliadellaprimaveradel1156.

Grande ammiraglio, leale militare e ministro consigliere di questo nuovo e “buon” re fu Margarito da Brindisi, detto Margaritone. Un brindisino, dunque, anche se più probabilmentegreco,originariodiZanteoMegara,chesposòMarina,figliaillegittima diGuglielmoI. MargaritocompìnumerosegestasulmarepercontodiGuglielmoII.

Nella primavera del 1186, in un’offensiva contro l’impero bizantino, occupò le isole Ionie, in un’azione che rappresentòunacesura nellastoria dell’arcipelagofinoaquel momento strettamente associata a quella della Grecia continentale e le tre isole di ZanteCefaloniaeStrifalidivenneropossedimentopersonalediMargarito.

Inseguito,compìlasuaprimagrandeimpresamilitarechecostòaBisanziolaperdita pressoché totale della flotta, in uno scontro avvenuto nell’estate 1186 sulle coste di Cipro. Margarito si impadronì rocambolescamente di 70 triremi costantinopolitane, facendonepoiprigionierigliequipaggi

L’annoseguente,alcomandodellaflottadiSiciliariuscìaporreasalvosullesuenavie a trasportare in Sicilia, i cristiani fuggiti da Gerusalemme, che era stata occupata da Saladinoil2ottobre1187.AiCrociatirimaseallora,soloilcontrollodiTiro,Tripolie

Antiochia e buona parte del merito nella persistenza di questi presidi cristiani in Oriente,fuaccreditataaMargarito,ilqualenel1188portòefficacementesoccorsoalla cittàdiTiro,incuiCorradomarchesediMonferratoeraassediatodaiSaraceni. Nel1189,quandomorìilreGuglielmoII,Margaritofutraisostenitoridellanominaa rediTancredi, già conte di Lecce, ilqualefinalmenteassunselacorona il18 gennaio 1190. Margarito, infatti, fu fra i protagonisti della resistenza opposta nel 1191 all’armata imperiale di Enrico VI di Svevia, assicurando i rifornimenti a Napoli assediata dalle truppe imperiali e mettendo in fuga le navi pisane e genovesi che sostenevanol’armatae,addirittura,catturandol’imperatriceCostanzaetrasferendola aPalermo.

FamosafulasontuosadimoracheilgrandeammiraglioMargarito-nominatocontedi Malta dal re Tancredi - si fece costruire a Brindisi in prossimità della ‘’rocca’’, il palazzo nominato Domus Margariti, una casa per quei tempi certamente splendida, conbagni,giardini,equant’altro.

Inquellacasa,nelfebbraio1191,mentreilreRiccardod’InghilterrasostavaaMessina con Filippo Augusto di Francia prima di intraprendere la nuova spedizione crociata, furonoospitatesuamadre,EleonoradiAquitania,elasuapromessasposa,Berengaria di Navarra. Berengaria poi, con Giovanna, sorella di Riccardo, s’imbarcò per la Siria, celebrandosiinfineilsuomatrimonioconilreinglese,aCipro,ilseguente12maggio.

Pochi anni dopo la sua incoronazione, il re Tancredi decise di far investire ufficialmentearediSiciliailsuoprimogenitoRuggero,elacerimoniadell’investitura si celebrò sul finire dell’estate del 1192 nella cattedrale di Brindisi, in attesa della cerimonia d’incoronazione che si sarebbe dovuta svolgere a Palermo. E così Ruggero IIIpreseinmanoilregnoalfiancodelpadreTancredi

Tancredipoi,acomplementodelsuoprogettostrategicodipacificazioneconl’impero d’Oriente,ideòeconcordòilmatrimoniodelfiglioRuggeroIIIconIreneAngelo,figlia dell’imperatore bizantino Isacco II Angelo, che si celebrò nel giugno 1193 nella cattedralediBrindisi.Eperl’occasionesiricostruìlaromana“fontanagrande”,cheda allorainpoifuchiamata“fontanaTancredi”.

Quelmatrimonio,determinandounostrettorapportodiparentela,nelleintenzionidi Tancredi avrebbe comportato una nuova fase nei rapporti fra Greci e Normanni, rinunciandosi a politiche d’espansione territoriale degli uni ai danni degli altri. Ma il 24dicembre1193,consolidiciannoveannid’età,RuggeroIIImorìimprovvisamente. AlsuopostoTancredidesignòrediSicilial’altrofiglio,GuglielmoIII,disolonoveanni, affidandolareggenzaallamoglieSibilla.LostessoTancredipoi,morìl’annodopo,il20 febbraio1194,all’etàdi55anni.

E in quell’anno1194, lostessodellafinedelregnonormanno, Margarito completòin Brindisil’abazia,fuoriportaLecce,chefupoidettadiSantaMariadelPonte,pressola qualeerainsediatoungruppodicanonicipremostratensiprovenientidalSanSamuele diBarletta.

Poi però, anche la fortuna di Margarito decadde e il grande ammiraglio morì in disgrazia,qualcheannodopoesserestatoaccecatoecondottoprigionieroinGermania dagli Svevi, nuovi sovrani del regno di Sicilia… quando una nuova storia era già iniziata.

APPENDICE

(*) LE ISTITUZIONI RELIGIOSE A BRINDISI NEL XII SECOLO

Estrattoda: Gli arcivescovi di Brindisi nel XII secolo, in “Parola e storia” , IV (2010), n 1 - di G. Carito

Ospizi o ospedali per i crocesignati o i pellegrini diretti in Terra Santa erano lungo il grandeitinerariocheavevaunosnodoessenzialeneiportipugliesiefraquesti,inparticolare, Brindisi.Qui, a vantaggio dei viaggiatori, erano sedi dei teutonici, dei templari, dei lazzariti, dei giovanniti, degli ospitalieri del Santo Spirito e dei canonici regolari del Santo Sepolcro, oltre a istituzioni locali quali gli ospedali di San Tommaso, Tutti i Santi, Sant’Egidio e San Martino; è da credere che gli ospizi per i pellegrini, almeno in origine, fossero fondati fuori delle mura e poi compresi nellanuovacerchiamurariavolutainetàsveva.

Il sovrano militare ospedaliero ordine di Malta fu in origine un ospizio per pellegrini in Gerusalemme con adiacente chiesa sotto il titolo di San Giovanni Battista. Nel 1113 il ponteficePasqualeIIneapprovòl'istituzioneponendolosottolaprotezionedellaSantaSede; circa il 1136 si militarizzò per assicurare protezione armata ad ammalati e pellegrini. L'ordine,inBrindisidal1156,neltempoebbequiduecase.

Il 1169 è accertata per la prima volta a Brindisi la presenza di una casa templare con possedimenti nel leccese. L’ordine ebbe nel regno di Sicilia ampia diffusione in epoca normanna, successivamente al 1139, anno in cui fu raggiunta la pace tra Ruggero II d'Altavilla, re di Sicilia (1130-1154), fedele alla causa dell’antipapa Anacleto II (11311138), e il pontefice Innocenzo II (1130-1143). Le domus gerosolimitane rosso-crociate, comprese nella provincia d’Apulia, poi, in età sveva, d’Apulia e Sicilia, furono presto presenti nelle più importanti città portuali: in Trani, Molfetta, giànel 1148,Barletta almeno dal 1169,Matera dal 1170,Bari, Andria, Foggia, sul finire dell’XIsecolo,Troia,anterioreal 1190 e Salpi, documentata nel 1196. Tra le sedi più importanti va menzionata quella di Barletta, casaprovinciale sino al processo chedeterminòlasoppressionedell’ordine.Accanto a Venezia, Genova e Pisa, dove i Templari hanno sedi legate ai traffici delle repubbliche marinare con l'oriente, sono iporti di Barletta, Bari, Brindisi e Messina a venire considerati veri epropricentridismistamentoper cavalieri,cavalli eognigenerenecessarioper ladura permanenza in Terra Santa. La loro presenza si articola su edifici civili, spesso esito di donazioni, chiese e depositi generalmente ben amministrati. I Templari dovevano autogestirsi e produrre eccedenze per i confratelli lontani impegnati in battaglia: il reddito prima di tutto. I compiti dei monaci vengono indirizzati alla bonifica di terreni paludosi, alla costruzionedipontieallamanutenzionedistrade,diventateormaisemprepiùcroceviaperlo scambiodiideeeculturaconilmondoorientale.ProbabilmenteoriginariodiNoceraèanche quel Guglielmo "de Nozeta", precettore della domus templare "de Brandisi en Polha", cioè BrindisiinPugliachesisail1196«guidataeamministratadaAmbrogio».

La comunità ospedaliera Sacra Domus hospitalis Sanctae Mariae Theutonicorum in Jherusalem, sorta nel 1190, casa madre dell'ordine teutonico, già nel 1191 ebbe una casa in Brindisi.Nelgiugnodiquell'anno«frater Guinandus magister hospitalis Alamannorum quod in Brundusino noviter est constructum» promise soggezione e dovuta reverenza all'arcivescovo di Brindisi e allasuaChiesa.Ilmetropolitaavevaconcessolapossibilitàdiedificarelachiesa di Santa Maria degli Alemanni con annessa area cimiteriale, che fosse lecito a quei chierici offrire il «corpus Domini cum confessione omnibus peregrinis intra vel extra civitatem jacentibus», portare la «Crucem tam intus per civitatem quam extra et circa ecclesiam et ejusdem cimiterium [...] fontem benedicere et juxta morem et consuetudinem sancte matris Brundusine ecclesie baptizare». Quanti in futuro avessero da servire la Chiesa, avrebbero

potuto farlo solo con permesso dell'ordinario diocesano, o in sede vacante, del capitolo. Ai religiosi incombeva ancora l'obbligo di dar notizia delle donazioni ricevute, di partecipare aisinodi diocesani, di conferire la quarte parte «eorum omnium que ad nos sive ecclesiam vel domum pervenerint quoquo titulo derelicti», di prender parte alle processioni delle Palme e dell'Ascensione, di ricevere gli oli santi esclusivamente «a Brundusina ecclesia», di non suonar le campane «nisi prius pulsentur campane sancte Brundusine ecclesie», di versare, per annuo censo, nel giorno disan Leucio, venti «aureos tarenos de Sicilia». L’accordoè sottoscrittoda Guinandus e daiconfratelli Artimonus, Elbertus, Membertus e Ugo.

L'Ordo sancti Lazari Hierosolimitani, era in origine un ospedale che in Gerusalemme si dedicava alla cura dei lebbrosi con l'ausilio di una confraternita e nel 1120 si organizzò in comunitàassumendo la regola di sant'Agostino. Si trattava di lebbrosi che conducevano vita conventuale; tra loro, pur se l'accesso era aperto a sani, era scelto il maestro. Il re di Gerusalemme Baldovino IV (1174-1185) ne promosse la militarizzazione; caduta la città santa,lacasamadredell'ordinesispostòaSanGiovannid'Acri.Sierano,nelfrattempo,aperte moltecaseinEuropa;fraqueste,quelladiBrindisidicuiènotiziainun documento del 22g ennaio 1245 per il quale Flamenga «filia Franci de Tipoldo Rubeo civis Brundusii» dispone che, in sua morte, si diano «pro induendis infirmis Sancti Lazari» «uncias auri tres» e «pro indumentis fratrum Sancti Lazari tarenos septem et dimidium». Immediatamente dipendente dalla Santa Sede, cui era obbligata per «unum Marabutinum» annuo, pare essere stata la «ecclesia Sancti Thomae, cum hospitale a Logotheto aedificato» di cui è memoria in un documentodel1192.Dové tuttavia rientrare sotto la giurisdizione dell'ordinario perché, da un documento del 1260, San Tommaso risulta dovere annualmente 15 tarì d'oro alla sede metropolitana. Il complesso è stato ubicato, pur con approssimazione e dubitativamente, presso l'attuale piazzaVittoria;doveva averenotevole importanzaprendendodaessonome ilpittachioincuièinserito.

GliospitalieridiSantoSpiritopreseroavvioainiziativadiGuidodiMontpellier,circail1175, in Francia. Celebre fu il loro ospedale di Santa Maria in Sassia a Roma voluto dal pontefice Innocenzo III con la primaria finalità d'offrire ospitalità ai pellegrini. La loro ipotizzata presenzainBrindisinonpuòesserecollegatatuttaviaconlachiesadiSantoSpirito;nel1180 «rex Guglielmo II dedit enim S. Spiritus in Portu Brundusii»allachiesadiMonreale.Nelgiugno 1185 l'arcivescovo brindisino Pietro da Bisignano «jura omnia, quae in eadem ecclesia habebat, de consensu sui capituli, Archiepicopo Guillelmo ejusque Monachis concessit» associandosi così “ai numerosi vescovi che concorsero alla dotazione di Monreale”. In quell'anno, nel giugno, furono a Brindisi, in uno col sovrano, Gualtiero, arcivescovo di Palermo, Guglielmo, arcivescovo di Monreale, Bartolomeo, vescovo di Agrigento e Matteo «regni vicecancellarii»;nell'occasione,verosimilmente,puòesserstatadefinitainogniaspetto ladonazione.Nel1187undocumento,concernentelasoluzionedelcontenziosoinattotrail Santo Spirito e le benedettine di Brindisi, è sottoscritto da «Robertus de Gallipoli et prior ecclesie Sancti Spiritus de Brundusio»;inquell'annoRobertooRuggero«monacus Sancte Marie Montis Regalis et prior ecclesie» di Santo Spirito dichiara che Pietro, allora «electus Sancte Trinitatis de Venusio», suo predecessore, aveva ottenuto «terras regias ad laborandum», ubicabili fra Mesagne e Sandonaci. Su «una petia terre que est in loco Calviniano» era sorta tuttavia controversia conle benedettine di Brindisi che si erano rivolte a Tancredi «comitem Licii Magnum Comestabulum et Magnum Iusticiarium Apulie et Terre Laboris» per ottenere giustizia. Ruggero, consapevole che «dominum et patrem meum Guillelmum venerabilem Montis Regalis Archiepiscopum [...] posse multa juste et rationabiliter acquirere et possidere et nihil iniuste et cum anime periculo velle querere vel quesitum retinere» rinunzia a ogni diritto suiterreniincontestazione.IlSantoSpiritodiBrindisiè,conevidenza,inunarcodirelazioni che, comprendendo la Trinità di Venosa e il monastero di Monreale, rimanda ad ambito benedettino. È noto, del resto, come alla dignità arcivescovile monrealese fosse connessa

quella abbaziale; Rogerius, facendo riferimento al proprio abate-metropolita, consente di delineare il rapporto di subordinazione del Santo Spirito di Brindisi a Monreale. Il 21 aprile 1198 il pontefice Innocenzo III, ordinò al capitolo di Brindisi di provvedere circa la controversia insorta «inter monachos Montis Regalis et Maximianum Notarium, qui terras de jureEcclesiae S. Spiritus occupaverat».

L'ordine canonicale del Santo Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo, a Gerusalemme, vide riconosciuta la propria istituzione dal pontefice Callisto II nel 1122. Non fu mai un ordine militareeespresselapropriaspiritualitàanchenell'architetturadellepropriechieseispirata alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme per l'Anastasi, con riferimento alla Resurrezione, e l'Edicola, con riferimento alla tomba e quindi alla morte. Sono elementi presenti nella chiesa del Santo Sepolcro di Brindisi riproduzione fedele della rotondamausoleo gerosolimitana [...] la liturgia è da immaginare ispirata al rituale e alla gestualità simbolica della celebrazione gerosolimitana della Settimana Santa. Il rito è probabile si svolgesseintornoaun'edicolalignea,nonavendolasciatotraccedisé,collocataalcentrodella chiesa, come appunto l'edicola nell'Anastasis. Si è ritenuto possibile che il complesso brindisino fosse, inizialmente, pertinenza della casa d'Altavilla per l'ipotesi che lo vuole costruitoainiziativadiBoemondo.NeidocumentidelXII-XIIIsecolononmancanoriferimenti al complesso; nel 1126-1129, Arnono priore del Santo Sepolcro di Brindisi è fra i giudici chiamatiadirimerelacontroversiafralebenedettinediSantaMariaVeteranael'arcivescovo Bailardo. Nell’aprile del 1187 ne è priore “Rogerius monacus Sancte Marie Montis Regali et prior ecclesie Sancti Sepulcri de Brundusio”, successore nell’incarico a Pietro traslato alla “Sancte Trinitatis de Venusio”.Nel 1128 la chiesa risulta pertinenza dei canonici regolari del Santo Sepolcro; in quell'anno il pontefice Onorio II (1124-1130) elencandone beni e dipendenze, fa esplicito riferimento “in civitate Brundusina, ecclesiam Sancti Sepulcri et ecclesiam Sancti Laurentii cum omnibus pertinentiis earum”; analoghe attestazioni si avranno dapartedeiponteficiInnocenzoII(1130-1143)il26luglio1138e27aprile1139,CelestinoII (1143-1144) il 10 gennaio 1144, Eugenio III (1145-1153) il 13 luglio 1146, Alessandro III (1159-1181)il9settembre1170,LucioIII(1181-1185)il30giugno1182.

Il Candidus et Canonicus Ordo Praemostratensis, sorto il Natale del 1121, a iniziativa di san Norberto,allorchéi40chiericicheeranoaPrémontréemiseroivoti,funel1126riconosciuto dapapaOnorioIIconladenominazione“CanoniciRegolaridiSant'Agostinosecondolaforma divitadellachiesadiPrémontré”.L'ordine,ilcuiidealeeralaformazionedichierici,riunitiin monastero, tali da esercitare unforte influsso spirituale, ebbe a Brindisi unadelle sue poche case italiane. Era l'abbazia di Santa Maria del Ponte, ubicabile presso la foce del PalmariniPatri; qui, circa il 1180, vi si insediarono premostratensi provenienti dal San Samuele di Barletta.Lasuacostruzione,avviata«ex populi devotione»,sicompletògrazieallamunificenza di Margarito da Brindisi; nel 1194 Celestino III (1191-1198) assicurò al grande ammiraglio cheilcomplessosarebbestatoesentedaqualunquegiurisdizioneeimmediatamentesoggetto alla Santa Sede cui doveva annualmente un'oncia «auri tarenorum Sicilie». A esso avrebbero dovuto far riferimento le chiese brindisine di Santa Margherita, di cui è memoria dell'ubicazionenell'omonimavia,eSanDemetrio,forsesull'attualevicoSeminario.

L'ospedalediTuttiiSantieraattivogiànel1122.Inquell'annoilsuoprioreAdelardofutrai prelati chiamati a dirimere la controversia insorta fra le benedettine di Brindisi e l'arcivescovo Bailardo (1122-1143) che intendeva riportarle sotto la propria giurisdizione. Del complesso, sul sito o nei pressi dell'attuale chiesa di San Sebastiano e con annessa area cimiteriale,èmemoriainundocumentodel1292;puòdunqueritenersiattivobenoltrel'età federiciana. Potrebbe pensarsi benedettino e dipendente dall'abbazia di Sant'Andrea dell'Isola che ebbe ilpossessodelgiardinoditerravacuaditomoladueetmezzoincirca[...] con più puzzi d'acqua surgente, che stanno affogati, et uno con acqua, con una casa in mezo

con lamia, et coverta d'imbrici; che sotto di quella vi è una cascata, che prima era ingegna d'acqua per detto giardino [...] sito dentro la città di Brindesi in loco detto lo Puzzolillo dietrolapiazza pub(bli)cainlocoprincipaledellacittàcircondatodahabitationiàtorno,etda duepartiviepublichel'unadettadellaMena,chevieneallapiazzaetl'altrasivàetvieneper avantilacappelladiSanSebastiano,qualestacongiontacondettogiardino.

Nel 1059, Eustachio, arcivescovo di Brindisi residente in Oria, donò l'isola di Sant'Andrea ai baresiMeloeTeudelmannoperchéviedificasserounmonastero.Ineffetti,ilmonastero-cui furono concesse le rendite rinvenienti dalla chiesa di San Nicola in Brindisi e dalla metà dei canaliDeltaeLuciana,FiumeGrandeeFiumePiccolo,ovesipraticavalacoltivazionedellinofu edificato e vi risiedettero, sino al 1348, monaci dell’ordine benedettino. Primo abate del monastero fu il barese Melo; gli successe Lucio mentre, nel 1092, riveste questo incarico Antonio. Vastissimi erano i possessi dell'abbazia di Sant’Andrea in insula comprendendo il casale di Maleniano, sul sito dell'attuale Latiano, il feudo di Campo Longobardo o Campie distrutto, fra SanVito eMesagne esteso sui terreni che sarebbero poi stati delle masserie Signoranna, Zambardo,Paradiso, Belloluogo, Campi e Campistrutto,ilfeudo di SanGiovanni Monicantonio,pressoVillaBaldassarri,lemasserieBoessa,Formica,PozzodiVito,Jannuzzoe La Monaca in agro di Brindisi, i feudi Vasco Grande, Vasco Piccolo, Vasco Nuovo e Intappiati estendentisi dalla foce delCillarese, lungo ilporto interno e il porto medio, s ino al litorale oggi della Sciaia, i terreni nelle contrade Maurizio e Li Cornuli fra Latiano, Mesagne e SanPancrazio.Fra le chiese dipendenti da Sant'Andrea, ubicate al Vasco e agli Intappiati, cara ai naviganti era quella di Mater Domini, piú tardi di San Leonardo, nell'area che sarebbe stata occupata dalla Stazione Quarantenaria, “con pittura a oglio di detta Santissima Madre di Dio di grandissima divotione,concelebratione dimessa da' suoi devoti”. I normanni avevano peraltro reso al monastero il controllo di non pochi insediamenti in grotta già interessati dalla presenza di religiosi provenienti dall'area siropalestineseocomunquediculturaesentirebizantino.TalieranoSanBiagioaJannuzzoeSan GiovanniaCafaro,entrambisulcorsodelcanaleReale;l'insediamentodiJannuzzosisviluppa intorno a un'altura. Grotte di varia ampiezza, in cui sono giacigli scavati nella roccia, piccole nicchie e portalampade, sono tutte intorno alla grotta-chiesa, rettangolare, con ingresso a nord. Parte della volta e delle pareti laterali sono con affreschi realizzati, secondo la data fornita da un testo epigrafico in sito, fra il 1196 e il 1197, su commissione dell'egumeno Benedettoegrazieall'aiutofinanziariodiMatteo,dalpittoreDanieleedalsuoaiutoMartino. L'iniziativa, che sottende il ritiro di gruppi di cittadini in eremi oltre la linea delle terre coltivate,è comprensibilenel contesto degli avvenimentiche portano alla presa di potereda partediEnricoVInel1194e,dopolasuamortenel1197, aldilagaredell'anarchianel regno; grecienormannidiBrindisilegatialgrandeammiraglioMargaritone,imprigionatoeaccecato dallo svevo, furono costretti a ritirarsi nelle campagne riprendendo, seguita la morte dell'imperatore, il controllo della città nel 1198-99. La grotta-chiesa di San Giovanni in contrada Cafaro è parte di un complesso costituito da altre quattro grotte, semicircolari e intercomunicanti, con giacigli e nicchie incavate nella roccia; gli affreschi, accompagnati da iscrizioni latine, sono attribuibili al XII secolo. In città, il patrimonio immobiliare del monastero è concentrato nell'area compresa fra le Colonne del Porto e la vecchia rocca normannacomprendendoipianorifraleattualivieMontenegroeFontanaSalsaegranparte dellafasciacompresafraviaColonneelaMarina,inclusoilvicinatodiSanGiovannideiGreci.

LachiesadiSanBenedettoesistevagiànel1089ederaintitolataaSantaMariaVeterana.Tra XIeXIIsecolofurestaurataetrasformatainunachiesaasalaconapplicazionediunacrociera cupoliforme costolonatadi tipo arcaico. Nel corso del XII secolo le benedettine - le monache nere del monastero- difenderanno con successo la propria autonomia contro ogni tentativo d'ingerenza dell'ordinario diocesano. Vasto fu il loro patrimonio; s ' era inizialmente esso formato per le concessioni di Goffredo, conte di Conversano, che nel 1097 donò il casale di Tuturano «cum ecclesiis duabus que ibi sunt videlicet Sanctorum Cosme et Damiani et Sancti Eustasii» e di Sichelgaita, vedova di Goffredo, che nel 1107 confermò la

donazione di Tuturano aggiungendovi quella di Valerano, sul sito dell'attuale masseria Maramonte, di terreni nei pressi di Brindisi e nell'area di Guaceto, degli affidati che erano in Brindisi e nel casale di San Pietro «de Hispanis cum casalibus omnibus et cum vineis et terris ad pastinandum [...] et cum omnibus earum terrarum», dellesalineallafocedelCillarese e presso il ponte di San Gennaro. Seguirono altri atti di liberalità da parte di Boemondo, principe d'Antiochia, della moglie Costanza,figlia di Filippo re di Francia, e di Ruggero, re di Sicilia, che concesse al monastero in terra nostra Misanii villanos octuaginta demanios nostros, qui reddant singulis annis in duabus datis centum quadraginta michelatos, et centum miliarenses, et quartam musti vinearum suarum, et herbaticum cum terris suis et pomarium leporis et quartam partem de fructu olivarum suarum; sugli stessi uomini e loro discendenti le benedettine avrebbero avuto «legem et plaziam sicut a suis hominibus et villanis». A tal fine il re concedeva al monastero il diritto ad avere Iudicem Baiulum in Mesagne e Brindisi «pro definiendis questionibus civilibus personalibus et realibus de bonis eorum».SeguironoattidiliberalitàdapartediGuglielmoIII.

La fondazione del monastero agostiniano di Santa Maria delle Grazie – detto anche del Carmine – fu ritenuta dalla tradizione storica locale databile al 1193 i n cui «Brundusii fundantur Coenobia Fratrum heremitarum S. Augustini, sub titulo S. Maria de Gratia, et Fratrum Carmelitanae Familiae» e dunque “sul principio istesso della reformatione di quell'ordine heremitano”chesidovéaisuccessiviinterventideiponteficiInnocenzoIV(12531254) e Alessandro IV (1254-1261). Già sul finire del dodicesimo secolo, infatti, secondo AndreaDellaMonaca,ireligiosisisarebberostabilitiinBrindisi“sottolarivaistessaacantoal mare fu fondato in questi tempi il monasterio de' padri carmelitani sotto il titolo della loro SantissimaMadrediSantaMariadelCarmine,condottidaqueipietosiguerrierinell'Italia,che militavanoinTerraSanta,spintidalladevotionedell'habito,e dallariverenzache portavano alla vita esemplare[...]in quest’anno 1194 dellanostra salute, passandocontinuamentei padricarmelitani,chevenivanodalMonteCarmelo,edallaPalestinaperBrindisi,perandare in Roma, e ritornando ancora per il medesimo camino, stimarono esser quella città luogo commodissimoperilorocontinuiviaggiinTerraSanta,ediRoma,peròvolentierisifermaro, econl'aggiutode'devotiinbrevetempo,vifondarouncommodomonasterioàcantoil mare nellarivainternadeldestrocornodelPorto” .

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A Brindisi il principale traguardo terrestre della medievale “via Francigena”

Pubblicato su Senza Colonne News del 7 agosto 2016

Nella storia della civiltà europea, hanno rivestito un ruolo importantissimo le “vie di fede”lungolequalipersecolisisonosvoltipellegrinaggidinaturareligiosa,orientati a raggiungere i principali luoghi emblematici del culto cristiano: Santiago di Compostela,poi-einprimis-Romaequindi,comemetafinale,Gerusalemme Questi cammini, sorti e sviluppatisi nel corso dell’epoca medievale, rappresentano tuttora un importantissimo riferimento per la storia religiosa e culturale dell’intero continente europeo, anche in considerazione del grande rilievo che in anni recenti stannoassumendolacosiddettamobilitàlentaeilturismospiritualeversoiluoghipiù sacridelCristianesimo.

Quelle vie, secondo vari documenti conservatisi, nei secolidel medioevo costituirono dei veri e propri percorsi di pellegrinaggio e di fede. Tra le varie attestazioni di quel vasto fenomeno culturale, la più importante è probabilmente quella del vescovo Sigerico, che nel X secolo descrisse il suo percorso spirituale tra Canterbury e Roma, lungo la “vie Francigene”: la via Francigena, nome dal chiaro riferimento all’origine transalpinadeipercorsiedettaancheviaRomea,chefu,traquelleviedifede,nonuna strada specifica, ma la somma di tanti percorsi terrestri che giungevano a Roma per poi dirigersi verso il più conveniente porto d’imbarco alla volta di Gerusalemme, percorrendolaviachesidenominò“laviaFrancigenadelSud”.

E quale fu per secoli -praticamente da sempre- il miglior porto d’imbarco per chi, da Roma voleva raggiungere l’Oriente? Naturalmente equasiinevitabilmente Brindisi. E Brindisi fu, infatti, anche il principale traguardo terrestre per l’imbarco verso Gerusalemme,fattaladovutaeccezionedegliannicompresitraisecoliVIIeIXincui,a partire dall’avvento dei Longobardi, Brindisi e il suo porto decaddero, mentre i BizantiniriuscironoaconservareilportodiOtrantoecosì,laviadaBrindisiaOtranto divenneinmanieracircostanzialeancheun’arteriaviariaperiflussiconl’Oriente.

«…Finalmente, dopo che Durazzo nel 1005 tornò a far parte dei domini dell’impero d’Oriente,l’assettopoliticodelsettoremeridionaledellacostaadriaticaitalianaeanche il suo entroterra, costituirono territori di vitale importanza strategica, ora che la capitale dell’impero poteva essere facilmente raggiunta via terra dopo la breve traversatadaBrindisiaDurazzo.IlportodiBrindisidiventò,comeloerastatopertutta l’antichità, il più importante terminale d’Italia della via Egnazia, che collegava Durazzo con Costantinopoli nonché con l’intero Oriente. La città di Brindisi fu così chiamata a svolgere di nuovo, dopo secoli di anonimato, un ruolo di primo piano in un più vasto panoramapolitico…»-R.ALAGGIO: Brindisi nel Medioevo, 2015Ruolopredominante,quellodiBrindisiedelsuoporto,destinatoacrescereoltremodo neisecolimedievaliavenire,conl’avventodeiNormanni,degliSvevi,degliAngioini,e cosìvia.

In quel periodo che fu di grande decadenza e di quasi abbandono di Brindisi, comunque, l’insicurezzaregnante intalunitrattidelle vieasuddiRomaconseguente al complesso quadro politico di tutto il Mezzogiorno, l’insufficienza delle strutture ricettive e assistenziali, la faticosità del viaggio a motivo della carente manutenzione delle strade, consigliarono spesso ai pellegrini di optare per la via marittima, seguendo una navigazione costiera di cabotaggio, alternata a brevi segmenti di tracciatoterrestre.Cosicché,ilportodiOtrantofuineffettisolodiradoutilizzatoper l’imbarcoversoGerusalemme.

«…Nel loro pellegrinaggio a Gerusalemme scelsero, oltre Roma, un itinerario per gran partemarittimo,siailvescovoArculfonel670circa,siaSanWillibaldotra723e726.Il primo, raggiunta Terracina, usando presumibilmente la via Appia, s’imbarcò in quel porto, cabotando le coste tirreniche sino a raggiungere Messina, da dove salpò per Costantinopoli. Il secondo invece, iniziò la navigazione da Terracina e seguì una rotta costiera che lo fece approdare, nell’ordine, a Napoli, Reggio, Catania e Siracusa, punto marittimodipartenza,quest’ultimo,perlaTerrasanta…

…Fu però agli inizi del secondo millennio, con l’avvento dei Normanni e col diffuso rifiorire della spiritualità, che il movimento dei pellegrinaggi ai luoghi santi della Cristianità conobbe un prodigioso sviluppo, con un sempre più frequente uso dell’itinerario terrestre da parte dei pellegrini diretti in Terrasanta… Poi, tra la fine dell’XIsecoloel’iniziodelXII,conleprimecrociate,tuttoilsudd’Italiavenneinvestito da una intensa corrente di transiti e il sistema viario imperniato sulla ormai ovunque chiamata “via Francesca” o “via Francigena” si consolidò ulteriormente… Nel 1101, ad esempio,fuilprincipeGuglielmochesimossedallaFranciaconilsuoesercitocrociato, percorselongitudinalmentetuttalapenisolaitalianaegiunseaBrindisi,doves’imbarcò perValona…

…Nel XII secolo le fonti documentariesi fanno piùricche di dati riguardo agli itinerari, consentendo di ricostruire con maggiore attendibilità il percorso terrestre a sud di

Roma e di rilevare puntualmente l’uso della viabilità medievale sovrappostasi al tracciato della Traiana: L’abate Nikulas, nel 1154, percorse l’itinerario completo della viaFrancigena,dalleAlpiallaPuglia.OltreRomausòiltracciatodellaviaCasilinafinoa Capua,poifulavoltadiBeneventoequindidiSiponto.Quindiilsuopercorsosisnodò lungo il litorale, riallacciandosi così al tracciato della Traiana, via Barletta, Trani, Bisceglie,Molfetta,Giovinazzo,Bari,Monopolie,finalmente,“Brandeis -Brindisi.

…AnchepertuttoilDuecentolaviabilitàterrestrenelMezzogiornod’Italiacontinuòad averenell’itinerariodellaviaFrancigenadaBeneventoallaPugliailsuoprincipaleasse di scorrimento e, seguendolo, nel 1227 migliaia di crocesegnati convergerono da tutta l’EuropasuBrindisiconvocatidall’imperatoreFedericoIIallasestacrociata.Perquanto però attiene al pellegrinaggio in Terrasanta, anche a motivo del miglioramento della navigazione marittima, sempre più i porti pugliesi subirono la concorrenza delle rotte tirreniche transitanti per lo stretto di Messina e facenti scalo ai porti della Sicilia orientale. Tornò così ad essere preferito, per la sua comodità e celerità, il viaggio interamente via mare e in particolare acquisì grande importanza il porto di Messina, magnificatogiànelXIIsecolodaigeografiarabi…

…NelcorsodelXIVsecolo,ilpercorsodellaviaFrancigenanell’Italiameridionalecessò diessereunodeiprincipaliganglidelsistemadicircolazionelegatoalpellegrinaggioin Terrasanta. L’ulteriore affinamento delle tecniche legate alla navigazione marittima e l’incontrastato predominio di Venezia nelle rotte dirette in Levante, fecero preferire la Serenissima come punto d’imbarco per coloro che intendevano recarsi in Terrasanta Addirittura, quei pellegrini che univano il pellegrinaggio romano con quello di Gerusalemme, dopo essere stati a Roma sceglievano di risalire la penisola onde imbarcarsiaVenezia…

…Si potrebbe quindi affermare che tra i fattori che determinarono la crisi politica, economica e demografica del Mezzogiorno, iniziata nel Trecento, ci sia anche da annoverare il mutamento intervenuto nelle correnti di transito del pellegrinaggio in Terrasanta. Accentuata dalle ricorrenti calamità -carestie ed epidemie- che segnarono quel secolo, la crisi si riflesse a sua volta, sulle comunicazioni, portando ad una contrazionedell’entitàdeitrafficiportualiedeitransitilungogliitinerariterrestri,come quello costituito dal segmento meridionale della via Francigena, spesso evitati questi ultimiancheamotivodell’aumentataloropericolosità.

…In una situazione generale dominata da un diffuso malessere sociale e da una serpeggianteinquietudinereligiosa,ècosìcomprensibilecomeilMezzogiornoangioino nel basso medioevo fu invece interessato da un vero e proprio proliferare di santuari locali, per lo più nelle mani del clero secolare, sui quali si riversarono non a caso le indulgenzepapali,chenefavorironolacrescita…»-R.STOPPANI: La via Appia Traiana nel Medioevo, 2015-

DellaviaFrancigenasifinìcosìcolnonparlarnequasipiùperqualchesecolo:diquel percorso francigeno che, lasciata Roma, tappa fondamentale era Benevento che conservava le reliquie di San Bartolomeo, di San Mercurio, di Sant’Eliano e di numerosi altri martiri e confessori venerati nella chiesa di Santa Sofia. Poi, attraversato Benevento, ci si dirigeva verso il litorale Adriatico seguendo le preesistenti strade consolari romane, o almeno quel che ne rimaneva, come la via Appia, la via Latina e la via Traiana, o Appia Traiana come altri dicono, che fu la più grandiosaoperadiingegneriastradalerealizzatadaiRomani.

«…Il27ottobredell’anno113d.C.l’imperatoreTraianointrapreselasuaultimagrande impresa militare diretta verso l’Asia Minore: inizialmente verso l’Armenia dove la situazione politica nei riguardi di Roma stava precipitando e proseguendo quindi sull’Assiria e la Mesopotamia. Giunse con la sua legione a Brindisi, per così imbarcarsi nellamissionecheeradestinataafarraggiungerelamassimaestensioneall’impero,ed in quell’occasione dispose il completamento dei grandi lavori di ricondizionamento dellavecchiaviaMinucia-lafuturaviaTraiana-finoaquelportodiBrindisi,cheluiben riconosceva, essere ancora strategicamente molto importante per Roma e per l’impero...»-G.PERRI: Brindisi nel contesto della storia, 2016-

In Puglia, importanti tappe della via Francigena furono il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano e quello di San Nicola a Bari, con i tanti centri minori di pellegrinaggio, come quello di Canosa per le reliquie di San Sabino, quello di Lucera perSanBardoequellodiLesinaperiSantiPrimianoeFirmiano.Scendendopoiverso Brindisi, si attraversavano diversi luoghi di riferimento storico e religioso, come la chiesa di Sant’Apollinare in agro di Rutigliano, San Michele in Frangesto in agro di Monopoli, il porto di Egnazia, il sito di Seppannibale tra Monopoli ed Egnazia, San LeonardodiSiponto,eccetera.

A Brindisi, finalmente, vi era il santuario di San Leucio e nel pavimento a mosaicopurtroppoandatoperduto-dellaCattedrale,vieraunaimportantissimatestimonianza figurativa del XII secolo che attestava la diffusione della leggenda di Roncisvalle in Italia, legata alla ricorrente presenza dei Crociati nella città, nonché a quella permanentedei Templariedituttiglialtriprincipaliordini monasticiecavallereschi europei.

Ebbene, memore di tutto ciò, il 1º luglio 2013 la Regione Puglia deliberò l’approvazione del tracciato pugliese della Via Francigena, requisito per l’approvazione del Consiglio d’Europa dell’inserimento ufficiale dello stesso, nel tracciato della Via Francigena europea, che va da Canterbury a Gerusalemme. Il tracciato pugliese, così ufficialmente certificato, si snoda attraverso le seguenti diciottolocalità:

Celle San Vito – Troia – Lucera – San Severo – San Marco in Lamis – San Giovanni Rotondo – Monte Sant’Angelo – Manfredonia – Barletta – Bisceglie – Molfetta –Giovinazzo–Bari–Mola–Monopoli–TorreCanne–TorreSantaSabinae“Brindisi”.

Contemporaneamente, il 27 di giugno, il Touring Club Italiano presentò una bella e suggestivapubblicazione intitolata“La Via Francigena nel Sud. Un percorso di 700 km da Roma a Brindisi”. Trentadue tappe raccontate in una guida: un itinerario trasversale,trapanoramiestoria,tratempliesantuaricristiani.

L’AssembleageneraledelleAssociazioniEuropeedella Vie Francigene tenutaaRomail 19marzo2015siespresseafavoredidefinireun’unicaViaFrancigena,daCanterbury fino all’imbarco pugliese per Gerusalemme, con diverse direttrici e sempre nel rispetto della storia edella cultura dei territori attraversati e delle popolazioni locali coinvolte. Quindi, di seguito, il Governing Board del Consiglio d’Europa riunito a Lussemburgo il 28 e 29 di aprile 2015, certificò l’estensione del tratto Sud della Vie Francigene:daRomaaBrindisi.

Finalmente, l’Istituto Europeo degli Itinerari Culturali, lo scorso 14 aprile 2016, ha decretatoufficialmentel’estensionedellaviaFrancigenadaCanterburyfinoaBrindisi: una realtà, che con i suoi 2300 chilometri, è diventata l’itinerario culturale più lungo nelprogrammadegliitineraridelConsigliod’Europa.

Ebbene, nonostante quelle tante e chiare certificazioni che ho qui sinteticamente indicato, si sono susseguiti negli anni anche paralleli tentativi di riaggiustamenti a favore di vari interessi dettati, più che dall’amore per la riscoperta della storia, dall’amoreperi potenzialirisvoltieconomicivantaggiosi cheilfenomenodellevie di fedepuòarrecareallecittàdaessocoinvolte.Sièpersinogiuntiapretenderedipoter sostenerel’idea,edèproprioilcasodidirlo“unpo’pellegrina”,chelamedievalerotta terrestre europea da Roma a Gerusalemme giungesse fino a Santa Maria di Leuca, comesequeiviaggiatoriequeipellegrininonconoscesserolageografiae,soprattutto, lastoriaedecidesseropertantodiprolungareilloropercorsoinpiùdiuncentinaiodi chilometri,perpoiimbarcarsi…madacheporto?

In tale contesto c’è però da chiedersi, e con urgenza: che ha fatto in tutti questi anni Brindisi? Cosa hanno fatto gli amministratori locali e cosa i cittadini? Temo che purtroppo, e spero sbagliarmi, non abbiano fatto molto in concreto e credo che, invece, molto si potrebbe e si dovrebbe fare per una grande risorsa culturale che bisognerebbe ben riconsiderare e che, ne sono convinto, gioverebbe tanto alla città quanto ai suoi abitanti, sia alla loro spiritualità e sia, di riflesso, alla loro economia. Spero quindi ci sia chi, di dovere o di piacere, ci stia già pensando e ci stia già lavorandoo,quantomeno,siad’accordonelraccogliereprestoquestomioinvito.

gianfrancoperri@gmail.com 7 Agosto 2016

La più antica e più illustre tradizione brindisina… unica in tutto il mondo e più preziosa

Pubblicato su il7.Magazine del 24 agosto 2018

GiovanniBattistaCasimiro,regionotaiobrindisinoedinsigneletteratoestorico,nella suafamosa‘EpistolaApologeticaaQuintoMarioCorradodiOria’del1567,aproposito dell’antichissima - antiquor et clarior - tradizione del‘cavallo parato’ in Brindisi, così scriveva:«Questo in nessun altro luogo della terra si è mai usato fare; tanto dunque più antica e più illustre è questa nostra tradizione, che né in Roma… né in alcun altro luogo della terra… ed è unica in tutto il mondo… e più preziosa…»

Quellatradizionedelcavalloparato,delresto,eragiàstatatramandatadall’ancorpiù antico storico brindisino della prima età angioina, Carlo Verano, nella sua ‘Historia Brundusina’scrittaverosimilmentetraisecoliXIVeXV,andatadispersaecomunque certamente ripresa dal medico e storico brindisino Giovanni Maria Moricino (15601628) nel suo manoscritto ‘Antiquità e vicissitudini della città di Brindisi dalla di lei origine sino all'anno 1604’, poi palesemente plagiato dal padre carmelitano Andrea DellaMonicaepubblicatonel1674coniltitolo‘Memoriahistoricadell´antichissimae fedelissimacittàdiBrindisi’.

Lì, vi si può leggere: «… Nella solennità che ogni anno si celebra del Santissimo Sacramento,l’arcivescovo,vestitopontificalmente,montainnanziallaportamaggiore delDuomosopraunbiancocavallo…portandonellemanilacustodiadoveèracchiusa lavenerabileEucharistia…sottoilcielodiunricchissimobaldacchino…»

Una singolarissima processione che annualmente commemora quanto accaduto, intorno all’anno 1250, in seguito al naufragio della nave su cui viaggiava il re di Francia Luigi IX portando con sé l’ostia consacrata. La nave si arrenò presso uno scogliocostieroacircatremigliadallacittàdiBrindisi,dovel’arcivescovoPietroIIIsi recò accompagnato da un gran numero di cittadini servendosi di un cavallo per coprire quel relativamente lungo tragitto. Lì, prese in consegna il calice contenente l’ostia consacrata e lo portò fino alla Cattedrale, in processione con il popolo che a piediseguivailcavalloconilsuocaricosacro.

E quando fu che a Brindisi iniziò quella tradizione commemorativa? Non ci è dato di conoscere con certezza storica la data esatta - forse fu il 4 giugno del 1265, se non ancorprima-masisacheilpapaUrbanoIV,conlabolla‘Transiturus’dell’8settembre 1264, istituì la festa del Corpus Domini, estendendo a tutta la Chiesa Universale la festa che si era originata nel 1247 nella città francese di Liegi e permettendo che nell’occasionesipotesseanche‘processionare’laSS.Eucaristia.

E si sa che il papa Giovanni XXII, eletto nell’agosto del 1316, per quella festa del Corpus Domini rese solennissima e obbligatoria in ogni villaggio della terra la processionedelSS.Sacramento,fissandonelospaziodi‘migliatre’:proprioladistanza cheseparaloscogliobrindisinodettodelCavallodallaCattedraleequindi,ilpercorso diquellaprimaprocessioneeucaristicaesternadellastoria,chenel1250ebbeluogoa BrindisialseguitodelSS.portatoacavallodall’anzianoarcivescovoPietroIII.

Durante i 714 anni compresi tra il 1250 e il 1964 - anno in cui la processione fu sospesaperpoiessereripristinatanel1970-furonoben62gliarcivescovidiBrindisi che,comeasseveralostoricoGiuseppeRomanelsuodocumentatissimolibroeditonel 1969 ‘Nella millenaria tradizione del Cavallo Parato’: «Tutti, anche di età grave o di malferma salute, giudicarono di non potersi sottrarre alla non lieve incombenza di portareilSS.inostensorio,cavalcandoanchefaticosamenteperleviedellacittà.

Non si trattava di una tradizione protrattasi nei secoli per mera tolleranza, bensì di unatradizione checomportavailripetersidiunconsensodiconvinta partecipazione attiva e personale dell’arcivescovo. Segno dunque che il carattere storico-religiosoliturgico era tale da non consentire a nessun vescovo di metterlo in discussione. E peraltro, sulla Cattedra brindisina non mancarono, nel corso dei secoli, prelati di straordinaria dottrina e di ricchissimo pensiero, tra i quali, per evocarne solamente tre di tre epoche diverse: Girolamo Aleandro, Francesco De Ciocchis e Annibale De Leo…»

E, per la storia di Brindisi e della sua Chiesa, sono da aggiungere alla lista anche gli altri 4 arcivescovi che fino ad oggi, per altri quasi 50 anni dopo quella breve sospensione, hanno processionato la SS. Eucaristia sul cavallo parato: Nicola Margiotta,SettimioTodisco,RoccoTaluccieDomenicoCaliandro.

I Brindisini siamo orgogliosi della nostra storia e delle nostre tradizioni e quella del ‘cavallo parato’ è certamente la nostra più amata ed originale delle tradizioni: in assoluto unica al mondo e, anche per questo, da preservare sempre e per sempre, come è stata - in effetti - preservata, nonostante nel trascorso dei secoli non siano mancativaritentatividiannullamento,tutti-puntualmenteeperfortuna-falliti.

Il Sacro Concilio Tridentino, che durò 18 anni dal 1545 al 1563, pur avendo stabilito principi di rigore in fatto di riti e di cerimonie, ratificò l’autorizzazione alla processione del ‘cavallo parato’ di Brindisi. Durante quel famoso Concilio, fu papa Paolo IV che era stato arcivescovo di Brindisi dal 1524 al 1542. Preparatore ne fu il celebrecardinale GirolamoAleandro, già arcivescovodiBrindisi e vipartecipòanche l’arcivescovobrindisinoGiovanniCarloBovio.

Però,nel1605giunseaBrindisidallaSpagnailnuovoarcivescovoGiovanniFalcesdi S.Stefano,ilqualeappellòlaprocessionedel‘cavalloparato’allaSacraCongregazione dei Riti. E questa respinse il ricorso sentenziando, nel 1611, che le lodevoli e immemorabili tradizioni della Chiesa brindisina non potevano essere derogate dal cerimonialedeivescovi.

Poi, il papa Paolo V nominò una commissione di cardinali della Sacra Congregazione dei Riti, col compito di procedere alla revisione di tutti i riti particolari e i risultati furono pubblicati con bolla papale del 17 giugno 1614, senza che in essi vi fosse revisionealcunarelativaalritoparticolaredel‘cavalloparato’diBrindisi.

Centocinquantaannidopo,ilpapaBenedettoXIVordinòun’ulteriorerevisionedeiriti edellecerimoniedellaChiesaUniversale,dandoneincaricoalpadreGiuseppeCatalani e promulgando poi, con bolla del 26 marzo 1752, il nuovo Rituale Romano in cui si regolavaancheilcerimonialedellaprocessioneeucaristicadelCorpusDomini.

Dopo pochi giorni da quella promulgazione divenne arcivescovo di Brindisi il dottissimo teologo Giovanni Angelo De Ciocchis e il 1º giugno di quello stesso 1752, giorno del Corpus Domini, «… calò in Chiesa con veste viatoria, stivaletti, cappello e bastone,salìsultrono,siposeilcàmiso,cappamagnaemitria,eintalformasiposea cavallo,alsolito,econtuttalamitriaportònostroSignore».

IlpropriopadreCatalani,infatti,ebbeascrivere:«…Altrodiversomododiportarein processioneilSS.Sacramentoènellamanieracheèdescrittanella‘StoriaBrundusina’ di Giovanni Carlo Verano. Il SS. è condotto per la città su un bianco cavallo, reso mansuetoericcamentebardato.Perilche,intalgiornol’arcivescovovestitodegliabiti sacerdotali con piviale, cavalcando tal cavallo, suole portare il SS. che da due accoliti viene continuamente incensato, sotto un baldacchino recato da sei canonici solennemente salmodianti, mentre i due Primati della città, cioè il governatore e il sindaco,veloconduconoreggendopermanoilfrenodelcavallo…»

Eperconcludere,nientedipiùappropriatochelaseguentesacrosantaaffermazione:

“Le tradizioni popolari, specie quando immemorabili, sono un aspetto dell’anima stessa del popolo che le esprime; e pertanto vanno riguardate con più attento cuore, piuttostocheconpiùattentaragione”-GiuseppeRoma,1969-

Il Duca di Atene: un personaggio trecentesco temuto e odiato dai brindisini

Pubblicato sul il7 Magazine dell’8 settembre 2017

Nella “Storia e cultura dei monumenti brindisini” di Rosario Jurlaro - 1976, si legge: «Nel periodoangioinoinBrindisifucostruitoilpalazzodelDucadiAtene,delqualealcunecamere delpianoterraconvolteacrocieracostolonatesipossonoancoravedereall’angolotraviaSan FrancescoeviaFilomenoConsiglio».

Nella“Brindisiignorata”diNicolaVacca-1954,silegge:«Edificipubblicinotevoli,iprincipali dellacittà,affacciavanooeranoadiacentiallarugaMagistra.Dallapartedelmaresielevavail grandiosopalazzodelDucad'Atenech’erastato,aldirdelCamassa,ilsitodove,aitempidella dominazionediRoma,sorgevalacasadiPompeo».

Nella“AntiquitàevicissitudinidellacittàdiBrindisidalladileioriginesinoall'anno1604”di GiovanniMoricino,silegge:«Operaveramentemagnificaereale,contuttociòcheoggisolola minor parte di essa stia in piedi, si scorgono tuttavia nelle rovine degli altri membri del palagio i bagni, che secondo l’usanza antica l’adoperavano in quella casa; la fabbrica è tutta variata di pietre mischie, l’una rossa e l’altra bianca, chiamate dai paesani l’una carparo e l’altra serra d’aspro, distinte tutte in linee alternate tra loro, ch’una è tutta di pietre rosse e l’altra tutta di bianche, sono però tutte le pietre quadrate. Si vede fino ad oggi su la porta principale di questo palazzo l’effigie del detto Duca d’Atene suo autore, scolpita nel sasso a cavallo. Nei tempi che seguirono il palazzo ha servito per tribunale e stanza dei regi governatoriegiudicidellacittà:ledetteCasedellaCorte».

Nella “Brindisi nuova guida” di Giacomo Carito - 1994, si legge: «Di quel palazzo, nel 1777 Henry Swinburne ne descrive ancora la struttura diruta che nel maggio del 1778, designata quale ‘cava per il fabbrico delle casse del gran canale’, viene per la gran parte demolita dal Pigonati.Eleattualipersistenzepaionodatabilialsecoloquindicesimo».

E quali sono queste attuali persistenze? E chi era quel famigerato Duca di Atene? Ebbene, le attualipersistenzesonoilocalidiquellacheneglianni‘60fuunafrequentatissimacantina‘cu la frasca ti la murtedda’sullaportad’ingressoenegli‘80delristorante“Acropolis”nonchédi quello che è l’attuale ristorante “Penny”. Invece, in quanto al temuto e odiato Duca di Atene, bisognaandareaspulciarequalchevecchiapaginadistoriabrindisina.

IlDucatodiAtenefucostituitoinGreciadaOttoneLaRocheconlaquartacrociatadel1205e nel1308passòaGualtieriVdiBrienne,figliodiUgo,contediBrienneConversanoeLecceedi IsabellaLaRoche,figliaGuidoILaRoche,DucadiAtene.Nel1311ilducatofuoccupatodagli Aragonesiche,inbattaglia,ucciseroGualtieriV.Dal1395al1402iVenezianicontrollaronoil ducato e nel 1444 Atene divenne tributaria del trono bizantino. Nel 1456, dopo la caduta di Costantinopoli,laconquistaottomanasiestesealducato,chenel1460cessòdiesistere.

A Gualtieri V succedete il figlio Gualtieri VI di Brienne conservando il titolo, ormai solo nominale,diDucadiAteneefuluichecuròlarealizzazionedelsuntuosopalazzodiBrindisi, dove risiedevaconl'incarico di regio rivenditore delle gabelle e dove, nellacattedrale, sposò nel1325Beatrice,figliadiFilippoIprincipediTaranto.

GualtieriVI,avventurieroeambizioso,nel1343s’insignorìsubdolamentediFirenze,dadove però fu presto e clamorosamente scacciato ‘perché avaro, traditore, crudele, lussurioso, ingiusto espergiuro’e tornò inTerra d’Otranto, visitando spesso il suo palazzo di Brindisi,a queltempocittàdemaniale,doveperaltroeratemutoeodiatoperlasuamalcelataambizione d’insignorirsidellacittà.

In quello stesso 1343 morì il re di Napoli, Roberto D’Angiò, e gli succedette la sua giovane figlia Giovanna I, la quale nel 1346 nominò Enrico Cavalerio Gran maestro degli Arsenali di PugliaeProtontinodelleGalerediBrindisi,persuccedereaFilippoRipa.

Ebbene,EnricoeFilippoappartenevanoalleduefamigliepiùpotenti,ealcontempoacerrime rivali,diBrindisi.Proprioquellanominascatenòisanguinosieventichenel1346coinvolsero esconvolserol’interacittà,allorchéFilippo,capodelpotenteenobilecasatodeiRipa,presein potere la città seminando persecuzione e morte tra i suoi avversari, in primis i membri dell’altrettanto potente e nobile casato dei Cavalerio, di cui Enrico era al tempo il massimo rappresentate.

Intorno ai Ripa si raccolse la massa dei contadini e intorno ai Cavalerio quella dei marinai, sicchélacittà,ancheperilfattochetuttelealtrefamiglieimportantisischieraronodall’unao dall’altra parte, risultò divisa in due fazioni contrapposte. Il Ripa arringò contro i Cavalerio i contadini,aquell’epocaaffamatidallacarestiasusseguitaaunagravepeste,convincendoliche il grano era finito nei depositi dell’avversario e, in una sanguinosa notte, non meno di una ventinafuronolevittimedellaviolenza,fracuilostessoEnricoCavalerio.

Quei gravi fatti instaurarono una specie di dominio del terrore del Ripa e, finalmente, indussero il governo angioino di Napoli, il cui rappresentante provinciale Goffredo Gattola nullaavevapotutofarepercontrastarequellasituazione,aintervenireperristabilirel’ordine epunireiresponsabilideitantigravicriminiperpetrati.

Efuinquelconfusoedinstabilecontestoche,nel1353,perregiomandatoaidannidiFilippo Ripa,viceammiragliodelregnoeprotagonistanellaguerracivilecheavevadesolatolacittàe vistolasconfittadeiCavalerio,GualtieriVImarciòsuBrindisicon400cavallie1500fanti.Per cuiilRipa,minacciatod’arresto,trovòscamponellafugadallacittàallavoltadellaGrecia.

I Brindisini però, ben conoscendo il carattere e le intenzioni di quel Duca di Atene, temendo che l’odiato Gualtieri VI volesse insignorirsi della città ormai allo sbando, manifestarono alla regina Giovanna I il desiderio che la città potesse rinunciare allo status demaniale e fosse incorporataalpotenteprincipatodiTarantodell’alloraprincipeRoberto,cognatodellostesso GualtieriVI.Ecosìfu.EilDucadiAtenesiritiròinFrancia,dovenel1356morìnellabattaglia di Poitiers. E a Brindisi restò il suo suntuoso palazzo, che passò a sua sorella Isabella di Brienneepoiallanipotediquest’ultima,Mariad’Enghien,lacelebrecontessadiLecce

Il Duca di Atene Gualtieri VI di Brienne Stemma del Duca di Atene (Reggia di Versailles, Galleria delle battaglie)

Brindisi al tempo dello scisma d’occidente sotto i re durazzeschi:

60 anni difficili lugubri e incerti a cavallo tra il secolo XIV e il XV

Pubblicato su.Brindisiweb.it e, parzialmente, su ocean4future.org

Nel contesto del regno di Napoli di quegli anni

IlreCarloIId'Angiòdettolozoppo,padrediRobertoesuccedutonel1285sultrono del regno di Napoli a suo padre, Carlo I d’Angiò che nel 1268 lo aveva strappato definitivamenteagliSvevidellacasatadegliHohenstaufen,nominòducadiDurazzoil suosettimofiglio,Giovanni,edunnipotediquesti,Carlo,terzoducadiDurazzofiglio di Luigi, nel 1369 sposò Margherita, sua cugina e figlia di Maria nipote di Roberto e sorella di Giovanna I regina di Napoli succeduta nel 1343 al nonno Roberto, acquistandoconquelmatrimonioidirittiperla successione alregnodiNapoli, come CarloIIIdiDurazzo.

In effetti, la regina Giovanna I, che non aveva avuto figli da nessuno dei suoi quattro mariti, nominò Carlo diDurazzo suo erede, mapoi, a causa della grave crisi religiosa scoppiata nel 1378 con lo scisma d’occidente -mentre la regina Giovanna I si schierò con l'antipapa Clemente VII, Carlo di Durazzo si schierò con il legittimo pontefice

Urbano VI- trasferì la designazione al trono diNapoli a Luigi I d'Angiò, suo cugino in secondogradoefratellodiCarloVrediFrancia.

LoscismamaturòquandoilpapaGregorioXI,chenel1377avevariportatoaRomala sede papale dopo più di settant’anni di residenza ad Avignone in Francia sotto la protezione di quel regno, spirò il 27 marzo 1378 e il conclave elesse papa l'arcivescovo di Bari, il napoletano Bartolomeo Prignano, che assunse il nome di UrbanoVI.

UrbanoVI, iracondopernatura, dicaratterealteroepocodispostoallamoderazione, si rifiutò di ritornare ad Avignone e incominciò presto ad alienarsi gran parte del SacroCollegio,etuttiinumerosicardinaliultramontani,riunitiil9 agosto1378nella cittàdiAnagni,dichiararonolasuaelezioneinvalida,inquantoforzatadallepressioni popolari.

Poi, il 20 settembre si riunirono a Fondi, in territorio napoletano sotto la protezione della regina Giovanna I d’Angiò, ed elessero in conclave un nuovo papa, Roberto di Ginevra,cuginodelsovranofrancese,chepreseilnomediClementeVIIeche,dopoun vano tentativo armato di prendere possesso di Roma, nel 1379 si ritirò ad Avignone, ediviinstauròunanuovaCuria.

Con due pontefici in carica, la Chiesa occidentale per quarant’anni fuspezzata in due corpiautocefalielastessacomunitàdeifedelirisultòdivisafra"obbedienzaromana" e "obbedienza avignonese". Inoltre, da questione puramente ecclesiastica, il conflitto si trasformò ben presto in una crisi politica di dimensioni continentali, tale da orientare alleanze e scelte diplomatiche in virtù del riconoscimento che i sovrani europeitributaronoall'unooall'altrodeiduepontefici.

IlpapaUrbanoVIscomunicòGiovannaIeincoronòrediNapoliCarloIIIdiDurazzo,il qualenel1381invaseilregnoeusurpòiltronodiGiovannaI, mentreildesignatoda GiovannaIaltrono,LuigiId’Angiò,fuincoronatorediNapolidall’antipapaClemente VII e nel 1382 scese in armi in Italia appoggiato dal re di Francia, iniziando così una contesache,ripresapoidasuofiglioLuigiIId’Angiò,siprotrasseperdecenni,contro tuttietreiredurazzeschi:CarloIIIeisuoiduefigli,LadislaoeGiovannaII.

Nello stesso anno, 1382, Carlo III fece assassinare la deposta e incarcerata regina Giovanna I e dopo qualche anno, nel 1384, Luigi I d'Angiò morì in Italia, a Bari, in seguito alle ferite riportate nell’attacco a Bisceglie, sanzionando la sua morte il fallimentodellaspedizione.

Nel1386però, ancheCarlosIIIdiDurazzo, consolidatorediNapoli, morìavvelenato inUngheriaesultronodiNapoliglisuccedetteilsuogiovanissimofiglioLadislao,nato nel1375,sottolareggenzadellamadreMargheritadiDurazzo.

Nel 1389, alla morte del papa Urbano VI, i cardinali romani elevarono al soglio pontificio Pietro Tomacelli, che assunse il nome di BonifacioIX, mentre ad Avignone, scomparso Clemente VI nel 1394, fu eletto Pedro Martinez de Luna, con il nome di BenedettoXIII.

Nel1390,LuigiIId'Angiòriuscìnell’intentofallitoasuopadreepotéoccupareNapoli, scacciando il re Ladislao e la madre Margherita. Ladislao però, poté riconquistare la cittànel1399emorìsultronodiNapoli,improvvisamenteesenzaprole,nel1414.Gli succedette la sorella Giovanna II che, benché maritata due volte, non ebbe figli e fu pertantodestinataaesserel'ultimarappresentantedellacasatarealedurazzesca. Nelcamporeligioso,dopovaritentativifallitiperl'opposizionedeidiretticontendenti, ipapiegliantipapiditurno,lasoluzioneconciliareallacrisidellaChiesafuimpulsata quando la maggior parte dei cardinali di entrambe le parti volle tentare la via del compromesso e in un concilio riunito nel 1409 a Pisa, si stabilì la deposizione di BenedettoXIIIediGregorioXIIcheerasuccedutoaBonifacioIX,esielesseunnuovo pontefice, che salì al trono papale col nome di Alessandro V. Però, Benedetto e Gregorio,sostenutidalarghistratidelmondoecclesiastico,dichiararonoillegittimoil concilio e si rifiutarono di deporre la carica, cosicché da due, i papi contendenti divennerotre.

Qualcheannodopo,nel1414,grazieall'iniziativadiSigismondodiLussemburgoedel nuovo pontefice Giovanni XXIII, succeduto nel frattempo ad Alessandro V, fu convocato un concilio a Costanza, e i padri conciliari dichiararono antipapi sia Benedetto XIII che Giovanni XXIII, e poi il papa Gregorio XII, per il bene della Chiesa, preferìdimettersi.

Il concilio si prolungò fino al 1417 e dopo due anni di sede vacante, nel corso di un breve conclave, l’11 novembre, si elesse pontefice il cardinale Oddone Colonna, che assunse il nome di Martino V, sancendo la definitiva ricomposizione dello scisma, la fine delle lotte tra papi e il ripristino di Roma quale sede naturale della cattedra apostolica.

IlregnodiNapoliinvece,sucuiinqueglianniavevacominciatoaregnareGiovannaII diDurazzo,continuòadesserefunestatodallaguerracivile,questavoltatragliantichi protagonistiangioinieinuovicontendentiaragonesi, inquantolaregina durazzesca, estintasi la dinastia per mancanza di discendenti diretti, dapprima -nel 1421proclamò suo erede e successore Alfonso V d'Aragona, poi -nel 1423- scelse Luigi III d'Angiòe,quindi-nel1434-dopolamortediquest'ultimo,ilfratelloRenatod’Angiò. Poi, quando con la morte nel 1435 di Giovanna II ebbe termine la dominazione durazzescasulregnodiNapolienel1442,dopomoltepliciealternebattaglie,Alfonso V d’Aragona già re di Sicilia, riuscì a prevalere sull’altro pretendete al trono, Renato d’Angiò, iniziò la dominazione aragonese del nuovamente unito regno delle Due Sicilie.

Il contesto in cui si trovò inserito Brindisi in quegli anni

E cosa nel mentre accadeva nel contesto più vicino a Brindisi in quei sei decenni compresitrail1380,quando,scoppiatoloscismad’occidente,CarloIIIdiDurazzosalì sul tronodelregnodi Napolieil1440, quando, chiusolo scismad’occidente emorta Giovanna II ultima dei durazzeschi sul trono del regno di Napoli, gli Aragonesi conquistaronoilregnounendolonuovamenteaquellodiSicilia?

Brindisi,ancheseconimportantiefrequentidiscontinuità,erastoricamentegravitato nell’orbita del principato di Taranto che, fondato nel 1088 dal normanno Roberto il guiscardo a favore di suo figlio Boemondo, nel corso degli anni fu più volte smembrato, sia perché i suoi principi donavano parte dei loro domini per ricompensareservigiricevutiesiaperchéisovraninapoletaninesottraevanoterritori chedonavanoinvassallaggioquandoavvertivanotimoreperlacircostanzialepotenza raggiuntadalprincipato.

Quest’ultimoerastatoilcasoquandonel1376lareginadiNapoliGiovannaId’Angiò, sottraendolo al suo legittimo titolare Giacomo Del Balzo, lo aveva concesso al suo quarto marito Ottone di Brunsvick notevolmente ridimensionato dal punto di vista territoriale per contrastare le aspirazioni autonomiste e centrifughe che si erano manifestateconl’ultimodeiprecedentiprincipi,FilippoIIquartogenitofigliodiCarlo II d’Angiò, morto nel 1374 e succeduto, appunto, dal nipote Giacomo Del Balzo, figlio disuasorellaMargherita.

Lo scoppio dello scisma d’occidente ebbe immediata ripercussione in tutte le numerosearcidiocesipugliesi,compresequellediCapitanata,quellediTerradiBarie quelle di Terra d’Otranto dove, a partire dalla primaziale Otranto, il suo presule Giacomo da Itri, arcivescovo fin dal 1363, aderì da subito alla protesta e quindi da subitiappoggiòl’antipapaClementeVII.

Giacomo da Itri fu il primo dei nuovi cardinali promossi da Clemente VII e fu, naturalmente, scomunicato dal papa Urbano VI, che quindi nominò per Otranto un nuovoarcivescovocheperòrestòtalesolonominalmenteemaifuaOtranto,vistoche praticamentel’interacuriaotrantinaaderìalloscisma.

EaBrindisi,Lecce,TarantoelamaggiorpartedellealtrediocesidiTerrad’Otranto,gli eventiimmediatiseguironolostessocanovaccio.

«…InCapitanata,su12sedivescovili,andaronoesentidalleconseguenzedelloscisma solamente 2: Ascoli Satriano e Dragonara. In Terra di Bari, rimasero fuori dall’orbita scismaticasoltantoMinervinoeRuvo. InTerra d’Otranto,su12vescovatinonfurono contagiatiMottolaeCastellaneta.

