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Gabiano e dintorni

Il periodico dal Nost MunfrĂ

G&d

Novembre 2013

Torre San Quirico nel comune di Odalengo Grande (foto Enzo Gino)


Intervista al Sindaco di Coniolo

Geom. Spinoglio Giovanni Nato a Casale Monferrato, classe 1958

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Intervistiamo su questo numero novembrino di G&d un sindaco di “lungo corso” come si diceva un tempo, un personaggio con oltre 25 anni di amministrazione alle spalle e che ha avuto modo di collaborare per anni con un noto esponente politico come Riccardo Triglia di cui è stato vicesindaco per molti anni. Una lunga intervista che nella seconda parte si collega alle nostre analisi sul territorio scritte nello scorso numero di ottobre G&d, confortandole. Ma prima di passare alla intervista proponiamo un gioco ai nostri lettori, faremo loro una domanda a cui ciascuno può immaginare di dare una risposta per veder poi che risposta ha saputo dare il sindaco Spinoglio. La domanda è: Se foste sindaco di un paese del Monferrato (notoriamente in crisi di natalità), con meno di 500 abitanti, senza un centro storico, senza una scuola, a due passi da una città come

Un momento della Manifestazione Riso e Rose

Casale che grazie a servizi e divertimenti esercita la sua “attrazione fatale”, riuscireste voi a far crescere il vostro comune? Pensateci e poi leggete e vedrete la risposta del sindaco. Giovanni Spinoglio, Casalese, classe 1958 di professione Geometra. Sindaco da due legislature, ma prima vicesindaco; con il primo mandato è stato anche nominato Presidente del Consorzio di bacino per la raccolta Rifiuti e in questa veste ha proposto ai sindaci aderenti al Consorzio di cambiare le modalità di raccolta dei rifiuti, passando alla differenziata, cambiando così le abitudini ai 75.000 abitanti del Monferrato, cosa non certo facile ma che oggi, con oltre il 60% di differenziato sta producendo i suoi benefici effetti. Come sindaco, ci dice che questo sarà l’ultimo mandato che ormai sta volgendo al termine. Così l’intervista diventa l’occasione per una sorta di disamina delle tante cose fatte in questi anni. E di cose ne


sono state fatte molte. “Si è cercato di valorizzare le peculiarità del territorio sia dal punto di vista culturale che sportivo” per cui tre anni fa il sindaco si è inventato la discesa sul Po in easy-rafting, ritenendo che il grande fiume non fosse sufficientemente valorizzato, “ed il suo panorama meritasse invece di esser particolarmente evidenziato anche ai tanti che non si rendevano conto di quello che avevano proprio sotto gli occhi”. “Ma è stato anche realizzato il Museo etnografico che sta avendo un buon successo con parecchie visite, è stato poi realizzato il centro sportivo polifunzionale”. Tutto questo evidenzia, grazie anche alla collaborazione dei colleghi amministratori. “A Coniolo, vivono oggi circa 460 abitanti, il suo territorio confina con quello di Casale Monferrato, sotto l’aspetto dei collegamenti è facilmente raggiungibile dalle varie autostrade la cui uscita dista a pochi chilometri dall’abitato. Territorialmente Coniolo è diviso in due parti sostanzialmente di uguale estensione, ma orograficamente diverse. Il Po infatti taglia in due il territorio lasciando in sponda destra la parte collinare dove sorge l’abitato e in sponda sinistra la pianura con una grande e importante zona industriale. Importante non solo per il comune ma punto di riferimento dell’intero territorio Monferrino. Recentemente infatti una delle più grandi industrie che storicamente sono qui insediate e che fa capo alla famiglia Bonzano, da cui prende il nome l’azienda che opera nel campo del legno, ha fatto un investimento di circa 40 milioni di € per rinnovare completamente le sue linee di produzione, inventando sostanzialmente un pannello nuovo l’I-pan (Italian panel) per l’edilizia, la cantieristica, la nautica e per il settore del mobile. Con la sua produzione di 160.000 mc di pannelli annui, a pieno regime di produzione l’azienda arriverebbe ad assorbire il 75% dei pioppi prodotti in Piemonte; dimensioni e numeri veramente importanti”. Quindi anche sotto il profilo dell’oc-

cupazione il sindaco si dice orgoglioso di questa presenza che, come amministrazione, ha sempre cercato di agevolare favorendo lo sviluppo delle sue attività. “Ma Coniolo non è solo legno, accanto a questo settore si è sviluppata anche una industria delle meccanica di precisione rappresentata dalla SandenVendo Europe che è stata recentemente acquista dai Giapponesi, che produce una grande varietà di distributori automatici per bevande, snacks e gelati confezionati, oltre a sofisticati sistemi di vetrine a temperatura positiva, di diverse capienze e dimensioni”. Tornando all’abitato Spinoglio racconta l’impegno della sua amministrazione che da 13 anni ha fatto il necessario “per curarlo moltissimo nel suo aspetto, nella sua accoglienza. Abbiamo immaginato che per poterlo rendere interessante per le famiglie giovani doveva avere delle attrattive e delle peculiarità. Si è quindi approfittato della manifestazione di Riso e Rose. Siamo stati fra le amministrazioni che hanno accolto e sviluppato con maggiore entusiasmo questo progetto che era stato portato avanti dal Consorzio MonDo su tutto il territorio, anzi crediamo col passare degli anni di esser diventati uno dei fiori all’occhiello della manifestazione.” E continua: “Iniziando dalle rose e dai fiori, non si è solo fatto una manifestazione che è diventata un momento importante nel week-end di maggio con centinaia di espositori di fiori, ma abbiamo indotto negli abitanti del paese l’idea che abbellire il proprio giardino con la cura dei fiori, poteva esser una cosa utile per rendere grazioso il comune dove si abita. Così negli ultimi anni abbiamo visto insediarsi sul nostro territorio circa 120-130 persone nuove, su 460 abitanti in tutto! tutti giovani con famiglia che hanno abbassato notevolmente l’età media dei residenti.” “Abbiamo cercato di mantenere alta l’attenzione alle nuove famiglie, anche se a Coniolo non ci sono scuole, ma facendo parte dell’Unione dei comuni con Cami-

