Rivista20 maggio-giugno 2025

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MELOTTI

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE del Centro Culturale Ariele

Hanno collaborato:

Giovanna Alberta Arancio

Monia Frulla

Rocco Zani Miele

Lodovico Gierut

Franco Margari

Irene Ramponi

Letizia Caiazzo

Graziella Valeria Rota

Alessandra Primicerio

Enzo Briscese

Giovanni Cardone

Susanna Susy Tartari

Cinzia Memola

Concetta Leto

Claudio Giulianelli

Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio

tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com

In copertina: Fausto Melotti

FAUSTO MELOTTI

mostra a cura di Chiara Bertola e Fabio Cafagna In collaborazione con Fondazione Fausto Melotti Con il contributo di Galleria Christian Stein e il sostegno di Hauser & Wirth

A oltre cinquant’anni di distanza, nell’ambito della SECONDA RISONANZA, la GAM dedica all’artista una nuova grande mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Fausto Melotti di Milano e curata da Chiara Bertola e Fabio Cafagna. Un percorso espositivo che ripercorre l’intera produzione di Melotti dagli esordi astratti degli anni Trenta fino alla maturità artistica.

Il titolo della mostra, “Lasciatemi divertire!”, trae ispirazione da un’ironica affermazione dell’artista e sottolinea l’approccio giocoso e sperimentale che ha caratterizzato la sua ricerca. L’esposizione presenta oltre centocinquanta opere, provenienti da collezioni pubbliche e private e si articola intorno al nutrito nucleo di lavori conservati dalla GAM, tra cui la grande Modulazione ascendente (1977), collocata nel giardino del Museo.

IL PERCORSO ESPOSITIVO La mostra si sviluppa in otto sezioni, ordinate secondo una progressione cronologica e tematica che mette in luce le costanti espressive di Melotti. Il cuore dell’esposizione è rappresentato da un allestimento, architettonicamente racchiuso nelle sale interne del percorso di visita, che evoca gli studi dell’artista a Milano (via Leopardi) e Roma (via Margutta), spazi di

intensa creatività in periodi differenti della sua carriera. Le narrazioni delle altre sale si concatenano, talvolta sfumando l’una nell’altra. Il percorso espositivo attraversa i principali nuclei tematici della poetica melottiana: dall’Arte astratta della prima metà degli anni Trenta alle suggestioni urbane e naturali di Città e foreste, passando per le Cosmologie e i miti antichi, fino agli Alfabeti, testimonianza del profondo legame che nella poetica dell’artista lega scrittura, disegno e scultura. Due sezioni, intitolate Intervalli e contrappunti e Pioggia e vento, raccolgono opere ispirate rispettivamente alla musica e ai ritmi naturali, elementi ricorrenti nella produzione dell’artista, che trovano forma in composizioni di estrema leggerezza e sospensione, dove il vuoto e il silenzio assumono un ruolo centrale. Ampio spazio è, infine, riservato alla Produzione ceramica e ai Teatrini, piccoli scenari abitati da figure antropomorfe che Melotti ha realizzato a partire dalla metà degli anni Quaranta.

La mostra rappresenta un’occasione per approfondire la figura di Fausto Melotti, artista poliedrico che ha saputo coniugare scultura, pittura, ceramica, scrittura e musica, imponendosi come maestro dell’arte italiana del Novecento.

ENZO BRISCESE

Enzo Briscese è autore di visioni rivissute in una dialettica di momenti coinvolgenti. Egli privilegia la scomposizione di piani, come esplorazione visionaria, e colta ricerca concettuale, che riprende il pensiero cubista e costruttivista del primo Novecento. Questa pittura riafferma con garbo la possibilità di momenti arcani, grazie a uno scenario dove reminiscenze figurali, più o meno esplicitate, si coniugano in un contesto liricamente informale, mettendo a punto un microcosmo che si ricompone in un unicum ragionato e reso coerente, tramite segnali e richiami allusivi. Vibrano sentimenti inespressi in queste ricognizioni di eventi, il cui significato resta comunque sospeso e accessibile solo come intuizione. Il percorso visivo si traduce in un segno rapido, elegante, e in una materia trasparente, leggera, a suo modo dialogante, e poeticamente armonizzata nei giochi tonali. Si può ben dire quanto Briscese sia pittore della positività, anche nel momento in cui le sue visioni assumono le sembianze di una realtà sfuggente; non c’è infatti conflitto in queste composizioni dove l’in-

conscio non è tenebra perturbante, ma processo chiarificatore, autobiografico si direbbe, che si apre allo sguardo come accogliente repertorio di oggetti teneramente quotidiani, avvolti nella dolcezza ipnotica e nel silenzio ovattato di uno spazio metafisico. Briscese si rivela qui come abile manipolatore di una realtà estremizzata fino ai limiti dell’assurdo, e tuttavia autore di una narrazione veritiera, attendibile, aperta alla condivisione. La sua cultura pittorica, superando il conflitto tra figurazione e informale, si radica nel Museo del secolo scorso, ma va anche detto che questo richiamo spiega solo in parte la verità poliedrica del suo operare, dove risuonano chiari gli echi della nostra inquietante quotidianità. Paolo Levi

mail.: enzobriscese6@gmail.com www.facebook.com/enzo.briscese.9/ tel. 347.99 39 710

Segue i primi studi artistici presso il maestro Lillo Dellino di Bari. Cresce in un ambiente intellettualmente stimolante, frequentato da musicisti, letterati ed artisti.

Nella prima giovinezza si trasferisce a Torino dove frequenta lo studio di disegno del maestro Giacomo Soffiantino e in seguito l’atelier di Giorgio Ramella.

Nella città di Torino, dove apre un laboratorio di disegno e pittura, si confronta con diverse ed importanti esperienze nel campo delle arti visive. Fra queste sono da evidenziare l’avvio del Centro Culturale Ariele, tuttora vitale, la gestione di spazi espositivi, la realizzazione di unna rivista d’arte diffusa a livello nazionale.

Come pittore elabora, attraverso una personale e rigorosa ricerca, una poetica coerente con il suo impegno sociale ma, soprattutto, capace di comunicare la sua forza espressiva grazie alla resa sicura del segno e ad un colorismo raffinato. I cicli tematici si susseguono declinando diversi linguaggi all’interno dei percorsi del figurativo e dell’astratto, densi di rimandi storici e di sapienti contaminazioni.