Dunque,su40diocesipugliesi,unicamente6nonprovaronoglieffettidiquelluttuoso disordineeben34ebberoasubirescompigliconintrusionedivescovida partedegli antipapi,conscandalosaduplicazionedipresulicontemporaneiefralorobattaglianti, conunclerodubbiosoachiobbedire,conripercussionisuifedelieconilpullularedi fazioni, in quanto ecclesiastici e laici formarono nella casa di Dio covi di antitesi, parteggianti chi per i papi legittimi, chi per gli antipapi, chi per il vescovo nominato dalpapa,chiperquellodell’antipapa.

Sein34dellesedivescovilipugliesi,tralafinedelSecoloXIVeilprincipiodelSecolo XV, papi e antipapi crearono, gli uni legittimamente i vari successori dei presuli altrove trasferiti, o cacciati dagli scismatici, o defunti, gli altri le loro creature con deliberatadelittuosaillegittimità,anchenellealtrerimanenti6diocesipugliesiesenti dallo scisma, andò creandosi un malessere e queste ne risentirono di riflesso, e non lievemente.

EvaanchericordataOria,laqualenesoffrìdirettamente:ancheseperalloragiànon era sede vescovile, era stata tale ben prima e conservava ancora tutta la sua grande importanzaecclesiasticad’untempo…» -Francesco Badudri-

Al sorgere della lotta per il trono napoletano tra Angioini e Durazzeschi seguita allo scoppiodelloscismad’occidente, conlaconseguente defenestrazionediGiovanna Ie la salita sul trono di Napoli di Carlo III di Durazzo, il principato di Taranto fu recuperatoperunbreveperiododitempodaGiacomoDelBalzo.

Pocodopo, infatti, isuoicontrasti conilsovranofuronosfruttati daRaimondoOrsini

DelBalzo, perqueltempouncapitanodiventura, ilqualeinvestitodellacustodiadel castello come luogotenente dallo stesso Giacomo, assunse -anch’egli però, solo temporalmente-inproprioilpossessodelcastellotarantinocometitolaredisupposti diritti ereditari, in quanto figlio diNicola Orsini conte diNola e di Maria Del Balzo discendentediunasorelladelGiacomo

Infatti, quando Luigi I d’Angiò invase il regno di Napoli nel tentativo di liberare la reginaGiovannaIerimetterlasultronochegliavevausurpatoCarloIIIdiDurazzo,si diressesullaPugliaenel1383acquisìilprincipatodiTarantoche,pertanto,tornòad esserenominalmenteintitolatoaOttonediBrunsvick,ormaivedovodiGiovannaI.

E questi lo continuò a conservare anche dopo la morte, nel 1384, di Luigi I d’Angiò, giacchépensòbeneditrasmigrarerapidamentealbandodurazzesco,mantenendopoi ilprincipato,nominalmentefinoallapropriamorte,avvenutanel1398.

Nel1385,RaimondoOrsiniDelBalzosposòMariad’Enghien,figliadelconteGiovanni di Lecce e di Sancia Del Balzo che gli portò in dote il dominio sulla contea di Lecce nonché le baroniedi Mesagne e diCarovigno, con un matrimonio dovuto al sostegno dellacortediLuigiIID’Angiò,checontavaRaimondotraisuoipiùfedeliservitori,ea quellodelpapaUrbanoVI,cheRaimondoavevaliberatonelluglio1385dall’assediodi NoceraperpetratodaCarloIIIdiDurazzo.

Poi, tra il 1386 e il 1398, in seguito alla morte di Carlo III di Durazzo e alla salita sul trono di Napoli del suo giovanissimo figlio Ladislao sotto la reggenza della madre Margherita, nonché grazie al temporale insediamento sul trono di Napoli di Luigi II d’Angiònel1390, Raimondopotéestendereilsuopotereanchesu Brindisi, Molfetta, Monopoli, Gallipoli e Martinafranca con il sostegno di alcune delle diverse parti in lotta nel regno e poi, con il sostegno di Luigi II d’Angiò, poté anche espropriare al padreealfratellolaconteadiSoleto.

Inoltre,inCampania,preseinpegnoequindicompròdaOttonediBrunsvick,lacontea di Acerra e diversi casali, Marcianise, San Vitaliano e Trentola, mentre in Irpinia detennelebaroniediFlumeriTrevicoeGuardiaLombarda.

Sul finire del 1398, rendendosi conto della imminente capitolazione di Luigi II

D’Angiò,ilRaimondoOrsiniDelBalzocompìunclamorosovoltafaccia,facendoattodi sottomissioneaLadislaodiDurazzo,unamossacheglivalselapromessadellafutura concessione reale del sempre ambito principato di Taranto, che si concretizzò nel 1399, pocodopolamorte delprincipetitolareOttone di Braunschweig, anchesecon unaconsistenzaterritorialenuovamenteesensibilmentediminuita.

Matera, Castellaneta, Laterza, Massafra e Gioia del Colle furono distaccate dal grande feudo e infeudate come contea di Matera a Stefano Sanseverino, mentre Polignano a MarefuconcessaaLorenzoAcciaiolieinseguitoinglobataneldemanioregio.

Al contempo inoltre, Raimondo fu obbligato a rinunciare alla signoria su Brindisi, Barletta e Monopoli, che Ladislao infeudò a sua madre Margherita di Durazzo, alla qualeconcessepureGravina,BitontoeVenosa.

Comunque,conilprincipato,perquell’epocadifattoancorailfeudopiùestesoditutto il regno di Napoli, nella Terra d’Otranto Raimondo Orsini Del Balzo sommò per sé vastipossedimenti,anchesesparsi,etraquelli,FrancavillaFontana,Gallipoli,Ginosa, Martinafranca, Mottola, Nardò, Oria, Ostuni, Ugento, Tricase e Taranto, sui quali governòcomportandosicomeunprincipeprerinascimentale,incompletaautonomiae dandogranderilievoall’arteeallacultura.

Del resto, il suo potere su tutti quei territori, vista la lontananza e la debolezza della coronadurazzesca,aquell’epocafupressochéillimitato.

Conilritornodelregnosottoilcontrollodurazzesco,nel1399,l’arcidiocesidiOtranto potéessererioccupatadaunarcivescovodiobbedienzaromana,Filippo,nominatodal papaBonifacioIXsuccedutoaUrbanoVI,econilsuoarrivonellachiesaotrantina,una volta allontanato l’arcivescovo Riccardo per ordinedelprincipe Raimondo Orsini Del Balzo,loscismaintuttalaTerrad’Otrantoebbepraticamentetermine.

Del resto, la caduta di Luigi II d’Angiò, la scomparsa di scena dell’antipapa Clemente VII, l’abilità politica del nuovo papa romano Bonifacio IX e l’energica pressione del principe di Taranto Raimondo Orsini Del Balzo, tolsero ogni possibilità agli ecclesiastici aderenti allo scisma di poter rimanere in carica nelle loro sedi, anticipando,difatto,ladefinitivaetotaleconclusionedelloscisma.

IrapportifrailpotenteprincipediTarantoRaimondoOrsiniDelBalzoeilreLadislao si guastarono in pochi anni e, sul finire del 1405 indotto dal papa Innocenzo VII, Raimondo ricambiò bando e si ribellò a Ladislao: concesse in tutti i suoi territori un indulto ai seguaci di Luigi II d’Angiò e si mise a capo di un’alleanza militare antidurazzesca.Mapocodopo,il17gennaio1406,morìdicolpo.

A quel punto, la moglie di Raimondo, Maria d’Enghien, con i due figli minorenni GiovanniAntonioeGabriele,sitrasferìdaLecceaTaranto,chepiùfacilmentepoteva esseredifesadall’imminenteattaccodiLadislao epotevaricevererinforzidall’alleato LuigiIId’Angiò,semprerisolutoariprendersiilregnodiNapoli.

Maria d’Enghien e Luigi II d’Angiò strinsero anche un preciso accordo che, tra altro, prevedeva per il figlio primogenito di Maria, Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, il principatodiTarantonellasuaarticolazione feudaleintegraledeltempodelprincipe Filippo II (composto da Taranto, Massafra, Palagiano, Mottola, Castellaneta, Laterza, Ginosa, Gioia del Colle, Martinafranca, Polignano, Ostuni, Oria, Nardò, Gallipoli, OtrantoeUgento),letreconteediSoleto,diLecceediCastro,lebaroniediMesagnee diCarovigno,nonchéidueimportantiportidiBarlettaeBrindisi.

Però,ilfatogiocòunbruttoscherzoaiduecospiratorielaflottaapprontatadaLuigiII d’Angiòconl’esercitoeiltesoromonetario,naufragòappenasalpatadaMarsigliail26 dicembredel1406.

E così, quando a metà di aprile 1407 il re Ladislao giunse con il suo esercito sotto le mura di Taranto, incalzata da una situazione ormai chiaramente senza una possibile via d’uscita e su consiglio del suo stesso comandante delle truppe, Maria d’Enghien iniziòsubitoletrattativeperlaresachesiconcluseromoltorapidamente,il23aprile, conilsuomatrimonioconilre.

MortoLadislaosenzaeredidirettinell’agosto1414,glisuccedettelasorellaGiovanna II di Durazzo, la quale inizialmente fece imprigionare Maria d’Enghien e i suoi figli, Giovanni e Gabriele, rendendogli dopo pochi anni la libertà e restituendogli poi la contea di Soleto e la baronia di Flumeri, nonché Altamura e Minervino Murge. E finalmente, il 4 maggio 1420, il quasi ventenne Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, natoaLecceil9settembre1401,fuinfeudatoconilprincipatodiTaranto.

Scoppiatonel1423il conflittotraAragonesie Angioini perlasuccessione altronodi Giovanna II, il principe Orsini Del Balzo inizialmente non prese posizione. In seguito, però, quandoGiovanna IIinsignìil suoavversarioGiacomoCaldoradeltitolodi duca diBari,sischieròdallapartediAlfonsoVd’Aragona.

Lareginaalloraloconsideròunribelleenell’estatedel1434feceoccuparedaCaldora quasi tutti i suoi possedimenti in Terra d’Otranto, che però Orsini Del Balzo riuscì a riconquistareinbrevetempo.

Dopo la morte della regina Giovanna II, avvenuta il 2 febbraio 1435, nel conflitto tra Alfonso V d’Aragona e il nuovo erede designato al trono, Renato d’Angiò, fratello minore di Luigi III d’Angiò anteriore erede designato da Giovanna II, il principe GiovanniOrsiniDelBalzopresedinuovolepartidell’aragoneseecosì,dopolavittoria definitiva di questi contro i d’Angiò, nel 1442, si trovò a essere il più potente feudatariodelnuovoregnodelleDueSicilie:

“signoredipiùdi400castelli,ilcuidominiosiestendevadaMariglianoaLeucaeacui, dopolamortedellamadreMaria,siaggiunseroleconteediLecceediSoleto” .

Estintaladinastiadurazzescaedebellatepersempre lepreteseangioinesulregnodi Napoli,l’interaTerrad’OtrantoelapartemeridionaledellaTerradiBarifinironosotto ildominiodelpotenteprincipediTaranto.

Urbano VI Clemente VII Giovanna I Carlo III Ladislao Giovanna II Margherita di Durazzo Maria d’Enghien Giovanni Orsini Del Balzo Luigi I Luigi II Luigi III Renato

A Brindisi…

loscismad’occidentedel1378incontròlacittàinpredaaunasituazionedifortecrisi, giacchénonsieraancoradeltuttoripresadaigravissimifatticheunatrentinad’anni prima l’avevano sconvolta, generati dalla violenta lotta civile tra le due più potenti famiglie della città -i Ripa e i Cavalerio- che, in seguito a una grave carestia esplosa pochiannidopol’insediamentosultronodiNapolidellareginaGiovannaId’Angiò,era sfociata nel 1346, in una serie di delitti d’ogni genere: saccheggi, incendi, distruzioni edassassinii.

L’impotente governatore provinciale, il napoletano Goffredo Gattola, fu espulso da Filippo Ripa entrato in città con mille armati e la situazione poté finalmente essere controllatasolo grazie all’intervento del principedi TarantoRoberto che, nellatotale assenza di una autoritaria azione del troppo lontano governo centrale del regno, decise di porre ordine tra tanta violenza e tanta anarchia e di scongiurare anche il tentativodelsuo“crudele,avaro,traditore,lussurioso,ingiustoespergiuro”fratello,il ducadiAteneGualtieriVIdiBrienne,diimpadronirsidellacittàdiBrindisi,ormaiallo sbando.

Robertoinviòisuoiuominiarmatiincittà,dadovecacciòiRipachesieranomacchiati di gravissimi delitti e di assassinii con cui avevano quasi annientato i Cavalerio e quindi, ristabilì l’ordine e la legge riuscendo finalmente a pacificare l’intera città. E i cittadini di Brindisi, in riconoscimento e in cerca di protezione, manifestarono il desiderio che la città fosse incorporata al principato di Taranto dal quale in quegli annisitrovavaesclusa,un’appartenenzachepoisiformalizzònel1353.

Del resto, già negli anni prossimi al concludersi il regno di Roberto d'Angiò, figlio di Carlo II e nonno di Giovanna I, che regnò a lungo fino al 1343, le condizioni economiche di Brindisi erano talmente depresse che un incaricato del Giustiziere di Terra di Bari, che aveva avuto l'ordine di vendere una certa quantità di zucchero, comunicò che la città, pur essendo centro marittimo e mercantile importante, era quasi deserta e spopolata e che non aveva trovato chi potesse comprare lo zucchero dellaCuria.

Poi,allacarestiadel1345ealladesolazionedelleviolenteesanguinoselottecittadine del1346,siaggiunseanchelatristementecelebrepestedel1348ecosìl’interacittàdi Brindisi sprofondò per anni in totale miseria, tanto da indurre il governo centrale di Napoli ad esonerarla temporalmente da ogni gravame e a concederle vari altri privilegiefranchigie.

Maormai,congliAngioiniinsediatialgovernodiNapoli,nelregnosieraformataepoi fortemente radicata una élite internazionale, in particolare fiorentina, che in Terra d’Otrantoavevastabilitolasua sedeaLecce, cheapartiredaqueltempoassunseun ruolo decisamente competitivo e poi economicamente e culturalmente prevalente rispettoalleantichevicinecittàdimare,Brindisiinprimis,chepersecolinonebbepiù molteopportunitàdiritornareall’anticosplendore.

Appena eletto antipapa, nel 1378, Clemente VII considerò Brindisi, sapendolo centro storico cristiano di fama pietrina, come sede di sua giurisdizione ed ebbe molto a cuore accaparrarsi la piena adesione della sua chiesa arcivescovile dove, proprio nel 1378morìl’arcivescovodomenicanoPietroGiso,dettoPino,presulediBrindisifindal

1352. Clemente VII quindi, il 7 febbraio 1379, elesse arcivescovo di Brindisi Gorello, che fu detto anche Guglielmo, già poderoso tesoriere della basilica di San Nicola di Bariescismaticoconvinto.

Il papa Urbano VI oppose a tale nomina illegittima quella, di fatto solo teorica, di Marino del Giudice, trasferendolo dalla diocesi di Cassano, da dove era già stato cacciato da Clemente VII e sostituito con Andrea Cumano. Ma Marino mai si poté insediare a Brindisi, e neanche a Taranto dove fu poi nominato da Urbano VI e dove invece si insediò Martino, già vescovo di Tricarico, nominato dall’antipapa Clemente VIIepoisostituitodaMatteoSpina,giàarcivescovodiTrani,chegli successedopola morte.

E perl’arcidiocesidiBrindisi, l’11giugno1382 ilpapaUrbanoVlelevòaarcivescovo Riccardo Ruggieri, un uomo prudente poi molto stimato anche dal re Ladislao di Durazzo,cheesercitòl’incarico,piùomenodatitolare,finoal1409.

IneffettiaBrindisi,comedelrestoaOtrantoeintuttalaPuglia,ClementeVIIavevale spalle coperte dal favore della regina di Napoli Giovanna I d’Angiò e, inoltre, aveva rapidamente distribuito favori, dignità, onori e aggiudicazioni di beni e prebende a canonici,abati,presbiteriechierici,ondelamaggioranzadelcleroappoggiòloscisma control’iracondopapaUrbanoVI, chenon potéfarnull’altro cheinviarecomelegato pontificioilcardinaleGentiledeSangrochedichiarònominalmenteillegittimituttigli appartenentialcleroaderentialloscisma.

Seguita, nel 1381, la deposizione e imprigionamento della scomunicata regina

Giovanna I d’Angiò a opera di Carlo III di Durazzo incoronato re dal papa Urbano VI appena esploso lo scisma d’occidente nel 1378, Luigi I d’Angiò varcò le Alpi il 13 giugnodel1382esceseinarmiinItaliaperrivendicareiltronodiNapoliassegnatogli in eredità da Giovanna I e conferitogli dall’antipapa Clemente VII con una formale incoronazione.

In risposta a quell’azione angioina, Carlo III di Durazzo ordì l’assassinio della regina Giovanna I d’Angiò che fu freddamente eseguito il 17 luglio del 1382 e che implicò anche l’uccisione di vari cortigiani e tra di loro la dama di corte Angela Buccella da Brindisi.

Dopo un periplo lungo la penisola italiana, Luigi I d’Angiò giunse in Puglia, dove ricevettel’aiutodimoltinobilipugliesieacquisìilprincipatodiTaranto,cittàincuiil 30agostos’intitolòrediSiciliaeincuirimasealungoinattesadirinforzi.

Poiguerreggiòcontrolevariecittàrimastefilodurazzesche,tralequaliancheBrindisi dove,aqueltempoancorafavoritadalleconcessionidispostefindal1381daCarloIII per la sua recuperazione economica e sociale, era sindaco Angelo de Pondo, era governatore Aloysio Pagano ed era capitano del castello Cosmo de Tarmera. Quando nel 1383 Luigi I d’Angiò si presentò con il suo esercito alle porte della città, Brindisi tentòdiresistergli,mafuassediatapresaesaccheggiatabarbaramente.

Poi, a fine luglio 1384, Luigi I d’Angiò ottenne pacificamente Bari, dove nominò capitani,giustizierieviceré.Quindi,assediòepreseBiscegliee,dopoessersiaccordato con parte dei cittadini contrari ai Durazzeschi, evitò che i suoi soldati la saccheggiassero.

Però, nel corso della battaglia contro il capitano durazzesco Alberigo da Barbiano, combattuta intorno a quella città il 13 settembre, fu vinto rimanendo anche ferito e dopopochigiorni, il 20settembredel1384, morìaBari, forseproprioin seguitoalle feriteriportate.

Quando il re Carlo III di Durazzo, finalmente consolidato sul trono di Napoli fu, nel 1386, assassinato in Ungheria, il regno restò sotto il potere di sua moglie, l’energica Margherita di Durazzo, madre reggente di Ladislao e Brindisi, già scorporata dal principato di Taranto, fu presa da Raimondo Orsini Del Balzo, anche se durante gli annicheduròlareggenzadipesenominalmentedalgovernodiMargherita.

LareggenzadiMargheritadiDurazzofuperòabbastanzaconvulsaedinstabileacausa deicontrastisorticonilpapaUrbanoVIepercolpadellecostantiminacced’invasione del regno da parte dei pretendenti angioini al trono, che finalmente si materializzarono nel 1390 quando le armi angioine riuscirono nel tentativo di strappareNapoliaiDurazzeschi,insediandovi,eperquasidiecianni,LuigiIId’Angiò, il quale nel 1394, sulle orme del padre, saccheggiò Brindisi, rea di essere rimasta fedeleaiDurazzesci.

Il principato di Taranto fu infeudato al filoangioino Raimondo Orsini Del Balzo che, oltre alla contea di Lecce portatagli in dote dalla moglie Maria d’Enghien, si era già presoancheBrindisi,emoltideisuoidominisopravvisseroallostessoLuigiIId’Angiò cheglieliavevaconcessi.

Infatti, quando nel 1399 l’angioino fu detronizzato da Ladislao di Durazzo che si rimpossessòdeltrono,ilprincipeRaimondononesitòacambiaredibandoalleandosi conilrestauratore.

In questo modo, non solo conservò per sé il principato, la contea di Lecce e altri possedimenti già acquisiti, ma ottenne anche le città di Otranto, Nardò, Ugento, Gallipoli, Oria, Mottola, Martinafranca e tutte le altre terre della Terra d’Otranto già possedutedaiprecedentiprincipi.

Solo Brindisi, Barletta e Monopoli, furono dal re Ladislao infeudate a sua madre Margherita di Durazzo, che dopo sette anni, nell’ottobre del 1406, cedette la signoria su Brindisi a cambio di Palazzo San Gervasio con il relativo castello e la terra di Stigliano.

TuttoilpotentatodiRaimondo,allasuamorteavvenutanel1407,fuereditatodalsuo giovanissimo primogenito Giovanni Antonio Orsini Del Balzo e fu mantenuto in reggenza dalla madre Maria d’Enghien che, una volta vedova, aveva pensato bene di sposarsiconilpurevedovo,edexnemico,reLadislao.

Il15settembredel1409,ilpapaGregorioXIInominòarcivescovodi BrindisiVittore, arcidiacono di Castellaneta, in successione a Riccardo Ruggeri, morto. Vittore morì moltoprestoe,il1°marzodel1411,ilpapanominòPaoloRomano.

A causa della malattia di Vittore prima, e a causa dell’assenza in sede di Paolo dopo, nell’arcidiocesi di Brindisi in quegli anni esercitò il vicariato generale Andrea, episcopodellachiesacrisopolitana.

Inseguito,nel1412,leacqueperl’arcidiocesidiBrindisis’intorpidirononuovamente e la posizione dell’arcivescovo Paolo Romano divenne precaria e la chiesa brindisina ricaddenell’anarchiaconl’antipapaGiovanniXXIII.

Questi il 28 novembre depose Paolo Romano, nominando arcivescovo di Brindisi Pandullo,abatebenedettinodiSantaMariadiMontevergineinAvellino.Pandullomorì nel dicembre del 1414 e Giovanni XXIII, il 9 febbraio 1415, nominò suo successore AragonioMalaspina,arcipretediAlbenga.

Finalmente, il concilio di Costanza depose l’antipapa Giovanni XXIII, poi il papa Gregorio XII rinunciò volontariamente e quindi, il Sacro Collegio elesse al pontificato diRomaOttoColonna,conilnomediMartinoV,sancendoquell’elezione,lafinedello scisma.

Il 23 febbraio 1418, il nuovo papa trasferì Aragonio Malaspina all’arcivescovato di TarantoeristabilìalladiocesidiBrindisil’arcivescovoPaoloRomano,rientrandocosì lachiesabrindisina,dopoquarant’anni,nellanormalità.

Inqueitorbidiquarant’annich’eraduratoloscisma,egiàneivaridecenniprecedenti: «...icostumidelclerolatinoegrecodiBrindisidovetteroesserealquantocorrotti,se lareginaGiovannaIcomandòalGiustiziere diTerrad’Otrantodidichiararedecaduti dai privilegi e dalle immunità ecclesiastiche tanto i chierici greci quanto quelli latini, seammonitipertrevoltedall’arcivescovodiBrindisi,nontornasseroaviverevitapiù costumata,essicheeranodicondizionevile,difamapessima,maioccupatinegliuffici diviniesempreimmersiinnegoziprofani...» -Nicola VaccaMorto nel 1414 il re Ladislao di Durazzo, salì sul trono di Napoli la sorella di questi, Giovanna II di Durazzo, una donna volubile che imprigionò per un breve periodo gli Orsini Del Balzo, cioè Maria d’Enghien divenuta vedova di Ladislao e i suoi ancor giovanifigli,salvopoirestituirelorolaconteadiLecce,altripossedimentie,infine,nel 1420, anche il principato di Taranto, quando Giovanni Orsini Del Balzo divenne maggiorenne.

In quello stesso anno, 1420, Brindisi fu assaltata dall'esercito di Luigi III d'Angiò, pretendente al regno di Napoli e non ancora favorito dalle grazie della regina Giovanna II, la quale concesse alla città vari ed ampi privilegi in riconoscimento e ringraziamentodellafedeltàinquell’occasione,manifestaversodilei.

Nonostante quelle tante turbolenze, in quegli anni Brindisi cercò di sopravvivere mantenendo una sua, pur limitata e precaria, economia e in qualche modo rimase al marginedelleferocicontesedipalazzocheafflisseroilsemprelontanotronodiNapoli «... ilpopoloconservòla tradizione che nella magna ruga scutariorum, la stradadelle ferrarieoggiviaCesareBattisti,perchéspaziosapiùdellealtre,viesercitavanoilloro mestiere fonditoridi bronzo, fabbri e armaioli. Credo non sia inutile ricordare che in Brindisi, ancora nel 1417, vi era una meravigliosa armeria di tutte sorti d’armi e in tanto numero che potevano in un momento armare un grand’esercito...» -Nicola

Vacca-

Il 22 febbraio 1423 morì l’arcivescovo di Brindisi Paolo Romano e il papa Martino V nominò a suo successore il napoletano Pietro Gattula, vescovo di Sant’Agata, che rimasepresulediBrindisiperquindicianni,finoallasuamorte,nel1437.

GiovannaIIdiDurazzo,deditaallibertinaggio,sisposòpiùvolteepiùvoltecambiòdi favoritiediamanti,alternandolitraivariaspirantifeudatariepossibilipretendential trono,durazzeschi,angioinie,novità,anchearagonesi.Etradiloro,LuigiIIId’Angiòe Alfonso V d’Aragona, i quali si cimentarono in una lunga ed estenuante lotta armata perlasuccessioneall’ambitotrono.

Il potente principe Orsini Del Balzo, cercò di mantenersi fuori da quella contesa, ma poiunsuovecchionemico,GiacomoCaldoranominatoducadiBari, sialleòconLuigi III d’Angiò a quel tempo pretendente a ereditare il trono di Napoli, ed assieme riuscirono a impossessarsi del ricco e strategico principato, Oria e Brindisi incluse, mentreGiovanniOrsiniDelBalzopotécomunquemantenerelecittàdiTaranto,Lecce, Rocca,Gallipoli,Ugento,Minervino,Castro,VenosaeBari. Quindi, spintodaquegli eventi aparzializzarsi afavoredelcontendente aragonese, il principespodestatoriuscìanonfarcapitolareilcastellodiOriaequellodiBrindisi,in cui si asserragliò e dove lo raggiunse la notizia dell’improvvisa malattia e morte di Luigi III d’Angiò, avvenuta per malaria il 12 novembre del 1434. Decise quindi di passareimmediatamenteall’offensivaesiripreseconlearmilacittàdiBrindisitenuta daiduegeneraliMinucciCamponescoeOnoratoGaetanodiGiacomoCaldora.

La regina Giovanna II, ormai anziana, dispose nel proprio testamento che alla sua morte la corona passasse a Renato I d'Angiò, fratello del deceduto Luigi III d’Angiò. Quindi,il2febbraio1435morì.

I partigiani di Alfonso, e primo tra loro Giovanni Orsini Del Balzo, incoraggiati da quelle due morti scesero apertamente in campo combattendo contro il nuovo aspiranteangioino, Renatod’Angiò. Lalotta armatatraiduebandi cruenta ealterna, duròperancoraaltrisetteanni,nelcorsodeiqualisisusseguironoesimoltiplicarono devastazioni e saccheggi finché, il 2 giugno del 1442, Alfonso d’Aragona entrò vittorioso in Napoli, mentre Renato d’Angiò ritornò in Francia, sancendo la fine del dominioangioinosulregnodiNapoli.

In quegli ultimi lunghi sette anni, la città di Brindisi per sua fortuna non soffrì altri disagi particolari, mantenendosi sempre sotto il dominio feudale del rafforzato principe di Taranto e solo dovette contribuire alle lotte fornendo a quel principe i soldatidivoltainvoltaaluirichiesti.

Tuttavia,ilsecondogenitocasatoangioinosulregnodiNapoli-quellodeiDurazzeschi cheeraseguitoapiùdicent’anniannidiesosoepoisemprepiùdeterioratocorrottoe caoticogovernoangioino-conclusosidopobensessant’anniannidiun“nongoverno” a Napoli, lasciò Brindisi in uno stato veramente pietoso, conseguente al prolungato periodo calamitoso iniziato con lo scoppio dello scisma d’occidente: sessant’anni nel corsodeiquali,alotte,saccheggi,incendi,carestieequant’altro,propridelleguerriglie urbane e delle guerre civili, si erano susseguiti anche l’alluvione la peste e il terremoto.

Eppure, nonostante il nuovo status politicamente più stabile e militarmente più tranquillo che il controllo aragonese avrebbe garantito per il regno e per la città di Brindisi,altricataclismifunestisiprofilavanosull’immediatoorizzontedellacittà:

IlprincipediTarantoGiovanniOrsiniDelBalzosignorediBrindisi,forsepreoccupato dallapotenzain francaascesadei Veneziani edall’idea chequelli potesserodalmare impadronirsi con facilità di Brindisi, o forse timoroso di una possibile invasione via mare del re Alfonso d’Aragona con il quale aveva deteriorato i rapporti e che da Brindisi avrebbe potuto prendere il suo principato, maturò e attuò nel 1449 uno stratagemma strano quanto malaugurato, che alla fine doveva rivelarsi funesto in estremoperBrindisi:

«... Là dove l’imboccatura del canale era attraversata da una catena assicurata lateralmente alle torrette site sulle due sponde, fa affondare un bastimento carico di pietre, ed ottura siffattamente il canale da permetterne il passaggio solo alle piccole barche. Non l’avesse mai fatto! Di qui l’interramento del porto, causa grave della malaria e della mortalità negli abitanti. Meglio forse, e senza forse, sarebbe stato se alcuno dei temuti occupatori si fosse impadronito di Brindisi, prima che il principe avessepotutomandareadeffettoilmalauguratodisegno.

Fu facile e poco costoso sommergere un bastimento carico di pietre e i posteri solo conobberolafaticaeildenarocheabbisognòperestrarloerenderliberonuovamente il canale. Più dannosa ai cittadini fu questa precauzione del principe, che temeva di perdere un brano del suo stato, che non tutte le antecedenti e seguenti devastazioni. L’opera inconsulta del principe fu naturalmente malveduta dalla città, la quale prevedevaletristiconseguenze.Mailfattoeracompiuto...» -Ferrando Ascoli-

Poi, sullo scorcio di dicembre del 1456, un terribile terremoto interessò una buona parte del regno, e Brindisi fu tra le città più colpite «...e la rovina coperse e seppellì quasi tutti i suoi concittadini… e restò totalmente disabitata... e al terremoto seguì la peste, la quale invase la città e troncò la vita a quel piccolo numero di cittadini ch’ eranosopravvissutialprimoflagello...» -Andrea Della Monica-

BIBLIOGRAFIA:

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Brindisi al tempo dei re aragonesi sul trono di Napoli:

50 anni densi di storia cittadina nella seconda metà del XV secolo

Pubblicato su.Brindisiweb.it e, parzialmente, su ocean4future.org

Gli antecedenti della conquista aragonese

Nel1282,controilrediNapoliCarloId’Angiò,scoppiòaPalermolarivoltadeiVespri, dellaqualeilrePietroIIId’Aragonafuconsideratol’architetto,perchépretendenteal possessodell’isolainquantomaritodiCostanzafigliadelreManfredi,discendenteed erededirettodelgrandeFedericoIIdiSvevia.

Certoè,chel’interventoaragoneseafavoredeiribellicontrogliangioini,fuimmediato e determinante. Seguì una lunga guerra nel corso della quale il figlio di Pietro III, Giacomo II, sposò una figlia di Carlo II d’Angiò lo zoppo e riconobbe agli Angiò la Sicilia, dietro il loro riconoscimento dei suoi diritti sulla Sardegna e sulla Corsica. I Siciliani però, non accettarono quell’accordo e proclamarono loro re, nel 1296, il fratello di Giacomo II, Federico II d’Aragona, che amava dirsi III in quanto erede del grandereFedericoIIdiSvevia,suononnomaterno.

Laquestionefumomentaneamentechiusanel1302dallapacediCaltabellotta,concui la Sicilia fu riconosciuta agli Angiò, ma venne assegnata vita natural-durante a FedericoIIchesposòEleonora,l’altrafigliadiCarloIId’Angiò,dandoorigine,difatto, aunaveradinastiaaragoneseautonomainSicilia.

Federico II regnò a lungo, fino al 1337, e i suoi successori – Pietro dal 1337 al 1342, Ludovico dal 1342 al 1355 e Federico III (o IV) dal 1355 al 1377 – contrastarono gli sforziangioinidiricondurrelaSiciliasottoillororegnodiNapoli,finchésigiunsealla pace di Catania del 1372, che sancì una Sicilia indipendente sotto la dinastia aragonese.

Maria, figlia ed erede di Federico III (o IV), andò sposa a Martino I il giovane – figlio delsecondogenitodiPietroIVd’Aragona–alquale,mortodarediSiciliasenzaavere eredi,succedetteilpadreMartinoIIilvecchio,cheintantoeraascesonel1409altrono d’Aragonaechequindi,tenneinsiemesialacoronasicilianachequellaaragonese.

Nel1410,allamortedelreMartinoIIsenzaeredidiretti,lacoronapassòaFerdinando diCastiglia,dicuiMartinoIIeraziomaterno,ilqualesalitosultronodiAragonainviò nell’isola,comeviceré,ilfiglioGiovanni,iniziandoperlaSiciliaun’epocavicereale.Nel 1416, sul trono di Aragona successe il figlio di Ferdinando, Alfonso V, il quale si affrettò a richiamare dalla Sicilia il fratello Giovanni - che gli isolani aspiravano nominareloroautonomore-sostituendolonell’eserciziodelviceregnoconunnuovo viceré.

AlfonsoV,abilesovranoediplomaticoscaltro,riuscìacostruireunsuodirittoaltrono di Napoli facendosi riconoscere come figlio adottivo dalla regina Giovanna II d’Angiò Durazzo.Poi,lastessareginatornòsullesuedecisionie,pocoprimadimorire,trasferì l’adozione alfrancese Renatod’Angiò:ne scaturì inevitabilmente una lungaecrudele guerra, che nel 1442 vide finalmente vittorioso l’aragonese: il nuovo re Alfonso I di Napoli,riunificatoredelregnofondatodaiNormanniepassatoaSvevieAngioini.

I re aragonesi sul trono di Napoli

Alfonso V d’Aragona, dal 1442 Alfonso I di Napoli, scelse di risiedere a Napoli fino a quando vi morì nel 1458, e da Napoli governò l’impero catalano-aragonese, che nel bacino mediterraneo occidentale occupò uno spazio primeggiante, mantenendo da esso sostanzialmente distinta e autonoma l’amministrazione del regno di Napoli, che fu da lui affidata quasi per intero a italiani. Alfonso, infatti, non rientrò più a Barcellona nonostante le richieste della moglie Maria, che durante tutti quegli anni continuòagovernare,comereggente,ipossedimentispagnoliconGiovanni,ilfratello diAlfonso.

Alfonso I modernizzò il regno di Napoli e governò cercando di rinnovare i rapporti diplomatici ed economici con gli altri regni, di svecchiare le forme istituzionali esistentiediapportareriformesostanzialiall’amministrazioneterritoriale.

La politica del sovrano ebbe un significato sociale essenzialmente conservatore, favorendo il baronaggio che aveva in mano il governo delle città, con ripercussioni evidentinell’accentuazionedeicontrastisociali.Maciònonimpedìchenelcomplesso si potesse tendere ad avviare efficacemente la ripresa della vita economica e sociale delregno,dopolalungaepocamenofavorevoleattraversatadallametàdelsecoloXIV. Nacque,conAlfonsoI,ilSacroRegioConsiglioche,postoalverticedellemagistrature del regno, conseguì un’autorità dottrinaria e giurisdizionale che fu apprezzata anche all’estero. L’apparato giudiziario napoletano, con la Corte della Vicaria al suo vertice, previde un ampio esercizio delle funzioni giurisdizionali anche da parte dei signori feudalieaibaroniconcesse,peraltro,il merum et mixtum imperium,allargandonecosì ulteriormentelasferagiurisdizionale.Mentreilredisposepersé,diunaretediorgani amministrativi centrali e periferici e di una classe di funzionari e officiali regi molto efficaci:unfortestrumentodigovernoadisposizionedelpotereregio.

Alfonso Iproseguì eallargòla pratica delleinteseconbanchieriefinanzieristranieri che aveva tradizioni che risalivano fino all’epoca sveva ed erano in rapporto con la gestione del sistema fiscale, nonché con la gestione delle terre e dei redditi del demanioregioedelleproprietàdirettedelsovrano.

Definì pure il sistema fiscale, fissandolo intorno all’imposta fondamentale sulle persone fisiche considerate per nuclei familiari, i fuochi, accompagnata da una tassa per la fornitura del sale, considerato monopolio pubblico. Per il resto, il sistema si fondò, secondo l’uso comune, sugli appalti dei cespiti fiscali a mercanti e finanzieri, cheeranoperlopiùforestieri.Diedepureunasistemazioneduraturaalladoganadelle pecore,ossiaall’amministrazionedeipascoliinvernalidelTavolieredellePuglie,incui svernavanolegrandigreggidelmontuosoAbruzzoedialtreterrecontigue.

Nel1458,allamortediAlfonsoIdiNapolidettoilmagnanimo,ilregnodiNapolipassò inereditàalsuopredilettofiglionaturaleFerdinandoI,dettoFerrante,mentrequello d’Aragona,conlaSiciliaelaSardegna,passòinereditàalfratelloGiovanniII,padredi quel Ferdinando II il cattolico che, sposando Isabella di Castiglia nel 1469, unificherà la Spagna e farà poi decadere definitivamente la dinastia aragonese del regno di Napoli.LadinastiainaugurataaNapolidaAlfonsoI,proseguìquindiconFerdinandoI, Ferrante, la cui azione di governo continuò quella paterna e, in certo qual modo, la radicalizzò.

Il re Ferrante si dedicò all’ordinamento amministrativo, attuando una politica fiscale relativamente più blanda, promuovendo l'incremento dell’economia e stimolando le arti e la cultura. Fu più duro con la nobiltà feudale, di cui cercò sempre di limitare privilegi e potere, senza poter però evitare che dopo venticinque anni di regno gli si ordisse contro una congiura di baroni che, anche se poté piegare, testimoniò quella mancanzadiunradicamentodeltuttosicurodellafamigliasultrononapoletano,chea distanzadipochianniavrebbeportatoallafinedelladinastiaaragonesediNapoli. L’ostilepapaInnocenzoVIII,infatti,appoggiatodaibaroniancorpiùostilialladinastia aragonese,istigòl’ambiziosorediFranciaCarloVIIIafarvalereisuoidirittisulregno diNapoliecosi,Ferrantestessoagliestremidelsuoregnoeisuoisuccessori–ilfiglio AlfonsoII,ilnipoteFerdinandoIIel’altrofiglioFederico–furonosottopostiallaprova severissimadelconfrontoconquellacheall’epocaeralamaggiorepotenzaeuropea. Ferrantemorìnel1494eglisuccedetteilmalvistoprimogenitoAlfonsoIIdiNapoliil quale,primacheCarloVIIIrealizzasse–trailfebbraioeillugliodel1495–l’effimera conquista del regno, abdicò a favore del figlio Ferdinando II di Napoli, detto Ferrandino.

IlrediFranciadové,tuttavia,abbandonareintuttafrettailregnoappenaconquistato, perlalegamilitarechecontrodiluiformaronoglistatiitalianiepergliatteggiamenti ostili assunti dalle altre potenze europee dinanzi alla felice e facile riuscita della sua impresa,ecosìFerrandinopotétornarequasiimmediatamentesultrono.

Tra le potenze europee che presero posizione contro la conquista francese ci furono CastigliaeAragona,sucuiregnavanoirecattolici,IsabelladiCastigliaeFerdinandoII d’Aragona. Anch’essi avevano trattato e concluso accordi con Carlo VIII, quando questi, allavigiliadell’impresaitaliana, avevacercatodiprocurarsilaneutralità delle altre potenze europee che di quella impresa avrebbero potuto risentirsi. A questo scopoCarloVIIInonavevalesinatoinconcessionipolitiche,economicheeterritoriali, esiaCastigliache,ancorpiù,Aragonaneavevanoindubbiamentebeneficiato. Allamorte di Ferrandino, avvenutaprematuramente il 7settembre1496senzaeredi diretti,iltronodelregnodiNapolipassòasuozioFederico,secondogenitodiFerrante –fratellodiAlfonsoIIdiNapolianch’eglimorto–chesalìsultronocomeFedericoI. Egli dovette difendersi, sia dai francesi del re Luigi XII succeduto a Carlo VIII e sia daglispagnolidisuocuginoilreFerdinandoIIilcattolico,chetradiloroaccordarono spartirsi il regno di Napoli. E quando, nel 1501, questo fu invaso dai due eserciti stranieri,FedericoIdiNapolidecisedicederealrediFranciaLuigiXIIipropridiritti sulregno,ricevendoincambiolaconteafrancesedelMaineperséedisuoieredi. La dinastia aragonese del regno di Napoli finì quindi in quel 1501, tradita da uno stessoaragonese,esiestinsedefinitivamentenel1550conlamortesenzadiscendenti del figlio di Federico I di Napoli, Ferdinando d’Aragona, il duca di Calabria mai divenutore.

L’accordo del 1501 si rivelò però immediatamente caduco e, per le ambigue condizioni allequalierastatostipulato, scoppiòinevitabilelaguerrafranco-spagnola e Napoli cadde in mano agli Spagnoli nel 1503. Poi, alla fine dello stesso anno, i Francesi furono pienamente sconfitti e col trattato di Blois del 1505 dovettero riconoscerelasovranitàspagnolasututtoil regno, eConsalvodiCordovafuil primo viceréspagnolodiNapoli.

La fine del principato di Taranto

Nelconflitto,sortodopolamortedellareginaGiovannaIId’AngiòDurazzotraAlfonso V d’Aragona e Renato d’Angiò per la successione sul trono del regno di Napoli, il giovane principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini Del Balzo prese le parti dell’aragoneseecosì,dopolavittoriadefinitivadiquesticontroid’Angiò,nel1442,si trovòaessereilpiùpotentefeudatariodelnuovoregnoaragonesediNapoli. Un principe signore di più di 400 castelli il cui dominio, che comprendeva sette arcivescovadi e trenta vescovadi, si estendeva da Marigliano in Terra di Lavoro a Leuca e a cui, dopo la morte della madre Maria nel 1446, si aggiunsero le contee di Lecce e di Soleto. Così, l’intera Terra d’Otranto e la parte meridionale della Terra di Bari, città di cui Orsini Del Balzo fu nominato duca dopo la morte di Jacopo Caldora, finironosottoildominiodiquelpotenteprincipeelasignoriadiPuglia,circoscrizione costituita da più aggregati feudali, raggiunse l’apogeo della sua grandezza: quasi uno statonellostato.

Quel principe fu quasi sovrano e come tale si comportò: disponeva funzionari e ufficiali corrispondenti a quelli di nomina regia, si circondava di una propria curia, stipulava trattati ed accordi con stati stranieri, legiferava su dazi, dogane, pedaggi, fiereemercati,conunesercitocompostoda4.000cavalli,2.000fantie500balestrieri. Presto però, dopo l’idillio, tra il re Alfonso I e il principe cominciò a soffiare vento di burrasca, quando Giovanni Antonio realizzò che la politica dell’aragonese mirava ad un drastico ridimensionamento di tutti i poteri baronali perseguendo, finanche, la totalescomparsadeigrandistatiinternialregno,einprimisilprincipatodiTaranto. Sicché, con la morte del re Alfonso I nel 1458, iniziò apertamente la contesa tra il successorealtrono–Ferrante–eilprincipeOrsiniDelBalzo,ilqualesimiseacapodi unagranderibellionedibaroni,controilreeasostegnodiGiovannid’Angiòaspirante altronodelregno,primeggiandodipersonanellabattagliadiSarnodel7luglio1460. DopoalternevicendeecapovolgimentimilitarichefinalmentearriseroalreFerrante, il principe di Taranto si ravvide e, spinto dalla insistente ed attiva mediazione di Isabella–reginamogliediFerranteefigliadisuasorellaCaterinaOrsiniDelBalzoedi TristanodiChiaromonte–siriconciliòconilreancheselecontroversiesiprotrassero fino alla sua morte: fuassassinato tra il 14 eil 15 novembre del 1463, nel castello di Altamura in circostanze misteriose, strangolato da tale Paolo Tricarico, verosimilmente sicario del re Ferrante o, forse, dei due consiglieri dello stesso principe, Antonio Guidano e Antonio Agello, sospettosi che questi avesse deciso di eliminarli.

Non avendo Giovanni Antonio Orsini Del Balzo figli legittimi, l’erede formale del principato fu la nipote Isabella, regina e moglie del re Ferrante, il quale d’immediato incameròalregnoilprincipatocontuttiivastissimipossedimentichelocostituivano, chefuronoinparteassegnatiinpiccolifeudiafamigliediprovatafedearagoneseein parte,comelecittàdiTarantoeBrindisi,ritornaronoadessereentitàdemaniali.

Un passaggio rapido che, sembra, fu facilitato dalla volontà e dal sostegno delle città pugliesi,cheacconsentironoallascomparsadefinitivadallageografiagiurisdizionalee politica della signoria di Taranto, il potente e plurisecolare principato, esauste com’eranodellecontroversieedeglieccessidelprincipechefu,forse,anchetiranno.

Brindisi nel regno dei re aragonesi

Signoreggiata–neiquindiciannidelregnodiAlfonsoIdiNapolieneiprimicinquedel successore Ferrante –dal principedi TarantoGiovanni Antonio Orsini Del Balzo fino allasuamorte,allafinedel1463BrindisipassòaldemanioregiosottoilreFerrantee i suoi successori, Alfonso II e Ferrandino, fino a quando – il 30 marzo del 1496 – fu formalmente consegnata a Venezia, assieme alle altre due città portuali pugliesi di Otranto e Trani, in pegno e in riconoscimento dell’aiuto ricevuto nella difesa e riconquista del regno, seguita all’effimera invasione del re di Francia Carlo VIII, nonchéincambiodiancheunprestitodiduecentomiladucati.

Inquei–purbrevi–cinquant’annidellasecondametàdelXVsecolo,trascorsiconire aragonesi sul trono di Napoli, Brindisi fu spettatrice e spesso diretta protagonista di numerosiedimportantieventi,chesegnaronoprofondamentelastoria,elasuastoria: … La criminale ostruzione del porto di Brindisi disposta dal principe di Taranto e la già commentata fine del principato. La caduta di Costantinopoli nelle mani di MaomettoIIelafinedell’ImperoRomanod’oriente.Ilterremotodel1456.L’assaltoa Otrantoelaconseguenteoccupazionedeiturchi.Iltentativodeivenezianidioccupare Brindisi sventato da Pompeo Azzolino e il loro assalto a Gallipoli. La costruzione del castello alfonsino sull’isola di san Andrea all’ingresso del porto di Brindisi. La pirrica ed effimera invasione del regno di Napoli di Carlo VIII re di Francia La cessione a Venezia di Brindisi assieme a Otranto e Trani. I viaggi di Cristoforo Colombo alla scopertadell’America…

La criminale ostruzione del porto di Brindisi disposta dal principe di Taranto Nel1449,GiovanniAntonioOrsiniDelBalzo,principediTarantoesignorediBrindisi, forse preoccupato dalla potenza in franca ascesa dei veneziani e dall’idea che quelli potessero dal mare impadronirsi con facilità di Brindisi, o forse timoroso di una possibile invasione via mare del re di Napoli Alfonso d’Aragona, con il quale aveva deterioratoirapportiechedaBrindisiavrebbepotutointraprenderelasottomissione del suo principato, maturò e freddamente attuò uno stratagemma strano quanto malaugurato,destinatoarivelarsifunestoinestremoperBrindisi:

«... Là dove l'imboccatura del canale era attraversata da una catena assicurata lateralmente alle torrette site sulle due sponde, fa affondare un bastimento carico di pietre, ed ottura siffattamente il canale da permetterne il passaggio solo alle piccole barche.Nonl'avessemaifatto!

Diquil'interramentodelporto,causagravedellamalariaedellamortalitànegliabitanti. Meglio forse, e senza forse, sarebbe stato se alcuno dei temuti occupatori si fosse impadronito di Brindisi, prima che il principe avesse potuto mandare ad effetto il malauguratodisegno.

Fu facile e poco costoso sommergere un bastimento carico di pietre e i posteri solo conobberolafaticaeildenarocheabbisognòperestrarloerenderliberonuovamenteil canale. Più dannosa ai cittadini fu questa precauzione del principe, che temeva di perdereunbranodelsuostato,chenontutteleantecedentieseguentidevastazioni.

L’opera inconsulta del principe fu naturalmente malveduta dalla città, la quale prevedevaletristiconseguenze.Mailfattoeracompiuto...» -F.ASCOLI-

Caduta di Costantinopoli nelle mani di Maometto II e fine dell’Impero d’Oriente

L’avvenimentopiùimportante delsecoloXV–forsefacendoastrazione delviaggiodi CristoforoColombocheavrebbeportatoallascopertadell’America–fuprobabilmente la caduta dell’impero bizantino, l’Impero Romano d’oriente sopravvissuto mille anni allaparteoccidentaledell’ImperoRomanofondatodaAugusto.

Le fonti commerciali dell’impero vennero lentamente sottratte dai genovesi e dai veneziani che, avendo insediato parecchi avamposti bizantini, costruirono una fittissimaretecommercialeconlepopolazioniorientalieinferserounulteriorecolpo gravissimoconl'acclimatazionedelbacodasetainItalia,chetolsel'anticomonopolio di quel prodotto a Costantinopoli, una città che già intorno all’anno 1400, apparve spopolataeimmiserita,congliedificiinrovinaeunamonetadipessimaqualità.

Approfittaronodiquellecircostanze, iturchi, sotto laguidadiMuradII, riedificarono la loro potenza e decisero di intraprendere l'espansione verso l'Europa. Il timore si diffuse alla corte bizantina e l'imperatore Giovanni VIII Paleologo cercò di correre ai ripari,recandosiinItaliaincercadell’aiutomilitaredeicristianid’occidente,offrendo in cambio la sempre rifiutata sottomissione della chiesa di Costantinopoli al papa di Roma.Malgradolereticenze,lasottomissionefupoiproclamataaFirenzenel1439e fucelebratafestosamenteintuttaItalia,manonservìasalvareCostantinopoli. Dopo un lungo assedio, infatti, le mura di Costantinopoli caddero e nella mattina del 29 maggio 1453 la città fu espugnata. Costantino XI, l’ultimo imperatore dell’Impero Romanod’oriente,perìin battaglia congran partedelsuopopolo. Gliabitantifurono massacrati. La chiesa di santa Sofia fu trasformata in moschea. Costantinopoli fu chiamata Istanbul e divenne la base sulla quale gli ottomani costruirono la loro potenza.

La caduta di Costantinopoli - Olio del Tintoretto (dettaglio)- Palazzo Ducale, Venezia

Il terremoto del 1456

Nel 1456, alle tre del mattino di domenica 5 di dicembre, un terribile terremoto interessò una buona parte del regno di Napoli, che era governato dal re aragonese AlfonsoI,eBrindisifumenzionataesseretralecittàrimastepiùcolpite:

«... e la rovina coperse e seppellì quasi tutti i suoi concittadini… e restò totalmente disabitata... e al terremoto seguì la peste, la quale invase la città e troncò la vita a quel piccolonumerodicittadinich’eranosopravvissutialprimoflagello...» -A.DELLAMONICAIl terremoto, che ebbe una magnitudo poi stimata in 7,1 Richter e XI sulla scala Mercalli,fuprecedutodall’apparizionedellacometaHalleyefuunodeiterremotipiù fortimairegistratiinItalia.L’epicentrodelsisma–chefuavvertitodallaToscanaalla Sicilia – si localizzò nel Beneventano. Quella città e quasi tutti i paesi dell’entroterra campanofuronorasialsuoloeaNapolifuronoregistratiingentidanni,tracuiilcrollo del campanile della basilica di Santa Chiara e il cedimento della chiesa di San DomenicoMaggiore,chedovetteesserericostruita.

IlpapaPioII,inunaletterainviataall’imperatoreFedericoIIId’Asburgo,raccontòche nelnapoletanocrollaronotrentamilapalazzietuttelechiesefuronodanneggiate. Si verificò anche un maremoto che colpì le coste ioniche tra Gallipoli e Taranto e lo sciame sismico durò diversi anni. Il bilancio delle vittime, condotto in base alle cronachedell’epoca,nestimòcircatrentamila.

AngeloCostanzo,nellasua Storia del reame di Napoli scrisse:"Cadderomoltecittadi,e fra l'altre Brindisi, ch'era popolarissima, che con la rovina coperse e seppellì tutti i suoicittadini,erestòtotalmentedisabitata".

Enellasua Storia di Brindisi scritta da un marino FerrandoAscoliscrisse:"Lasolidità dei muri, la robustezza delle colonne, la resistenza delle volte, a nulla valsero. Dovunque ammassi di pietre miste a travi, a canne, a masserizie, a mobilia. Desolazione presente, e miseria futura" riferendosi probabilmente con ciò alla peste chesuccessivamentesidiffuseincittà,completandolosterminiodellevitescampatealla primacalamità.

Nonostanteitanti riferimentibibliografici, studieipotesipiùrecentihannoavanzato alcuni seri dubbi sulla veridicità della reale gravità delle conseguenze fisiche di quel sismasullacittàdiBrindisi:iprovvedimentiregichepurcongliaragonesiinteressano la città, non menzionano il terremoto come causa dello spopolamento e della rovina della stessa; e varie strutture difensive, palazzi, monasteri, chiese, eccetera, esistenti all’epocadelsisma,cosìcomeleduefamosecolonneromane,rimaseroinpiedi.

L’assalto a Otranto e la conseguente occupazione dei turchi

«… Conla caduta di Costantinopoli, Maometto II rivendicò apertamente i suoi diritti di possessosuBrindisi,OtrantoeGallipoli,comeantichepartidell’imperobizantinodalui conquistato. E già nel 1454 veniva relazionato al re Alfonso I di Napoli, che il sultano

“fondandosi su antiche predizioni e interpretazioni, aveva intenzione di erigersi a signore d’Italia e della città di Roma, ritenendo che, come si era impossessato della figlia, cioè di Bisanzio, così avrebbe potuto conquistare anche la madre, cioè Roma”. A tale fine, Maometto II si era già assicurato della facile realizzazione del passaggio da Durazzo a Brindisi, dove peraltro, l’impressione dell’ineluttabilità di uno sbarco turco

era fortissima, anche inrelazione ai frequenti arrivi di profughi dalle terreconquistate daimaomettani…» -V.ZACCHINO-

IlmomentoeradelrestopropizioaMaomettoII.Noneradatemereunseriocontrasto al passaggio di una flotta invasora, giacché le armate aragonesi e pontificie erano impegnate dal 1478 contro Firenze e la pace, che nel 1479 aveva chiuso la lunga guerraturco-veneta,mantenevaVeneziaufficialmenteneutraleeservivadacopertura allasuaintrinsecaostilitàversoilrediNapoli,alqualevolevatoglierelecittàpugliesi. Anche se fu abbastanza accreditata l’idea che l’ammiraglio ottomano Gedik Ahmet Pascià avesse puntato su Brindisi prima di dirottare su Otranto per ragioni circostanziali,ineffetti,lasceltadiOtrantoprobabilmentenondovetteesseresoloun ripiego occasionale: Otranto, infatti, era palesemente indifesa, mentre Brindisi aveva ricevutorinforziaragonesie,inpiù,erainfestatadaunatemibilepeste.

All’alba del 28 luglio del 1480, alcune decine di migliaia uomini a bordo di un’imponenteflottacompostadaunpaiodicentinaiadinavi,giunserodaValonasulle costesalentine esbarcaronopocoanorddiOtranto, pressoilaghiAlimini,nellabaia poidettadeiturchi,edalìsidiresseroversolacittà.

Fattarazziadelborgofuorilemura,GedikAhmetPasciàproposeaicittadiniunaresa umiliante e di fatto inaccettabile, obbligando gli abitanti di Otranto a difendersi dall’inevitabileassedio.

Il contingente aragonese di stanza a Brindisi fu tra i primi ad accorrere in soccorso, guidato dal Filomarino, ma restò bloccato a Scorrano dall’ordine di Ferrante di attenderel’arrivodelfiglioAlfonso,permanendoinoperosofinché,cadutaOtranto,se netornòapresidiarelapiazzadiBrindisi.

Due settimane durò la tenace resistenza finché, l’11 agosto, l’armata turca riuscì ad aprire un varco tra le mura della città, e da lì si riversò nel centro, avanzando con crudeltàindicibili:leviefuronoinondatedasangueecopertedacorpimartoriati.

Dalvarcodellemura,iturchigiunserofinoallacattedraledoveungruppodifedelivi si era barricato. I turchi recisero il capo all’arcivescovo Stefano Pendinelli e la strage continuòsinoachel’ultimodegliotrantinirifugiatofuucciso.

Pascià radunò i suoi uomini e gli abitanti superstiti e ordinò che tutti gli abitanti di Otranto, di sesso maschile e di età superiore a quindici anni, abbracciassero la religioneislamica.Gliottocentouominipresentisirifiutaronoefuronotuttidecapitati.

I turchi, occupata Otranto, la utilizzarono come base per scorrazzare indisturbati in tutto il Salento, seminando terrore e morte fino al Gargano, mentre la reazione aragoneseindugiòamanifestarsi,ancheperchéVeneziapersistevanellasuaneutralità e gli altri stati italiani erano interessati più alle guerre in terraferma che sul mare, mentreiturchiricavaronoiltempoperfortificareOtranto.

«…PasciàspedìaBrindisiunpropriomessoconunaletteraperl’arcivescovoFrancesco de Arenis, nella quale ingiungeva la pronta consegna della terra che considerava retaggio dell’antico impero bizantino, minacciando, altrimenti, che “si non me date la terra,iocontuttolomiosforzovengeròdavui,etfaròpiùcrudelitatechenonèfactoad Otranto”. Fortunatamentele minacce rimasero sempretali per quanto, più d’una volta, inseguito, corserodicerie esi paventò anchenegli ambienti dellacortel’eventualità di unattaccoturcoaBrindisi…» -V.ZACCHINO-

Saldosullesueposizioni,nell'ottobredel1480,GedikAhmetPasciàripassòilcanaledi Otranto con gran parte delle sue truppe dopo aver ripetutamente devastato con continuescorrerieiterritoridiLecce,TarantoeBrindisi,lasciandoaOtrantosolouna guarnigionedi800fantie500cavalieri. Mentre gli aiuti promessi dalla cristianità italiana ed europea tardavano ad arrivare, tra le incomprensioni, gli interessi e le evidenti disparità tra le possibili forze da mettereincampo,l’invernodel1481trascorsesenzaun’effettivareazione,mentregli ottomaniricevevanogliaiutiviamare,senzagrandicontrasti. Il25febbraiodel1481,salpòdaBrindisiun’armatacristianapercontrastareilritorno di Pascià da Valona, conseguendo nelle acque di Saseno una prestigiosa vittoria che risollevòilmoraledelladepressacristianitàeassicuròilcontrollodell’Adriatico. Con l'arrivo della buona stagione, il re aragonese di Napoli Ferrante poté intraprendereconsuofiglioAlfonsoleoperazionidiassedioaOtranto,grazieagliaiuti ottenuti dagli stati italiani che finalmente si resero conto del pericolo per la loro sopravvivenza rappresentato dall'occupazione turca. La città fu stretta d'assedio, sia per terra sia per mare, e a risolvere finalmente la situazione fu la morte del cinquantaduennesultanoMaomettoII, sopraggiuntaimprovvisamentenellanottetra il3eil4maggio1481.

Mentre la successione del sultano ottomano aveva suscitato le ostilità tra i suoi figli, Bayezid e Cem, aprendo una nuova grave crisi per l'impero turco, gli ottomani a Otranto, privi di rinforzi e pressati dalle milizie cristiane, furono costretti a cedere, e cosìAhmetPasciàaccettòlaresaincondizionatail10settembre1481,riconsegnando lacittàalducadiCalabria,Alfonso,etornandosenetranquillamenteaValona.

Ossario dei martiri di Otrano - Cattedrale di Otranto

Il tentativo dei veneziani di occupare Brindisi sventato da Pompeo Azzolino

Sventato il pericolo turco, il re Ferrante progettò punire Venezia per essere stata, a suoavviso, partigianadegliottomaniquantomenoperomissione, epretese dalpapa Sisto IV un sostegno attivo alla realizzazione di quel suo obiettivo. Poi, di fronte alla negativa del papa, attaccò lo stato pontificio e i veneziani approfittarono quella favorevolecongiunturamilitare,perassillareisempreambitiportipugliesidelregno napoletano.

Fucosìchesulfiniredel1483,ivenezianitentaronolaconquistadiBrindisiallestendo una flotta forte di 56 vele salpata da Corfù al comando di Giacomo Marcello, il quale pensònon attaccarelacittà dalmareesbarcòpocoanord, sullaspiaggia di Guaceto, dadoveiniziòlamarciasuBrindisi.

LetruppeinvasoreoccuparonoesaccheggiaronoCarovignoeSanVitodegliSchiavoni – oggi dei Normanni – e quindi si diressero, tonfi e baldanzosi, alla volta di Brindisi conilpropositodioccuparla.

Incittàperò,PompeoAzzolino,unnobilebrindisinochegiàsieradistintonelleazioni militariperlaliberazionediOtranto,appenainformatodeglieventi,organizzòinarmi un nutrito gruppo di giovani cittadini e uscì all’incontro di Marcello, affrontandolo e sconfiggendoneletruppesullastradaperBrindisi

Lofeceretrocedere,costringendoivenezianiaintraprendereunaprecipitosafuga-in cuilostessoMarcellorischiòdiessereucciso-incalzatifinoalportodiGuacetonelle cuiacqueeraalla fondal’armatavenetache, dopoavercannoneggiatogliinseguitori brindisinieaveraccoltoimalconcifuggitivi,sciolseleancoreepreseillargo.

Rientrato in città, Azzolino fu ricevuto con grandi onori dai suoi concittadini, che lo salutarono come salvatore della patria e, per volontà del re aragonese, fu ricordato per quel suo atto eroico con una epigrafe apposta sul muro della sua casa, nel quartiere marinaro delle Sciabiche. Questa la sua trascrizione tradotta dall’originale inlatino:

CESARE MISE IN FUGA POMPEO E DA QUESTO STESSO LUOGO IL NOSTRO POMPEO, FORTE QUANT’ALTRIMAI,AFFRONTÒINNUMEREVOLINEMICI.SALGADUNQUEALLESTELLELAFELICE CASA DEGLI AZZOLINO CHE GENERA TALI PETTI DA OPPORRE ALLE ARMI DEGLI UOMINI Quindi, al generale Giacomo Marcello, la Serenissima ordinò di dirigersi su Gallipoli, con la per nulla velata intenzione di colpire Genova, che nella città ionica aveva costituitounafiorenteedassaiprosperacoloniacommercialerivale.

«… Marcello, al comando della sua flotta, sbarcò sulla costa di Gallipoli nel maggio del 1484edattaccòlacittàpocoguarnita.Icombattimentiperò,siprotrasseroviolentissimi dal 16 al19maggioe lacittà diGallipolioppose una caparbia estrenua resistenza che lasciò sul campo durissime perdite veneziane, più di cinquecento uomini tra cui lo stesso generale Giacomo Marcello la cui morte fu mantenuta segreta tra le truppe per evitare che cadessero in panico e che finalmente, comandate dal secondo generale, Domenico Malipiero, al terzo giorno riuscirono a impadronirsi della città, abbandonandosiaunsaccheggioincontrollatoedestremamentecrudele,chesolamente risparmiò la violenza sulle donne. Poi, finalmente, giunto settembre, i veneziani abbandonaronolacittà...» -L.DETOMMASI-

La costruzione del castello alfonsino sull’isola di san Andrea

«…Il pericolo turco fu, esplicitamente, alla base della decisione reale di fortificare adeguatamenteBrindisi.È,mentreiturchisonoancoraasserragliatiinOtrantoche,nel febbraio1481,ilreFerdinandoId’Aragona,disponel’avviodeilavoriperlacostruzione diunafortezzaaguardiadelportodiBrindisi:iltorrionediFerrante…» -G.CARITO-

Nel 1485 Alfonso, figlio del re Ferrante e allora duca di Calabria in quanto erede al trono di Napoli, trasformò il torrione di Ferrante, una fortezza a forma di torre quadratasitasullapuntapiùoccidentaledell’isoladisanAndreaall’ingressodelporto, conducendoloaveraformadicastelloconlacostruzionediungrandeantemuralecon due bastioni: uno di forma triangolare all’angolo nordest, di tipo casamattato, detto magazzinodellepolveri,el’altrodiformacircolareadovest,aterrapieno,dettodiSan Filippo,collegatitralorodauncamminodiguardiacheracchiudevaalpropriointerno lapiazzad’armi.

Era sorto il castello Alfonsino, detto anche aragonese, che i turchi denominarono castello rosso dal colore che a certe ore sembrava assumere la pietra di carpano con cuierastatofabbricato

Poi, col successivo intervento, diretto dal senese Francesco di Giorgio nel 1492, il castello fu compiutamente definito con la edificazione del grande salone del primo piano e le gallerie coperte con volta a botte al livello inferiore, e quindi, con l'isolamentodellaroccamedianteiltagliodelloscoglioel’aperturadiuncanale. Lacostruzionedellafortezzasull’isoladisanAndreavolutadalreFerranteaBrindisi, siinserìinunpiùvastopianodifortificazionedellastrategicacittà,giàinprecedenza avviato con una serie di opere di difesa inquadrate nel nuovo clima politico determinatosi con la caduta di Costantinopoli nel 1453 in mano al sultano turco Maometto II, il quale rivendicava i suoi diritti di possesso su Brindisi, Otranto e Gallipoli,qualiantichecittàdell’imperobizantinodaluiconquistato.

IlreFerrante, infatti, giànel1464aveva ordinatocingereconmuraglia tuttalaparte marittimadellacittà,includendolacollinadilevantedentroilperimetrodifensivo.Si avviarono i lavori per le cortine murarie e si aprirono due nuove porte, quella per Lecceincassatainuntagliodellacollina,elaportaRealedallatodelporto.

Quindi,sirinforzòancheilcastelloditerra,erigendosullaspondaesternadelfossoun nuovo muro di cinta con agli angoli quattro baluardi rotondi, coprendo il fosso con una solida volta così da ricavare una strada interna protetta e sormontata da rifugi interratiespianando, all’internodellafortezza, unapiazzavuota disotto, perpoterla minare.

PapaInnocenzoVIII,inconflittoconl’aragoneseFerdinandoIdiNapoli,ilreFerrante, lo aveva scomunicato con una bolla dell’11 settembre 1489, minacciando di offrire il regno napoletano al sovrano francese Carlo VIII, che vantava attraverso la nonna paterna,Mariad'Angiò,unlontanodirittoereditariosuquellacoronadelregno.

Poi, incoraggiato da Ludovico Sforza, detto il moro, duca reggente di Milano, e sollecitatodaisuoiconsiglieri,GuillaumeBriçonneteDeVers,CarloVIIIsceseinItalia nel1494

EntròinItaliail3settembreconunpoderosoesercitodicirca30.000effettivi dotato di un’artiglieria moderna e ad Asti venne accolto festosamente dai duchi di Savoia. Quindi raggiunse rapidamente Milano, dove fu decisamente appoggiato dallo Sforza

Ludovico il moro, interessato alla eliminazione dei regnanti aragonesi di Napoli, in

La pirrica ed effimera invasione del regno di Napoli di Carlo VIII re di Francia

quanto si era impossessato con la violenza del ducato di Milano che spettava a Gian GaleazzoVisconti, lacui moglie eraimparentataproprioconi re aragonesi diNapoli, erafigliadiFerrante

Anche a Firenze, dove giunse il 17 di novembre, il re Carlo VIII entrò in maniera relativamente facile, in quanto l’inetto Piero dei Medici non fu in grado di opporre alcuna resistenza e si piegò a tutte le richieste del sovrano francese, tanto che se ne risentirono gli stessi fiorentini e i Medici che furono addirittura cacciati dai repubblicani guidati da quel frate Gerolamo Savonarola, la cui politica teocratica apparve poi troppo democratica al papa Alessandro VI Borgia, che lo fece eliminare conl’accusadieresia.