no, Pontestura e Solonghello ci si è potuti avvalere delle strutture scolastiche presenti a Pontestura grazie a un flessibile servizio di scuolabus”. Ma Coniolo ha uno svantaggio rispetto a tutti gli altri comuni Monferrini: non dispone di un centro storico. Che fare?: “Ci si è detto che sarebbe stato interessante raccontare la storia di questo paese che non esiste più; da qui l’idea di realizzare un museo etnografico all’interno del quale si può capire com’era Coniolo 100 anni fa nel suo paese storico, poi, attraverso una serie di racconti che incuriosiscono il visitatore, si ha modo di capire la storia assolutamente unica e particolare del paese, che crollò per effetto di escavazioni non controllate da parte di un imprenditore non rispettoso delle regole e del territorio”. “Con questa iniziativa abbiamo creato una sorta di pensiero e di idea da trasmettere ai visitatori sulla necessità di mantenere sempre alta l’attenzione verso la natura, l’ambiente, il territorio ed il rispetto alle regole che sono indispensabili per una vita civile ed una economia sostenibile”. “Il territorio è stato valorizzato sfruttando anche la sua posizione strategica creando un Belvedere vicino alla chiesa, che ha la particolarità di affacciarsi sulla pianura Padana verso nord, quindi sul vercellese principalmente, ma in realtà grazie alla ampia visuale dell’arco alpino che va oltre i 180° sono visibili le montagne dal massiccio della Cristalliera a ovest fino ad arrivare addirittura verso il Trentino, visibile quando le giornate sono nitide. Il belvedere è stato corredato di un Riccardo Triglia Senatore dal 1979 al 1994, presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani dal 1982 al 1992, Sindaco di Coniolo (AL) dal 1982 al 2004, Presidente dell’Associazione Comuni del Monferrato, presidente dell’International Union of Local Autothorities (Iula) dal 1991 al 1995. Ha ricoperto numerosi incarichi del suo lungo percorso: nella Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, come Membro dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, e come Sottosegretario di Stato 3 per le finanze.


diorama che consente all’osservatore di capire dove si trova rispetto alle località più importanti visibili”. Inoltre sempre con l’intento di valorizzazione il territorio aoltre al già citato l’easy rafting che unendo colline e fiume, affianca i percorsi che vengono utilizzati dai cicloturisti, siamo stati fra gli animatori dell’associazione - Il Cemento che vuole evidenziare le radici storiche e industriali del territorio. E’ stato così realizzato un museo all’aperto attraverso un percorso che va dal Comune di Coniolo a quello di Ozzano lungo il quale si possono visitare tutte quelle che sono le preesistenze dell’epoca, oggi archeologia industriale, costituite dalle infrastrutture e dalle miniere presenti sulle nostre colline che furono realizzate per estrarre la Marna per il cemento”. hiediamo al sindaco Spinoglio quali prospettive vede o immagina possano esserci per il nostro territorio? Ci dice: “In anni di amministratore ho avuto modo di fare molte riflessioni in merito, non solo come amministratore ma anche come tecnico del territorio visto che svolgo l’attività di geometra. Mi son chiesto come mai da diversi anni è in atto nel territorio una crisi che ultimamente è diventata di carattere nazionale. L’idea che mi son fatto è che da noi si è acuita, rispetto ad altri territori, probabilmente perché noi siamo sostanzialmente finiti in una crisi di identità…” che così ci spiega: “fino alla fine dell’ottocento il nostro Monferrato come altri territori del Piemonte: astigiano, albese, e simili, erano sorretti da una vocazione prettamente agricola. L’opportunità creata dalla presenza della Marna nel sottosuolo delle nostre colline, ha cominciato a far nascere delle industrie del cemento, tant’è che Casale Monferrato, a noi vicina, è diventata la capitale del cemento e lo è stata per parecchi anni. Accanto a questa industria è nata poi una industria meccanica con relativo indotto”. “E’ successo quindi che la maggior parte degli abitanti delle nostre colline negli anni ’30, ’40, ’50 han-

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no pensato che l’agricoltura poteva esser lasciata come seconda attività, assumendo come attività principale quella dell’operaio all’interno di queste industrie. Tutto ha funzionato bene sin tanto che le industrie hanno lavorato, garantendo la possibilità di una occupazione. In questi ultimi anni queste industrie, prima quella del cemento e ultimamente anche quella della meccanica hanno trovato soluzioni diverse. I cementifici dagli anni ’60 in poi per la nuova normativa sulla sicurezza del lavoro in miniera, hanno ritenuto non più conveniente scavare sotto le nostre colline e sono andati altrove, dove si poteva estrarre la materia prima con cave a cielo aperto e l’industria meccanica non ha retto la competizione con le industrie meccaniche di altre parti del mondo”. “Così le persone che lavoravano in queste industrie e che avevano relegato l’attività agricola come secondo lavoro si sono trovate spiazzate non avendo sviluppato adeguatamente negli anni il settore agricolo”. Che fare quindi da adesso in poi? “Dovranno essere sviluppate attività caratterizzate da bassa presenza di mano d’opera. La globalizzazione alla quale stiamo assistendo e che era ineluttabile, ci mette in competizione con altri territori del mondo che producono le stesse cose che noi facciamo ad un decimo del costo. Quindi volendo continuare con attività fondate sulla intensa presenza di manodopera, saremmo perdenti. Ritengo che una economia locale vincente debba orientarsi verso attività legate al territorio: attività agro-industriali e agro-alimentari, attività che sappiano valorizzare quelli che sono i prodotti di que-

sto territorio che tra l’altro sono prodotti d’eccellenza”. “Se torniamo quindi all’esempio citato della nostra industria che ha fatto un grande investimento sul pannello di legno, diventa importante capire che a monte di questa industria dovrebbero svilupparsi una serie di attività agricole legate alla coltivazione del pioppo che con produzioni a km0 diventino convenienti sia per il produttore locale, che per ridurre i costi del trasporto e il relativo inquinamento. A monte dell’industria quindi si dovrebbe sviluppare un settore agro-forestale che coinvolga produttori, associazioni di categoria, istituzioni con tutti coloro che hanno interessi nel settore”. Non solo: “bisognerebbe trovare anche una soluzione per valorizzare a valle la possibilità di produrre prodotti finiti sul luogo, utilizzando questi semilavorati come l’I-pan. In tal senso sarebbero opportune una serie di iniziative di comunicazione, anche utilizzando le strutture scolastiche presenti nel territorio ed a Casale, che favoriscano la creazione di una filiera sostanzialmente nuova che potrebbe creare un indotto assai interessante”. “Nel settore agro-alimentare bisogna guardare agli esempi validi che già ci sono sul territorio; penso alle industrie che già trasformano in maniera conveniente ciò che viene