Ragazzi del 2000 - 2023 - t.mista olio su tela - cm70x80

ARNALDO GUADAGNINI

Ho incontrato altre volte artisti che hanno fortemente voluto costruire la propria peculiare identità creativa, ma Arnaldo Guadagnini ha davvero saputo traguardare attraverso la propria esistenza, per poi cercare e trovare il se stesso che vi ha visto, modellandosi, scavandosi dall’interno, come fa lo scultore col marmo, quando vi intuisce la figura che poi porterà alla luce. Antivedere, presentire e fortemente sentire, trascorrere nel magico fluido emozionale della sincronia dell’Universo è il particolare lirismo sentimentale da cui nasce la forza trainante, che dall’intimo afflato liquido trova nella poesia, nella musica e nella pittura le vie privilegiate di espressione, come diverse facce di solidi platonici indeterminatamente risolti l’uno nell’altro. Il suo streben è trance creativa verso il quale l’arte docilmente si piega; è impeto che si fa gesto pittorico e assume in sé la forza medianica delle note, delle volute musicali, del virtuosismo melodico, dei silenzi, dei crescendi, dei pieni, delle differenti modulazioni, degli arabeschi di suoni e di parole, dei vortici e delle vertigini che rapiscono l’artista. Sormonta il sentimento

ed è Chopin, Beethoven, Bach, Vivaldi, Rossini, Callas e gli altri, ma insieme anche parole, versi, metriche rime allegorie. Arnaldo sceglie uno sfondo ed il colore è già codice graduato: blù infinito, spazio, cielo gioioso, abisso d’acqua; rosso fuoco, passione, sangue, elementi vitali; verde sensibilità ultradimensionale, lutto; bianco purezza o ripiegamento, elegia o lutto esso pure. La mano adesso segna e sferza l’aria, si abreagisce sopra i quadri; la spatola preme, riga, accumula materia nei diversi strati.

Quel che è polifonia, polistrumentismo, pluralità di piani sonori, allora diviene molteplicità di piani pittorici e figure oniriche e pindariche, pseudogeometrie, che sono invece crittografie fini dei reconditi segreti del Tempo e dello Spirito. Arnaldo usa la tecnica che gli serve e che ha sviluppato unicamente per il suo scopo espressivo. Nasce dall’intuizione basica che il colore è già forma, se viaggia sulle ali dell’emozione e del sentimento; e la forma compiuta è bellezza al di là della sua risolubilità in linguaggi convenzionali.

E LUCEAN LE STELLE - 2017 - acrilico su legno - 81 x 85 - CP 122 - Status Ma 18

Colpisce come la matericità dei quadri sia provocata dall’uso massiccio dell’acrilico, piegato a esigenze espressive inusuali, fino ad un cromatismo esclusivo. Non vi è tuttavia particolare intenzione-progetto cosciente, prevale invece l’estro, l’intuito, l’elezione, la febbrile urgenza: il gesto pittorico percuote i quadri dirigendo l’invisibile orchestra di ciò che appare molteplice ai sensi, ma è unicità dell’Essere nella sua vera Verità, armonia e consonanza. E il quadro si conclude

con il lancio del colore che sigilla i codici segreti in esso contenuti, siano essi numerologie primordiali, o segni atlantidei, oppure egizi, o altri esoterismi, oppure ancora cifre della vita più comune: tutti ad ogni modo ricompresi nelle intime leggi dell’Universo, che solo la Poesia, la Musica, la Pittura, ed in genere l’Arte, possono raggiungere, bene in fondo agli intimi sensi, significati e segni, simboli della nostra profonda essenza ed esistenza. Vittorio Caracuta

BRUCKNER: PSALM 150 - June 2018 - acrilico su legno cm72 x 106 - CP 394 - Status Ma 171 VERDI SANCTUS I - 2015 - acrilico su tela - cm40 x 40 CP 197 - Status Ma 86

BRUCKNER: PSALM 150 - June 2018 - acrilico su legno cm72 x 106 - CP 394 - Status Ma 171

Arnaldo Guadagnini nasce il 01/12/1949 a Crespano del Grappa (TV).

Giovanissimo parte alla scoperta del mondo, recandosi prima in Germania e, negli anni seguenti, nei vari continenti. Personalità estroversa e versatile, medico e poeta, fotografo e pittore, uomo di cultura, è stimolato dalla sua fervida vitalità creativa a riflettere sull’umanità alle prese con le difficoltà quotidiane. Arnaldo ha pubblicato tre volumi di poesie i cui temi sono l’amore, l’amicizia, la natura, la vita e la morte.

mail: arnaldo.guadagnini@gmail.com cell. 348 322 6532

Lo storico Circolo degli Artisti di Torino, fiore all’occhiello della nostra città, tra gli enti culturali più antichi d’Italia, prosegue la sua programmazione espositiva nel mese di maggio, chiudendo il 4 la mostra Volti e musi di Mauro Salmoria, socio dell’ente ed arista eclettico che utilizza la penna a sfera con grande maestria per eseguire opere dalla tecnica sorprendente. Tutto il mese di maggio verrà poi dedicato alla kermesse più importante della primavera torinese, il Salone Internazionale del Libro, giunto alla XXXVII edizione, diventando la Giardiniera Reale del Circolo degli Artisti, appendice di alcuni eventi del Salone OFF. Si inizierà quindi, il 7 maggio con l’inaugurazione dell’esposizione personale di Gabriella Malfatti, dedicata all’opera di Jorge Luis Borges, con catalogo in mostra che raccoglie i testi critici di numerosi autori. Tra le opere della socia Malfatti verranno presentate nel corso del mese scritti e romanzi di autori indipendenti. Sabato 10 maggio alle 17, Tempus Celtis scritto e illustrato dall’artista Angela Betta Casale, ci racconterà un viaggio tra arte e misticismo narrato da immagini dalla grande poetica. Si proseguirà domenica 11, con una matinée dedicata al romanzo di Davide Sarotto; L’ombra della luce, un caleidoscopio di emozioni, amicizie, amori e perdite, interverranno l’autore e il prof. Fabio Borgogno. Venerdì 16 alle 18, sarà poi la vol -

C.so San Maurizio, 6 – 10124 TORINO tel. + 39 011 8128718/ +39 329 3042949 www.circolartistitorino.it

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ta di un reading narrativo e poetico, con Maria Laura Perilli, giornalista, Antonia Doronzo Manno, autrice, Giovanbattista Scidà, regista, Erminia Pagano, attrice e Nuccio Castellino, musicista. Chiuderà questo ciclo di presentazioni di libri il romanzo per il Salone OFF, Io e il mio corpo di Antonella Maria Schirru, sabato 24. Le esposizioni proseguiranno poi nel mese di giugno con l’inaugurazione giovedì 7 alle ore 18, della mostra personale di Maria Teresa Spinnler, i cui disegni e oli ci condurranno attraverso una selezione della più recente produzione dell’artista allieva di Preverino, Lobalzo e Manfredi nonchè amica del pittore Franco Negro con il quale ha dipinto molto nel corso di questi anni. Tutti gli eventi qui segnalati si svolgeranno presso la Giardiniera Reale nuova sede del Circolo degli Artisti di Torino, in corso San Maurizio 6, vera e propria casa dell’arte e degli artisti; tutti gli eventi sono ad ingresso libero, sino ad esaurimento dei posti. La programmazione può essere seguita sui social o sul sito www.circoloaartistitorino.it

Angela Betta Casale
Gabriella Malfatti
Maria Teresa Spinnler

Jindra Husáriková

“Sono andato dai bambini ad imparare-molte cose sanno dire sul cielo ancora..”Tu avvolgevi sul dito la foglia-là sul dito dove sognavi un anello d’oro- Io conservavo ancora il sole,- e tu già impallidivi alla luna- Frantisec Halas, pittore ceco.