Carlo VIII passò quindi da Roma senza destare troppo entusiasmo – anzi tutt’altro –nelpapatoe,finalmente,all’iniziodel1495,senzaaverpraticamentebattagliato,il22 difebbraioentròaNapoli,conl’appoggiodeipatrizinapoletaniedeibaronifeudali,da tempo ostili ai re aragonesi che erano succeduti a Alfonso I, fondatore della dinastia aragonese di Napoli: Ferrante, Alfonso II e Ferrandino, mentre quest’ultimo, re in carica,eragiàfuggitoinSiciliacontuttalacorte.

Il sovrano francese, incoronato re di Napoli, scese quindi verso sud ad imporre le ragioni delle sue armi, incontrando in generale poca resistenza e, entrato dalla Campania in Puglia, tutte le principali città gli si arresero, a eccezione di Gallipoli e Brindisi, che invece resistettero l’assedio mantenendosi fedeli alla corona aragonese finoalritirodegliassediantifrancesi.

Delresto,CarloVIIebbecomunquemoltopocotempopersvolgereunaqualcheverae propria azione di controllodelregnoe dieffettivoeserciziodi governo, giacché nello stesso anno 1495 fu creata a Venezia una potente alleanza antifrancese, promossa dallo stato pontificio del papa Alessandro VI e formata da Venezia, Massimiliano d’Asburgo e lo stesso Ludovico il moro, che s'era presto pentito d’aver appoggiato l’invasionefrancese.

Erainfattisuccessochelavelocitàconcuiifrancesiavanzarono,assiemeallabrutalità deiloroattacchisullecittà,spaventaronoglialtristatiitaliani.Ludovico,capendoche Carlo VIII aveva pretese anche sul ducato di Milano, si rivolse al papa Alessandro VI cheorganizzòrapidamenteun’alleanzacompostadaidiversioppositoridell’egemonia franceseinItalia:ilPapato,ilRegnodiSicilia,ilSacroromanoimperodiMassimiliano, gliSforzadiMilano,IlRegnod'InghilterraelaRepubblicadiVenezia.

La lega ingaggiò Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova, per raccogliere un esercito ed espellere i francesi dalla penisola, e questi incominciò a minacciare i vari presidicheCarloVIIIavevalasciatolungoilsuotragittoperassicurarsiicollegamenti con la Francia, fino ad attaccare frontalmente l’esercito del re francese a Fornovo, pressoParma,il6luglio1495.

Dopo quello scontro, Carlo VIII, seppure non militarmente sconfitto, se ne dovette ritornare in Francia, permettendo al re aragonese Fernando II, Ferrandino, di ritornare dalla Sicilia, dove si era rifugiato, e di rioccupare il suo trono sul regno di Napoli.

La cessione di Brindisi a Venezia

Nella breve ma crudele guerra tra l’invasore francese Carlo VIII e il re aragonese di Napoli,Ferrandino,BrindisisischieròsemprealfiancodegliAragonesi,adifferenzadi quasi tutte le altre città salentine, tra le quali Lecce e Taranto, che furono invece partigianefrancesi.

«…L’obbedienzadiBrindisialsovranovolere,fualtamentecommendatadaFerrandino, ilquale,inricompensadeitantiservigiresiglidaquestacittà,cheforsepiùdiognialtra del regno erasi cooperata per farglielo recuperare, fece battere monete in argento e rame,cheavevanodaunaparte,l’effigedisanTeodorobrindisino,militarmentevestito eportanteunoscudoentrocuieranoleduecolonnee,dall’altra,eranoinciseleparole Fidelitas Brundusina. Le quali monete furono battute non pure nella zecca di Brindisi, che durò per tutto il tempo degli Aragonesi, ma anche in altre città ed a Napoli stessa. Moltediesseeranoancoraincorsocircail1700…» -F ASCOLI-

Finalmente gli Aragonesi conservarono il regno di Napoli, ma divennero ‘debitori’ di Veneziaallaqualeavevanodatoinpegnoeagaranziaperl’aiutoricevuto,ilpossesso dellecittàdiTraniOtrantoeBrindisi,chepassaronoinfattiaiveneziani.

Il30dimarzo1496,nellacattedralediBrindisisiformalizzòlaconsegnadiBrindisia Venezia, con una solenne cerimoniatraPriamoContarini,rappresentantedeldogedi VeneziaAgostinoBarbarigo,eilnotaioGeronimoDeIngrignet,inviatodelrediNapoli, Ferdinando II d’Aragona. E questi, il giovane Ferrandino, con una lettera alla città, volle in quell’occasione scusarsi e spiegare ai brindisini le ragioni e la supposta temporalitàdiquellacessione.

Nonostante la diffidenza e anzi l’aperto malcontento che caratterizzò l’animo dei brindisini a fronte della cessione della propria città ai veneziani, la nuova situazione dovevarivelarsialquantopositiva:ildogeAgostinoBarbarigononsoloconfermòtutti i privilegi concessi a Brindisi dai governanti aragonesi, ma addirittura ne aggiunse altriimportanti,fracuiquellochelegalereveneziane,dovendopassareneiparaggidi Brindisi,dovesseroentrareinportoerimanervipertregiorni.

I brindisini esternarono presto la loro soddisfazione e Venezia da parte sua seppe premiarlidiconseguenza,einbrevetempocrebbenotevolmenteilrispettoreciproco e la simpatia tra i brindisini e i veneziani. E Brindisi conobbe anni di benessere e di espansionedeipropricommerci,trafficieindustrie.

Preso possesso del castello di Brindisi, il governatore veneziano Priamo Contarini, il 10 aprile 1496 inviò al doge un dettagliato rapporto sullo stato della città appena acquisita, un documento quello - riprodotto da G. Guerrieri nel suo Le relazioni tra Venezia e Terra d’Otranto fino al 1530 - che per Brindisi si costituì poi in un importante ed affidabile riferimento storico: di fatto, una specie di fotografia della cittàdiqueglianni.Quidiseguito,alcunistralci:

«… La consistenza demografica di essa ammonta a circa mille fuogi et anime circa quattro milia, de le qual son da facti circa 800. Nel numero dei fuochi sono pure compresi50deIudei,iqualisono240incirca.Lacittadinanzasicompone,nell’ordine, diTaliani,Albanexi,SchiavonietGreci.

… Tutti veramente viveno senza alcuna industria, ma solo de le loro intrate, zoè vini bestiameetolei.Leprincipalientrateriguardanoilvino,3.000bottiannue;olii,saponi, ferroebiave,coninteoiticomputabilitrai400ei500ducatid’oro;idazisullabechari, ilpaneeilpesce,conentratedialtri400o500ducati;proventidacontravvenzioniper 100ducatiall’anno;affittodellabaglivaper20o25ducati;eproventidelsalechecopre ilfabbisognodell’interaTerrad’Otranto.

… Olii alimentano la produzione di saponi, forniti da due saponerie genovesi e una albanese,dominanoimercatimeridionalidiCostantinopoli,Alessandriad’Egitto,Scioet Ioci,insidiandogliinteressicommercialiveneziani.

… L’agro brindisino è mezzo terrestre e mezzo marittimo e il territorio confina da la partedemaistromiglia8dalontancumunaterranominataCharivigna,terradebaroni. Dalapartedeponentemiglia5alontano,confinacumMisagnk,terradelaregina.Dala partedesyrochomiglia12incirca,confinacumelterritoriodelacitadeLeze.Sparsisu questoterritoriovisonoalcunevilleetcastelliruinatiettuttoèinculto…»-G.GUERRIERI-

IlcontrollovenezianosullacittàdiBrindisinoneraperòdestinatoadaverevitalunga: l’11 novembre del 1500 si stipulò in Granada un accordo segreto tra il re di Spagna, Ferdinando il cattolico marito di Isabella di Castiglia, e il re di Francia Luigi XII, per spartirsiilregnoaragonesediNapolidelreFedericoI,succedutoaFerdinandoIIche era morto prematuramente nel 1496 e cugino dello stesso re Fernando il cattolico. L’accordo prevedeva la Campania e gli Abruzzi per il re di Francia, e la Calabria e la PugliaperilrediSpagna.

Poiperò,l’accordo,nel1504,sfociòinguerraapertatraSpagnaeFranciapropriosulla disputaperilTavolieredellePuglie,allafinedellaquale,glispagnoliebberolameglio eFerdinandoilcattolicodivenneilnuovosovranodelregnodiNapoli,sottraendoloal cugino Federico I d’Aragona, incorporandolo alla corona spagnola e nominando un viceré,iltuttoconl’investituradelpapaGiulioII.

E fu proprio nel pieno di questa guerra che ebbe luogo, il 13 febbraio del 1503, la celebre‘’DisfidadiBarletta’’–accordata,sembra,proprioinunacantinadiBrindisi–tra 13 cavalieri italiani filospagnoli capitanati da Ettore Fieramosca e 13 cavalieri francesi capitanati da Charles de Torgues: un duello che fu vinto dai 13 italiani di Fieramosca

Venezia, anche perché occupata a lottare contro i turchi, rimase neutrale in quella guerra e dei benefici di quella neutralità poté usufruire anche Brindisi Poi però, VeneziafuattaccatadaunalegadiinnumerevolinemicicoordinatidalpapaGiulioIIe guidatidall’imperatoreMassimilianoId’Austriaedallafinedovettesoccombere,eper salvareilsalvabilesacrificòunabuonapartedeipropripossedimenti,specificamente quellicheeranoreclamatidalpapaedaglispagnoli,Brindisiinclusa.

Nel1509Brindisivennequindiconsegnataaglispagnoli,daivenezianicheneavevano tenuto il possesso durante soli tredici anni. Il marchese Della Palude prese in consegnalacittàelesueduefortezze,cioèilcastelloditerraequellodimare,innome diFerdinandoilcattolico,reggentediSpagna:eracosìformalmenteiniziato,ancheper Brindisi,illungoviceregnospagnolo!

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Alfonso I Ferrante Alfonso II Ferrandino

Brindisi durante il regno dell'imperatore Carlo V:

i 40 anni di Carlo IV re di Napoli dal 1516 al 1556

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Carlo IV sul trono di Napoli

Carlo V l’imperatore, fu anche Carlo I di Spagna, Carlo II d’Ungheria e Carlo IV di Napoli. Carlo, figlio dell’arciduca d’Austria Filippo il Bello – e quindi nipote dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo – e dell’infanta Giovanna la Pazza – e quindi nipotedelreFerdinandoilcattolico–conlamortedelnonnomaternonel1516,asoli sedicianni,perlamortedelpadreeperquelladelfratelloedellasorelladellamadre, divenneerededeiregnideiPaesiBassi,diAragona,diCastigliaediNapoli.Edopotre anni, nel1519allamorte delnonnopaterno, ereditòanche iltitolodelsacroromano impero. Nel 1554 rinunciò al titolo imperiale a favore del fratello Ferdinando e nel 1556 rinunciò alle corone dei Paesi Bassi della Spagna e di Napoli a favore del figlio Felipe II. Brindisi, che apparteneva al regno di Napoli, ebbe pertanto come sovrano l’imperatore Carlo V – il re Carlo IV di Napoli – durante tutti quei quarant’anni compresitrail1516eil1556.

Il regno di Napoli era diventato possedimento spagnolo solo da qualche anno, da quando era stato sottratto agli aragonesi mediante un accordo segreto tra il re di SpagnaFerdinandoeilre diFrancia Luigi XII. L’accordoprevedeva laCampania egli Abruzzi per la Francia e la Calabria e la Puglia per la Spagna. Poi però, nel 1504, l’accordo sfociò in guerra aperta tra Spagna e Francia proprio sulla disputa per il TavolieredellePuglie eallafineglispagnoliebberolameglio. Ferdinandoilcattolico re di Spagna divenne così il nuovo sovrano del regno di Napoli, defenestrando il propriocuginoFedericoIsuccedutoaFerdinandoIIenominandounviceré.

E anche Brindisi, che da qualche anno – dal 30 marzo 1496 – apparteneva alla repubblicadiVenezia,allaqualeerastatacedutadalreFerdinandoIIincompensoper l’aiuto ricevuto contro il tentativo d’invasione del regno di Napoli da parte del re di Francia Carlo VIII, fu consegnata agli spagnoli nel 1509. Iniziava così per Brindisi il lungoperiodovicerealespagnolochesarebbeduratoduecentoanni.

La breve parentesi veneziana di Brindisi, tra il 1496 e il 1509, costituì di fatto la cerniera del passaggio della città dal dominio aragonese al dominio propriamente spagnolo, quello del regno di Spagna del reggente Ferdinando il cattolico e, dopo la sua morte nel 1516, del nipote Carlo I di Spagna, il futuro imperatore Carlo V. La coronadiSpagnaistituìnelregnodiNapoliunvicereamecherestòsuopossedimento diretto fino al 1713, mantenendo in Napoli il viceré e tutti gli organi amministrativi più importanti, avvicendando nelle varie province e città del regno, Brindisi inclusa, governatoriecapitanidiguarnigionechefuronosemprespagnoli.

Il rafforzamento delle strutture difensive della città

Il 22 dicembre 1516 Ferdinando – Hernando de – Alarcòn fu nominato castellano maggiore di Brindisi, con anche l’incarico di supervisore delle fortificazioni in Terra d’Otranto. Presto si rese conto che le strutture difensive della città non erano

sufficienti a garantirne la protezione da terra – all’entrata del porto era già stato costruito il castello Alfonsino – per cui si dispose alla realizzazione di varie fortificazioni, restandocomecastellanoufficialediBrindisidurante venticinqueanni, finoallasuamortesopravvenutaaNapoliil27gennaio1540. Nel1525comandòl’avanguardiadellacavallerianellabattagliadiPavia,occupandosi poi della custodia del re Francesco I di Francia, catturato in battaglia, del suo trasferimentoalRealAlcázardeMadridedelsuccessivoviaggioaBayonnedopoilsuo rilascio, servizi per i quali l’imperatore Carlo V gli conferì il titolo di marchese della ValleSiciliana.Preseparte anchealsaccodiRomadel1527,incuipapaClementeVII fucatturatoemessoincustodiadaAlarcònnelCastelSant’Angelo.Nel1535feceparte della spedizione militare che assediò Tunisi, nelle forze imperiali di Carlo V che preserolacittàdifesadaiturchidiBarbarossa[A.SUAREZZDEALARCÒN,1665].

ABrindisi,AlarcòniniziòlacostruzionedelbastionediSanGiorgioeristrutturòquello di San Giacomo, aprendo sui fianchi e sulle facce della fortezza bombardiere su due ordini idonee a respingere da ogni parte gli eventuali assalitori. Tra i due bastioni, nelleadiacenzediPortaMesagne,costruitanel1243aitempidellosvevoFedericoII, iniziòaedificarneunterzosucuivièancoraincisoinpietralostemmarealediCarlo V,alqualeilbastionerestòintitolato.Inoltre,potenziòPortaLecce,cheerastatafatta costruire da Ferdinando d’Aragona nel 1467, completandola con cortine murarie, e anche su di essa collocò lo stemma di Carlo V, affiancandolo questa volta al suo e a quellodellacittàdiBrindisi.

Alarcòn ebbe anche in progetto di completare il circuito murario intorno alla città, come si evince dai disegni relativi allo stesso, custoditi presso il Gabinetto delle stampe della galleria degli Uffizi di Firenze, ma evidentemente tali piani furono materializzatisoloparzialmente,conlasolacostruzionedialcunecortinemurarienei tratticompresitraPortaMesagneePortaLecce.

Il Torrione Carlo V Porta Mesagne Porta Lecce

Il Torrione San Giacomo

La peste del 1526 a Brindisi

E di nuovo giunse la peste a Brindisi «... e precisamente nel 1526 alli 24 del mese di luglio incominciò la peste in questa città e durò un anno continuo; dove ne morirono ottocento persone» [P. CAGNES & N. SCALESE, 1529-1787] di certo introdotta e favorita dalletantetruppechevisiavvicendavanodicontinuo,transitandoviesoggiornandovi incondizioniigienichedeltuttodeprecabili.

Infatti,lapestedel1526,manifestatasiinnumerosifocolaisparsiintuttal’Italia,restò bendocumentataanchenellacapitaledelregnodiNapoli:«... Cosi contagioso morbo si intese la prima volta in Napoli, in una casa appresso la chiesa di S. Maria della Scala, nel mese di agosto dell’anno 1526, qual casa appestata fu subito, per ordine degli Eletti della città, sbarrata, per levarsi il commercio che perciò questa strada, fino al presente, vien denominata de le Barre La peste cominciò in Napoli il suo lavoro, e talmente continuò tutto l’anno 1527, che non fu casa che non ne sentisse travaglio. E quando del tutto parve estinta allora pigliò maggior forza perciocché l’anno 28 e 29 fé grandissimo danno, onde vi morirono dintorno a 65000 persone»[G.A.SUMMONTE,1749].

Nel settembre 1526, gli Eletti di Napoli fecero racchiudere da una struttura muraria l’ospedale degli Incurabili e Castel Novo per isolare dalla città i malati che vi ricoverati.EaBrindisi«... L’unica reale misura decretata per contrastarla fu l’erezione di un tempio a San Rocco, sulla via d’entrata alla città da Porta Mesagne, poi ribattezzato con il titolo di Santa Maria del Carmine affiancato dal monastero dei Carmelitani e che diede il nome a via Carmine»[F.ASCOLI,1886].

IlcultoaSanRocco,santofranceseoriginariodiMontpellier,chegliagiografiindicano vissutotralafinedelXIIIsecoloel’iniziodelXIVsecolo,affondalesueradiciintorno alla metà del Quattrocento; quando, in coincidenza con le ripetute epidemie di peste chefunestavanol’Europa, siunìein qualchecasosi sovrapposeaquellotradizionale per san Sebastiano, fin lì invocato contro la peste perché sopravvissuto al martirio dellefrecce,utilizzategiàinepocaclassica–allorquandosicredevachefosseApolloa scagliareidardidellemalattieepidemiche–persimboleggiareleepidemie. Il male era caratterizzato da una infiammazione e da un rigonfiamento doloroso dei linfonodi o bubboni generalmente a livello inguinale. La malattia improvvisamente insorgeva con brividi e febbre, i bambini avevano le convulsioni, vi era vomito, sete intensa, dolori generali, cefalea, sopore mentale e delirio. Al terzo giorno, dall’inizio deisintomi,comparivanomacchienerecutanee,dacuiilnomedi"pesteomortenera" elamortegiungevaquasisubito,anchesenonmancavanocasiincuilamalattiaaveva un decorso benigno con sintomi lievi che si attenuavano dopo giorni fino a scomparire.

Il crollo della colonna romana

Il 20 novembre 1528, una delle due colonne romane che avevano sfidato per tanti secolileintemperie deitempi, caddesenzaapparenteragione(peròerain corsouna guerra):«... Il pezzo supremo restò sopra l’infimo, mentre quelli compresi fra la base e il capitello, caddero a terra. Nessuna disgrazia successe, i pezzi caduti furono poi portati a Lecce e il pezzo supremo vedesi ancora al giorno d’oggi con meraviglia rimanere attraversato sull’infimo»[A.DELLAMONACA,1674].

Il sacco di Brindisi del 1529

Dopoledisputeperlasuccessionealtronodell’imperotrailvincitoreCarlod’Asburgo e il perdente Francesco di Francia, questi diede vita alla Lega di Cognac, che fu costituita il 22 maggio1526 da Francia, Firenze, Venezia, Milano e Inghilterra, e ad essa aderì anche lo Stato Pontificiodel papa Clemente VI. Quella mossa delpontefice causòlareazionedell’imperatore,cheradunòunesercitodimercenarilanzichenecchi tedeschi per farli discendere in Italia dove, assieme alle truppe spagnole e italiane sovrastarono le forze della Lega, di scarsa coesione e mediocre efficienza militare, e dopoqualchemesegiunseroalleportediRoma.

Entrarono nella capitale pontificia il 5 maggio 1527 mentre il papa si rifugiava in Castel Sant’Angelo. I lanzichenecchi, esasperati per le pessime condizioni sopportate durante la campagna eper i mancati pagamenti pattuiti, si diedero per otto giorni al saccheggiodellacittàeallaviolenzasuisuoiabitanti.

InseguitoaglieventidiRoma,nell’agostodel1527,l’esercitofrancesedisceseinItalia esiunìallealtreforzedellaLegasottolaguidadelmaresciallod’oltralpeOdetdeFoix, conte diLautrec. Alla fine dell’anno, con la notizia dell’imminente uscita delle truppe imperiali da Roma, i collegati di Cognac decisero di portare la guerra al sud, nello spagnolo regno di Napoli. Lautrec quindi, intraprese lo spostamento di tutte le forze allegateversoNapolieaiprimidimarzodel1528entrònellastrategicaPuglia.

Anchel’esercitoimperialesidiresseinPugliaguidatodaFilibertoprinciped’Orangeil quale,allanotiziacheglialleatiavevanopresofacilmenteMelfieAscoli,intrapresela

via della ritirata strategica a Napoli. Altre città si arresero o si allearono alla Lega: Barletta, Monopoli, Molfetta, Bisceglie, Giovinazzo, Cerignola, Trani, Andria, Minervino, Altamura, Matera, Polignano, Mola, Bari – dove però i castelli rimasero spagnoli – e Ostuni. Fece invece resistenza Manfredonia, mentre l’esercito alleato inseguiva gli imperiali e mentre, a sud, i veneziani pensavano a riprendersi i porti perdutinel1509:Gallipoli,OtrantoesoprattuttoaBrindisi.

«… Questa città, come le altre di Puglia, era sfornita di truppe imperiali che erano state mandate verso la Capitanata al principio della guerra. All’intimazione di arrendersi e non ostante la minaccia di dover pagare cinquantamila scudi, rispose dapprima negativamente per timore dei forti, ma poi, aperte trattative, il 29 aprile 1528 Brindisi alzò bandiera veneziana, mentre le persone atte alle armi si ritiravano nelle due fortezze a difendervi la bandiera imperiale. I veneziani appena entrati in città, ove fu posto a governatore Andrea Gritti, commisero soprusi e angherie contro gli abitanti ai quali già avevano rovinato le campagne all’intorno, poi misero l’assedio ai castelli stabilendo di darvi in maggio un pieno assalto»[V.VITALE,1907].

A metà di maggio, l’ammiraglio veneziano Pietro Lando – senza essere riuscito a espugnareiduecastelli,nonostanteitantieripetutiattacchisferzatisiadamareche da terra – con le sue galere, che non potendo entrare nel porto avevano trovato approdonellaradadiGuaceto,fuinviatoaNapoliperrafforzarnel’assedio.

Nel 1529, gli imperiali guidati in Puglia dal marchese Del Vasto, deliberarono la riconquista delle più importanti terre perdute, Barletta, Trani, Monopoli, senza peraltroriuscirvi.Mentreicollegatideliberaronotornareallariscossadellastrategica

Terra d’Otranto e il 28 luglio riattaccarono Brindisi, puntando soprattutto alla presa deiduecastelli:quelloditerra, difesodalvicecastellanoGiovanniGlianesequellodi mare, difeso dal vice castellano Tristan Dos. Il castellano generale, Ferdinando –Hernando–Alarcon,erainqueigiorniimpegnatonelladifesadellaassediataNapoli.

IlprovveditorevenezianoPietroPesaro,il13agostopreseterraaPortoGuacetoecon l’avanguardia si avvicinò alla città, la quale si lasciò persuadere ad arrendersi, ma contro i patti, fu saccheggiata dalle truppe francesi, mal frenate dai veneziani. Il 18 arrivò Camilo Orsini con mira a prendere i castelli, che anche questa volta erano rimastinellemanispagnole,cominciandoconquelloditerra.

Esaurite però, dopo solo due giorni, le munizioni, si decise di chiamare a rinforzo il capitano Simone Tebaldi Romano che presto giunse a Brindisi con i suoi 16.000 soldati:“equi,il28agosto,inunaricognizioneintornoalcastelloditerra,eglitrovòla morteperuncolpodiartiglieria”.

Poi, finalmentegiunse la notizia cheaCambrai il5agostoerastata firmata lapace e, pur con la reticenza dei veneziani, l’assedio alla città fu tolto. Ma per Brindisi era ormaitroppotardi:l’uccisionedelRomanoavevagiàscatenatol’inferno.

«Furono della morte di costui dalla soldatesca celebrati lagrimosi funerali nella misera città, contro la quale sfogò il suo sdegno senza timore alcuno della divina giustizia, e senza pietà degl’innocenti; perciò che i soldati, essendo di varie nationi, e liberi dal freno del capitano, trascorsero nella solita loro indomabile natura, essendo natural conditione di costoro, quando non han capo, che li guidi, di commettere ogni enormità imaginabile...

Il Castello svevo – di Terra Il Castello Alfonsino – di Mare

Quel furore dunque, che dovevan accenderli contro i loro proprij nemici, che stavano nella fortezza uccisori del loro duce, rivolsero contro gli amici della città, che spontaneamente gl’havean raccolti nelle loro case, e dando nome di vendetta alla loro avaritia, e di giustitia alla loro perfidia, s’incrudelirono nell’innocente città, e nella robba de’ cittadini.

Comiciò a darsi sacco di notte, per celar forse col buio delle tenebre, la crudeltà ch’usavano.

Non si possono senza orrore descrivere, né meritano esser udite da orecchie umane le particolarità delle sceleratezze commesse da quella soldatesca diss’humanata, e feroce, avida non men di sangue, che di ladronecci.

Non perdonarono a cosa alcuna, humana o divina, furono gl’infelici vecchi, e l’innocente vergini tratti per barba e per crine, acciò rivelassero le nascoste ricchezze, furono abbattuti i chiusi claustri, e fracassate le caste celle delle spose di Dio.

I tempij con orrendi sacrilegi profanati; furono fatte in minutie i tabernacoli, e buttando per terra le sacre hostie consacrate, si presero i piccoli vasi d’argento ove stavan riposte.

Eccessi invero abominevoli, & esecrandi, per li quali meritavano aprirsi le voragini della terra, & esser da quelle ingoiati; o esser fulminati dal cielo, o strangolati dalle furie; ma si differì dalla divina giustitia il dovuto castigo ad altro tempo per esser più severo degl’accennati…

Restò per qualche conforto alla depredata città il cadavero del general nemico, che fu seppellito nella chiesa di Santa Maria del Casale in un deposito, dal canto destro nell’entrar della porta principale della chiesa, dove fino a tempi nostri si lesse quest’iscrittione nel sasso: Hic iacet Simeon Thebaldus Romanus, imperator exercitus.»

[A.DELLAMONACA,1674].

Quando il castellano Ferdinando Alarcon rientrò a Brindisi, incontrò la città semidistrutta e subito si sommò alla richiesta inviata dai cittadini al re, avallata dal viceré principe d’Orange, affinché fosse annullata la condanna per ribellione che era statainflittaallacittàdalcommissarioGirolamoMorrone–essendostataconsiderata fiancheggiatrice di francesi veneziani e papalini per la sua reiterata resa alle truppe della Lega e per l’atteggiamento cittadino valutato come ostile all’imperatore –segnalando, a sostegno della sua posizione, proprio l’epica resistenza che avevano mostrato entrambi i suoi castelli, lottando fedeli all’imperatore senza mai arrendersi agliallegati.

Perbuonaventuradeibrindisini,larichiestadellacittàfufinalmenteaccoltadaCarlo VecosìaBrindisifuronoancheintegralmenterestituitituttiiprivilegichenelpassato eranogiàstaticoncessidaireFerdinandoId’AragonaeFerdinandoilCattolico.

La popolazione di Brindisi al minimo storico

Nelloscorciodiquellostoricoetristissmoanno1529,dopolaterribilepestescoppiata nel 1526, dopo il crollo improvviso della colonna romana, dopo l’assalto e il saccheggio delle truppe papali francesi e veneziane, Brindisi era ormai giunta allo stremo e la sua popolazione si era ridotta a meno di 400 fuochi, circa 2.000 abitanti, unminimodaalloramaipiùtoccato.

Gli arcivescovi di Brindisi

CarloVdunque,vinsequell’ennesimoconfrontoconlaFranciadiFrancescoIelapace chenederivò,coniltrattatodiCambraidel5agosto 1529,riaffermò ildominiodella Spagna su tutto il regno di Napoli. Fra le condizioni della pace s’incluse che Carlo V avesseildirittodinominarenelregno18vescovie7arcivescovi,traiqualiquellodi Brindisi.Edaquelmomentolachiesabrindisina,chefinoadalloraeraappartenutaai pontefici, divenne regia, garantendo al regno, con la nomina di prelati spagnoli, l’affidabilitàdiunacittàstrategicamenteimportante.

Aleandro Girolamo, arcivescovo di Brindisi e Oria dal dicembre 1524, poi fatto cardinale dal papa Paolo III, nel 1541 rinunciò per recarsi a Roma a far parte della commissioneperlariformadellacuriaromana,inpreparazionedelConciliodiTrento, mavimorìdopopoco,ilprimofebbraio1542.

Gli succedette, nominato dall’imperatore Carlo V e ratificato dal papa Paolo III, il nipoteFrancescoAleandro,delqualesidissefossepiùattoamaneggiarelaspadache a reggere il pastorale e che ebbe seri problemi ad essere riconosciuto dagli oritani, i quali pretendevano che egli s’intitolasse “Archiepiscopus Uritanus et Brundusinus” in considerazionedellasuppostasupremaziadiocesanadiOriasuBrindisi,finchéilpapa Paolo III con bolla del 24 maggio 1545, diede torto agli oritani e li obbligò a restare soggettiall’arcivescovodiBrindisi.FrancescoAleandromorìil3novembre1560.

I Coronei a Brindisi

Nell’ottobredel1534, alpapaClementeVIIsuccedette ilromanoAlessandroFarnese conilnomediPaoloIII,mentrel’Europa,checontinuavaalogorarsinell’interminabile guerratraCarloVeFrancescoI,eraminacciatadallebramediconquistadiSolimano dettoilmagnifico,ilpotenteimperatoreottomanocheutilizzandolaflottabarbaresca –basatainTunisi–delfamosoammiraglioAriadenoBarbarossa,Kaired-din,assaliva sistematicamenteglistatimarittimipiùesposti,nonostantel’altrettantosistematicae determinata reazione delle flotte cristiane, le imperiali, le napoletane e le genovesi, guidateilgranammiraglioAndreaDoria.

Inquestocontestobellico,sullacostameridionaledelPeloponneso,nell’anticaMorea, la strategica cittadina fortificata bizantina di Corone – già roccaforte veneziana dal 1204 in cui fin dal secolo XI coesisteva una folta minoranza albanese ortodossa –caduta in possesso dei turchi nel 1500 e riconquistata da Andrea Doria nel 1532, fu riespugnata dai turchi di Barbarossa nel 1534. Quindi, grazie ad accordi diplomatici intercorsitragliimperatoriCarloVeSolimano,amoltefamiglieortodossedellacittà fu consentita la scelta dell’esilio nel regno di Napoli e così in quell’occasione – ne seguironoaltre–circa2.000albanesicoronei,s’imbarcaronosullenavidell’alleanzadi Carlo V e fecero rotta per le regioni del sud d’Italia, principalmente in Calabria ma ancheinSiciliaeinPuglia.

Nel 1536, infatti, giunse a Brindisi una colonia di Coronei che «... Ottennero poter costruire le loro abitazioni lungo la via che mena a Lecce con chiese per il loro rito greco» [F. A. PRIMALDO COCO, 1939] e per vari decenni fu un loro carismatico sacerdote, Antonio Pirgo, che nella chiesa Cattedrale celebrò con il rito greco vari battesimidibambinicoronei,enonsolo:

«L’11 luglio 1553 don Antonio Pirgo, sacerdote greco, battezza il figlio di un coroneo e altri battesimi, con rito greco, vengono celebrati nella cattedrale dallo stesso sacerdote, detto alcune volte Pirico, altre volte Piria, il 19 novembre 1553, il 7 giugno 1554, il 31 marzo 1555. Il 17 febbraio 1572 don Antonio Pyrgo, battezza Caterina figlia di Giannetto de Paulo de Pastrovichi e Milizia de Rado de Pastrovichi e l’ostetrica è Stana de Jacopo Pastrovichi. Nei giorni 9 gennaio, 12 maggio, 16 luglio, 18 ottobre, 23 novembre 1573 e 28 gennaio, 28 febbraio, 14 marzo 1574, battezza bambini della colonia greca residente nella città»[P.CAGNES&N.SCALESE,1529-1787].

Delresto,furonotuttiquelli,eventiabbastanzaordinari,giacchélaliturgiagrecasiera sviluppata anche a Brindisi fin dallo scisma d’Oriente del 1054, e si mantenne in uso nellacittàfinoal1680,nonostanteilConciliodiTrentodel1545avesseufficialmente sostituitoilritogrecoconquellocattolicoofficiatoinlatino. Le comunità greche albanesi poi, in tutta la Terra d’Otranto, finirono progressivamente con abbandonare la lingua madre, che si mantenne circoscritta a solamente un’isola linguistica di pochi comuni situati nella penisola salentina, specialmenteneltarantino,traquelliSanMarzano,attualmenteilpiùgrandecomune Arbëreshëd’Italia.

Gli Ebrei via da Brindisi

Nelnovembredel1539l’imperatoreCarloVdecretòl’espulsionedegliebreidalregno diNapoliesubito, ancheaBrindisi giunse l’editto«... Che si discacciano dalla città gli ebrei, parendo che colle loro usure divorassero le sostanze de popoli e seminassero con l’esempio l’empietà loro. Pure alcuni di loro restarono in Brindisi nella cristiana e in buono et onorevol stato.»[A.DELLAMONACA,1674].

«... Quegli ebrei a Brindisi erano venuti ad abitare, in numero piuttosto considerevole, ai tempi degli aragonesi. A dire il vero, questi ebrei cole loro industrie, coi loro traffici, colle loro ricchezze avevano di molto contribuito al benessere della città. La quale, riconoscente, aveva fatte premurose istanze al viceré di Napoli, affinché si fosse loro permesso di restare lì. Ma i tentativi e gli sforzi tornarono vani. E questo esito era da aspettarsi dal fanatismo religioso di Carlo V e dal suo viceré Don Pedro de Toledo, i quali avevano – vanamente – tentato di stabilire l’inquisizione in Napoli.»[

F.

1886].

In realtà, gli ebrei a Brindisi c’erano anche da molto prima che arrivassero gli aragonesi. Dopo la conquista e distruzione di Brindisi ad opera dei Longobardi, intorno al 670 dC «… La documentazione epigrafica dà la certezza che rimasero, ai margini della città, solo alcuni gruppi di ebrei, parte stabiliti nella zona detta ‘Giudea’, presso il seno di Levante del porto interno, parte presso l’attuale via Tor Pisana.» [G. CARITO,1976].Epoi« Quando la città rinacque alla fine del IX secolo, anche gli ebrei vi ritornarono. Nella seconda metà del secolo XII il viaggiatore navarrino Beniamino da Tudela vi troverà una decina di famiglie dedite alla tintoria.»[A.FRASCADORE,2002].

Con l’editto di Carlo V, che tardò un paio d’anni ad essere concretamente attuato, alcuni degli ebrei brindisini emigrarono a Corfù, Patrasso e Salonicco, dove vennero ben accettati e dove mantennero in uso la lingua, i costumi e i riti religiosi che si portarono da Brindisi; mentre quelli che rimasero attuarono il marranesimo, ossia l’osservanzadella religione cattolicanelleapparenzeenellapratica domestica quella degliusieritualiebraici.

Carlo V

Mamma li turchi!

Gran parte delle azioni di Carlo V e di tutti gli eventi che si susseguirono durante i quarant’annicheduròilsuotronosulregnodiNapoli,furonofortementecondizionati dalla sua permanente e interminabile guerra contro Francesco I, il re di Francia, il quale mai rinunciò alla lotta anti-Carlo V e giunse persino a sostenerla mediante l’antinaturaleefunestaalleanzaconl’imperoottomanodiCostantinopoli. Infatti, furono costanti durante tutti quegli anni gli episodi legati agli attacchi e alle scorrerieturco-barbareschesullecosteecittàdellospagnoloregnodiNapoli,etrale piùespostequellepugliesie,naturalmente,nonfeceroeccezionequellebrindisine. NelcontestodelleguerretraFrancescoIeCarloVedell’alleanzafranco-turca,tragli assalti più prossimi a Brindisi ci fu quello del 27 luglio 1537, quando i turchi di BarbarossasbarcaronoaCastro,ottenendolaresadalcomandantedelcastellodietro assicurazioni che sarebbero stati rispettati gli abitanti. Più che i patti, naturalmente nonosservati,influironosullaresaleingentiforze–7000fantie500cavalli–messea terradaiturchi,giacchéquell’azionerientravanelpianofranco-ottomanosecondocui iturchiavrebberoattaccatol’Italiadalsudecontemporaneamente,ifrancesidalnord L’imperatoreSolimano,infatti,inviòunesercitodi300.000uominidaCostantinopolia Valona, con l’obiettivo di trasportarli in Italia con una flotta di 100 galee già pronta, nel mentreil suo ammiraglio Barbarossa devastava la costatra Otranto e Brindisi, in attesa del momento propizio per prendere Brindisi – dove sembra che ai francesi fosse riuscito di corrompere il governatore locale che avrebbe dovuto favorire lo sbarcodell’esercitoottomano–dacuiproseguirelaconquistadelregnonapoletano.

Francesco I però, non riuscì a concretizzare il suo piano nel nord d’Italia e, invece, andò ad attaccare i Paesi Bassi. Fallito così il piano prestabilito, nel mese di agosto 1537gliottomanirinunciaronoaprendereBrindisi,lasciaronoilsudd’Italiaeposero l’assedio navale a Corfù, dove all’inizio di settembre 1537 vennero raggiunti da 12 galee francesi dell’ammiraglio Baron de Saint-Blancard, il quale tentò vanamente di convincerli ad attaccare nuovamente la Puglia, la Sicilia e Ancona, ma a metà settembreSolimanoriportòlaflottaaCostantinopoli,senzaneancheaverpresoCorfù.

Qualchetempodopo,senzachenelmentrefossemaistatamessadapartelabellicosa rivalità tra Francesco I e Carlo V, in quegli stessi anni in cui il viceré spagnolo di Napoli, Pedro de Toledo, tentava di convincere l’imperatore Carlo V ad instaurare l’inquisizione nel vice regno, era principe di Salerno Ferrante Sanseverino. La sua decisaopposizioneaquell’iniziativalocollocòinrottadicollisioneconilviceréfinché, aggravatosi lo scontro, nel 1552 fu dichiarato ribelle e condannato a morte dal ConsigliocollateralediNapoli.Costrettocosìaprenderelaviadell’esilio,ilprincipesi rifugiò in Francia sotto la protezione del re Enrico II, che nel 1547 era succeduto al padreFrancescoI.

Dall’esilio, Sanseverino, per anni si adoperò con impegno a ravvivare la coalizione, integrata dal regno di Francia la repubblica di Venezia e l’impero turco, per combattere Carlo V ed il suo regno napoletano. Anche se finalmente non raggiunse l’obiettivo della presa di Napoli, non mancarono sue iniziative concrete volte a quell’impresa, come quando – nel 1554 – al comando di una flotta francese di 18 galere, si unì alla flotta turca ancorata a Prevesa, sulla costa nordoccidentale della Grecia,persferrarel’offensiva.

Francesco I e Solimano il Magnifico Andrea Doria Khayr al-Din Barbarossa

«Brindisi, ammaestrata dall’esperienza, vedendo addensarsi sì minacciosa burrasca ed in luogo così vicino, entrò con gran timore che i primi tentativi di sbarco e i primi assalti sarebbero diretti contro di essa. Il quale pericolo essendo stato conosciuto anche dal governo di Napoli, furono mandati di presidio in questa città 400 soldati calabresi, sotto comando di Giovanni Battista de Abinante. Questo nerbo di forze era un’accozzaglia di persone di mala vita e di pessimi costumi. Dissimile dai soldati non era il loro capo…

In breve tempo, stando quei soldati in ozio, divennero insolenti, tracotanti. I cittadini erano pubblicamente insultati; le botteghe derubate; i pubblici negozii malmenati; la virtù vilipesa; la pudicizia delle donne oltraggiata. I cittadini perdettero alla fine la pazienza e levatisi a tumulto, giurarono di vendicarsi dei torti fin’allora ricevuti e di non risparmiare alcuno di tai malcapitati. Percorrendo armati le strade della città uccidevano quanti di quei soldati incontravano, e… Avrebbero trucidati tutti quei soldati, se, avuto sentore del tumulto, non fossero accorse le autorità provinciali da Lecce Le quali, unitesi ai più saggi e prudenti della città, riuscirono a stento a frenare l’impeto e a calmare l’ira della popolazione… E il viceré, cardinale Pedro Pacheco, tenuto conto della provocazione, assolse la città e castigò severamente il presidio ch’era sopravvanzato alla strage»[F.ASCOLI,1886].

Dal re Carlo al re Felipe

MaperilreCarloIV diNapoli –l’imperatoreCarloV, sulcuiimpero non tramontava maiilsole–eragiuntoiltempodellastanchezzaedelritiro.Nelgennaio1556abdicò infavoredelfiglioFelipeIIcedendoglilecoronediSpagna,deiPaesiBassiediNapoli, con le Nuove Indie; e nel febbraio 1557 abdicò in favore del fratello Ferdinando cedendogliloscettrodelsacroromanoimpero. Quindi, siritirònelmonasterodiSan Yuste, in Estremadura di Spagna, dove morì il 21 settembre del 1558. Il regno di Napoli – e con esso anche Brindisi – aveva un nuovo sovrano, Felipe II. Sarebbe rimastosultronoanchelui,comeilpadre,alungo:peraltriquarant’anni.

BIBLIOGRAFIA:

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DellaMonacaA. Memoria historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi ‐1674

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B.SciarraB.&C.Sciarra Il sistema difensivo a Brindisi -1981

CaritoG. Le Mura di Brindisi. Sintesi Storica -1981

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PerriG. Brindisi nel contesto della storia ‐2016

Brindisi versus Oria:

tra la chiesa brindisina e la chiesa oritana 500 anni di aspri contrasti

Pubblicato su Academia.edu – e, parzialmente, su il7 Magazine del 3 e 10 gennaio 2020

SulvolgeredellafinedelVIIsecolo,Brindisiversavaincondizionideplorevoli,dopo unagradualeecostantedecadenza,cheiniziataconlaventennaleguerragreco-gotica (535-553) si era via via accentuata durante i cento e più anni di dominio bizantino sotto l’amministrazione di quei Greci risultati vincitori, i qualida Otranto – assurta a capitaledelDucatodiCalabria cuiBrindisi apparteneva –esercitavanoilmalgoverno con esosi patrizi e inetti funzionari, stimolando il diffondersi di una corruzione imperante, mantenendo un precario stato di sicurezza sulle vie di comunicazione terrestiinfestatedalbrigantaggioe,soprattutto,provocandolamiseriageneralizzatae lospopolamentodellacittàedelsuoentroterra[dati,notizieedettagliinG.CARITO1].

GiàallafinedelVIsecolo,lasituazionediBrindisieracosìtantodegeneratachela città, già sede di una delle prime comunità cristiane costituitesi in Italia, non era neancheriuscitaadeleggersiunvescovoproprio,comesievincedallamissivadel595 incuiilpapaGregorioMagnochiedeaPietro,vescovodiOtranto,di“provvederealla chiesa di Brindisi priva di una guida dopo la morte del suo ultimo presule, per farne eleggereunoevigilandoaffinchénonsiaelevatounlaicoalladignitàvescovile”.

Una diocesi quella di Brindisi che probabilmente già attiva fin dal III secolo, in quello successivo aveva inviato il suo rappresentante, il vescovo Marcus di Calabria, all’importanteConciliodiNiceadel325.Eunacittà,Brindisi,dacui:

«Nei primi decenni della predicazione cristiana, quasi certamente passò il nuovo messaggio per raggiungere Roma. Di conseguenza, la nostra città fu se non la prima meta, almeno la prima tappa occidentale degli evangelizzatori. La sede vescovile di BrindisipuòpertantorisalireaunadataanterioreallapacediCostantinoedèprobabile cheBrindisisialasedevescovilepiùanticadopoRoma.»[O.

]

A cavallo tra il IV e il V secolo, fu vescovo di Brindisi Leucio, nato in Alessandria d’Egitto e divenuto poi il grande evangelizzatore del Salento. In seguito, durante il corso del V secolo, nella sede episcopale brindisina si succederono Leone, Sabino, Eusebio, Dionisio e, da ultimo, Giuliano vescovo dal 492 al 496, la cui elezione è certificata da una lettera decretale del pontefice Gelasio I, in cuiil papa impartisce al vescovoGiulianodisposizionidiordinedisciplinareedecclesiastico[G CARITO3].

DurantetuttoilVIsecolo,invece,lasedeepiscopalebrindisinasembrerebbeessere rimastavacantee,pertanto,potrebbeforseesserestatoproprioGiuliano“quell’ultimo presule morto senza essere stato avvicendato” riferito dal papa Gregorio Magno, in quella sua missivadel595 in cui segnalava la necessità diprovvedere alla nomina di unnuovovescovoperBrindisi.Oforse,divescovicen’eranostatiancheneicentoanni seguentilamortediGiuliano,pursenzachedilorocisianopervenutinomioazioni.

Comunque, perlasede episcopalebrindisina, quellalamentatadaGregorioMagno deve essere stata una vacanza certamente prolungata, senza che neanche si possa pensare per quel periodo ad un trasferimento o ad un accorpamento ad altra sede, cosa alla quale la missiva del pontefice avrebbe certamente fatto riferimento. Più naturale è invece supporre che quella eventuale vacanza assoluta, altro non fu che

un’ulterioreriprovadelfattochelaguerragreco-goticaprima,l’occupazionebizantina dopo, unaseriedicatastrofinaturalie, infine,l’approssimarsideiLongobardi, furono tuttieventicheinsuccessioneaffossaronocompletamentelacittà,lasuaeconomia,la suapopolazione.

Una vacanza che, comunque, certamente perdurava ancora nel 601, quando lo stessoponteficeGregorioMagnoordinòsempreallostessovescovoPietrodiOtranto – risultando evidentemente vacante la cattedra – di prendere in Brindisi reliquie dal corpo di San Leucio per mandarle ad Opportuno, abate del monastero di San Leucio cheeraacinquemigliadaRoma.

Entrato il secolo VII, finalmente, Brindisi riebbe i suoi vescovi che, in successione, furonoProculo,Pelino,Ciprio[G CARITO3]e,daultimo,Prezioso

«Alla fine del VII secolo era vescovo di Brindisi Prezioso, a noi noto solo dal 1876, quando fu scoperto, in contrada Paradiso, il suo sarcofago con epigrafe. Egli è l’ultimo vescovo residente in Brindisi prima del trasferimento della sede episcopale in Oria. QuestaèladirettadimostrazionedellavolontàlongobardadidistruggereBrindisi,città per essi difficile da difendere contro i Bizantini… Ad una fase di sbandamento della cittadinanzasi può attribuire questosepolcro, sia peril luogo del ritrovamento, inuna contrada lontana dalla città e dalla necropoli romana, sia per le caratteristiche dell'epigrafe…LadistruzionedellacittàaoperadeiLongobardidiBeneventodetermina il trasferimento della cattedra episcopale in Oria… I Longobardi, distrutta Brindisi intorno al 674, fecero di Oria il loro caposaldo facile da difendere grazie alla sua posizione sopraelevata. Allora fu anche sede dei vescovi di Brindisi come conferma l'epigrafecheriportailnomedelvescovoMagelpoto.»[G.

Prezioso, è scritto sul suo sarcofago, morì un venerdì 18 agosto – forse del 685 o, più probabilmente, del 674 – poco dopo quindi, o poco prima, della conquista longobardadellacittà,efucomunqueassenteil27marzodel680alConcilioromano indettodapapaAgatone,incuiBrindisinonfurappresentata.

ILongobardi,ineffetti,giàdapiùdiuncentinaiod’anni–nel568–eranopenetrati inItaliaattraversoilFriulieinpocotempoavevanostrappatoaiBizantinigranparte del territorio peninsulare. Posero la loro capitale a Pavia e raggrupparono tutte le terre sottomesse in due grandi aree: la Langobardia Maior, dalle Alpi all’odierna ToscanaelaLangobardiaMinor,costituitadaiterritoriimmediatamenteaesteasud deipossedimenticentronordicirimastibizantiniiquali,attraversopartedelleattuali UmbriaeMarche,siestendevanodaRomaaRavenna.MentrelaLangobardiaMaiorfu spezzettata in numerosi ducati e tanti gastaldati, la Minor si articolò in solo due potentiducati,quellodiSpoletoanordestdiRomaequellodiBenevento,chealsudest diRomacompreseiterritoridellaLucaniaebuonapartediquellidellaCampania,del BruzioedellaromanaApulia.

IBizantiniallora,incentraronoilloropotereresiduonell’EsarcatodiRavenna,dove concentrarono il loro controllo nominale su tutti i territori italiani inizialmente risparmiati dall’invasione longobarda: la Venezia e l'Istria; la Liguria; la Pentapoli; il Ducato romano; il Ducato di Napoli e il Ducato di Calabria; con inoltre la Sicilia, la SardegnaelaCorsica.IlDucatodiCalabriafufondatoneiterritorisituatiadesteasud delcaposaldolongobardodiBenevento,integrandoinun’unicaentitàamministrativai territori della penisola del Bruzio, l’odierna regione calabrese, con quelli della penisola costituita dalla parte meridionale della romana Apulia e da tutta la romana

Calabria, l’odierno Salento: due penisole ben separate, ma inizialmente collegate da un’ampia fascia costiera che si estendeva lungo la riva nord-occidentale del golfo di Taranto.

E,inevitabilmente,sulDucatodiCalabriasiriversaronoesiconcretizzaronopresto lemireelepressioni espansioniste deiLongobardidiBenevento. Nel605, dopoaver già allargato i confini del proprio territorio a scapito dei Bizantini, Arechi I, duca di Benevento,stipulòconquelliun’instabiletregua,cheduròfinoaquandol’imperatore bizantinoCostanteIIsbarcòaTarantonel663,liberandotemporalmentequasituttoil meridione dalla presenza longobarda, senza però poter espugnare Benevento, energicamente difesa dal suo duca Romualdo I. Dopo l’omicidio dell’imperatore Costante II però, avvenuto a Siracusa nel 668, i Longobardi del duca Romualdo I recuperarono gran parte dei territori e delle città del meridione d’Italia, occupando anchepartedellostrategicoDucatodiCalabria,inparticolareTaranto,Oriae,intorno al 680, anche Brindisi, una città già in profonda crisi che «distrussero essendo un porto per essi inutile e comunque difficile da difendere contro gli abili navigatori bizantini»[A.DELEO4]iquali,ineffetti,avrebberopotutoevidentementeutilizzarloin qualsiasimomentoperriaprireunatestadipontesulterritoriopeninsulare.

«Immiserita e deserta, abbandonata e indifesa, facilmente esposta alle incursioni saracene [?], la vecchia Brundisium non è più in condizioni di assicurare alcuna sicurezza alla sua chiesa, né di garantirne la conservazione del patrimonio… E tra i luoghisoggettiallasuagiurisdizione,ilvescovoscegliel’antica Uria enter Brundisium et Tarentum. Lontana dalla costa, arroccata su una altura facilmente difendibile, Oria è la cittàpiùriccadell’entroterrabrindisino.AbrevedistanzadaTarantoecollegataanche conOtranto…Nonabbiamoelementiperstabilirel’epocaincuiilvescovobrindisinosiè trasferito nella sua nuova sede ed ha aggiunto e poi sostituito al suo titolo originario quellodiOria.»[T.PEDIO5]

Eventualmente furono proprio gli stessi Longobardi che, distrutta Brindisi, conquistata Oria – già roccaforte bizantina ed elevata a loro caposaldo principale di tutto il territorio adiacente – e convertitisi al contempo al cristianesimo romano, favorirono l’instaurarsi in quella città della cattedra episcopale, forse con il longobardo Megelpoto primo vescovo, eventualmente tra fine ‘600 e primi ‘700: nel concilioindettodalpapaAgatonenel680,infatti,neancheOriafurappresentata.

«Le prime notizie certe risalgono, infatti, all’VIII secolo, così come si evince da un’epigraferinvenutanel1932neipressidelcastellofedericiano.Essacontieneilnome longobardo di un presule, Megelpotus, che eresse una chiesa dedicata alla Vergine. ProbabilmenteeglifuilprimovescovoarisiedereinOria,presumibilmenteproveniente dallavicinasedebrindisina.»[G.LEUCCI6]

LacronotassideivescovidiOriapubblicatanellapaginawebdellaDiocesi,riporta un vescovo anteriore a Megelpotus, tale Reparato. Non è corretto: probabilmente qualcunolohaconfusoconReparatus,vescovodiFirenze,chepartecipòalconciliodel 680edaccantoallacuifirmac’èscritto“exiguus episcopo santae ecclesiae florentinae” (e non horitanae). Poi, sui nomi e sui fatti degli eventuali immediati successori di MegelpotononcisononotizieebisognaattendereilfiniredelsecoloIXpersaperedi unnuovovescovoconsedeinOria.Sitrattadell’oritanoTeodosio,ilcuipredecessore fu tale vescovo Paolo. Teodosio fu vescovo per trent’anni – dall’865 all’895 – nel

mezzodeiquali,muovendodaOtrantoeGallipoli,iGreciriacquisironoilcontrollosu Oria.

«Intorno alla seconda metà del IX secolo sul territorio di Oria si incontrarono e si scontrarono, dal punto di vista religioso e politico, varie realtà e Teodosio, fedele al vescovo di Roma, rivestì il ruolo di mediatore durante la guerra tra i Longobardi e i Bizantini.Egli,infatti,inqualitàdiaprocrisariofuinviatoduevolteaCostantinopolida papaStefanoVconl’incaricodifarconvivereilritolatinoequellogrecosuiterritoridi sua competenza. Nell’arco del suo episcopato, infatti, si diffuse in Oria sia il culto dei protomartiriromaniCrisanteeDaria,sialavenerazionedellereliquiedelsantomonaco deldesertoBarsanufiodiGazagiuntedall’orientesullitoralediOstuni,intornoall’873. Questo breve periodo di tregua consentì allo stesso presule di convocare un sinodo, nell’887, in cui si stabilirono precise norme liturgiche e si regolamentò la vita dei chierici confermando la disciplina del celibato… Da Oria, Teodosio si prese cura anche dellesortidellaChiesadiBrindisi,recuperandolereliquiedisanLeucio,primovescovo diBrindisi,ilquale,secondolatradizione,sarebbestatodiscepolodisanPietro,mapiù probabilmentevissefrailIVeilVsecolo.»[G.LEUCCI6]

«SideveaTeodosio,amicodelvescovodiBeneventoediGaideriso,principespodestato di Benevento inviato dai greci in Oria, la restituzione di una parte delle reliquie [trafugate da Tranesi quasi due secoli prima] di san Leucio, protovescovo di Brindisi, allachiesadiquestacittà.Questereliquiefuronoripostenellabasilicache,costruitaper operadiTeodosio,fuconsacratadalsuccessore,vescovoGiovanni.»[G.

]

Questacircostanzaèpersésufficienteprovadelfatto cheTeodosiosiconsiderava essere vescovo non solo di Oria, ma anche di Brindisi, nonché – come ad esempio lo assumeCARITO7 –vescovodiBrindisiconsedeinOria.DopoTeodosio,mortonell’895, la successione dei vescovi di Oria e di Brindisi con sede in Oria presenta una nuova lacuna, mentre il debole equilibrio da lui intessuto tra la chiesa di Roma e quella di Costantinopoli fu radicalmente sconvolto da quando i Saraceni, nel 925 dopo aver devastatoBrindisi,giunserounaprimavolta–enonsaràl’ultima–aOria,razziandola edeportandoinSiciliamoltideisuoiabitanti.

L’organizzazione ecclesiastica fudaalloracondizionatadirettamentedallevicende politiche e militari intercorse fra Bizantini e Longobardi in lotta per il controllo del territorio, cosicché una stessa area fu di fatto spesso regolata da due giurisdizioni differenti,quellalatinaequellabizantina.Intalicircostanze,fuilvescovodiCanosaa coagulare e guidare i latini da Bari, dove aveva trasferito la sua sede e dove di fatto esercitava da metropolita con l’obiettivo di contrastare e contenere l’azione del metropolitadiOtranto

«LasuccessivaegemoniadiBisanziosulSalentodeterminailtentativodicomprendere le diocesi salentine nel patriarcato di Costantinopoli. Roma, a salvaguardia dei propri diritti, attribuisce il titolo della sede di Brindisi ai vescovi di Canosa. Si hanno così vescoviresidentilacuielezioneèconfermatadaBisanzioevescovinominalicuiiltitolo è conferito da Roma… Così, vescovo di Brindisi fu Giovanni, arcivescovo di Canosa e Brindisi dal 952 al 978, risiedeva in Bari e si sottoscriveva archiepiscopus Sancte Sedis Canusine et Brundusine Ecclesie.GlisuccessePaone,dal978al993,anch’egliarcivescovo di Canosa e Brindisi, anch’egli risiedeva in Bari e anch’egli si sottoscriveva episcopus Sancte Sedis Kanusine et Brundisine Ecclesie…IIritogreco,comunque,siaffiancòpiùche sostituirsiaquellolatino,ancheperchéinquelperiodoèpossibilevisianostativescovi latinielettidalpopoloedalclero,poiconfermatidalpatriarcadiBisanzio.»[G.CARITO7]

Parallelamente, ma in Oria, vi era Andrea, episcopus oritanus riconosciuto da Costantinopoli,ilqualenel977avevaassistitoalsaccodiOriadapartedeiSaracenie poi, in pieno agosto del 979, era stato ucciso dal protospatario imperiale Porfirio, autoritàbizantinadimoranteinOria,aconseguenzadiunasprolitigiosortoperstrada traquelleduefiguredelpoterecittadino.Trascorsiottoannidall’assassiniodiAndrea, l’imperatorebizantinonominòGregoriovescovodiBrindisi,Oria,OstunieMonopoli,il qualeesercitòilsuopresulatodal987al996dallesedidiMonopolieOstuni.

Certo è, che la confusione regnava sovrana nelle chiese dei territori del Tema bizantino della Langobardia – fondato nell’892 e poi unificato nel 975 con quello di Calabria nel Catepanato d’Italia – in cui i vescovi eletti dal clero locale venivano consacratidalponteficeesercitandoindiocesiconsideratetuttesuburbicarieedincui, con la sola eccezione di quella di Otranto il cui vescovo sempre riconobbe la diretta autoritàdelpatriarcadiCostantinopoli, ivescovilatinicercavanodi mantenerecerta indipendenzadall’ingerenzadelpatriarcaedeifunzionaribizantini.

«Lalottatraivarivescovichesicontendonolestessechiesenonèsoltantoteologica.Se a Bari, Brindisi, Ostuni e Monopoli si instaura un modus vivendi che non degenera in aperta e violenta ribellione contro i funzionari bizantini, ad Oria i contrasti assumono aspetti violenti per l’atteggiamento delle autorità greche che non ammettono la posizioneassuntadalclerodifronteallariformadellaChiesadiCostantinopoli.Soltanto dopo un ventennio dallamorte di Andrea, finalmente incontriamo un nuovo vescovo –residente – ad Oria: Giovanni, che regge questa chiesa dal 996 al 1033, riconoscendo l’autoritàdelpatriarcadiCostantinopoli.»[T.PEDIO5]

«Verso la fine del X secolo, durantel'impero di Basilio II e Costantino VIII (976-1025), Brindisifuelevataadarcivescovado.Anchesemancaildocumentoconilquale lasede diBrindisiedOriaerastataelevataadarcivescovadometropolitano,perleprerogative connessealtitolo–Giovanninel1033consacròLeonevescovosuffraganeoinMonopoli eeresseun’altrasedesuffraganeainOstuni–èdacrederecheGiovannisiastatoelevato alla dignità di arcivescovo contemporaneamente alla sua nomina, avvenuta nel 996, come primo arcivescovo e metropolita di Brindisi. Sia Giovanni (996-1038) che i suoi successori, quali il greco Leonardo (1038-1051), il latino Eustachio (1051-1074) e l'altro greco Gregorio (1074-1080), continuarono a risiedere in Oria. Il nuovo clima politico determinatosi con la scomparsa dei domini greci in Italia, provocò il ritorno delladiocesidiBrindisiallachiesalatina... DopoilgrecoGregorio,nel1085funominato arcivescovo di Brindisi Godino, un benedettino probabilmente originario di Acerenza, cheiniziòilsuoepiscopatonellasedediOria.»[G.

]

EracomunquegiuntoilmomentodiarchiviarelacontroversiatraCostantinopolie Roma per il controllo delle chiese del meridione italiano ed in particolare di quelle pugliesi, tra le quali la brindisina. Completata la conquista normanna nel corso del secoloXI, infatti, lechiese meridionaliitalianeritornanoalle dipendenzedellaChiesa latinaeaRomasiriorganizzaronolediocesi:lemetropoliteelerispettivesuffraganee.

«Nellasecondametàdell'XIsecolo,iNormanniprocuraronodiriscostruireeripopolare la conquistata Brindisi e ottennero che l'arcivescovo Godino tornasse a fissare la cattedra arcivescovile nella sede originaria. Il pontefice Urbano II il 3 ottobre 1089 scrissedaTrani una lettera, ingiungendo al vescovo Godino,il quale omessoil titolo di Brindisi si considerava solo vescovo di Oria, che non si trattenesse oltre in Oria. Nello stesso1089,ilpapasidiresseaBrindisioveconsacròilperimetrodellaCattedraleealla stessachiesadisposefosserestituitaladignitàepiscopale.»[G.CARITO8]

Urbano II – Papa dal 1088 al 1099 Pasquale II – Papa dal 1099 al 1118 Callisto II – Papa dal 1119 al 1124 Alessandro III – Papa dal 1159 al 1181 Lucio III – Papa dal 1181 al 1185 Innocenzo III – Papa dal 1198 al 1216 Paolo III – Papa dal 1534 al 1549 Giovanni Carlo Bovio Gregorio XIV – Papa dal 1590 al 1591 Arcivescovo di Brindisi dal 1564 al 1570 decretò la divisione delle due Chiese

«Il papaUrbano II,in seguito alla richiesta di Goffredo ‘dominus’normannodi Brindisi, ingiunse al vescovo Godino (1085-1099) di trasferire la sede episcopale da Oria a Brindisi, non a motivo dell’esiguità degli abitanti di Oria, ma per ristabilire la sede originaria. Ciò innescò una – secolare – diatriba su quale dovesse essere la sede protocattedra.InunprimomomentoGodinosirifiutòdiattuareledisposizionidelpapa e furono necessarie altre due lettere pontificie in cui si minacciava la scomunica, per indurreilpresuleatrasferirsiaBrindisi.»[G.LEUCCI6]

Così il ricalcitrante Godino, finalmente e comunque di malavoglia, si trasferì a Brindisi e nel mese di luglio del 1098 si sottoscrisse archiepiscopus brundusinus, intervenendo alla donazione, da parte del conte Goffredo, della moglie Sichelgaita e dei figli Roberto ed Alessandro, in favore del monastero di Santa Maria di Monte Peloso. Quel trasferimento da Oria a Brindisi fu però inevitabilmente estremamente sofferto,elalacerazionechecausòfrailclerodelle duecittàfucosìgraveeprofonda che perdurò nei cinque secoli successivi, durante i quali non si placòmai del tutto la contesaperlaresidenzadelvescovoeperlatitolaritàdelladiocesi.

Già nel 1099, fu necessario per il nuovo pontefice, Pasquale II, continuare ad insistere su Godino per ricordargli che la chiesa di Oria era soggetta a quella di Brindisi.Efunecessariaunabollapapale del23marzo1101alnuovopresuleNicola, subentratoaBaldovinoarcivescovodiBrindisinel1100,dopoGodino,perriaffermare la titolarità metropolita di Brindisi sulle suffraganee Oria, Ostuni e Mesagne. Poi, lo stessoponteficePasqualeII,ancoraepiùvolte,dovetteintervenire:

«Nel comunicare al clero e al popolo di Oria la consacrazione nel 1105 di Guglielmo, nuovoarcivescovodiBrindisiediOriadopoNicola,enelloscrivereunaletteraalduca Ruggero per confermare essere Oria soggetta al presule brindisino. Nonostante, GuglielmocercaqualsiasipretestopertornareadOriaeallasuamorte,ilpapaCallistoII deve riaffermare la subordinazione di Oria a Brindisi e che il nuovo arcivescovo, dal 1122ilcardinaleBailardo,fisseràlasuadimoranell’anticasededelladiocesi:Brindisi.Il 24 dicembre 1165, il pontefice Alessandro III intima alla chiesa oritana di non lederei diritti dell’arcivescovo di Brindisi Lupo, succeduto nel 1144 a Bailardo e il 28 giugno 1178 intima di obbedire all’arcivescovo di Brindisi, Guglielmo, succeduto nel 1173 a Lupo. Anche il seguente papa, Lucio III, il 31 luglio 1183 si dirige al clero e al popolo oritani affinché riconoscano la supremazia del nuovo arcivescovo di Brindisi, Pietro di Bisiniano succeduto a Guglielmo e gli obbediscano. Ed ancora, il 16 dicembre 1199, InnocenzoIIIintervieneperindurreGerardo,succedutonel1196aPietro,arientrarea Brindisi,sededellasuadiocesi.Nelgiugno1219,FedericoII,nelconfermarePellegrino Brundusinus Archiepiscopus dal 1216, precisa che la sua giurisdizione si estende anche sulla chiesa di Oria. Poi, sul finire delsecolo XIII, l’arcivescovo Adenolfo, succeduto nel 1288 – dopo Pellegrino, Giovanni di Trajecto, Giovanni di Santo, Pietro Paparone – a Pellegrino di Castro, dopo che Bonifacio VIII nell’ottobre del 1294 lo ha trasferito alla chiesa di Conza, in forma polemica si sottoscrive Horitane et Brundusine sedis archiepiscopus, facendo riaffiorare le antiche aspirazioni del clero oritano e i contrasti, inrealtàrimastisemprevivi,traleduecittà.»[T.PEDIO5]

Dopo i pur limitati progressi prodottisi nel periodo normanno-svevo, sotto i regni angioiniearagonesisia Brindisi cheOria visserosecolicon lunghi periodidirelativo declinoeconomico, culturaleedemografico, tantodanon essere piùconsiderate sedi arcivescovili ambite, rimanendo fino al 1378 comunque sempre unite sotto lo stesso presule – Pandone, Rodolfo, Bartolomeo, Bertrando, Isardi, Guglielmo, Galardo,

Giovanni e Giso – residente in Brindisi quale Brundusinus et Uritanus Archiepiscopus, ancheseperglioritanitrattavasidi Uritanus et Brundusinus archiepiscopus.

