LOST IN TRANSLATION

Nella storia dell’arte assistiamo a come i pittori – o, comunque, quegli artisti che operano su una superficie piana – abbiano cercato sempre di uscire dai limiti del loro supporto, determinato dalla bidimensionalità. Così nel Rinascimento, ma anche prima, si “inventò” la prospettiva in modo scientifico per evitare, sebbene il lusoriamente, la semplice frontalità e dare la sensazione della profondità. Successivamente, con aggiunta di ma teriali tridimensionali aggettanti, la superficie “fuoriesce” in avanti, mentre poi, al contrario, Fontana vorrà uscire “dietro” la tela, per cercare la profondità al di là. Ma c’è di più, oltre ai problemi creati dalla superficie, gli artisti hanno trovato limitante la staticità del quadro o della scultura: da qui la nascita del Futurismo. In se guito, se Boccioni creava anche in alcune sculture l’il lusione del movimento, Calder dopo qualche decennio realizzò sculture “mobile” cioè con parti di esse che si muovevano nell’aria; successivamente, con l’avvento della tecnologia, prima elettromeccanica poi elettronica, abbiamo “sculture” in cui avvengono molteplici e vari movimenti. Questa volontà di movimento ha affascinato anche l’ar chitettura, infatti già tra il 1929 e il 1935, vicino Verona, fu costruita Villa Girasole, un edificio con una meccanica sottostante che permetteva la sua rotazione alla ricerca del sole o dell’ombra. Recentemente alcuni architetti si sono cimentati, nella costruzione di grattacieli, con una sorta di rappresentazione del movimento, ad esempio lo vediamo nel progetto del Chicago Spire di Calatrava o
nella Torre Generali di Zaha Hadid a Milano. Detto questo, va segnalato anche il movimento artistico e letterario, meno noto come tale nonostante la fama di alcuni loro aderenti quali David Bomberg o Ezra Pound, sviluppatosi in Inghilterra tra il 1913 e il 1915 con il nome di Vorticismo che, rifacendosi al Futurismo, voleva anch’esso esprimere nelle opere il movimento, l’energia. Ebbene, dopo più di un secolo Silvia Beltrami, in tutt’al tro contesto storico, si riallaccia idealmente a quei movi menti, ovviamente con un suo linguaggio nuovo e origi nale, tanto nella tecnica esecutiva quanto nei contenuti, tuttavia è evidente, già nei lavori di qualche anno fa e più marcatamente nei recenti, la sua tenace e convinta volontà di esprimere il movimento nelle sue varie forme fino a quello convulso del “vortice” che, in lei, assume profondi significati, formali e concettuali.
Se per la fisica il “vortice” è un movimento rotatorio e turbolento che si sviluppa a spirale, qui nelle opere di Beltrami è una metafora del movimento ed anche del tempo che scorre rapidamente. Il vortice, per così dire, inizia lentamente per assumere, via via, sempre più ve locità, provocando rischi sempre maggiori: come la vita. Così, l’artista, per formulare i suoi contenuti, si serve delle rappresentazioni dei Rave Parties, dei Punti di fuga, del Cubo di Necker, del Panopticon, ed ora fa anche riferimento al Lockdown che ha visto balli e mo vimenti solitari.
Nei suoi lavori la forza dell’energia si irradia sia all’ester no (forza centripeta e esplosione) sia all’interno (forza
centripeta e implosione), proprio perché l’uomo deve a volte concentrarsi su se stesso e altre proiettarsi ver so l’altro, nella società. Comprendiamo, quindi, che il “vortice” può essere quello delle passioni, quello degli eventi che sono positivi oppure negativi, sempre co munque segno di attività, di movimento che è, natural mente, preferibile alla sterile stasi. Beltrami nella sua espressione attraverso la forma del vortice non si riferisce allo spazio/tempo astratto, anche se da questi riprende le forme, bensì all’umanità, infatti tutte le sue composizioni mostrano la figura umana, non a caso certe sue immagini non possono non ricordare la descrizione di Dante di fronte a Paolo e Francesca trascinati dal vento in un vortice eterno e, se passiamo dalla letteratura alla filosofia, ci sovvengono i “corsi e ricorsi” di Giambattista Vico.