Jindra Husarikova, illustra artista ceca, venne in Italia per la prima volta intorno agni anni Settanta; proprio Torino ebbe il privilegio di presentarla al pubblico grazie ad una personale presso la galleria l’”Approdo”. Tra i primi suoi lavori, in quegli anni, risalta una grande tela intitolata “I giocolieri”,, un piccolo spaccato, splendido per colori e sensibilità, del suo mondo pittorico. Ancora una volta fu Torino a invitarla presso La Cavallerizza, nel 1987, aprendo le sue porte eccezionalmente per lei, e permettendole un suggestivo incontro fra le bellezze naturali della città sabauda e la grande pittura narrante della pittrice Husarikova,un coloratissinmo affresco poetico della cultura e delle tradizioni del suo popolo . Rimase sempre lontana dalla scena mondana, scegliendo una strada ombrata ma ricca di valori umani e di rigore etico e intellettuale, prerogative primarie che ella vedeva assottigliarsi e quasi scomparire; nè desiderava le lodi del successo, ben sapendo quanto esse siani fragili e mutevoli e si sciolgano come neve al sole insieme ai regimi che le hanno sostenute. Occorre anche ricordare, al proposito,che l’artista visse negli anni difficili delle dittature novecentesche. I suoi quadri non passano inosservati: coloratisssimi, tessuti quasi da queste tinte intense, sature, mai convenzionali, leggere e liriche nel contempo. Anche i personaggi sono davanti a noi come delle “comparse”,è la gente dei vicoli, quella senza storia, tratteggiata con segni sommari, anonimi e volutamente deformati tanto da lasciar figurare un certo qual primitivismo, un anonimato in cui sono accolti e avvolti da un’aura melanconica e sottile. La scena è piatta, i visi perlopiù di profilo, gli occhi e la testa sono grandi, il corpo e gli arti minuti, sproporzionati, e le espressioni

alquanto sbigottite. Hanno le mani vuote e i piedi scalzi, la prospettiva mancante è sostituita da una quinta teatrale, a volte tutta monocroma. Ogni opera scompiglia e accende una nuova sorpresa. Su queste tele si incontrano i cavalieri del circo, gli acrobati, le ballerine, i musicanti e i pagliacci di compagnia, figure femminili ferme e assorte ad un tavolo di caffè, giovani madri in attesa.Si assiste a una silenziosa conversazione: i protagonisti raccontano le loro storie a partire dalle favole e dallle leggende ormai fuori dal tempo. I personaggi si ritirano e la chiusa si può affidare al poeta ceco Frantisec Halas.”L’uomo abita l’ombra delle parole, la giostra dell’ombra delle parole” “Le parole sono i raggi ultravioletti dell’animo”.

Ed è proprio quell’ombra che fa risplendere quella luce che va oltre, illumina. Giovanna Arancio

MAURO CHESSA

New York è la capitale del Novecento. Celebrata da artisti, fotografi e musicisti; immortalata dal cinema, che l’ha resa un luogo dell’immaginario prima ancora che un luogo fisico, reale. Si scopre Venezia, Londra o Parigi solo andandoci. A New York, in qualche modo, siamo stati tutti. Anche chi non si è mai mosso da casa propria.

Ed è proprio il lavoro sulla superficie di immagini familiari, che parlano la lingua di Fitzgerald e Gershwin, di Scorsese e Hopper, al centro di questa mostra, composta interamente di vedute di New York. Vedute tratte da fotografie realizzate nel corso di un recente viaggio dell’artista nella città americana. Del resto, la riscrittura dell’immagine è, da sempre, elemento dominante nella poetica di Chessa, che lavora su fotografie che si trasformano in pretesti, punti di partenza, per un linguaggio pittorico la cui prima, più facile e immediata lettura è quella figurativa, ma che apre invece a un’astrazione delle forme che potremmo, a buon diritto, definire “musicale”, in cui l’oggetto è di fatto messo da parte dopo avere compiuto la sua missione principale: mettere in contatto l’opera e chi la guarda.

New York, New York! è, prima ancora che una mostra, un viaggio nell’idea di città, che mette in discussione il nostro rapporto con l’immagine e con

il contemporaneo attraverso lo strumento artistico più vecchio del mondo: la pittura.

“Pare che scopo d’un viaggio sia sottoporre a verifica tutto ciò che già si crede di sapere di un paese o di una città. Come in tutti i luoghi comuni c’è una parte vera e una falsa. Provate per esempio a mettere piede in un dinner, uno dei locali nei quali siamo entrati, al cinema, migliaia di volte (Hopper ne ha dipinto uno in “night hawks”) e mettetevi a verificare, che so, l’odore dei cibi (inesistente), il gusto dei medesimi (ottimo), la gentilezza standard della ragazza che vi serve e capirete quello che voglio dire. Sappiamo tutto, ma è tutto diverso. Così per New York (che i locali pronunciano “Nu” iork), era un mio sogno, che la delicatezza di mia figlia ha permesso di realizzare: sapevo tutto, eppure era una città di cui non avevo la più pallida idea. Ho dipinto quadri piccoli, ma numerosi; quasi appunti di viaggio. Ringrazio il mio caro amico Emilio Jona, per aver portato dalla lontana Furfaro, in Arizona, un suo delizioso racconto, sugello di un’antica amicizia. Si chiedeva William Saroyan: “Che ve ne sembra dell’America?” Mauro Chessa, giugno 2015 Mauro Chessa studia pittura con Menzio e Calandri; esordisce nel ‘54. Partecipa alle Biennali di Venezia del ’56 e del ’58 ed espone in numerose mostre di giovani pittori in Italia e all’estero. Dal ’55 a tutti gli anni ’60: personali a Milano (a Le Ore e alla Gian Ferrari), a Torino, a Norimberga, a Roma e a Londra. In seguito abbandona la Pittura, per dedicarsi al Cinema. Nel 1981 riprende a dipingere e ad esporre, fino ad oggi. Nel 2001 la Regione Piemonte gli dedica una grande mostra antologica alla Sala Bolaffi di Torino e, nel 2004, dipinge due grandi opere sulla Resistenza (“Partigiani nella notte” e “I 23 giorni”) per il Municipio di Alba. Nel 2006‐07 esegue sei lunette (“Negozi” e “Mercati”), collocate nella Galleria Umberto I° a Torino.

