SPECIALE PIANA DEL SELE

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allegato al numero odierno de Il Ma no a cura PIEMME

SELE

SPECIALE

a n a i la p del

una favola a raverso le tradizioni


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Sessantaquattro chilometri fra i monti dell’Irpinia ed il Salernitano, il percorso del fiume Sele lungo le cui sponde sono nate vissute tre civiltà che hanno lasciato segni ancora evidenti delle loro conquiste

Il fascino della natura e della storia

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Ecco la terra delle meraviglie

Pianure, oasi, coste e mare il territorio amato dai Greci

a piana del Sele che prende il nome dall’omonimo fiume che la a6raversa è una delle zone più interessan5 dell’intero Mezzogiorno d’Italia. Il Sele, è uno dei fiumi più importan5 del versante 5rrenico per ampiezza del bacino e per numero di affluen5. Nasce in Irpinia, dal monte Paflagone e, dopo un percorso di 64 chilometri tra zone montuose e collinari dalla florida macchia mediterranea, raggiunge la foce a6raversando un’ampia e fer5le pianura alluvionale conosciuta, appunto, come Piana del Sele. Lungo il suo margine corre per circa 40 chilometri una delle più belle coste 5rreniche italiane, un litorale che, da Salerno ad Agropoli, ospita numerose località d’indubbio valore archeologico e culturale. L’eterogeneità e la vas5tà di questa ricca regione del Salernitano rappresentano un punto di forza: le col5vazioni estensive della piana, i boschi e pascoli naturali delle zone montuose dell’alto e medio Sele cara6erizzano un territorio di grande a6razione. Ed ad accorgersene furono per primi i greci che vi fondarono una delle loro più importan5 colonie le cui ves5gia, imponen5 ed altere,

sfidano ancora oggi il trascorrere dei secoli. Un tempo terra malarica e paludosa, dal 1800 in poi fu interessata da ripetute opere di bonifica. La costruzione della diga – sbarramento a Persano e l’introduzione di una fi6a rete di canali d’irrigazione hanno contribuito a rendere fer5le e ricco il terreno, favorendo così lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, a7vità che hanno reso possibile il rilancio economico dell’intero territorio. Ma la Piana del Sele non è solo pianura verdeggiante, è principalmente un territorio di grande a6razione per l’interesse naturalis5co, storico e archeologico dei paesi che lo popolano. Qui la tradizione è fonte di ricchezza e sinonimo di cultura e genuinità. Ciò si riscontra anche so6o il profilo enogastronomico grazie alla presenza di una vasta gamma di prodo7 5pici, rispe6osi delle più an5che tecniche di col5vazione e produzione e per questo dalle cara6eris5che uniche ed inconfondibili. Pontecagnano, Bellizzi, Ba(paglia, Eboli, Albanella, Altavilla Silen&na, Serre, Campagna, Paestum, Agropoli sono tu7 paesi, ci6à, dove si ritrovano cultura, tradi-

zioni, genuinità e accoglienza. La tradizione e l’amore per la propria terra non ha però impedito ai popoli di questa Piana di proie6arsi nel futuro. Ed è stata una proiezione intelligente, fa6a di inizia5ve imprenditoriali che mai hanno snaturato le ricchezze che forniva il territorio, riuscendo a trarre da esso una ricchezza e occasioni di lavoro come in pochi altri pos5 d’Italia. Iniziamo questo viaggio dalla parte terminale di un fiume che ha cara6erizzato questa terra, l’ha resa fer5le, ha preteso rispe6o ed è stato implacabile con le sue esondazioni quando la mano dell’uomo ha cercato di forzarne la natura. In tu7 i casi è stato un padre benigno che nel corso dei secoli ha elargito ricchezza, prosperità e cultura.


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Sulla strada per Serre l’apoteosi dell’ambiente

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Nel bacino ar&ficiale vive ancora la lontra ed in primavera arrivano gli aironi scendo dall’autostrada a Campagna e inoltrandosi all’interno verso il Comune di Serre, si può incontrare il fiore all'occhiello del Wwf Italia: l’oasi di Persano. Il suo animale simbolo è la lontra che si cela dentro il bosco di pioppi e salici che fiancheggia il Sele. L'Oasi di Persano è cos5tuita da un bacino ar5ficiale lungo il fiume Sele,ed ha una estensione di circa 300 e6ari e ricade in una vasta zona di circa 4500 e6ari chiusa all'a7vità venatoria dal 1977. L'Oasi è stata is5tuita nel 1981, a seguito di un accordo tra il WWF e Consorzio di Bonifica. Presso l'ingresso dell'Oasi funziona dal 1987, un Centro Visite a6rezzato con un piccolo museo. Per comprendere l'importanza dell'ambiente che cos5tuisce l'Oasi di Persano, bisogna fare un passo all'indietro fino all'inizio di questo secolo, quando la piana del Sele era ancora una vasta palude. Dopo la bonifica della piana fu costruita a Persano la traversa di sbarramento che, dal 1932, dà origine ogni primavera e per circa 10 mesi, ad un lago ar5ficiale. La flora dell'Oasi è assai ricca. Il bosco igrofilo, l'ambiente più interessante, è cos5tuito da salici, pioppo

nero, pioppo bianco e sopra6u6o da ontano nero, tu6e specie legate all'acqua. In primavera spiccano le bellissime fioriture di pervinca. L'area palustre è in gran parte formata dal canneto in cui la specie dominante è la cannuccia mista alla 5fa, allo sparganio e al giunco. Di estremo interesse sono il raro iris giallo, il gigaro e ben nove specie di orchidee selva5che. La presenza più importante dell'Oasi - di cui è anche il simbolo - è quella della lontra. Questo meraviglioso mustelide è oggi il mammifero più minacciato di es5nzione in Italia (insieme alla foca monaca) e proprio nel bacino del Sele sopravvive con la più numerosa e vitale popolazione. Indicatore per ec-