«Loscismad’occidente–consumatositrail1378eil1417–conladoppiaobbedienzae ledivisionifrailcleroeifedeli,creòfortedisorientamentoancheinquestiterritori,ei vescovi di ambedue le parti [9 e 10], per evitare opposizioni e contrasti, preferirono risiedere lontano dalla diocesi. Al loro ritorno, i pastori dovettero intraprendere una faticosaoperadirecuperodellerendite,deibeneficiedeiprivilegi…Ilclerotrascorreva lasuaesistenzanelristrettoambitodelpaesediorigineedellachiesadiappartenenza, limitandosi al culto e celebrando le più importanti feste liturgiche nelle rispettive cattedrali di Brindisi e Oria, le quali rimasero comunque sempre fortemente antagoniste.Gliarcivescovi,infatti,sisottoscrivevanocomevescovidiBrindisieOriase iprovvedimentieranopresiperlasedeBrindisina,ediOriaeBrindisiseriguardavola zonadelladiocesidicompetenzadellacattedraoritana.»

ConilsecoloXVIiniziòillungoperiodovicerealedelregnodiNapoliedopolapace di Cambrai del 5 agosto 1529, Carlo V – sacro romano imperatore e re di Napoli – si arrogòildirittodinominarenelregno18vescovie7arcivescovi,traiqualiquellodi Brindisi, come aveva stipulato un mese prima nel trattato di Barcellona con il papa ClementeVII.Daquelmomentolachiesabrindisina,chefinoadalloraeraappartenuta ai pontefici, divenne regia garantendo al regno, con la nomina di prelati spagnoli o comunquefilospagnoli,l’affidabilitàdiunacittàstrategicamenteimportante.

Nel1518,erastatonominatoarcivescovodiBrindisiilcardinaleGianPietroCarafa, ilqualeperònondimoròmaiincittàequandonel1524rinunciò,perpoi–nel1555–divenire papa con il nome di Paolo IV, gli succedette Girolamo Aleandro. Questi, divenutoinseguitoanchecardinale,nonrisiedettequasimainellasuadiocesi,perché occupato ad assolvere all’incarico di nunzio apostolico, prima in Francia e poi in GermaniaeaVenezia;ecomunque,quandoraramentesostòinsede,preferìrisiedere perlopiùinSanPancrazio“perlabontàdiquell’aria”.Allasuamorte,nel1542,Carlo VnominòilnipoteFrancescoAleandroquale Brundusinus et Uritanus Archiepiscopus

«Quando il nuovo presulepredispone una visita pastorale a Oria – feudo delmarchese GianBernardinoBonifacio,inannosavertenzaconlaMensaarcivescovile–lacittàglisi mostra ostile e gli consente l’accesso nella chiesa soltanto dopo lunghe trattative a seguito delle quali l’Aleandro giura che nei suoi atti si sarebbe sottoscritto Uritanus et Brundusinus Archiepiscopus a indicare la preminenza della chiesa di Oria su quella di Brindisi.»[T.PEDIO5]

«Questo arcivescovo, mentre Regia Camera della Summaria per il Dottore Guerriero, presidente di detta Camera, si fabbricava il processo tra il Capitolo ed il Marchese, perché quest’ultimo restituisse la possessione e tenuta “decimarum annualium terraticorum dicte civitatis Orie”, mentre il Marchese non voleva addivenire alla restituzione in quanto il privilegio di re Ferdinando prodotto al Capitolo era stato revocatodareFedericoconildonoaRobertoBonifacio,suopadre,delledetteterredi Oria, e mentre il Capitolo stesso aveva fatta procura per tale causa al venerabile canonico Roberto Caballero con atto del notario Vittorio Pinzica in data 26 gennaio 1545,forseperchésitemevacheilCaballerononfacessegliinteressidellachiesa,inun giornoimprecisato,machevadal26gennaio1545aiprimidimaggiodellostessoanno, l’arcivescovo decise di recarsi in Oria e discutere personalmente col marchese… Ma il Marchese temendo che l’ingresso dell’arcivescovo nella città avesse potuto procurare una sollevazione nel popolo che aveva sofferto il cattivo governo di suo padre e che

soffriva anche il suo cattivo governo, riuscì ad indurre il popolo stesso ed il clero a chiudere colsuoappoggio le porte di ingresso della città all’arcivescovo…facendoleva sulsentimentopatriodegliOritanichedamoltisecoli malsopportavanolacomunanza dellalorocattedraepiscopaleconquelladiBrindisi.»[R.J

11]

«IlcomportamentodelcleroedellaUniversitàdiOriaprovocalalegittimareazionedel presule:rientratoaBrindisi,il23marzodel1542,l’arcivescovofacompilaredalnotaio NicolòTacconeedalgiudiceNicolaMonticelli,copiadellabolladel1144conlaqualeil pontefice Lucio II indicava la giurisdizione che si estendeva, oltre che sulla città di Brindisi, anche su Oria, Ostuni, Carovigno e Mesagne. Quindi chiede l’intervento del ponteficeePaoloIII,conbolladel20maggiodel1545,richiamandosiancheallebolledi Alessandro III e di Lucio III, ribadisce la supremazia del vescovo di Brindisi e che a questi, Brundusinus et Uritanus Archiepiscopus, il clero e il popolo di Oria devono debitam obedientiam et honorem.»[T.PEDIO5]

Ma gli oritani, imperterriti, continuarono a non darsi per vinti e continuarono a cercare di replicare e di contrastare in ogni modo anche quell’ennesimo esplicito dettamepontificio,conl’obiettivodiprovarelapreminenzadellalorochiesasuquella brindisina, coinvolgendo nell’ormai secolare controversia i loro eruditi, studiosi e cronisti, per contrapporli a quelli brindisini e ricevendo il pressante stimolo del marcheseGianBernardinoBonifaci.

A Francesco Aleandro, nel 1564, succedette il brindisino Gian Carlo Bovio, già arcidiaconodellacattedralediMonopoliegiàvescovodiOstuni.Dopounpaiod’anni dalla sua elezione all’episcopato brindisino, Bovio ebbe una disavvenenza con gli amministratori della sua città, si racconta12 a causa di un malinteso e – comunque di certo – per una questione futile, una questione di vino: Il crescere in Brindisi, su sollecitazione veneziana, della produzione viti-vinicola e, successivamente, il venir menodeimercatid’esportazionenellevanteconlaconseguentenecessitàdiriversare incittàleeccedenze,reserotroppozelanti–nell’applicazionedellaregolacheincittà si potesse consumare unicamente vino locale – i responsabili della amministrazione civica, i quali ruppero nella piazza alcuni vasi del vino che l’arcivescovo aveva fatto venirdafuoriBrindisi,perusopersonale.

Dopo quell’episodio, e pur sanato il malinteso, l’arcivescovo Bovio cominciò a prediligere dimorare in Oria, dove fece edificare un nuovo e suntuoso palazzo vescovile, vi trasferì la sua cattedra e, finalmente, si stabilì in permanenza. Inoltre, stando in Oria incoraggiò la ricognizione di tutti gli antichi diplomi e dei privilegi riguardanti la sede oritana, per far intraprendere – in realtà riprendere – al clero oritano il percorso del reclamo dell’indipendenza dalla chiesa di Brindisi. Poi, nel 1570, l’arcivescovo Bovio, relativamente giovane, morì in Ostuni e, per sua espressa volontà,fusepoltoaOria.

In questo stesso frangente storico, s’inserisce la famosa Epístola apologetica ad Quintinium Marium Corradum,scrittaindata1°dicembre1567dalbrindisinoIohannis Baptistae Casimirii al suo amico Quinto Mario Corrado, vicario generale del clero oritano,notoumanistadell’epoca.Unimportantissimoedestesodocumentodestinato adiventareunapietramiliareperlastoriografiabrindisina:difatto,inqualchemodo, lapiùantica‘StoriadiBrindisi’pervenutaciintegralmente,precedentealla Antiquità e vicissitudini della città di Brindisi dalla di lei origine sino all'anno 1694 di Giò Maria Moricino e successiva solo alla Historia Brundusina di Giovanni Carlo Verano, il cui

manoscritto,elaboratotralafinedelXVSecoloegliinizidelXVISecolo,èperòandato disperso.IldocumentodelregionotaioestoricobrindisinoCasimiro,unmanoscritto inedito conservato nella biblioteca brindisina De Leo, è stato recentemente – 2017 –pubblicato,nellasuaversioneoriginaleinlatino,daRobertoSERNICOLA13 .

Il successore di Gian Carlo Bovio fu Bernardino Figueroa, arcivescovo di Brindisi dal 1571 al 1586, con il quale ebbe inizio la serie dei vescovi spagnoli che si susseguirono sulla cattedra brindisina fino al 1723 Figueroa risiedette sempre in Brindisiesischieròapertamenteconilclerobrindisino,sostenendolasupremaziadi BrindisisuOria.Naturalmente,conciòsiravvivònuovamenteilmalcontentonelclero oritanoche,guidatodalvicariogeneraleQuintoMarioCorrado,sirivolsesiaallaSede ApostolicasiaallaCortespagnola,peraccelerarelacausadelladefinitivaseparazione.

«La “causa” dello smembramento delle due chiese veniva deferita già il 19 dicembre 1588 a una commissione di cardinali, perché la esaminassero e ne riferissero al papa Sisto V. Il parere dei porporati fu affermativo, ma poiché frattanto Sisto V era morto il 27 agosto del 1590, ed era morto anche il suo successore – il romano Giovan Battista Castagna,UrbanoVII–papaGregorioXIV,conbolla“Regimini Universae”del10maggio 1591staccava“in perpetuum”OriadaBrindisi.»[F.BABUDRI10]

Fintanto,dopolamortediFigueroanel1586, ecertamenteacausadellaravvivata e inasprita irrisolta controversia, la sede episcopale era rimasta vacante per ben cinque anni, fino a quando con quella bolla, il papa Gregorio XIV ordinò la divisione delle due chiese: Brindisi avrebbe mantenuto la sede arcivescovile mentre la sede vescovile di Oria – senza più i casali di Leverano, Cellino, Guagnano, Salice e Veglie, assegnatiaBrindisi–sarebbediventatasuffraganeadellametropoliadiTaranto.

Ecosìfu, in secula seculorum!C’eranoperòvolutibencinquesecolidicontroversie ediaspricontrasti14

BIBLIOGRAFIA:

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3 G.CARITO Gli arcivescovi di Brindisi sino al 674 in"Parolaestoria"2007

4 A.DELEO Dell’origine del rito greco nella chiesa di Brindisi acuradiR.Jurlaro1974

5 T.PEDIO La Chiesa di Brindisi dai Longobardi ai Normanni in“Archiviostoricopugliese”1976

6 G.LEUCCI Storia delle Chiese in Puglia: Brindisi & Oria EcumenicaEditricescrl2008

7 G.CARITO Gli arcivescovi di Brindisi dal VII al X secolo in"Parolaestoria"2008

8 G.CARITO Gli arcivescovi di Brindisi nell’XI secolo in"Parolaestoria"2009

9 F.BABUDRI Lo Scisma d'Occidente e riflessi sulla Chiesa di Brindisi in"ArchivioStoricoPugliese" 1955

10 F.BABUDRI Oria e lo Scisma d’Occidente in"ArchivioStoricoPugliese"1956

11 J. ROSARIO La lite tra G. B. Bonifacio e la chiesa di Brindisi per il possesso di Oria in “Studi Salentini”1958

12 F.ASCOLI La storia di Brindisi scritta da un marino 1886

13 R. SERNICOLA Introduzione, trascrizione e note di commento all’Epístola apologetica ad Quintinium Marium Corradum di Iohannis Baptistae Casimirii 2017

14 P.COCO La sede vescovile di Oria e relazioni con quella di Brindisi 1943[scrittononconsultato]

Brindisi e Venezia: dall’XI al XVI secolo, tra accordi solenni e severe dispute

Pubblicato su Academia.edu – e, parzialmente, su il7 Magazine del 7 agosto 2020

Nella prima metà del X secolo, all’incirca cent’anni dopo l’insediamento del primo Dogado–810–inRioAlto, ilagunariavevanogiàiniziatoad estendereilloro raggio d’azioneeVeneziaavevacominciatoaperseguireilcontrollodell’Adriaticoasostegno edifesadeipropriinteressimercantili.Inoltre,grazieancheallarinomataabilitàdella suamarinamilitare,lacittàdiSanMarcogiàmantenevaunarelazioneprivilegiatacon l’ImperoRomanod’Orientedalqualeavevaricevutoimportantiriconoscimenti,tanto chegiuntiallafinedell’XIsecolo,iVenezianieranodifattodiventatiiprincipaliclienti eifornitoripreferitidiBisanzio.

Come diretta conseguenza “geografica” di quell’espansione delle attività marinare veneziane verso il ricco e strategico Oriente, fu inevitabile che Venezia instaurasse prestocontatti,enonsolocontatti,contutteleregionicostiereadriaticheeinspecial modo con gli strategici porti pugliesi, tra cui quello di certo molto importante di Brindisi, città per secoli contesa da Bizantini, Longobardi, Arabi e Franchi e successivamente, a partire dall’XI secolo, integrata al regno di Sicilia, dei Normanni primaedegliSvevi,degliAngioni,degliAragonesiedegliSpagnolidopo.

Con le prime crociate, Venezia consolidò la propria posizione sullo scacchiere del Mediterraneo orientale, accumulando notevoli ricchezze con le razzie e, soprattutto, con il controllo dei commerci su vaste aree del Levante. E con la IV crociata, la Repubblica di San Marco si inserì decisamente nel novero delle potenze marittime dell’epoca, quando la spedizione guidata proprio dai Veneziani portò, nel 1204, alla conquistaealsaccheggiodiBisanzio,nonché,perVenezia,alconseguentepossessodi tuttaunaseriedistrategicheisole,portiefortezzecostierenelloIonioenell’Egeo.

Dopo qualche centinaio d’anni di potere marittimo, più o meno contrastato, l’invasione francese dell’Italia nel 1494 ed il gioco di alleanze che ne seguì per contrastarla, permise a Venezia di ottenere, nel 1495, tre strategici avamposti in Puglia–Trani,BrindisieOtranto–regionechiaveperilcontrollodiAdriaticoeIonio. Poi però, nel 1499, i Turchi la privarono d’importanti città sulle coste albanesi e greche e con la pace del 1503 Venezia dovette rinunciare alle sue pretese su quelle città. E nel 1509, una poderosa lega internazionale sorta in funzione anti-veneziana, costrinse la Serenissima a rinunciare anche all’occupazione degli strategici porti pugliesi,doposolipochiannidipossesso.

Dopo decenni di dominio marittimo turco, nel 1571 ci fu il riscatto cristiano di Lepanto, la grande battaglia navale che pur costituendo per Venezia una grande vittoriamorale,nonimpedìallasuapotenzamarittimadiimboccarelaviadeldeclino, conseguente –tral’altro, manon solo –all’affermarsidelle vie ditrafficooceanichea discapitodellerottemediterranee.

Nella seconda metà del ‘600, l’impero turco s’impegnò in una lunga lotta per il possesso della veneziana Creta, fino a conquistarla nel 1669, e Venezia si rifece qualche anno più tardi, strappando ai Turchi il Peloponneso. Ma la pace di Carlowitz che ne seguì, in realtà certificò l’ultima storica conquista veneziana, peraltro difficile da mantenere e che perciò non ebbe vita lunga: nel 1714, i Turchi si ripresero il Peloponneso e quindi tentarono – comunque senza esito – di prendere anche Corfù, cherestòcosìultimobaluardodiquello“Statodamar”cheerastataVenezia.

L’Adriaticogiànonerail“GolfodiVenezia”demarcatodall’asseBrindisi-Corfùedin quel mare ormai, le flotte da guerra straniere operavano tranquillamente senza il permesso di Venezia. La potenza navale veneziana era solo un’ombra, il suo ruolo di “dominatricedell'Adriatico”unricordolontanoelauntempotemibileflottadaguerra veneziana, stentavafinancheaproteggereiconvoglimercantilidagli attacchicorsari. Epoi,achiuderelaparaboladellaSerenissima,sopraggiunsel’uraganonapoleonico.

Efuinquestocontesto,seguendocioèlaparabolicaevoluzioneveneziana,checon iltrascorreredeisecoligliinteressidiVeneziaperlerelazionicommercialiconiporti pugliesi–conicarichidivino,diolio,digrano,difrumentodilanaedilegumi,chele navi di San Marco esportavano in grande quantità e con le tante merci che le stesse naviviportavanodaVenezia,damoltiscalimediterraneiedaportiancorpiùlontani d’Oriente–auncertopuntosiallargaronoallasferapolitico-militare,conVeneziache oltre all’acquisizione di vantaggiose esenzioni fiscali e di molti altri privilegi e monopoli, cominciò ad ambire alla conquista ed occupazione fisica di quelle stesse cittàgiàpersecolitrattateperlopiùamichevolmenteequindimoltobenconosciute

Così, nel 1496 Brindisi fu, non conquistata, ma in qualche modo comprata da Venezia, eiVeneziani la governarono–discretamentebene –pertredicianni, finoal 1509,quandopassòadintegrareilviceregnospagnolodiNapoli,senzachecomunque Venezia abbandonasse da subito l’idea di una eventuale riconquista, aspirazione certamente ancora viva perlomeno fino a quell’ultimo tentativo concreto effettuato durante la cosiddetta “Campagna di Puglia” del 1528 e 1529. Poi, finalmente, cessarono le secolari aspirazioni veneziane di conquista su Brindisi e scemarono le dispute militari tra le due città, senza che comunque cessassero le relazioni commercialidestinate,invece,aperduraretraaltiebassimoltoalungo:persempre. *****

Un primo formale approdo militare dei Veneziani in Terra d’Otranto risale al IX secolo, quando – fallito nell’836 il primo tentativo – nell’867 il doge Orso I PartecipazioinviòaTaranto–checomeancheBarierastataconquistatadaiSaraceni quasiunatrentinad’anniprima–unaflottadiquarantanaviconcui,anchesesoloper pochianni,sipotérestaurareildominiobizantinosuquellacittà.Qualcheannodopo inoltre, nell’871, la stessa marina veneziana partecipò anche alla liberazione di Bari dall’emiroSawdan,aiutandoinquell’impresal’imperatorefranco,LudovicoII.

Èdapresumerequindi,cheiVenezianisisentisseroaqueltempomoltopiùcomodi a commerciare, e più in generale a relazionarsi, con territori soggetti all’allora amico impero bizantino o tutt’al più al dominio franco-longobardo, anziché a doversela vedereconlaaggressivapresenzaaraba.Così,lerelazionitraVeneziaelaPuglia,per anni seguirono vicissitudini alterne, con i tanti vantaggiosi scambi specialmente favorevoli a Venezia quando sui territori dell’estremo peninsulare italiano sembravano prevalere i Bizantini, e con le continue tensioni e le tante nefaste conseguenze degli assalti delle scorrerie e delle occupazioni saracene, che mai cessaronodeltuttodurantequeiduelunghissimisecoli–dall’827al1038–durantei quali gli Arabi occuparono stabilmente la Sicilia, che utilizzarono come loro sicura e strategica base per sistematicamente scorribandare su tutte le coste, e non solo le coste,delmeridioneitaliano.

Poi, tra l’XI e il XII secolo, tutto cambiò per l’intero meridione italiano quando sopraggiunsero i Normanni che in meno di un secolo lo conquistarono tutto e, con Ruggero II nel Natale del 1130, fondarono il regno di Sicilia integrando in uno stato unitario tutti quei territori laddove si erano stanziati avvicendati e sistematicamente combattutipersecoliiBizantini,iLongobardi,iFranchiegliArabi.

IVeneziani,temendoaragionvedutaperipropriinteressinell’Adriatico,cercarono vanamentediosteggiarelaconquistanormannadellaTerrad’Otranto,dadove,come temuto,nel1081ilducaRobertosalpòperoccupareCorfùequindiprendereDurazzo. Edadove–daBrindisi–nel1085,pochimesiprimadimorire,ilGuiscardosalpòper lasuaultimacampagnaantibizantina,incuivinseiVenezianiestrappòloroKassiopi.

Poi,giustoiniziandoilsecoloXII–indatacompresatrail1101eil1104–Venezia, perrappresagliaorivincita,alleatasicircostanzialmente colreColomanodiUngheria contro i Normanni, impulsò un’incursione navale dalla Dalmazia su Monopoli e su Brindisi,chefubrevementeoccupata.

«Hoc tempore, Colomanus rex Ungarie misit exercitum in Dalmacia, et occidi fecit regem Petrum, et per legatos suos cum Venetorum duce fedus iniit contra Normanos et pariter exercitum in Apuleam ad eorum dampna mitere statuunt; parata autem clase per Venetos, regius aparatus in Apuliam navigans, Brundisium et Monopolim optinent, et tribus mensibus, Apuliam vastant et redeunt.»[A.DANDOLO1]

Inseguito,però,leostilitàcessaronodeltutto–ancheperchéallalungaiNormanni siritiraronodalladirimpettaiacostaadriatico-ionicaperconcentraretuttiilorosforzi inItalia–ecosìlerelazionicommercialitralaRepubblicaeilRegnomigliorarono.

Giànelmaggio1122,infatti,iVenezianideldogeDomenicoMichielstipularonoun trattato commerciale con il principe di Bari Grimoaldo Alferanite. Quindi seguirono altri trattati tra Venezia e Palermo: con il già re Ruggero II nel 1139, concordando e regolamentandoirapportielerelazionicommercialitraVeneziaeisudditidell’Italia meridionale;conilreGuglielmoInel1154,essendodogeDomenicoMorosini;econil re Guglielmo II nel 1175, essendo doge Sebastiano Ziani. I commerci pertanto fiorirono,

«con le tante flotte mercantili veneziane che recandosi in Oriente, e sviluppando quel gran traffico che nei secoli seguenti doveva costituire l'opulenza di Venezia, tanto nell'andatacomenelritorno,poggiavanosempreaOtrantoeaBrindisi»[G.GUERRIERI2]

Con gli Svevi sul trono di Palermo, nei primi tempi le relazioni commerciali con Venezia si mantennero, giacché l’imperatore Enrico VI, pur privilegiando notoriamente le relazioni con Pisa, come re di Sicilia riconfermò al doge Enrico DandoloidiplomiemanatiprecedentementedaiNormanni.

Pocodopolasuaimprovvisamorte,inoltre,quandoancoraeraincorsolaconfusa transizione politicatraNormannieSvevi, aBrindisi sistipulòunpattodicommercio direttamente tra “supposti” rappresentanti del popolo e Venezia, quando nel settembre 1199 i due capitani navali veneziani, Giovanni Basilio e Tommaso Falier, delegati a rappresentare il loro Doge Enrico Dandolo, conclusero – forse, meglio, imposero–aBrindisiilsolenne pactum dipaceedimutuadifesachefusottoscrittoda un gruppo di trentaquattro “notabili” brindisini, evidentemente selezionati tra i proveneziani:

«Nel1199,quandoilregnoèormaiinpredaall'anarchia,l'interventodellaSerenissima valse a liberare l'Adriatico dalla presenza della flotta pisana e ricondusse Brindisi, saccheggiata perché colpevole d'aver offerto supporto logistico ai Pisani, a “solitam venetorum amicitiam”. Nella desolata città vengono individuati 34 cittadini, fra i quali sonoalcunidegliautoridell'assaltoaSantaMaria de parvo ponte,qualiilgiudiceIsacco e gli esponenti dellacomunità ravellese,chesottoscrivonoinnanzi Rogerius Pirontus et notarius Calo, regi camerari di Terra d'Otranto, solenne impegno a non dar ricetto nel portoanaviglioostileaVenezia.Iltrattatodel1199,incertosenso,riportòBrindisinel sistema di relazioni commerciali precedente l'intervento imperiale e, all'interno della città,sancìilmomentaneopredominiodeipartigiani[pro-normanni]diMargarito;frai firmataril'accordoèilcamerariodell'ammiraglio»[G CARITO3]

Certoèche,comunque,traBrindisieVeneziaseguironoannidirinnovatefruttifere relazionicommerciali,aesempiodellequalièdocumentatoche:

«Nel maggio del 1224 molte navi veneziane provenienti da Costantinopoli toccarono il porto di Brindisi, caricando e scaricando merci prima di muovere per Venezia; e negli anni successivi, dal maggio 1225 al giugno 1228, quando le città del dominio veneto furonoafflittedagrandecarestia,ilreimperatoreFedericoIIpermiseallaRepubblicala tratta del grano dai porti di terra d'Otranto, con non poche notizie di navi veneziane partitecariche dal porto di Brindisi, già restauratoproprio dall'imperatore e fornito di comodiarsenali»[G GUERRIERI2]

Lo stesso Federico II, inoltre, permise ai Veneziani di dimorare temporaneamente nel regno e di svolgere da lì – principalmente dalle città pugliesi tra cui in primis Otranto e Brindisi – i loro commerci, come venne esplicitamente concordato in un altro trattato concluso nel marzo 1232 nello stesso palazzo ducale della Serenissima con il doge Jacopo Tiepolo. Sembra che in quel periodo fosse la lana il prodotto di maggior interesse per i Veneziani, ma anche l’olio, il formaggio, le carni salate, e soprattuttoicereali.

Poiperò,irapportitraVeneziaeFedericoIIsiincrinaronoacausadell’alleanzache VeneziaavevastrettoconGenovae–segretamente–colponteficeGregorioIXilquale, scomunicatol’imperatore,nel1240indusselaRepubblicavenezianaainviareunasua armata in Puglia, per assediarla e tentare di prendere un suo porto, magari Brindisi: l’impresanonriuscì,mal’armatavenezianacomandatadaGiovanniTiepolo,figliodel dogeJacopo,attaccòvariecittàcostiereediversiconvoglidiregienavimercantili,tra cuiun’enormenave cheproveniente dallaSiriaaffondò proprioneipressi diBrindisi conabordomillemarinaidiequipaggio.EFedericoII,invendettaperquellescorrerie venete sulle coste pugliesi, nel novembre del 1240 fece impiccare in una torre della marina di Trani un altro figlio del doge, Pietro Tiepolo, che nel 1237 era stato catturatonellabattagliadiCortenuova–neipressidiMilano–etrattoprigioniero.

«Tunc Joannes Teapulo, capitaneus xxv galearum, up pape promissum fuerat, contra Federicum egreditur, et xii galeas il illius subsidium accedentes fugavit, et in Apuliam Termoles, Castrum Marinum, Rodes, Bestie et Bestice cepit, et prostravit, et secus Brunduxium unam navem de Syria redentum, mille bellatoribus munitam optinuit: imperator autem, longa obsidione, Faventiam habuit…

Tunc Petrus Theupolus, ducis natus, potestas Mediolanensium, cum ipsis et eorum amicis, contra Federicum progreditur, qui per districtum Brixie omnia destruebat; sed, fluvio interposito, minime prelium comiserunt; tandem Mediolanenses revertuntur, et dum nichil

mali suspicarentur, Federicus cum milicia sua eos prevenit, et, facto impetu apud Turrem novam in eos, multos ex eis cepit, plures occidit, sed et potestas predictus captus est et carocium; quem Federicus dapnavit ad mortem; dux autem Venecie, ex hoc turbatus, Venetos, ut illius emuli fierent, induxit »[A.DANDOLO1]

FedericoIIcomunque,neisuoiultimiannipotévedererinnovatelebuonerelazioni con Venezia e Manfredi, suo figlio e successore, ratificò al doge Jacopo Tiepolo il trattato del 1232 e ne stipulò anche altri: nel 1257, nel 1259 e nel 1260 con il doge Rainerio Zeno, aggiungendo ogni volta numerosi nuovi privilegi per i lagunari, permettendoloro,adesempio,dipagareundaziodisoloildiecipercentosuiprodotti acquistati e concedendo di poter esportare diecimila salme di grado da alcuni porti pugliesi, tra cui Brindisi. E a partire da allora, con le relazioni commerciali notevolmente incrementate, venne instaurato il consolato veneziano a Trani, con viceconsoli a Barletta, Manfredonia e anche a Brindisi, e numerosi Veneziani si poteronostabilirenellepiùimportanticittàdellariccaregionecostierapugliese.

Con gli Angioini sul trono di Napoli, il re Carlo I, pur privilegiando apertamente le relazioni commerciali con i Fiorentini e senza abrogare né riconfermare i diplomi svevi alla Serenissima, permise la lenta ripresa dei rapporti con Venezia e il porto di Brindisi,oltread essereusatoperfinimilitari,continuòasvolgereuncertoruolonel commercio d’esportazione granaria e soprattutto olearia verso Venezia e nella redistribuzionedeiprodottiindustrialiinarrivodaquellaRepubblica.

Con la traumatica e prolungata guerra dei Vespri però, il ruolo commerciale di Brindisi cominciòaridimensionarsielacittà iniziòaimpoverirsi. Accaddecosìchea causadeiprivilegivecchienuoviafavorediVeneziaeFirenze,ritenutidaiBrindisini essere eccessivi al confronto delle enormi fiscalità imposte loro, iniziarono a manifestarsi da parte dei cittadini – così come in varie altre città costiere pugliesi –rappresaglieadannodinavidiveneziane,conconseguentiovviereazioni:

«Nel1323alcuniBrindisinidanneggiaronogravementenellevicinanzedelportolanave di mercanti veneziani e tre anni più tardi, il brindisino Nicolò De Genio, vice console veneto a Brindisi, fu sollecitato dal console veneto in Puglia, Pietro da Canale, a restituireunagaleacompletadituttigliattrezziesistentisuquellanave,aidanneggiati BonodiTorreeNicolòAssanti,armatoriveneziani…Sipuòaffermarecomunque,chele offese e le rappresaglie furono scambievoli, e se da una parte il re di Napoli Roberto cercava di dare soddisfazione al senato di Venezia, dall'altra si raccomandava con insistenza che nello stesso tempo fossero concessi i compensi e gli indennizzi che spettavanoai lorosudditiai quali iVeneziani avevano recato oltraggio... Nel1339 navi veneziane giunsero a recare gravi offese a quattro galee con bandiera napoletana, comandate da Marino Costa, perseguitandole senza alcun motivo da Otranto fino a Brindisieassediandoledopoinquestostessoporto.»[G.GUERRIERI2]

«Nel febbraio del 1341, una nave veneziana di cà Marcello, comandata da Domenico Marotto, era stata costretta a rifugiarsi nel porto di Brindisi per “sevitiam maris” e i Brindisini, senza por tempo di mezzo, avevano imposto al patrono di scaricare 700 salme di frumento “ad salam Brandici”, che valevano, stimando come pretendevano i padroni del carico, ogni tomolo sette carlini, once 653 e tarì dieci di carlini gigliati, “computata qualibet uncia carlinis ziliatis LX”.»[G.I.CASSANDRO4]

DoporeiteratireclamiformalidirisarcimentofattigiungerepersinoalrediNapoli Roberto, e trascorso già più di un anno dai fatti, il senato repubblicano finalmente, il

22giugno1342,deciselapiùvolteminacciatarappresagliaeordinòlarotturadiogni relazione della Repubblica con i Brindisini e il sequestro, ovunque possibile, dei prodotti e dei beni di questi. Non accadde nulla e, dopo nuovi tentativi legali di riscossione, Venezia si rivolse al nuovo sovrano di Napoli, la regina Giovanna I, e persino al legato pontificio. Si era giunti a metà del 1345 e il debito di Brindisi nei confronti dei Veneziani solo si era in qualche modo ridotto e così, dietro nuove insistenze veneziane, si stipulò a Napoli un accordo di pagamento dilazionato a un anno,trailsindacodiBrindisieilnotaiodiVenezia,maancoranel1346il contonon era del tutto saldato e il 1 novembre 1349, una nuova delibera veneziana rese ancor più severe le misure adottate contro Brindisi e poco dopo, forse perché finalmente mossidall’interesseallaripresadeitrafficicommerciali, «vediamorappresentantidell'UniversitàdiBrindisitrattareaVeneziadirettamentecon i danneggiati la liquidazione dell’ormai annosa controversia. I Brindisini ottengono di pagareilrimanente“per terminis”,madevonofare“plena finis quietatio et remissio” dei dannichedurantelarappresagliaiVenezianiavesseroloroarrecato.»[G.

4]

«In quel 1349, sempre per questioni di grano, Venezia veniva a lite con lo stesso Comune di Brindisi. Essendosi la famiglia Cavalerio appropriata certo grano appartenente a’ veneti, la Repubblica reclamò al Comune, e quantunque questo non ritenesse per niente suo dovere, assunse il risarcimento dei danni entro un quinquennio. Allora soltanto, il doge dichiarò terminata la questione e annullate le sentenze di rappresaglia concesse contro di esso. I brindisini avrebbero potuto d'or innanzi esercitare il commercio come per l'addietro, qualora il Comune promettesse purelibertàdicommercioaivenetinelsuoterritorioedinonmolestarlialtrove Pare che così procedesse la Repubblica in tali frangenti. Dapprima, con prudente pazienza,ilconsole[veneziano]delluogoincriminatopubblicavachefranovemesi,non essendo venuta dall'Università soddisfazione alcuna, i mercanti [veneziani] dietro loro responsabilità, sarebbero partiti con le robbe. Dopo sei mesi, il console, tornato a VeneziabandivaaRialtolostessoavviso,soltantoiltermineeranaturalmenteridottoa tremesi.»[A.ZAMBLER&F.C

5]

Sotto il lungo regno di Giovanna I comunque, dopo la carestia del 1345 e la peste del 1348, Brindisi – nonostante l’importante diploma che con enormi concessioni a Venezia aveva emesso nel 1357 il principe di Taranto, Roberto cognato della stessa reginaealtempotitolareimperatorecostantinopolitano–imboccòdecisamentelavia di un prolungato ed accelerato processo di immiserimento, tanto che nel 1381, il successorere,CarloIII,perprovareafarriviverelacittà,estesealportodiBrindisile franchigie già godute dai Veneziani nel porto di Trani, privilegio poi riconfermato e nuovamenteampliatonel1410dalreLadislaoequindianchedallareginaGiovannaII neitrattatidell’aprile1419.

«A Brindisi [Roberto, il principe] per avvantaggiare il commercio, riduceva a metà gli aggravi che i veneti ivi pagavano, con pieno soddisfacimento dello stesso Comune, il quale dandone nel medesimo giorno partecipazione al Senato, dopo avermagnificato i vantaggi che ne avrebbe tratti commerciando con Venezia, chiedeva che i veneti frequentasserolapiazza.»[A.ZAMBLER&F.CARABELLESE5]

MainpraticaperBrindisi,nonostanteunatimidaripresadeitrafficimarittimi,non ci furono più reali opportunità di un pronto ritorno al passato splendore, mentre al

contempo, Lecce era avviata a divenire la città in Terra d’Otranto di gran lunga più importante, anche grazie all’apporto di molti facoltosi commercianti veneziani, nonchédibanchierifiorentiniediintraprendentiaffaristiGenovesi,cheinquellacittà avevanoiniziatoadimorare.

Conl’arrivo,nel1442,degliAragonesisultronodiNapoli,lasituazioneperBrindisi peggiorò ancor più, sia perché le relazioni del Regno con la potente Venezia si deteriorarono fino a sfociare nel 1449 in guerra aperta, e sia a causa della malaugurata idea che in quel frangente ebbe il principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo, di chiudere l’accesso al porto interno, ostruendone il canale per impedire l’ingresso alla città di eventuali forze invasori veneziane. Un’azione fatale chefuquasiunacondannaamorteperBrindisi,prestocircondatadamalsanepaludie rapidamente depopolata: alla fine del secolo XV gli abitanti si erano ridotti a solamentecirca3000unità.

Poi, con il trascorrere degli anni e con l’evolvere delle complesse interrelazioni politiche tra gli Stati, in particolare con l’avvento a Milano di Francesco Sforza nel 1450econlafatalecadutadiCostantinopolinel1453,irapporticambiaronoancorae si avviò una nuova, anche se breve, stagione di fruttiferi scambi commerciali tra Venezia e Napoli, di cui in buona misura beneficiò anche Brindisi, che vide gradualmenteristabilireeintensificareisuoicontattidiretticonlaSerenissima,anche a conseguenza del rinnovo delle vecchie concessioni che nel febbraio 1463 il re Ferrante, succeduto al padre Alfonso il Magnanimo, concesse con un diploma a Venezia, aggiungendone anche di nuove: a Brindisi, per esempio, i Veneziani furono esentatidall’impostastraordinariadell’unopercentoedallanuovaimpostasullenavi.

«Nel lungo proemio del diploma, il re Ferrante commentava le forti ragioni che lo obbligavano a stringere rapporti d’amicizia e di commercio con la Repubblica veneta, unita al suo stato da antichissimi legami, perpetuatisi dal tempo di re Roberto fino a quellod'AlfonsosuopadreericordavainmodoparticolareildiplomadireLadislaodel 7dicembre1410,iduedellareginaGiovannadel1419eunquartoemessonel1347al tempodell'imperatorecostantinopolitanoRoberto.Quest'ultimofudifattointeramente confermatoeintegratodareFerrante,el'estesodecretofuintegralmentepubblicatoin Bariil14gennaio1464.»[A.ZAMBLER&F.CARABELLESE5]

Gli incalzanti eventi politici e i tanti intrighi di palazzo interni ed esterni all’Italia però, presto vanificarono tutte quelle attestazioni di amicizia e di cooperazione tra VeneziaeNapoli,elenuovetensioniraggiunserol’apicenel1480aseguitodeltragico evento della caduta di Otranto in mano ai Turchi, finalmente risolto grazie alla provvidenziale morte dell’imperatore Maometto II che indusse gli occupanti arabi della sfortunata città ad abbandonare la loro presa. Ferdinando I – il re Ferrante –considerò, pur senza averne prove certe, che Venezia in quel frangente avesse parteggiatopergliOttomani,quantomenoperomissione.

Quindi,irancorisfociaronoinvereeproprieostilitànel1482,quandoFerdinando I,amicoeancheparentedelducaErcolediFerrara,volletutelarnegliinteressicontro la Serenissima nella disputa sorta intorno ai confini di quei due stati limitrofi. E la guerra ebbe un’importante eco anche in Puglia, che fu ripetutamente razziata e devastatanellesuecostedagliStradiottidell’armatavenezianache,conbaseaCorfùal comandodelCapitanogeneraldamarGiacomoMarcello,fuinviata acacciadellenavi mercantiliregiechecaricavanoforaggiinTerrad’Otranto.

«Dopo lo sbarco nel piccolo porto di Guaceto, al nord di Brindisi di 600 Stradiotti che occuparono San Vito degli Schiavi, detto ora impropriamente dei Normanni, e Carovigno, depredando, uccidendo molti uomini e portando con gli incendi innumerevoli rovine [Cronache di M. Antonello Coniger -1700], la flotta veneziana, partitadaCorfùalcomandodiMarcelloandòaBrindisi,malacittàfudifesadaPompeo Azzolino,brindisino,famosoperilsuogranvalore…eilgeneraleMarcello,vistoinutile ognitentativodiconquista,dopoaverpredatoneiportipugliesidell’Adriaticonaviche caricavanograni,tornòaCorfùemandòilcapitanoDomenicoMalipieroacontinuarele scorrerielungolecostedellaPugliaconl’ordinedirientrareaCorfùperlaPasqua.»[G. GUERRIERI2]

RientratoMalipiero,d’accordoconleinformazionistrategichedaluiriportatesulla situazione in Puglia, si decise di assalire Gallipoli perché ritenuta essere una presa facile e la flotta veneta, forte di quattordici galee e cinque navi, comandata direttamentedaMarcello,simossedaCorfù.Lacittàpugliesefufinalmenteespugnata, anche se nell’attacco del 19 maggio 1482, lo stesso comandante Marcello rimase ucciso da una bombarda e il comando dell’occupazione passò al suo secondo, il capitanoDomenicoMalipierofinoallanominadelsuccessorediMarcello, Melchiorre Trevisan. Due mesi e mezzo dopo, il 7 agosto, la guerra di Ferrara si concluse con la pacediBagnoloelaflottavenezianasiritiròdaGallipolichefurestituitaalRegnocon lealtrebasinavalicheinPugliaeranostateoccupatedailagunaridurantelaguerra.E Veneziaebbeprestoriconfermatituttiglianterioriprivilegicommerciali.

Finita quella guerra, ne scoppiò presto un’altra, questa volta interna al Regno di Napoli: la “congiura dei baroni”, che prolungandosi per anni indebolì enormemente, anchesulpianointernazionale,ilvecchioreFerrantechemorìil25gennaio1494.Gli succedettel’odiatofiglioAlfonsoIIchedoposolounannodiregno,il21gennaio1495, fu costretto ad abdicare a favore del figlio Ferdinando II – Ferrantino – mentre, approfittando della critica situazione in cui versava il regno napoletano, il re di Francia Carlo VIII era sceso in armi in Italia, chiamato dal duca di Milano Ludovico SforzaindisputacongliaragonesidiNapoli.Il30novembre1494CarloVIIIeragiàa Roma da dove ripartì il 28 gennaio del 1495 e, senza incontrare resistenza militare alcuna, il 22 febbraio si sedette sul trono di Napoli con mira a procedere da lì, alla conquista del Sud, mentre Ferrantino con la corte si era rifugiato in Sicilia, da dove mantenne per mesi una guerra di guerriglia, capeggiata da Federico I suo fratello minore,controiFrancesi.

Allarmatiperquellatroppoveloceefacileconquistafranceseinterritorioitaliano, prestosicostituìun’alleanzaantinvasione,laLegaSantadettaancheLegadiVenezia, stipulata proprio a Venezia il 31 marzo 1495, a cui aderirono un po’ tutti: dal papa Alessandro VI che la organizzò, al sacro romano imperatore Massimiliano I, a LudovicoSforzadiMilanoeallaRepubblicadiVenezia.AquelpuntoCarloVIIIpreferì lasciare Napoli e battere in ritirata. Per strada, il 6 luglio, battagliò a Fornovo in LombardiaefinalmentevarcòleAlpieconilsuoesercitorientròinFrancia.

Ovviamente, il determinate intervento di Venezia a favore del Regno di Napoli e control’invasione francese, non erastatodisinteressatoeneanchegratuito. Ilprezzo formalmente stipulato il 21 gennaio 1496 – inizialmente per un semplice prestito di duecentomiladucati,epoiperlaprotezionearmataalreFerrandinoealsuoRegno–fu,allafinedeiconti,ilpignoramentoallaRepubblicadi:Brindisi,OtrantoeTrani.

«1° Chelepartipreditte,perlinomipreditti,sonoinsiemeconvenuti,che'lSerenissimo PrincipeelaSerenissimaSignoriadiVeneziamandinonelRegno,peraiutoet soccorso della Maestà [Ferdinando II], homeni d'arme 700, computando in questo numero li Stradiothichesimanderanno,atreStradiothiperdoihomenid'arme.

2° Mandino3.000fanti;etmandandopiùhomenid'arme,simanditantomenofanti;et ulterius,cheesborsino de praesenti allaMaestàducatiquindesemilleperunavoltasola; et sia tenuta la Maestà satisfar integramente al Serenissimo Principe et Serenissima Signoria;restituirtuttelespesesifaràperleiindittipressidii;etsimiliterrestituirditto imprestedo,comepiùsottopiùparticolarmentesidechiarirà.

3° Sia tenuta ditta Maestà satisfar tutta la spesa si farà per la Serenissima Signoria nel governaretguardardelleterreinfrascritte,etlochidaesserconsignatipercautioneet segurtade della satisfattion sua; detratta però l'intrada che la Illustrissima Signoria havessedeiluochipreditti.

4° Per cautione et segurtade del Serenissimo Principe et Eccellentissima Signoria di Venezia,sianoconsignatiimmediate,inmanoetpotestàsua,ode'suicomessichedalei serano deputati et ordinati, queste tre cittade della Puglia: Brandizo, Otranto et Trani; contuttelefortezze,etmunitionichesitrovasseinquelle,daessertolteperinventario; lochi, ville et territorii, tenimenti, porti, piazze, cargadori, rasone et giuridittione terrestre et maritime, per ciascuna per tinentia sua, et ad esse spettante et pertinente, conmeroetmistoimperiodaessergovernate.

5° SianotenuteperlaIllustrissimaSignorialedittecittà,terreetlochi,territorii,inloco dipegnoetipotheca,pertuttelespesechesifaranonelgovernoetguardiadedettilochi daesserconsignati,etnell'imprestedopresentededucatiquindesemille,comeèdittode sopra; et non siano tenute ditte città, fortezze, territorii, ut supra, per la Illustrissima Signoria, finchè tutte le spese predette le siano intieramente restituide per la Regia Maestà, la qual restitutione non si possa impedire per la Illustrissima Signoria, per respetto di rasone o colore alcuno di cosa passata o futura; ita che, fatta ditta integra solutionedespeseetimprestedo,essaIllustrissimaSignoria immediate, senzaeccezione alcuna,debbarestituircittà,rocheetterritorii, omni exccusatione cessante.

6° Sia tenuta la Maestà satisfar integramente tutte le spese che dal zorno della notitia habuda di questo contratto innanzi, si faranno nell'armata marittima del Serenissimo Principe et Eccellentissima Signoria, essistente hora in Napoli, per il tempo sarà nel Regno;siandoperòinlibertàdellaRegiaMaestàditenerolicentiartuttaopartedidetta armada,sìcomeadittaMaestàparerà.

7° Promette la Illustrissima Signoria, li preditti pressidii si manderanno nel Regno, tenerli oltra l'anno preditto per li besogni della Regia Maestà; et in caso che avanti 'I compir dell'anno occorresse urgente necessità ad essa Illustrissima Signoria, per conservatione del stado suo, di revocar tutti o parte de i pressidii, sia in libertà sua poterlo fare, data prima notitia per un mese avanti alla Regia Maestà: con questa dechiaration,che,serevocheràtutteopartedellegentisue,quellohavessespesomanco deducati200,000intuttilipressidiihaveranonelloRegno,sidaterracomedamar,sia tenuta essaIllustrissimaSignoria suplire quellomancassefinalla summa preditta,o in gente o in danari, sicome albora serà terminato et concluso; non computata la spesa dell'armada,chesonoducati500almesepergalia.

8° Ognipraticaetintelligentia, qualehavesseessaIllustrissimaSignoria,opersèo per huomini sui, directe vel indirecte, con baroni, potentie, città, terre e castelli, o stadi di quella,debbaesserconvolontàetbeneplacitodellaprefataMaestàosuicomessi;etnon aliter, nec alio modo.

9° Leterre,città,roche,provinciedelRegno,cheperforzaoperaltromodovenirannoin futuroinpoterdellaIllustrissimaSignoria,odehuominisoldatidiquella,etchesianoal presenteinpoter de Francesi o di essa Maestà, o de altri stati;incontinentisi debbano

consignar alla Maestà, o a' sui deputati, senza aspettar altra consultation di essa Illustrissima Signoria. Nè possi la Illustrissima Signoria pigliar nè accettar raccomandato alcuno, o protettione di persona o stato in ditto Regno, nè extra, dei regnicoliopossessoriindittoRegno,senzavolontà,saputaetbeneplacitodellaMaestà.

10° Chelegentid'armechemanderàessaIllustrissimaSignoriainsussidiodellaMaestà, debbinoperlotempocheseranonelloRegnodiNapoli,servirfidelmente,etstarsotto'l governodiessaMaestàetsuideputati,etobediraquelli;etfarin omnibus et per omnia, come per loro sarà ordinato et imposto per essa Maestà, et sui luogotenenti et commissarii.

11° Sel'accaderànelleterreorochepreditte,oalcunediesse,faraltraspesanecessaria, etimportantefortificatione,persegurtàsìdellaRegiaMaestàcome diessaIllustrissima Signoria; tale fortificazione far non si possa, nisi participato consilio, e de volontà della prefataMaestàetdellaIllustrissimaSignoriadiVenezia,inquella formaetmodochea unoetl'altroparerànecessarioautespediente.

12° ChetantolaIllustrissimaSignoria,quantoqualsivogliaaltrapersona,nonpossanè debba estraher intrada de formenti, vini, oli, o altre robe cujuscumque generis, de ditte terre, et loro territorii; salvo che pagati li dretti, gabele, doane, daci, come è stato osservato fin al presente dì; non pregiudicando però ai privilegii di essa Illustrissima SignoriaetdiVeneziani.

13° Licittadini,ethabitanti,etesenti,debbanopagarifocolari,sali,etaltreimpositioni consuete; et che siano conservate et tenute con quelle condicioni et obligationi sono soliti;eperladittaIllustrissimaSignorianonselipossizonzeromancar,senzavolontà diessaMaestà,deipagamenti ad modum praedictum.

14° Che in ditte terre non si possi far mercadi, nundine et doane o panairi, se non a modo solito, per no dannificar le altre terre del Regno della Maestà prefata, senza espressavolontàdiquella.»[D.MALIPIERO6]

Il30dimarzo1496nellacattedralediBrindisisiformalizzòlaconsegnatraPriamo Contareno, rappresentante del doge di Venezia Agostino Barbarigo, e il notaio Geronimo De Imprignatis, inviato del re di Napoli. E questi, Ferdinando II d’Aragona, Ferrantino,conunaletterapersonalevollescusarsiespiegareaiBrindisinileragionie latemporalitàdiquellacessione.Nonostanteladiffidenzaeanzil’apertomalcontento che caratterizzò l’animo dei Brindisini a fronte della cessione della propria città ai Veneziani, la nuova situazione doveva rivelarsi alquanto positiva: il doge Agostino Barbarigo non solo confermò tutti i privilegi concessi a Brindisi dai governanti aragonesi,maneaggiunsealtriimportanti,fracuiquellochetuttelegalereveneziane, dovendo passare nei paraggi di Brindisi, dovessero entrare in porto e rimanervi per tre giorni. I Brindisini esternarono presto la loro soddisfazione e Brindisi conobbe annidibenessereediespansionedeipropricommerci,trafficieindustrie.

«E non solo il doge Barbarigo, ma il successore, Leonardo Loredano, eletto nel 1501, confermò gli antichi e nuovi privilegi; non escluso quello che tutti i vassalli mercantili dovessero fare scalo a Brindisi. E i Brindisini anzi, in occasione del nuovo doge, inviarono come ambasciatore a Venezia il nobile Teodoro Cavalieri. Insomma, l’occupazione veneziana lungi dall’essere avversata, giovò grandemente alla città di Brindisi,che raddoppiò quasi le sue popolazioni, eacquistò importanza commerciale e militare…

A Brindisi vigeva la consuetudine per cui il viceconsole, in nome della Repubblica, nel giornodiSanMarco-il25aprile,nellaCattedraletralesolennitàdellamessamaggiore, presentavaall’arcivescovounaformadicerabiancadicinquelibre.»[A.FOSCARINI7].

«Attendevano i Veneziani con ogni possibile dimostrazione d’affetto a cattivarsi gli animideicittadinidiBrindisi,etabeneficiarelacittàtantodalorostimata.Provvideroa quanto era di bisogno per il bene pubblico e per l’utile dei particolari; erano comuni commercij, et li trafichi tra l’una e l’altra gente, si trattavano come fratelli tra di loro i Brindisini con i Veneziani, e l’una e l’altra città da sorelle uterine. Riposava in pace e sicurad’ogniturbolenzalacittàdiBrindisi,eparevanonsolocherespirasse,maancora che fosse risorta da morte in vita sotto il nuovo dominio veneto havendo tanto patito perlitempipassatidallieserciticompostiperlopiùdagentetumltuariadivarienationi e di fede diversa, e sopr’a tutto era sicuro il suo porto di non essere più occupato da barbari legni e da gente quasi inhumana priva di fede e di lege; essendo allo stesso visitato da galere e da navi venete, che tanto con l’occasione del passaggio quanto che perdirittosentieronelPortoapprodavanononsenzamoltolucrodeicittadinicheperla comunicazione delle merci, che vicendevolmente si vendevano, e si compravano.» [A.

DELLAMONACA8].

L’11 novembre del 1500 si stipulò in Granada un accordo tra il re di Spagna, Ferdinando il Cattolico marito di Isabella di Castiglia e il re di Francia Luigi XII, per spartirsi il regno aragonese di Napoli del re Federico I, succeduto a Ferdinando II mortoprematuramentenel1496.QuelpattoprevedevalaCampaniaegliAbruzziper la Francia, e la Calabria e la Puglia per la Spagna. Ma l’accordo, nel 1504, sfociò in guerra aperta tra i due paesi proprio sulla disputa per il Tavoliere delle Puglie, alla fine della quale, gli Spagnoli ebbero la meglio e Ferdinando il Cattolico divenne il nuovosovranodelRegnodiNapoli,sottraendoloalcuginoFedericoI,incorporandolo allacoronaspagnolaenominandounviceré,iltuttoconl’investituradelpapaGiulioII.

Venezia rimase neutralein quellaguerra, ancheperchéoccupata alottare controi Turchi,edeibeneficidiquellaneutralitàpoté usufruireancheBrindisi.Laprosperità godutadallacittàsottoildominiovenezianodovevaperòdurareancorapoco.Venezia fu,nel1508,attaccatadaunaLegadiinnumerevolinemicicoordinatidalpapaGiulioII eguidatidall’imperatoreMassimilianod’Austriaedallafinedovettesoccombereeper salvareilsalvabilesacrificòunabuonapartedeipropripossedimenti,specificamente quelli che erano reclamati dal papa e dagli Spagnoli, Brindisi tra essi Nel 1509 i Veneziani, dopo soli tredici anni di formale possesso, consegnarono Brindisi agli SpagnolieilmarcheseDellaPaludepreseinconsegnalacittàconlesueduefortezze, ilcastelloditerraequellodimare,innomediFerdinandoilCattolico,rediSpagna.

Dopo le dispute per la successione al trono dell’impero sacro romano, tra il vincitoreCarlod’Asburgo–CarloV,CarloIdiSpagna,CarloIId’UngheriaeCarloIVdi Napoli–eilperdenteFrancescodiFrancia,questidiedevitaallaLegadiCognacantiCarlo V, che fu costituita il 22 maggio1526 da Francia, Firenze, Milano, Inghilterra e Venezia, ead essa aderìancheloStatoPontificiodel papaClementeVI. Quellamossa del pontefice causò la reazione dell’imperatore, che radunò un esercito di mercenari lanzichenecchi tedeschi per farli discendere in Italia dove, assieme alle truppe spagnoleenapoletanesovrastaronoleforzedellaLega,discarsacoesioneemediocre efficienzamilitare,edopoqualchemesegiunseroalleportediRoma,doveentraronoil 5 maggio 1527 mentre il papa si rifugiava in Castel Sant’Angelo. E i lanzichenecchi, esasperatiperlepessimecondizioni sopportate durante lacampagnae perimancati pagamenti pattuiti, si diedero per otto giorni al saccheggio della città e alla violenza suisuoiabitanti.

In seguito agli eventi di Roma, nell’agosto del 1527, l’esercito francese discese in ItaliaesiunìallealtreforzedellaLegasottolaguidadelmaresciallod’oltralpeOdetde Foix, conte di Lautrec. Alla fine dell’anno, con la notizia dell’imminente uscita delle truppe imperiali da Roma, i collegati di Cognac decisero di portare la guerra al sud, nello spagnolo regno di Napoli. Lautrec quindi, intraprese lo spostamento di tutte le forzeallegate versoNapoli e aiprimidimarzodel1528entrònellastrategica Puglia, dove molte città si arresero o si allearono alla Lega: Barletta, Monopoli, Molfetta, Bisceglie, Giovinazzo, Cerignola, Trani, Andria, Minervino, Altamura, Matera, Polignano, Mola, Bari eOstuni. Feceinvece resistenza Manfredonia, mentre l’esercito allegatoinseguivagliimperialiinritirataversoNapoliementrepiùasudiVeneziani, con ingenti forze terrestri – duemila fanti, cento uomini d’arme e duecento cavalli leggeri – già pensavano fosse giunto il momento sempre atteso di riprendersi i porti perdutinel1509,traiqualiquellodellastrategicaBrindisi.

«Questa città, come le altre di Puglia, era sfornita di truppe imperiali che erano state mandate verso la Capitanata al principio della guerra. All’intimazione di arrendersi e non ostante la minaccia di dover pagare cinquantamila scudi, rispose dapprima negativamente pertimore dei forti, ma poi, apertetrattative, il 29 aprile 1528 Brindisi alzòbandieraveneziana,mentrelepersoneatteallearmisiritiravanonelleduefortezze a difendervi la bandiera imperiale. I Veneziani appena entrati in città, ove fu posto a governatoreAndreaGritti,commiserosoprusieangheriecontrogliabitantiaiqualigià avevano rovinato le campagne all’intorno, poi misero l’assedio ai castelli stabilendo di darviil4maggiounpienoassalto.»[V.VITALE9]

Ametàdimaggioperò,l’ammiragliovenezianoPietroLando–senzaessereriuscito aespugnareiduecastelli,nonostanteitantieripetutiattacchisferzatisiadamareche da terra – con le sue venti galee, che non potendo entrare nel porto avevano trovato approdonellaradadiGuaceto,fuinviatoaNapoliperrafforzarnel’assedio,lasciando aBrindisiiseicentosoldatieletregaleealcomandodiCamilloOrsinisenzapossibilità realidipoterprendereicastelli.Sopravvenneladisfattacheicollegati,mortoLautrec dimalaria,subironoil30agostoinAversa,quandogliimperiali,liberatisidell’assedio di Napoli, li inseguirono e li sconfissero. In quel contesto così critico per gli antimperiali,

«a Venezia le stava a cuore sopra a tutto il possesso di Brindisi, il miglior porto della costa,eordinavaperciòalprovveditoreGiovanniVitturiditentarelaconquistadeisuoi castellirimastiagl’imperiali,autorizzandoancheaprocurarnelacessionecondenaro–sinoaquindicimiladucati–daicastellaniaiqualiavrebbeanchepotutopromettereuna provvigioneavitaocondottaditruppepercontodellaSignoria.»[V.V

9]

Brindisi, invece, fu riconquistata dagli imperiali e l’anno seguente, quando i collegati deliberarono tornare alla riscossa contro l’impero, Venezia decise riprenderlaperilsuostrategicoporto,l’unicosullacostaadriaticapuglieseadattoad accogliereunagrandeflottanavale.IconfusieventimilitariinPugliafecero posporre più volte l’impresa finché, giunto agosto, gli ufficiali francesi e veneti, mantenuti a oscurodelletrattativeincorsotraCarloVeFrancescoIchesarebberoprestosfociate nella pace di Cambrai, pianificarono quell’attacco e disposero che il capitano Orsini conducesse tutti i suoi millecinquecento fanti su Brindisi, e questi si avviò, facendo tappaaMonopoli.

«Il capitano generale, partito da Monopoli la mattina del 12, avendo seco ventinove galee, il 13 fece scendere tutte le sue genti nel porto di Gausiti; al comando del provveditore Giovanni Contarini l’avanguardia si avvicinò a Brindisi che, indifesa, al comando di arrendersi rispose tuttavia andassero a prenderla “la qual risposta fo per servarl’honorsuoconSpagnoli”.Mapoi,avvicinandosisemprepiùl’esercito,icittadini si arresero chiedendo solo la conferma dei capitoli precedentemente ottenuti dalla Signoria. Subito entrarono in città quattro compagnie; i soldati francesi si diedero al saccheggiocongrandedannodeicittadinieconimmensosdegnodelprovveditoreche si valse delle genti veneziane per frenarli, onde ne venne un conflitto in cui morirono quindicifanti.Anziperimpedireleruberieeleviolenzechecontinuaronoafareanche dopo, i Francesi furono mandati ad alloggiare fuori di città… Camillo Orsini, arrivato a Brindisiil18agosto,ebbesubitoilcomandodeifantieperché,presalacittà,bisognava occupareiduecastellicheanchel’annoprimaeranorimastiagliSpagnuoli,fudeliberato diassalireperprimoquellodimaredetto“delloscoglio”.Aciòattesel’Orsiniponendovi l’assedio e battendolo con nove cannoni, ma dopo due soli giorni gli mancavano le munizioni.»[V.VITALE9]

Quindi si decise di chiamare a rinforzo il capitano papalino Simone Tebaldi, detto Romano,ilqualeprestogiunseaBrindisiconisuoi16.000soldati.Il28agosto,inuna ricognizioneintornoalcastelloditerra,ilcomandantepontificiotrovòlamorteperun fortunoso colpo di artiglieria degli assediati, proprio quando – con la notizia che a Cambrai il 5 agosto era stata firmata la pace – giungeva la disposizione di togliere l’assedio alla città, nonostante la dichiarata reticenza di Venezia. Ma per Brindisi era ormaitroppotardi:l’uccisionedelcapitanoRomanoavevagiàscatenatol’inferno.

«Furono della morte dicostui dallasoldatescacelebrati lagrimosi funeralinella misera città, contro la quale sfogò il suo sdegno senza timore alcuno della divina giustizia, e senzapietàdegl’innocenti;perciòcheisoldati,essendodivarienationi,eliberidalfreno delcapitano,trascorseronellasolitaloroindomabilenatura,essendonaturalconditione di costoro, quando non han capo, che li guidi, di commettere ogni enormità imaginabile… Quel furore dunque, che dovevan accenderli contro i loro propri nemici, che stavano nella fortezza uccisori del loro duce, rivolsero contro gli amici della città, che spontaneamente gl'havean raccolti nelle loro case, e dando nome di vendetta alla loro avaritia, e di giustitia alla loro perfidia,s'incrudelirono nell’innocentecittà, e nella robba de' cittadini… Cominciò a darsi sacco di notte, per celar forse col buio delle tenebre, la crudeltà ch’usavano. Non si possono senza orrore descrivere, né meritano esser udite da orecchie umane le particolarità delle sceleratezze commesse da quella soldatesca diss'humanata, e feroce, avida non men di sangue, che di ladronecci. Non perdonarono a cosa alcuna, humana o divina, furono gl’infelici vecchi, e l'innocente vergini tratti per barba e per crine, acciò rivelassero le nascoste ricchezze, furono abbattuti i chiusi claustri, e fracassate le caste celle delle spose di Dio. I tempi con orrendisacrilegiprofanati;furonofatteinminutieitabernacoli,ebuttandoperterrale sacre hostie consacrate, si presero i piccoli vasi d'argento ove stavan riposte. Eccessi invero abominevoli, esecrandi, per li quali meritavano aprirsi le voragini della terra, esserdaquelleingoiati;oesserfulminatidalcielo,ostrangolatidallefurie;masidifferì dalla divina giustitia il dovuto castigo ad altro tempo per esser più severo degli accennati… Restò per qualche conforto alla depredata città il cadavero del general nemico,chefuseppellitonellachiesadiSantaMariadelCasaleinundeposito,dalcanto destro nell'entrar della porta principale della chiesa, dove fino a tempi nostri si lesse quest'iscrittione nel sasso: Hic iacet Simeon Thebaldus Romanus, imperator exercitus.»

[A.DELLAMONACA8].

LapacediCambrai,firmataallespallediVenezia,perquelcheriguardavalaPuglia stabilivanon sololacessionediBarletta edellealtre terre occupate dai Francesi, ma anche di Trani, Monopoli e quant’altro appartenesse ai Veneziani. E così, Brindisi, dopoapprensiveconsultazioniindugieripensamentidelgovernodellaRepubblica,fu finalmenteabbandonatadaisoldativenezianineiprimigiornidisettembre.

QuandoilcastellanospagnoloHernandoAlarconrientròaBrindisi,incontròlacittà semidistrutta e si sommò alla richiesta inviata dai cittadini al re Carlo, avallata dal vicerédiNapoliprinciped’Orange,affinchéfosseannullatalacondannaperribellione che era stata inflitta alla città dal commissario Girolamo Morrone – essendo stata considerata fiancheggiatrice di francesi veneziani e papalini per la sua reiterata resa alle truppe della Lega – segnalando, a sostegno della sua posizione, proprio l’epica resistenzacheavevanomostratoentrambiisuoicastelli,lottandofedeliall’imperatore senza mai arrendersi agli allegati. Per buona ventura dei Brindisini, la supplica fu accolta da Carlo V e alla città furono restituiti i privilegi che nel passato erano stati concessidaired’Aragona

«Anche quest'ultimo tentativo di penetrazione nella Puglia e conquista di Brindisi, non fu più fortunato dei precedenti per Venezia, la quale d'allora in poi rinunzia al suo disegno. Resta dei suoi tentativi il ricordo del buon governo da essa tenuto nelle terre occupate[Brindisitraesse],deimoltiprovvedimentiadottatiperlenirelamiseriadelle popolazioni,dellefortificazioniedellealtreoperecostruiteadifesadiquelleterre,delle quali mirava a conquistare la fiducia e l'attaccamento. Ma, insieme con tutto ciò, dovrebbe pure rimanere il ricordo che, anche se si vuole indirettamente, Venezia ha preservatoleterrepugliesidallainvasioneedallaoccupazionedeiTurchi.Nonv'èalcun dubbio che, con la condotta allora seguita, Venezia faceva soprattutto i suoi interessi, che questa fu la guida costante della sua politica; ma è certo pure che, occupando in anticipo i migliori punti della Puglia, quando si presentava il pericolo che su di essi, approfittandodeldisordineedelladebolezzadelreame,sigettassero iTurchi,Venezia hascongiuratoquellochesarebbestatononsoloungravissimodannoperlei,maanche una grande iattura per l'Italia. In conclusione, la politica di Venezia tra il cadere del QuattrocentoeiprincipidelCinquecento,coincidendogl'interessidellaRepubblicacon quelli della Puglia, ha avuto risultati benefici per l'una e per l’altra: alla prima ha risparmiato la chiusura dell'Adriatico che avrebbe paralizzata la sua libertà; a favore dellasecondahaimpeditocheleterrepugliesicadesseroinpossessodellaMezzaluna,o perlomenocheaquestetoccasserogliorrorielestragidacuifuaccompagnatalapresa diOtranto.»[A.PACELLA10]

«Senza la potenza marittima di Venezia, è facile presunzione che il Canale d’Otranto sarebbe stato varcato ben più in forze di come lo fu, e che l’Adriatico tutto sarebbe divenutounlago ottomano. Venezia, presente nonsolosullasua lagunamagiùgiù per tuttaladuplicecostaadriaticaenellenotesuebasistessediPuglia,nonchésulmaredi quaedilàdelCanale,salvòséel’Italiadaquelpericolo;eppureallapoliticaveneziana non meno che a quella fiorentina, nel gioco delle rivalità fra gli Stati d’Italia prima del suo asservimento, il nostro Salento deve l’episodio più noto di questa nuova fase della suastoria,l’attaccoeilmartiriodiOtrantonel1480.»[F.

11]

Resterà,comunque,eforsepersempre,illegittimodubbiosullaeventualitàcheun diverso atteggiamento di Venezia in quella circostanza – magari con meno ragion di stato e con un po’ più di solidarietà cristiana – avrebbe potuto evitare agli Otrantini quellatragedia immane. Tuttavia, non v’èdubbiochelaragiondistatoe, forseancor

più,ilportafogliodistato,fuperVenezia,nelbeneenelmale,ilcostante life motive,il suoveromotorepropulsore,durantetuttiqueivarisecolicheaccompagnaronolasua sfolgoranteparabolastorica.

Altrettanto e ancor più difficile sarebbe, infine, tentar di emettere un giudizio globale e definitivo sulle plurisecolari relazioni intercorse – e qui passate sommariamente in rassegna – tra la plurimillenaria Brindisi e la potente Venezia, oppuretraiBrindisinieiVeneziani.Relazionichepercosìtantisecolisisusseguirono complesseearticolate,lacuievoluzione–confrequenzainvoluzione–fumoltospesso controllata, quando non direttamente dettata, dalla personalità dei principi di turno che la storia via via pose a governare la città più orientale d’Italia, nonché dagli aggrovigliati scenari internazionali nel contesto dei quali le due città si trovarono, conscia o inconsciamente, diretta o indirettamente, coinvolte. Relazioni, infine, destinateaproseguireneisecolielecuitracceinBrindisieneiBrindisinisisarebbero rivelate indelebili, superando la fine della Serenissima Repubblica e del Regno di Napoli a mano di Napoleone, nonché la fine del restaurato Regno delle Due Sicilie e dell’austriaca occupazione del Veneto, fino alla comune e solidaria appartenenza al RegnoprimaeallaRepubblicad’Italiadopo.