coltivato sulle nostre colline. Il riferimento è alle distillerie assai importanti e soprattutto già attive da tempo ed alle piccole aziende, anche familiari, che hanno iniziato a trasformare i prodotti della terra per dargli un valore aggiunto attraverso lavorazione, confezionamento, etichettatura, valorizzando così anche l’immagine e il territorio di produzione, per esser inviati in tutte le parti del mondo”. Ancora: “Esiste poi un altro filone nel campo della valorizzazione agroalimentare in cui è presente una azienda che occupa più di 150 addetti di Borgo San Martino che ora si è spostata a Casale: non fa altro che selezionare, confezionare produrre cibi più o meno pronti, per poterli mandare nei supermercati di tutta Italia”. Ma non basta: “Sono attività che devono camminare di pari passo con quello che è lo sviluppo turistico del nostro territorio. Se si mandando in giro per il mondo dei prodotti di ottima qualità dobbiamo anche comunicare: guardate che questi prodotti sono prodotti nel Monferrato e quindi vi invitiamo non solo a consumarli a casa vostra, ma anche a venire a visitare i luoghi di coltivazione e produzione, così capirete dove e come questi prodotti vengono coltivati e confezionati –. Si può così rinforzare un altro indotto che è quello del turismo che non sarà mai quello di massa, per capirci simile a quello delle riviere marine, ma sarà sicuramente un turismo di nicchia, di persone che vanno alla ricerca di territori incontaminati, con prodotti di qualità, ambienti particolarmente curati e possibilmente a costi contenuti”. “Così le persone che visitano i nostri paesi anche per pochi giorni possono godere di quelle che sono le offerte le attrazioni di carattere sportivo, culturale, enogastronomico e magari quando tornano a casa si portano la confezione di vino o di marmellate o altro ancora”. “E’ l’unica direzione possibile fin tanto che i sistemi di produzione mondiali organizzati sui bassi costi della manodopera non cambieranno, ma ci vorrà probabilmente molto tempo”.

Il sindaco è però ottimista perché, guardando la storia dei Piemontesi e dei Monferrini ricorda che sino dalla fine dell’800, cita gli esempi presenti all’expo mondiale che si tenne a Torino nel 1911, sa che “toccando le leve giuste presenti nei geni delle nostre genti si riuscirà a trovare il filone della fantasie e dell’inventiva che serve spesso solo per aprire gli occhi e farci vedere le cose che stanno davanti a noi ma che non siamo più abituati a vedere”. Infine una critica “Uno dei limiti del nostro territorio è la mancanza di una regia: la provincia è sempre stata un tavolo un po’ lontano, dove il Monferrato Casalese vale sì e no il 20% di tutto il territorio e pur avendo un ruolo, non è mai stato incisivo. Casale ha pagato lo scotto di essere stata, storicamente fino all’Unità, la seconda città del Piemonte e poi, nel momento in cui si è deciso che l’interesse militare non era più preminente, Casale pur importante come città industriale, dal punto di vista politico ha continuato a perdere valore. Fino a qualche anno fa, in assenza dei problemi indotti dalla crisi generale, Casale da sola era il punto di riferimento del territorio: perché c’era il tribunale, la Diocesi, perché aveva questo retaggio storico che portava tutti verso il mercato di Casale a fare gli affari e quindi la città riusciva anche a costituire questo momento aggregativo dal punto di vista politico. Oggi la città ha dei problemi che rendono difficile assumere il ruolo di guida per il territorio. Questo ruolo va comunque in qualche modo svolto ed è quindi assolutamente indispensabile che ci sia un tavolo di regia di queste comunità. Non solo dei comuni ma delle stesse Unioni dei Comuni che si sono formate alla luce della nuova normativa. Paradossalmente se andranno, come sembra, a scomparire le province, bisogna capire se questo non sia una condizione da prendere al volo, proprio perché un tavolo di

Andamento demografico di Coniolo

regia di un territorio più piccolo rispetto alla provincia, potrebbe paradossalmente far riprendere quota ai nostri territori per diventare soggetto di riferimento e di confronto rispetto alla Regione; un Comune da solo o anche una Unione da sola non avrebbero molta voce in capitolo”. Dopo questa panoramica ad ampio raggio sulle questioni sociali chiediamo quale sarà il futuro del sindaco Spinoglio alla scadenza del secondo e ultimo mandato amministrativo. Ci risponde che “è stato estremamente contento di aver avuto l’opportunità di fare una esperienza notevolissima e certamente per lui di grande arricchimento, facendo l’amministratore tutti questi anni ed anche dedicandosi alle questioni ambientali per 5 anni come presidente del Consorzio per la raccolta dei rifiuti. Le cose utili sono state seminate, grazie anche all’aiuto dei collaboratori; si è divertito ed anche stancato parecchio distogliendo tempo alla famiglia che adesso lo reclama”. Ma ci confessa che “In verità sono impegnato su parecchi altri settori, anche nella sua categoria professionale essendo rappresentante dei geometri del Piemonte in una commissione legislativa a Roma che dovrebbe disegnare il futuro della categoria e che richiede notevole impegno”. L’impegno continua quindi anche se per altre strade. In verità chi è abituato a dedicare tempo nelle attività sociali, sa benissimo che quell’impegno diventa una specie di vizio che difficilmente si perde. Anche noi di G&d, nel nostro piccolo, questo vizio ce lo portiamo dietro da una vita, ma ci piace così…

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Monferrato patria delle chiese

Odalengo Grande uno dei comuni più ricchi di architetture sacre delle nostre colline