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Persano: la magia della natura

L’Oasi naturale è stata istituita nel 1981 a seguito di un accordo tra il WWF e il Consorzio di Bonifica un centro attrezzato per le visite con all’interno un piccolo museo

cellenza dello stato di salute dell'ecosistema fluviale, la lontra svolge un ruolo fondamentale nella catena alimentare. I veri protagonis5 di Persano sono comunque gli uccelli: in ogni stagione dell'anno si possono ammirare quelli lega5 all'ambiente acqua5co e quelli che si riparano tra le rive, la macchia, il bosco. La parte centrale del lago ospita le anatre tuffatrici, come il moriglione, la more6a e la rara more6a tabaccata; in prossimità della fascia ripariale sostano le anatre di superficie quali il germano reale e l'alzavola, in numero più limitato, fischioni, codoni e mestoloni. Tra i ralllidi, sono comuni la gallinella d'acqua, il porciglione e la folaga. A primavera, quando gli ospi5 invernali riguadagnano le vie del Nord, è il momento degli aironi. Tra i rapaci, quelli più comuni sono il gheppio e la poiana. Altra ricchezza dell'Oasi e del fiume è la fauna i7ca; le specie più comuni sono il cavedano, l'anguilla, la 5nca, il barbo, la carpa, il vairone e la sempre più rara lampreda. Anfibi e re7li sono comuni in ogni ambiente dell'Oasi e sono uno degli anelli principali della complessa catena alimentare dell'ecosistema.


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Paestum la storia senza tempo

La ci$à della Magna Grecia

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L’area archeologica è tra le più importanti al mondo. I templi ritornati all’antico splendore dopo anni di lavori e restauri, hanno ripreso a vivere diventando lo scenario ideale per concerti, opere e piece teatrali.

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Dallo Ionio al Tirreno gli abitan# di Sibari colonizzarono la Campania felix

Il tempio è un Periptero, cioè presenta le colonne su tu/ i la-, precisamente nove sui fron- e dicio.o sui la-. A fianco della Basilica di Paestum sorge il Tempio di Ne.uno, del V secolo a.C., considerato dagli studiosi l'esempio più perfe.o dell'archite.ura dorica templare in Italia e in Grecia. Si tra.a di un periptero che sorge su un basamento a tre gradini su cui si imposta un colonnato dorico composto da 6x14 colonne. Il Tempio di Athena, erroneamente noto anche come Tempio di Cerere, è posizionabile temporal-

mente tra il Tempio di Hera e quello di Nettuno. Più piccolo degli altri due templi, ha delle par-colarità che lo rendono uno dei più interessan- dell'archite.ura greca. Nonostante sia anch'esso un periptero dorico, il frontone alto e il fregio dorico composto di larghi blocchi di calcare rendono questo Tempio unico. Il ritovamento di numerose statue.e in terraco.a (ex voto) raffiguran- Atena nelle s-pi vo-ve prova che il Tempio non era dedicato a Cerere ma alla dea della saggezza e delle ar- Atena.

Campagna: la ci$à invisibile dove studiò Giordano Bruno

Campagna, soprannominata “Città invisibile” perché il centro del paese non lo si vede se non quando si arriva, è una cittadina situata ai piedi dei ruderi del Castello Gerione (costruito tra il 1054 ed il 1056 dal longobardo Gisulfo II), Fu municipio romano al tempo di Silla, venne devastata dai barbari e dai Goti, risorse sotto i Longobardi e fu poi sede di molte famiglie, tra cui quella reale dei Principi di Monaco con il Marchesato dei Grimaldi (1532). Iniziò così il “secolo d’oro” per Campagna: vennero realizzati edifici, ampliati conventi, fondate l’Università di Scienza Canoniche e Civili e due accademie, quelle dei Solitari e dei Taciturni. Fervente fu anche l’attività di mulini, cartiere, ferriere, concerie e frantoi. Fu sede vescovile dal 1525. nel 1642 ai monegaschi subentrò il Principato dei Caracciolo. Lasciano testimonianza del loro passaggio a Campagna Sant’Antonio Caracciolo, Giordano Bruno, Papa Urbano IV, San Francesco da Paola. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Convento di San Bartolomeo, per la sua strategica posizione e l’ampia metratura, fu usato dai Nazisti per internare Ebrei e prigionieri civili, ma non mancarono episodi gloriosi alla Schlinder con Giovanni Palatucci, questore di Fiume (ma nipote di Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna), che fu trucidato a Dachau a 36 anni per aver salvato centinaia di persone. Campagna è definita anche “Città dalle due Oasi”, in quanto, caso unico in Italia, nel suo territorio rientrano due aree protette: Persano e Polveracchio. Da vedere il Santuario di Santa Maria di Avigliano, con chiostro dotato di una fontana ottagonale, il Convento di San Bartolomeo dove Giordano Bruno compì il noviziato e celebrò la sua prima messa e la Chiesa del SS. Salvatore e Sant’Antonino Patrono nel quale è conservata una Colonna Taumaturgica a cui il Santo esorcista si faceva legare e flagellare per non cedere alle lusinghe del Diavolo.