Recentemente, in alcune opere, appaiono vortici di soli segni, quasi a significare la volontà di “ridurre” la fi gurazione per addentrarsi nell’astrazione, da cui deriva il titolo della mostra Lost in Translation (che può in tendersi come Persi nella traduzione oppure Persi nel cambiamento); comunque, non è che la figura umana scompaia del tutto, solo viene frantumata come, durante la pandemia, l’io di ognuno di noi si è quasi spezzato in vari frammenti e si è trascinato nel vortice della ma lattia. Ora, forse, l’individuo appare più isolato nella sua solitudine vorticosa oppure nella volontà di aggregarsi alle altre solitudini, in una massa che decenni addietro David Riesman chiamò “la folla solitaria”: quindi per
Beltrami l’uomo, trasportato dal vento degli avvenimenti, o dei sentimenti, nel vortice della vita, non riesce mai a fermarsi e ad essere, se non felice, almeno sereno. Si badi, questa “metamorfosi” è formale, nel senso che già nelle opere precedenti l’aspetto geometrico, sebbe ne più “nascosto”, era ben presente: ad esempio nei giochi percettivi del cubo di Necker o nel Panopticon sopracitati. Adesso i “frammenti” di forma geometrica sono più evidenti e si presentano quasi come in una scomposizione di atomi e nella loro traiettoria. Orbene, se i lavori di Beltrami sono ricchi di contenuti, complessi eppure evidenti, con richiami ad altre disci pline e, soprattutto, all’umanità, non meno interessante è la sua tecnica esecutiva, elemento fondamentale perché l’arte, come teorizzava Benedetto Croce, è contenuto e forma.
Potremmo dire, per usare una locuzione oggi applicata a molti concetti, che Beltrami è una “diversamente pittri ce”: le sue opere infatti hanno tutto quello che ha la pit tura, composizione e colore, solo che lei non lavora con pennelli e colori – anche se è una bravissima esecutrice di affreschi che richiedono un sapiente disegno e un’e levata capacità nell’uso dei colori – ma con il collage. È noto che il “collage” fu inventato e usato da Braque e Picasso dal 1912 e che consisteva nel ritagliare e pre levare pezzi, più o meno piccoli, di giornali, riviste, carte, poi incollati sulla tela. In seguito, con i Dadaisti ed altri, i pezzi di materiali usati avevano una funzione narrativa (per esempio nella Poesia visiva) più marcata.
La nostra artista certamente si rifà alla tradizione dei “papiers collés” dei padri del Cubismo ma anche alla tecnica musiva: infatti se pure Picasso a volte si servi va di materiali preesistenti con funzione esplicativa (ad esempio il ritaglio con scritto Journal invece di disegna re un giornale), Beltrami invece ritaglia riviste, giornali, carta da parati, pezzi di altri tipi di carta e ne fa una sorta di “tessere” con cui costruisce l’immagine, senza peraltro un disegno sottostante. Se l’immagine è sempre vorticosa, il colore anche è sempre vivo, a volte con contrasti di luci e ombre, di chiari e scuri, altre con accostamenti tenui, delicati: in somma il cromatismo è perfettamente funzionale al tur binio del vortice e rafforza quel senso cosmico che si coglie osservando le sue opere e nel quale gli uomini nel bene e nel male svolgono, vorticosamente, le loro esistenze e possono talvolta dire, con Leopardi, che per loro è “dolce naufragar in questo mare”.
Giorgio BonomiBisognava disfare, scomporre, desedimentare delle strutture (di ogni tipo: linguistiche, fonetiche, logocen triche) […] Ma disfare, scomporre, desedimentare delle strutture non era un’operazione negativa. Più che di struggere, si trattava di capire come si fosse costruito un certo “insieme”, e per farlo bisognava ricostruire.