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Probabilmente il Monferrato è il territorio più ricco di chiese del Piemonte e forse d’Italia (che significherebbe poi del mondo). Lo abbiamo scoperto viaggiando su un altro territorio diverso da quello costituito dalla terra con ciò che sopra o sotto di essa si trova; un territorio virtuale che più che un terreno sembra un oceano, infatti si suol dire che in esso non si viaggia ma si naviga. Stiamo parlando del solito World Wide Web da cui l’acronimo www che sta davanti ad ogni sito virtuale della rete internet caratterizzandolo rispetto a tutti gli altri siti “reali”, per capirci quelli dove si cercano i tartufi o si costruiscano le case. www che tradotto assume un significato un po’ inquietante: Grande ragnatela mondiale. Ebbene mentre come minuscoli ragnetti, comodamente seduti sul divano di casa si navigava nella grande ragnatela, abbiamo trovato un sito dell’associazione casalese artestoria, proprio bello, lo citiamo: www.artestoria.net In esso vi è una raccolta completa di tutte le chiese e chiesette nei vari paesi del Nostro Monferrato. Così scopriamo che a Gabiano abbiamo ben 12 edifici sacri più o meno grandi, altrettanti a Camino, 11 in quel di Cerrina, 4 a Serralunga di Crea, Odalengo Grande ben 15, solo (si fa per dire) 4 a Odalengo Piccolo. E sono solo alcuni esempi. Abbiamo così deciso di scrivere per qualche edizione del nostro giornale di queste

vere e proprie opere d’arte con secoli di storia, talvolta sconosciute persino agli abitanti del comune dove sorgono. Partiremo da un Comune di cui abbiamo scritto poco sui numeri passati del nostro mensile: Odalengo Grande che a dispetto del nome è uno dei tanti piccoli comuni (527 abitanti) dal Nost Munfrà. Cominciamo dalla parrocchia che assume il nome di S. Quirico, la quale dalla diocesi di Vercelli passò alla diocesi di Casale nel 1474. La funzione di parrocchiale è attribuita a quattro chiese, corrispondenti alle quattro ex parrocchie. S. Vittore: ad Odalengo Grande, non lontano dal castello è una di queste. La chiesa primitiva si trovava verosimilmente presso l’attuale cimitero (dove è tuttora presente una cappella dedicata a S. Vittore); fu elencata negli estimi della diocesi di Vercelli, pieve di Gabiano, senza titolo nel 1299 e col titolo di S. Vittore dal 1348. Nei primi anni del sec. XVIII la parrocchiale, definita antichissima, era addossata al castello, sul lato sud-occidentale. L’attuale edificio venne costruito nello stesso sito per volontà del marchese Luigi Gozzani, previa demolizione nell’inverno 1784-85 della chiesa antica che era pericolante; il 14 aprile del 1785 fu benedetta la prima pietra. La struttura architettonica fu conclusa l’anno successivo; gli arredi interni vennero completati nel 1789. Si è ipotizzato l’intervento del Magnocavalli per analogie con la facciata della parrocchiale di S. Germano (a sua volta però difficilmente riconducibile al Magnocavalli stesso), o un progetto del vicentino Ottavio Bertotti Scamozzi, che negli stessi anni stava ristrutturando il palazzo casalese di Giacomo e Luigi Gozzani, per le insistite formule decorative derivate dalle architetture del veneto Palladio (imitato oltreoceano da i costruttori della Casa Bianca sede del presidente degli USA). Un altare fu

Campanile della chiesa comune di Odalengo Grande


dedicato a S. Defendente, compatrono dal 1728. Un fulmine danneggiò il tetto nel 1955. La costruzione, divenuta pericolante per cedimento del terreno con apertura di grandi crepe nel coro, è stata rinforzata nelle fondazioni e restaurata all’interno negli anni 2003 -05; gli intonaci sono stati ripristinati da Carlo Genevro. La bianca e imponente facciata anticipa la freddezza dell’architettura neoclassica ed è decorata con stucchi molto ricercati riprendendo motivi del palladio tramite l’uso dell’ordine gigante di quattro colonne corinzie. Al centro del fastigio triangolare vi è lo stemma dei Gozzani; lungo la trabeazione (travatura) si legge l’iscrizione: «Marchio Aloysius Gozani anno MDCCLXXXVI». La pianta dell’edificio è a croce greca, con presbiterio all’incirca quadrato ed abside semicircolare; il transetto è formato da due absidi velate da un colonnato corinzio (coretti); sulla crociera si eleva una grande cupola a base circolare. La primitiva chiesa di S. Grato era verosimilmente situata in corrispondenza dell’incrocio stradale che precede l’abitato, dove è ricordata da una bella croce marmorea con testa di Cristo scolpita, collocata nel 1949. Nel 1734 la zona era infestata dai malandrini che avevano il covo nella piccola torre della vecchia e diroccata chiesa di S. Grato, tanto che le autorità ritennero necessaria la sua demolizione. La prima pietra dell’attuale chiesa fu posata nel 1736, l’edificio fu benedetto nel 1739. In facciata è incassata una lapide a ricordo del primo pievano di Vallestura morto nel 1784 («DOM | hic iacet | primus | Vallisturie | pleb(anus) … | obiit anno | 1784 | 14 8»). Anche il campanile è elegante. Nel 1987 furono rubati quattro angioletti lignei dai due confessionali, una statua della Madonna ed un quadro con S. Giovanni Battista, entrambi del sec. XVIII; sotto la tela rubata tornò alla luce, entro una nicchia dimenticata, un’altra statua lignea della Madonna, meno pregiata, anch’essa del sec. XVIII. S. Antonio Abate: a Sant’Antonio