L A VA L L E D E I T E M P L I D O R I C I

area archeologica di Paestum è tra le più importan- al mondo. I templi greci ritorna- all’an-co splendore dopo anni di lavori e restauri, hanno ripreso a vivere diventando lo scenario ideale per concer-, opere e piece teatrali. Un valore ines-mabile conservato in maniera perfe.a. La Paestum dell’area archeologica tes-monia esa.amente la an-ca ci.à fondata dai Greci di Sibari nel VI secolo a.C. Paestum (dapprima Poseidonia in onore del dio del mare Poseidone - ovvero Nettuno) fu uno dei centri commerciali mari/mi più importan- della Magna Grecia. La fondazione di Paestum si dove.e al bisogno che i sibari- ebbero di aprirsi una via commerciale fra lo Ionio e il Tirreno a.raverso la dorsale dell'Appennino, evitando la circumnavigazione della costa calabra e lo stre.o di Messina. Questa grande colonia campana visse il suo periodo di massimo splendore tra il VI e il V secolo. A questo periodo risale la costruzione dei tre templi: la Basilica, il tempio di Poseidone e il tempio di Cerere, così come l'unico affresco greco finora scoperto, nella tomba del Tuffatore. Successivamente, tra il 400 e il 273 a.C., Paestum fu occupata dalla popolazione italica dei lucani, che cambiarono il suo nome in Paistos. Nel 273 a.C. i romani presero possesso di Paestum e le cambiarono il nome con quello a.uale. Paestum si dimostrò fedele a Roma anche nei momen- più dramma-ci della sua storia. Durante il periodo romano sorsero nuovi edifici pubblici, come l'anfiteatro, il foro e il ginnasio, che contribuirono a donare alla ci.à quell'aspe.o che gli scavi hanno riportato alla luce. In età imperiale Paestum iniziò una lunga e progressiva decadenza, fino al defini-vo abbandono, nell'VIII secolo, a causa dell'impaludamento della zona e delle numerose incursioni saracene. La riscoperta di Paestum risale al 1762, quando fu costruita la strada moderna che l'a.raversa tu.ora. A res-tuire la fama alla ci.à fu Carlo III di Borbone, che diede inizio ad un'opera di recupero, riportando alla luce i res- dei templi dell'età classica. Oggi Paestum è visitata dai migliaia di turis- provenien- da tu.o il mondo per i suoi imponentempli dorici. Dei tre templi presen- a Paestum , il più an-co e il più grande è sicuramente la Basilica, che in realtà fu tempio dedicato ad Hera, databile al VI secolo a.C. e situato nella parte più meridionale della ci.à.


DA L L A VA L L E A L M A R E

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Gli appassionati del mare troveranno comode spiagge di fine sabbia adatte ai bambini; viali per passeggiare, una vera oasi di tranquillità, insomma una vita ancora a misura d’uomo

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Da Salerno ad Agropoli chilometri di sabbia dorata

L’autostrada delle spiagge

Alle spalle la famosa macchia mediterranea

er chi preferisce le classiche vacanze al mare, la foce del Sele è una soluzione unica nel suo genere. Lasciata Salerno, e proseguendo lungo la litoranea, chilometri e chilometri di spiaggia bellissima, ampia, aperta, interro6a solo da uno splendido esempio di macchina mediterranea comunemente definita Pineta. Pontecagnano, Bat5paglia, Eboli, Paestum e Agropoli rappresentano da questo punto di vista un “unicum” dove le famiglie possono trovare la loro sistemazione ideale, ma anche gli aman5 della pesca e coloro che preferiscono la sabbia dorata agli scogli e un’alterna5va alle cos5ere frastagliate sul 5po della costa amalfitana e cilentana. La posizione dei comuni cos5eri della Piana del Sele godono di una collocazione privilegiata nel Golfo di Salerno e oggi li si può considerare pra5camente il punto di partenza per l’intera Costa cilentana; dove troviamo per tu7 i 50 km. da Agropoli a Salerno quella che con soluzione di con5nuità è pra5camente un' unica lunga spiaggia di sabbia. Al contrario altre località più famose della regione, come la Cos5era amalfitana, Capri e il

golfo di Napoli con Sorrento, presentano spiagge molto piccole. Gli appassiona5 del mare qui troveranno comode spiagge di fine sabbia ada6e ai bambini, e bei viali per passeggiare; per il perno6amento, oltre agli Hotels di lusso con le loro spiaggie private, ci sono molte altre possibilità: in primo luogo i numerosi Camping sul mare che spesso affi6ano anche residence e offrono ospitalità anche per un solo giorno. Chi non soggiorna vicino al mare, può raggiungere facilmente con l’auto uno degli innumerevoli lidi con parcheggi custodi5 sedie a sdraio, ombrelloni, cabine e servizi igienici. La vicinanza con Salerno offre poi la possibilità di serate in locali alla moda e per chi è amante della natura e delle tradizioni i paesi dell’interno pullulano, nel periodo es5vo, di sagre che richiamano alla gastronomia e alla

salubrità delle cucina locale. Una sorta di riviera romagnola made in Salerno dove alla rumorosità della movida si alternano i tempi len5 di una vita ancora a misura d’uomo e dove il mare è ancora vissuto come momento di relax e di riposo. Di giorno al mare e di sera ai mon5. I paesi dell’entroterra della Piana del Sele offrono sempre più momen5 di aggregazione per i turis5 all’ombra delle secolari piante di olivo e di un panorama unico nel suo genere.


Cassa Rurale ed Ar)giana di Ba+paglia

L’economia del territorio

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L’esperienza della Cassa Rurale di Battipaglia è significativa. Nata 94 anni orsono, ha oggi oltre 3500 soci. Sul fronte bancario opera con 15 sportelli che coprono un territorio che va da Salerno fino a Serre con quasi 90 dipendenti.