BIBLIOGRAFIA:

1A.DANDOLO Chronica per extensum descripta aa. 46-1280 d.C. acuradiE.PASTORELLO-1938

2G.GUERRIERI Le relazioni tra Venezia e Terra d’Otranto fino al 1530 -1903

3C.CARITO Brindisi in età sveva in“AttidelIIconvegnonazionalediricercastoricasuFederico IIeTerrad'Otranto,16e17dicembre1994”-2000

4G.I.CASSANDROUna controversia tra Venezia e Brindisi in“RinascenzaSalentina”-1937

5A.ZAMBLER&F.CARABELLESE Le relazioni commerciali fra la Puglia e la Repubblica di Venezia dal secolo X al XV. Ricerche e Documenti -1898

6D MALIPIERO Annali Veneti dall’anno 1457 al 1500 conprefazionediA.Sagredo-1843

7A.FOSCARINI Venezia e Terra d’Otranto nel Cinquecento in“StudiSalentini”-1994

8A.DELLAMONACA Memoria historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi ‐1674

9V.VITALE L'impresa di Puglia 1528-1529 in“NuovoArchivioVeneto”-1907

10A.PACELLA La Repubblica di Venezia e la Puglia in“RinascenzaSalentina”-1934

11F.GABRIELI Il Salento e l'Oriente Islamico - 1956

Espansione massima di Venezia - Sec. XVI

1595 - 1600: Pagine di cronaca brindisina di fine Secolo XVI

Pubblicato.su.il7.Magazine.del.18 gennaio 2019

Nel XVI secolo Brindisi faceva parte del viceregno spagnolo di Napoli. Gli Spagnoli infatti, all’inizio del secolo – nel 1509 – erano subentrati agli Aragonesi sul trono di Napoli,ecisarebberopoirestatiperduecentoanni.Neltrascorsodiquelprimosecolo didominazionespagnolasulmeridioneitaliano,aMadridiltronodiSpagnaerastato occupato,insuccessione,daFerdinandoilcattolico,CarloVeFelipeII,mentrefurono molti di più i viceré spagnoli che si avvicendarono a Napoli. Nel 1595 era viceré Enrique de Guzman e il regio governatore di Brindisi era Francisco Maldonado de Salazar.Lealtreprincipaliautoritàcittadinedinominaregiaeranoicastellaniditerra (del castello svevo) e di mare (del castello alfonsino), il giudice e l’arcivescovo. Il sindaco, invece, era nominato dal preside della provincia di Terra d’Otranto, s’insediavail1ºsettembreeduravaincaricaunanno.Sulfiniredel1595erasindaco Bartolomeo Gennuzzo, il castellano di terra era Vicente Castelloli, quello di mare Girolamo de Herrera, il giudice era Vincenzo Pitigliano e l’arcivescovo era Andrés de Ayardi, il primo arcivescovo della sola Brindisi, dopo che Oria era diventata suffraganeadell’arcidiocesidiTaranto.

Edèproprioconl’arcivescovoAyardi,cheinizialaseriedeifattichequisiraccontano, susseguitisi in città durante quell’ultimo lustro di secolo. Fatti del tutto ordinari alcuni, dicuisitralascia ilracconto, emenoordinariefinanche dicronaca neraaltri, tutti registrati nella “Cronaca dei Sindaci di Brindisi 1529-1787” scritta dai due sacerdotibrindisiniPietroCagneseNicolaScaleseepubblicatadaRosarioJurlaronel 1978.

Fatti,quellichesitrascrivonodiseguito,cheinqualchemodoassemblanounaspecie dinotiziariobrindisinodiquellustro,unospaccatosociopoliticodellacittà,unriflesso di realtà e problematiche urbane di un’epoca lontana, anche se comunque non da troppo tempo scomparse o, forse, non ancora scomparse del tutto: delitti passionali, invidieexenofobie,ragazzemadrieneonatiabbandonati,dirittideilavoratori violati, prelati d’ogni rango coinvolti in storie criminose, giochi d’azzardo, militari che invadono le sfere civili, tempi lunghissimi per eseguire opere pubbliche, vertenze e controversieeconomichetrapubblicoeprivato,eccetera.

«A4settembre1595passòdaquestaamigliorvital’arcivescovoAndreadeAijardes,il quale fu avvelenato, dove ne fu inquisito Giovanni Figueroa, che si diceva, che lui l’avessefattoavvelenare,perlamortedelqualevenneinquestacittàunconsiglieroda Napoli,GiovanniTomasoVespoli,ilqualecarceròdettoGiovanni,eloportòinNapoli, insieme con Matteo della Ragione per detta causa. Il 20 ottobre i medici Giovanni Maria Moricino e Marcello Barlà furono carcerati nel castello di terra per ordine del regio consigliero per commissione di S. Eccellenza soluti vinculis, et catenis si obbligano di tener loco carceris detto castello sotto la pena di ducati 2000 per cui entraron fideiussori dottor Antonio Leanza, Giovanni Battista de Napoli, Giovanni AndreaMonetta,edAngeloPappalardo.»

[Si trattò del giallo più clamoroso del secolo. Quel presunto omicidio per avvelenamento dell’arcivescovo Andres de Ayardi, infatti, rimase giudizialmente irrisolto e i suoi due medici, entrambi illustri personaggi brindisini, sospettati e incarcerati, furono poi rilasciati perché poterono provare la loro estraneità. Per quantoattienelasortediGiovanniFigueroa,questinonfecepiùritornoaBrindisi,ma: “Si è pure sospettato che i motivi de’ disgusti tra l’arcivescovo Andrea e Giovanni Figueroa fossero stati, perché quegli da diligente ed ottimo prelato, chiedeva dal Figueroa stretto conto de’ mobili della Chiesa involati durante la lunga vedovanza di circaseianniseguitaallamortedell’anteriorearcivescovo,BernardinodeFigueroa,di luizio"].

Il 1º settembre 1596 subentrò a sindaco Giovanni Battista de Napoli: «A dì 19 novembre, giorno di martedì, ad ore 18 fu ammazzato Daniele Coci arcidiacono e vicariocapitolare,sediavacante,peraverlotrovatoLucaErnandezincasadiGiovanni Tafuroconsuasorella,mogliedidettoGiovanni,dovedettoLucafupigliatocarcerato daSpagnolidellacompagnia,eportatoaLecce,edopoinNapoli.»

Il1ºsettembre1597subentròasindacoGiovanniAntonioPiscatore:«Il16ottobreil maestroPietrodeTuccioprendel’appalto,per80ducati,dicostruireilpontelevatoio al castello dell’Isola [una delle ultime strutture a completamento del Forte a mare la cuicostruzione,laboriosaecomplessa,sieraprotrattaperquasi50anni]… Giovanni BattistaMonticelli,cheavevacombattutoconpropriacompagniaaLepantonel1570, ed in altri tempi in altre battaglie, ottiene per la sua famiglia e per sé la patente di nobiltà nonostante l’opposizione dei nobilibrindisiniSebastianodelBalzoeTeodoro Pando che dicevano il padre suo Pietro fosse stato maestro d’ascia seu mannese, povero e vile… I Domenicani protestarono che le case di loro proprietà sono quasi tutte rovinate per la malhabitazione di spagnoli et di altre genti di presidio quali vengono e vanno subitamente e mal trattano detti luoghi, et case, così medesimamentedevigneti,territori,incittàsituati.»

Il 1º settembre 1598 subentrò a sindaco Antonio Leanza, nobile e nello stesso anno subentrò a governatore Giovanni Francesco Carducci: «A dì 15 settembre passò da questa a miglior vita la buona memoria del nostro re Filippo II, e successe il figlio Filippo III. Si fecero le esequie in Brindisi, a 10 novembre con aversi posto di lutto il governoaspesedellacittà…Adì13novembrevennel’arcivescovoGiovanniPetrosa,il quale dimorò a S. Leucio, cioè nelli Cappuccini una mano di giorni, e non entrò nella cittàinsinoa22didettomese…Il12febbraio1599ilfrateagostinianoOronzoGazasi trova carcerato nel castello grande sotto la custodia del castellano… Il 13 giugno, è battezzata una figlia naturale di Caterina, schiava mora di Visconte Rizzago, commerciantevenetodimoranteinBrindisi.»

Il 1º settembre 1599 subentrò a sindaco Giuseppe Pascale e nello stesso anno subentròaviceréFernandoRuizdeCastro:«Il20settembreègranpericolodirivoltar lacittàperchéilcastellanodimareavevaordinatoaisuoisoldatiditogliereildanaro dellegabelledelmostodivinoaicarrettiericheloportavanoadalcuniprivatichenon godevanodifranchigiaed avevaancheminacciatodiincarceraregliarrendatoridella stessa gabella… Tra marzo e aprile dell’anno 1600 vi sono vertenze tra l’arrendatore dei sali per la provincia di Terra d’Otranto Scipione de Raho, i credenzieri del regio fondaco dei Sali e saline in Brindisi Vittorio Pascale, Antonio Sguri e Lattanzio

Tarantino, ilfondacchiereCamilloCocoegliamministratoridellacittà…Il26maggio

Pasquale Villanova fa pubblica promessa di non giuocare ai dadi né ad altro giuoco, sotto pena di far eseguire per la chiesa del Carmine un quadro di sua proprietà del valorediventicinqueducati.»

Il1ºsettembre1600subentròasindacoGiovanniBattistaMonettaenellostessoanno subentrò a governatore Luigi de Benardes: «Il 24 ottobre è battezzata una figlia naturale di Speranza, schiava mora di Giovanni Camillo Coci… Sono anche battezzati Camilla“exposita cuius parentes ignorantur”eFrancesco“naturalis filius universitatis”. Molti altri battesimi di “espositi” [in genere neonati da ragazze madri che venivano abbandonati, lasciati – esposti – sulla ruota] si ritrovano anche in varie date successive, un fenomeno spesso legato agli arrivi in Brindisi di nuove compagnie di soldati,spagnolieavolted’altripaesi,chesiavvicendavanodicontinuo.»

A complemento di questo peculiare “notiziario” cinquecentesco di Brindisi, e per meglio intendere quali erano all’epoca “i venti” che aleggiavano sulla città, è interessante rileggere il primo paragrafo di un articolo scritto nel 1978 da Giacomo Carito a proposito della “cultura a Brindisi dalla seconda metà del XVI secolo in avanti”:

«Nel XVI secolo si propongono in Brindisi problemi di non poco momento: la formazionedigruppieretici,l’impoverimentoeconomicodeterminatodall’espulsione degli ebrei, la definizione di un nuovo ruolo per la città adriatica dopo che l’espansione turca – impedendo il “trafficare nell’Illirico, nella Grecia e nell’Egitto –ridusse la negotiatione in piccolissimi termini, e fù à poco, à poco tralasciato da Brundisini il maritimo negotio”. Generalmente, le scelte e le impostazioni che si assumononelcorsodelXVIsecolofinisconoconl’esseredeterminantiecondizionanti ancheperisecolisuccessivi:cosìèperlaridefinizionemilitaredelportodiBrindisie per la sempre più marcata presenza, non solo in termini religiosi ma anche culturali edeconomici,dellestruttureecclesiastiche.»

Ed è anche giusto, infine, ricordareche in quellustro difine secolo, tra ibrindisinisi annoveravano non pochi personaggi di grande levatura, tra i quali, i già citati Gio Battista Monticelli, intrepido comandante militare e lo scrittore storico Giò Maria Moricino, i letterati Nicolò Taccone e Lucio Scarano, il giurista Ferrante Fornari e, nientemenocheGiulioCesareRusso–Fra’Lorenzo–ilpiùillustrefigliodiBrindisidi tuttiitempi.

La Cronaca dei Sindaci Il Viceré Guzman Ferrante Fornari Fra’ Lorenzo

Il Forte a mare sull’isola di San Andrea – contiguo al preesistente Castello Alfonsino –La sua costruzione culminò alla fine del XVI secolo dopo quasi 50 anni di laboriosi e complicati lavori, eseguiti sul progetto iniziale di Antonio Conde e le successive modifiche introdotte da vari tra i più rinomati architetti militari dell’epoca, che via via intervennero

Compie 400 anni ‘quasi’ al suo posto la fontana Pedro Aloysio De Torres

Pubblicato.su.SenzacolonneNews e il7.Magazine.del.23 novembre.2018

Il famoso libro “Memoria historica dell’antichissima e fedelissimacittà diBrindisi” fu pubblicato nel 1674 dal padre Andrea Della Monaca, Provinciale dei Carmelitani di Brindisi. Come ben risaputo, quel libro fu plagiato dall’inedito “Antiquita’ e vicissitudini della città di Brindisi” di Giovanni Maria Moricino, medico e filosofo brindisino, morto nel 1604. Del Della Monica, pertanto, risulta originale solo l’XI CapitolodellibroV,l’ultimo,chetrattadegliavvenimentiinBrindisidal1604al1671. Contemporaneo quindi di quegli avvenimenti accaduti mentre la città apparteneva allo spagnolo viceregno di Napoli, Della Monaca ci lasciò questa descrizione, certamente la più antica in assoluto che si ha, della fontana monumentale sita nell’attualepiazzaVittoria:

«Pativa la Città d’Acqua, e sentivano non poco scommodo i Cittadini nel mandareapigliarlahord’unAquedotto,ehord’unaltro,eparticolarmenteda quello, che presso le mura della Città scorreva… però nell’anno della nostra salute 1618 governando la Città per il Re uno spagnuolo di gran prudenza, bontà, integrità e sopratutto di gran resolutione, chiamato Pietro Aloysio de Torres considerando tanto difetto in un’habitazione riguardevole, si pose in pensiero di darci opportuno rimedio, che fu di condurre l’acqua dentro la Città, e distribuirla per diversi luoghi per utile de’ Cittadini… però per non aggravare il publico per la spesa, che doveva farsi, la distribuì fra particolari Cittadini,secondoleforzediciascheduno,segnandodicolorrossolegiornate neiMuridelleCase,checonognipuntualitàfacevapagaresecondoigiornida luistabiliti.Sicondusseinquestamanieraconogniceleritàl’Acquapernuovi condotti, e si formò la prima Fontana, che menava con due butti d’acqua in una strada maestra per diritta linea della muraglia predetta [Bastione San Giorgio].Dilàripigliandosil’istessocamino,lacondussenellaPiazzaMaggiore [Piazza Vittoria], in mezzo della quale si fabricò il luogo della caduta dell’acque tutto di Marmi, e prima si sollevò una Colonna, che servì per base d’unagranconcadibellissimomarmo,chedaquattrotestediCavallilavorate di bronzo, gitta abbondantissime acque, e doppo sin’alzò più sù un'altra Colonna benché più delicata della prima, dalla quale scorressero l’acque nell’immediato Vaso grande predetto dalla bocca di quattro mezzi Cavalletti di bronzo col Capitello vagamente lavorato, e cinto d’una Corona Reale. L’iscrizione scolpita in detto Fonte per restar memoria à posteri d’un tanto beneficioèlaseguente:

“Petro Aloysio De Torres Praetori, quod ” »

L’iscrizione originale, tutt’ora ben leggibile scolpita sull’esterno della bella vasca marmorea,èinlatinoetradottaall’italianoèlaseguente:

PIETRO LUIGI TORRES GOVERNATORE, PERCHÉ EMULANDO I ROMANI COLLA SUA AUTORITÀ E PERSPICACIA, E CON GLI AUSPICI DEL RE FILIPPO III E DEL VICERÈ PIETRO GIRON CONTE DI OSSUNA, NONCHÉ COLL’OPERA E COL DENARO DEI CITTADINI, RESTAURAVA L’ANTICO ACQUEDOTTO ROVINATO PER L’INGIURIA DEI TEMPI E DI GUGLIELMO IL MALO E, RIPARANDO I CUNUCULI DELLA VECCHIA CONDUTTURA, NE COSTRUIVA UNA NUOVA, E PER VIA DI ALTRE TUBATURE E SALIENTI, PER TORTUOSO CAMMINAMENTO,RICONDUCEVAL’ACQUANELLACITTÀ:ORDINAILPOPOLOBRINDISINO, MEMOREEGRATOPERTANTACOMODITÀEDORNAMENTO. NELL’ANNODELLASALUTE1618

La‘vagalavorazione’delcapitello,indicatadaDellaMonaca,siriferiscealloscudodel re Felipe III, solo abbozzato sormontato da tre elmi coronati con un cordone che lo circonda.Sull’esternodellavasca,invece,èchiaramentescolpitoloscudoaraldicodel capitano De Torres, con cinque torri merlate. La vasca che costituisce il corpo principale della fontana, la gran conca, è di fattura anteriore alla fontana e quasi sicuramente appartenne a un antico fonte battesimale, forse proveniente dal tempietto di san Giovanni al sepolcro, ritenuto essere stato il battistero della vicina CattedralediBrindisiedificatanelXIIsecolo.Lapiùampiavascamarmoreainferiore, che raccoglie l’acqua che zampilla dalle quattro bocche di bronzo incastonate nella vasca superiore, è racchiusa da una sorta di corona fatta con mezze giare tagliate verticalmenteerinforzateconpezzettidicolonnine,tutteanch’essedimarmoequasi certamentediriusodaepocaromana.

In quell’anno 1618, re di Spagna era Felipe IV(Filippo III di Napoli), viceré di Napoli eraPedroGironegovernatorediBrindisierailcapitanoPedroAloysioDeTorres.Era sindaco della città Cesare D’Aloysio ed era arcivescovo di Brindisi lo spagnolo Giovanni Falces. Il capitano Pedro Aloysio De Torres, a Brindisi dal 1615, fu probabilmenteilmiglioredeigovernatorichelacittàebbeduranteiduecentoannidel periodo vicereale e l’episodio relativo al progetto e alla costruzione della fontana, ne costituiscecertamenteunabuonaprova.

Inqueglianni,peraltro,Brindisisieraripopolataecontavaconquasi10.000abitanti, unpicconon destinatoamantenersitroppoalungoechedopoun altropronunciato decadimentosarebberitornatosolosulfiniredelregnonapoletano,nel1860.

Enel1618mancavasolounannoallaconclusionedellacostruzione,iniziatanel1609, della chiesa Santa Maria degli Angioli con l’annesso monastero delle sorelle cappuccine,operemaestosevoluteepromossedall’illustrebrindisinoLorenzoRusso, ilfuturosanLorenzodaBrindisi,giàGeneraledell’OrdinedeiCappuccini,chedoveva morireaLisbonal’annoseguente,nelgiornodelcompleanno60.

La fontana De Torres, nome con cui passò alla storia, continuò per secoli a fornire la sua preziosa acqua ai brindisini con due sole interruzioni, e continua a farlo tutt’ora, anche se oggi a solo scopo ornamentale. Nel marzo del 1715 la fontana smise di erogareacquaperqualchemesefinché,afineottobre,furipristinata.Nel1729invece, unanuovainterruzionedelservizioduròmoltodipiù,setteanni,finoal1736.

Quella indicata dal Della Monaca con il nome spagnoleggiante di piazza Maggiore, all’epocaavevaformaquadratama fu,in realtà, denominatain varialtrimodi,piazza deicommestibili,mercato,rustica,dabassoodellaplebeodelpopoloepoi,nel1922, demolitounisolatodivecchiebotteghe,fuintegrataconlaadiacentepiazzadelSedile, dettaancheurbanaedaaltoodeinobili,percosìconformarel’attualepiazzaVittoria.

Piazza Vittoria nel 1926: con la fontana De Torres ancora al suo posto originale e anche il monumento ai caduti di Vitantonio De Bellis Piazza Vittoria nel dicembre del 1928: con la fontana De Torres al suo nuovo posto

Avendo deciso di collocare al centro della nuova piazza il monumento ai caduti, il Comune deliberò togliere la fontana dalla piazza e spostarla a piazza Anime. Però, il MinisterodellaPubblicaIstruzioneemoltibrindisinisiopposeroaquelprogettoetra diloroilcarismaticoebattaglierocanonicoPasqualeCamassa,papaPascalinu,ilquale riuscì finalmente a impedire che la storica fontana scomparisse dalla piazza emblematica di Brindisi. Così, nel 1926, il monumento ai caduti dello scultore VitantonioDeBellisfuerettonelcentrodellapiazza,difrontealpalazzodelleposte,e la fontana De Torres rimase al suo posto, alcuni metri più in giù rispetto al monumento, ma ci rimase ancora per poco. Quel monumento ai caduti non fu mai inaugurato e fu venduto alla città di Erchie perché ritenuto poco maestoso per Brindisi, mentre il Comune decise commissionarne un altro allo scultore brindisino EdgardoSimone,peressereperòcollocatoinpiazzaCrispi,oppureinpiazzaDionisi. Liberato così lo spazio centrale in piazza Vittoria, il Comune deliberò nuovamente spostarelafontanaDeTorres,peròquestavoltadisolipochimetri,quellinecessaria collocarelafontananelcentrodellapiazza,proprionelpostoincuierastatoerettoil primo monumento ai caduti. La decisione fu sopportata anche da considerazioni di ordine tecnico, giacché la ampia vasca inferiore della fontana, nella sua posizione originale era molto bassa e perciò restava spesso invasa da fango, e quant’altro, convogliatadalleacquepiovaneediscolo.

IlcanonicoCamassanuovamentevolleopporsialladeliberae,nelmesedimaggiodel 1928, pubblicò un opuscolo stampato nella Tipografia del Commercio Vincenzo Ragione, intitolato “Una fontana storica” in cui sosteneva la sua posizione, citando a sostegnoancheleopinioni di eminenti scientifici, italiani estranieri, contrari ad ogni eventuale spostamento e concludendo: «Ho creduto opportuno riferire i giudizi che intorno alla fontana De Torres hanno autorevolmente espresso i sullodati insigni archeologi e cultori della storia dell’arte, per dimostrare che, se da un decennio, serenamente affrontando l’impopolarità e il sorriso canzonatorio di alcuni amici, ho doverosamentelottatoperlaconservazioneeinamovibilitàdellostoricomonumento, mitrovoinottimacompagnia».Ma questavoltapapaPascalinunonebbesuccesso:il 10 ottobre 1928, come immortalato dal fotografo Pietro Acquaviva, la fontana De Torresfutraslatadallasuaposizioneoriginariaall’attuale:unpo’piùelevata,masolo pochimetripiùinlà.EpapaPascalinu-credo-nelsuointimosiconsolòsapendoche, definitivamente,avevacomunquescongiuratopersempreognieventualepropositodi spostare la fontana fuori dalla sua piazza, che era stato da sempre - credo - il suo obiettivoprincipale.

Scudo di Felipe III Primo piano della vasca superiore Scudo di P. Aloysio De Torres Spostamento della fontana il 10 ottobre 1928 – Foto di Pietro Acquaviva

Mamma li turchi! Cronache brindisine di scorrerie, rapimenti, schiavi e quant’altro

Pubblicato.su.il7.Magazine.del 29 febbraio 2019 e su ilgrandesalento.it

La caduta di Costantinopoli in mano agli Ottomani il 29 maggio 1453, oltre a significare la fine dell’Impero Romano d’Oriente, determinò un profondo cambio geopolitico per l’intera Europa e specialmente per le regioni del Mediterraneo orientale,perlequalifusoprattuttol’equilibriomilitaremarittimoarimanerescosso decisamente a favore dell’impero ottomano, perlomeno per più di un secolo, fino a quando il 7 ottobre 1571 a Lepanto ci fu una prima grande vittoria dell’armata cristianasull’imperoottomano.Inquestocontesto,sulfiniredelXVsecolo–edancor più in quello seguente – in particolar modo nei mari della Terra d’Otranto, lo scacchiere divenne complicato e continuamente cambiante, con la presenza di tanti protagonistidipesoedagliinteressicontrapposti:larepubblicamarinaradiVenezia, laFranciadiFrancescoI,ilregnospagnolodiNapolidell’imperatoreCarloVel’impero ottomanodiMaomettoII,ilqualerivendicavaapertamenteisuoidirittidipossessosu Brindisi, Otranto e Gallipoli, in quanto antichi porti dell’impero bizantino da lui conquistato.

All’alba del 28 luglio del 1480, alcune decine di migliaia uomini a bordo di un’imponenteflottaturcacompostadaunpaiodicentinaiadinavi,giunseroaValona edalìsalparonoversolecostesalentinepersbarcarepocoanorddiOtranto,pressoi laghi Alimini, nella baia poi detta “dei turchi”, da dove si diressero verso la città mettendola a ferro e fuoco. E anche se fu abbastanza accreditata l’idea che l’ammiraglio ottomano Gedik Ahmet Pascià avesse puntato su Brindisi prima di dirottare su Otranto per ragioni meteorologiche, in effetti, la scelta di Otranto probabilmentenondovetteesseresolounripiegooccasionale,giacchéquellacittàera palesementeindifesa,mentreBrindisiavevaricevutorinforzi,einpiùerainfestatada unatemibilepeste.Comunquesianoandatelecose,certoèchequell’eventoebbecosì tantarisonanzacheaBrindisicrebbeenormementelapercezionedell’ineluttabilitàdi unprossimosbarcoturcosullacittà.Unacittàperlaqualenoneracertamentenuova né ingiustificata quella paura – di fatto già atavica – all’invasione barbarica provenientedalmare.

Così, inquellostesso1481, Brindisi fufattafortificaredalrearagonese FerdinandoI, che ordinò al figlio Alfonso la costruzione di una grande fortezza sulla punta occidentale dell’isola Sant’Andrea all’ingresso del porto. E le opere di difesa costiera proseguirono anche con l’avvento degli spagnoli sul trono di Napoli, Ferdinando il cattolico prima, l’imperatore Carlo V dopo, Felipe II, e così via: nella prima metà del secoloXVIsicostruìilForteamarecontiguoalcastelloAlfonsinoe,apartiredall’anno 1569,furonoedificateinserielungoillitorale,benquattronuovetorri–Testa,Penna, Mattarelle e Guaceto – che vennero ad affiancare la preesistente angioina Torre Cavallo, il tutto come conseguenza del costantemente rinnovato timore di nuove scorrerie e saccheggi da parte di turchi e barbareschi. Scorrerie e saccheggi che, in effetti, ci furono, perdurarono per tutto il secolo XVII e continuarono – pur diradandosi–anchenelXVIII.

Tra gli assalti più prossimi a Brindisi: Il 27 luglio 1537 i turchi sbarcarono a Castro, ottenendolaresadalcomandantedelcastellodietroassicurazionichesarebberostate rispettate la vita e gli averi degli abitanti. Piùche i patti, naturalmente non osservati considerato il gran numero dei catturati, influirono sulla resa le ingenti forze – 7000 fanti e 500 cavalli – messe a terra dai turchi. Il 1° gennaio 1547 fu assalito San Pancrazio da cui, colti in piena notte, furono portati via gli abitanti che poi, in parte furono riscattati e in parte furono portati in Turchia e venduti come schiavi. Le mire deiturchipoi,sirivolseroanchealsantuariodiLeuca,ilqualesubìpiùvoltesaccheggi insiemeconlevicineterredelCapo:Salve,Gagliano,SanGiovannidiUgento,Marinadi Cesaria e altre. E nel 1594 ci fu addirittura un clamoroso tentativo di saccheggiare Taranto quando, tra il 14 e il 22 di settembre, sbarcati da un centinaio di navi, orde turchecondottedalrinnegatomessineseSinanBassàCicala,inpiùripresetentarono–vanamente–dientrareincittà.

Unodegliaspettipiùterrificidiquellescorrerieturche,nonchédiquellebarbaresche, era il sequestro indiscriminato degli abitanti cristiani sorpresi dagli assalitori, che venivano poi schiavizzati e venduti nei vari mercati nordafricani o che, nel migliore dei casi, venivano rilasciati dietro il pagamento di un congruo riscatto. Si trattava di fattodiunmercatofiorentesuunistituto,quellodellaschiavitù,inrealtàmoltoantico e, comunque, considerato del tutto normale all’epoca, praticato sistematicamente e massivamente da entrambi i contendenti: i musulmani da una parte e i cristiani dall’altra.

Icatturati,provvisoriamenteraccoltiinpostivicini,comeperlaPugliaeranoValonao una qualunque delle isole vicine, in seguito erano concentrati in città più lontane, comeCostantinopoli,Tunisi,Tripoli,Algeri,esottopostiaduritrattamenti,sempreche nonfosserocondannatiairemi

Espostineibazar,senedibattevalavendita,oppuresifissavailprezzodelriscattoche era notificato a congiunti o a incaricati da questi perché la somma fissata fosse raccoltaedinviata.Sisviluppavacosìunveroepropriomercato,perilquale,difronte aidepositideglischiaviinfedeli,nesorgevanoaltrettantinellecittàdeglistaticristiani, come a Napoli, Messina, Palermo, dove si effettuavano le compravendite o dove mediatorilaiciedecclesiasticis’incaricavanodiagevolareloscambiodegliinfelici.

Ebbene,tuttoquantoriferitoritrovariscontroinpiùoccasionianchetralerighedelle cronachecinquecentescheeseicenteschedellanostracittà:cronachediscorribandedi assalti di rapimenti o di pagamenti del riscatto, ma anche cronache d’acquisto di schiavi musulmani e di giovani schiave “che incanutivano al servizio dei nobili brindisiniperchémorisserosteriliomadredischiavicuiilpadroneconcedevailnome della casata perché fossero, come schiavi, sempre più legati a lui”, o cronache di battesimi e morti o di liberazione degli stessi schiavi, eccetera. Per esempio, dalla Cronaca dei Sindaci di Brindisi 1529-1787, scritta da Pietro Cagnes e Nicola Scalese, pubblicatadaRosarioJurlaronel1978:

«…Il25maggio1553siperfezional’attodivenditadiun’abitazionediFilippoCapasa promessa in vendita dal fratello mentre Filippo era prigioniero dei turchi, per il riscatto del quale si era resa necessaria la somma anticipata dall’acquirente. Il 13 giugno 1599 è battezzata una figlia naturale di Caterina, schiava mora di Visconte

Rizzago, commerciante veneto dimorante in Brindisi. Il 17 aprile 1600 è battezzata unafiglianaturaleditaleLucia,schiavafattacristianaeil24ottobreèbattezzatauna figlianaturalediSperanza,schiavamoradiGiovanniCamilloCoci.

L’11maggio 1620nella cattedralesisonofattifuneraliperDomenicoBucicco, morto schiavodeiturchi.Il5agosto1628FerdinandoBassanliberailsuoschiavoturcoSciti Jaza a richiesta del greco Pietro Ullano perché potessero, in cambio, essere liberati alcuni cristiani dai turchi e il 26 novembre, dopo essere stata istruita e catechizzata dall’arcivescovoGiovanniFalces,èbattezzatadallostesso,allapresenzadelcastellano grandeFrancescoCarrillodeSantoia,AnnaMariaMancipia,schiavaturcadelcapitano dellacoortespagnuolaresidenteinBrindisiDiegoMarzialed’Agusti.

Il 13 giugno 1637 il capitolo della cattedrale dà un aiuto economico al cantore della chiesadiMaruggiocheandavamendicandoperaverfuggitodamanoditurchiquando pigliarono Maruggio - il 13 giugno 1630. Il 31 gennaio 1667 un sacerdote greco raccoglieelemosineinBrindisiperilriscattodischiavicristianidaiturchi.Il6maggio 1672 il capitolo della cattedrale dà due carlini di elemosina ad un uomo che era fuggito dalla prigionia dei turchi lasciando il figlio che sperava di riscattare e il 10 agostodàdiecigranadielemosinaadunsacerdotegrecoscappatodalladaiturchi.

A dì 5 agosto 1673 giorno di sabato su la mezza notte fu integralmente saccheggiato dalliturchiTorchiarolo,conmortediquattropersonedidettocasaleeottantaquattro ne furonofattischiavi.Adì 10ottobre1676unagaleottaturchesca fece sbarcotrala torredellaPennaelatorre delleTeste, e fecedodicischiavidallemasserievicine ea Brindisi – a causa del grande spavento per quell’assalto così prossimo alla città – si fececostruirelamuraglia,ovverocortina, chestaattaccatatrailtorrionedell’Inferno con quella della porta di Mesagne. Nel luglio 1681 Specchiolla, presso San Vito dei Normanni,malgradolaresistenzaoppostadaiterrazzani,fusaccheggiatadaiturchi.

Dal 1686 al 1694 molte famiglie di Brindisi, tra le quali Vavotico, Samblasio, Seripando, Montenegro, Stea, Pizzica, Vitale, Brancasi, Sarmiento, Ripa ed altre, acquistanoschiaveeschiaviturchi‘a cristianis captos’inUngheriaeinGrecia.

Il 2 settembre 1688 è sepolto in cattedrale Gabriele, schiavo turco di Carlo Lata, battezzato in Brindisi eil 7 dicembre 1695 viene sepolto in Brindisi Antonio figlio di Teresa,turcafattacristiana,servadiNicolòRomano.Il28luglio1701èsepoltaAnna deMarco, il30luglio Maddalena Cuggiòed il9ottobreNicolò Montenegro, tutti itre defunticonlaspecifica‘ex genere turcarum’chevuoldire:schiavodellafamigliadicui portailnome.

Il 20 marzo 1703 il capitano di barca di ventura Coci Dimitri Tirandafilo dichiara di avere avuto incarico diriscattare dai turchi quattro schiavi di Taranto, ossia Antonio Francesco Batta, Antonio Minzulo, Cataldo Chierono, Antonio Nicola de Totero, e di avere riscattato gli stessi grazie a Giorgio Papa di Corfù con duecento dodici piastre sicilianediSpagnainargento,piùcentoquarantapiastreoccorsepertramezzaneriadi altri turchi ed il nolodella barca fino a Brindisi ove sono in quarantena i riscattati. E dicedell’aiutoricevutodall’OperadelmontedellamiseriadiNapoliperquelriscatto. Mentre si trova in quarantena del porto di Brindisi il 29 giugno 1707, dichiara degli stessiaiutidell’Opera,StefanoPapa,epirotadellacittàdiSalina,nipotediGiorgioPapa conilqualesidedicaariscattarecristianidaschiavitùdadiversepartidiTurchia...»

Galeone del Secolo XVII – OliodiWillemvandeVelde,1670

Al centro di un conflitto: Brindisi dal 1799 al 1801

Dal riformismo carolino alle riforme di età napoleonica

Terra di Brindisi fra XVIII e XIX secolo - 16 aprile 2019

RIASSUNTO: Storie parallele: tra la disavventura del generale francese Alex Dumas, fatto prigioniero dai Sanfedisti a Taranto nel marzo 1799 e poi trasferito a Brindisi fino alla sua liberazione nel marzo 1801, e le tante incalzanti vicende occorse a Brindisidurantequeglistessidueanniincuilacittàfuscenariodelcostanteconflitto traazionisentimentiedentusiasmilibertaridaunaparteedifesadelconservatorismo borbonicodall’altra.

ABSTRAT: Parallel stories: between the misadventure of the French general Alex Dumas, taken prisoner by the Bourbon army of the Sanfedists in Taranto in March 1799 and then transferred to Brindisi until his release in March 1801, and the many pressing events that occurred in Brindisi during those same two years in which the city was the scene of the constant conflict between the actions of those with enthusiastic libertarian sentiments on one side and those in defense of Bourbon conservatismontheother.

Il 7 marzo 1799 il generale francese Alexandre Dumas lasciò l'Egitto, dopo aver partecipatoallacampagnanapoleonica,direttoinFranciaabordodellaBelleMaltaise, una nave militare dismessa, in compagnia del suo amico, il generale Jean Baptiste Manscourt du Rozoy, del geologo Déodat Gratet de Dolomieu, di quaranta soldati francesiferitienumerosicivilimaltesiegenovesiperuntotalediquasi120imbarcati. Durante la navigazione però, la vecchia nave cominciò a fare acqua e finalmente, a causadelmaltempodovetterifugiarsinelportodiTaranto,nel RegnodiNapoli,dove Dumas e i suoi compagni si aspettavano un ricevimento amichevole, avendo saputo che il regno era stato rovesciato dalla Repubblica Partenopea instaurata sul modello dellaFranciarepubblicana.

Maquellarepubblica,costituitaaNapoliil21gennaio1799,erarisultataprecaria e nelle province del sud aveva presto ceduto alle forze filoborboniche dell'esercito della Santa Fede guidato dal cardinale Fabrizio Ruffo, fedele al re Ferdinando IV, che dalla Sicilia era sbarcato sulla penisola e la stava risalendo con l'intenzione, poi finalmente concretizzata, di raggiungere Napoli e di restaurare il potere monarchico, combattendo le forze francesi presenti sul territorio del regno. La cattura dei naufraghi fu inevitabile e le autorità sanfediste che da una settimana, dall'8 marzo, ricontrollavano la piazza di Taranto, imprigionarono Dumas, Manscourt e il restodei passeggerifrancesidellaBelleMaltaise,confiscandoquasituttelelorocose.

Duranteiprimigiornidarecluso,neiqualiglifuimpossibileriuscireaparlarecon unqualcheufficialedialtorangoacuichiederespiegazionisullasuaprigionia,Dumas ricevette la visita di un personaggio enigmatico, Giovanni Francesco Boccheciampe, presunto fratello del re di Napoli, ma in realtà disertore corso che da poco più di un meseerasortoacapodelleforzesanfedistedellaprovinciadiLecce,riconquistandola quasi tutta alla corona borbonica, Taranto inclusa. Ma neanche da costui ebbe un qualchechiarimentocircalasuadetenzione.

L'avventuriero Giovanni Boccheciampe aveva acquistato improvvisa fama rocambolescamente quando,giuntoil14febbraioaBrindisi, erastatocredutoessere il fratello del re di Napoli ed era stato acclamato capo armato dei locali controrivoluzionari sanfedisti. Qualche settimana dopo, il cardinale Ruffo fece chiedere ai due generali francesi prigionieri a Taranto, Dumas e Manscourt, di comunicare ai comandanti delle forze francesi ancora in Napoli, una proposta di scambio di prigionieri: loro due in cambio proprio di quello stesso controrivoluzionario corso, Boccheciampe, catturato dalle truppe francesi che il 9 aprileeranogiuntealportodiBrindisialseguitodelvascelloGénéreux–proveniente dall'Egitto, scampato alla disfatta di Abukir – ed avevano occupato la città. Inviata a Napoli quella proposta però, il cardinale Ruffo perse interesse in quell'eventuale scambio di prigionieri, quando sospettò che il Boccheciampe fosse stato fucilato dai francesi quale disertore, evento in effetti verosimilmente avvenuto tra il 18 e il 19 aprileneipressidiTrani,perordinedelgeneraleJ.Sarrazin.

E così, sfumata ogni possibilità di liberazione immediata, dopo quasi sette settimane dalla loro detenzione, il 4 maggio Dumas e Manscourt furono dichiarati prigionieri di guerra dell'esercito della Santa Fede, mentre quasi tutti gli altri naufraghi della Belle Maltaise furono liberati. In un documento che è custodito nell'ArchiviodiStatodiTarantodicuinonsiriportalacollocazionearchivistica1 –di fatto un assurdo decreto di prigionia indefinita, senza accusa né processo – datato 8 maggio1799,silegge:

«Dumas e Manscourt rimarranno rinchiusi nella fortezza reale della città [il castello aragonese di Taranto] custoditi dal comandante militare della fortezza, Giambattista Teroni, fino a quando possano essere consegnati a Sua Eminenza il cardinaleD.FabrizioRuffo[…]»

Per il generaleDumas, era così iniziata unalunga e penosaprigionia, che doveva concludersi a Brindisi due anni dopo. Due anni di grandi sofferenze per il generale prigionieroedueannidieventi,cheamomentifuronoveramenteincalzanti,trascorsi in una Brindisi ignara di quell'appuntamento con la leggenda – quella del conte di Montecristo–chelastoriagliavevapostoinserbo.IlgeneraleDumas,infatti,oltread essere

«un militare sperimentato, un fervente repubblicano, un uomo di grandi convinzioni e spiccato valore morale, famoso per la sua forza fisica la sua destrezza con la spada il suo coraggio e la sua naturale capacità a districarsi con disinvoltura dallesituazionipiùdifficili, conosciutoper lasuaimpertinenzaarrogante eperisuoi problemi con le autorità, generale tra soldati temuto dai nemici ed amato dai suoi uomini,uneroeinunmondoincuitaleappellativononsiattribuivaallaleggera»2

fu anche il padre del prestigioso romanziere Alexandre Dumas, autore dei Tre moschettieri e del Conte di Montecristo, i due arci famosi romanzi per i quali l'indubbio ispiratore fu proprio quel padre generale con la sua rocambolesca esistenza3: quella di Thomas Alexander Davy de la Pailleterie, o più semplicemente AlexDumas,comepreferìfirmarsidopoessereascesopermeritopropriofinoalgrado digeneraledidivisione4 .

Ebbene, all'incirca quegli stessi due anni, in cui il generale Dumas rimase prigioniero del regno napoletano, videro Brindisi, dove quella celebre prigionia si concluse, spettatrice e protagonista di tutta una serie di altri eventi rilevanti, che la reseropartecipe – avolteattivaepassivaaltrevolte –della convulsa storia d'Italia e d'EuropatrascorsaacavallotrailXVIIIeilXIXsecolo.

Nellastoriaoccidentale,il1799fuindubbiamenteunannorilevante,l'annoin cui stava per dilagare sull'Europa intera, con tutto il suo bagaglio rivoluzionario, l'uragano napoleonico piombato alla ribalta della storia universale al seguito della Rivoluzionefrancesescoppiatadaundecennio.

Un anno vissuto a Brindisi da una città che, anche se con i suoi meno di seimila abitantinonattraversavacertounodeisuoitempimiglioriconilavoridirestaurodel portonuovamentesospesi,sipregiavacomunquediaverecomearcivescovol'illustre Annibale De Leo – che aveva già fondato la biblioteca pubblica arcivescovile – e di contaredueeminenticittadinidellalevaturadiTeodoroMonticellieCarloDeMarco5 . Quello fu anche l’anno, in cui la città si trovò a dover essere campo di battaglia tra sanfedisti e repubblicani, caposaldo della controrivoluzione popolare e per pochi giorni territorio conquistato dai repubblicani francesi, mentre era sindaco l'eclettico personaggioFrancescoGerardi6 .

Napoli, la capitale del regno, cadde nel caos dopo che il 22 dicembre 1798 il re FerdinandoIVl'abbandonòrifugiandosiaPalermo,avendofallitonelsuotentativo di liberare Roma dalle truppe francesi e avendo quindi lasciato sgombra la strada al generale napoleonico Jean Etienne Championnet. Così a Napoli, il 24 gennaio 1799, i giacobiniproclamaronolarepubblica.

A Brindisi le notizie giunsero l'8 febbraio, quattro giorni dopo che nel porto era arrivato un bastimento mercantile con a bordo Vittoria e Adelaide, due principesse francesiziedelreLuigiXVI,accompagnatedaunfoltogruppodinobiliealtiprelati,in fuga dalle truppe napoleoniche che erano già penetrate nel regno di Napoli. I fuggiaschirimaseroinattesadiunimbarcosicuroversoTriesteoversoOriente,dove flotte russe, turche e inglesi tenevano assediata Corfù, destinata presto ad essere liberatadall'occupazionefranceseedove,ineffetti,dopovariesettimanefuronoinfine accompagnateledueprincipesseconilloroseguito.

Poi,neiseguentimesi,specialmenteneigiornitrascorsitrail14febbraioeil16di aprile,incittàsisusseguironofatticlamorosiepercertiaspettiancherocamboleschi, perfettoriflessodellasituazionepoliticaemilitaredeltuttocaotica,incuisiritrovòa versareinquelfrangentestoricol'interosuddellapenisola.

Dalla cronaca che Giovanni Tarantini7 redasse verso metà Ottocento, conservata nella Biblioteca Arcivescovile “De Leo” di Brindisi, riscritta e integrata da quanto riportatoacuradiTommasoCinosanelsuoCompendiostoricodellacittà:

«Era giunta intanto la notizia che i francesi avevano occupato la capitale, e credendo il basso popolo che nella città vi fossero di quelli che congiurassero contro del sovrano, dietro l’esempio di altre città di Puglia tumultuò la notte dal 13 al 14 febbraio,pretendendocosìdiprenderneladifesa.

[…] Alcuni emigrati corsi guidati da un tal Buonafede Gerunda di Monteiasi [Taranto] giunsero in quel giorno colla veduta di trovare un imbarco, essendosi dichiaraticontrariallarivoluzionefrancese.Eranocinque.Siastatocomunqueilcome, corsevocenelpopolocheunodiquelli[CasimiroRaimondoCorbara]fosseilprincipe ereditario Francesco [e che un altro, Giovanni Francesco Boccheciampe, fosse il fratellodelrediSpagna].Tantobastòperchénonsipensassepiùallepersecuzioni,ma ad onorare il voluto principe, menandolo alla Cattedrale. […]. Il voluto principe, consigliatoasecondarepelmeglioilcomuneerrore,sostennebenelasuaparte,econ unacertaautoritàchecominciòaspiegare,ottenneevollesisedasseiltumulto,eche fossero posti in libertà gli arrestati. […] Dopo di ciò il principe da scena Corbara si imbarcò per Corfù [via Otranto] onde ottenere, egli diceva, dalle potenze alleate soccorsi e truppe regolari a difesa comune. Rimasero a Brindisi due del suo seguito, BoccheciampeeDeCesari[GiovanBattista],iqualiradunaronomoltatruppaamassa peravvalersenealbisogno.

[…] Il giorno 9 aprile al far del giorno fu veduto sulle acque della vicina Torre Penna un grosso vascello da guerra, che poco dopo si trovò in faccia alla fortezza di mare. Era un vascello francese nominato Genereux, al quale nella disfatta di Abukir erariuscitodiscampareenondivenirpredadellaflottainglesecomandatadaNelson. Lo seguivano quattro trasporti con mille uomini da sbarco, viveri e munizioni da guerra. […] Si impegnò l’azione tra il vascello e la fortezza, la quale era rimasta spogliatadidifensori.IlBoccheciampeealcunicapidellemasseuscironodelforte,ed andarono a rifugiarsi sulla vicina isola del lazzaretto. Un ufficiale di artiglieria chiamato Giustiniano Albani per tre ore sostenne l’attacco col bravo artigliere di cognome Lafuenti, e maneggiando un solo cannone. […] Rimasto solo l’ufficiale fu obbligato ad inalberare la bandiera bianca ed arrendersi. Capitolò la salvezza della vita per sé e per gli altri, ma i francesi vollero escluso dalla capitolazione il Boccheciampe, che menarono seco prigioniero. Da alcuni è stato detto che l’avessero fucilato,daaltrichepartitidaBrindisil’avesseromandatolibero.

Anche la città dall’alto della collina ove sorgono le antiche colonne dette i segni della resa, e poi spedì sul vascello una deputazione parlamentaria, composta dalle principali autorità, fra le quali l’arcivescovo [Annibale De Leo e il sindaco Francesco Gerardi]. Fuladeputazione moltobeneaccolta, ed anchetrattenutaalla mensa. Ebbe quindil’incaricodiassicurarlacittàchesebbenesarebbeoccupatadallatruppa,pure questavientrerebbedaamica.»8

E, direttamente dal Compendio historico della città dalla di lei fondazione al correnteannoMDCCCXVII diTommasoCinosa:

«Sulmezzogiornosbarcatidatrabbaccollicheseguivanoilvascello, innumero di circa mille uomini, occuparono la fortezza e la città. La tennero per otto giorni, nei quali,lanottedel10,ebberounattaccodallatruppaamassavenutainsottolemura, laqualeavendoconosciutoinutileognitentativodiscacciareilnemicoretrocedénella vicinaMesagne,ovesisciolse.

Il dì 16 premurati da replicati ordini del generale di Bari, inchiodati i cannoni e buttatainmarelapolveredellafortezza,evacuaronolacittàpartendoperquellavolta.

[…]Lacittàrestòinunasommatranquillità,moltopiùchecieralavicinasperanzadi

vedereprestonelnostroportoisoccorsipromessi dallaflottadiCorfù, cuigià quella cittàsieraresa.»9

Accadde, in effetti, che tutte le truppe francesi stanziate nel meridione del regno di Napoli, in seguito alle notizie delle sconfitte subite in Lombardia a opera dell'esercito austriaco, ricevettero l'ordine di sgomberare e di concentrarsi su determinateposizionistrategichedacontinuareamanteneresulterritoriodelregno. Così,anchedopocheisanfedistidelcardinaleRufforipreseroNapoliil13giugno,ilre Ferdinando IV rimase ancora per tre anni a Palermo e, quando ritornò a Napoli, ci rimaseperpocopiùditreanni,perpoitornarsenedinuovoaPalermoedattendereil trascorreredellungo"decenniofrancese".

Poco dopo la partenza delle truppe d'occupazione francesi, giunsero nel porto di Brindisi tre fregate russe e una turca. E, su una corvetta napoletana, giunse anche il cavaliere Antonio Micheroux, ministro plenipotenziario borbonico presso l'armata russo-turca,ilqualesitrattenneincittàperunpaiodigiorni,lasciandolapoiguarnita diuncontingenterusso.

Lasituazioneperò,nonèdeltuttoveroche,comescrittodalCinosa,fossepoicosì tranquilla, giacché la sommossa sanfedista e la pur breve occupazione francese della città,avevanoprodottoinnumerevoliazioniecontroazioni,nellequalimoltibrindisini erano rimasti pericolosamente coinvolti. A tale proposito, la Cronaca dei sindaci di Brindisi 1787-1860, redatta da Rosario Jurlaro nel 2001 – dalle diverse fonti in essa citate–riporta:

«I tumulti di febbraio crearono panico. I cittadini di Brindisi pensarono subito a salvare i risparmi e quanto potevano avere di prezioso […]. A 13 febbraio 99, mercoledì, ad ore quattro della notte se ne passò da questa a miglior vita [nella sua casa a Lecce] il nostro preside della provincia di Terra d’Otranto, Francesco Marulli dell’etàdiannisessantadue.Sidissechelacausafosseilgrantimorepresosi,quando la domenica andò tutto il popolo tumultuante da lui. Altri vogliono che lui stesso s’avesse ammazzato con pigliarsi il veleno per aver giurata tanto lui quanto tutto il tribunale come si dice fedeltà alla Repubblica francese. […] Boccheciampe, fatti arrestare[il6marzo]iministrideltribunalediLecceinfamadigiacobini,limandòal ForteamarediBrindisitraturbefanatichecheperpocononliuccisero.[…]Giuseppe ePietroMontenegrodiBrindisi,padricelestiniinLecce,rischiaronodiesserelinciati dallaplebelecceseperchéliconsideravagiacobiniecometalifuronopoiprocessati.

SbarcatiifrancesiaBrindisi,ipatriotirepubblicanidelSalentosiadoperaronoper schiacciare la controrivoluzione capeggiata da De Cesari. Andrea Tresca da Lecce si adoperò allora per ridare libertà ai prigionieri fatti da Boccheciampe e detenuti l’8 marzo nel castello marittimo di Brindisi dovesi sa che era ancheFrancesco Persano.

[…] D. Paolo Ferrari di Parabita figlio del fu d. Giacinto Ferrari e di d. Maria Antonia Beamount,nell’entratade'francesideldì9delcorrentemesefuammazzato,epoinel giorno 17 fu data sepoltura al cadavere nella chiesa de' P.P. Riformati del Casale coll’associamento di un solo prete. […] L’arcivescovo De Leo fu ridotto alle massime angustie dalle così dette truppe repubblicane straniere, che il 9 aprile da nemiche invaseroquestanostracittà. Essepurtroppoabusandodellalicenzamilitare, tennero il di lui Episcopio non sol come locanda, ma come taverna aperta incessantemente a

lor discrezione, e dove gli uffiziali superiori arbitrariamente s’intrudevano e stravizzavano con eccessiva insolenza a spese del prelato, dilapidando così il patrimoniode'suoipoveri[…].

Partiti ifrancesi, subitoscesidalletre navi moscoviteisoldaticoll’ufficialihanno fatta la carcerazione di cinque intere famiglie, cioè una del castellano [Giovanni Bianchi] l’altra dell’arcivescovo ed altre. Il detto giorno è arrivato un ambasciatore moscovito in Lecce e subito partì il signor preside [Tommaso Luperto] per Brindisi per far sospendere la giustizia che li moscoviti volevano fare di fucilare tutte quelle cinque famiglie da loro carcerati […]. Molti però, furono i repubblicani giacobini, o presuntitali,dellaTerrad’OtrantochefuronoimprigionatieprocessatiaLeccee,nelle carceri napoletane di Portici e Granili, tra le migliaia di prigionieri della repressione borbonica del 1799, risultarono essere di Brindisi il militare Giovanni Pagliara, nato nel1777figliodeldottorfisicoGiacintoediSaveriaCarascofigliadelnotaioPasquale, e lo studente Cherubino Balsamo, nato nel 1776 figlio di Domenico e di Grazia MaioranodiPianodiSorrento.»10

Dopoilconsolidamento–ametàgiugno–dellavittoriadeiconservatorinella capitale del regno, effimera per chi sapeva leggere il futuro nei fatti correnti, la restaurazione s'impose, pur senza eccessivo scalpore, anche a Brindisi. Sul finire di quell'anno, il 23 novembre 1799, l'arcivescovo Annibale De Leo fece celebrare una messa di requiem nella chiesa cattedrale di Brindisi, per la morte del papa Pio VI avvenuta qualche mese prima, in agosto, in Francia, dove era stato forzosamente condottodalletrupperepubblicanefrancesi.

Poi, il 3 gennaio del 1800, prevedendo quel che avvenne, mediante rivalsa cautelativa l'arcivescovo affidò al notaio Pasquale Giaconelli gli atti con i quali, il 10 ottobredell'anno1798,eranostaticonsegnatigliargentidellaChiesaallaregiacorte, una cessione patriottica destinata a divenire, per la futura insolvenza della corte, un'inutileoperadicarità.

Il 6 maggio lasciò Lecce l'ultrareazionario preside della provincia di Terra d'Otranto, Tommaso Luperto, che l'8 marzo del precedente anno 1799 era stato insediato dal fantomatico corso Boccheciampe e che per più di un anno aveva sostenutolarivalsagiudiziariaborbonicaintuttalaprovincia.Eilgiornoseguente,il7 maggio 1800, giunse «colla grazia del signore Iddio» il nuovo e meno vendicativo preside, Vincenzo Maria Mastrilli marchese della Schiava, proveniente da Taranto, doveerastatoinsediatodallaSantaFedecomecapopolitico.

Nel settembre 1800, in occasione dell'arrivo a Brindisi di una compagnia di comici, si vietò agli ecclesiastici di assistere alle recite in teatro e, il giorno 22, l'arcivescovoDeLeoemiseunedittonelquale:

«Si vietava agli ecclesiastici di qualsiasi grado di presenziare quelle sceniche rappresentanze e si rinnovava [per gli stessi ecclesiastici] il divieto di assistere ai giuochichesifannonellebotteghe,spezierieedaltriridotti,oveconcorreognisortadi gente.»11

In seguito, l'effimera pace conclusa tra i napoletani e i francesi sul finire dell'inverno1800-1801–primaaFoligno,18febbraio1801epoiaFirenzeamarzo–

elasorveglianzapermessaaquestiultimisuiportidellecosteadriatiche,sempreusati dagliinglesiperlerotteversol'Oriente,salpandooapprodandooradaTriesteorada Venezia, resero Brindisi campo di frequenti contese e di battaglie. Un campo che i francesi si guardarono bene dal lasciare troppo tempo sguarnito, magari ufficiosamente,quandononpotevanofarloufficialmente.Unepisodioesemplificativo della situazione politico-militare, che regnava in quei primi mesi del 1801, fu quello accadutoil13giugno:

«Versolequattrodelpomeriggio, unbrigantinoborbonico, ilLipari, cherecavaa bordosessantaquattrosoldatialcomandodeltenentedivascelloRuggeroSettimio,ed era seguito da una polacca sorrentina carica di frumento, entra nel porto di Brindisi Erasi quivi appena ancorato, quando appaiono quattro vascelli britannici, i quali prendono a cannoneggiare con violenza le due navi, che gravemente colpite minacciano di affondare. Accorrono quindi gl’inglesi con una squadra di lancioni, e catturateleartiglierieinsiemecolcomandanteecolpilota,tentanoditrascinarsecoi legni pericolanti. Intervengono a questo punto i francesi, e divampa una furiosa mischia, acuipartecipanoleforzebrindisine: granatierifrancesi emarinai britannici trovanolamortenelconflitto.»12

Questo, in grande sintesi, quanto trascorso di rilevante a Brindisi in quei due fatidicianni, duranteiqualiilgeneraleAlexandreDumasrimase prigionieroin Terra d'Otranto13, prima a Taranto e poi, negli ultimi sei mesi, a Brindisi, dove l'epilogo fu comedescrittodiseguito.

Nell'ottobredel1799Napoleone, finalmenteritornatoinFrancia, conquistòil potereeliminandoilDirettorioconilcolpodistatodel18brumaio(10novembre)e presto non esitò a intraprendere la seconda campagna d'Italia, rifondando la Repubblica Cisalpina dopo la battaglia di Marengo del 14 giugno 1800. Poco dopo, a settembre, per disposizione del marchese Della Schiava – Vincenzo Maria Mastrilli, preside della provincia di Lecce – Dumas e Manscourt furono trasferiti da Taranto a Brindisi, dove furono reclusi nel castello svevo – o forse nell'Alfonsino – mantenuti, questavolta,inunasituazionedigranlungamigliorata.

DuranteladurissimaprigioniaaTaranto,infatti,Dumaserarimastomalnutrito e ancor peggio curato per circa diciotto mesi e così, quando giunse a Brindisi, era zoppo, con la guancia destra paralizzata, quasi cieco dall'occhio destro e sordo dall'orecchio sinistro. Il suo fisico era quasi distrutto e arrivò a convincersi che tutti quei suoi malanni si produssero perché sottoposto a un lento e sistematico avvelenamento, al quale era sopravvissuto solo perché aiutato da un gruppo locale filofrancesesegreto,chegliavevafornitoalimenti,medicine,libriealtriconforti.

DareclusoaBrindisi,Dumaspotéconversareregolarmenteconunsacerdotedi nomeBonaventuraCertezza,unaspeciedicappellanodeicastelli,conilqualefinìcon istaurare una sincera amicizia. Nel museo Alexandre Dumas a Villers Cotterêts in Francia, è conservata una lettera che il padre Bonaventura scrisse a Dumas qualche mesedopolasualiberazione,il17agosto1801.

«Sappi mio caro generale, che ho sempre mantenuto e sempre manterrò vivo dentro di me ciò che sento per te, sentimenti che mi obbligano a rivolgerti eternamente i miei rispetti. Di fatto, non ho tralasciato di muovere neanche una sola

pietra, per trattare di ottenere tue notizie. So che ascoltare lodi ti incomoda, però, conscendo il calore del tuo cuore, oso parlarti in questo modo. Magari potessi abbracciarti! – maledetta distanza – Te lo dico di tutto cuore. E se un giorno vorrai visitarmi,acasamiasempresaraidamericevutoabracciaaperte[…].»14

E anche con Giovanni Bianchi, il suo carceriere – castellano di Brindisi dal 1798 al 1802, nonché già sospetto giacobino – Dumas mantenne durante i circa sei mesi della sua permanenza nella prigione del castello di Brindisi una costante e, per quello che le circostanze potevano permettere, cordiale relazione personale e anche epistolare, come si evince da alcune di quelle loro epistole conservate nel Museo AlexandreDumas.

Le cortesi lettere scambiate tra i due, spesso trattavano questioni del tutto triviali, per esempiorelative alle vettovaglie, agli indumenti, allescarpe e quant'altro di cui il generale prigioniero potesse aver bisogno. Finanche, una volta annunciata la prossimità della liberazione, Bianchi inviò a Dumas campioni di stoffa, affinché il generalescegliessequellapiùadattaafargliconfezionarel'uniformedaindossarenel viaggio, nonché alcuni cappelli tra i quali scegliere il modello che ritenesse più consono per lui. Una relazione insomma, che se pur non esente da qualche screzio, andòmigliorandoconilpassaredeimesi,probabilmenteancheariflessodeglieventi militariche,incorsoesemprepiùprossimialleportedelregno,lasciavanofacilmente presagireunaimminenteevoluzionepro-francesedellasituazione.

Difatti, verso la fine dell'anno 1800, le forze napoleoniche in Italia sotto il comando del generale Gioacchino Murat, misero in fuga l'esercito napoletano di FerdinandoIV,ilcuigovernoripreselaviadelrifugioaPalermo,eil18febbraio1801 aFolignofuconclusol'armistiziotraletruppefrancesiequelledelrediNapoli,conla firmadelgeneraleMuratperlaFranciaedelgeneraleDamasperFerdinandoIV.

Ecosì,subitodopoquellevicendedell'inverno1800-1801,allafinedelmesedi marzo del 1801, si produsse, finalmente, la liberazione del generale Dumas, che fu inviato alla base navale francese di Ancona, nel contesto di una situazione politicomilitare estremamente confusa: Brindisi, ufficialmente sotto il re di Napoli che però era rifugiato a Palermo, dipendeva dalla provincia di Lecce presieduta dal borbonico marchese dellaSchiava, mentreaMesagne erainsediataunaconsistenteguarnigione francese composta da circa 350 militari, senza uno status formale riconosciuto e ufficialmenteinviadismobilitazione.

«NelleriunionicapitolaridellachiesadiOgnissantidiMesagne,ancorail19aprile 1801,sidiscutevadegliobblighi,impostid’autorità,perdarealloggio,lettiodanaroai soldati del battaglione francese, di stanza in quella terra, costituito da 350 soldati e comandato da Barraire. Le richieste di danaro, da parte del ministro regio David Winspeare,dapartedell’arcivescovoDeLeoedeisindaciperalloggiareedareilvitto aisoldatifrancesi,sisusseguironoalledate22luglioe31agosto1801;20marzoe12 giugno1802;22agosto,2settembree11ottobre1803e18settembre1804»15

In effetti, dopo l'armistizio di Foligno e la successiva pace di Firenze del 28 marzo 1801, lenavi repubblicanefrancesi rimaseronelbassoAdriaticoasorvegliare quellastrategicacosta,nonchéaproteggereletrupperimasteinterra,conlascusadi dover far rispettare leclausole marittime di quella pace, e solola pace diAmiensdel

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marzo 1802 accordò che tutti i territori del regno napoletano fossero liberati sia dalle truppe francesi e sia da quelle inglesi e russe, per permettere alla corte borbonicadirientraredaPalermoaNapoli.

Maancheallora,isoldatifrancesidatempoinsediatinelcastellonormanno-svevo di Mesagne e che avrebbero dovuto sgomberare tra il 30 di aprile e il 5 di maggio 1802, non lo fecero: tergiversarono e cominciarono a partire solo molto dopo, molto lentamente, a più riprese e senza farlo mai del tutto, fin quando, il 15 luglio 1803, l'esercito francese fece ufficialmente ritorno in Terra d'Otranto, a causa delle non meglioprecisate«difficoltàsortetrafrancesieinglesi».

Di fatto, quei soldati francesi ritornati nei dintorni Brindisi fin dai primi giorni del 1801, non tolsero mai del tutto la loro ingombrante presenza da quel territorio, evidentemente troppo strategico. Una presenza che probabilmente aveva in qualche misura influito sulla liberazione del prigioniero Dumas, liberazione alla quale non doveva neanche essere rimasto estraneo lo stesso generale Murat che, forse non a caso,vollechetraleclausoledell'armistizio,siinserissequellarelativaallaliberazione deiprigionierifrancesi.

1 T. REISS, The Black Count: Glory, Revolution, Betrayal, and the Real Count of Monte Cristo New York 2012.Reissha soggiornatolungamente in Francia persvolgere ricerche in archivimilitarie musei,riuscendoinfineadaccedereancheaidocumentiinediticustoditidaElaine,labibliotecaria del Musée Alexandre Dumas di Villers-Cotterêts dedicato alla storia dei tre Dumas, dopo che la donna eramorta senza rivelare la combinazionedella sua cassaforte.Ha anchevisitato ilcastello aragonese di Taranto nell’aprile 2008 intervistando l’allora comandante ammiraglio Francesco Ricci.IllibrodiTomasReissè,ancheesoprattutto,lameticolosaerigorosabiografiadelgenerale francese Alexandre Dumas, padre dell'omonimo famoso romanziere e nonno dell'altrettanto omonimodrammaturgo.

2 T.REISS,TheBlackCount,cit.,p.29.

3 Le prime duecento pagine delle memorie del famoso romanziere [A. DUMAS, Mes Memoires, Paris 1852] sono dedicateal padre, ilgenerale Dumas esiconcludono con:«Vedi padre mioche non ho dimenticato nessuno dei ricordi che mi avevi affidato perché li conservassi. Da quando sono stato in grado di pensare, i tuoi ricordi hanno vissuto in me come una lampada sacra, che illuminatuttoetuttiquellicheavevitoccatoancheselamortemel'haportatavia».

4 G.PERRI,SiconcluseinuncastellodiBrindisilalungaprigioniadelgeneraleAlexandreDumas, ispiratoredelleggendarioContediMontecristo,in«Il7Magazine,settimanalediBrindisi»,III(19 &26aprile2019),pp.18,19&28,29.

5 ID., I 100 personaggi dell’odonomastica di Brindisi che attraversano tutta la storia della città Brindisi 2017, pp. 64, 67, 68, con riferimento a Carlo De Marco, Annibale De Leo, Teodoro Monticelli.

6 ID., Gerardi, un eclettico sindaco di fine ’700, in «Il 7 Magazine, settimanale di Brindisi», I (1º dicembre 2017), pp. 28,29: «Nel 1798 Francesco Gerardi, negoziante d’ogni mare, lo si ritrova elettosindacodiBrindisi,incaricochenonostantelegranditurbolenzepoliticheemilitaridiquegli anni, poté conservare fino a quasi tutto il 1800 […] Il 9 aprile il vascello di guerra francese GénéreuxentrònelportodiBrindisie intrapreseunacruentabattagliacontroleforzesanfediste asserragliatenelfortedimare,riuscendoinfineasopraffarlepursubendonumeroseperdite,trale qualiilpropriocapitano,LouisJeanNicolasLejoille.

I francesi quindi, invitarono ed accolsero benignamente sul Généreux il sindaco Gerardi con l’arcivescovo De Leo e le altre autorità civili della città, le quali finalmente mostrarono tutt’altro che ostilità verso gli invasori, e così le truppe francesi poterono sbarcare ed occuparono militarmentelapiazza.

Ilgiorno13aprileilpopolofuconvocatonellaCattedraleperunTeDeumofficiatodall’arcivescovo e quando il giorno 14 le autorità militari francesi nominarono i nuovi ufficiali municipali, il sindaco, Francesco Gerardi, fu confermato nella carica repubblicana. Dopo solo qualche giorno però, inaspettatamente il 16 aprile, tutti i soldati francesi lasciarono Brindisi, parte per mare e parte per terra, e non si poté sapere se per un ordine ricevuto o per il sentore percepito che stesseropergiungerelenavirussedaCorfùnonchégliesercitisanfedistidallaCalabria.

Effettivamente, le navi moscovite arrivarono a Brindisi dopo qualche giorno e così il sindaco FrancescoGerardisiriscoprìferventesanfedista,“…essendostatoobbligatoconlaforzadaisoldati francesi, alla piantagione del simbolico albero della libertà, in quella infausta domenica del 14 aprilescorso”.Comerisaputoperò,inapoleonicitornaronoaNapolidopoqualcheanno–nel1806 –eilreBorbonetornòarifugiarsiaPalermo,restandociquestavoltaperuninterodecennio[…].