della Serra, frazione sul Bricco (dial. Sant’Antòni). Fu costruita agli inizi del sec. XVIII (o nel 1819) come chiesa parrocchiale in sostituzione dell’altra, sita nei pressi del cimitero. S. Sebastiano: a Cicengo (dial. Sisèng. Ocesingum (?), 1070. Fu eretta a parrocchia attorno al 1632-52. Nel campanile è murata un’epigrafe di terracotta che ricorda l’ampliamento della chiesa realizzato nel 1667 col concorso della popolazione; la costruzione era completata nel 1670. In seguito l’edificio fu ulteriormente ampliato da una a tre navate. Nella notte del 15/12/1998 furono rubati una ventina di candelieri, alcuni ex voto e ante di un mobile della sacrestia. S. Vittore: nei pressi del cimitero di Odalengo Grande. Fu verosimilmente la prima parrocchiale di Odalengo Grande, il cui abitato si spostò a sud-est nell’attuale posizione in un secondo tempo. Fu elencata nelle decime della diocesi di Vercelli, pieve di Gabiano, senza titolo nel 1299, col titolo di S. Vittore nel 1348. L’attuale costruzione risale al sec. XVIII. Serve solo per le funzioni dei Santi; è in buono stato. S. Quirico: a lato della strada della Valcerrina, tra Vallestura e Pozzo. Cappella in stile eclettico, costruita alla fine del sec. XIX (o nel 1926) a fianco del campanile, detto Torre di S. Quirico (dial. San Quìlic) (vedi foto di copertina), che è l’unico resto dell’antica chiesa, censita nella pieve di Castrum Turris col solo titolo nel 1299 e dal 1348 con la specificazione «de Valle sturia», esistente ancora nel 1637. Qui sorgeva l’Odalengo distrutto o della valle (Odolengum destructum o de rocatum, Odolengum de Valle). Nel 1877 il campanile era isolato e in pericolo di totale rovina. Nel 1911 venne elencato tra gli edifici monumentali nazionali. Restauri negli anni '50 del Novecento. Nel 1985 alla base del campanile furono effettuati scavi di sondaggio, bloccati dalla Soprintendenza. Nel 1995 venne rifatto il tetto. Al 2003 risale l'impianto di illuminazione. La chiesetta venne

restaurata nel 2006, anno in cui si provvide anche una nuova Via Crucis. Il campanile ha base rettangolare (lati di m 3 e 4.05) ed è diviso in quattro piani da cornici. Lesene angolari sono presenti ai primi due piani, mentre mancano ai livelli superiori, dove si nota una rastremazione del fusto. Il primo piano è costruito in conci di pietra da cantoni grigia, nella parte inferiore non squadrati e disposti in filari di varie altezze, mentre superiormente sono di taglio più regolare; i piani successivi sono realizzati in mattoni. Alla base del fianco meridionale è stata tamponata un'apertura di accesso al campanile. Il limite tra il primo ed il secondo livello è segnato da una cornice ad archetti pensili: semplici sui lati settentrionale e orientale, intrecciati sul lato occidentale, mentre il lato meridionale, che aderiva alla chiesa, ne è sprovvisto. Su ogni lato del secondo e del terzo piano si apre una monofora; il quarto piano presenta invece quattro bifore con colonnina centrale e capitello a stampella in pietra. Al culmine c'è un'altra cornice ad archetti pensili, sovrastata da una fascia a billettes. Il campanile è stato recentemente datato alla fine del primo quarto del sec. XII. S. Grato: in regione Scarfenga (dial. Scarféng), difficilmente raggiungibile su una collinetta. S. Martino: chiesetta isolata e abbandonata nella valle, sita circa a 500 m ad ovest di Odalengo Grande. Per motivi di spazio ci fermiamo qui nelle descrizione (che sul sito citato sono molto più accurate) indicando solo i nomi dei restanti edifici di culto: Madonna delle Grazie (detta anche Madonna di Moncucco); S. Antonio Abate: (chiesa vecchia); S. Rocco: nella frazione Vallarolo di Sant’Antonio (dial. Valarö’), SS. Trinità: nella frazione Riovalle di Sant’Antonio (dial. Ri dla và). S. Secondo: presso il cimitero di Cicengo, antica chiesa fondata attorno al Mille. Madonna Assunta: in frazione Pozzo (dial. Pus), retta col contributo degli abitanti della frazione. S. Liberata: in frazione Casaleggio (dial. Cažalècc)

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Arcieri in Monferrato

Alle altre numerose opportunità di svago e sport all’aria aperta si aggiunge anche il Tiro con l’arco, una storica arte un tempo molto popolare nelle nostre terre

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La nostra lettrice di Villamiroglio ci ha inviato un articolo interessante su un’arte, oggi rinata in veste sportiva, ma che nei secoli passati era assai diffusa fra i nostri avi per la caccia della selvaggina, allora come oggi abbondante sulle nostre colline, ma applicata anche in ambito militare: il tiro con l’arco. Come già considerato in diversi articoli di G&d, lo splendido territorio collinare del Monferrato, con la sua stretta simbiosi con la natura, ha notevoli potenzialità solo in parte sfruttate o comprese. Spesso infatti la bellezza singolare di questi territori collinari e boschivi, talvolta impervi, sempre più abbandonati dalle generazioni lontane dall’agricoltura e dalla cultura della coltivazione e conservazione, ormai in gran parte impraticabili o sconosciuti, è considerata un handicap. I boschi sono forse lontani dal costume idealizzato di vita “moderna”, lontani da quelle visioni figlie del consumismo che ci ha suggestionato negli ultimi decenni, che al di là delle chiacchiere tendono a focalizzare obbiettivi di tornaconto, a dispetto di ogni altra valutazione. Ma a volte i boschi sanno dimostrare che le loro peculiarità, talvolta così apparentemente incomprensibili, possono invece risultare una risorsa. È quello che è successo ad alcuni terreni di proprietà del Comune di Villamiroglio, che sono stati dati in uso alla compagnia 01CELT Arcieri del Monferrato, associazione

sportiva che si occupa della pratica e della promozione del tiro con l'arco, per la realizzazione di un campo di allenamento. I terreni concessi in uso alla 01CELT a Villamiroglio sono ubicati sulle pendici di Monte Croce, nei pressi del Cimitero e della Chiesa di S. Michele, e comprendono un pioppeto e i terreni limitrofi caratterizzati da un solido impianto boschivo a sviluppo naturale, ora trasformati in un campo di allenamento per il tiro con l’arco recentemente dotato di ben 18 nuove piazzole, che potrebbero anche aumentare in futuro, e un pratical adatto anche ai principianti. La compagnia ha sede a Casale Monferrato, ma si prodiga in attività promozionali e ricreative in un territorio piuttosto vasto che abbraccia tutto il casalese fino al territorio alessandrino e dal vercellese fino al torinese. Affiliata alla FIARC (Federazione Italiana Arcieri di Campagna) la 01CELT pratica una tipologia di tiro con l'arco detta "di campagna". Questa tipologia di tiro istintivo affonda le sue radici nel tiro venatorio e mira a ricercare un contatto con la natura e alla pratica ancestrale di questa "filosofia", secondo la quale l'arciere, oltre a dover raggiungere una grande concentrazione durante l'esecuzione del tiro, riesce a proiettare all'esterno le proprie emozioni in modo che queste guidino la freccia verso il bersaglio. Nato come allenamento nei periodi in cui la caccia era chiusa, e che si è evoluto nel tempo fino a diventare una vera e propria disciplina sportiva, ad oggi questo sport è un'occasione per vivere all'aria aperta, riavvicinarsi alla natura, riscoprire gesti, antiche tradizioni ed emozioni che l'uomo ha sempre vissuto fin dai suoi albori. I bersagli utilizzati in questo sport sono sagome tridimensionali di animali in materiale sintetico che vengono disposte in ambienti boschivi a formare percorsi nella natura do-