I giovani diventano soci della Banca grazie al proge'o “Momento Giovani”

e ul5me analisi sulla situazione campana è innegabile che indichino notevoli aspe7 di difficoltà del sistema di sviluppo regionale. La stessa recente relazione della Banca d’Italia conferma il momento difficile della nostra economia. Ma dal nostro osservatorio privilegiato, non solo di banca del territorio, ma soprattu6o di coopera5va con oltre 3500 soci, possiamo anche vedere posi5ve potenzialità e prospe7ve di crescita, sopra6u6o per aree come la Piana del Sele”. La riflessione è di Silvio Petrone, presidente sia della Federazione regionale delle Banche di Credito Coopera5vo che della Cassa Rurale ed Ar5giana di Ba7paglia, la più grande della 22 banche coopera5ve campane e una delle prime 10 dell’intero centro-sud Italia. “Ci sono peculiarità par5colari dell’economia di questa zona che perme6ono di guardare con un certo ot5mismo al futuro. Non mi riferisco semplicemente ai classici se6ori trainan5 della Piana del Sele – spiega Petrone – ma ad un nuovo modo, sinergico, di affrontare l’argomento sviluppo in cui si vedono finalmente imprenditori, is5tuzioni, privato sociale e

cooperazione, tentare di costruire insieme percorsi di sviluppo e in cui banche come quelle coopera5ve possono me6ere quel valore aggiunto di una base sociale allargata, espressione dire6a dei territori di appartenenza. In pra5ca banche non solo di servizi, ma banche partner”. L’esperienza della Cassa Rurale di Bat5paglia è significa5va. Nata 94 anni orsono, ha oggi oltre 3500 soci. Sul fronte bancario opera con 15 sportelli che coprono un territorio che va da Salerno fino a Serre con quasi 90 dipenden5. “La nostra idea di banca ha il valore aggiunto della cooperazione – prosegue il presidente – questo ci rende differen5 e sopra6u6o più capaci di sen5rci parte di proge7 di sviluppo del nostro territorio o di intervenire dire6amente nelle difficoltà. Ad esempio, quando c’è stata l’emergenza mozzarella di bufala, come Cassa Rurale ed Ar5giana di Ba7paglia, abbiamo subito deliberato interven5 a sostegno del se6ore con prodo7 a cos5 estremamente rido7 per far fronte alle difficoltà sia dei caseifici che degli allevatori. Questo lo possiamo fare perché le nostre banche sono senza fine

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di lucro e tu7 i nostri impieghi vanno esclusivamente ai nostri territori di competenza”. Proprio in ques5 giorni la Banca ba7pagliese ha lanciato una nuova interessante inizia5va che vede i giovani come protagonis5. L’hanno chiamata “Momento Giovani”. In pra5ca si tra6a di una condizione estremamente agevolata, rivolta a giovani tra i 18 ed i 35 anni, per divenire soci della Banca e avere diri6o alle par5colari condizioni dei Soci della Cassa Rurale. “Pensiamo – spiega ancora Petrone – che da una compagine sociale in cui ci siano mol5 giovani possono solo arrivare buone idee”.


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I luoghi segre& da scoprire

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Il culto di Santa Sofia alle porte di Paestum e la festa patronale del Sacro Cuore ospitalità degli uomini e della terra accomuna Albanella e Bellizzi, rispe7vamente tra i più an5chi comuni della provincia di Salerno e quello di più recente cos5tuzione. Le origini di Albanella, infa7, si fanno risalire al IXsecolo dopo Cristo, quando vi trovarono rifugio profughi provenien5 da Paestum alla ricerca di un insediamento che li proteggesse dalle incursioni saracene. E l’area che occuparono, la futura Albanella, era posta in cima ad un poggio e ad una ragionevole distanza dal mare. Bellizzi, invece, che ha aquisito una propria iden5tà comunale solo nel 1990, ospita già dal 1994 l’Amuskia, una delle più importan5 moschee dell’Italia meridionale. Il luogo di culto è nato per offrire un centro di accoglienza e meditazione ai numerosi nuclei familiari di origine musulmana insedia5si nel territorio bellizzese. Inoltre, nel 1995, il comune di Bellizzi ha anche alles5to un seggio ele6orale per perme6ere ai numerosi marocchini di esprimere il loro Paese d’origine. Ma Albanella, che dista 45 chilometri dal

capoluogo, vanta origini anche più an5che:alla metà dell’800 nell’area albanellese vennero rinvenu5 due sepolcri risalen5 alla fine del V secolo avan5 Cristo che avevano nelle pare5 interne alcuni affreschi, del periodo ellenico. Ma più di recente, sono sta5 rinvenu5 i res5 di una fa6oria risalen5 addiri6ura al III secolo avan5 Cristo e una moneta dell’Imperatore Aurelio, quindi dell’epoca della Roma Imperiale. Nella sua storia Albanella fu feudo per oltre cinquecento anni ed ebbe come Signori da Guglielmo do Pos5glione ai Berengario ai Mosca5. Patrono degli Albanellesi è Santa Sofia e la Parrocchiale a lei dedicata, che domina la

valle di Paestum, accoglie le reliquie della santa e conversa un bellissimo pronao a vela e il portale in pietra. Albanella comprende, nella sua area territoriale, i5nerari paesaggis5co-ambientali di notevole sugges5one come il Bosco delle Camerine, ai piedi dei Mon5 Alburni, in cui si trova il pozzo di Santa Sofia; il Parco del Fiume Cosa e il Parco della Giunta del Sele e del Calore. La giovanissima Bellizzi, che dista da Salerno solo 18 chilometri, ha fa6o parte del territorio di Montecorvino Rovella fino a quando il 2 gennaio del 1990 un decreto regionale non ne ha ra5ficato la divisione. Costola di Montecorvino, sviluppatasi intorno ad un crocevia che in origine ospitava solo tre case, naturalmente, l’area bellizzese è stata abitata già in tempi più an5chi:nel Medioevo Bellizzi era compreso nel feudo Montecorvino Rovella che appartenne prima ai Grimaldi poi ai Pignatelli e infine ai Genovese. Bellizzi, infine, al Sacro Cuore di Gesù dedica la propria festa patronale; la Chiesa del Sacro Cuore è una costruzione che risale al secondo dopoguerra.