E a Brindisi che ne fu in quel decennio dell’ex sindaco borbonico - invero per sette giorni filofrancese - Gerardi? Ebbene, quando fu eletto sindaco per il periodo 1807-1808 Giuseppe Nichitich, noto giacobino, il Francesco Gerardi è tra i membri decurioni - la giunta - della sua amministrazione. Dal 1811 al 1813 fu sindaco di Brindisi Francesco Sala, per diretta nomina murattiana e per tre anni interi, e dalla sua prima delibera decurionale del 3 gennaio 1811, tra i decurioni risulta esserci – anche e ancora – Francesco Gerardi: quindi, indubbiamente collaborazionistapertuttoildecenniodigovernofranceseaNapoli.

Poi, caduto Napoleone e a restaurazione borbonica già consolidata, il 1° febbraio 1818, il FrancescoGerardi,nellavesteformaledi"CavalieredelborbonicosovranoordineCostantiniano", losiritrovaapresiedereilritualediiniziazioneacavalierediGiuseppeVillanova.Finalmenteil15 settembre 1819, Gerardi quasi settantacinquenne, depositò presso il notaio Tommasi Minunni “sette documenti relativi tutti ai servigi prestati dal medesimo in qualità di sindaco all’epoca del 1799in1800pelfedelissimorealservizio”.

Eperchémaiquell’atto?Perchémaiproprioinquelladatagiàdistantedagliavvenimentiriferitiin quei sette documenti? Perché mai, insomma, il Gerardi considerò in quel momento necessario, o comunque conveniente, documentare formalmente e integralmente quella “allora sua assoluta fedeltà”alBorbone?»

7 ID.,I100personaggi,cit.,p.74.

8 R.JURLARO,CronacadeisindacidiBrindisi1787-1860,Brindisi2001,p.116.

9 T. CINOSA, Compendio historico della città di Brindisi, dalla di lei fondazione al corrente anno MDCCCXVII,ms.n.6custoditonellaBibliotecaProvincialediLecce.

10 R.JURLARO,Cronaca,cit.,p.161.

11 ArchiviodellaCuriaArcivescovilediBrindisi-Brindisi,1800,cart.235.

12 A.LUCARELLI,LaPuglianelRisorgimento,III:Dallarivoluzionedel1799allarestaurazionedel 1815,Trani1951,pp.51,52.

13 Rapport fait au gouvernement francais par le general de division Alexandre Dumas, sur sa captivitéàTarenteetàBrindisi,portsduRoyaumedeNaples-5Mai,1801;documentoritrovato daTomReissnellacassafortedelMuseoDumasaVillersCotterêts.

14 MuseoDumasaVillersCotterêts.

15 R.JURLARO,Cronaca,cit.,p.179.

Francesco Gerardi: eclettico sindaco brindisino di fine ‘700

Pubblicato sul il7 Magazine del 1º dicembre 2017

Nella lettura della voluminosa antologia stipata tra i capitoli e i documenti della “Cronaca dei Sindaci di Brindisi dal 1787 al 1860” di Rosario Jurlaro, è inevitabile imbattersiinFrancescoAntonioGerardi,unpersonaggiobrindisinodalprotagonismo ricorrente in tutti quei tribolati anni della cronaca cittadina trascorsi a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Si legge di lui in ben 25 pagine distribuite nell’arco di tutta la primametàdellepiùdi700paginechecompongonol’interovolume. Si inizia proprio dalla prima pagina in cui si relata che nel marzo del 1786, tale AntonioCesarea,affittuariodiungiardinodellemonacheBenedettinevicinoallacasa della Deputazione presso Porta Reale, mentre lavorava per risistemarne un settore abbandonato,scoprìaccidentalmenteunbaulettod’oro-lungounpalmoealtomezzo - che avrebbe affidato al Francesco Gerardi, commerciante e suo creditore il quale avevaassistitocasualmentealrinvenimento.GerardiconvinseAntonioaconsegnargli ilbaulettodietropromessa di venderloerendergliil ricavato, chevalutòin principio intorno ai 460 ducati, o forse 600, il cui corrispettivo residuo però, il Gerardi non avrebbemaicompletatointeramentealCesarea,percuilamogliediquesti,Tommasa Viola,siprotestòcreditriceconattopubblicodel25novembre1788,innanzialnotaio Carlod’Ippolito,pressolacasadelcanonicoBenedettoMontenegro.

AdettadiTommasa,ilmaritocominciòaostentareildenaroricevutoeacommentare a vanvera del misterioso ritrovamento finché fu denunciato - sembra addirittura dal suostessofratelloTeodoro-edovettespenderegranpartedelcompensoricevutodal Gerardi per difendersi dall’accusa, per cui lei chiese al Gerardi un compenso addizionale, ma sia il Gerardi che il marito, la minacciarono intimandole di non menzionarepiùconchicchessia quelritrovamento. Laminaccia fu, chesenon avesse desistitodalparlarediquelmisteriosobaulettod’oro, pergiustificarelaprovenienza del denaro in possesso di suo marito lo avrebbero fatto attribuire al fatto che lei avesseacconsentitoad“atticonfidenziali”.

Adettadi Antonio, invece, anch’eglirecatosiil4dicembreinnanzialnotaiopressola casa dei Montenegro, fu la moglie del Gerardiche s’ingelosì a causadelle semprepiù frequentivisitedisuomaritoallacasadelgiardiniere-edellamoglieTommasa-per cuilesidovettespiegareiltutto.EfupropriodalìchealGerardivennelabellaideaper giustificare la ormai troppo palese sua donazione di ingenti somme di denaro ad Antonio e per quindi salvarsi dall’imputazione di occultamento del misterioso bauletto - di autoaccusarsi per aver “insidiato l’onore” di Tommasa e di avere perciò dovutocompensaremonetariamenteeabbondantementeilmaritocircuito.

Del misterioso bauletto d’oro non se ne parlò più e nel 1798 Francesco Gerardi, negozianted’ognimare,losiritrovaelettosindacodiBrindisi,incaricochenonostante le grandi turbolenze politiche e militari di quegli anni, poté conservare fino a quasi tutto il 1800. Nato il 16 maggio 1746, figlio di Onofrio, fu battezzato il 17 maggio, sposòIsabellaGerardi figlia diPasqualeed ebbeduefigli:MariaVincenzanel1782e Onofrionel1785.

L’8 febbraio del 1799, a Brindisi si seppe che il re Ferdinando IV Borbone il 22 dicembre aveva lasciato Napoli e si era rifugiato con tutta la famiglia e la corte a Palermo e che nella capitale occupata dalle truppe napoleoniche del generale Championnet, a gennaio era stata proclamata la Repubblica napoletana. E così, a Brindisineigiornicheseguirono,moltifuronoigiacobinisegnalati,veriofintiemolti altrifuronoisanfedisti,veriofinti.

Da qualche giorno nel porto di Brindisi erano giunte da Napoli le principesse di Francia Adelaide e Vittoria zie di Luigi XVI accompagnate da nobili e alti prelati fuggendotuttidalleinvaditricitruppenapoleonicheecercandounimbarcoperCorfù, quando nella notte del 14 febbraio il basso popolo si rivoltò in difesa dei Borbone e contro i supposti giacobini brindisini, arrestando e rinchiudendo nelcastello di terra quasituttiigentiluominidellacittàefinanchel’arcivescovoAnnibaleDeLeo.

Almattinoseguenteperò,larivoltacambiòdecisamentepiega:sisparseinfattilavoce chetraungruppodiforestierigiuntiincittàincercadiunimbarcoaCorfùperfuggire dallaRivoluzionefrancese,cifosseancheilprincipeereditarioFrancescoBorbone.Si trattava invece di un giovane corso, Casimiro Raimondo Corbara, il quale fu consigliatodalleprincipesseedalsindacoGerardidisecondarel’erroreperpotercosì placare i tumultuosi e far liberare gli arrestati della notte. L’imbroglio funzionò, la rivolta rientrò e il supposto principe s’imbarcò per Corfù... “onde ottenere soccorsi dallepotenzealleate”.

Il 9 aprile il vascello di guerra francese “Généreux” seguito da quattro trasporti con mille uomini, entrò nel porto di Brindisi e intraprese una cruenta battaglia contro le forze sanfediste asserragliate nel forte di mare, riuscendo infine a sopraffarle pur subendonumeroseperdite,tralequaliilpropriocapitano,LouisJeanNicolasLejoille.

I Francesi quindi, invitarono ed accolsero benignamente sul Généreux il sindaco Gerardiconl’arcivescovoDeLeoelealtreautoritàcivilidellacittà,lequalifinalmente mostraronotutt’altrocheostilità versogli invasoriecosìle truppe francesi poterono sbarcareeoccuparemilitarmentelapiazza.

Il giorno 13 aprile il popolo fu convocato nella Cattedrale per un Te Deum officiato dall’arcivescovoequandoilgiorno14leautoritàmilitarifrancesinominaronoinuovi ufficiali municipali, il sindaco, Francesco Gerardi, fu confermato nella carica repubblicana. Dopo solo qualche giorno però, inaspettatamente il 16 aprile, tutti i soldati francesi lasciarono Brindisi, parte per mare e parte per terra, e non si poté sapereseperunordinericevutooperilsentorepercepitochestesseroper giungere lenavirussedaCorfùnonchégliesercitisanfedistidallaCalabria.

Effettivamente,lenavimoscovitearrivaronoaBrindisidopoqualchegiorno,iprimidi maggio, e così il sindaco Gerardi si riscoprì fervente sanfedista “ …essendo stato obbligato con la forza dai soldati francesi, alla piantagione del simbolico albero della libertà,inquellainfaustadomenicadel14aprile”.

Comerisaputoperò,inapoleonicitornaronoaNapolidopoqualcheanno-nel1806-e ancheilreBorbonetornòarifugiarsiaPalermo,restandociquestavoltaperunintero decennio, giusto quanto durò il regno napoleonico su Napoli, con sul trono Giuseppe BonaparteprimaeGioacchinoMuratdopo.

Il vascello francese “Généreux” che il 9 aprile 1799

Jean Nicolas Lejoille attaccò e espugnò Forte a mare difeso dai sanfedisti Capitano del Généreux

E a Brindisi che ne fu in quel decennio dell’ex sindaco borbonico - invero per sette giorni filofrancese - Gerardi? Ebbene, quando fu eletto sindaco per il periodo 18071808GiuseppeNichitich,notogiacobino,ilGerardiètraimembridecurioni-lagiunta -dellasuaamministrazione. Ilseguentesindaco,finoal31dicembre1809,fuCosimo LavianoeGerardièdinuovonellagiuntadellanuovaamministrazione.

Dal1811al1813fusindacodiBrindisiFrancescoSala,perdirettanominamurattiana e per tre anni interi, e dalla sua prima delibera decurionale del 3 gennaio 1811, tra i decurionirisultaessercianche-eancora-FrancescoGerardi:quindi,indubbiamente collaborazionistapertuttoildecenniodigovernofranceseaNapoli.

Poi,cadutoNapoleoneearestaurazioneborbonicagiàconsolidata,l’1°febbraio1818, il Francesco Gerardi, nella veste formale di “Cavaliere del borbonico sovrano ordine Costantiniano”, lo si ritrova a presiedere il rituale di iniziazione a cavaliere di GiuseppeVillanova,secondoquantoredattodalnotaioTommasoMinunni.

Finalmenteil15settembre1819,FrancescoGerardiquasisettantacinquenne,conatto delnotaioTommasoMinunnidepositò“numero sette documenti relativi tutti ai servigi prestati dal medesimo in qualità di sindaco all’epoca del 1799 in 1800 pel fedelissimo real servizio”.

Questa è l’ultima citazione che di Francesco Gerardi si fa nella Cronaca dei Sindaci di Brindisi,allapagina307.Eperchémaiquell’attonotarile?Perchémaiproprioinquella data già distante dagli avvenimenti riferiti in quei sette documenti? Perché mai, insomma,ilGerardiconsideròinquelmomentonecessario,ocomunqueconveniente, documentare formalmente e integralmente quella “allora sua assoluta fedeltà“ al Borbone.

Si concluse in un castello di Brindisi la lunga prigionia del generale

Alexandre Dumas, ispiratore del leggendario Conte di Montecristo

Pubblicato su Academia.edu – e, parzialmente, su il7 Magazine del 19 e 26 aprile 2019

Il 7 marzo 1799 il generale francese Alexandre Dumas lasciò l'Egitto, dopo aver partecipatoallacampagnanapoleonica,direttoinFranciaabordodella Belle Maltaise Dopoqualchegiornodinavigazioneperò,leprecariecondizionidellanaveeilmarein tempesta, costrinsero i francesi a cercare rifugio nel porto di Taranto, fiduciosi d'incontrare accoglienza amica in un territorio della novella Repubblica partenopea, da qualche settimana proclamata proprio con l'appoggio delle armi rivoluzionarie francesi. Non fu così: tutti furono catturati e imprigionati dai sanfedisti del cardinale FabrizioRuffoche,persfortunadiqueinaufraghifrancesi,daqualchegiornoavevano ricondottolacittàsottoilcontrolloborbonico.

PerilgeneraleDumasiniziòcosìunalungaepenosaprigionia,chedovevaconcludersi nellacelladiuncastellodiBrindisidueannidopo.Dueannidigrandisofferenzeperil generaleprigionieroedueannidieventi,cheamomentifuronoveramenteincalzanti, trascorsiinunaBrindisiignaradiquell'appuntamentofrugaleconlaleggenda–quella delcontediMontecristo–chelastoriagliavevapostoinserbo.

IlgeneraleDumas,infatti,oltreadessere

«unmilitaresperimentato,unferventerepubblicanoeunuomodigrandiconvinzionie spiccato valore morale, famoso per la sua forza fisica, la sua destrezza con la spada, il suocoraggioelasuanaturalecapacitàadistricarsicondisinvolturadallesituazionipiù difficili,fuancheconosciutoperlasuaimpertinenzaarroganteeperisuoiproblemicon le autorità, fu un generale tra soldati, temuto dai nemici ed amato dai suoi uomini, un eroeinunmondoincuitaleappellativononsiattribuivaallaleggera»1 .

fu anche il padre del prestigioso romanziere Alexandre Dumas, autore dei Tre moschettieri e del Conte di Montecristo, i due arci famosi romanzi per i quali l'indubbio ispiratore fu proprio quel padre generale con la sua rocambolesca esistenza: quella di Thomas Alexander Davy de la Pailleterie, o più semplicemente AlexDumas,comepreferìfirmarsidopoessereascesopermeritopropriofinoalgrado digeneraledidivisione.

Thomas Alexandre Davy de la Pailleterie1 e 2

Ilfamosogeneralefrancesemulatto,notoanchecomeAlexDumas,nacqueil25marzo 1762aJérémie,nellacoloniacaraibicafrancesediSaintDomingue–laodiernaHaiti–figlio di un nobile francese, il marchese Alexandre Antoine Davy de la Pailleterie (20 giugno 1714, Belleville en Caux - 15 giugno 1786, Saint Germain en Laye) e di Marie CessetteDumas(natainAfricaindatasconosciutaemortaprobabilmentenel1772a La Guinaudée, vicino Jérémie in Saint Domingue), la schiava nera concubina di Antoine.

Il generale nella sua vita usò anche altri nomi, oltre a quello ufficiale di Thomas Alexandre Davy de la Pailleterie: Thomas Rethoré, Alexandre Dumas e Alex Dumas. Davy de la Pailleterie era il nome di famiglia di suo padre. Il nome Rethoré lo usò durante alcuni anni dopo che suo padre, nel 1776, riuscì rocambolescamente a farlo arrivare in Francia. Il nome Dumas era di sua madre e il primo riscontro del nome

AlexandreDumas,lositrovanelregistrodel6°ReggimentodeiDragonidellaRegina, in cui si arruolò volontario il 2 giugno 1786 – nel rotolo di arruolamento, il futuro generalefudescrittocome"alto1,85metri,concapellineriecrespi,visoovale,bocca piccolaelabbracarnose".UsòlaformasempliceAlexDumasapartiredal1794eilsuo nomecompletoThomasAlexandreDumasDavydelaPailleterielosiritrovascrittosul certificato di nascita di suo figlio, il famoso scrittore romanziere Alexandre Dumas, natonel1802,qualcheannoprimadellamortedelgenerale,sopraggiuntanel1806. Ilpadredelgenerale,AlexandreAntoineDavydelaPailleterie,erailprimodeitrefigli del marchese Alexandre Davy de la Pailleterie (1674 - 1758) e di Jeanne Françoise Paultre de Dominon (morta nel 1757). I Davy de la Pailleteries erano aristocratici francesi dellaprovincianormannadiCaux, la cuiricchezzaerain declino. Lafamiglia avevaacquisitoiltitolosignorilenel1632enel1708ilrediFranciaavevaconcessoil titolo di marchese a Alexandre Davy de la Pailleterie, il nonno del generale. Gli altri due fratelli più giovani di Antoine, si chiamavano: Charles Anne Edouard, nato nel 1716 e Louis François Thérèse, nato nel 1718. Tutti e tre i fratelli furono educati in una accademia militare per ufficiali dell'esercito francese e servirono nella guerra di successione polacca. Antoine, che raggiunse il grado di colonnello, partecipò all'assediodiPhilipsburgnel1734.

Nel1732,CharlesebbeunincaricomilitarenellacoloniafrancesediSaintDomingue, nel settore occidentale dell'isola La Spagnola nelle Indie Occidentali, dove si coltivavano piantagioni di canna da zucchero lavorate dalla schiavitù africana e nel 1738 lasciò il servizio militare per divenire coltivatore di zucchero in quella colonia, sposandoMarieAnneTuffé,unariccacreolafranceseorfanadipadre,erilevandonela preziosa proprietà. Quell'anno anche Antoine lasciò l'esercito e si unì a suo fratello CharleseasuamoglieinSaintDomingue.Visseconloroelavorònellapiantagioneper diecianni,finoal1748quando,dopoaverlitigatoviolentementeconCharles,lasciòla piantagioneportandoconséisuoitreschiavipreferitieinterrompendoilcontattocon suofratelloecontuttoilrestodellasuafamiglia.

Quando, dopo la marchesa Jeanne Françoise, nel 1758 morì anche il marchese Alexandre Davy de la Pailleterie, in assenza di notizie del primogenito Antoine, CharlesritornatoinNormandiarivendicòeottenneiltitolonobiliaredelpadreconil castelloelealtreproprietàdifamiglia.Poi,quandoilbloccobritannicoallespedizioni francesi durante la guerra dei sette anni (1756-1763) limitò le esportazioni di zucchero da Saint Domingue, Charles si dedicò a contrabbandare la merce da un territorio neutro, sul confine nordorientale della colonia, lo scoglio di Monte Christi, oggi in territorio della Repubblica Dominicana, di fronte al quale si trovava un isolotto:MonteCristo.

Charles morì di gotta nel 1773 e poco dopo, Louis, il più giovane dei tre fratelli, rimastomilitare,fucoinvoltoinunoscandalocollegatoconlavenditadiarmidifettose all'esercito francese, un grande scandalo rimasto noto come "le procès des Invalides". Con la reputazione rovinata, Luis scontò una condanna di quindici giorni di carcere militaree,unmesedopo,ancheluimorì.

Antoine invece, il padre del generale, pur restando in Saint Domingue durante altri quasi trenta anni, dimenticò la sua famiglia e si guadagnò da vivere in Jérémie come coltivatoredicaffèecacaonellasuamodestapiantagione,LaGuinaudèe,sottoilnome

di Antoine de l'Isle. Acquistò la schiava Marie Cessette a un prezzo esorbitante e la tenne come concubina. Nel 1762 nacque il loro primo figlio mulatto Thomas Alexandre ed in seguito nacquero anche due figlie, Adolphe e Jeannette, che affiancarono una prima figlia di Marie Cessette, Marie Rose, avuta da un altro uomo primadell'iniziodellarelazioneconAntoine.

Dopo la morte dei suoi due fratelli, Antoine, rimasto erede unico della famiglia Davy delaPailleterie,nel1775egiàsessantenne,deciseditornareinFranciagiungendoin Normandia nella prima settimana di dicembre per riscattare il titolo nobiliare e le residue proprietà della famiglia. Non avendo il denaro necessario al viaggio, se lo procurò vendendo a untal Monsieur Carron di Nantes le tre figlie e forse – visto che alcune fonti indicano che fosse già morta – anche la loro madre, la sua schiava concubina.

La madre del generale, Marie Cessette Dumas, nacque in Africa e fu condotta come schiava nella colonia francese di Saint Domingue. L'unica fonte ufficiale con il suo nome completo è costituita dal certificato e dal contratto di matrimonio del figlio, il generale. Le Memoires di suo nipote, il romanziere Alexandre Dumas, indicano come suo nome quello di Louise e un'altra fonte la registra come Cécile. Alcuni studiosi hanno suggerito che Dumas non fosse un cognome per Marie Cessette, ma che significasse "della masseria" (du mas in francese) e che fu aggiunto al suo nome per indicarecheappartenevaallaproprietàdellapiantagione.Altriautorihannosuggerito origini africane sia del nome Cessette che del nome Dumas. La schiava, destinata ad essere la matriarca di una saga di uomini illustri, convisse come concubina del suo proprietarioAntoinenellapiantagionedicaffèLaGuinaudée,vicinolacittàportuaria diJérémieinSaintDomingue,verosimilmentefinoallasuamorte,avvenutanel1772, onel1775,oforseancordopo.

Oltre alle tre sorelle, anche Thomas Alexandre, che aveva quattordici anni d'età, fu vendutodalpadreAntoineper800lirefrancesi,alcapitanoLangloisinPortoPrincipe. Questavenditaperò, fueffettuatacon dirittodiriscatto, fornendosiaunmodolegale per mandare Alexandre in Francia con Langlois e sia un prestito temporaneo per le spesedelviaggio.

Così, il ragazzo accompagnato dal capitano Langlois arrivò al molo di El Havre in Francia il 30 agosto 1776, registrato sul manifesto della nave come lo schiavo Alexandre, proprietà di un tal tenente Jaques Louis Roussel. Appena sbarcato, suo padre lo ricomprò e lo liberò, portandolo con il nome di Thomas Retoré – cognome probabilmente preso in prestito da un vicino di casa di Jérémie – nella riscattata tenuta di famiglia a Belleville in Caux, Normandia, dove vissero per più di un anno, finché, venduta quella proprietà si trasferirono in una casa in rue de l'Aigle d'Or, nel sobborgopariginodiSaintGermainenLaye.

Già riconosciuto legalmente dal padre e quindi con diritto a chiamarsi Thomas AlexandreDavydelaPailleterie,ilgiovanefigliodiunmarchese,equindiconte,studiò all'accademia di Nicolas Texier de La Boëssière, maestro di sciabola del re, dove ricevettelatipicaistruzionesuperiorediungiovanenobiledeltempo.Inquellascuola imparò anche l'arte della spada dal Cavaliere Saint Georges, un altro uomo di razza mista originario dei Caraibi francesi, considerato all'epoca essere il migliore spadaccinodel mondo.E conildenaro ricavatodallavenditadellatenuta difamiglia,

grazieallagenerositàdisuopadre,perunadecinadianniilgiovaneThomasvisseuna vitaabbastanzaagiata,socializzandoinluoghicomeilPalaisRoyaleilTeatroNicolet, finoacompire24anni,nel1786.

Il3febbraiodiquell'anno,AntoinesposòlatrentenneMademoiselleFrançoiseRetou, già sua domestica principale nel castello di famiglia ormai venduto e divenuta da già qualche anno sua convivente. Secondo le Memoires del figlio del generale – il romanziere Dumas – Thomas si manifestò in totale disaccordo con quella decisione delpadreenonvollefirmarecometestimoneeneancheassistereaquelmatrimonio, chefinìconpropiziareilraffreddamentodellerelazionitrapadreefiglio.

Qualche mese dopo, Thomas decise di unirsi all'esercito francese, un'occupazione comune per i gentiluomini francesi di quel tempo. Però, a differenza dei suoi nobili pari che presero le armi come ufficiali, Thomas si dovette arruolare come soldato semplice.Unaregolamilitarestabilitanel1781,perottenerelaqualificavadiufficiale richiedeva che si dimostrassero almeno quattro generazioni di nobiltà dal lato paterno, e anche se Thomas possedeva tale requisito, le leggi razziali francesi rendevano difficile per un uomo di razza mista rivendicare il suo legittimo titolo o statusnobiliare.

Secondole Memoires,conosciutoilprogettodiThomasdiarruolarsicomeunsemplice soldato di cavalleria, suo padre insistette affinché il figlio prendesse un nome di battaglia per non trascinare il loro nobile cognome di famiglia nei ranghi bassi dell'esercito.MaThomas,nelcuianimosifuradicandoancordipiùilsuogiànotevole rancore maturato verso il padre, il 2 giugno 1786, si iscrisse al 6° Reggimento dei Dragoni della Regina con il nome "Alexandre Dumas" assumendo così quello della madree,13giornidopo,suopadreAntoine,morì.

Il soldato generale Alexandre Dumas1 e 2

La folgorante carriera militare di Alexandre Dumas iniziò, quindi, nei Dragoni della Regina e il 15 agosto 1789, a un mese dall'inizio della Rivoluzione, la sua unità fu inviata nella città di Villers Cotterêts, giacché il capo locale della Guardia Nazionale, l'albergatore Claude Labouret, ne aveva fatto richiesta per controllare l'ondata di violenza rurale che anche lì dilagava incontrollata. Dumas alloggiò presso l'Hôtel de l'Ecu per quattro mesi e si fidanzò con la figlia dell'albergatore, Marie Louise. Poi, il suoreggimentofuinviatoaParigiil17luglio1791,infunzioneantisommossainsieme alle unità della Guardia Nazionale, sotto il diretto comando del marchese Lafayette, partecipandoalfamosomassacrodi Champ de Mars.

Caporale della Rivoluzione nel 1792, Dumas ebbe la sua prima esperienza di combattimento in un attacco francese contro i Paesi Bassi Austriaci nell'aprile di quell'anno. Era uno dei 10.000 uomini sotto il comando del generale Biron e sul confine belga, vicino a Maulde, il 18 agosto 1792 catturò 12 soldati nemici mentre guidavailsuopiccologruppodiesploratorielasuareputazionecominciòacresceree adiffondersitraimilitarifrancesi.

Nell'ottobre 1792, con a Parigi già proclamata la repubblica, a Dumas fu offerto di entrare con il grado di tenente colonnello nella Légion franche des Américains et du Midi,fondataunmeseprimadaJulienRaimond.Unalegionelibera,indipendentecioè dall'esercitoregolare,compostadauominidicoloreliberi.

Fu chiamata in vari modi "Legione americana", "Legione nera" e “Legione di Saint Georges”. Il comandante della legione, infatti, era il Cavaliere Saint Georges, l'ex istruttorediDumasnell'artedellaspada,efuproprioluiavolereconsénellalegione quel fervente e convinto repubblicano, nominandolo comandante in seconda e permettendoglidicomandarlapiùvolte,durantelesuesemprefrequentiassenze.

Il 28 novembre 1792, mentre era di stanza con la legione ad Amiens, Dumas sposò

Marie Louise Elisabeth Labouret a Villers Cotterêts – testimone fu anche Madame Retou,lavedovadisuopadre–dovepoicompròunafattoriadi30acri,cheabitòcon lasuafamiglianeimomentiliberidallesuecampagnemilitari.Lìnacquerolesuedue figlie, Marie Alexandrine il 10 settembre 1794 e Louise Alexandrine, nata nel 1796 e mortal'annoseguentee,il24luglio1802,ancheilsuounicofiglioAlexander,ilfuturo famosoromanziere.

Sciolta la legione, il 30 luglio 1793 Dumas fu promosso a generale di brigata nell'esercito del Nord eun mese dopo fu promosso di nuovo, a generale didivisione, ricevendoil19settembrel'incaricodicomandarel'esercitodeiPireneiOccidentali.Il 22 dicembre 1793 fu inviato a comandare i 53.000 uomini dell'esercito delle Alpi contro le truppe austriache e piemontesi che difendevano il passo del Piccolo San BernardocopertodalghiacciaiodelMoncenisio,sulconfinefranco-piemontese.Dopoi mesi invernali di pianificazione e ricognizione con base a Grenoble, nella primavera del 1794 Dumas lanciò i primi assalti, finché il 5 aprile iniziò le operazioni conquistando prima il passo del Piccolo San Bernardo e, il 14 maggio, la vetta del Moncenisio, dopo aver scalato impervie scogliere di ghiaccio e facendo più di mille prigionieri:unastrepitosaestrategicavittoria,chefecescalporeancheaParigi. Traagostoeottobredel1794, ilgenerale AlexDumaspassòalcomandodell'esercito d'Occidente,percontrollarelamassicciarivoltadatemposcoppiatanellaregionedella Vandea contro il governo rivoluzionario di Parigi. In quel comando, molto s'impegnò nelmigliorareladisciplinamilitareenell'eliminaregliabusidapartedeisoldatisulla popolazione locale. Per il suo agire in quella missione, fu poi descritto come "un soldato senza paura e irreprensibile, un leader che merita di passare ai posteri, contrastando favorevolmente con il comportamento dei suoi contemporanei, che la pubblicaindignazioneinchioderàsempreallagognadellaStoria".Dopounperiododi licenzatrascorsoacasaconlasuafamiglia,nelsettembre1795,Dumasfuincorporato all'esercito del Reno comandato dal generale Jean Baptiste Kléber e partecipò all'attaccofranceseaDüsseldorf,dovefuferito.

Nelnovembredel1796,AlexDumasfutrasferitooltralpeeinviatoaMilanoperunirsi all'esercito d'Italia – comandato in capo dall'ancora poco conosciuto generale Napoleone Bonaparte –che era entratoin Piemonte ad aprile equindi aMilanoil 15 maggio. In quel periodo, tra i due generali sorse una certa tensione, quando Dumas obiettò e provò a contrastare la politica di Napoleone di consentire indiscriminatamentealletruppefrancesidisaccheggiareleproprietàneiterritoriche venivanooccupatiedimaltrattarnegliabitanti.NeldicembreDumasfumessoacapo delladivisionecheassediavalastrategicacittàdiMantovae,grazieancheaduna sua risoluta azione di controspionaggio e con pochi uomini, riuscì a bloccare il tentativo austriacodel16gennaio1797diromperel'assedio,permettendol'arrivodeirinforzi francesi che il 2 febbraio ottennero la capitolazione della città. Dopo quei

combattimenti, Dumas si sentì offeso dalla descrizione poco edificante delle sue azioni,contenutanelrapportodibattagliadelgeneraleBerthier,aiutantedicampodi Bonaparteesenelamentòadiratamenteeinsolentementeconilcomandanteincapo, Napoleone. E così, nel rapporto di battaglia che questi inviò al Direttorio della Rivoluzione,l'impertinenteDumasfuaddiritturaignorato.

In seguito, gli fu assegnato un comandoben aldi sottodel suo grado, la guida di una sottodivisione agli ordini del generale Masséna, però anche in quella posizione, nel febbraio 1797, Dumas si distinse permettendo all'esercito francese di spingere le truppe austriache verso nord e catturandone migliaia nell'inseguimento. Fu in quel periodo che, divenuto famoso anche tra i nemici, i soldati austriaci iniziarono a chiamarlo Schwarze Teufel (DiavoloNero).L'apicedellapopolaritàdiDumasinquella primacampagnanapoleonicad'Italiaarrivòquando,passatosottoilcomandodelsuo amico generale Joubert, combatté lungo le rive dell'Adige terrorizzando gli austriaci finchéungiorno, il23marzo, respinsedasolouninterosquadronedilorotruppesu un ponte sul fiume Eisack a Klausen – oggi Chiusa, in Italia – e per quell'impresa i francesi iniziarono a riferirsi a lui come "l'Orazio coclite del Tirolo". Fu lo stesso Napoleoneasuggerirloequellavoltaloricompensòfacendolocomandantedituttele forzedicavallerianelTirolo.Conquell'incarico,Dumastrascorsegranpartedel1797 come governatore militare, amministrando la provincia di Treviso, raccogliendo per séancheilfavoredegliabitanti.

Lasciatoquell'incaricodigovernatore,Dumastornòperqualchemeseacasa,aVillers Cotterêts, finché nel marzo 1798 il Ministero della Guerra gli ordinò di presentarsi a Toulon per un incarico imprecisato. Si unì a un'enorme armata francese che si stava ammassandolì,inpreparazionedellapartenzaperunadestinazionesegreta.L'armata partìil19maggio1798,condestinazioneancoranonannunciataefusoloil23giugno, dopochelaflottaavevaconquistatoesaccheggiatoMalta,cheNapoleone,alcomando della spedizione, annunciò ai suoi 54.000 uomini lo scopo principale della missione: conquistarel'Egitto.Ementreeraabordodellanave Guillaume Tell,nelmezzodelMar Mediterraneo in rotta verso Alessandria, Dumas fu nominato comandante della cavalleria dell'esercito d'Oriente. L'armata arrivò in porto alla fine di giugno e il 2 luglio Dumas guidò i granatieri fin sotto le mura, entrando in città con il resto delle truppe francesi. In quell'occasione, l'ufficiale medico della spedizione Renè Nicolas Desgenettes, raccontò che gli egiziani, al confrontare l'altezza e la struttura fisica di Dumas con quelle di Napoleone, credettero fosse Dumas il vero comandante della spedizione.

Dal7al21luglio,aDumastoccòguidarelacavalleriadell'esercitoinvasorenellalunga marcia verso sud, da Alessandria al Cairo, sostenendo vari scontri con la cavalleria mamelucca, la principale forza militare egiziana. Per le truppe francesi, le condizioni nel deserto risultarono estremamente dure, per il calore, la sete, la stanchezza e la mancanza di rifornimenti adeguati, provocando finanche un certo numero di suicidi. Accampati a Damanhour, Dumas incontrò diversi altri generali, tra i quali Lannes, DesaixeMurat,coniqualiesternòcriticheallemodalitàdiconduzionedell'impresada parte del comandante Napoleone, e con loro discusse anche sulla possibilità di eventualmente rifiutarsi di proseguire la marcia al di là del Cairo. Conclusa vittoriosamenteil21lugliolabattagliadellePiramidi,durantel'occupazionedelCairo Napoleone apprese di quelle critiche del suo generale Dumas e lo affrontò

adiratamente, minacciando finanche di sparargli per sedizione. In risposta, Dumas solo gli chiese il permesso di tornare in Francia e Napoleone non si oppose a quella richiesta. Ormai, lo scontro tra i due generali della Rivoluzione, oltre che ideologico, eradivenutoanchepersonale.

Però,acausadellaquasitotaledistruzionedell'armatafrancese–nellabaiadiAbukir il 1° agosto a opera della flotta britannica dell'ammiraglio Orazio Nelson – nella battaglia del Nilo presso Alessandria, Dumas non fu in grado di lasciare l'Egitto e rimase al Cairo prestando regolare servizio fino alla primavera dell'anno successivo. In ottobre, tra il 21 e il 22, Dumas fu determinante nel reprimere una rivolta antifrancese al Cairo, caricando a cavallo i ribelli nella moschea di Al Azhar. E per l'occasione,NapoleonedisseaDumas:"Cisaràundipintosullapresadellamoscheae tu ne sarai la figura centrale". Undici anni dopo, in effetti, il dipinto "La rivolta del Cairo"fucommissionatodaNapoleoneaGirodetperò,nelcentrodelquadro,l'ufficiale francesecheacavallostaguidandolacaricanellamoscheaèunuomobianco.

Cattura e prigionia a Taranto del generale Dumas

Il7marzo1799Dumasfinalmentelasciòl'Egittoabordodellacorvetta Belle Maltaise, una nave militare dismessa, in compagnia del suo amico, il generale Jean Baptiste Manscourt du Rozoy, del geologo Déodat Gratet de Dolomieu, di quaranta soldati francesiferitienumerosicivilimaltesiegenovesiperuntotalediquasi120imbarcati. Dumas aveva venduto ciò che possedeva nei suoi alloggi al Cairo e con il ricavato avevanoleggiatolanaveeavevaacquistatoduemilachilidicaffèeundicicavalliarabi – due stalloni e nove fattrici – con l'intenzione di costituire unallevamento presso la suafattoriaaVillersCotterêts.

Durante la navigazione però, la vecchia nave cominciò a fare acqua e Dumas dovette gettare via gran parte del suo carico, per poi, finalmente, rifugiarsi a causa del maltemponelportodiTaranto,nelRegnodiNapoli,doveDumaseisuoicompagnisi aspettavano un ricevimento amichevole, avendo saputo che il regno era stato rovesciatodallaRepubblicaPartenopeainstauratasulmodellodiquellafrancese.

Ma quella repubblica, costituita a Napoli il 24 gennaio 1799, era risultata precaria e nelleprovincedelsudavevaprestocedutoalleforzefiloborbonichedell'esercitodella Santa Fede guidato dalcardinale Fabrizio Ruffo, fedele al re Ferdinando IV, che dalla Siciliaerasbarcatosullapenisolaelastavarisalendoconl'intenzione,poifinalmente concretizzata, di raggiungere Napoli, la capitale del regno, e di restaurare il potere monarchico, combattendo le forze francesi presenti sul territorio del regno. Napoli, pochimesiprima,eracadutanelcaosdopocheil22dicembre1798ilreFerdinando IV l'aveva abbandonata rifugiandosi a Palermo, avendo fallito nel suo intrepido tentativo di liberare Roma dalle truppe francesi e lasciando sgombra la strada al generalenapoleonicoJeanEtienneChampionnet.

A Brindisi le notizie di quegli eventi napoletani erano giunte l'8 febbraio, quattro giornidopochenelportoeraarrivatounbastimentomercantileconabordoVittoriae Adelaide, due principesse francesi zie del re Luigi XVI accompagnate da un folto gruppo di nobili e alti prelati, in fuga dalle truppe napoleoniche che erano già penetrate nel regno di Napoli e in attesa di un imbarco sicuro verso Trieste, o verso Oriente dove flotte russe turche e inglesi tenevano assediata Corfù, destinata presto

ad essere liberata dall'occupazione francese e dove, in effetti, dopo varie settimane d'attesafuronoinfineaccompagnateledueprincipesseconilloroseguito.

Poi, nei seguenti mesi, e specialmente nei giorni trascorsi tra il 14 febbraio e il 16 di aprile di quel 1799, in città si susseguirono fatti clamorosi e per certi aspetti anche rocamboleschi,perfettoriflessodellasituazionepoliticaemilitaredeltuttocaoticain cuisiritrovòaversareinquelfrangentestorico,l'interosuddellapenisola3:

Nella notte tra il 13 e il 14 di febbraio, mentre il popolo cittadino si era sollevato a difesa del re di Napoli, giunsero a Brindisi cinque corsi disertori della repubblica rivoluzionaria francese, guidati da un tal Buonafede Gerunda di Monteiasi, intenzionati a trovare un imbarco. Corse voce nel popolo in piena rivolta, che uno di quelli, Casimiro Raimondo Corbara, fosse il principe ereditario, Francesco, e che un altro,GiovanniFrancescoBoccheciampe,fosseilfratellodellostessorediNapoli. Tantobastòperchénonsipensassepiùaperseguireigiacobinilocali,maadonorareil venutoprincipe,accogliendolonellaCattedrale.Ilsuppostoprincipe,consigliatodalle dueprincipessefrancesiedallestesseautoritàcittadineasecondarequelloscambiodi identità,sostennebenelasuaparte,ottenendochesisedasseiltumultoechefossero postiinlibertàtutticolorocheeranostatiarrestati.Dopodiciòilprincipesiimbarcò perCorfù,viaOtranto,“ondeotteneredallepotenzealleatedelrediNaopli,soccorsie truppe regolari per difendere la città dai rivoluzionari francesi”. Rimasero a Brindisi due del suo seguito, Boccheciampe e Giovan Battista De Cesari, i quali assoldarono numerosipopolanivolontariperladifesaarmatasanfedista

«[…]Boccheciampe,fattiarrestareil6marzoiministrideltribunalediLecceinfamadi giacobini, li mandò al Forte a mare di Brindisi tra turbe fanatiche che per poco non li uccisero.

[…]Ilgiorno9aprilealfardelgiornofuvedutosulleacquedellavicinaTorrePennaun grossovascellodaguerrachepocodopositrovòinfacciaallafortezzadimare.Eraun vascello francese nominato Genereux, al quale nella disfatta di Abukir era riuscito di scampare e non divenir preda della flotta inglese comandata da Nelson. Lo seguivano quattro trasporti con mille uomini da sbarco, viveri e munizioni da guerra. […] Si impegnòl’azionetrailvascelloelafortezza,laqualeerarimastaspogliatadidifensori.Il Boccheciampeealcunicapidellemasseuscironodelforte,edandaronoarifugiarsisulla vicinaisoladellazzaretto.UnufficialediartiglieriachiamatoGiustinianoAlbanipertre ore sostenne l’attacco colbravo artigliere dicognome Lafuenti, emaneggiando unsolo cannone. […] Rimasto solo l'ufficiale fu obbligato ad inalberare la bandiera bianca ed arrendersi. Capitolò la salvezza della vita per sé e per gli altri, ma i francesi vollero esclusodallacapitolazioneilBoccheciampe,chemenaronoprigioniero.Daalcunièstato dettochel'avesserofucilato,daaltrichepartitidaBrindisil'avesseromandatolibero.

[…] Sul mezzogiorno sbarcati da trabbaccolli che seguivano il vascello, in numero di circamilleuomini,occuparonolafortezzaelacittà.Latenneroperottogiorni,neiquali, lanottedel10,ebberounattaccodallatruppaamassavenutainsottolemura,laquale avendo conosciuto inutile ogni tentativo di scacciare il nemico retrocedé nella vicina Mesagne, ove si sciolse. […] Anche la città dall'alto della collina ovesorgono le antiche colonnedetteisegnidellaresa,epoispedìsulvascellounadeputazioneparlamentaria, compostadalleprincipaliautorità,fralequalil'arcivescovoAnnibaleDeLeoeilsindaco Francesco Gerardi. Fu la deputazione molto bene accolta, ed anche trattenuta alla mensa. Ebbe quindi l'incarico di assicurar la città che sebbene sarebbe occupata dalla truppa,purequestavientrerebbedaamica.

] Sbarcati i francesi a Brindisi, i repubblicani del Salento si adoperarono per schiacciarelacontrorivoluzioneancoracapeggiatadaDeCesari.AndreaTrescadaLecce si adoperò allora per ridare libertà ai prigionieri fatti da Boccheciampe e detenuti l’8 marzo nel castello marittimo di Brindisi. […] L’arcivescovo De Leo fu ridotto alle massime angustie dalle così dette truppe repubblicane straniere, che il 9 aprile da nemiche invasero questa nostra città. Esse purtroppo abusando della licenza militare, tennero il di lui Episcopio non sol come locanda, ma come taverna aperta incessantemente a lor discrezione, e dove gli uffiziali superiori arbitrariamente s’intrudevano e stravizzavano con eccessiva insolenza a spese del prelato, dilapidando cosìilpatrimoniode'suoipoveri.

[…] Il dì 16, premurati da replicati ordini del generale di Bari, inchiodati i cannoni e buttatainmarelapolveredellafortezza,isoldatifrancesievacuaronolacittàpartendo per quella volta. […] La città restò in una somma tranquillità, molto più che ci era la vicina speranza di vedere presto nel nostro porto i soccorsi promessi dalla flotta di Corfù, cui già quella città si era resa […] Partiti i francesi, subito scesi dalle tre navi moscovite i soldati coll’ufficiali hanno fatta la carcerazione di cinque intere famiglie, cioèunadelcastellanoGiovanniBianchi,l’altradell’arcivescovoedaltre.Ildettogiorno èarrivatounambasciatoremoscovitoinLecceesubitopartìilsignorpresideTommaso Luperto per Brindisi per far sospendere la giustizia che li moscoviti volevano fare di fucilare tutte quelle cinque famiglie da loro carcerati. […] Molti furono i repubblicani giacobini, o presunti tali, della Terra d’Otranto che furono imprigionati e processati a Lecce e, nelle carceri napoletane di Portici e Granili, tra le migliaia di prigionieri della repressioneborbonicadel1799,moltirisultaronoesserediBrindisi»4 .

In questo clima politico-militare, la cattura dei naufraghi francesi della Belle Maltaise fu inevitabile e le autorità sanfediste che da una settimana, dall'8 marzo, ricontrollavano la piazza di Taranto, imprigionarono Dumas, Manscourt e il restodei francesidella Belle Maltaise,confiscandolamaggiorpartedellelorocose.

Duranteiprimigiornidarecluso,neiqualiglifuimpossibileriuscireaparlareconun qualche ufficiale di alto rango a cui chiedere spiegazioni sulla sua prigionia, Dumas ricevette la visita di un personaggio enigmatico, Giovanni Francesco Boccheciampe, presuntofratellodelre diSpagna, ma in realtàdisertorecorsoche dapocopiùdiun meseerasortoacapodelleforzesanfedistedellaprovinciadiLecce,riconquistandola quasituttaallacoronaborbonica,Tarantoinclusa.Maneanchedaluiebbeunqualche chiarimento circa la sua detenzione. L'avventuriero Boccheciampe aveva acquistato improvvisa fama rocambolescamente quando, giunto il 14 febbraio a Brindisi, era statocredutoessereilfratellodelrediSpagnaederastatoacclamatocapoarmatodei localicontrorivoluzionarisanfedisti Qualche settimana dopo, il cardinale Ruffo fece chiedere ai due generali francesi prigionieri a Taranto, Dumas e Manscourt, di comunicare ai comandanti delle forze francesi ancora in Napoli, una propostadi scambio di prigionieri: loro due in cambio proprio di quello stesso controrivoluzionario corso, Boccheciampe, fatto prigioniero dalle truppe francesi che il 9 aprile erano giunte nel porto di Brindisi al seguito del vascello Généreux proveniente dall'Egitto, scampato dalla disfatta di Abukir, ed avevano conquistato la città. Inviata a Napoli quella proposta però, il cardinale Ruffo perse interesse in quell'eventuale scambio di prigionieri, quando sospettò che il Boccheciampe fosse stato fucilato dai francesi quale disertore, evento in effetti

[

verosimilmente avvenuto tra il 18 e il 19 aprile nei pressi di Trani, per ordine del generaleJ.Sarrazin.

E così, sfumata ogni possibilità di liberazione immediata, dopo quasi sette settimane dallalorodetenzione,il4maggioDumaseManscourtfuronodichiarati prigionieridi guerra dell'esercito della Santa Fede, mentre quasi tutti gli altri naufraghi della Belle Maltaise furonoliberati.Inundocumentocheriposanell'ArchiviodiStatodiTaranto–difattounassurdodecretodiprigioneindefinita,senzaaccusaneprocesso–datato8 maggio1799,silegge:

«Dumas e Manscourt rimarranno rinchiusi nella fortezza reale della città [il castello aragonese di Taranto] custoditi dal comandante militare della fortezza, Giambattista

Teroni, fino a quando possano essere consegnati a Sua Eminenza il cardinale D. FabrizioRuffo,servodiSuaMaestàFernandoIV,cheIddiolobenedicasempre[…]»

Il 13 giugno l'esercito sanfedista entrò a Napoli, la repubblica cadde e il regno napoletano fu restaurato. A Taranto, Dumas lo seppeperché gli comunicarono che la sua prigionia sarebbe passata ad un regime di carcere duro, senza più passeggiate giornaliere all'aria, eccetera. E ben prima che quel 1799 terminasse, caddero anche tutte le altre repubbliche italiane e i francesi perdettero tutto quanto conquistato in Italia nella campagna napoleonica di due anni prima. Tutte circostanze queste che, naturalmente,congiuraronocontrolasorteimmediatadiDumas,vanificandoanchele continuepressantirichiestechesuigovernantiinParigiesercitavalamogliediDumas, MarieLouiseLabouret,peravereassistenzaneltrovareesalvaresuomarito.

Il generale Dumas a Brindisi

Nell'ottobre del 1799 Napoleone, finalmente ritornato in Francia, conquistò il potere eliminandoilDirettorioconilcolpodistatodel18brumaio–10novembre–epresto non esitò a intraprendere la seconda campagna d'Italia, rifondando la Repubblica Cisalpina dopo la battaglia di Marengo del 14 giugno 1800. Poco dopo, a settembre, perdisposizione delmarcheseDellaSchiava –VincenzoMariaMastrilli, presidedella provincia diLecce –DumaseManscourtfuronotrasferiti daTarantoaBrindisi,dove furonoreclusiemantenuti,questavolta,inunasituazionedigranlungamigliorata.

Durante la durissima prigionia a Taranto, infatti, Dumas era rimasto malnutrito e ancorpeggiocuratopercircadiciottomesiecosì,quandogiunseaBrindisi,erazoppo, con la guancia destra paralizzata, quasi cieco dall'occhio destro e sordo dall'orecchio sinistro. Il suo fisico era quasi distrutto e arrivò a convincersi che tutti quei suoi malanni si produssero perché sottoposto a un lento e sistematico avvelenamento al quale era sopravvissuto solo perché aiutato da un gruppo locale filofrancese segreto, chegliavevafornitoalimentimedicinelibriealtriconforti.

Da recluso a Brindisi – forse nel castello Svevo, o forse nell’Alfonsino – Dumas poté conversareregolarmenteconunsacerdotedinomeBonaventuraCertezza,unaspecie di cappellano dei castelli, con il quale finì con istaurare una sincera amicizia. Nel museoAlexandreDumasaVillersCotterêtsinFrancia,èconservataunaletteracheil padreBonaventurascrisseaDumasqualchemesedopolasualiberazione,il17agosto 1801.

«Sappimiocarogenerale,chehosempremantenutoesempremanterròvivodentrodi me ciò che sento per te, sentimenti che mi obbligano a rivolgerti eternamente i miei

rispetti.Difatto,nonhotralasciatodimuovereneancheunasolapietra,pertrattaredi ottenere tue notizie. So che ascoltare lodi ti incomoda, però, conscendo il calore del tuo cuore, oso parlarti in questo modo. Magari potessi abbracciarti! – maledetta distanza–Telodicodituttocuore.Eseungiornovorraivisitarmi,acasamiasempre saraidamericevutoabracciaaperte.[…]»

E anche con Giovanni Bianchi, il suo carceriere – castellano di Brindisi dal 1798 al 1802,nonchégiàsospettogiacobino–Dumasmantenneduranteicircaseimesidella sua permanenza nella prigione del castello una costante e, per quello che le circostanze potevano permettere, cordiale relazione personale e anche epistolare, come si evince da alcune di quelle loro epistole conservate nel Museo Alexandre Dumas.

Lecortesiletterescambiatetraidue,spessotrattavanoquestionideltuttotriviali,per esempio relative alle vettovaglie, agli indumenti, alle scarpe e quant'altro di cui il generale prigioniero potesse aver bisogno. Finanche, una volta annunciata la prossimità della liberazione, Bianchi inviò a Dumas campioni di stoffa affinché il generalescegliessequellapiùadattaafargliconfezionarel'uniformedaindossarenel viaggio, nonché alcuni cappelli tra i quali scegliere il modello che ritenesse più consonoperlui.Unarelazioneinsomma,chesepurnonesentedaqualchescrezio,fu migliorando con il passare dei mesi, probabilmente anche a riflesso degli eventi militariche,incorsoesemprepiùprossimialleportedelregno,lasciavanofacilmente presagireunaimminenteevoluzionepro-francesedellasituazione.

Difatti,versolafinedell'anno1800,leforzenapoleonicheinItaliasottoilcomandodel generale Joachim Murat, misero in fuga l'esercito napoletano di Ferdinando IV, il cui governoripreselaviadelrifugioaPalermo,eil18febbraio1801aFolignofuconcluso l'armistizio tra le truppe francesi e quelle del re di Napoli, con la firma del generale MuratperlaFranciaedelgeneraleDamasperFerdinandoIV.

Ecosì,subitodopoquellevicendedell'inverno1800-1801,allafinedelmesedimarzo del1801,siprodusse,finalmente,laliberazionedelgeneraleDumas,chefuinviatoalla base navale francese di Ancona, nel contesto di una situazione politico-militare estremamente confusa: Brindisi, ufficialmente sotto il re di Napoli che però era rifugiato a Palermo, dipendeva dalla provincia di Lecce presieduta dal borbonico marchese dellaSchiava, mentreaMesagne era insediataunaconsistenteguarnigione francese composta da circa 350 militari, senza uno status formale riconosciuto e ufficialmenteinviadismobilitazione.

«Nelle riunioni capitolari della chiesa di Ognissanti di Mesagne, ancora il 19 aprile 1801,sidiscutevadegliobblighi,impostid’autorità,perdarealloggio,lettiodanaroai soldati del battaglione francese, di stanza in quella terra, costituito da 350 soldati e comandato da Barraire. Le richieste di danaro, da parte del ministro regio David Winspeare,dapartedell’arcivescovoDeLeoedeisindaciperalloggiareedareilvitto aisoldatifrancesi,sisusseguironoalledate22luglioe31agosto1801;20marzoe12 giugno1802;22agosto,2settembree11ottobre1803e18settembre1804»4

In effetti, dopo l'armistizio di Foligno e la successiva pace di Firenze del 28 marzo 1801, le navi repubblicane francesi rimasero nel basso Adriatico a sorvegliare quella strategicacostanonchéaproteggereletrupperimastein terra,conlascusadidover far rispettare le clausole marittime di quella pace, e solo la pace di Amiens del 25

marzo1802accordòchetuttiiterritoridelregnonapoletanofosseroliberatisiadalle truppe francesi e sia daquelle inglesi e russe, per permettere alla corte borbonica di rientraredaPalermoaNapoli.

Ma anche allora, i soldati francesi da tempo insediati nel castello normanno-svevo di Mesagne che avrebbero dovuto sgomberare tra il 30 di aprile e il 5 di maggio 1802, non lo fecero: tergiversarono e cominciarono a partire solo molto dopo, molto lentamente, a più riprese e senza farlo mai del tutto, fin quando, il 15 luglio 1803, l'esercito francese fece ufficialmente ritorno in Terra d'Otranto, a causa delle non meglioprecisate"difficoltàsortetrafrancesieinglesi".

Di fatto, quei soldati francesi ritornati nei dintorni Brindisi fin dai primi giorni del 1801, non tolsero mai del tutto la loro ingombrante presenza da quel territorio, evidentemente troppo strategico. Una presenza che probabilmente aveva in qualche misura influito sulla liberazione del prigioniero Dumas, liberazione alla quale non doveva neanche essere rimasto estraneo lo stesso generale Murat che, forse non a caso,vollechetraleclausoledell'armistizio,siinserissequellarelativaallaliberazione deiprigionierifrancesi.

Ritorno in Francia del generale Dumas

Dopo essere stato liberato dalla lunga prigionia, partito da Brindisi via mare, Dumas fecescaloaAnconaepoiil12aprilearrivòaFirenze,dovesostòperunpo'digiorni. Quindi raggiunse la Francia, dove consegnò la sua relazione di prigionia6 e poi, finalmenteacasanelgiugnodiquell'anno1801.

Aveva da poco compito trentanove anni e da subito dovette cominciare a lottare per mantenere la sua famiglia, che aveva trascorso la sua assenza in grandi ristrettezze economiche. Scrisse ripetutamente al governo francese e a Napoleone Bonaparte, reclamandoilcompensoeconomicoperilsuoperiododiprigioniaechiedendoanche un nuovo incarico militare, ma senza mai ricevere risposte veramente positive al rispettodapartedelgovernoesenzamairicevererispostaalcunadaNapoleone.

Il 24 luglio 1802, Marie Louise dette alla luce il terzo e ultimo figlio del suo matrimonio, Alexandre. Meno di quattro anni dopo, il 26 febbraio 1806, Alex Dumas morìdicancroallostomaconellasuacasaaVillersCotterêtsall'etàdiquarantaquattro anni.Allasuamorte,suofiglioAlexandre,ilfuturofamosoromanziere,avevatreanni e sette mesi. Il ragazzo, sua sorella esua madre vedova, rimasero in povertà, giacché Marie Louise Labouret Dumas non ricevette la pensione normalmente assegnata dal governo francese alle vedove dei generali e dovette lavorare come venditrice in una tabaccheria.Eranatail4luglio1769emorìil1ºagosto1838.

Ultimo atto

A Parigi il nome di Alexandre Dumas è inciso sulla parete sud dell'Arco di Trionfo e, nel1912,unastatuadelgeneralefuerettainPlaceMalesherbes,oraPlaceduGénéral Catroux, dove rimase per trent'anni accanto alle statue dei suoi due famosi discendenti – Alexandre Dumas père, il romanziere e Alexandre Dumas fils, il drammaturgo–finchéletruppetedesched'occupazione,l'abbatteronotrail1941eil 1942,senzachemaipiùsiastatariposta.

Statua del generale Alexandre Dumas in Parigi, dello scultore Alfred Moncel Eretta nel 1912 e abbattuta dalle truppe tedesche nel 1942

BIBLIOGRAFIA:

1 Tomas REISS The Black Count: Glory, Revolution, Betrayal, and the Real Count of Monte Cristo CrownPublishers-NewYork,2012

Reiss ha soggiornato lungamente in Francia per svolgere ricerche in archivi militari e musei, riuscendo infine ad accedere anche ai documenti inediti custoditi da Elaine, la bibliotecaria del Musée Alexandre Dumas di Villers-Cotterêts dedicato alla storia dei tre Dumas, dopo che la donna era morta senza rivelare la combinazione della sua cassaforte. Il libro di Tomas Reiss è anche e soprattutto la meticolosa e rigorosa biografia del generale francese Alexandre Dumas, padredell'omonimofamosoromanziereenonnodell'altrettantoomonimodrammaturgo.

2 AlexandreDUMAS Mes Memoires A.CadotEditeur-Paris,1852

Le prime duecento pagine delle memorie sono dedicate a suo padre, il generale Dumas. «Vedi padre mio che non ho dimenticato nessuno dei ricordi che mi avevi affidato perché li conservassi. Da quando sono stato in grado di pensare, i tuoi ricordi hanno vissuto in me come una lampada sacra, che illumina tutto e tutti quelli che avevi toccato anche se la morte me l'ha portata via» AlexandreDumaspère.

Altreimportantifontibibliografichedisponibilisu Thomas Alexandre Davy de la Pailleterie –in ordinecronologicodipubblicazione–sonoleseguenti:

- AndréMAUREL Les trois Dumas Librairieillustrée-Paris,1896

- ErnestD’AUTERIVE Un Soldat de la Révolution: Le Général Alexandre Dumas -Paris,1897

- André MAUROIS The Titans: A Three-Generation Biography of the Dumas Harper & BrothersNewYork,1957

- VíctorE.R.WILSON Le Général Alexandre Dumas: Soldat de la Liberté Quisqueya-Québec,1977

- GillesHENRY Les Dumas: Le secret de Monte Cristo Condé-sur-Noiraud -Corlet,1982

- John G. GALLAHER General Alexandre Dumas: Soldier of the French Revolution Southern Illinois UniversityPress-Carbondale,1997

- ClaudeRIBBE Alexandre Dumas, le dragon de la reine ÉditionsduRocher-Paris,2002

- ClaudeRIBBE Le diable noir Alphée-Monaco,2008

- TomREISS The Black Count: Glory, Revolution, Betrayal, and the Real Count of Monte Cristo Crown Publishers-NewYork,2012

3 Gianfranco PERRI Al centro di un conflitto: Brindisi tra il 1799 e il 1801 in “Dal riformismocarolinoalleriformedietànapoleonica”-Brindisi,2019

4 Rosario JURLARO Cronaca dei sindaci di Brindisi 1787-1860 Amici della De LeoBrindisi,2001

5 Rapport fait au gouvernement francais par le general de division Alexandre Dumas, sur sa captivité à Tarente et à Brindisi, ports du Royaume de Naples -5Mai1801

DocumentoritrovatodaTomReissnellacassafortedelMuseoDumasaVillersCotterêts

Duecento anni fa: quando Mesagne era più importante di Brindisi

Pubblicato.su.il7.Magazine.del.21 luglio.2017 e su ilgrandesalento.it

QuandoaglialboridelsecoloXIX,il13febbraio1806,ancheilregnodiNapolidivenne napoleonico e il re borbonico Ferdinando IV si rifugiò a Palermo sotto la protezione dellamarinainglese,ilnuovoreGiuseppeBonapartesoppresselafeudalitàesidedicò ariformarel’amministrazionedellostato,ammodernandolasulmodellofrancese.Con laleggenumero132dell’agosto1806,simodificòlaripartizioneterritorialedelregno, sopprimendo definitivamente ciò che ancora restava del sistema dei giustizierati, originalmente introdotti dallo svevo Federico II, e creando formalmente il tuttora vigenteistitutodellaprovincia.

La provincia era suddivisa in successivi livelli amministrativi gerarchicamente dipendenti dal precedente e al livello immediatamente successivo alla provincia seguivano i distretti che, a loro volta, erano suddivisi in circondari e questi ultimi comprendevano uno o più comuni, che costituivano l’unità di base della nuova struttura politico-amministrativa dello stato, ai quali potevano far capo gli eventuali villaggi,cheeranocentriminoriacarattereprevalentementerurale.

A capo della provincia c’era un intendente e nei capoluoghi del distretto c’era un sottintendente; quindi, nei comuni governava il sindaco. I sindaci venivano nominati dalministrodell’interno,odall’intendenteinquellimenopopolosi,ederanoaffiancati da due eletti e da un consiglio decurionale composto da un numero di membri variabile da minimo 10 a massimo 30 in funzione della popolazione del comune, i qualieranoeletti-successivamentetrattiasorteepoi,finalmente,sceltidalministro odall’intendente-all’internodilistedi‘eleggibili’confezionatesullabasedellarendita annuaedelleprofessioniliberali.

Il territorio continentale del regno risultò così suddiviso in 13 province e tra queste quella di Terra d’Otranto, che comprese un totale di 44 circondari, distribuiti tra i seguenti distretti: Lecce, che fungeva anche da capoluogo della provincia, Taranto e Mesagne, al quale apparteneva il circondario di Brindisi, oltre a quelli di Francavilla, Oria,SanVito,Campi,Salice,Ostuni,MartinaeCeglie:unaripartizioneamministrativa che perdurò durante sette anni, durante i quali Mesagne fu capoluogo di distretto e quindisededisottintendenza congiurisdizione amministrativa sututtoildistrettoe, pertanto,anchesuBrindisi.

Il primo intendente di Terra d’Otranto fu il conte Francesco Anguissola e il primo sottintendente del distretto di Mesagne fu il brindisino Mariano Monticelli. Mentre a BrindisierasindacoTeodoroVavotici,coadiuvatoda2elettiedaundecurionatodi10 membri.

Il castello Normanno Svevo di Mesagne

Anche se sulla decisione di scegliere Mesagne come capoluogo di distretto influirono certamente le pessime condizioni ambientali in cui - dopo il clamoroso fallimento dell’opera del Pigonati - versava nuovamente Brindisi, considerata città di ‘aere malsano’,moltoprobabilmentetalesceltarisposeallecontingentiesigenzemilitaridel momento, in vista dellaprecaria sicurezzache ilportodi Brindisi, molto piùesposto, potevaoffrireintempidiassestamentierovesciamentipoliticiancoramoltofluidi.In quegli inizi del secolo, infatti, con le truppe napoleoniche in Italia, ma con le flotte inglesi, russe e turche girovagando tutt’intorno, la situazione politico-militare nel regnodiNapoli,enelbassoAdriaticoinparticolare,eraabbastanzaconfusa.

Dopo la pace di Firenze del 1801 tra il re Ferdinando IV e Napoleone, le navi repubblicane francesi nel basso Adriatico, vi rimasero con la scusa di dover far rispettareleclausolemarittimediquellapace.Eancheselapace diAmiensdel1802 accordò che tutti territori del regno napoletano fossero liberati sia dalle truppe francesiesiadaquelleinglesierusseperpermettereallacorteborbonicadirientrare daPalermoaNapoli,nellaTerrad’Otranto,difatto,nonfupropriocosì.

A Mesagne infatti, dove nel castello normanno-svevo si era stabilmente insediato un importante battaglione francese, tutti quei soldati lo avrebbero dovuto sgomberare tra il 30 di aprile e il 5 di maggio dell’anno 1802, ma non lo fecero: tergiversarono e cominciaronoapartiresolomoltodopo,moltolentamente,apiùripreseesenzafarlo mai del tutto, fin quando, il 15 luglio 1803, l’esercito francese fece ufficialmente ritorno in Terra d’Otranto, a causa delle non meglio precisate “difficoltà sorte tra Francesi e Inglesi”. A Brindisi i soldati francesi mancarono solo dal maggio 1802 al luglio 1803 e a Lecce, capoluogo di Terra d’Otranto, nell’aprile del 1804, se ne contavanooltre3000.

Poi,il21aprile1813,ilreGioacchinoMurat,chenelmentreerasuccedutoaGiuseppe Bonaparte, per la provincia di Terra d’Otranto decretò la creazione di un quarto distretto, quello di Gallipoli, scorporando 14 circondari dal distretto di Lecce e al contempo riorganizzò quello di Mesagne, rinominandolo distretto di Brindisi, che da alloradivennecapoluogodidistrettoequindi,sededelcomandodibattaglioneedella sottintendenza, che il 15 maggio si trasferì dall’ex convento dei Celestini di Mesagne all’exconventodeiFrancescaniinSanPaoloaBrindisi.

Quel sistema amministrativo territoriale napoleonico, di fatto restò invariato anche dopo laparentesi decennale che, conclusa nel 1816, precedette la restaurazione ed il ritorno dei Borbone sul trono del regno, ri-denominato delle Due Sicilie. Brindisi, in quell’anno 1816, come capoluogo dell’omonimo distretto composto da 15 comuniCarovigno, Ceglie, Erchie, Francavilla, Guagnano, Latiano, Oria, Ostuni, Salice, Sandonaci, San Pancrazio, San Vito, Torre Santa Susanna, Veglie e Mesagne - contava 6114abitanti.

Finalmente,nelnuovoregnod’Italiadel1861, laprovinciadiTerrad’Otrantocambiò lasuadenominazioneaquelladi provinciadiLecce,dallaquale,nel1924enel1927, furonoscorporateereseindipendentileattualiprovincediTarantoeBrindisi.

Il canale d’ingresso al porto interno di Brindisi: Pigonati “NO” Monticelli “SI”

Pubblicato su Senza Colonne News del 3 novembre 2014

Ilriferimentoénaturalmenteall’intitolazionedelcanalecheaBrindisiseparailportointerno da quello esterno e che notoriamente si chiama Canale Pigonati in riconoscimento del fatto che nel 1778 fu l’ingegnere Andrea Pigonati a completare ilsuo “riaprimento” dopo secoli di disastrosoetragicoabbandono.Eppure,invece,sarebbegiustiziaintitolarloaMonticelli!

Ma perché “Pigonati NO” e “Monticelli SI”? Perché Andrea Pigonati fu l’ingegnere siciliano contrattato perrealizzare quell’opera di “riaprimento” che in effetti completò in tempi e con costi relativamente limitati, ma commettendo un imperdonabile errore di progettazione così grave che in pochissimi anni ne invalidò completamente il risultato. E perché Giovanni e Francescantonio Monticelli furono invece due illustri brindisini, familiari discendenti di quel luminare che fu Teodoro Monticelli, che lottando contro la potente e spregiudicata lobby gallipolina, tra il 1831 e il 1834 si prodigarono disinteressatamente riuscendo a scongiurare perBrindisilamorteormaigiàdecretata,convincendoilreFerdinandoIIanondesisteredal recuperarneilporto,realqualevaquindiecomunqueilmeritodiessersifattoconvincere.