Sul mondo dell’arte. Problematiche relative allo stato attuale del mondo dell’arte

a cura di

C’è una domanda che ritorna sempre,comunque riformulata, nel dibattito in corso:

“Oggi questo settore è vitale, ricco di iniziative, di talenti e di idee oppure costituisce una realtà in declino, di mera apparenza, svuotata di convinzioni e di creatività?”

Naturalmente la situazione è complessa e come tale va affrontata. Molti artisti lavorano con tenacia in questi odierni tempi avversi e occupano posizioni marginali. Altri artisti si oppongono apertamente, alcuni sembrano arrendersi o isolarsi. Sullo sfondo dell’attività creativa è in piena evidenza una condizione sociale di estrema gravità che si riflette sul contesto collettivo con enorme danno per tutti. Stiamo infatti vivendo un cambiamento epocale a livello planetario in stadio avanzato di sviluppo e destinato a mutare molti aspetti del nostro comportamento e come ogni radicale mutazione presenta fattori positivi di rinnovamento e altri distruttivi pagati in buona parte dalle classi disagiate. Alla fatica di convivere con questo impegnativo e ostico duemila vanno aggiunti dei cronici aggravi quali l’ inquinamento ambientale, la pericolosa spazzatura nel cielo, la continua avanzata del flusso migratorio di massa, vero e proprio esodo di popoli. Ora il mondo è diventato piccolo e interconnesso e si sa tutto di tutti in tempo reale. Quello che ci preme ribadire, e che abbiamo accennato all’inizio, è la molteplice, ma per certi versi condivisa, reazione degli artisti di fronte al contesto in corso; sono numerosi quelli che operano con impegno anche in mezzo a mille difficoltà: l’arte non è mai morta, che ché ne dicano i “‘profeti di sventura”. Le opere d’arte non sono un semplice specchio della realtà ma rappresentano la rielaborazione di quest’ultima, sempre stimolante e singolare perché originata da sensibilità e intelligenze individuali. Esse danno un senso al caos e stimolano le forze migliori dormienti nell’animo incuriosito dello spettatore; inoltre danno un volto agli accadimenti a partire da una base reale e veritiera. Nel caleidoscopio delle poetiche la quotidianità viene trasfigurata in visione esperienziale permettendo un affondo altrimenti impossibile. Anche l’ accennare alla bellezza, alla grazia, all’eleganza, così come all’etica, alla coerenza, è diventato un tabù che è ora

di smantellare, quasi che il parlarne impedisse di vedere o di fronteggiare le tragedie che e che ognuno secondo le sue specificità,affrontiamo, non ha senso...

C’è chi, inoltre, si lamenta a ragione della sovrabbondanza non solo di immagini di ogni tipo ma anche di “opere d’arte”, una sovrapproduzione controproducente perché è un fallace lasciapassare che introduce, mescolati con i manufatti artistici,lavori raffazzonati all’insegna del “tutto è permesso”. Il secolo breve ha originato capolavori e interessanti innovazioni ma sono state distrutte regolo e teoria, pertanto adesso sono necessarie molta serietà e forze nuove per tracciare percorsi innovativi credibili. Non è tempo di improvvisazioni o semplici ruberie dal passato fatte alla chetichella. Ciò detto chiunque può prendere pennelli e colori per diletto purché il divertimento resti all’interno di corretti paletti di confine e si ristabiliscano quelle necessarie condizioni ( scuola, laboratori, ricerca)che, di per sé, non creano “l’artista di talento” ma favoriscono da sempre le premesse affinché ci si possa affermare.

Nel Novecento, da cui tutti, direttamente o indirettamente proveniamo, troppe volte è stato detto “tutto va bene” fra le proteste degli artisti non miopi e modaioli.

“L’arte è una merce, anzi è l’anima del commercio” affermava . Se l’arte è una merce come tale va trattata. D’altronde i famosi geni rinascimentali lavoravano, dopo aver stipulato il compenso, per principi e papi. A partire da premesse simili, un artista torinese, Ugo Nespolo, conosciuto per la sua presa di posizione critica nei confronti dell’arte contemporanea, durante un’intervista di poco tempo fa, asseriva che l’arte non è mai stata democratica, e ciò è noto, e ribadiva che proprio come adesso, nel passato aveva la funzione di esaltare il casato di appartenenza esibendo lo status di ricchi che il lusso costoso dell’arte confermava. Per la popolazione di oggi, secondo l’artista narrante,resisterebbero poche tracce legate all’interesse religioso, ad esempio la piacevole occasione di un sorta di gita laica per visitare famosi santuari o chiese segnalate per le loro bellezze artistiche. Un tempo la gente era contenta, di riflesso, di vedere abbellite le proprie contrade dai palazzi eleganti e le chiese erano vissute e quadri e statue erano venerate ed avevano una funzione edificante. Il mondo è cambiato e nessuno,credo, vorrebbe tornare indietro ma ritengo inadeguato parlare dell’arte solo in termini di merce. Per molti popolani , nostri antenati, quelle pale d’altare di grande pittura e raffinatezza, erano qualcosa che li coinvolgeva profondamente. No, non mi pare il momento di appiattire così sentimenti e coinvolgimenti che premettevano speranza di vite e di trascendenza. Se anche oggi non è più così può però permanere un interiore rispetto per questi nostri antenati. E forse anche per questo varrebbe la pena di sdoganare quel senso del bello e del mistero che a dileggiava intorno alle loro comunità, di sicuro imperfette come le nostre, tornando al nostro difficoltoso secolo trova una comprensibile e riprovevole concretezza la e trasformazione (dagli anni 50 in poi) di una considerevole parte dell’arte contemporanea in “sistema dell’arte” cresciuto all’ombre

delle gradi banche e in seguito dell’alta finanza. La cripto art slaccia ogni legame con il mondo artistico in cui noi viviamo e diventa un colossale business, una specie di copia in scala ridotta del più vasto sistema finanziario. La cripto art è merce per eccellenza, è investimento sicuro nei caveau di sicurezza e può essere, per caso, anche di elevata qualità ma questo aspetto non è certo il più importante. La figura del “critico” garante è una penosa fine, non protetto, poco conosciuto, del nostro storico e appassionato studioso d’arte. Lo status dei nuovi ricchi raggiunge cifre vergognose in rapporto alla povertà complessive della popolazione del mondo.