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Albanella e Bellizzi an)co e moderno da visitare

Le origini della città di Albanella si fanno risalire al IX secolo dopo Cristo, Bellizzi invece nasce nel 1990 ma era compresa nel feudo medievale di Montecorvino Rovella


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Già nota agli antichi e citata quale Mela Orcula da Plinio il Vecchio, la mela Annurca dopo la raccolta viene posta su giacigli di legno per un paio di mesi

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La mela annurca una “bomba” di vitamine

Un profumo d’altri tempi

La col&vazione avviene sui terreni collinari orientali dei Mon& Picen&ni

a mela Annurca tradizionale è una vera bomba di vitamine (B1, B2, PP e C) e con5ene anche potassio, fosforo, ferro, manganese, zolfo, cobalto. Le sue cara6eris5che organole7che (sapore, profumo, aroma) e nutri5ve (valore diete5co della fibra, degli zuccheri e degli acidi organici) non trovano uguale riscontro in altre varietà di mele, anche dopo la conservazione. Insieme alla pera spadona es5va, dalla forma allungata e dalla buccia color verde chiaro, è col5vata sui terreni collinari orientali dei Mon5 Picen5ni. Consumata prevalentemente fresca è o7ma anche per la produzione di sciroppi, gela5ne e confe6ure. Recentemente la mela annurca ha o6enuto la Igp, una varietà campana pregiata col5vata anche nel territorio del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Già nota agli an5chi e citata quale Mela Orcula da Plinio il Vecchio, la mela Annurca dopo la raccolta viene posta su giacigli di legno per un paio di mesi: inizia così il periodo di maturazione o “arrossamento” al termine del quale le mele hanno raggiunto

la colorazione rossa e il giusto equilibrio tra il dolce e l’acidulo che le cara6erizza. Durante la permanenza nei melai le Annurche vengono girate e selezionate. Se la stagione è calda, per evitare che possano danneggiarsi, si coprono con frasche di castagno. La sera sono innaffiate perché non perdano buona parte dell’acqua contenuta nella polpa.

La leggenda del Cavallo di Persano

La leggenda vuole che intorno al bosco meraviglioso di querce, di salici e di bianchi pioppi, si stendeva la vasta Piana del Sele: teatro di molte invasioni, avvolta da un fi*o velo mitologico (la costruzione del Santuario di Hera Argiva da parte di Giasone e degli Argonau)) era stata abitata anche dai Greci d'Occidente che avevano lasciato mirabili tracce storico-ar)s)che (Paestum) e da varie divinità mi)che con i loro cul). Sulla stessa tenuta ci sono state tramandate molte storie: pare che il feudo appartenesse al re normanno Tancredi d'Altavilla e che poi passò alla famiglia di Roberto Sanseverino per finire ai duchi de' Rossi della Contea di Caiazzo. Si dice che nel 1735 Carlo di Borbone, alla volta di Palermo, per essere incoronato re della Sicilia se-

condo il rito normanno, si trovasse a passare dalle par) del bosco: qui fu rapito dalla flora rigogliosa e dall'abbondante selvaggina che tanto rispondeva alla sua passione per la caccia. Così il sovrano decise di rimanere e, entrando in possesso della tenuta, di costruirvi una Casina Reale... Le sorprese per Carlo però non erano finite con la scoperta del bosco; il sovrano infa+ doveva incontrare un altro personaggio, presente nelle valli interne campane dal II millennio a.C., dall'epoca cioè della civiltà appenninica, e risultato perfe*o di tan) elemen): il cavallo. La linea classica di questa creatura risultò meritevole, agli occhi del sovrano, di una razza e di un allevamento: nacque così la Real Razza di Persano.


Una prelibatezza che arrichisce la tavola

Il carciofo “reale” senza spine

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Le caratteristiche commerciali del “Carciofo di Paestum” sono anche frutto di un’accurata e laboriosa tecnica di coltivazione che gli operatori agricoli della Piana del Sele hanno affinato nel corso di decenni

La produzione della piana del Sele rappresenta il 70% del totale regionale ngrediente fondamentale della dieta mediterranea, il carciofo accompagna da tempo immemorabile la cultura gastronomica e rurale delle popolazioni del mezzogiorno d’Italia e della Campania in par5colare. Le radici della sua col5vazione vengono fa6e risalire al tempo dei Borboni, il cui ufficio sta5s5co già nel 1811 segnalava la presenza di carciofi nella zona di Evoli, l'a6uale Eboli, e Capaccio. Ma la vera e propria diffusione del carciofo nella valle del Sele risale intorno al 1929-30, grazie alle vaste opere di bonifica e di profonda trasformazione agraria apportate

dalla riforma fondiaria. L’area di produzione del “Carciofo di Paestum” IGP è concentrata nella Piana del Sele, in provincia di Salerno, e più precisamente nei comuni di: Agropoli, Albanella, Altavilla Silen5na, Ba7paglia, Bellizzi, Campagna, Capaccio, Cicerale, Eboli, Giungano, Montecorvino Pugliano, Ogliastro Cilento, Pontecagnano Faiano, Serre La superficie a6uale inves5ta a carciofo nella Piana del Sele è di circa 1400 ettari (annata 2004-05). La produzione nel 2004 è stata circa 190mila quintali, che rappresenta il 70% del totale regionale. Quella del carciofo è diventata, a par5re dagli anni ’70, una delle col5vazioni più importan5 della Piana del Sele, sopra6u6o da quando ha gradualmente sos5tuito il pomodoro. Il “Carciofo di Paestum” IGP, è noto anche come “Tondo di Paestum”. L’aspe6o rotondeggiante dei suoi capolini, la loro elevata compattezza, l’assenza di spine nelle