“Caccia” con l’arco alle sagome di animali


ve bersagli in movimento, bersagli a tempo o in branco, morfologia del terreno e giochi di luce nella boscaglia sono gli elementi di sfida continua che fanno del tiro di campagna un’attività sportiva unica nel suo genere. Gli archi utilizzati invece si dividono in due tipologie: tradizionali e tecnologici. Tra gli archi tradizionali i più diffusi sono il longbow, il classico arco lungo inglese, e il ricurvo, un arco sviluppato nel ‘900 sulla base degli antichi archi a doppia curvatura. A questi vanno aggiunte le moderne riproduzioni degli archi antichi, come quelli usati da Romani, Turchi, Magiari, Unni, Sciiti o Mongoli. Un posto a sé stante tra gli archi tradizionali è occupato dagli archi storici, costruiti esclusivamente con materiali naturali. Gli archi tecnologici invece sono rappresentati dai compound, archi che tramite un sistema di carrucole di tipo eccentrico permettono di accumulare una maggiore quantità di energia e di ridurre lo sforzo nel momento in cui l’arco è teso, ed è anche l’unica tipologia di arco a cui sono permessi sistemi di mira. Nel nuovo campo di tiro di Villamiroglio, e lungo i sentieri di Monte Croce, sono state già disputate due gare valevoli per il Campionato Regionale Piemonte-Liguria FIARC, che hanno visto impegnati numerosi arcieri, anche di altre regioni. L'ultima gara si è svolta domenica 29 settembre, nonostante le forti piogge che nel mezzogiorno hanno reso più difficoltosi i tiri e la percorrenza del percorso. Soddisfatti i partecipanti e gli organizzatori, lo

staff della 01CELT si è prodigato con molto impegno per preparare la gara di quest’anno, tracciando un percorso con ventotto piazzole di tiro per le quali sono state sistemate ben 40 sagome di svariati animali, dalle piccole chiocciole ai fagiani, tassi, caprioli, daini, cinghiali, fino ai maestosi orsi e cervi, ad una distanza di tiro variabile dai tredici ai quaranta metri, e già si pensa all'edizione 2014. A dispetto dei capricci del meteo, la gara si è svolta senza intoppi, e al termine sono stati premiati i primi tre classificati di ogni categoria e tutti i concorrenti più giovani, i "cuccioli" e gli “scout”. Il tiro con l’arco di campagna infatti è uno sport per tutti, e si può iniziare a praticare a tutte le età, sia da bambini che da adulti, ed è un'attività ideale da praticare in famiglia, e per chi desideri riavvicinarsi alla natura e ad una vita sana. Chi volesse immergersi nel mondo dei boschi e provare questo sport, gli Arcieri del Monferrato dispongono di istruttori preparati e professionali che svolgono corsi da ottobre a maggio in palestra, per apprendere correttamente la tecnica di tiro e il perfezionamento della postura, e con lezioni al campo, dove si inizia a prendere dimestichezza con le insidie del bosco. Al termine dei corsi gli allievi possono ottenere l'abilitazione al tiro con l'arco, copertura assicurativa e l’uso delle strutture della compagnia, dove saranno seguiti sia dagli istruttori che dagli arcieri più esperti nel campo di Villamiroglio, accessibile durante tutto l'anno e facilmente raggiungibile con ampio parcheggio disposizione, dove vi ritroverete in un attimo immersi un bellissimo scenario di bosco a due passi dal centro dal paese! Per maggiori informazioni scoprite il mondo della 0 1 CE LT s u www.01 cel t.i t. Buone Frecce! VIF

Gabiano e dintorni

Autorizzazione n° 5304 del 3-9 -99 del Tribunale di Torino; Direttore Responsabile Enzo GINO - Sede: via S. Carpoforo 97 - Fraz. Cantavenna 15020 Gabiano - Stampato presso A4 di Chivasso (TO) - Associazione Piemonte Futuro: P. Iva 02321660066; Distribuzione gratuita; Per informazioni e pubblicità; cell. 335-7782879; e-mail: posta@gabianoedintorni.net www.gabianoedintorni.net www.collinedelmonferrato.eu Conosci e fai conoscere il tuo territorio. Fai avere una copia cartacea di G&d ai tuoi amici, conoscenti e vicini di casa o invia loro il link del sito: (www.gabianoedintorni.net) Invitali a diventare amici su Facebook al profilo: Gabianoe Dintorni Mostra Tamburello Grande successo della ormai nota mostra sul Tamburello nel Monferrato realizzata da Piergiuseppe Bollo, Riccardo Bonando ed Enzo Gino che è stata esposta presso il Castello di Murisengo durante la fiera del tartufo che si è svolta fra il 10 e il 17 novembre u.s. Bagna cauda & businate La serata del 9 novembre u.s. presso la locanda del Borgo a Mincengo durante la serata Bagna Cauda, Piero Luigi Raiteri di Castelletto Monferrato, al centro nella foto e Mario Lombardo di San Salvatore a destra hanno recitato ai numerosi partecipanti le Businà da loro scritte, riscontrando grande successo fra i presenti.