L’artista è solo, non protetto, deve imparare a solidarizzare con i compagni di strada. In mezzo a tante difficoltà c’è un aspetto che ispira sollievo: la “ trasparenza”.

ITALO ZOPOLO

Italo Zopolo, partendo da oggetti di scarto (ma non è una novità nell’arte delle avanguardie storiche, perché ricordiamo tutti, negli anni ‘20, Duchamp e poi il dadaismo, Man Raye poi cosa è capitato successivamente soprattutto con l’arte povera qui a Torino). Però tuttavia, qui l’oggetto di scarto viene confezionato come se fosse l’emblema di qualcosa di aulico, di elevato, di una materia in qualche modo sofisticata e linguisticamente raffinata, e quindi c’è un ribaltamento della sostanza. Mentre prima c’era un work in progress riguardante l’esistenza e l’esistenzialismo, quindi un oggetto di scarto rappresentava la storia individuale coreografica di un ambiente, di una persona, qui invece quello che conta è la realtà,è l’oggetto che è confezionato - come se fosse uscito dal computer, però, guarda caso, ha tracce di memoria, di trasparenza, e di delicatezza - non con l’uso naturalmente di strumenti tra-

dizionali come può essere l’olio, la tempera, il materiale canonico che ha sempre usato. Usando gli strumenti propri della massificazione (e qui certo il discorso si fa largo, molto interessante), ma come non vedere che in fondo il viaggio doppio, triplo, forse qualcosa di più, onirico, per quanto riguarda la serie delle interpretazioni? Perché un suo quadro non vive in se stesso. Si, può vivere nell’assolutezza di un’immagine ben pilotata, ma, guarda caso, è a sequenza; si, può esaurire un argomento, può cercare di tessere un racconto in qualche modo ironico o memoriale solo attraverso la sequenza di più immagini. E’ un’idea che, se vogliamo vedere, era quasi stata interamente dimenticata e certo il cinema ci ha insegnato ben altro. A d’altra parte è un racconto all’interno della propria fantasia e della propria coscienza.

Non è un caso che uno dei più grandi scrittori filosofi

dell’epistemologia contemporanea, mi riferisco a Benjamin, nel Passagen-Werk abbia indicato che in fondo la centralità del discorso nella cultura contemporanea, - e questo testo, pensate, lo ha scritto nel 1926, - la centralità non sta in un racconto che abbia una tessitura semantica, ma sta fra schegge e frammenti che formano una specie di agglomerato e di idee che si possono vedere da più punti di vista: dall’alto e dal basso, di fronte e di traverso. Benjamin aveva profetizzato il discorso dell’Ulisses di Joyce che trasforma il linguaggio in una sorta di suggestivo magma proteiforme. Con le dovute differenze, è quello che capita anche al nostro Zopolo. (...) C’è una disquisizione sottile nella Repubblica di Platone: l’opacità costitutiva della soglia è chòra dove “le molteplici cose sembrano avere doppio senso, e non è possibile concepirle in modo univoco. E’ un’idea che oltrepassa naturalmente la vita, e che

va ad inoltrarsi in una pre-vita che altro non è che l’idea di un futuro che dovrà venire dopo di noi. Pertanto è il lavoro che sta facendo interamente il nostro artista. Eppure allora Platone certo non aveva letto Freud e neanche Jung. E allora quest’idea di oltrepassare la vita non è altro che il limite esterno del pensiero, il limite dove il pensiero incontra l’aisthesis, ossia la sensazione, che si può percepire solo per mezzo di un ragionamento sfuggente. (...) Heidegger in Essere e tempo scrive: “L’opera d’arte è uno slargo luminoso che continua a vibrare nella coscienza”. In questo senso devo dire che le opere del nostro Zopolo sono opere in qualche modo futuribili e filosofiche, intendendo dire che non si esauriscono in una prima visione ma che tuttavia hanno bisogno di essere digerite intellettualmente, mentalmente, senza mai dimenticare il faro della creatività e della sensibilità. Floriano De Santis

L’INVISIBILE

Il senso è invisibile, ma l’invisibile non è il contrario del visibile:il visibile ha esso stesso una membrana di invisibile, e l’in-visibile è la contropartita segreta del visibile.

(Maurice Merleau-Ponty)

L’invisibile è il respiro delle cose che non si dicono, il battito sommesso di un’idea che prende forma pian piano nell’evolversi delle certezze e delle prese di coscienza; è il silenzio che lega due parole che si cercano, due concetti che si trovano nel labile confine dell’orizzonte, contornato dal suono di un ricordo che non ha voce. È la mano del tempo e il suo segreto, celato nei nodi del legno e nelle pieghe della natura umana, così aspra e intangibile, così complessa e inerme dinnanzi all’assoluto e al tentativo di carpire l’inspiegabile. La ricerca dell’invisibile è un viaggio senza mappe verso l’ignoto; un’eco che si perde in lontananza e che ritorna improvvisamente ricco di significati. Qui la sostanza dell’invisibile, come trama sottile tessuta nel vuoto, si carica di valori e pianta le proprie radici, silenziose, tra il gesto e il pensiero, nel ritmo e nel respiro dell’eterno ritorno degli eventi, tangibile nella forma dell’astratto e della rappresentazione inverosimile. Pensare l’invisibile è spingersi oltre lo sguardo e l’effimera seduzione del reale, della figurazione canonica della vita e delle cose del mondo. L’Arte contemporanea ne è consapevole, poiché è tesa a evocare la tangibile profondità dell’intangibile per invitare il pubblico a riscoprire una dimensione artistica radicata nel gesto, nella materia, nel colore e nell’intuizione, laddove il presente sfugge nei ritmi serrati della tecnologia e del digitale, viscido, scivoloso, inafferrabile, in nome di una percezione del visibile più autentica e profonda. Se da un lato il reale è dominato da immagini false, prive di concretezza materica e gestuale, spesso create da intelligenze artificiali, allora cercare e rappresentare

la “sostanza dell’invisibile” è una scommessa del presente per ritrovare l’autenticità perduta e dimenticata. In quest’ottica e con questo spirito Myriam Cappelletti, Giuseppe Cavallo, Guido Del Fungo, Carlo Maltese, Franco Margari, Angelo Massimo Nostro, Angiolo Pergolini e Sylvia Teri hanno messo in campo le proprie abilità artistiche per rileggere, ognuno nella propria personale poetica, l’ermetica dialettica tra visibile e invisibile, tra manuale e concettuale, tra gesto e artificialità, raccontandosi e mostrando agli spettatori che la creazione estetica, autentica, è solo un piccolo frammento delle infinite possibilità dell’Arte.

Le mie opere scaturiscono dal bisogno di mostrare, senza rappresentare, non tanto la concretezza degli oggetti o la realtà fisica che ci circonda, ma piuttosto la loro essenza sfuggente, quasi spirituale. Ho cercato di cogliere il movimento inafferrabile della materia che si dissolve, che si trasfigura in pensiero.