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bra6ee sono le principali cara6eris5che qualita5ve del “Carciofo di Paestum”, che ne hanno consacrato anche la sua fama tra i consumatori. Anche il cara6ere di precocità di maturazione può essere considerato un elemento di posi5vità conferitogli dall’ambiente di col5vazione, la Piana del Sele, che consente al “Carciofo di Paestum” di essere presente sul mercato prima di ogni altro carciofo di 5po Romanesco. Le cara6eris5che commerciali del “Carciofo di Paestum” sono anche fru6o di un’accurata e laboriosa tecnica di col5vazione che gli operatori agricoli della Piana del Sele hanno affinato nel corso di decenni. Il clima fresco e piovoso nel corso del lungo periodo di produzione (febbraio-maggio), che caratterizza tale area, conferisce anche la 5pica ed apprezzata tenerezza e delicatezza al prodo6o. Le cara6eris5che di pregio del “Carciofo di Paestum” IGP consentono a tale prodo6o di essere molto apprezzato in cucina, dove viene u5lizzato nella preparazione di svariate rice6e 5piche e di pia7 locali come la pizza con i carciofini, la crema e il pas5ccio ai carciofi.


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Riconosciuta a livello nazionale, nel 1993, con l’istituzione del marchio D. O. C. , a cui si è aggiunto nel 1996 un ulteriore attestato stavolta europeo, quello di Prodotto a Denominazione d’Origine Protetta.

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Il prodo o di bufala ha conquistato il mondo

Mozzarella, la perla del sud

Da Annibale ai Longobardi, la regina della tavola vanta una storia an&chissima

hi non ricorda i sospiri di simpa/che fanciulle che addentano una bianca mozzarella? O corse forsennate di furgoncini per consegnare questo delizioso formaggio a pasta bianca filato mantenendone inta0a la freschezza? La pubblicità televisiva informa i consumatori di tu0a Italia e li invoglia all’acquisto di questo formaggio, sulla scia di un incremento dei consumi che non conosce ba0ute d’arresto. La mozzarella ha una storia an/chissima; alcuni storici fanno risalire l'introduzione dei bufali in Campania al VI secolo, a0ribuendola ai Longobardi, mentre qualcun altro avanza perfino l'ipotesi che fossero già sta/ porta/ in Italia da Annibale. L'unico dato storico incontrastabile è che la mozzarella di bufala è un /pico prodo0o campano, non a caso Carlo d'Angiò ba0ezzò queste fer/li terre con l'appella/vo di "maison de roses", ed è solo qui che ancora oggi viene prodo0a l'unica ed inimitabile mozzarella di la0e di bufala. Una tradizione an/ca quella della mozzarella di bufala finalmente riconosciuta a livello nazionale, nel 1993, con l’is/tuzione del

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marchio D. O. C. Denominazione di Origine Controllata, a cui si è aggiunto nel 1996 un ulteriore riconoscimento stavolta europeo, quello di Prodo0o a Denominazione d’Origine Prote0a. Nella Piana del Sele e sopra0u0o a Ba1paglia, definita proprio “Ci0à della Mozzarella”, la mozzarella di bufala è considerata ancora oggi la regina della tavola. Diversi i modi di gustarla: c’è chi la assapora così com’è per scoprirne tu0a la volu0à addentando delicatamente la leggera resistenza della pelle che, una volta ro0a so0o il morso dei den/, riempie la bocca di un rivolo di la0e dolce e avvolgente. C’è anche chi preferisce assecondare la fantasia degli chef i quali nel tempo hanno creato “unioni” più libere tra la mozzarella e altri prodo1 culinari. Ecco allora che la troviamo alternata a stra/ di melanzane nella parmigiana; nel ripieno dei ravioli; nel sartù, il ricco /mballo di riso, carne e funghi; a

fe1ne nel ga0ò di patate; o in carrozza, cioè racchiusa tra due fe0e di pane, impanata nell’uovo e fri0a. O nel modo più semplice: alla caprese, con pomodoro, basilico e un filo d’olio DOP Cilento leggermente piccante. Di volta in volta, la bianca sirena ama accompagnarsi con vini asciu1 e pieni. La mozzarella vanta una nobile corte; ne fanno parte la provola affumicata dalla pasta co0a di bufala, il burrino incamiciato (una specie di scamorza con un cuore di burro) e il caciocavallo dolce, poi sempre più piccante con la stagionatura, che può durare due anni.

Vino ed olio: la qualità è servita

asciandosi alle spalle le colline, dire1 verso Paestum,si scende verso la Piana del Sele,così fer/le che dà tre raccol/ annui,incluso quello dei leggendari carciofi che si possono assaggiare nei ristoran/ e locali /pici. L’esperienza insegna.Così anche gli chef sanno che il cibo,qui,ha linee pulite e moderne, con molto spazio per i pia1 di pesce. Dopo aver visitato i templi e l’eccezionale museo che li fronteggia,non perdete l’occasione di pranzare o cenare nelle locande a ges/one familiare. La vite, introdo0a ad Elea e a Paestum dagli an/chi Greci, ha trovato nella fer/lità del terreno e nelle condizioni clima/che della Piana del Sele l’ambiente ideale per la produzione di vini di qualità. Nel paniere dei prodo1 /pici della Piana del Sele non possono mancare i vini locali Doc Castel San Lorenzo e Cilento e Igt Paestum e Colli di Salerno. La produzione del Castel San Lorenzo interessa o0o comuni del salernitano, tu0avia è nell’omonimo paese che si registra la maggior produzione di vino Doc , poiché è qui che si è riusci/ a mantenere a1va l’ importante vocazione enologica di una zona dalla grande potenzialità vi/cola. I produ0ori di Castel San Lorenzo hanno da sempre vinificato le uve della zona, u/lizzando tecniche e stru0ure enologiche di assoluta eccellenza per la produzione di vini pregia/. Il borgo è famoso per il Castel San Lorenzo