Ciópremesso,pertutticoloroiqualinehannounqualche interesseeunpo’di voglia,quidi seguitoriassumoilraccontodall’inizio,procedendoquindiinordinecronologico:

Dopo lasua gloriosae prolungata stagione della Roma repubblicana,il porto di Brindisisubì un enorme disastro ambientale, inizialmente a causa dei residui delle palafitte fatte piantare all´entrata del porto interno nel 49 aC da Giulio Cesare durante la guerra civile per, vanamente, tentar di impedire la fuga di Pompeo, e successivamente, e con effetti ancor più devastanti,acausadelleduetartanezavorratecheilprincipediTaranto,GiovanniAntoniodel Balzo Orsini, nel 1449 fece affondare nello stesso luogo, verosimilmente perimpedire che la cittàcadessepredadellaflottaveneziana.Poi,neglianniseguenti,lesabbieeilimiprovenienti dalle paludi circostanti con quelle che le maree portavano dal porto esterno all’interno, le alghe che si moltiplicavano nelle acque poco mobili, e finalmente i residuisolidi d´ogni sorta che liberamente scolavano dalla città stessa, finirono per ostruire quasi del tutto quel passaggio, isolandoil porto interno da quello esterno e trasformando il primo in una palude salmastraconconseguenzecatastroficheperlacittàeisuoiabitanti.

Anche se da subito, fin dai primi anni del XVI secolo quando la corona spagnola istituì nel regno di Napoli un vicereame, si riconobbe la gravità della situazione e nel parlamento si convenne in più occasioni che era indispensabile e inderogabile risolvere il problema del restaurodelportodiBrindisi,persecolituttorestòindiscorsieinbuoneintenzionimentrela città, via via più abbandonata a se stessa e decimata dalla malaria, continuava a languire avviandosilentamentemainesorabilmenteversounadefinitivainevitabilescomparsa.

Dopo la ventennale parentesi austriaca, nel 1734 il regno di Napoli ritornò sotto la dominazione spagnola, ma questa volta dei Borbone e, novità non da poco, con il rango di regnoindipendenteeconunretuttoproprio:CarloBorbone,figliodelrediSpagnaFilippoV, alqualenel1759successealtronoilsuoterzofiglio,FerdinandoIV,chenel1768sposòMaria Carolina,figliadell´imperatored´AustriaFrancescoIeche,purnonessendostatoungranreal confronto con suo padre Carlo, ebbe l´enorme merito di aver soccorso e di fatto salvato momentaneamenteBrindisi,preoccupandosieimpegnandosial“riaprimento”delsuoporto. Nel1775infatti,FerdinandoIVinviòaBrindisidueingegneri,ipiùrinomatidelregnoperle opereidrauliche,conilcompitodideterminareiprovvedimentinecessarialrisanamentodel portoedellacittàintera:VitoCaravelli,professoredimatematica,eAndreaPigonati,tenente colonnello del genio. I due ingegnerifecerostudi ecompilaronoi progettiche sottoposero al re:leloropropostefuronoapprovateeritornaronoaBrindisiperattuarequantoprogettato.

Andrea Pigonati – 1789 Philippe Hacker – 1789

Nell’anno1776,quandoAndreaPigonatidetteprincipioailavoridiriaperturadelcanaleche comunicavailportoesternoconquellointerno,lepaludialcentrodelpassaggioneimomenti dialtamareasiricoprivanocon25centimetrid’acqua,mentreneimomentidibassamareale acquescomparivano del tutto e le secche rimanevano scoperte fino a 50 centimetri inalcuni punti.Astento,esolamentenellealtemaree,sipotevapassareperilcanaleconunabarchetta, eilportointernoeraunlagostagnantedovepotevanonavigaresololebarchetteeilontri.

I lavori iniziarono il 4 marzo e il 28 approdò nel porto una polacca proveniente da Napoli, caricadivariattrezzielegnamidestinatiall’opera.Ilavoriavanzaronotravariedifficoltà,non ultima quella dell’insufficienza e dell’impreparazione della mano d’opera locale, per cui si dovette ricorrere anche ai lavoratori forzati: nell’aprile del 1777 giunsero a Brindisi i regi sciabecchiconcentoforzatieil26dicembrenegiunseroaltriduecento.

A causa della poca disponibilità di grosse pietre necessarie all’esecuzione del progetto, Pigonati pensò bene di poter utilizzare i ruderi di vecchie costruzioni, e così dispose la demolizionedialcunevecchiecasesiteinprossimitàdiPortaRealeedeiblocchiresiduidella stessa, e impiegò anche le pietre estratte dalla superstite torretta angioina che era stata fabbricataperl’operazionedellacatenadichiusuradelcanale.

Nell’aprile del 1778 il pilota brindisino Francesco Alló, poté per primo entrare fino in vicinanza della Porta Reale con un bastimento carico, e poté ripartire ricarico d’olio: la larghezzadelcanaleeragiàstataampliataelaprofonditàavevaraggiunto5,20metri.Eil26 giugno di quello stesso anno, entrò felicemente nel porto interno il bastimento olandese GiovineAdrianaconunaportatadiben3740ettolitridigrano.

Pigonaticonsegnòl’operacompiutail30dicembre1778,a2anni9mesie22giornidall’inizio lavori: l’ostruzione che aveva isolato porto e città tutta durante secoli, era stata finalmente rimossa. Alla consegna dell’opera, il canale, con la bocca rivolta a greco-levante, era lungo 1861 palmi compresi i moli e le scogliere, era profondo 18 palmi e largo 183 palmi verso la rada e 162 palmi allo sbocco nel porto interno. Le sponde del canale furono rivestite di banchinemurariechefuronoprolungateconduepennellisporgentinelportoesterno.

Poco dopo però, il canale cominciò a riempirsi, le paludi nel porto interno iniziarono a rinnovarsi e la malaria fece ritorno: Pigonati, agendo con buona dose d’ignoranza nonché di arroganza,avevacommessoilgrossolanoerrorediorientarel’imboccaturadelcanaleagrecolevanteequelgraveerrored’ingegneriafinìpervanificarel’ingentesforzo.Dopopochiannie variimprobabilitentatividirimediareaquell’errore,ilportodiBrindisieradinuovoperduto epreclusoaigranditrafficinavali,el’interacittàeraripiombatanellasuatristecriticità.

Nel 1789 lo svizzero Carl Ulysses von Salis visitò Brindisi e scrisse: «...A misura che ci avvicinavamoallacittàsipresentavanoregionidimiseriaedidesolazione,chefapenavedere lìincoltaunacampagnabenedettadalsuolofertileedalclimapiùpropizio.Larghestradecon caserovinate,cortiliricopertidierbe,miserabilituguriappoggiatiavecchiemura.Pochesono lecaseabitateelepersonechevidimoranosonogiornalmenteesposteai lentimainevitabili effetti dellafebbremalarica. L’abbandono totale incuiè stato lasciatoil porto, ha dato vita a paludiestesissimechecircondanolacittàeriempionol’ariadiesalazionipestilenziali,percui nonesistepiùunvoltoroseoinBrindisi.Lafebbremalaricaregnadurantetuttol’annoesono pochiquellichetiranoinnanzilaloromiserabilevitasinoall’etàdisessant’anni...».

E l’illustre viaggiatore non esitò a entrare in aperta polemica con Pigonati ribattendogli, tra altro,ancheunadelletanteasseverazioniche,dimostrandomoltapocabenevolenzaversogli abitantidiBrindisi,egliavevascrittonellasua“Memoria del riaprimento del porto di Brindisi” pubblicatanel1781.CarlUlyssesvonSalisdisse:«Maconqualegiustiziasipuòrimproverare ai brindisini la loro indolenza, perché lavorano solo quattro ore al giorno e passano il

rimanente della giornata nelle taverne, cercando di affogare nel vino la loro miseria?». E poi aggiunse: «I lavori di alcuni anni addietro vennero così mal eseguiti dall`ingegner Pigonati, forse per ignoranza o altra ragione, che la città è tuttora così miserabile e insalubrecom’era prima della sua venuta. Sebbene siano appena passati soli undici anni dacché l’opera di Pigonatièstatacompiuta,giàilcanaleènuovamentebloccatodallealgheedallarena...».

Nel1797fulavoltadelfranceseAntoineLaurentCastellan,visitòBrindisiescrisse:«...Lacittà é povera, non ci sono quasi affatto botteghe e le poche non hanno che gli articoli di prima necessità.Lemalattiehannospopolatointerestrade,ilpopolosinutrepocoemaleestuolidi mendicantipremonoalleportedichieseeconventidovesidistribuisceminestra.Lamaggior parte dei bambini non raggiunge la pubertà e gli altri, pallidi e senza forza, trascinano un’esistenzatristeedolorosachefiniscespessoconspaventosemalattie...».

Nel1829unaltrofamososvizzero,CharlesDidier,visitòBrindisi:«...Decimatadallamalaria,la popolazionediBrindisièscesadacinquantamilaabitantiaseimila:trail1827eil1829,nella desolata città le nascite sono state 1117 a fronte di 2323 morti. Brindisi é pochissimo civilizzata e poco industrializzata e le campagne dei dintorni sono vere steppe deserte e spesso paludose, dove si può camminare ungiorno intero senza incontrare un viso umano e senzatrovareunalberosottocuiripararsidalsole...».

Allafinedel1830,morìilreFrancescoI,figliodiFerdinandoIVchedopoladefinitivasconfitta deifrancesidiNapoleoneeratornatosultronodiNapoliconilnuovotitolodireFerdinandoI delleDueSicilie.EaFrancescoIglisuccesseilfiglio,giovanissimo,FerdinandoII.

Giovanni Monticelli, appartenente a quella nobile e antica famiglia brindisina abitante nel rione Sciabiche, avuto sentore di manovre di palazzo tendenti a distogliere il re di Napoli Ferdinando II Borbone dal promuovere lavori di risanamento del porto di Brindisi a favore della costruzione di un novello porto in Gallipoli, si mobilitò in prima persona recandosi più volte a Napoli e finalmente, nel 1831, scrisse per il re ben 51 pagine di una sua prima relazioneintitolata“Difesa della città e porti di Brindisi”.

In quella relazione, Monticelli denuncia la risoluzione del Consiglio Provinciale di Lecce e le tantemanovreinatto,quellepalesiequelleocculte,tendentiaconvincerel’amministrazione pubblica statale ad autorizzare il finanziamento, con i fondi destinati alla Provincia di Lecce, dellacostruzionediunnuovoportoaGallipoli,giustificandolatecnicamenteeappoggiandone larichiestainbaseaunsuppostoeconomicamenteimportantepotenzialedicommerciod’olio. Ma soprattutto denuncia, quale obiettivo segreto e inconfessabile di quelle manovre, la volontà di screditare ogni progetto di recupero del porto di Brindisi, basando il tutto su una serie di mezze verità e di aperte menzogne, tutte utilizzate per mascherare null’altro che meschiniinteressieconomiciemiserrimicampanilismiafavorediGallipoliecontroBrindisi

Monticelli in maniera appassionata si dirige al re facendo appello sia ad argomentazioni di tipo storico e sia ad argomentazioni di tipo economico, nonché trattando con grande competenzaancheitemipiùstrettamentetecnici,siaquellirelativiall’insuperabilequalitàdel portodiBrindisiesiaquelli relativiallanefandezzadelpropostoportodiGallipoli.Spiegain dettaglio Monticelli, sia il grave errore idraulico del Pigonati e sia l’inconsistenza tecnica concettualeinsitaallabasedelprogettodelfamigeratonuovoportodiGallipoli.

Ecitaquanto“ilbuonFerdinandoI,amatissimononnodelre”avevarisolutamentefattoperil portodiBrindisi,inquantoassolutamenteconvintodellasuaimportanzastrategicaedelsuo potenziale economico, non solo promuovendo la sfortunata opera del Pigonati, ma impegnandosi in imporre la pur dispendiosa manutenzione del porto necessaria per il suo funzionamento,finoalnefastoabbandonodellastessaall’arrivodegliinvasorinapoleonici.

E si dilunga inoltre Monticelli in dimostrare l’infondatezza delle scellerate e interessate opinioni secondo le quali l’aria malsana di Brindisi fosse un qualcosa d’intrinseco alla città, indipendente cioè dalla problematica dell’ostruzione delle acque del porto interno e fosse pertantounqualcosad’irrimediabileecostituissequindi,unaragionepersésufficienteanon investiredenarisuquelladisgraziatacittà.

E finalmente, accingendosi a concludere, scrive: «...La città di Brindisi non invidia a Gallipoli un porto, né si oppone alla costruzione di esso, ma reclama la giustizia del governo e del Sovrano a suo favore. Abbia Gallipoli il suo porto, ma l’abbia a sue spese; ricca e prosperosa come l’è ben potrebbe soffrirne il peso. La giustizia non solo deve sedere né tribunali, ma benanchenelleamministrazionipubbliche».

Nei suoi frequenti viaggi a Napoli, Monticelli volle in più occasioni incontrare l’illustrissimo suo concittadino Benedetto Marzolla, un prestigioso ufficiale che in quegli anni rivestiva l’importante carica di procuratore della città di Brindisi, il quale ben volentieri abbracciò la nobile causa, tanto da accettare di contribuire direttamente alla stesura di una seconda edizionedellarelazionediMonticelli,chefucompletatainquellostesso1831.Larelazionefu consegnatail5AgostoaGiuseppeCevaGrimaldi,ministrodistatopergliaffariinterni,econil titolo “Difesa della città e del porto di Brindisi - seconda edizione aumentata e corretta” fu pubblicataconben120paginenel1832.

Cosìcomesipuòleggerenellaletteracheaccompagnòlaconsegnadellarelazione,sivollefare appello alla colta sensibilità del ministro e alla fortunata circostanza che egli avesse conosciutodipersonasiaBrindisieilsuoportoesiaGallipoli.IlmarchesediPietracatella,il ministro appunto, era infatti stato amministratore della Provincia di Lecce e autore del libro “Itinerario da Napoli a Lecce e nella Provincia di Terra d’Otranto nell’anno 1818” in cui, nel capitolodedicatoaBrindisi,trasparelasuaammirazioneperilsuogloriosoefantasticoporto. In questa seconda relazione corretta e aumentata, si aggiungono nuove e più dettagliate considerazioni relative a tutte le problematiche del raffronto tra i vantaggi di restaurare il pieno funzionamento del porto naturale di Brindisi e gli svantaggi, soprattutto tecnici, ma ancheeconomicistrategicimilitariepolitici,dicostruireinsuaveceunnuovoportodeltutto artificialeaGallipoli.SisegnalailparerefavorevoleaBrindisidelDirettoredipontiestrade,e si attacca il parere favorevole a Gallipoli di Giuliano De Fazio, Ispettore generale di ponti e strade, autore nel 1828 di un saggio intitolato “Intorno al miglior sistema di costruzione dei porti”incuiesaltalacostruzionediportiartificialiadarchi,dettiancheamolitraforati,come quelloappuntochesieraprogettatoperGallipoli.

De Fazio, per contrastare e sconfessare l’azione e lo scritto di Monticelli, nel dicembre del 1833 ne scrisse anche lui uno di 20 pagine, intitolandolo “Osservazioni sul ristabilimento del porto e sulla bonificazione dell’area di Brindisi”.

In quanto alla possibilità di realizzare lavori di restaurazione del canale, Fazio la liquida affermando che affinché gli stessi potessero funzionare bisognerebbe con essi portare la situazioneaquellaprecedentealleazionidiCesare,cosacheperòsarebbetecnicamentequasi impossibile e che comunque costerebbe un immenso patrimonio. Quindi, passa a trattare dell’ariadiBrindisi,aspettosulqualeincentralasuaenfaticaposizionecontrariaalrestauro.

L´insalubritàdelclimadiBrindisi,secondolatesidiDeFazio,erasoloinminorpartedovutaal ristagnaredelleacquedelportointerno,conseguenzaasuavoltadell´ostruzione,mentreera principalmente dovuta «...alla gravezza della smodata instabilità dell’incostante atmosfera della città, o sia il repentino passaggio dal caldo al freddo, cagione questa che pare che non possa essere cessata mai; dappoichè se questa superstite porzione di aria malsana abbia tal forzadanuocereallavita,percertosaràoperavanailristabilimentodelporto...».

E abbondano nello scritto di De Fazio le notizie storiche non dette e quelle palesemente manipolateetergiversate,cosìcomeabbondanolecitazionidisuppostiesperti,naturalmente anche stranieri, a sostegno di quella sua tesi scapigliata. E poi, a contorno, quanta ipocrisia: «Perverità,chiunquemiriallanaturalebellezzadiquestoportoéindottoavolerlorinnovato einessere,maseperpocorivolgainmenteleaccennatedifficoltà,einonsapràaqualpartito appigliarsi,eforsemuteràpropositoesirimarràdall’impresa...».

Ed eccoentrareincampoFrancescantonioMonticelli asostegno dellacausadell’anziano suo zio Giovanni. Francescantonio, barone e deputatogratuito della città di Brindisi, elaborò una “Terza memoria in difesa della città e de’ porti di Brindisi” seguita da un ”Esame critico delle Osservazioni sul ristabilimento del porto e sulla bonificazione dell’aria di Brindisi date in luce dal sig. De Fazio”,duedocumentichefuronopubblicatinel1833enel1834,rispettivamente.

Nellamemoria indifesadella città e del suo porto, undocumento di 70 pagine, appellandosi allaConsultadiStatoealRe,Monticellifaun´appassionatafrontaleedocumentatissimacritica a un progetto di intervento limitato e tecnicamente sbagliato che per il porto di Brindisi si stava proponendo attuare a mo’di palliativo, eche a suo avviso solamente sarebbeservito a superare una congiuntura politica e a finalmente dimostrare, con il suo scontato fallimento, l´impossibilità stessa di poter recuperare il porto. E perorando al contempo, e sulla base di unaprecisadocumentazione,larealizzazionedelprogetto,giàdettagliatamenteconcepito,di uninterventointegraleetecnicamenteaccertatocheinvece,egiustamente,prevedevailtotale abbandonodelloschemaconcettualmenteerroneorealizzatodalPigonati.

E nell’esame critico delle osservazioni date in luce da De Fazio, in una sessantina di pagine Monticelliconfutarisolutamenteognunadiquelleosservazioni,siaquellerelativealrecupero delportoesiaquellerelativealtemadell’ariamalsana.Dimostraconcalcolienumeri,chela stima del volume dei lavori da eseguire per restaurare completamente il canale avanzatadal De Fazio (300mila canne di terra da dragare) era assolutamente infondata e volutamente esagerata, giacché la realtà tecnica la collocava oggettivamente sull’ordine di solo un sesto a un terzo di quell’enorme quantità. Quindi commenta profusamente come i lavori di un recuperointegraledelportopossanoesseretecnicamentebenrealizzati,edacosticontenuti.

Poi, in relazione alla questione della malsana aria di Brindisi, nella seconda parte del suo esame critico Monticelli si dilunga nel confutare tutte le asseverazioni di De Fazio, denunciandone per molte di esse l’inesattezza o la malintenzionata falsità, nonché ricolidizzandoneun’altrabuonaparte.Inrealtànonfaticatropponell’argomentarel’assurdità delle tesi di De Fazio, basandosi a volte sul solo buonsenso e, quando necessario, semplicementericorrendoallaplurimillenariastoriadiBrindisi.

Finalmente, il re Ferdinando II, per sua lungimiranza, per merito dei due Monticelli, e per nostrafortuna,nonabboccòallemanovredeilobbistigallipolini.Nonsolo:intuitalamalafede eiltentativod’inganno,s’incavolòtantochedefenestròilDeFaziodalgoverno. Nel 1834 il re nominò una commissione per la compilazione di un progetto definitivo di rilancio del porto di Brindisi e questa, dopo due anni, glielo presentò. Nonostante l’ingente spesaprevistailavorifuronoappoggiatidalsovrano,ilqualenominòasopraintenderel’opera unodeicomponentilacommissione,ilcolonnellodelgenioAlbinoMayo,esirecòaBrindisidi persona per dimostrare l’avallo sovrano al grande progetto. Purtroppo, però i lavori non partironoconilversogiustoedopobenottoanni,funecessarioemanareunospecificoreale decreto per dare nuovo impulso al progetto e la costruzione dell’opera ebbe finalmente formale principio nel 1843 «...coll’abbassamento dell’isola angioina, coll’apertura del canale borbonico, abbattendo le vecchie banchine che vi faceano argine, e portando le acque alla stessarefluenzaprimierasullespiaggiatedeigiardini...».

Nel 1845 il re Ferdinando II venne a Brindisi per verificare i lavori di bonifica e perché vi erano «interessi sovrani per il porto alla vigilia dell’apertura del canale di Suez». Vi tornò ancoraperlostessomotivonel1846enuovamenteil26maggio1847.

E proprio in quel 1847 si completò la modifica dell’orientamento del canale che, così rivolto verso tramontana, risolse il problema del periodico insabbiamento e della conseguente ostruzione.Poi,conl’iniziodel1848,ilavorifuronosospesiaseguitodelprecipitaredeifatti politici e militari di quell’anno. Furono ripresi solamente nel 1854 e il 17 gennaio 1856 si svolseunapomposacerimoniad’inaugurazionedellenuove-peròparziali-operedelporto

Il28dicembre1860,nelpienodeifermentilegatiall’avvenutaannessionedelregnodelleDue Sicilie al regno di Sardegna, poi regno d’Italia, il nuovo governatore della provincia di Terra d’Otranto bandì il concorso d’appalto di una nuova serie di lavori già programmati per il porto:lacostruzioned`unapartedellabanchinanelsenodiponente.Enonsitrattavaancora deltotalecompletamentodell’impresa,laqualedifattosiprotrasseperulteriorivaridecenni, traleventuroseetragichevicissitudinisocialipoliticheemilitarichesisuccedetterofinanche addentratoilnuovosecolo.

Purtroppo, però, e nonostante quell’indubbio successo della definitiva riapertura del canale allanavigazione,levicissitudinidelnostroportoeranodestinateaperduraretra“altiebassi” fino a giungere ai nostri giorni e senza che s’intraveda ancora una luce chiara alla fine del tunnel:éildestinodiBrindisi,indissolubilmentelegatoaquellodelsuoceleberrimoporto. Quel - comunque - grandissimo successo, e senza alone di dubbio alcuno, lo si deve innanzituttoaiMonticelli,aGiovannieaFrancescantonio.NoncertoaPigonati!

gianfrancoperri@gmail.com 3 Novembre 2014

Lo storico e glorioso idroscalo di Brindisi

Pubblicato su.Brindisiweb.it 1915 e, parzialmente, su Senzacolonne e ocean4future.org

Probabilmente molti giovani brindisini d’oggi non sanno che l'aeroporto di Brindisi, recentemente denominato “Del Grande Salento” ed in origine intitolato al comandante di aeromobilecivileAntonioPapoladecedutoil13febbraiodel1938inunincidentedivolo,ha avuto un glorioso antenato e capostipite che tra pochissimo commemorará il suo primo centenariodellanascita.

Le piú lontane origini dell'aeroporto di Brindisi, che furono di caracttere militare e che risalgonoaglialboridellastessaaviazioneitaliana,coincidonoinfatticonglianniinizialidella Prima guerra mondiale, quando nel basso Adriatico si scontravano acerbamente le flotte dell'Intesadicuifacevapartel’Italia,controquelleaustro-tedesche.Ilsuoprimissimonucleo fu una stazione provvisoria per idrovolanti creata, con lo scoppio della guerra e poco prima dell’entratainguerradell’Italia,periniziativadellaRegiaMarinaMilitare:unacircolaredella Regia Marina, la N° 25260 del 6 dicembre 1914, stabiliva la creazione di tre stazioni per idrovolanti, a Venezia Pesaro e Brindisi, per contrastare l’aeronautica austriaca che stava imperversavanosull’Adriatico.DellaventinadiapparecchideiqualidisponevaalloralaRegia Marina,aBrindisifuronoassegnati3idrovolantiCurtiss.Eranoapparecchidilegnoetela,ea Brindisi furono inizialmente depositati sulla nave Elba e successivamente sulla nave Europa, in attesa che si completasse la costruzione di un apposito hangar in un’area al confine tra le duezonecostieredenominate”Posillipo”e“CostaGuacina”sullatoovestdell’avanporto.

Costa Guacina, tra Posillipo e Fontanelle, prima dei lavori di sterro che daranno spazio all’area dell’idroscalo

Nel 1916, per meglio contrastare l’aviazione austriaca di base a Durazzo, la stazione fu potenziata divenendo stabile e più efficiente: era cosí nato l'Idroscalo Militare di Brindisi. Il complessosorgevainlocalitàCostaGuacina,appenafuoridalportointerno,uscendodalporto sullatosinistrodelcanalePigonati,suun’areacostieracompresatrailcanaleeFontanelle,da sempre punto di attracco di navigli imbarcazioni e battelli vari in quanto riparata dalle correnti marine, e per questo difesa dalla piazzaforte navale. Furono anche necessari impegnativi lavori di sterro per portare sul livello del mare tutta l’area della costa che in originefutopograficamentesopraelevata.

Planimetria di Costa Guacina - Dicembre 1916

Quelbellissimospecchiod’acqua,dallecondizioninaturaliinvidiabili,fulapistadallaqualefin dal1914silevavanoinvologliidrovolantidellasquadrigliaguidatadaOrazioPierozzi,eroico aviatoredecedutoinvolodiaddestramenteonel1919dopoaverguidatoinnumerevoliazioni di guerra vittoriose. Soprannominato l’asso del mare, a lui dopo la sua tragica morte fu intitolatol’idroscalo.Cosícomedurantegliannidellagrandeguerrasilevavanoinvololealtre due squadriglie di base all’idroscalo di Brindisi, guidate da altri due formidabili aviatori, Umberto Maddalena e Francesco De Pinedo, piloti militari che divennero celebri per le loro impreseaviatorie,anchelorodecedutiinvolo,nel1931enel1933rispettivamente.

Orazio Pierozzi Umberto Maddalena Francesco De Pinedo 1918: Orazio Pierozzi col suo Macchi 55 Maddalena (primoasinistra) e De Pinedo (terzo) La squadriglia di M55 di Umberto Maddalena, uno dei piloti italiani piú decorati - Giugno 1918 Aereo austriaco Hansa Brandemburg W 13 catturato a Brindisi - June 1918 (fotoLaValigiadelleIndie)

Nel corso del 1916 furono costruite le aereorimesse per gli idrovolanti da bombardamento progettatidall’ingegnereLuigiBresciani.Unincidentedivoloinfasedisperimentazionecausó la morte del progettista e la distruzione del prototipo e il progetto fu abbandonato, peró il nomeBrescianirimaseai6hangars.AdiacentieanorddeglihangarsBresciani,sicostruirono anche3enormihangarsperdirigibiliiqualiperófuronoprestodismessietrasferitiaSanVito dei Normanni, per ragioni di sicurezza. Gli hangars Bresciani invece, con muratura di tufi e cementoeconcoperturaabotteconsestoribassatoinsolaiolatero-cementizio,sonoancora oggiinsitueutilizzatidall’ONU.

Finita la grande guerra, nel 1919 il governo italiano propose alla Grecia la creazione di un serviziodipostaaereatraRomaedAteneconscaloaBrindisi,peróconunpensierochiaroe lungimirante giá rivolto ai possibili sviluppi futuri dell’aeronautica commerciale. Fu proprio un raid effettuato tra il 9 e il 12 settembre di quello stesso anno da Francesco De Pinedo, comandante della stazione di idrovolanti di Brindisi, e conclusosi positivamente con un percorsoaereotraBrindisiedAteneinsolecinqueore,arenderepiùconcretaquell’idea.Quel raid doveva infatti rivelarsi essere stato una mossa propagandistica di notevole spessore, tanto che per l’occasione il governo greco inviò alle autorità italiane una lettera di congratulazioniperl’efficaciadegliidrovolantidibaseaBrindisi.

Conregiodecretodel28marzo1923fufondatalaRegiaAeronauticaMilitarechealmomento dellasuanascitaricevetteinconsegnadaEsercitoeMarinatuttiicampiaeronauticiterrestrie gli idroscali allora esistenti: a Brindisi prese possesso del campo terrestre di San Vito dei Normanni che era sorto nel 1918 a circa 9 kilometri dalla città sulla strada per San Vito dei Normanni con l’adiacente, tra i vigneti di contrada Marmorelle, campo dirigibili e quindi, presepossessoanchedell’idroscaloOrazioPierozzi.

Cosínellostesso1923toccóallafiammanteRegiaAeronauticaMilitareavviarelacostruzione dell’Idroscalo Civile di Brindisi che, affiancando quello militare, fu completato nel 1925 perfezionando cosí un grande sistema di trasporti e collegamenti all’importantissimo e strategicoportodiBrindisi,checonilsub-sistematreno-navedellaValigiadelleIndieeragià funzionantefindalsecoloprecedente.

Hangars Bresciani quasi completati e primo hangar dirigibili in costruzione - 1916

Parallelamente,vennerocostituiteleprimeaerolineeprivateitaliane:lasocietáServiziAerei SISAnel1921,laSocietáAnonimaNavigazioneAereaSANAnel1925,lasocietáTransadriatica nel 1926 e la piú famosa Aero Espresso Italiana AEI che, fondata il 12 dicembre 1923, il 7 maggio1924stipulóconl’AeronauticaMilitareunaconvenzioneperl’impiantoel’eserciziodi una linea commerciale tra Italia Grecia e Turchia, via Brindisi. Era cosí nata la prima linea aerea internazionale italiana e il 1° Agosto del 1926 dall’idroscalo di Brindisi partì il primo volo commerciale internazionale di linea italiano, che aprì al traffico la linea Brindisi-AteneCostantinopoliconidrovolantiMacchiM24.Nel1927fuaggiuntalalineaBrindisi-Atene-Rodi elaSISAinauguròlaBrindisi-Durazzo-Zara.Nel1928un’altraimportantecompagnia,laSAM SocietàAereaMediterranea,avviòlaBrindisi-ValonaconidrovolantiSavoiaPomilioS59.

Brindisi - Atene - Costantinopoli dell´ Aero Espresso Italiana: dal 1926 al 1934 L’Idroscalo civile dell’Aereo Espresso Italiana a Brindisi - 1927
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Piano dell’Idroscalo militare e civvile di Brindisi: Regia Aeronautica e Aero Espresso Italiana – 1927

Sul fronte militare, neglianni Venti Brindisi divenne sede dell’86° GruppoIdrovolanti dotato dinumerosiapparecchiMacchiM24epoiSiaiMarchettiS55esorsecosílanecessitádinuovi hangars la cui costruzione, stabilita a nord degli hangars Bresciani, fu commissionata alla Societá Officine Savigliano di Torino. I 4 hangars Savigliano, ognuno a pianta rettangolare di circa 54 x 60 metri, furono completati intorno al 1930: ossatura reticolare metallica a una campata e rivestimenti inlamiere ondulate zincate, cupolino centrale di aereazione a doppia faldainmaterialepolicarbonato.Ognunodeiquattroaccessiversolabanchinahaun’apertura dicirca51metriconpiúdi12metridialtezza.L’ottimastrutturametallica,nonostantelasua vicinanzaalmareèrimastapressochéintattaedéancorafunzionaleainostrigiorni:unodegli hangarségestitodall’ONUeneglialtritreoperalasocietáAleniaAeronavali

Si trattava di un idroscalo d’avanguardia con infrastrutture e servizi di grande qualitá, per esempioerailsoloalmondoadesseredotatodiuncarrellodialaggiosurotaiecheconsentiva un comodo imbarco a terra di passeggeri, merci e posta. Alcuni resti di quelle rotaie si possonoancorariconosceresulterrenoatutt’oggi

Hangars Savigliano e pontoni aerei dell’Idroscalo di Brindisi - 1931 Rampe di scivoli all’Idroscalo di Brindisi - 1934

L’idroscalo con la sua sezione militare e con quella civile, grazie alla posizione strategica di Brindisi, aveva funzionato a pieno ritmo per tutti gli anni Venti, con un vasto impiego di idrovolanti in molte delle nuove correnti di traffici commerciali e militari del Mediterraneo. Invece, per diversi anni gli aerei militari e civili si erano continuati a servire del campo terrestre di San Vito fino a quando l’amministrazione provinciale di Brindisi decretó la costruzione di un nuovo aeroporto, procedendo all’esproprio ed acquisto dei terreni agricoli sitiallespalledell’idroscalo,approntandonel1931ilpianoregolatoredelnuovoaeroportoe iniziandoilavoridicostruzioneallafinedellostessoanno1931.

Il campo entrò in funzione nel 1933, inaugurato da Benito Mussolini il 30 di luglio, e l’aerostazionefucompletatanel1937,conpistadilancioorientataanord,inizialmentedi50 metrix600metriesuccessivamenteportataa850metridilunghezza.

A seguito della politica del regime, voluta dal ministro dell’Aeronautica Italo Balbo, tutte le societáaereefuronoviavialiquidateoaccorpatefinoalla formazionediun’unicacompagnia dibandiera,l’AlaLittoria,allaqualefinalmentepassóancheAEInell’ottobredel1934, quando il 28 di quel mese la compagnia SAM dopo aver assorbito la quasi totalitá dei servizi aerei italiani era ufficialmente divenuta “Ala Littoria S.A.” aggiungendo il fascio littorio alla rondinellaazzurradelsimboloSAMchesuavoltaerastatoereditatodallaTransadriatica.

Nell’aeroportodiBrindisil’AlaLittoriagestiva,traaltre,lelineeBrindisi-Rodi;Brindisi-RomaTrieste; Roma-Brindisi-Tirana-Salonicco; Brindisi-Atena-Rodi-Haifa; Roma-Brindisi-Bagdad; Brindisi-Durazzo-Lagosta-Zara-Lussino-Pola-Trieste.

Aerostazione di Brindisi Linee aeree SAM Societá Aerea Mediterranea, poi Ala Littoria - 1934

L’idroscalo militare era stato intitolato a Orazio Pierozzi, comandante della Squadra Idrovolanti di Brindisi durante la Prima guerra mondiale, e con la stessa denominazione venne inizialmente indicato anche il nuovo aeroporto, che era militare e civile allo stesso tempo. Poi nel 1938 l’aeroporto civile ebbe la sua intitolazione ad Antonio Papola, mentre il militareconservaatutt’oggil’intitolazioneoriginaleaOrazioPierozzi.Il15marzodel1937si formó sull’aereoporto militare di Brindisi il 35° Stormo con aerei SM.55 e l’anno seguente 1938,siformaronoiGruppi95°e86°conaereiidrovolantiCANTZ.506.

Trimotore Savoia Marchetti S.73 dell’Ala Littoria sulla linea Roma-Brindisi - 1937 Idrovolanti SM.55 del 35° Stormo schierati di fronte agli hangars Savigliano - 1937 1938 Ala Littoria Un idrovolante S66 della rotta per Haifa e Rodi Hangar Savigliano: Bimotore Breda 44 dell’Ala Littoria sulla linea Roma-Brindisi-Tirana Salonicco - 1938

ConlaSecondaguerramondialefurealizzatadaitedeschiunanuovapistadi1500metriesi intensificól’attivitámilitareascapitodiquellacivile,finoaquandoquestasiesaurí deltutto nel settembre del '43 con l’ultimo idrovolante civile di linea che decolló il 9 settembre alla voltadiAncona.L’attivitácivilefuinfattisospesatotalmentegiáchel’aeroportodivennebase dei reparti aerei alleati di occupazione, sotto comando inglese, e nel 1944 gli alleati costruironounaterzapistadi1800metri,interrastabilizzataconl’oliobruciatodegliaerei.

Idrovolanti CANT Z.506 dei Gruppi 95°& 86° schierati sull’Idroscalo di Brindisi - 1938 CANT z 506: sullo sfondo il Collegio Navale il Monumento al Marinaio le navi scuola Vespucci e Colombo - 1943

USAAF intelligence aerodrome chart of Brindisi Camp showing the position of the seaplane base - 1943 Dopo la Seconda guerra mondiale, l’attività civile dell’aeroporto di Brindisi riprese con regolaritá nel maggio del 1947 con la nuova compagnia di bandiera Alitalia e si ripristinó la lineaRoma-BrindisiallaqualesiaffiancólalineaBrindisi-Catania.

Mal’epocagloriosadelleidrolineedaeperl’idroscalodiBrindisieraormaifinitapersempre: quell’epopea dell’aviazione civile italiana e brindisina in particolare, durata all’incirca una ventinadianni,sieradefinitivamenteconclusa.

Gliidrovolantimilitariinvececontinuaronoascivolaresullospecchiodelportomedioperun po ’dianniancora,finoatuttiglianni’60,emoltidinoimenogiovaniceliricordiamoancora identificandoli chiaramente sull’orizzonte dalle rive delle nostre spiagge interne al porto (Sant’Apollinare - Fiume piccolo - Fiume grande - Marimisti e Fontanelle), con il loro coinvolgenterullareeconleloresagomeunpo ’goffedalleestremitáarancionefosforescente, finoafarsisemprepiúradiprimadisvanireanch’essinellepieghedellastoriadellacittáedel suoporto:benpiúdicinquant’annidistoriabrindisina.

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Anche l’attivitá militare riprese finalmente autonoma dall’occupazione militare dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1947 a Brindisi fu destinato l’83° Gruppo Soccorso Aereo con idrovolanti CANT Z 506 sostituiti a partire dal 1958 con idrovolanti HU 16 A-Albatross Poi, conl’entratanel1949dell’ItalianellaNATO,arrivaronoindotazioneall’aeroportomilitaredi Brindisiiprimiaereimilitariamericani.

Tra il 15 ed el 18 settembre 1950 la portaerei americana Mindoro sbarcó i primi 40 aerei Curtiss Helldiver 52-C, per armare la ricostruita Aeronautica Militare. E nel giugno del 1952 dallaportaereiamericanaCorregidorfuronosbarcatiiprimiaviogettidacaccia,gliaeroplania reazioneF-84Gthunderjet,protettidaunospecialerivestimentoplasticodetto‘cocoon’.

Dalla nave americana Mindoro sbarcano per l’aeroporto di Brindisi gli aerei Curtiss 52C - 16 settembre 1950 Aviogetti caccia F-84G thunderjet sbarcarti dalla portaerei americana Corregidor - Giugno 1952 Fiat G 59 B per addestramento schierati davanti agli hangars Savigliano - 1957 Il mio primo volo con mio padre, il Maresciallo Settimio Perri, nel cielo dell’aeroporto di Brindisi - 1957

Sottufficiali dell’

Il10settembre1967sull’aeroportomilitarediBrindisifuricostituitoconil13°Gruppocaccia bombardieri e ricognitori, quel 32° Stormo che era stato originalmente costituito l’1° dicembre 1936 e poi sciolto il 27 gennaio 1943. Il velivolo in dotazione fu il Fiat G.91R, in dotazione anche alla gloriosa pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori, e nel 1974 lasció spazio al bireattore G.91Y. Dal 1993 peró, lo Stormo non ha piú sede a Brindisi ed opera dall’aeroporto Amendola, in Foggia. Finalmente, nel 2008 l’aeroporto di Brindisi ha perso lo status di scalo militare aperto al traffico civile ed ha acquisito la semplice denominazione di aeroportocivile.

Aeronautica, colleghi di mio padre il Maresciallo Settimio Perri al centro con la sciabola Aeroporto Militare Orazio Pierozzi di Brindisi nella festa della Madonna di Loreto - 12 Dicembre 1957

E quell’idroscalo, sorto quasi cento anni or sono nel porto medio di Brindisi, è anche stato il luogo d’origine dell’industria aeronautica brindisina che lí nacque e quindi vi prosperó per quasiottant’anni:gliidrovolantiinfattiavevanobisognononsolodiunoscalopostovicinoad uno specchio d’acqua, ma anche di assistenza e manutenzione. La Societá Anonima Cantieri d’Aeroporto SACA entró in attività nel 1934 e sotto la guida dell’ingegnere Michele Dell’Olio divennerapidamentelaprincipaleindustriadellaprovincia.

Nel dopoguerra la SACA, con la nuova denominazione di Societá per Azioni Costruzioni Aeronavali, fu rinnovata ed ampliata tanto che negli anni ’60 il personale raggiunse le mille unità. Imperdonabilmente nel 1977, dopo un continuo decadimento aziendale, si giunse alla penosa dichiarazione di fallimento. La Industria Aeronautica Meridionale IAM ne rilevò le maestranze, gli impianti e le attività. In seguito a ristrutturazione, la IAM divenne Agusta e questa, nel 1999, cedette ad Alenia Aeronautica il sito dell’idroscalo: 3 degli hangars SaviglianosonoattualmenteofficinedellasocietáAleniaAeronavali.

Gli hangars Bresciani e Savigliano – 2010 (foto Ugo Imbriani)

Ma quella della SACA e di tutta l’industria aeronautica brindisina é tutta un’altra lunga gloriosae,percertiversi,tristestoriaallaqualebisognerádedicaremoltopiúdiuncapitolo.

BIBLIOGRAFIA

Tra cielo e mare. Mostra documentaria. ArchiviodiStatodiBrindisi–2007

Orazio Pierozzi l’asso della marina. M.Mattioli–2003

La base navale di Brindisi durante la grande guerra. G.T.Andriani–1993

L’Aeroporo civile di Brindisi. F.Gorgoni–1993

Lotte e vittorie sul mare e nel cielo. U.Maddalena–1930

2015: 100 anni dalla tragedia della Benedetto Brin

Pubblicato su SenzacolonneNews dell’11 luglio 2015

In questo 2015 ricorrerà il centenario della tragedia brindisina della nave corazzata Benedetto Brin: sarà il 27 settembre alle ore 8 e 10 minuti del mattino quando si compiranno cento anni esatti dall'esplosione della santabarbara della nave che si trovavaallafondanelportomedioinprossimitàdellaspiaggiaFontanelle,adiacentea Marimisti,difronteallacostaGuacina.Lanaves'incendiòes'inabissòportandoconsé infondoalmare456marinai,insostanzalametàdell’interoequipaggiodi943uomini che in quel lunedì mattina erano imbarcati, e tra i tantissimi caduti il comandante dellanave,ilcapitanoGinoFaraFornieancheilcomandantedella3ªDivisioneNavale della2ªSquadra,ilcontrammiraglioErnestoRubindeCervin

Un boato tremendo squarciò l'aria e il rombo di un'esplosione si ripercosse lontano sulmareesullacittà,lenaviancorateebberounsussultoelecasetremarono.Lanave non si vedeva più e al suo posto una colonna alta oltre cento metri di fumo giallo, rossastro,mistoagasevaporis'innalzavaalcielo.Lacatastrofeapparveintuttalasua orrenda grandiosità alcuni momenti dopo, quando la colonna di fumo lentamente si diradò.

L'affondamento della Benedetto Brin nel Porto di Brindisi il 27 settembre 1915

Ecco qui una parte di quello che raccontò l'ufficiale Fausto Leva, testimone della tragedia: «Nel fumo denso si distinse per un momento la massa d'acciaio della torre poppieradeicannonida305mm,chelanciatainariadallaforzadell'esplosionefinoa metà della colonna, ricaddepoi violentemente in mare, sul fianco sinistro della nave. Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della Benedetto Brin fu veduto appoggiare senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente,formandosiunlettonelfangomolle.Mentrelaprorapocodanneggiatasi nascondeva sotto l'acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della batteria, la partepoppieracompletamentesommersaapparivasconvoltaeridottaaunammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l'albero di poppa, si ergeva ancora dritto e verticale l'albero di trinchetto» [estratto da “La base navale di Brindisi durante la grande guerra”diTeodoroG.Andriani,1993].

FatalitàvollechenelquadratodipoppailcontrammiraglioRubinaquell'oratenevaa rapporto gli ufficiali, per cui la maggior parte di loro saltò in aria tra l'ammasso informe dei rottami sconnessi e roventi: mai si ritrovò neppure la salma del contrammiraglio.

Esemplare fu il comportamento dell'equipaggio superstite della corazzata. Questo riferisce il comandante del cacciatorpediniere francese Borèe che stava uscendo in mare aperto e che transitava in quel momento a qualche centinaio di metri dall'esplosione: «Una grande parte dell'equipaggio superstite della Brin, subito dopo l'esplosione si era raccolta sulla prua in perfetto ordine e non si udiva tra quegli uomini né un grido né un appello. Non ho visto un solo marinaio gettarsi in acqua prima che sia stato dato l'ordine di abbandonare la nave: una condotta veramente ammirevole» [estratto da “Brindisi durante la prima guerra mondiale” di Teodoro G. Andriani,1977].

Lo sbarco avvenne qualche minuto dopo in tutto ordine. Numerosi rimorchiatori e imbarcazioni delle tante navi italiane e francesi presenti nel porto raccolsero i superstitieliportarononelleloroinfermerie.

LacorazzataBenedettoBrin,lunga138metrielarga23metri,pescava8metri,aveva una stazza di 14000 tonnellate ed era dotata di 46 cannoni 2 mitragliere e 4 lanciasiluri.Lasuacostruzioneiniziònel1899efuvaratanel1901aCastellammaredi Stabia. Fu consegnata alla Regia Marina nel 1905, ricevendo la bandiera di combattimento il 1º aprile 1906. Durante la guerra italo-turca aveva partecipato allo sbarcoaTripoliil2ottobredel1911.

Il varo della Benedetto Brin a Castellammare di Stabia nel 1901

La corazzata era stata intitolata a Benedetto Brin, un militare di mare nato a Torino nel 1833, che fu generale del genio navale, economista e uomo politico. Fu il rinnovatore della Marina Militare Italiana e fu creatore delle prime grandi corazzate moderneeprogettistadeiprimiincrociatoridabattaglia.FuministrodellaMarinaper circa dieci anni, e fu anche ministro degli Esteri. Promosse lo sviluppo dell'industria navalmeccanicaitalianaenel1878,istituìaLivornol'AccademiaNavale.

Immediatamente dopo lo scoppio, le autorità militari avanzarono l'ipotesi dell'attentato ad opera dei nemici di guerra austriaci, ma poco a poco cominciò a prendere corpo anche la più verosimile possibilità di un'autocombustione avvenuta nellagrandestivaadibitaadepositodimunizioni:ilcaloredellasalamotori,vicinaal locale della santabarbara, avrebbe innescato l'incendio che a sua volta avrebbe fatto scoppiare le munizioni. Mai fu data una risposta definitiva... e ormai, certamente non importa troppo sapere l'esatta verità, né certamente mai importò troppo saperla a quei456marinai.

D’altra parte, non è tra i propositi di quest'articolo, il proporre una ricostruzione storica di quel tragico episodio accaduto a Brindisi cent'anni fa, né tanto meno l'approfondire il dibattito, mai chiuso, sulle cause e sulle responsabilità di quel luttuoso evento, così grave e impattante da giungere a coinvolgere l'intera città con tutti i suoicittadini. Giàaltri, e con maggior cognizione di causa della mia, sisonoda anni dedicati con più o meno successo a entrambi obiettivi [raccomando agli interessati lalettura diquantocontenutoatalepropositosu“Memoriebrindisine” di AntonioM.Caputo,2004].

La Benedetto Brin in navigazione

Invece, prendendo spunto proprio dallo scritto del professor Caputo, mi piace qui ricordare come Brindisi partecipò al luttuoso evento con tutta sé stessa, e con la generositàcheincerteoccasionièsemprecapacedidare.Ilsindaco,GiuseppeSimone, indissetregiornidiluttocittadinoeilconsigliocomunale,il24giugno1916,deliberò diintitolarealla“BenedettoBrin”eaisuoicadutilastradadelrioneCasale,cheancora oggicollegal'excollegionavaleallostadiocomunaleequindiall'aeroportomilitare.

Sulla banchina del porto si raccolse una folla enorme che assistette in angoscioso silenzioaquelcrudelespettacolodelrecuperodeicorpidilaniatiedeisuperstitiferiti che furono ricoverati nell'ospedale della Croce Rossa e nell'Albergo Internazionale, subito adibito a infermeria d'emergenza e che, per l'occasione, funse da efficiente ospedalemilitare.

Numerose testimonianze di cittadini che quel tragico lunedì si riversarono riverenti sulleviedelporto,descrisseroleoperazionidisalvataggio,cheproseguironodurante l'interogiornoepertuttalanotte,conlospettacolosconvolgentedeicorpimartoriati edelleorribiliferitedeisuperstiti.

A Brindisi affluirono molti dei parenti dei militari protagonisti della tragedia, con la disperazione per la perdita improvvisa dei loro congiunti che fu immensamente accresciuta per quelle tante famiglie che si resero conto che mai avrebbero potuto piangere e pregare sulla tomba dei loro cari: le vittime infatti, in maggior parte risultaronoufficialmentescomparseperchéilorocorpidilaniatifuronoimpossibilida riconoscere.

Il popolo brindisino si strinse attorno alla Marina Militare in una gara generosa di solidarietà e di abnegazione, accogliendo con slancio e comprensione la folla dei familiari accorsi da ogni parte d'Italia per dare sepoltura alle martoriate salme dei caduti.

Ifuneralidelleprimesalmerecuperateebberoluogoilgiornosuccessivoalloscoppio, tra due fitte ali di popolo riverente, e per le altre proseguirono anche nei giorni seguenti.Tuttelespogliedeimarinaichenonpoteronoessereconsegnateallefamiglie furonoseppelliteinun'areadelcimiterocittadinomessaadisposizionedalcomunee specialmenteadibita.

Area tombale dei marinai della Benedetto Brin nel cimitero di Brindisi

Rettore della chiesa Madonna di Loreto del cimitero, era a quel tempo il grande filantropo brindisino, canonico Pasquale Camassa -Papa Pascalinu- che era anche cappellano militare e che pertanto visse quella dolorosa esperienza come pochi altri. Egli infatti adempì il seppellimento di tanti di quei marinai sfortunati e assistette al dolore dei familiari dei caduti che anche durante gli anni successivi alla tragedia si recaronoinpellegrinaggioaBrindisipervisitareletombe.

Monumento funereo della tragedia della Benedetto Brin nel cimitero di Brindisi

Inoltre, perché di quel funesto disastro potesse conservarsi perenne memoria, Papa Pascalinu si premurò personalmente di raccogliere e far sistemare nel Museo Civico dellacittàalcuniavanzidiquellanavefatale,cosìcomelovolleluistessotestimoniare con ogni dettaglio in un numero del suo giornaletto “Il prossimo tuo” che uscì nel 1917.

Le spoglie mortali di quei tanti marinai giacquero nel cimitero comunale di Brindisi pertantissimotempo,finoapochiannifa,quandofuronotraslatealcimiteromilitare diBari,mentreinquellostessosettoredelnostrocimiterofuronosepoltianchemolti militari, quasi tutti marinai, morti in combattimento durante la Seconda guerra mondiale

In quell'area del nostro cimitero comunale però, che per tutti noi brindisini resta indissolubilmentelegata alricordodiquell'immane tragedia cittadina, si ergetuttora il suggestivo monumento funereo (*) che fu eretto a ricordo di quel tragico 27 settembre di 100 anni fa, e ci sono inoltre, allineate lungo il Viale Eroi del Mare che delimitailsettore,letrentatarghemarmoreecheportanoincisiinordinealfabeticoi nomidiquei456sfortunatimarinaiitaliani.

Le targhe con i nomi dei 456 marinai morti nello scoppio della Benedetto Brin

E a proposito del nostro cimitero comunale -non sono in grado di affermare che si tratti di una mia esperienza singolare o se la stessa sia in qualche misura un'esperienza comune ad altri miei concittadini- uno tra i ricordi più suggestivi che conservodellamiainfanziaeanchedell'adolescenzaeoltre,èproprioquellodellemie lunghepasseggiatetraiviottolidelcimiterocomunale.

Naturalmentericordoquelledell'immancabileappuntamentoannualedel2novembre in compagnia dei miei, ma soprattutto ricordo quelle, più tranquille e molto più suggestive, fatte in solitudine a ogni occasione in cui mi toccava partecipare al funerale di un parente, o amico, o conoscente. Alla fine della cerimonia funebre, mi appartavo e quindi mi dileguavo tra quei viottoli. E ricordo bene, come quelle più emotive fossero le lunghe camminate fatte nelle fredde e grigie mattine autunnali, o quellechepiùdiradocapitavanoinsoleggiatietiepidipomeriggiinvernali. Quelle mie camminate perlustrative duravano qualche ora e il percorso non seguiva alcunitinerarioprestabilito.Solomisoffermavoaleggerelevarielapidi-nomiedatespecialmentequellecheattraevanolamiaattenzionepersembrareesserepiùantiche, oppure quelle dai nomi meno comuni o addirittura stranieri, e anche quelle che ritrattavanopersonaggid'altritempiinuniformemilitare.

Dalle date della morte cercavo di risalire al periodo storico dell'evento: Fine Ottocento? La Prima guerra mondiale? La seconda? Tra le due guerre? Nel dopoguerra?Equeglistraniericonspessonomiinglesi?Eranomilitarioeranocivili?E seeranodonne oppureuomininon militari, perchéerano sepolti aBrindisi?Saranno stati marini, o comunque viaggiatori di una delle tantissime navi che approdavano a Brindisi? Magari della Valigia delle Indie, magari erano stati colti in viaggio da un'improvvisamalattia,osorpresidaunaqualcheepidemia?

Da ragazzo, quando non avevo a fianco mio padre o mia madre ai quali chiedere, in certeoccasioniannotavonomiedateepoicercavodiscoprirequalcheindizio:acasa chiedevo a mio padre e a mia madre e finanche cercavo di rintracciare notizie sulle enciclopedie e in biblioteca. Ma era dura: ...e già, non c'era ancora Google! Eppure, qualche scoperta interessante -per quella mia fantasia fanciullesca e adolescenteriusciiancheafarla!

Ebbene, illuogodelcimiterochepiù d'ognialtrohada praticamentesempreattratto vigorosamente la mia attenzione, e continua a farlo tuttora, è quell'ampio settore delimitatodaunaseriediinnumerevolicrocibianche,tutteuguali:ledecineedecine dicrocideigiovaniegiovanissimimarinaicadutidellaBenedettoBrinedeitantialtri cadutinegliabissimarinidell'AdriaticodurantelaSecondaguerramondiale

Mapurtroppo,quelsettoredelcimiterorichiamaoggilamiaattenzione,ecertamente anche quella degli altri visitatori, altresì perché si presenta sempre più fatiscente e semprepiùdesolatoetriste,diunatristezzanonaccomunataalsensodellamorte,ma accomunataalsensodell'abbandono.

Ma com'è mai possibile? Perché tale abbandono? Sarà forse perché son già passati tanti anni - ormai cento - e quindi quei marinai sfortunati, italiani anche se non brindisini, non hanno più amici o parenti che possano depositare un fiore su i loro resti?

O sarà perché nel vortice frenetico della vita moderna si è perso il senso della compassione e anche quello del rispetto? E già: Non c’è più tempo per certe cose, ci sono ben altre questioni più urgenti da risolvere, si è sempre in ben altre faccende affaccendati.

Echidovrebbeoccuparsidirimediaretaleinfaustaesconciasituazione?Nonnesono deltuttocerto,macredopropriochespettialleautoritàcomunalidellaCittàeaquelle militariedellaMarina.Eperchèmaidovrebberofarlo?Maperchédimotivicenesono veramente tanti: la compassione e il rispetto per chi ha dovuto sacrificare la propria giovane vita in nome di quella nostra stessa “patria” sarebbero certo due ragioni di grandissimopesoedasoledovrebberobastare.

Segni dell'abbandono in cui versa l'area tombale della Benedetto Brin nel cimitero Eppure, io son convinto che in gioco ci sia anche qualcos'altro, forse ancor più importante: si tratta, temo, di un nuovo segnale della pericolosa tendenza alla definitiva dissoluzione della memoria storica della nostra Città. Se anche quest'abbandono continuerà, tra qualche anno quelle tombe non saranno più riconoscibili,inomideimarinaielestessedatenonsarannopiùleggibili,lasterpaglia copriràedivoreràtuttequellecroci.

E allora nessun ragazzo brindisino si potrà chiedere di cosa si tratti, e il nome Benedetto Brin finirà col non dir nulla alla maggior parte dei brindisini... “Ma che strano nome ha quella via del Casale! Sarà Brin il diminutivo di Brindisino?” E già, potrebbe anche far ridere, ma purtroppo questa domanda io l'ho già ascoltata una volta,enonhoriso:menesonosolounpo'rattristito.

Vabbè!Qualcunopotrebbeanchedire:“Pocomale,nonèpoicosìgraveperlaCittàse dovesseaccaderechedopocent'annicisidimentichidellaBenedettoBrinedellasua immane tragedia”.E certamentenonsarebbecosìgrave sesitrattasse diun episodio isolato, di una sfortunata dimenticanza, però non è così. Purtroppo noi brindisini sappiamobenissimoche,sedovesseaccadere,questonuovoabbandonosiandrebbea sommareallatristeelungacollanadiperleneredellanostrastoriacittadinachenegli anni sièandatasistematicamentearricchendocon semprenuove perle nere:latorre

dell'orologio,ilparcodellarimembranza,ilteatroVerdi,ilquartieredelleSciabbiche, il bastione San Giorgio, il palazzo liberty del Banco di Napoli in Piazza Vittoria, o il palazzoTitigiùalcorso,etc.,etc.,etc.

Purtroppo, infatti, nonostante l'importanza il valore e l'indispensabilità della conservazione della memoria storica di una comunità o di una città o di un'intera popolazione,costituiscanoormaiconcettiuniversalmenteacquisititralesocietàcivili, a Brindisi, complice in molti casi l'ignoranza e in molti altri la malafede, lo sport preferito da chi ha esercitato il potere decisionale, durante anni, decenni e ormai secoli, è stato quello del trascurare, dell'abbandonare, e finalmente del cancellare o abbattere.

Unavoltahosentitodirechemoltideigiovanibrindisinid'ogginons'interessanoalla storia della propria città perché non le vogliono sufficientemente bene poiché si sentono profondamente delusi e traditi dalla situazione in cui essa oggi versa. Io, invece, affermo che solo quei brindisini, giovani e meno giovani, ai quali non è stata opportunamenteinsegnatalastoriadellaloroCittà,possonononamarla:egiurocheè vero!

Non è voler fare allarmismo facile, né purtroppo si tratta di un pessimismo ingiustificato, ma sono semplicemente i fatti concreti e quotidiani che obbligano allo sconfortoeall'allarme. Nonsipuòenon si devecontinuare amaltrattaredisdegnare trascurare e finalmente cancellare ogni elemento, piccolo o grande prominente o secondario, che rimanda al passato prossimo o remoto che sia, e solo perché non rispondenteall'utile misuratocon ilmetro delrendicontodeltangibileimmediato.E' ormaigiuntoilmomentodirichiamarel'attenzionesulrischiochesipossafinireconil perderedeltuttoeirrimediabilmentelamemoriastoricadellanostraCittà.

Enaturalmenteneanchesivuolquiscoprirel'acquacalda.Infatti,aBrindisinonsono di certo mancati tanti bravi e autorevoli concittadini -come non citare ancora Papa Pascalinu Camassa- che in più e ripetute occasioni hanno a questo proposito segnalato,hannoavvertito,hannodenunciato,hannoprotestato,avantiericomeierie come oggi. Ma purtroppo non sono stati sufficientemente ascoltati e speriamo che si finiscaconl'ascoltarli,primachesiatroppotardi:

“Io ti dico che se ne le tue vene non circola l’eredità dei millenni, che se nel tuo cuore non canta il poema de le lontane memorie, tu non sei un uomo, non rappresenti un popolo, né puoi vantarti d’essere membro d’una nobile città”CesareTeofilato(1881-1961).

“Il recupero della memoria storica deve rappresentare il momento fondamentale di ogni esperienza civica. La consapevolezza del nostro passato qualifica il rapporto con la città. Il corredo di testimonianze a noi vicine, alcune ritrovate e altre perdute o recuperate, sono tratti di un’identità alla quale una comunità ha il dovere di conformarsi allorché progetta il suo futuro”DomenicoMennitti(1939-2014).

Parecchi anni dopo l'affondamento, durante lavori rutinari di dragaggio del porto, fu fortunosamenterecuperatalacampanadellaBenedettoBrinedaalloralasiconserva gelosamente nella cappella sacrario del Monumento al Marinaio: probabilmente, dal fondodelmare,unchiaromonitopertuttiibrindisinia «non dimenticare».

EBrindisi,nesonconvinto,nonvuole“dimenticare”propriocomebenlotestimoniail professorCaputonelsuoraccontodellaBenedetto Brin: «Quanto scrittosuvarilibri, insieme a numerosi articoli giornalistici, a due vibranti lettere manoscrittetestimonianza degli storici canonico don Pasquale Camassa e avvocatoGiuseppeRoma-eadaltre carte d'archivio ben fascicolate sono le risorse a cui attingere per sapere, perché questa tragedia accaduta a Brindisi, cent`anni orsono, che segnò tante vittime, rimanga una pagina di storia appartenente ad una Città che non vuol dimenticare, anche quando la sua storia è drammatica, tragica e luttuosa».

Concludoconuna esortazione, anzi con un appello, al Sindaco di Brindisi e al Comandante della MarinaMilitarediBrindisi:

Perché non fare di questo melanconico anniversario Nº100 l'occasionepropiziaperrestituireil giusto e dovuto decoro alle tombe dei marinai caduti a Brindisi nell'affondamento della Benedetto Brin,dandoconciòancheunchiaro segnalediunavolontàpoliticavolta al recupero ed alla conservazione della memoria storica della nostra Città?

La campana della Benedetto Brin

La Storia e la Città ne rimarrebbero grate per sempre, perché come risaputodovrebbe esserlo- «la rimozione del passato corrisponde inesorabilmente alla rimozione del futuro».

(*) Statua ai marinai caduti, cent'anni dopo svelato il mistero: ecco chi era la modella brindisina di Gianmarco Di Napoli

Un segreto durato un secolo e che oggi la famiglia ci affida perché è arrivato il tempo di svelarlo, giusto cento anni dopo la tragedia della "Benedetto Brin", quando ormai da quasi altrettanto tempo quella statua di donna con lo sguardo basso e con un'espressione di profondatristezzadominailsacrariodedicatoaimarinaimortiel'interocimiterodiBrindisi.

Lamodellacheposòperquellastatuaeraunagiovanedonnabrindisina,moglieemadre,che nonpotémairivelarelasuaidentitàperchésarebbestatounoscandalo.Chiposavaall'epoca eraconsideratadonnadifacilicostumi.Ancorpiùperchéloscultoreavevasceltodilasciarea quellaimmaginedisperatacherappresentavaunamadrechina,cheavevapersoisuoifigliin guerra, una spalla leggermente scoperta. Uno scandalo per quei tempi, che sarebbe andato a pregiudicarelamoralitàdiunagiovanedonnache,piùmodernadegli annicheviveva,aveva decisodimettereilsuovoltoadisposizionedellaPatria.

Il 27 settembre 1915 la corazzata Benedetto Brin esplode nel porto medio di Brindisi: muoiono 456 marinai italiani. E' una tragedia senza precedenti per la Marina italiana. Le vittime vengono sepolte in un'area del cimitero messa a disposizione dal Comune che viene invasadaoltre400crocibianche.Ilgovernovuoleperòchealcentrovengapostaunastatua cheraffiguriildoloredellaPatriaperl'immanetragedia.Eincaricaunoscultoredirealizzarla. L'artista ha bisogno di una modella cui ispirarsi. In quel momento Brindisi fa parte della provinciadiLeccecheèdivisainquattrocircondariehaunapopolazionedi25milaabitanti, pocopiùdiOstuni(21mila),Francavilla(20mila)eCeglie(17mila).E'insommaunpaesino agricoloincuisistannocostruendolanuovascuolaelementarePerasso,ilteatroVerdieincui losviluppoediliziopopolaresispostasullecollinetteverdeggiantidelCasale.

RoccoPiccioneèunmarittimocheabitainviaBernardodeRojas,stradinadelquartieredivia Lata,unodeirionistoriciinsiemeaSanPietrodegliSchiavonieSciabiche.Vieneasapereche uno scultore incaricato di realizzare una statua per i morti della Brin è alla ricerca di una modella.Propriodifronteacasasuaabitaunasplendidadonnaditrent'anni:AnnaMariaDe' Venturaèaltissimaperqueglianni,quasiunmetroe80.Capellifluenti,sguardofiero,profilo

greco, un portamento che tradisce probabili origini nobiliari, così come il suo cognome. Suo maritoLuigiIaiasel'èandataaprenderenelborgodiTuturano.AnnaMariaègiàmammaele suegiornatetrascorronotralacasadiviaRojas,lachiesadelleAnimeeilmercato.L'Italiaèin guerraeilmaritoèalserviziodellaPatria.

Il vicino di casa contatta lo scultore e gli segnala la presenza di questa donna bellissima che potrebbeessereunamodellaperfettaperlasuastatuadibronzoecosìloconducesinoacasa suaaconoscerla.Leièperplessa,matuttiqueiragazzimortil'hannocolpitaprofondamente.E cosìdecidediposare,gratis.

Poi però, qualche giorno dopo, rinuncia. Ha saputo che dovrà avere una spalla leggermente scoperta. Sarebbe uno scandalo per una donna seria e maritata. Lo scultore non vuole rinunciare a lei e arrivano a un compromesso: poserà ma nessuno mai dovrà conoscere l'identitàdellamodella.

Lo scultore realizza una statua in gesso che poi diventa un calco e da qui, in una fonderia, viene realizzata la statua. Un'opera splendida, come conferma il critico d'arte Massimo Guastella che ha dedicatoal bronzo lunghi studi cercando di risalire all'identità dell'autore e alla fonderia. Anche questi (come fino ad oggi l'identità della modella) sono sconosciuti, al puntocheilprofessorGuastellahasoprannominatoquellastatua"Lamisteriosa".

NonsihannonotiziesullacerimoniaconcuivienecollocatanelcuoredelcimiterodiBrindisi. Ma di certo lo scultore mantiene il suo impegno e non rivela il nome della modella. Anna Maria, che quasiognimattina si reca alcimitero per deporvideifiori, vorrebbe mantenere il segretopersempremaquandoilmaritotornadallaguerra,unvicinodicasaglirivelatutto.E scoppiailfinimondo.Madureràpoco.

LuigiIaia,lasciataladivisa,riprendealavorareallestendoibanconidivenditapericontadini che ogni mattina vengono a Brindisi a vendere i loro ortaggi in piazza Mercato. Un mestiere che poi erediteranno i suoi figli. Passata la burrasca dopo la lite e riappacificatosi con la moglie,lavitadifamigliaprocederegolarmenteeilsegretodiAnnaMariavienerispettato.

Ogni anno a novembre, durante la cerimonia di commemorazione dei caduti in guerra nel cimitero, don Augusto Pizzigallo, cappellano militare e sacerdote plenipotenziario a Brindisi, ricordavaaifedelichelastatuadelladonnatristeraffiguravadavverounamammabrindisina.

AnnaMariaerasemprelì,sorridevaaquelleparoleetaceva,ascoltandoicommentidellealtre donne.Equandoisuoibambinidiventatigrandilechiedevanoperchémaiognivoltaportasse fioriaquellastatua,rispondeva:"Perchéquelladonnasonoio".

La stessa domanda che si poneva la pronipote Lucia Malfitano quando la mamma Rosanna Stasiportavaifiorisottoquellastatua,tantiannidopo:"E'latuabisnonna",lespiegò.

Anna Maria De' Ventura, che era nata nel 1885, ha lasciato questa terra il 3 aprile 1962. Qualche giorno dopo uno dei figli incontrò il vescovo Nicola Margiotta portandogli i documenti di quasi mezzo secolo prima su cui era attestato che la mamma era la misteriosa modelladellastatuadeimarinaicaduti,impegnandosiamantenereilsilenzio.Ecelebrandoin suoonoreunamessa.