Le “evanescenze di materia”, tema a me caro, si manifestano nelle mie opere evocando forme, lasciano spazio all’immaginazione, come se la realtà stesse lentamente dissolvendosi in un’altra dimensione. Il mio è desiderio di riprodurre immagini che suggeriscono un movimento di passaggio, un transito dal visibile verso un piano più profondo e intimo. Ho cercato le sfumature dell’effimero, per catturare un istante fugace che si trasfigura, come a suggerire che il visibile è solo una facciata, un velo che copre una verità più profonda, per invitare lo spettatore a riflettere sulla transitorietà delle cose, sulla natura del pensiero che non si fissa mai in una forma concreta e stabile, e che trova la propria espressione più autentica proprio nella sua capacità di sfumare e trasformarsi, aprendosi alla contemplazione e alla meditazione. Si apre quindi con una finestra di luce bianca un mondo interiore, dove il visibile è solo un punto di partenza per un viaggio più ampio, un’esperienza estetica e filosofica che invita a vedere oltre ciò che appare.

Attraverso tecniche e linguaggi eterogenei, le personalità artistiche coinvolte nel progetto, tracciano un percorso che alterna l’astrazione al concetto e manifestano una narrazione comune: l’essenza dell’arte non è nella mera rappresentazione ma nella sostanza che emerge dalla relazione tra artista, materia e spazio. L’Homo faber declina la sostanza dell’invisibile in una serie di opere artistiche, dallo slancio verticale, come invito a soffermarsi sulla quieta forza dell’invisibile che risiede nel gesto dell’artista e nell’energia intrinseca delle opere, contro ogni quotidiana superficialità.…...........

Nel confine tra visibile e invisibile si staglia la riflessione contemporanea degli artisti, capaci di “vedere” ciò che sfugge all’occhio umano, di anticipare ciò che sfugge alle coscienze poco attente e di restituire mediante l’opera d’arte la profondità più autentica dell’esistenza.

Laura Monaldi

NICOLE GRAMMI

Nicole Grammi è nata a Milano nel 1976. Diplomata presso l’Istituto Beato Angelico di Milano, con diploma di Maestro d’Arte e Maturità d’arte applicata. Ha collaborato con un laboratorio di ceramica a Bollate, curandone la parte artistica. Nel 2011 ha partecipato alla manifestazione “Portoni Aperti “a Nove (VC) aggiudicandosi il premio come “Portone d’Eccellenza”. Sempre nel 2011 cambia laboratorio e inizia a sperimentare l’alta temperatura con i gres. Nel 2012 è selezionata tra i finalisti dell”8a Rassegna Internazionale Albissola Città’ d’arte e ceramica”(GE), con l’opera “la potenza materiale delle parole”. Tra la fine 2012 e marzo 2013 vengo selezionata per partecipare al”Affortable Art Fair di Roma e Milano, con la Fondazione Garaventa di Genova, con la quale espone in collettiva anche al vecchio palazzo della Borsa di Genova e al Castello di Nervi per una collettiva di 200 artisti “Mostra...

mi”. Nel 2013 entra in contatto con la società Civita, che si occupa dei bookshop di vari musei, così che alcuni pezzi sono in esposizione e vendita presso: Gallerie d’Italia in piazza della Scala a Milano e Villa Reale di Monza (MB). Ha partecipato per due volte alla galleria “Spazio Asti” nei pressi del Teatro Nazionale a Milano. Durante i FuoriSalone 2013 espone presso il negozio AR3 in Foro Bonaparte a Milano con “Pensieri Terreni” Nel 2014 partecipa a Face’s Art a cura di Mary Sperti a Jesi (AN) e viene ammessa tra i finalisti della “IX Rassegna Internazionale Albissola Città d’arte e ceramica” A settembre è selezionata dalla Galleria Farini di Bologna, per esporre a palazzo Fantuzzi, con la recensione di Aldo Grasso. A novembre, presso Spazio Asti – Milano, partecipa a “Natura donna impresa verso Expo 2015” con recensione del giornale online “Donna in Affari”.

Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte Beato Angelico di Milano, in cui consegue il titolo di Maestro d’Arte a metà anni ‘90, decide di dedicarsi all’attività commerciale avviata dalla famiglia. Rimane nel settore della vendita fino al 2009.

Dal 2010, in conseguenza di alcuni problemi di salute, decide di riprendere il percorso artistico prematuramente abbandonato. Da autodidatta, affianca alle proprie capacità di pittrice, la conoscenza delle varie tecniche ceramiche utilizzando terre diverse, dal galestro alla porcellana. Le opere così concepite danno agli elementi una nuova dimensione, forma e linguaggio. Negli anni questa evoluzione l’ha spinta a sperimentare, creando delle tecniche personali con l’utilizzo in particolare di gres e porcellana, determinando dei risultati sempre più leggeri e sottili.

Come particolare segno distintivo della sua produzione sceglie di mantenere i colori della terra allo stato naturale, arricchendoli in taluni casi attraverso il metodo del “lettering”.

Le sculture in ceramica danno una nuova vita, consapevolezza e nobiltà al materiale utilizzato, unendo al virtuosismo tecnico una poesia ed una leggerezza stilistica in ogni composizione artistica.

Al contempo le opere si ispirano alla natura, diventando un’espressione, un modo di comunicare una visione, che attraverso delle storie e dei percorsi, intendono riportare l’attenzione sull’unicità del mondo in cui viviamo valorizzandone semplicità e fragilità.

Tel. 3396934580

Instagram. @nicolegrammi mail: ni76st@gmail.com

“PACE!

FRIEDEN!”

dal 10 maggio al 2 giugno nella Palazzina dell’Arte in Piazza 4 Novembre 1, a Bedonia.

La mostra PACE! FRIEDEN! ideata dall’Associazione artistico-culturale Serpaglio Lichtenberg di Bedonia (PR), in collaborazione con OPUS in Artem di Milano e l’associazione Cammino Val Ceno di Bardi (PR), vuole presentare una documentazione della situazione in Palestina, sia nel passato che dopo il 7 ottobre 2023.

Gli organizzatori e curatori, Matthias Ritter e Bianca Maria Rizzi desiderano offrire una prospettiva aggiuntiva e alternativa sulle condizioni nella Striscia di Gaza, come complemento alla narrazione dei media mainstream, che a loro parere è spesso incompleta e può generare un’opinione pubblica distorta.

La mostra è composta da tre parti.