Doc, che si divide in: il Castel San Lorenzo Barbera, nelle varietà Bianco, Rosso e Rosato, importato da mol/ decenni ed invecchiato nel rovere, così da acquistare stru0ura e personalità. Di grande successo gli abbinamen/ con il cibo: il Castel San Lorenzo Barbera Riserva si sposa bene con carni ovine marinate, aroma/zzate e co0e al forno, coniglio all'ischitana, polpe0one di manzo alla napoletana, animali da cor/le (co1 in padella con vino, pomodoro, olio, odori), carni ovine e suine arrosto. Il Castel San Lorenzo Bianco, invece, si abbina bene a molluschi e crostacei, insalate di mare, /mballi, minestroni, lasagne e sartù, calamari in umido, caciocavallo e provola. Ma il Castel San Lorenzo produce anche un o1mo vino dolce Moscato, nelle versioni Spumante che bene si abbina a babà, pas/era e sfogliatelle e Lambiccato, vino del tu0o originale, quest’ ul/mo, o0enuto da cloni locali di uve moscato. Da non perdere però, se siete nella Piana del Sele, anche un bicchiere dei due IGT: Paestum o Colli di Salerno. L’olio delle colline salernitane è davvero squisito.A Campagna si trova in una zona nota per la produzione di un olio extravergine di oliva pres/gioso:queste dolci colline,molte delle quali affacciate sul mare,sono note per gli ulive/ sin dai tempi degli an/chi Greci e della Magna Grecia. Effe1vamente, si possono trovare ulivi davvero an/chissimi. Il Colline Salernitane Dop si estende dalle alture dei mon/ Picen/ni ai mon/ Alburni e prosegue nella valle del Sele, sui colli del Tanagro e parte del Vallo di Diano.Oli, ben bilancia/, né aggressivi né delica/, offrono una freschezza che fa risaltare a qualunque ingrediente. Nella zona mol/ i frantoi che producono un olio di qualità al/ssima.


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Il principe della tavola tra tradizione e innovazione

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Solo sulla collina di Faiano alla fine dell’O'ocento vi erano ben vento'o mulini ella piana del Sele vi è un legame che unisce il territorio alla produzione del principe della tavola: il pane. A Pontecagnano, in par5colare nella zona collinare di Faiano , erano presen5 fin dalla fine dell' 800, grazie a numerosissimi corsi d'acqua, circa 28 mulini. L'economia dell'area basata prevalentemente sull'agricoltura probabilmente determinò anche l'abitudine di produrre il cosidde6o "pane a bisco6o" un 5po di pane,

che si conserva a lungo, non a6accabile dall'umidità, di facile u5lizzo in qualunque condizione, da gustare sia croccante che bagnato, anche solo con l'acqua. Dopo il raffreddamento delle pagno6e, queste potevano essere tagliate a fe6e e messe nuovamente in forno a bisco6are, per eliminare completamente l'umidità ed assicurarne una lunga conservazione. I bisco7 venivano messi nei canestri(ceste). Infine si puliva il forno raccogliendo anche le briciole, per poterne ricavare il pane grattugiato. La cara6eris5ca fondamentale che contraddis5ngue il prodo6o è una sapiente miscela ed elaborazione di ingredien5 naturali: il pane "granone" deriva da una miscela di grano tenero, mais e lievito naturale. Il risultato è "o' mascuo6" un prodo6o fragrante, con un odore "di buono" , se co6o con legna pregiata(arancio, ulivo, faggio) e con una buona tenuta dell'acqua, che si conserva per ca. 45/50 gg. Si consuma accompa-

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Pontecagnano: l’arte del pane

Al momento di sfornare il pane a biscotto , delicato e friabile, erano presenti tutte le famiglie, e a turno, veniva prescelto un bambino di età non superiore ai sette anni, piccolo abbastanza da poter entrare nel forno

gnandolo a tu6e le pietanze , al posto del pane fresco, e si presenta in un contenitore di ceramica pieno d'acqua, su cui è poggiato un coperchio-pia6o con il piano forato, su cui , dopo averlo bagnato nell'acqua, si me6eva a sgocciolare il bisco6o. In ciascun borgo esistevano i forni comuni, di cui si serviva l'intera piccola comunità. Al momento di sfornare il pane a bisco6o, delicato e friabile, erano presen5 tu6e le famiglie , e a turno , veniva prescelto un bambino di età non superiore a 6-7 anni, piccolo abbastanza da poter entrare nel forno, ormai freddo , e abile e delicato da poter 5rare fuori con le piccole mani , con grande a6enzione i bisco7 che andavano conserva5 nelle ceste. Una tradizione che a Pontecagnano non si è persa completamente e che è ancora viva specie nel ricordo delle vecchie generazioni ed in alcune aziende che ancora oggi producono su scala industriale i prodo7 della tradizione dei panificatori locali. Negli ul5mi anni sono mol5 i giovani che si stanno riavvicinando a questa a7vità recuperando dalla tradizione una occasione unica di sviluppo in chiave moderna.