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Proponiamo una ricetta

Agnulot munfrin Gli agnolotti piemontesi o più semplicemente agnolotti sono una specialità di pasta ripiena tradizionale del Piemonte, e in particolare, della zona del Monferrato, nelle province di Alessandria e Asti, ma diffusa in tutta la regione. Esistono molte varianti degli agnolotti, tra cui gli agnolotti pavesi, che si differenziano per il ripieno a base di stufato. L'origine del nome è incerta: la tradizione popolare identifica in un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelot, la formulazione della ricetta, la cui prima pubblicazione scritta risalirebbe al 1801 sul libro la Cuoca del Buongusto pubblicato a Torino. In seguito la specialità di Angelot sarebbe diventata l'attuale Agnolotto. Un'altra teoria più moderna fa derivare il nome dal dialetto piemontese “anulòt” che nient'altro era che un ferro adoperato per tagliarli a forma di anello, che a detta di alcuni era appunto la forma primitiva che assunse questa pasta. La forma tradizionale è quadrata, con il ripieno racchiuso da due sfoglie di pasta all'uovo. La caratteristica principale dell'agnolotto piemontese rispetto alle altre specialità di pasta ripiena del resto d'Italia è l'utilizzo di carne di arrosto per il ripieno. Caratteristici della zona delle Langhe e del Monferrato sono gli agnolotti del plin o agnolotti al plin, di piccole dimensioni e forma perlopiù rettangolare (il termine deriva appunto dal 'plin', ovvero il pizzicotto che viene dato per chiuderlo). Sia gli agnolotti piemontesi che gli agnolotti del plin

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Come prima scritto, non è l’unica possibile, anzi le varianti possono esser davvero molte. sono inseriti nell'elenco dei Prodotti Quantità per 8 persone: Per il ripieagroalimentari tradizionali italiani, no: 300 gr di spalla di vitello, 150 stilato dal Ministero delle Politiche gr di carne di coniglio, 200 gr di Agricole, Alimentari e Forestali e capocollo di maiale (c’è chi prevede quindi tutelati secondo un disciplianche una parte di salsiccia), 70 gr nare della Regione Piemonte. Pur di verza, ¼ di cipolla, uno spicchio potendo essere cucinati in diversi d'aglio, mezza carota, un gambo di modi, sono quattro le ricette tradisedano, un rametto di rosmarino, zionali: ½ bicchiere di vino bianco secco, 3 - con sugo di carne arrosto decilitri di brodo, 2 uova, 35 gr di - con burro, salvia e formaggio grana grattugiato, olio, burro, sale, Grana Pepe, noce moscata. Per la pasta: - con ragù di carne alla piemontese 400 gr di farina, 4 uova intere, un - in brodo di carne. cucchiaio di olio d'oliva. La ricetta classica non prevede la Preparazione: Mondate tutte le vercreazione di agnolotti piemontesi di dure crude, lavatele e tagliatele a magro: nel raro caso vengano propezzi. Scaldate 3 cucchiai di olio di dotti, sono comunque denominati oliva ed un pezzetto di burro in un ravioli: conosciuti quelli del Canategame, aggiungete le carni, fatevese e della Valle d'Aosta. le rosolare da una parte poi unite le L'agnolotto è un piatto classico verdure e gli aromi e fate dorare le della cucina popolare piemontese: carni da ogni parte. A questo punto è infatti consuetudine utilizzare per irrorate con il vino bianco, fate evail ripieno gli avanzi di arrosto dei porare, salate, pepate, coperchiate giorni precedenti, triturati e mescoe cuocete finché le carni saranno lati fra loro, insieme a verdure e tenere versando di tanto in tanto altri ingredienti. Considerando quepoco brodo. A cottura ultimata scosta origine risulta improprio parlare late un po' di sugo e tenetelo da di una ricetta tradizionale per il parte (servirà per condire gli agnoripieno, in quanto questo variava in lotti). Aggiungete la verza cotta in relazione agli avanzi a disposizioacqua e strizzata, rimestate, spene; il fatto che questa sia da consignete e lasciate intiepidire per derare l'origine più genuina dell'aqualche minuto dopodiché passagnolotto è attestata dall'utilizzo del te il tutto nel tritacarne. Mettete il sugo di arrosto per il condimento: ripieno degli agnolotti in una capaquesta ricetta infatti prevede di ce ciotola, aggiungete le uova interiutilizzare non solo la carne avanre, il grana, regolate di sale e di zata, ma anche l'intigolo dell'arropepe, grattugiate poca noce mosto, coerentemente con la tradizioscata ed amalgamate bene il tutto. ne contadina che prevede di evitaNon resta che stendere la sfoglia di re ogni spreco. pasta (comodo usare il Raviolamp), mettere piccole porzioni del citato ripieno opportunamente distanziati fra loro, coprire il tutto con un’altra sfoglia di pasta (se volete evitare che qualcuno si apra durante la successiva cottura si può spennellare una delle sfoglie con albume d’uovo che è un’ottima “colla” alimentare) premete la pasta attorno alla farcia e con l’aiuto di una rotella dentellata tagliate ciascun agnolotto. Non resta che bollire, scolare e condire con uno dei sughi citati. A sinistra agnolotti pronti, sopra in preparazione sulla pasta sfoglia su un Raviolamp.


Biodiversità monferrina Anche fra i non umani, esistono specie che si sono insediate recentemente sulle nostre colline o sono state introdotte artificialmente dall’uomo.

Una sorta di immigrazione naturale o artificiale che ha accresciuto la biodiversità talvolta creando anche qualche danno. Chi non conosce i fagiani che spesso ci attraversano la strada mentre stiamo passando. E’ una specie alloctona oggetto di frequenti ripopolamenti artificiali a scopo venatorio, in particolare nel periodo che ne precede l'apertura; caratteristico è il suo richiamo, costituito da una stridente nota doppia, "kok - kok", spesso seguita da un breve battito d'ali. E' l'uccello galliforme di dimensioni maggiori presente nelle nostre zone: il maschio può arrivare fino a 1,5 kg e la femmina intorno ai 900 grammi. Questa specie presenta una spiccata diversità fra i sessi. Il maschio è vivacemente colorato (vedi foto) mentre la femmina ha colori smorti sul marrone screziato. E' praticamente impossibile confondere il fagiano con qualsiasi altro

uccello. E' una specie molto versatile quanto ad adattabilità, si è ambientato molto bene nella campagna coltivata, trovando buone condizioni di vita nelle distese di granoturco. Vive anche nel bosco, sempre però in vicinanza dei coltivi, dove può trovare in ogni periodo dell'anno abbondanza di cibo. Alla base della sua dieta vi sono i semi di diverse piante, soprattutto di gramigne selvatiche e cereali coltivati, ma anche i frutti del bosco. Gli insetti e altri piccoli invertebrati vengono consumati in gran numero durante la crescita dei giovani. A volte può predare nidi e i piccoli mammiferi. Durante i mesi freddi si formano gruppi separati di maschi e di femmine. Tale caratteristico comportamento può essere interpretato come un preludio alla formazione dei territori che avviene sul finire dell'inverno. I maschi territoriali, i più vecchi, già alla fine di gennaio o all'inizio di febbraio cominciano a definire delle aree che vengono difese contro i membri della stessa specie e si conquistano un certo numero di femmine, variabile in base alla disponibilità. I maschi più giovani sono allontanati oppure tollerati, sul territorio, ma viene