La prima parte è dedicata alle Donne di Palestina e nasce dal desiderio di condividere storie di resistenza, immortalate in scatti che raccontano l’esperienza quotidiana di chi vive tra violazioni di diritti, conflitti e difficoltà inenarrabili. Tra luglio e agosto 2024, la fotogiornalista e podcaster Michela Chimenti e la fotografa Alessia Galli sono tornate in Cisgiordania per documentare la vita nel territorio occupato. Altre fotografie di questa mostra sono state scattate dal fotografo palestinese Alì Asfour. La seconda parte della mostra dal titolo KUFIA, matite italiane per la Palestina del 1988, che è stata presentata recentemente, nel gennaio 2025, al Palazzo Ducale di Massa, raccoglie nomi importantissimi nel panorama della fumettistica,

grafica e vignettistica italiana. Fra questi ci sono Magnus, Guido Crepax, Josè Munoz, Lorenzo Mattotti, Filippo Scozzari, Milo Manara e Andrea Pazienza. I disegni originali, nel 1988, furono esposti in 70 città italiane, oltre che a Gerusalemme, a Tel Aviv e in diversi villaggi israeliani e palestinesi, finché, un anno dopo, il furgone che portava in giro gli originali venne fermato e derubato.

La terza parte della mostra è rappresentata da opere di artisti contemporanei ed è intitolata Discernimento. Si compone di opere che si interrogano sulla situazione attuale della Palestina: sono artisti italiani, russi, serbi e tedeschi.

Saranno esposte sia fotografie che pitture, sculture e installazioni, tra le quali il lavoro “bei me ossi” dell’artista tedesca Stefanie Oberneder che vive e lavora a Carrara.

Carola Allemandi - Cene n. 07
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La sua installazione è composta da una base in ferro sulla quale si appoggia un uovo di marmo con un ombelico inciso. Sul pavimento si estendono 18.000 biglietti di carta numerati, ciascuno dedicato ad un bambino palestinese morto dal 7 ottobre 2023, formando un cerchio di 6 metri di diametro. Il numero di 18.000 bambini morti è troppo grande per un essere umano da visualizzare facilmente e soprattutto poterlo sentire a livello emotivo. Posare a terra i biglietti numerati, uno per uno, in un atto performativo, meditativo e terribilmente reale permette di comprendere meglio questo numero; ci vogliono 12 ore per una sola persona. Fondamentalmente l’installazione vuole essere un “ponte” per capire il dramma creato da ogni guerra, dal genocidio, dalle violenze, dagli abusi, e dallo sfruttamento verso quello che, di fatto, è il patrimonio dell’umanità: i bambini. L’opera è terribilmente universale, perché di storie orrende è pieno questo nostro mondo. Il messaggio di quest’opera: restiamo umani!

La frenetica ricerca di cibo, nella foto di Carola Allemandi intitolata “Cene 7” è quanto salta agli occhi dello spettatore. Il piatto è vuoto ma molte sono le mani che si avvicendano per la tanto esecrata fame estrema. Lo sfocamento dell’immagine,

Olio su

che dona una magnifica potenza espressiva, ci rimanda alla possibilità che si tratti di fantasmi.

Negli olii di Aurora Cubicciotti le morbide fattezze della fanciulla, ispira armonia, soltanto rotta da un’attesa per quanto succederà. La nebbia e il fumo delle bombe avvolgono il suo viso meditabondo in un’atmosfera carica di tensione e rassegnazione.

Auspichiamo che tutta insieme l’umanità riesca a fermare questa ingiustizia un po`come è avvenuto, attraverso la pressione dell’opinione pubblica, per Julian Assange. Fino alla liberazione.

Bianca Maria Rizzi

Vernissage10 maggio, alle ore 17.00

Apertura mostra

11 maggio 17/18 maggio - 24/25 maggio - 31 maggio 1/2 giugno 2025

Per info +39 366 18 300 31 // +39 366 4695 525

Artisti partecipanti: Carola Allemandi, Angelo Barile, Dea Belusco, Stefano Ceretti, Aurora Cubicciotti, Fausto Beretti, Monica Macchiarini, Andrea Gallo, Fabio Giampietro, Gianluca Foglia detto Il Fogliazza, Alessandro Giordani, Mihailo Beli Karanovic (Serbia), Ludmila Kazinkina (Russia), Matthias Langer (Germania), Mikos Meininger (Germania), Claudio Monaci, Stefanie Oberneder (Germania), Giuliano Orlandi, Deborah Pellegrino, Vito Pietroburgo, Davide Ragazzi; Beatrice Roncallo.

Stefanie Oberneder bei me ossi Ferro. marmor carta 2024
Aurora Cubicciotti - Senza titolo - cm 30x30
cartoncino 2024
Aurora Cubicciotti - Senza titolo - cm 30x30
Olio su cartoncino 2024

SULLE STRADE DELLA PITTURA E SCULTURA ATTUALI IN ITALIA

Negli anni sessanta in Italia la pittura e la scultura prevalentemente visibili negli spazi espositivi, pubblici e privati, sono di orientamento astratto. E’ un tempo carico di tensioni e di voglia di fare. All’epoca il dibattito in corso all’interno del campo delle arti visive tra figurazione e astrazione si mostra assai vivace ed è rappresentato da voci contrastanti. Nell’area dell’ortodossia comunista si sostiene il primato del figurativo che viene vissuto come il necessario contributo dell’arte alle nuove esigenze di impegno sociale. Intanto a partire dall’Inghilterra e dall’America si sta diffondendo la Pop Art destinata ad influire, almeno in parte, sul figurativismo italiano. La stagione astratta nel nostro paese però continua ad affermarsi in una sorta di “muro contro muro” nei confronti del nuovo linguaggio figurativo: in realtà la situazione artistica non è così appiattita. Se è vero che a sinistra la pittura di Guttuso è ideologicamente contrastante con quella astratta è altrettanto interessante rilevare che tale posizione non è

univoca tra i figurativi tant’è che un folto gruppo di essi sconfina nell’astrazione restando così sul cosiddetto “crinale” tra i due generi.

E’ significativo che il linguaggio figurale non abbia mai cessato di far sentire la sua voce anche negli anni difficili della seconda guerra mondiale e in quelli postbellici, altrettanto complessi.

Gli astrattismi dominanti mettono in ombra le poetiche figurative che tuttavia esistono e questa presenza trascurata viene a originare un vuoto artistico di conoscenza. Vale a dire che il contesto di quel periodo storico è attraversato non soltanto da un rigido scontro tra i due generi artistici ma anche da una posizione più variegata e poco nota che contamina i diversi linguaggi e si intreccia in seguito con il controverso “ritorno alla pittura” degli anni ottanta.