Nelcorsodeglianni,perduevolte,iladrihannocercatodirubarelastatua,unavoltapersino tentando di sradicarla con una gru. Ma non ce l'hanno fatta. Ora, cent'anni dopo, la "Misteriosa"rivelalasuaidentità.Quelladiunadonnabrindisinamoltopiùmodernadeisuoi tempiediunafamigliachehasaputocustodireilsuotenerosegreto.Sarebbeorachequella statua tornasse nel suo splendore originario e che una targhetta ricordasse il nome di Anna MariaDe'Ventura,madredeiCadutiinmarediBrindisi.Finalmenteliberadisvelareatuttiil suoamoreperlaPatria.

2016: 100 anni fa arrivarono a Brindisi i MAS

Pubblicato su SenzacolonneNews del 1° marzo 2016, il7Magazine e ocean4future.com

In questo mese di marzo 2016 ricorre il centenario dell’arrivo a Brindisi dei MAS, i famosi Motoscafi Anti Sommergibili, le cui siluette, che dovevano presto diventare familiari a tutti i Brindisini di allora, ben riconoscevamo anche noi, oggi giovani sessantenni, quando negli anni ’60 e ’70 solcavano ancora le tranquille acque del nostro porto con il loro inconfondibile rombo che ci annunciava l’imminente sopraggiungere delle loro imponenti onde fino alle rive delle nostre belle spiagge, ancoratutteall’internodelporto.

Inqueltempodiguerra,BrindisieralasededelcomandosuperiorenavaledelBasso AdriaticorettodalcontrammiraglioUmbertoCagni,eilnostromareerainfestatodai temibili sottomarini austriaci che, con base nel porto di Durazzo, scorrazzavano facendostragedinostriconvogliciviliedinostrimezzimilitarinavali.

La genialità dei nostri ingegneri navali era però riuscita a inventare, e quindi a progettare con l'ingegnere livornese Attilio Bisio, fino a poi realizzare in poco tempo nei cantieri navali della Società Veneziana di Automobili Navali, una speciale barca torpediniera lignea, mossa da un motore a scoppio di 40 cavalli ed incredibilmente economica: velocissima e versatile, con duecento miglia di autonomia, fornita di un cannoncino da 75 mm e, soprattutto, di due potenti e letali siluri a tenaglia, costituendo un’arma che avrebbe potuto colpire il nemico con massima efficienza, in mareapertocosìcomeneisuoistessiporti.

MAS 1 - Venezia 1916

A Venezia -dove in alcune occasioni per l’acronimo MAS fu anche utilizzata la denominazione “Motobarca Armata SVAN” dal nome dell’azienda che per prima li produsse-oltreaiprimidueprototipi,sicantierizzaronorapidamentealtreunità,fino a costituire la prima squadriglia di otto MAS che fu affidata al tenente di vascello AlfredoBerardinelliconlamissionediesplorazione,attaccoecacciaaisommergibilie aglialtrimezzinavalinemici,sfruttandoilgrandepotereoffensivoeilfattoresorpresa che implicava l‘impiego della nuova arma. Un’arma completamente sconosciuta al nemicoilqualenonebbemaiun’ideaesattadellasuaeffettivapotenzialità, tantoche talvoltagliattribuìanchequalitàbenaldisopradellereali.

MAS 2 - Venezia 1916

Era il 28 marzo 1916 e l’Italia era entrata nel suo secondo anno di guerra al fianco degli alleati dell’Intesa contro l’impero austro-ungarico, quando il MAS 3, di solo 8 tonnellatee15metri,giunsedaVeneziaaBrindisisudiuncarroferroviario.Prestolo raggiunsero altri cinque e poi, altri 6 fino a conformare con i 12 l’intera 1a flottiglia MAS, conlaquale Brindisidivenne la baseprincipalenel BassoAdriatico deglianche denominati Motoscafi Armati Siluranti, i MAS: le “Streghe”, come confidenzialmente erano soprannominati dagli equipaggi, perché capaci di apparire improvvisamente, assalire,colpireeallontanarsivelocemente,senzapossibilitàdiessereintercettatidal nemico.

Il7giugnodiquellostessoanno1916,ilMAS5delcomandanteBerardellieilMAS7 del comandante Gennaro Pagano di Melito, partirono dalla base di Brindisi e penetrarono la rada di Durazzo, affondando il piroscafo Lokrum: Le due piccole e fragili imbarcazioni furono rimorchiate fino alle vicinanze di Durazzo da due torpediniere protette al largo da quattro cacciatorpedinieri francesi. Perlustrando la baia, i due motoscafi avvistarono un piroscafo, evidentemente carico, ed ognuno

lanciòunsiluro,colpendoentrambiilbersaglio,cheeraancoratotra150e250metri di distanza. A terra il nemico non riuscì a capire quello che stava succedendo e i due MASitalianiritornaronoindisturbatialluogodiriunionecheerastatoprestabilitocon le torpediniere e quindi, rientrarono alla loro base di Brindisi. Meno di venti giorni dopo, gli equipaggi di quei due stessi MAS, composti da dieci uomini ciascuno, riuscirono a portare a termine un’altra missione nella notte tra 25 e 26 giugno, affondando,nellastessaradadiDurazzo,unaltropiroscafoaustriaco,ilSarajevo Mentreanchenell’AltoAdriaticoiMASsiriempironodigloria-neldicembredel1917, i due MAS 9 e 13 guidati, rispettivamente, da Luigi Rizzo e Andrea Ferrarini, affondarononellaradadiTriestelacorazzataaustro-ungarica Wienedanneggiarono la Budapest- nella base di Brindisi durante tutto l’anno 1917, i MAS furono principalmente impiegati nelle operazioni di vigilanza e caccia ai sommergibili austriacioperantinelBassoAdriaticoeneiservizidipoliziacostierainAlbania.

Poi, nel 1918 affluirono a Brindisi i MAS di nuova generazione, più pesanti meglio armati e con motori più sicuri e più silenziosi, e così, nella notte tra il 12 e il 13 maggio, i MAS 99 e 100, comandati da Gennaro Pagano Di Melito e Mario Azzi rispettivamente, attaccarono un convoglio nemico e affondarono il grosso piroscafo Bregenzdiben4000tonnellate.

NelcorsodiquellalungagrandeguerracifurononumerosealtremissionideiMAS,di successoalcuneeandate avuotoaltreeinfine, proprioincoincidenzaconilsecondo anniversario della prima missione, il 10 giugno del 1918, il MAS 15 del comandante Luigi Rizzo, l’affondatore, affiancato dal MAS 21 del comandante Giuseppe Aonzo, affondònelleacquediPremudasullecostedalmate,laportentosacorazzataaustriaca SantoStefanofacendoentrareconquell’azione,iMASitalianinellaleggenda:

Il capo di stato maggiore della marina austro-ungarica, ammiraglio Nikolaus Horthy, pianificòun’incursionecontrolosbarramentonavalediOtrantocheostruival’accesso al mare aperto alla marina asburgica mantenendola confinata nell’Adriatico. E per quellamissione,il9digiugno1918lasquadra navaleconlecorazzateSzentIstváne Tegetthoff, salpò da Pola. All’alba del 10 giugno il capitano di corvetta Luigi Rizzo, impegnato con i Mas 15 e 21 in un’operazione di rastrellamento di mine al largo dell’isolotto di Lutrosnjak, entrò fortuitamente in contatto con la flotta austroungaricae,sfruttandoalmegliolecaratteristichedeiMAS,grazieaduncoraggiosoed occultoavvicinamentospintofinoamenodi500metrididistanza,riuscìadaffondare lacorazzataSzentIstván,fioreall’occhiellodellamarinanemica.

Ilcontraccolpopsicologico dell’azione ebberipercussionitalmenteforti, daimpedire nel corso della grande guerra qualsiasi altra operazione navale alla monarchia mitteleuropeaedafarindireil10giugno,comedatadellafestanazionaledellaMarina MilitareItaliana.

E GabrieleD’Annunzio, il qualeaveva partecipato alla missione“Beffa diBuccari” del MAS96,assiemeaiMAS94e95,nellabaiaasuddiTriestenellanottetrail10el’11 febbraio 1918 con Luigi Rizzo e Costanzo Ciano, non tardò a coniare per quegli intrepidimotoscafiilmotto: Memento Audere Semper -RicordaOsareSempre.

MAS 95: uno dei tre della Beffa di Buccari nel gennaio 1918 MAS 96: usato da Gabriele D’Annunzio per la Beffa di Buccari nel gennaio 1918

Conclusa la guerra, molti MAS restarono di base a Brindisi, che ne accolse anche di nuoviepiùefficienti.EdaBrindisiiMASfuronoimpiegatianchenellasecondaguerra mondiale, alcuni pochi di vecchia generazione, Tipo SVAN e Tipo Baglietto, e alcuni altri d’ultima generazione, più veloci e più efficienti, che si denominarono MAS 500, dei quali -con 23 a 30 tonnellate di dislocamento, con motori Isotta Fraschini Asso 1000dipotenzada2000a2300HPsviluppandoda42a44nodidivelocitàmassima, armatididuelanciasilurida450millimetri,con6a10bombediprofonditàecondue mitragliereda13,2e20millimetri,conequipaggiocompostoda9a13uomini-sene costruirono 76 unità in quattro serie successive della stessa Classe 500, identificati conMAS501aMAS576,iqualiaffiancaronogliantichi24MASancorainservizio,per sommareintotale100MAS

Mentre la Regia Marina nella Prima guerra mondiale aveva prodotto più di quattro centinaia di MAS, il loro numero nel secondo conflitto mondiale fu infatti molto minore, perché si rivelarono essere mezzi ormai troppo piccoli e perché, anche se molto veloci grazie al loro scafo a spigolo, erano poco marini e quindi pericolosi da impiegareconilmaremoltomosso.

Per questo motivo, la Regia Marina incorporò con l’identificazione iniziale MAS 1D a MAS 8D un totale di 8 motosiluranti catturati nell’aprile del 1941 alla marina jugoslava: erano gli schnellboote, lunghi 28 metri prodotti all'inizio degli anni '30 in Germania i quali, a differenza dei MAS avevano uno scafo ad U e quindi, anche se leggermente più lenti, erano più robusti sicuri stabili e manovrabili, soprattutto in condizione di mare forte. Poi, quei mezzi furono in qualche modo copiati e a Monfalcone,neglistabilimentidi Cantieri Riuniti Dell’Adriaticotrail1942eil1943,se necostruironoaltri36TipoMSCRDA60t,identificaticonMS11aMS16,MS21aMS 26eMS31aMS36quellidellaprimaserieeconMS51aMS56,MS 61aMS66eMS 71 a MS 76 quelli della seconda serie, mentre 6 dei mezzi jugoslavi -i MAS 3D a 8Dfurono riclassificati e identificati con MS 41 a MS 46, per così sommare in totale 42 motosiluranti.

Anche durante la seconda guerra mondiale, furono numerose le azioni condotte dai MAS e MS, e tra esse, quelle di maggior successo furono: il siluramento dell’incrociatoreingleseCapetownl’8aprile1941aoperadelMAS213comandatodal guardiamarina Valenza; l’affondamento nel Mar Nero del sottomarino sovietico Equokail19giugno1942;ildanneggiamentodell’incrociatorerussoMolotovaopera dei MAS 568 e 573 il 3 agosto 1942; l’affondamento a opera dei MS 16 e 22 il 12 agosto1942delmodernissimoincrociatoreingleseManchesternellafamosabattaglia aeronavale di Mezzo Agosto nel Mediterraneo centrale, nel corso della quale i numerosi MAS partecipanti affondarono anche i piroscafi Glenorchy, Saint Elisa, Rochester Castle, Almeria Likes e Wairangi; l'affondamento del cacciatorpediniere ingleseLightningsullecostealgerineil12marzo1943.

Alterminedellasecondaguerramondiale,ipochiMASsuperstitifuronorequisitidalle marinedeivincitori,mentredei15MSCRDA60tsuperstiti,5vennerocedutiadaltre marinevincitrici-4all’UnioneSovieticae1allaFrancia-eirimanenti9motosiluranti continuarono prestando servizio nella Marina Militare e furono destinati ad operare nelle acque dell'Adriatico e dello Ionio, dopo essere però stati declassati a semplici motovedette in base alle clausole del trattato di pace e quindi armati solo con le mitragliere. Poi, il 1º novembre 1952, venute meno le clausole più restrittive del trattato, quei nove mezzi vennero riclassificati e riarmati di siluri, con la denominazionedefinitiva471a475e481a484:il“4”indica“motosilurante”.

Daalloraepertuttiglianni’60egranpartedei‘70,queinovegloriosiepoderosiMAS, modernizzati in versione motosiluranti MS e raggruppati nel Comando Motosiluranti COMOSconsedeaBrindisi,continuaronoattivi-ecosì,noiragazziegiovanibrindisini di allora, li potemmo ancora ammirare sulle tranquille acque del nostro porto- fino alla definitiva apparizione di armi navali molto più evolute e più sofisticate che rivoluzionaronoletecnichemilitarimarineemandaronoinpensioneiMASbrindisini, aiqualisuccedetterolemotovedettelanciamissili.

CinquediqueinoveMASfuronopostiindisarmoagliinizideglianni’60edeiquattro restanti,gliultimidue,quellicheeranostatiidentificaticon474e481,venneroradiati nel1979,aquasiquarant’annidalvaro.

Adoggi,siconservanoancoradueMASdellaPrimaguerramondiale-ilMAS96usato da Gabriele D’Annunzio, nel Vittoriale degli Italiani a Gardone e il MAS 15 del “due volte”medagliad’oroLuigiRizzo,nelsacrariodellebandieredelVittorianoaRoma-e due MAS della Secondaguerra mondiale - il472, situato nellaMarina diRavenna e il 473,conservatonelMuseostoriconavalediVenezia.

Squadriglia degli ultimi 4 MAS motosiluranti italiani in servizio - Mare di Brindisi 1970

Lo sradicamento delle Sciabiche: 1900 – 1959

Pubblicato su Archivio Storico Brindisino - 2018 - I

Sciabiche: dall’arabo “sciabbach” che significa rete da pesca, specificamente quella che calata in mare a semicerchio, con il suo progressivo avanzamento cattura il pesce. Le sciabiche somigliano molto alle più comuni reti dette a strascico, ma si differenziano sostanzialmentedaquesteultimeperlalunghezzadeibracci,chenellesciabiche–Fig.1–sono molto corti, tanto che in realtà il corpo stesso della rete, praticamente si identifica conilsaccodiraccolta.

Ma per i brindisini Sciabiche, o ancor meglio “Sciabbiche”, perlomeno già dal ´700 era ufficialmenteilnomedelrionecheavevaperconfinisuilatiditerra,viaMontenegro–o forseviaSantaChiara–aest,poiSantaTeresaeSanPaoloasud,illargo–oggiSciabichee prima Sdrigoli – a ovest, e che per il resto si affacciava sul mare, allungandosi per circa 400o500metrisullarivadinordovestdelSenodiPonente.

QuellostessorioneSciabicheperóesistevadamoltotempoprima,tantochefuproprioin quel rione, certamente il piú emblematico della cittá marinara, che il 5 giugno del 1647 esploseilfortemalcontentodeipescatori,suoiincontrastatidimoranti,facendoscoppiare la sommossa – un mese prima della più nota rivolta napoletana capeggiata da Tommaso Aniello d'Amalfi “Masaniello”– dando di fatto inizio a quell’insurrezione che finì per coinvolgere buona parte del meridione italiano, che dal 1509 era in regime di viceregno spagnolo,sucuiregnavailrediSpagnaFilippoIII,conPedroGirónviceréaNapoli.

Da: Cronaca dei Sindaci di Brindisi dall’anno 1529 al 1787 e narrazione di molti fatti avvenuti in detta città 1 diP.CAGNESeN.SCALESE:

«...Fu la revoluzione nel Regno di Napoli, e precise in questa città, e il sindico Ferrante Glianesfulapidatodalpopolo,efupigliatodacasasua,eportatocarceratoinunacasa sottolamarina,dovelotrattennerotuttoilgiorno,epoilaseralomandaronoliberoin casa sua, e il capopopolo, o vero i capopopoli, furono Donato e Teodoro Marinazzo, e levaronolegabelle,nonfacendoliosservarecomeeradisolito...»

Edesisteva,quelquartieremarinarodiBrindisi,ancheancorprima.

Da: Le perle di Brindisi. Personaggi illustri brindisini 2 diL.FRANCESCA,2008:

«...Quel che era rimasto del palazzo quattrocentesco della famiglia che era stata del condottiero Pompeo Azzolino, continuó in piedi fino già iniziato il ´900... Pompeo Azzolino, vissuto nel XV secolo, fu un grande e valoroso condottiero brindisino. Ferdinandod’Aragona,ilreFerrante,stimandolomoltoperlesuevirtùmilitarieperla fedeltàchedimostravaversolacasaregnante,gliavevaaffidatoilgovernodellacittá.Fu un uomo che compì molte imprese, tra le quali da ricordare quella del 1481 quando, insieme con i suoi uomini, partecipò alla liberazione di Otranto dai Turchi. Poi, l’anno seguente sconfisse in battaglia aperta il comandante veneziano Giacomo Marcello, facendolo desistere dall’occupare Brindisi. I cittadini di Brindisi furono assai grati al loro governatore Pompeo Azzolino della vittoria riportata contro i Veneziani e vollero per questo eternare la sua memoria con un’iscrizione che fecero incidere sopra una

tavola di marmo che collocarono sulla facciata della sua casa, situata nel rione Sciabiche...»

Fig.1: Le sciabiche - Da:ToponomasticabrindisinadelcentrostoricodiA.DelSordo,1988 Fig.2: Le Sciabiche -DettagliodaunafotodiGiacomoBrogidel1870

E naturalmente si potrebbe continuare andandoancora a ritroso. Ma non è l’obiettivo di questoscrittoche, invece, va proprio al contrario:non delle “origini”sivuolqui trattare, ma della “fine” delle Sciabiche. E basti quindi qui ricalcare che su tutte le più antiche mappe della città di Brindisi, che siano in qualche modo assimilabili a ció che consideriamoessereunpianotopograficoepertantoelaborateapartiredal1700,tuttoil tratto di riva esposto a nordovest che parte dalla punta situata all’incirca all’altezza dell’attuale discesa Montenegro e che si estende per quasi 500 metri fino alla base dell’attualesalitaLucioScarano,échiaramenteoccupatodacaseggiati:sono,quelli,lecase delleSciabiche.

La fotografia più antica che si conosca del rione Sciabiche risale invece al 1870, ed appartieneallabellaeormaistoricaseriedifotodiBrindisi,checosìdatateintegranogli ArchiviAlinariechefuronoesposteinoccasionedellamostra Brindisi negli Archivi Alinari tra Unità d’Italia e Prima guerra mondiale 3 aPalazzoGranafeiNervegnadal18giugnoal9 ottobre del 2011. La foto originale, dalla quale é estratto il particolare riprodotto nella Fig.2,èdelloStabilimentoGiacomoBrogi.

PraticamentecontemporaneodiquellaprimafotodelleSciabiche,èilpianodellacittàche nel 1871 fu elaborato a scala 1/2000 da Carlo Fauch e da cui è estratto il particolare riprodotto nella Fig.3, relativo al rione Sciabiche. Nel piano si possono osservare diversi dettagliinteressanti.

La strada Montenegro ela strada Santa Chiara scendono, parallele, verso la banchina. La strada Montenegro, già Dell’Arcivescovato, sbuca su largo Montenegro, che dà sul mare delimitatoasuddall’omonimopalazzoecompresotradueblocchiedificati:quellopiccolo ad est si stende fino di fronte alla strada Santa Chiara, quello ad ovest più grande si allunga costeggiando la banchina che verso ovest va incurvandosi fino ad esporsi a nordovest.

Giusto alle spalle di questo secondo grande blocco di case c´è largo Monticelli sul quale sbucano,dasudledueviuzzeciecheAzzolinoeCapozziello–icuinominonsonoriportati nelpiano–paralleleallastradaMontenegro,edaovestlastradadettaDelfornoSciabiche che scorre lunga e stretta, parallela alla banchina ma internamente, finoa sbucare con il nome di strada Sciabiche, su uno slargo – già denominato largo Sdrigoli ed oggi largo Sciabiche–dalqualepoisullatooppostoinizialasalitaversoSantaAloy.

L’ultimocaseggiatoaqueltempopresentelungolabanchinadelsenodiponenteèquello che appunto delimita quello slargo in coincidenza con l’inizio della strada in salita, inizialmenteanch’essadenominatastradaSdrigoliedoggiviaLucioScarano.Sullastrada Sciabiche scendono perpendicolari ad essa due pendii, unobreveed accentuato da largo SantaTeresael’altropiùlungoedolce,ilpendioMarinazzo,dallastradaDeLeo.

Sul piano sono finalmente identificati con colore marrone scuro: ad est, l’Albergo delle Indie Orientali di fronte alla banchina della strada Marina – cosi è identificato sul piano l’attualevialeReginaMargherita–asudest,laCattedraleel’OspedalesulargoCattedralee asudovest,lechiesediSantaTeresaeSanPaolo.

Una “Planimetria della Banchina Centrale del Porto di Brindisi” fu elaborata a scala 1/1000indata1°agosto1882–ildettaglioèriportatonellaFig.4–inoccasionedeilavori di riparazione di quel tratto di banchina e su di essa sono delimitati con precisione quei due blocchi di case delle Sciabiche, più orientali e prospicenti al mare, il piú piccolo dei qualièidentificatosulpianocomeCorpoPiloti.

Fig.3: Pianta della Città di Brindisi -DettagliodalpianodiCarloFauchdel1871 Fig.4: Planimetria della Banchina Centrale del Porto di Brindisi -Dettagliopianodel1882 Fig.5: Piano regolatore della Città di Brindisi del 1883 -Dettagliodemolizionipreviste

La porzione riprodotta del piano include inoltre le seguenti legende: Sciabiche, Palazzo Montenegro, ConsolatoBritannicoeAlbergoIndie Orientali. La serie dinumeri sulmare, sonogliscandagli:8,23–8,22–8,51–8,57–8,42–8,76.

Nel1883videlaluceilpianoregolatoredellacittàdiBrindisi,chefucommissionatoagli ingegneri brindisini D’Errico, Santostati e Palma, e quello, per le Sciabiche, fu un segnale d’inizio, o quanto meno premonitore, del processo demolitore, anche se in realtá solamente si previde demolire il piccolo blocco fabbricato del Corpo Piloti antistante a Palazzo Montenegro, alcune parti del blocco fabbricato grande prospicente al mare e, infine,unaltropezzettodifabbricatoadiacenteallargoMonticelli.Neldettaglioriportato nellaFig.5,isettoricircoscrittidaunperimetrorosso,sonoquellidademolire.

D’accordo con quanto riporta A. DEL SORDO in Toponomastica brindisina del centro storico4 -1988, fino a tutto l´800 i due toponimi principali del rione furono strada Sciabiche,cheeraillungomare,eviaFornoSciabiche,cheeraquellaparallelaallaprimae che internamente si allungava tra largo Monticelli ad est e largo Sdrigoli a ovest. Poi c’erano via Pompeo Azzolino e vico Capozziello, le due stradette senza uscita parallele a viaMontenegro.Poi,vicoSciabicheI,vicoSciabicheII,vicoSciabicheIII,vicoSciabicheIV. Una delibera comunale del 1900 cambiò i nomi delle due strade principali, sostituendoli con:viaLenioFlaccoquelladellungomare,eviaSciabichequellaparallelainterna.Anchei vari vico Sciabiche I–II–III–IV, cambiarono nome passando a chiamarsi vico Cannavese, vico Candilera, vico De´ Mezzacapo, e poi altri nomi ancora. Oggi, la denominazione Sciabiche è toponomasticamente attribuita unicamente a quello che era stato largo Sdrigoli.

Anche se non sono note data e circostanze precise in cui i primi fabbricati periferici dell’est delle Sciabiche furono demoliti, certo é che entro la fine dell´800 e i primissimi anni del ´900, in quel settore della città il piano regolatore del 1883 era giá stato parzialmente attuato, con la completa eliminazione del fabbricato piccolo antistante al palazzo Montenegro e con una parziale demolizione del blocco piú grande, una demolizione questa meno estesa di quanto indicato dal piano regolatore e che, conservando tuttoilsuocorpoprincipale originale paralleloalla banchina, siera difatto limitata ad allineare la facciata est del blocco con via Montenegro. Nella foto della Fig.6 datata 1915, infatti, si osserva ancora tutto completo il prospetto sul mare di questo bloccolacuispalladelimitavaillargoMonticelli.

QuelleprimedemolizionicoinciseroconlacreazionedellapiazzaBaccarini,conalcentro la fontana detta dei delfini, successivamente trasferita ai giardinetti della stazione marittima,circoscrittadalpalazzoMontenegroquindidallabanchinae,sullatoovest,dal riferitoegiàparzialmenteridimensionatobloccoedificatoprospicentealmare.

Da: Parliamo di Brindisi con le cartoline 5 diG.CANDILERA,1985:

«...Lapiazza fu intitolataall’exministro deilavoripubblici Alfredo Baccarini,mortonel 1890,inriconoscimentoalsuoapprezzabileeconcretointeressamentoaiproblemidei trasportidellacittà...»

Edèdel1905lafotopanoramicadellaFig.7,cheriproduceillungomaretral’Albergodelle Indie Orientali ed il Castello di terra. In questa foto é ben distinguibile tutta intera la facciataestdelbloccoprospicentealmaregiàperfettamenteallineataconl’ultimopalazzo di via Montenegro, quello che anche se abbandonato e fatiscente é ancora in piedi a tutt’oggi. Mentre la foto della Fig.8, quasi contemporanea alla panoramica del 1905, mostra da più vicino parte della piazza Baccarini con la fontana dei delfini e parte della facciataestdelbloccoprospicentealmare.

Fig.6: Il lungomare -1915 Fig.7: Il lungomare -1905 Fig.8: La strada Marina: Al fondo piazza Baccarini con la fontana dei delfini -1908

Risale anche a quegli stessi ultimi anni dell´800, l’inizio della costruzione dei fabbricati sulla riva del seno di ponente a prolungamento delle Sciabiche verso il Castello di terra, siti su tre isolati contigui occupando la fascia di terreno compresa tra il lungomare e la strada Sdrigoli, poi via Lucio Scarano, che risalendo fino a Santa Aloy era stata aperta a prolungamentodellastradaSciabiche.

È infatti del 1890 la vecchia fotografia di A. Mauri della Fig.9, purtroppo pervenuta con scarsaqualità grafica, che mostra in primo pianopescatori sulle lorobarche a remi e sul fondo le Sciabiche con parte di quei nuovi fabbricati, costruiti sulla riva del seno di ponente a mo’ di prolungamento delle costruzioni preesistenti, facilmente identificabili allineatisull’estremodestrodellafotografia.

Piùchiara,edivent’annipiùrecente,èinvecelavisionechedelleSciabichesiottienedalla fotografiadellaFig.10,datata1910,chepresentaunapanoramicaabbastanzacompletadi tutte le case delle Sciabiche, quelle più vecchie e quelle al tempo della foto nuove, tutte sovrastatedall’imponentecomplessodellachiesadiSantaTeresaedaquellodellachiesa diSanPaolo,chenonsivedenellafotoperchénellaprospettivaèpiùadestra.

Quell’ultimacasasull’estremosinistrodellafotografiaerapresenteanchesullaprimafoto, quelladel1870–di40anniprima–edaltrononèchel’estremoovestdelgrandeblocco edificatoprospicentealmare.Trattasidiquelpezzoestremodelbloccochedovevaessere demolitosecondoilpianoregolatoredel1883,echeinveceresistevabenentratoil´900. UnamappadellacittàcherifletteperilrioneSciabicheleduenovitàdescritte,sialeprime demolizioni che i nuovi fabbricati, è quella datata 1916 elaborata a scala 1/4000 da A. Urbani,dallaqualeèestrattoildettaglioriportatonellaFig.11.

Si osserva chiaramente l’assenza del piccolo blocco fabbricato del Corpo Piloti e l’avvenutaparzialerettificadelgrandebloccofabbricatolacuifacciataest èoraallineata conviaMontenegro.Esiosservanoinuovifabbricati,ancoroggiesistenti,costruititrala banchina che dal 1919 si intitolerà all’ammiraglio Paolo Tahon di Revel e via Lucio Scarano.

Suquestamappadel1916éancheinteressanteosservarelapresenzasuviaLenioFlacco di una nuova costruzione isolata sulbordodellabanchina:non sitrattadiabitazioni, ma di un grande capannone di attrezzature marine militari legato alla stazione torpediniere cheinqueltrattodibanchinaoperòfindaprimadell’iniziodellaprimaguerramondiale–la stazione fu trasferita a Brindisi dopo il terremoto di Messina del 1908 e il capannone rimaseinpiediperunaventinad’annicirca,comelotestimonialasuapresenzanellafoto diFig.12,del1934.

In questa stessa foto datata 1934 non c’è più traccia del grande blocco fabbricato prospicentealmaresullabanchinadifronteaviaMontenegro,nédelrestovièpresenza di esso nelle numerose e piú ravvicinate fotografie del discorso che Mussolini tenne dal balcone del palazzo Montenegro l’8 settembredel 1934. Né, tantomeno è rappresentato nel pianodelledemolizioni delrione Sciabichedellostesso1934. Quel bloccofabbricato, quindi, deve esser stato demolito – foto de la Fig.13 – negli anni 20, probabilmente intornoal1924.

Finoallametàdeglianni30comunque,lastrutturaurbano-architettonicadelleSciabiche, escludendo la demolizione dei due blocchi fabbricati periferici al rione, di cui si é detto, nonavevasubitocambirilevantie,difatto,l’apparenza–Fig.12–chedalmaremostrava tuttoilcaseggiatochesisnodavalungolabanchinaespostaanordovesteragrossomodo lastessadiquellaripresainunafotografiadeiFratelliAlinaridatataintornoal1908.

Fig.9: Brindisi: Grande panorama generale dal mare - FotodiA.Mauridel1890 Fig.10: Panoramica delle Sciabiche -1910 Fig.11: Pianta della Città di Brindisi a Scala 1/4000 di A. Urbani -Dettaglio-1916

Daquellafotopanoramicadel1908éinfattiestrattoilparticolare,riprodottonellaFig.14, chemostralamaggiorpartediquellenumerosissimecasechefuronodemolitetrail1934 ed il 1936, quando si consumó la piú vasta delle campagne demolitrici che interessò la maggior porzione del quartiere e che, comunque, contrariamente a quanto previsto dal piano delle demolizioni riportato nella Fig.15, risparmiò un limitato settore di case, visibilenellafotodellaFig.16,compresotraviaMontenegroequellochediventòillimite estdellascalinataimperiale,costruitatralaampliataerisistematapiazzaSantaTeresaed ilnuovopiazzaleLenioFlacco.

Si può osservare, infatti, come il piano indicasse da demolire anche le case ubicate nel settorepiùaestechefuronoinvecetemporalmenterisparmiatenellapurvastacampagna demolitrice del 1936.Pertanto, quandonel 1959anche la lorodemolizione finalmente si consumò,sitrattodiunafinegiàpredestinatabenventicinqueanniprima.

Le demolizioni del 1936 interessarono invece tutte le case sciabbicote che, su piani di variaaltezzadegradantidapiazzaSantaTeresaedalargoSanPaoloalmare,esistevanoa quell’epocafinoalargoSdrigolieancheunpo’piùinlà,finoalpendioFontanaSalsacheè sullasinistradopogiàimboccataviaLucioScarano.

Poi il rione delle Sciabiche, con gli ultimi sciabbicoti le cui vestigie erano ancora tali da poter essere propriamente così denominati, svanirono per sempre nelle pieghe della storia di Brindisi in quel 1959, quando il piccone demolitore si abbaté inesorabilmente sulle ultime case fino ad allora risparmiate –Fig.17 – completando l’opera sradicatrice e imponendo al contempo agli ultimi pescatori ed alle loro famiglie di trasferirsi nell’appositocaseggiatocheerastatocostruitosull’oppostasponda:ilvillaggiopescatori.

L’affanno demolitore dell’ammodernamento aveva iniziato la sua inarrestabile avanzata sulle Sciabiche con l’inizio del ´900 quando tra i primi caseggiati designati non furono risparmiati né il palazzo dove era nato lo scienziato Teodoro Monticelli né quel che restavadell’immobilequattrocentescoappartenutoallafamigliadiPompeoAzzolino.

L’avanzata incontrò poi nuove energie, abbondanti ed incontrastate, inseguendo il miraggiodella ritrovatagloria imperiale durantela secondaparte delventennioe non si arrestó piú neanche dopo, riprendendo e completando l’opera demolitrice con gli albori delmiracoloeconomicoedellafantomaticaindustrializzazione–Fig.18.

Da: Brindisi Nuova Guida 6 diG.CARITO,1994:

«...Del quartiere delle Sciabiche permangono ormai, dall’insediamento della Marina Militare e sino alla banchina Montenegro, a ridosso del pianoro in cui sono i poli ecclesiastici di San Paolo Eremita e Santa Teresa, scarni relitti. Tali il reticolo tardo ottocentesco,aponente,allorchél’abitatosispinseindirezionedelcastellodiTerraegli edifici su via Azzolina; qui una casa con cavalcatoio documenta l’elevato sfruttamento dei suoli edificabili in un’area caratterizzata da stretti vicoli che, dai rialti di ponente, portavanoalmare...»

Da: Lo sventramento delle Sciabiche 7 diG.PERRI,2012:

«...Oggi, delle “Sciabiche” e degli “Sciabbicoti” non ci resta che un ricordo, piú o meno vagodipendendoperognunodinoidallapropriaetáanagraficaodallaluciditáconcui lanostramemoriaciriportaeciriproponequeidueterminiconiqualiinostrinonniei nostrigenitoricontinuarono,equalcunodiloropersinocontinuaancora,adidentificare rispettivamenteilrioneedisuoiabitanti...»

Fig.12: Panoramica dal seno di ponente con Monumento Stazione torpediniere e Sciabiche -1934 Fig.13: Caseggiati sul lungomare sradicati con le prime demolizione -1924circa Fig.14: Le Sciabiche nel 1908: Tratta del lungomare con i caseggiati demoliti tra 1934 e 1936

1 Pietro CAGNES e Nicola SCALESE Cronaca dei Sindaci di Brindisi dall’anno 1529 al 1787 e narrazione di molti fatti avvenuti in detta città

2FrancaPERRONEeAngelaGIOSA Le perle di Brindisi. Personaggi illustri brindisini,2008

3AngeloMAGGIeMaurizioMARINAZZO Brindisi negli Archivi Alinari,2011

4AlbertoDELSORDO Toponomastica brindisina del centro storico,1988

5GiuseppeCANDILERA Parliamo di Brindisi con le cartoline,1985

6 GiacomoCARITO Brindisi Nuova Guida,1994

7 GianfrancoPERRI Lo sventramento delle Sciabiche, 2012

Fig.15: Piano delle demolizioni delle Sciabiche -1934-Rapp.1:1000 Fig.16: Le Sciabiche: la fontana imperiale, la risistemata piazza S. Teresa e il piazzale L. Flacco Fig.17: La demolizione delle Sciabiche: Ultimo atto -1959 Fig.18: Le tre ondate demolitrici delle Sciabiche

“La motobarca del Casale: tra attualità e storia”

Pubblicato su SenzacolonneNews il7 Magazine del 14 settembre 2018

Finalmente, dopo “soli” quattro anni circa di sospensione, sta per essere ripristinata la tradizionale fermata della motobarca ai piedi della scalinata del Casale: un’interruzione iniziataperdarespazioailavoridiristrutturazionedellabanchinaduratiunpaiod’annie poi prolungata, anzi ed incredibilmente raddoppiata, a causa di un banale ed imperdonabile errore di progettazione che ha impedito il naturale attracco della motobarca e ha indotto alla costruzione di un nuovo costoso pontile galleggiante, originalmentenonprevisto.Pazienza,ormaicisiamo…quasi!Propizia,quindi,l’occasione perraccontareunapaginaabbastanzaoriginale,distoriabrindisina.

Ilpopolarissimoservizioditraportopasseggeriviamarenelleacqueportualiinternedel porto di Brindisi, all’attuale operatore - la Società Trasporti Pubblici di Brindisi STP - fu formalmente affidato dal Comune nel novembre 2001, determinando quell’atto amministrativoildefinitivopassaggiosottoilcontrollodirettodellacittàdiBrindisidello storico servizio pubblico che durante tanti secoli aveva ininterrottamente operato ‘in concessione’ sul mare del Seno di Ponente, tra la banchina del quartiere marinaro delle Sciabicheel’oppostaspondadelCasale.

La STP infatti, è la società di capitale pubblico proprietà del Comune di Brindisi e della ProvinciadiBrindisicheoperal’interotrasportopubblicourbanonelComunediBrindisi. Fondata nel 1969 con il nome di Azienda Municipalizzata Autotrasporti Brindisi AMAB, nel1975assunseilnomeel’assettoazionarioattuale.

Prima delnovembre2001e per circa una settantina d’anni,ilservizioditraghettamento tra Brindisie il Casale era statovia via gestitoda tutta una serie di individui e di società private da quando, nell’anno 1931, il comandante del porto Silvio Fontanella, aveva segnalatol’incompatibilitàlegaledell’esclusivitàdeltraghettamentomantenutapersecoli da parte della Mensa Arcivescovile di Brindisi; una incompatibilità poi ratificata dall’Avvocatura dello Stato che ritenne tale diritto ‘non provato’. L’allora arcivescovo Tommaso Valeri, protestò prontamente presso il Procuratore di Bari ‘il procedere lesivo pergliinteressidellaMensaArcivescoviledapartedelcomandantedelportodiBrindisi’ ma, nel dicembre dello stesso anno, la Direzione Generale della Marina Mercantile, riconfermò la piena libertà di circolazione nel porto e quindi, la conseguente inconsistenzadelpretesodirittoesclusivodellaMensaArcivescovile.

Decaduta quindi quell’esclusività, il servizio si fu gradualmente diversificando e privatizzando finché, nell’anno 1958, la società cooperativa ‘Contramare’, proprietà di Guadalupi, Gigante, Piliego e De Marco, commissionò alla SACA la costruzione di tre motobarche - Giuseppina, Annamaria e Augusto - che furono adibite alla prestazione del servizioa visitatori e abitanti di Brindisi. Qualche annodopo, nel 1962, la cooperativa fu rilevata da Cosimo Gioia che la liquidò sostituendola con la C.C.I.A.A. ditta individuale di suaproprietàchegestìalungoilservizioBrindisi-CasaleconuncontributodelComunea copertura del disavanzo sul costo del biglietto. Nel 1978, la società passata in proprietà allafigliadiCosimoGioia,Elena,fuliquidataesostituitadallasocietà‘Casalmare’chepoi, nel 1994, fu assorbita dalla nuova società ‘Brindisi mare’ che fu quella che mantenne la concessionedelservizioconilrelativocontributocomunalefinoatuttoil2001.

La motobarca del Casale dal 2001 La motobarca del Casale negli anni 90’

Macos’era,incheconsistevaedaquandoerastatoinvigore,queldirittodiesclusivitàdi traghettamento di cui aveva usufruito la Mensa Arcivescovile di Brindisi durante secoli? Ebbene, a tale propositobisogna cominciare con il premettere che il servizio regolare di traghettamento Brindisi-Casale sicuramente sorse - in principio, anche se comunque senza mai escludere altri usi civili - legato ai continui pellegrinaggi che avevano come metalatrecentescachiesadiSantaMariadelCasale.

Eventualmente,nonrisultandodocumentatounqualcheanticoattolegaleformalechelo avesse concesso in forma esplicita, quel diritto di servizio di trasporto fu ritenuto esclusivodapartedellaMensaArcivescovile,inragionedelfattochelostessosioriginòin tempiincuitralacittàedilCasale,difattocompletamentedisabitato,erausufruitoquasi esclusivamentedaipellegrinichesirecavanopressolaChiesadiSantaMariadelCasale:

«… La genesi della chiesa, ai margini di un frequentatissimo itinerario quale quello costituitodall'AppiaTraianaenondistantedallecaleportualidiponenteincuieraampia disponibilità d'acqua dolce, si determina nell'avanzare della linea dei coltivi che caratterizza il XIII secolo… Lo sviluppo di Santa Maria va dunque intrecciato con quello dellafortunadellagrandeviadeipellegrini,dellafrequentazionedellecaleportualivicine e dello sviluppo dell'abitato, in cui non dovevano mancare strutture d'ospitalità, cui ineriva. Ospizi o ospedali per i crocesignati o i pellegrini diretti in Terra Santa erano ovviamentelungoilgrandeitinerariocheavevaunosnodoessenzialeneiportipugliesie fraquesti,inparticolare,Brindisi.Frequentisonoletraccelasciatenellachiesadaquanti sidirigevanootornavanodallaPalestina…»[G.Carito,2010]

Anche se certamente ne esistono di precedenti, il riferimento esplicito più antico che ho reperito in relazione al servizio di traghettamento tra Brindisi e il Casale, risale al 1568, anno in cui l’arcivescovo di Brindisi Giovanni Carlo Bovio (1564-70) cedette la chiesa di SantaMariadelCasaleeannessifabbricatiaifratiMinoriOsservantidellaprovinciadiSan Nicola, i quali il giorno 26 aprile vi piantarono la croce dando inizio alla fabbrica del monastero,chefupoicompletato,fra1635e1638,daifratiMinoriOsservantiRiformati, subentratiaipriminel1589.

Tral’arcivescovoeilprovincialefrateLorenzodaTricase,inquel1568,siconvenne:“Lo arcivescovodiBrindisidaetconcedeinperpetuoallifratidiSanFrancescoosservantila chiesadiSantaMariadelCasaleposta foradellacittàdeBrindisiqualèdell’Arcivescoval Mensaconliedificijdicase ettorreetconlogiardeno eterrenoadiacenteetcontiguiad essa Chiesa con li patti conditioni […] Item si reserva la barcha de Santa Maria et il draghetto del portu chiamatu il varcaturo”.

Il padre Bonaventura da Lama nella sua [Cronica… Lecce, 1724] rileva che, comunque, inizialmente i Padri Osservanti ricevevano una grossa limosina di ducati 90 per l’affitto della barca che tragitta i passeggieri epoi,quandosiriformarono,sicontentaronodisoli 24ducati,rinunciandoalrestoafavoredellaMensaArcivescovile.

Unaltroimportanteriferimentoesplicitoaltraghettamento,losiritrovanelclassicotesto sullastoriadiBrindisi,notoriamenteplagiatodalpadrecarmelitanoAndreaDellaMonaca edaquestifattodareallestampenel1674:

«…Sicelebraogn’annoindettachiesaalliottodisettembrelasolennitàdellanascitadella Vergine, e vi è una fiera competente, ma il concorso della gente forestiera è grande, che rendelafestapiùcelebre.Ilcaminoordinariochesifaperandarealladettadevotione,eal monasterio de’ padri, parte è per mare, e parte per terra; per mare perché bisogna

passare tutta la larghezza del corno destro del porto interiore, che è di duecento cinquanta passi, per il che vi sono molte barche in quel giorno ornate di tendali, e bandiere per fine dicondurre, e ricondurre le genti dall’una, e l’altra riva, aggiungendosi permaggiordilettode’spettatorilavistadell’emulationegrandecheètramarinari,ch’in vogaarrancators’affatiganogliunipersuperargl’altrinellaprestezzadelviaggioperfar maggior guadagno; oltre la barca ordinaria fatta à modo di scafa, che vi tiene tutto l’anno l’arcivescovo, essendo ciò sua giurisdittione per far traggitto delle genti che vanno à lavorare i campi, che sono di là del mare;sivàancoperterra,poichéuscendosidallabarca èdibisognocaminarepergiongerealmonasteriode’padripassiottocento,perunastrada amena,spalleggiatadall’ombredellesiepi,dellevigne,de’giardini,ed’oliveti,chevisono dall’una, e l’altra parte del camino. Si può andare anco sempre per terra senza toccar mare,mailviaggioèunpocopiùlungo,ealquantofaticoso.»

All’anno1722invece,risaleundocumentonotarilecompilatodalnotaioGiuseppeMatteo Bonavoglia su incarico dell’arcivescovo di Brindisi Paolo De Vilana Perla, nobile della CatalognanativodellacittàdiBarcellona.IldocumentoèunaPateaditutteleentrate,cioè ilredditodell’arcivescovo,dabenimobiliedimmobilietassazioni.Ebbene,fra leentrate figura l’esercizio di traghettamento nel porto con la “Barca di Santa Maria” tra le due spondedelsenodiponente,traBrindisiinrivaSciabicheeilCasale,localitàS Maria.

Un altro riferimento al monopolio del traghettamento Brindisi-Casale è contenuto nella ‘CronicadeiSindacidiBrindisidall’anno1529al1787’diPietro CagneseNicolaScalese. Dopolatrentennale(1714-1734)parentesidelgovernoaustriacosulregnodiNapoli,con l’avvento di Carlo Borbone sul trono, a Brindisi erano sorte serie tensioni tra i pubblici amministratoricivili,glieletticonsiglieriilsindacoeilgovernatoredaunaparte,eilclero nella persona dell’arcivescovo Andrea Maddalena, napoletano, dall’altra e le tensioni accumulate siconcretizzaronoin occasione dialcuni episodispecifici, unodei quali ebbe alcentrodelladisputaproprioiltraghettamentoalCasale:

«Ilgiorno11settembre1738,ilsindacodiBrindisiTomasoCantamessa,radunònelSedile il parlamento cittadino e decretò decaduto il diritto del quale godeva l’arcivescovo relativo allo ‘jus prohibendi per la barca del Casale’, una concessione dalla quale a quel tempo l’arcivescovo otteneva, affittandone il diritto, da 60 a 70 ducati l’anno». Il decreto cittadino fu immediatamente impugnato e rimesso ai tribunali e, a proposito di quel litigio, nell’Archivio di Sato di Brindisi [III, B-1-1-XXVII, a. 1738] riposano gli atti che citano«…unapiccolagabellaperloJusbarcagniseudell’imbarcaturo,pertrasportare,seu passare con la barca, seu scafa tutte le genti che vogliono passare da una banda all’altra; tanto per andare alla Chiesa di Santa Maria del Casale de Padri Riformati, quanto per andare alle loro Masserie, giardini e territori e loro beni,tenendoviunasuabarcaseuscafa propriadellasuaMensaArcivescovilechel’affittapertriennio…»

Allafinediquellitigio,siritornòallostatusquo,percuil’arcivescovodiBrindisicontinuò - durante altri 200 anni - a riscuotere per quella concessione. Ancora nel1923, infatti, il canonicoSalvatorePolmone“concedeinlocazioneaTeodoroPiliegoil diritto di passaggio che la Mensa Arcivescovile possiede per il trasporto delle persone e delle merci dalla sponda delle Sciabiche nel porto di Brindisi, all’altra opposta di Santa Maria del Casale” [Archivio Storico Diocesano, Brindisi, Fondo Amministrazione, Serie Mensa Arcivescovile, cart. 40, fasc.2] EforsequellalocazionealPiliegosirinnovòpropriofinoaquell’anno1931,incui intervennea “scompigliarelasecolarefaccenda“ilcomandanteSilvioFontanella.

La motobarca del Casale negli anni 60’ La motobarca del Casale nei primi anni 50’

Quanti Brindisini sono esistiti nel corso della storia? “ 2.536.733

Pubblicato su Senza Colonne News dell'8 dicembre e il7 Magazine del 14 dicembre 2017

Bellaesimpaticadomandavero?Saràmaipossibiledareunarispostaattendibile a questo quesito? Magari si, o forse no. Eppure, io ci voglio provare. Tanto, e comunque,credosaràinteressante-ecertamentedivertente-tentarlo.

Indubbiamenteildatofondamentale-pernullafaciledareperire-dacuipartire è quello relativo all’evoluzione - nonché spesso involuzione - demografica che ha caratterizzato la città di Brindisi nel corso dei secoli, anzi dei millenni della sua esistenza. Ma non sarà sufficiente: sarà anche necessario dare risposte plausibili a tuttaunaseriedidomande:

QuandocominciòadesistereBrindisi?Qualeful’aspettativadivitaneltrascorso dei secoli? Quante furono negli anni le donne feconde brindisine? E quanti figli procreòognidonna?Insomma:quantiBrindisinisononatiinognunodeitremilaanni incuiBrindisièesistita?

Ebbene, sarà proprio la risposta a quest’ultima domanda che permetterà finalmenterisolvereilquesitofondamentale:basteràinfattisommareiBrindisininati perogniannoedilrisultatodellasommasaràilnumerototalediBrindisiniesistitinel corsodellastoria!Facile,vero?

Per stabilire la data di fondazione di Brindisi bisognerebbe addentrarsi nelle tante leggende che raccontano della nascita di Brindisi e comunque, si può ben anticipare che in fondo non è questo un dato importantissimo ai fini del risultato numerico da raggiungere: in effetti, al principio di tutto, i popolatori di Brindisi saranno stati certamente molto pochi, così pochi da non incidere granché sul valore del risultato agognato. Quindi - per farla breve - se Brindisi fu fondata da Ercole, vissuto prima della guerra di Troia e quindi prima di 1200 anni avanti Cristo, sarà abbastanzaaccettabilefissareintorno a1000 anni prima diCristoladatainizialedel conteggio.

Eadessoilquesitofondamentale:qualel’evoluzionedemograficadiBrindisinei secoli?Ovviamentenonpossonoesisteredatiserialiperisecoliiniziali,mapurtroppo neppureneesistonoperi secolidellaBrindisimessapica -tral’VIIIed ilIIIa.C.-fino alla conquista romana del 267 a.C. e così, solo la probabile estensione fisica del perimetro urbano messapico suggerita dagli archeologi può indurre a una qualche stima demografica approssimativa. Poi, finalmente, è storicamente documentato che nel 244 a.C. a Brindisi fu dedotta dai Romani una colonia di 6000 individui, con cui eventualmentesiduplicòlarealepopolazionedell’urbe.

Seguirono gli anni dell’eccezionale e vertiginoso incremento dell’importanza e centralitàdellaBrindisiromana,un’importanzastrategica,militareecommerciale,che stimolò un’evoluzione straordinaria - che certamente interessò anche l’ambito demografico - che iniziò nei secoli della repubblica e che si protrasse fino agli anni ancoradoratidell’impero.

Intorno all’anno 9 d.C. Augusto riorganizzò amministrativamente l’Impero Romanoedilterritorioitalianofudivisoin11regioni:laPugliafulaRegioII, Apulia et Calabria, quindi subito dopo la Regio I Latium et Campania. “Brindisi era in pieno splendore,certoilcentropiùgrandedellaRegioII,concirca50000abitanti…”(Puglia Antica-A.Sirago,1999).

Inseguito,BrindisiinevitabilmenteseguìlafortunaeladecadenzadiRomaedel suo impero ed è quindi naturale immaginare un progressivo e sostanziale calo della popolazione già a partire dai primi anni del IV secolo, per così decrescere fino a una popolazione che intorno all’anno 400 dovette essere di circa 15000 abitanti. “Il circuito delle mura di Brindisi in età tardo antica fa pensare ad una città di circa quindicimila abitanti...” (Lo stato politico economico di Brindisi dagli inizi del IV Secoloall’anno670-G.Carito,1976).

Nel 476 cadde formalmente l’Impero Romano d’Occidente, e poi venne la ventennale guerra gotico bizantina alla cui conclusione, nel 553, la popolazione di Brindisi si era già ulteriormente ridotta, a circa soli 4000 abitanti. Seguirono gli anni dellaesosacorrottaelabiledominazionebizantina,chespostòsuOtrantoilbaricentro politico militare e commerciale della Terra di Otranto, accelerando con ciò la decadenzaelospopolamentodiBrindisi,unadecadenzachesiprolungòesiaccentuò fino alla conquista, con conseguente distruzione, della città da parte dei Longobardi, nel674,quandoBrindisirimase,difatto,quasideltuttospopolata.

“Ladocumentazioneepigraficadàlacertezzacherimaseroaimarginidellacittà solo pochi gruppi di Ebrei, parte stabiliti nella zona detta Giudea e parte presso l’attuale via Tor Pisana. Qualche altro sparuto gruppo di cittadini si stabilì intorno al vecchio martyrium diSanLeucio.ILongobardi,distruttaBrindisi,fecerodiOriailloro più forte caposaldo in Terra di Otranto. Fu allora che Oria fu eletta come sede dei vescovibrindisinieanchequeltrasferimentodell’episcopatoindical’abbandonodella città. Un abbandono ulteriormente confermato dalla quasi totale mancanza di riferimenti a Brindisi nelle fonti dell’VIII secolo...” (Lo stato politico economico di BrindisidagliInizidelIVSecoloall’anno670-G.Carito,1976).

Fino all’incipiente rifondazione bizantina di qualche secolo dopo - tra fine X secoloeinizioXI-lapopolazionebrindisinadovetterimanereprossimaalminimoed è comunque difficile reperire dati utili sul possibile andamento demografico fino a dopo la conquista normanna del 1071, quando finalmente si cominceranno a incontrare alcuni elementi utili per una qualificazione approssimativa. Poi, nei primi decenni del secolo XIII, la decisione di Federico II di allargare la cinta muraria cittadina, probabilmente ripristinando l’antico tracciato del municipio romano, fa ipotizzare una maggior crescita della popolazione durante la dominazione sveva, specificamentenelcorsodellaprimametàdelsecoloXIII.

“Nel 1269, con gli Angioini appena insediati sul trono di Napoli, l’inchiesta condotta su un omicidio fece riferimento - per stabilire l’ammontare della multa da imporre alla città - all’esistenza a Brindisi di circa 1000 fuochi e così, adottando un moltiplicatore di 5 per i nuclei familiari, si deduce che il numero degli abitanti di Brindisi doveva attestarsi, in quegli anni del XIII secolo, sulle 5000 unità, un numero che potrebbe rappresentare l’apice del trend positivo iniziato con la conquista normanna.Poi,negliultimidecennidellostessoXIIIsecolo,cifuunanuovainversione di tendenza che seguì alle convulsioni politiche legate alla cruenta transizione dagli Svevi agli Angioini, alla guerra dei Vespri, alla diffusione della peste nera in città, eccetera...”(Ilmedioevonellecittàitaliane:Brindisi-R.Alaggio,2015).

Infatti, un nuovo minimo puntuale caratterizzò la popolazione di Brindisi nell’anno 1465, quando - con i re aragonesi succeduti sul trono di Napoli - giunse in cittàilcontagiodelladevastantepesteeuropeaelapopolazionesiridusseall’ordinedi

circa 3000 anime. Poi, nel 1496 è documentato esserci in Brindisi 4000 abitanti: lo relazionò il governatore veneziano Priamo Contarini quando, il 30 di marzo in nome del doge, ricevette la città consegnatagli in pegno dal re Ferrandino per l’aiuto ricevutonellosventarel’invasionedelfranceseCarloVIII.

Con l’estromissione definitiva dei monarchi aragonesi da Napoli e dalla Sicilia, nel1509ebbeinizioillungo-bicentenario-periodovicerealespagnolo.EperBrindisi quelbicentenariononiniziòcertonelmiglioredeimodi:

“Nelmesedilugliodel1526,lapestefeceritornoaBrindisi,dicertointrodottae favoritadalletantetruppespagnolechevisiavvicendavanodicontinuo,transitandovi e soggiornandovi in condizioni igieniche del tutto deprecabili. Ad agosto del 1528, nell’ambitodellaguerracombattutaperlanominadelsacroromanoimperatoretrala SpagnadiCarloVelaFranciadiFrancescoI,BrindisifuattaccatadaSimoneTebaldo, generaleromanocomandantedi16000soldati,trafrancesivenezianiepapali.Lacittà fu costretta ad arrendersi e, quando Tebaldo fu fortunosamente abbattuto da un proiettile, venne saccheggiata dalle soldatesche allo sbando, che poi si ritirarono. In quellostessoanno, il 20novembre1528, unadelleduecolonne romane cheavevano sfidato per tanti secoli le intemperie dei tempi e degli uomini, cadde senza un’apparenteragione…”(Brindisinelcontestodellastoria-G.Perri,2016).

E il1529èl’annodi iniziodella Cronaca dei Sindaci di Brindisi dal 1529 al 1787 scrittadaPietroCagneseNicolaScalese,nellaquale-oltreatant’altro-sipuòseguire l’andamento demografico della città, l’aumentare ed il diminuire della popolazione nell’arco di quei circa 250 anni, in rapporto all’economia e al traffico portuale in particolare, che la città ebbe con alterne vicende, per fatti di guerra, per inclemenze del clima, per flagelli vari e per l’impantanamento delle acque intorno alla città e nel porto:

Si può notare come per il 1531 la popolazione era precipitata a un nuovo ed accentuatominimodicirca2000abitanti-400fuochi-unminimodaallorainavanti mai più toccato, giacché il minimo seguente fu di 5000 abitanti e fu riportato per gli anni1780e1789:primadaA.Pigonatinellasua“Memoriadelriaprimentodelporto diBrindisi” epoida K.U. VonSalisMarschlins nel suo"Viaggioattraversoilregnodi Napoli".

Il massimo, invece, durante il viceregno spagnolo si toccò nel 1618, con 10000 abitanti distribuiti su un totale di 2000 fuochi. Nel 1618, a Brindisi il governatore spagnolo era il capitano Pedro Aloysio De Torres e la città si era decisamente ripopolata, grazie anche alla sua buona amministrazione: molto probabilmente il miglior governatore che Brindisi ebbe in tutto il bicentenario vicereame spagnolo. Aloysio De Torres è infatti ancora ben ricordato a Brindisi per aver affrontato il problema della sempre più critica carenza d’acqua - responsabile di frequenti epidemie-progettandounacquedottochefecerealizzareconilcontributomonetario dei cittadini abbienti ed il cui emblema fu la fontana monumentale posta e tuttora funzionante,nellapiazzaMaggiore,poipiazzaMercatoedorapiazzaVittoria.

IdatidemograficiriportatinellaCronacadiCagneseScalese,apartiredall’anno 1744 sono anche confrontati con quelli degli Status Animarum. Nella Biblioteca arcivescovile Annibale De Leo di Brindisi, infatti, sono conservati i registri degli Stati delle Anime di Brindisi degli anni dal 1744 al 1850, quando quello di Napoli era già diventato - nel 1734 - un regno indipendente: il regno borbonico di Napoli, poi delle Due Sicilie. “Il libro delle Anime di Brindisi nel 1754” curato da Loredana Vecchio e pubblicato nel 2012, illustra molto bene tipologia caratteristiche di quei registri demograficiannualmentecompilatidall’arcivescovato.

Ilminimogiàsegnalatodell’ordinedei5000abitantitoccatointornoaldecennio tra 1780 e 1790, fu poi nuovamente sfiorato nel 1830: sono gli anni in cui, dopo il clamoroso fallimento dell’opera di risanamento del porto realizzata dal Pigonati, la situazioneeconomicasocialesanitariaequindidemograficadellacittàeraripiombata a livelli di criticità assoluta, con le morti superando per vari anni consecutivi le nascite. Lo documentarono dettagliatamente Giovanni e Francescantonio Monticelli, coadiuvati da Benedetto Marzolla, in una serie di ben tre memorie indirizzate al re Ferdinando IV nel tentativo - finalmente e per fortuna riuscito - di scongiurare per Brindisi la già decretata condanna alla sparizione dalla mappa d’Italia (Memoria in difesadellacittàedelportodiBrindisi-F.A.Monticelli,1833).

“Altri andranno alla ricerca dei testi poetici o epigrafici in cui sono descritte le ansie, le sconfitte o le vittorie degli abitanti di questa città che un giorno fu condannata allo spopolamento e che invece vinse l’appello, e la condanna non fu eseguita, percuiancoraun popolola abita” (CronacadeiSindacidiBrindisidal1787 al1860-R.Jurlaro,2001).

Nel1860ilregnodiNapolifuannessoalregnodi Sardegnapercosìintegrareil nuovoregnod’Italiaincui,apartiredal1861,sirealizzaronoconfrequenzadecennale i censi della popolazione, che continuano a realizzarsi tuttora integrati annualmente daidatidell’Istat.

Brindisi entrò a far parte del regno d’Italia con circa 9000 abitanti e la popolazione non smise di crescere tra ogni censo decennale ed il successivo: dopo cinquant’anni-nel1911-25692abitantiedopocento-nel1961-70657abitanti.Poi, nel1991siraggiunseilmassimoassolutodi95383abitantiperridiscenderea88212 nelcensodel2011,quellodei150anni.

L’ultimodatoIstat,perl’anno2016,indicaaBrindisiunapopolazioneancorain franca diminuzione, a 87820 abitanti. Un fenomeno, invero, italiano e non solo brindisino: è infatti di questi giorni, la notizia che nell'arco di otto anni, dal 2008 al

2016, le nascite in Italia sono diminuite di oltre 100mila unità e che nel 2016 sono statiiscrittiall'anagrafeoltre12milabambiniinmenorispettoal2015.

ABrindisi,lenascitenel2015sonostate655controle709del2014.Malemorti nellostesso2015sonostate850conquindiunsaldonegativodi195edèapartiredal 2012cheaBrindisi,quindipergiàbencinqueanniconsecutivi,ilnumerodimortiha superato il numero dei nati: non era mai più accaduto da quel lontano e certamente triste1832

A questo punto, dopo aver affrontato il tema dell’evoluzione demografica brindisina,perpotercompletarel’algoritmodelineatoperilcalcolodelnumerototale dei nati aBrindisinelcorsodellastoria, bisogna considerareilpunto dell’aspettativa di vita e quello della fecondità delle donne brindisine. Per far ciò, bisogna assumere alcuneipotesi,inbaseaconoscenzeeffettivequandodisponibilie,perilresto,inbase asupposizionichesianoilpiùpossibilerazionali.

L’aspettativa di vita è noto essere in continuo aumento, secondo un fenomeno che, a parte le puntualità legate a contingenze storiche, sembra sia stato abbastanza continuo nella storia intera dell’umanità. Ed è in effetti risaputo che i nostri nonni e bisnonni avevano una aspettativa di vita inferiore alla nostra. Così come si sa, che qualchesecolofa,l’etàmediafinoallaqualesicampavaerasostanzialmenteinferiore all’attuale, e così via: al tempo dei dominatori romani, ad esempio, era poco comune chesisuperasseroi50annidivitaedèimmaginabilecheancorprima,gliuominiele donnevivesseroancheparecchiomeno,forseinmediatra30e40anni.

In quanto alla fecondità delle donne, deve considerarsi che l’età “sociale” della fecondità nel passato coincideva di fatto con l’età biologica della fecondità e quindi iniziava all’incirca ai 15 anni. Poi, a partire dal secolo XIX o XX, quell’età iniziale “sociale”ancheaBrindisièandataaumentandogradualmentefinoagliattuali25anni. Pertanto, la durata degli anni di fecondità effettiva delle donne brindisine, può forse considerarsiessererimastainmediapressochécostanteneisecoli,intornoai20anni: dai15ai35inpassatoedai25ai45nell’attualità.

E allora, quanti - nei vari periodi della storia - sono stati i figli che ogni donna brindisina ha partorito durante quei suoi venti anni di fecondità sociale? Per l’epoca attuale i dati statistici del tasso di fecondità indicano valori ormai da molti anni inferiori a 2 figli per ogni donna, con una chiara tendenza a diventare sempre più bassi:nel1950iltassonell’Italiameridionalefu2,3-nel1960fu2,1-nel1970fu1,7nel periodo 2005-2010 il tasso fu 1,38, al 174esimo posto su un totale di 195 paesi, conintestailNigerconuntassodi7,19.Peril2016infine,iltassodifeconditàitaliano fu1,26enell’Italiameridionale1,27.

Per le epoche anteriori però, naturalmente e purtroppo, non sono disponibili statistichedemograficheepertantononrestacheaffidarsiall’intuizionerazionale,ben sapendo che il tasso nell’antichità deve essere stato via via superiore, con limiti superioriprobabilmentecompresitra5e7.

Ebbene, a questo punto e con l’ausilio di excel, il calcolo è bell’è fatto: per ogni anno, dalla popolazione totale e dall’aspettativa di vita femminile si ottiene la popolazionefemminileinfeconditàsocialeche,combinataconiltassodifeconditàedi venti anni di durata della fecondità sociale, permette calcolare il numero di nati per ognianno,equindiperognunodegliintervalliconsiderato.Poi,basteràsommaretutti inatidiogniintervalloesiotterràproprioilnumerototaledeinatiaBrindisi(cioèdei Brindisini)esistitiintuttoilcorsodellastoriadellacittà.Quanti?Latavolaexcelindica pocopiùdi2milioniemezzo…all’incirca!

Certo, lo so, troppe imprecisioni, troppe supposizioni, troppe licenze non autorizzate. Ma non importa, tanto il calcolo lo si potrà sempre rifare, migliorandolo, modificandolo e correggendolo sulla base di nuovi o più attendibili elementi, siano essirelativiaidatioallesupposizioni.Esaràmiacurapresentarne,ognivoltachene varràlapena,lacorrispondenteattualizzazione.

Ah!

Un’ultimanotaancora:il21settembre1951nacqueilbrindisinonumero2.470.151:“io”.

gianfrancoperri@gmail.com 1° dicembre 2017

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BRINDISI “filia solis"

Nella parte più a nord del Salento è situata Brindisi, città antichissima crogiolo di culture e teatro di vicende entrate a buon diritto nei manuali della grande storia, città nobile e antica che secondo alcuni si dovrebbe chiamare Brunda. È noto a tutti che questo nome significa testa di cervo, non in greco o latino, ma in lingua messapica, il porto di Brindisi ha infatti la forma di una testa di cervo, le cui corna abbracciano gran parte della città. Il porto è famosissimo in tutto il mondo e da ciò nacque il proverbio secondo cui sono tre i porti della terra: Iunii, Iulii, et Brundusii. La parte più interna del porto è cinta da torri e da una catena; quella più esterna la proteggono gli scogli da una parte e una barriera di isole dall'altra: sembra l'opera intelligente di una natura burlona, ma accorta. La costa, che dal monte Gargano fino a Otranto è quasi rettilinea ed incurvata in brevi tratti, nei pressi di Brindisi si spacca ed accoglie il mare, formando un golfo che si insinua nella terra con uno stretto delimitato, come già detto, dalle torri e dalla catena. Un tempo, questa stretta imboccatura era profondissima e poteva essere attraversata con navi di qualsiasi grandezza.

Da questo stretto, il mare si riversa per un lungo tratto dentro la terraferma attraverso due fossati naturali che circonvallano la città; è sorprendente, soprattutto nel corno destro, la profondità del mare che in qualche punto, dicono, supera i venti passi. La città ha all'incirca la forma di una penisola, tra i due bracci di mare. Sul corno destro, ha una fortezza di straordinaria fattura, costruita con blocchi di pietra squadrata per volere di Federico II, e poi ha il castello Alfonsino, il Forte a mare dei brindisini.

Brindisi è cresciuta sul più orientale porto d'Italia che ne ha determinato il destino. Le colonne terminali della via Appia, specchiandosi dall'alto della loro scalinata nelle acque del porto interno, vigilano su quella che la tradizione vuole come l'ultima dimora di Virgilio. E poi Brindisi cela tantissimi altri frammenti di storia, le cui testimonianze sono ancora leggibili nel tessuto urbano, attraverso itinerari che si devono percorrere per ammirare l'eleganza dei suoi numerosi palazzi, le maestose dimore dei Cavalieri Templari, la ricchezza del suo patrimonio chiesastico e da ultimo, per scoprire l'essenza autentica della città che il grande Federico II definì "filia solis", esaltando la mediterranea solarità di questo straordinario avamposto verso l'Oriente.

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