Jacques DerridaNella seconda metà del Novecento, J. Derrida introdu ce nella filosofia occidentale il concetto di decostruzio nismo, ponendosi in una posizione di critica radicale della metafisica e del campo chiuso delle opposizioni binarie che la caratterizzano. Questo nuovo pensiero si configura come una strategia di lettura che mette in luce contraddizioni concettuali e linguistiche, conside rando il testo letterario una realtà plurale indeterminata di cui ogni interpretazione risulta arbitraria e parziale. Deve emergere ciò che non è possibile comprendere dal punto di vista delle opposizioni binarie della filosofia classica: ciò che non è né bene né male, né vero né falso, né puro né impuro. È questa disarticolazione del testo, questa apertura alle sue incoerenze che si defini sce “decostruzione”. È cercare le fratture, i vuoti, quei dettagli nascosti, persi nella traduzione della realtà. Questo spazio aporetico è la dimensione in cui Sil via Beltrami mette in atto il suo processo di indagine sull’identità umana, disfatta, analizzata e riconquistata at traverso l’utilizzo del collage. La tecnica è qui strategia
di lettura e l’atto di decostruzione e ricostruzione della realtà si fa immagine nella concretezza dei frammenti di carta.
L’interesse dell’artista è rivolto al costante studio della condizione umana nella società postmoderna e con temporanea, il cui fil rouge è costituito dalle teorie del sociologo Zygmunt Bauman: un’umanità “liquida” per vasa dalla frenesia del consumismo e della velocità, dallo spaesamento nell’assenza di sicurezze, dalla ne cessità di movimento, virtuale o reale che sia. La mo bilità diventa il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi e valore indiscusso dell’epoca post moderna.
La serie Lockdown dance, presentata per la prima volta in occasione della mostra Lost in translation, racconta una negazione, la limitazione della nostra libertà di mo vimento durante il periodo pandemico, un improvviso cambio di paradigma in cui il tempo si è dilatato e lo spazio si è ristretto. L’evoluzione del movimento è qui rappresentata al contrario, verso l’interno, con vortici e traiettorie che, creando gabbie ansiose, esprimono una costrizione all’immobilità, una circostanza paradossale in cui l’uomo non si sente più senza barriere ma intrappo lato e spaventato dall’ignoto.
Il dittico Panopticon, la meno recente delle opere esposte (2014), dimostra che lo studio della condi zione postmoderna da parte dell’artista prosegue con costanza da diverso tempo. Esso infatti è liberamente ispirato alle teorie di Bauman in materia di controllo e
sorveglianza messe in atto grazie all’ausilio del web, nuovo panopticon (prigione ideale progettata da Jeremy Bentham nel 1791) in cui siamo noi stessi a rinchiuderci condividendo online i nostri dati personali, pezzetti della nostra identità. Il collage diventa così rappresentazione dell’individuo come entità frammentata e complessa e la scelta del dittico si carica di significato concettuale: nel vuoto, nel distacco tra i due elementi si crea un nucleo in cui convergono tensioni generando uno spazio fatto di false prospettive e illusioni in contrasto con un dina mismo universale ordinato e controllato. Un’atmosfera che racconta assenza di punti di riferimen to la si ritrova anche nella serie Misfits, titolo traducibile come “i disadatti”. In queste opere, l’artista sottolinea ancora meglio un’umanità pervasa dall’inquietudine, fatta di individui persi e trascinati in quel turbinio e incapaci di trovare un baricentro stabile. Con le opere Frattale e Downburst Beltrami allude a due fenomeni naturali proponendoli come metafore della società. Il frattale è una composizione geome trica che si ritrova, ad esempio, nella struttura di molte specie vegetali, nei profili geomorfologici delle monta gne, nelle nuvole e presenta un rapido susseguirsi di rappresentazioni prospettiche che, ripetendosi all’infinito creano un oggetto omotetico, una copia di sé stesso su scale differenti che s’ingrandisce proporzionalmente. L’artista reinterpreta questo fenomeno rappresentando un vortice in movimento di cui possiamo percepire la rotazione, dove la velocità porta il soggetto a perdere