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Lettere, stelle e spighe dello stemma di Bellizzi costituiscono una triade simbolica: il numero perfetto, e in molte civiltà l’immagine sensibile della divinità

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Dal Duomo di S. Maria della Pace a Bellizzi

La piana fra simboli e misteri

Sanni&, Greci ed Etruschi hanno popolato una valle lasciando tracce nascoste

a valle del Sele rappresenta una meta privilegiata,sia per l’ambiente, sia per l’atmosfera che si respira in mol5 luoghi della zona. Il territorio è anche sede di sugges5ve manifestazioni del folklore locale. Sagre e feste fanno respirare aria d’altri tempi, seppur immerse nell’a6ualità. E’ un viaggio nel passato alla riscoperta degli usi tradizionali di questa terra,che offre una vasta gamma di prodo7 5pici sani e leggeri (dai formaggi agli ortaggi,dalla fru6a ai legumi,dalle carni ai salumi,dall’olio ai dolci), che vanno a coniugarsi perfe6amente con l’i5nerario salu5sta offerto dalle acque della Piana del Sele. I Romani furono presen5 nel territorio, come tes5moniano i numerosi reper5 ritrova5,anche se alcuni Comuni sono sta5 anche abita5 dai Sanni5, Greci ed Etruschi. A causa delle con5nue incursioni saracene gli abitan5 dell’area, intorno all’anno Mille, abbandonaronole loro case per costruirne delle nuove nelle zone più alte.In tal senso,5pica è l’archite6ura for5ficata.In epoca medioevale i feudi erano irpini.Alcuni passarono ai principi di Salerno,ma gli altri

solo dopo la caduta del feudalesimo con la legge del 1806 di Marat entrarono a far parte della provincia di Salerno. Da ammirare per la sua maestosità è il

Duomo di santa Maria della Pace a Campagna, fondato nel 1564 con un pulpito di marmo realizzato dalla Scuola Napoletana e le “bellezze”di Bellizzi che nascondono aneddo5 e curiosità sull’origine del nome del più giovane comune salernitano. Il toponimo Bellizzi spunta nel Catasto provvisorio del 1827 (i catas5, osteggia5 e altera5, furono completa5 solo dopo la caduta

del regime mura7ano) e con i suoi simboli rievoca mi5 e culture lontane. Le6ere, stelle e spighe dello stemma cos5tuiscono una triade simbolica: il numero perfe6o, e in molte civiltà l’immagine sensibile della divinità. Sommando le singole unità di ques5 simboli: la B,due stelle e se6e spighe o6eniamo il numero dieci che è il più sacro dei numeri. Se poi si accostano a ques5 elemen5 la sovrastante corona d’argento e la so6ostante “mezzaluna” di alloro e di quercia che fanno da cornice allora si accede al dodici emblema della pienezza da tempi immemorabili: dalle dodici costellazioni zodiacali dei Caldei alle dodici tribù di Israele, dai dodici apostoli del Cris5anesimo ai dodici imam dell’Islam,dai dodici cavalieri del Santo Graal alle dodici stelle della Comunità Europea. I misteri della piana del Sele non finiscono qui. Sempre più insistentemente si parla di templi so6erranei e non è un caso che dove maggiormente gli aman5 del mistero puntano la loro a6enzione proprio lì nel corso dei secoli sono na5 e sono diventa5 mete di pellegrini santuari cris5ani.


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Atmosfera carica di emozioni

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Il turismo religioso sulle sponde di un fiume mis&co ll’origine ditu6o c’è Hera Argiva, proprio alla foce del Sele. I primi colonizzatori greci scesero dal mare e da qui iniziarono a mischiarsi con le an5che popolazioni italiche. Paestum è a qualche chilometro, a “50 stadi”,a voler stare alle misure di Strabone e in quest’an5ca ci6à della Magna Grecia ci fu il primo insediamento di cris5ani. E’ di ques5 incontri che parla un museo moderno e sconosciuto ai grandi flussi turis5ci: appunto il museo narrante di Hera Argiva. Le metope e gli altri reper5 parlano, cantano e suonano. Si materializza una massa di donne in processione che prima intonano le lodi di Hera in greco an5co e poi, in diale6o ed in italiano , le preghiere alla Madonna del Granato, l’an5ca chiesa che sorge so6o la Capaccio an5ca. Evocano mi5 e modi di agire, come la religiosità popolare, nient’affa6o cambia5 dopo più di 2500 anni. E’ il primo luogo d’Italia dove le nuove tecnologie audiovisive hanno rivoluzionato l’idea seriosa che un po’ tu7 abbiamo

dell’archeologia. Ipiù affascina5 sono i bambini. Pensando di entrare in un libro di scuola s’immergono nel più straordinario, e divertente, dei film storici. Anche il visitatore meno avvezzo alla classicità riesce ad impadronirsi delle atmosfere che respirarono quel gruppo di greci che nel IV secolo scelsero questo luogo per insediarsi e per meglio commerciare con i vicini etruschi. Greci più etruschi, ecco i salernitani di oggi. Come fecero già i lontani progenitori, il 15 agosto, a piedi, dalla vasta pianura, di prima ma7na o a no6e inoltrata(a seconda delle distanze), carovane di pellegrini si portano alla chiesa della Madonna del Granato per ringraziare “una delle se6e sorelle”. Le altre stanno sulle altre montagne cilentane. Il culto ricorda il tempo di quando Paestum fu invasa dalla palude e abbandonata e gli abitan5 si trasferirono sulle vicine colline e fondarono il comune dove impiantarono il culto cris5ano della Madonna del Granato, che conserva inta6a l’immagine sacra della dea Hera, effigiata ap-

punto con il melograno. E’ il simbolo della fer5lità. Si tra6a di uno dei casi più spe6acolari che si conoscano di trasmissione del culto dal paganesimo al cris5anesimo. Verso il moderno guarda il Getsemani, un complesso religioso immerso nel verde della collina di Capaccio. Sul piazzale si può ammirare la statua della “Madonna della Luna”,dedicata alla missione americana sul nostro satellite del 1969. All’interno raffigurazioni della Vergine Assunta circondata da cinquanta san5 dell’italia Meridionale. Nella cripta vi è una bellissima statua del Cristo in agonia, con lo sguardo rivolto al cielo e con le mani giunte in a6eggiamento di supplica.

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Dalla Madonna del Granato a Getsemani

Le lodi di Hera in greco antico, poi in latino ed infine le preghiere in italiano alla Madonna del Granato evocano miti e modi di agire della religiosità popolare sempre uguali da duemila e cinquecento anni


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