Il Saettone o Colubro di Esclulapio

loro impedita l'attività riproduttiva. Gli accoppiamenti avvengono nei mesi di marzo e, alla metà di aprile, inizia la deposizione delle uova. Nidifica a terra negli incolti, nei campi coltivati e nei prati e, di preferenza nelle siepi e nei cespugli al margine dei boschi. La femmina si occupa della costruzione del nido, della cova delle uova e dell'allevamento della prole. Le uova deposte sono in numero variabile da 10 a 20 e si schiudono dopo 23-25 giorni. Il Saettone o Colubro di Esculapio. E' il serpente per antonomasia, rappresentato nel simbolo delle farmacie, un tempo considerato sacro dai Romani. Raggiunge e supera 1,5 metri di lunghezza. L'adulto è facilmente riconoscibile per la colorazione da beige a verde o li va, abbas tanz a uni fo rme (talvolta sono caratteristiche minute macchioline bianche, più raramente si osservano strie longitudinali poco definite); il giovane ha corpo brunastro con macchie scure disposte più o meno regolarmente, lati della testa con due caratteristiche macchie giallastre e una stria scura dietro agli occhi. I saettoni dell'Italia centro-meridionale sono

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stati recentemente riconosciuti come una specie separata da altre varietà europee. E’ specie amante delle aree con ricca vegetazione, non è facile da osservare in attività; almeno in estate sembra attiva molto presto al mattino, anche con temperature piuttosto basse. E' specie ovipara. Si nutre principalmente di vertebrati a sangue caldo (piccoli mammiferi e uccelli). In Basso Monferrato si rinviene principalmente negli incolti erbacei con ricca vegetazione arbustiva e margine di boschi e arbusteti. E' specie innocua, protetta dalla Direttiva Habitat (All. D). Codibugnolo (Aegithalos caudatus) (foto sotto a sinistra) E' un piccolo uccello arrotondato con coda lunga (13 - 15 cm di cui 7 - 9 solo per la coda). Testa bianca con banda nera che dal piccolissimo becco raggiunge ai lati della testa la nuca; dorso bruno rosato; ali nere con secondarie e terziarie bordate di bianco; parti inferiori bianche e verso la coda più rosate; coda lunga e stretta, nera bordata di bianco. E' un uccello irrefrenabile sempre in movimento sui rami degli alberi, ed anche abbastanza acrobatico come le Cince. In Italia è diffuso ovunque. In Basso Monferrato è comune, nidificante e svernante. Ama i boschi di latifoglie non troppo densi, con sottobosco folto e arbusti ma frequenta anche i giardini e i parchi dei centri abitati. E’ una specie protetta. Prataiolo (Agaricus campestris). E’ un fungo diffuso nei nostri prati, noto a tanti anche perché commestibile. Ha cappello convesso appianato, carnoso, di grandezza variabile.

Anche il colore è variabile dal bianco, giallognolo, rossiccio, al bruniccio. Cuticola liscia, sericea o pelosa, dissociata in squamette. Lamelle libere, fitte, dapprima rosa, poi scure ed infine nerastre. Gambo carnoso cilindrico od attenuato verso la base, di colore bianco, fibrilloso e con squamette sotto l'anello. Anello supero, sottile, sem-

plice, stretto. Carne bianca, debolmente rosa al taglio alla sommità del gambo, odore gradevole. Buon commestibile. E' la specie "typus" del genere Agaricus che, agli albori della micologia, comprendeva tutti i funghi a lamelle. Ghiro (Myoxus glis). E questo signorino qui (vedi fotto in basso a destra) chi lo ri-conosce? Non è un topo né uno scoiattolo, ma un Ghiro che come vedete popola volentieri i nostri sottotetti, spesso in maniera molto rumorosa. E’ lungo da 13-18 cm, esclusa la coda e può pesare da 70 a 180 gr. Le orecchie sono piccole e prive di ciuffi di pelo. La tinta del dorso è grigia, mentre le parti inferiori sono biancastre. Gli occhi sono piuttosto grandi, sono circondati da un anello di pelo scuro ricor-

dante una mascherina. La coda è folta e pelosa. Vive nei boschi e nelle coltivazioni arboree dove può arrecare danni. E' un animale di abitudini notturne e la sua presenza può essere avvertita per fruscii e raspamenti che provengono dalle cime più alte degli alberi. In estate trascorre le ore di luce all'interno di un nido di foglie secche, che si trova per lo più in un tronco concavo. Normalmente vive solitario, ma in inverno si possono trovare molti animali raggruppati nello stesso nido. E' un roditore, ghiotto di semi, bacche, noci, nocciole, ghiande, castagne; è però anche ghiotto di uova, nidiacei e insetti. All'epoca degli amori, che inizia un mese dopo il risveglio, possono accendersi tra i maschi aspri combattimenti. L'accoppiamento avviene in maggio-giugno e i piccoli, in numero 4-5, nascono un mese più tardi. Si può avere una seconda gravidanza nella stessa estate: si possono infatti trovare dei piccoli nel nido a settembre. Il letargo può durare fino ad aprile e durante questo periodo l'animale può perdere circa la metà del suo peso. Il ghiro è preda di piccoli carnivori, come la faina e la donnola e di rapaci, come il gufo e l'allocco. Vive in due nidi differenti durante l'anno: in estate il suo nido è localizzato generalmente in un tronco cavo, in cavità presenti nelle costruzioni, è costituito di foglie e erba secca, mentre d'inverno il nido si trova in un buco scavato nel terreno, sotto la radice degli alberi o in tronchi abbattuti o, a volte, nei sottotetti delle case.


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