E’ da tener presente che negli anni sessanta le Biennali di Venezia sono riformate e le rassegne si articolano progressivamente verso nuove forme sperimentali in linea con

Renato Guttuso

l’avanzante gusto internazionale. Lo spostamento dell’attenzione al polo culturale statunitense contribuisce alla riduzione di interesse verso quella che è stata, ed è, la pittura e la scultura europee e, per quanto ci riguarda, in Italia. Le Biennali veneziane di quel decennio diventano una sorta di laboratorio permanente in cui ogni idea è raccolta senza vincoli con un ridimensionamento delle rassegne di opere, considerate “conservatrici”: si prende atto, da parte della dirigenza dell’istituzione, che l’arte sta via via assumendo forme che non sono più paragonabili a quelle fino ad allora consuete e ciò rappresenta un problema al quale far fronte. Con un certo disagio e sottotono continuano le mostre dei figurativi: tra questi artisti della figurazione se ne annoverano diversi dotati di rigorosa professionalità e poetica.

Quando scoppia il sessantotto in occidente viene coinvolto l’intero assetto sociale italiano; il movimento si caratterizza per i suoi entusiasmi ed eccessi, e si rivolge in particolar modo agli studenti e agli operai nel segno “immaginazione al potere”. Purtroppo è anche l’epoca in cui si parla di “ morte del linguaggio artistico tradizionale incapace di comunicare quello che sta accadendo perché ormai arcaico e obsoleto in confronto ai risultati e alla forza del linguaggio poetico ed artistico, specialmente nel contesto dell’opposizione contro la società fra la gioventù protestataria e ribelle” (Marcuse). Anche l’arte vive in quel tempo di lotte, ideologie, ideali, rischi. Le rassegne ufficiali come le Biennali veneziane e in seguito le Quadriennali romane maturano quindi le condizioni per un mutamento della loro originaria prospettiva di confronto internazionale delle esperienze artistiche: viene a mutare lo stesso concetto di arte con evidenti conseguenze per lo sviluppo della creatività e per tutto ciò che con questa entra in relazione.

Tale è l’atmosfera in cui si costituisce il programma denominato “Rinnovamento” della Biennale di Venezia del sessantotto legittimando il superamento del significato di tradizione: sono anni durante i quali non si trascura occasione per scardinare ogni riferimento di memoria storica. Fatto è che per molto tempo si tenta di mettere sullo stesso piano e, addirittura identificare i termini novità-qualità. A tutto quel che si presenta di nuovo si attribuisce subito valore qualitativo. Il segretario generale della Biennale di quell’anno (sessantotto) asserisce che “alle dispute fra astratti e figurativi sono succedute forme ben più radicali di polemica e contestazione che chiamano anzitutto in causa le basi e i condizionamenti sociologici dell’operare degli artisti e le odierne modalità di fruizione e trasmissione dei loro prodotti”.

Andy Warhol - Reigning Queens
Pablo Picasso - Ragazza di fronte allo specchio
Giorgio Ramella

Si tratta di una stagione iconoclasta che continua negli anni settanta.

Le grandi mostre accentuano il carattere di “sperimentazione in atto”, tendendo a consumare tutto nella febbre dell’accadimento fisico.

La pittura e la scultura (non più solo quelle di figurazione) devono sempre più fronteggiare il complessivo allontanamento dall’ufficialità delle grandi mostre, salvo qualche caso, e spostare le loro esposizioni verso alcune gallerie civiche così come verso quelle private. Anche la X Quadriennale romana, grande rassegna negli anni settanta, che dà ancora spazio ai giovani pittori e scultori va evidenziando il carattere spontaneistico implicito nel criterio del suo settore “Nuova generazione”: non pochi sono “ i prescelti che appaiono ripetitivi e che traducono in deboli immagini stereotipi di banalità. Si avvertono false prospettive oniriche, espressionismi orecchiati, sterili virtuosismi, inutili arcaismi plastici, illustrazioni banali di sentimenti non sentiti, e ancora pretesti tematici e fabulismi per sentito dire” (D. Guzzi). Questa retorica che resta interna al percorso artistico nuoce non poco alla pittura e alla scultura: viene a mancare la ricerca, quella vera, che da sempre connota l’arte. Nonostante vi siano tali carenze di serietà, amplificate spesso dall’ideologia, le arti dette tradizionali possono contare talenti che, sebbene trascurati, proseguono la loro strada , non di rado procedendo per cicli nei quali esprimono il loro essere consapevoli, dentro la storia, a partire dalle più diverse poetiche: le recettive città di provincia danno risalto alle loro voci e permettono una relativa visibilità.

Giacomo Soffiantino
Ennio Calabria

Alla fine degli anni settanta e agli inizi (ed oltre) di quelli ottanta il termine memoria ritrova una rispondenza ampia e significativa e, sebbene vi sia il disaccordo manifesto del nuovo sperimentalismo, si fa largo l’ipotesi di un “ritorno alla pittura”, anche se di fatto l’arte pittorica non ha mai smesso di esistere. Piuttosto si può intendere questa rivalutazione della memoria come una riflessiva svolta, una resa fondamentalmente concettuale di una realtà. Detto in altre parole si tratta di un recupero esplicito, dunque, non più abiura ma elezione ad archetipo della memoria. La concettualità non è stata, e non può essere considerata, prerogativa unica dell”arte concettuale” perché non c’è esperienza artistica che non abbia un aspetto che non possa asserirsi concettuale.

In questa chiave, e con diverse soluzioni, lo sono state quella pittura e quella scultura che, in anni difficili, vanno recuperando allo scoperto quella memoria storica, mai dispersa se non artatamente. Negli anni ottanta riaffiora anche il gusto per una riaffermata manualità. E’ un processo identitario di lunga durata che caratterizza gli ultimi decenni del novecento e che va ad interagire con le nuove espressioni spaziali e formali. Di certo non si fa riferimento alle manifestazioni che imperversano ancora in questi primi decenni del duemila occupando molte delle vetrine internazionali all’insegna della provocazione esasperata e fuori tempo massimo.

Renzo Vespignani
Giacomo balla

Giuseppe Guerreschi

Continua ancora oggi una relativa marginalità dell’arte pittorica e plastica attuali a fronte di un prodotto estetico di consumo e di basso livello lavorato da una dubbia minoranza protetta e guidato dal vento dei mercati finanziari, sempre più lontani ed inaccessibili. Un altro aspetto da rimarcare è che le circolanti e false novità, gonfiate e provocatorie, replicano con superficialità il primo periodo del novecento allorquando la provocazione in ambito artistico prende senso dal suo peculiare e storico riferirsi ad accadimenti dell’’epoca. Oggi il semplice provocare non può che essere considerato, nel migliore dei casi, che un manierismo rovinoso. Non basta poggiare quattro ciarabattole o appendere un asino al soffitto oppure ancora digitare supinamente, da dilettanti, un programma di grafica al computer. Questo panorama deprimente viene chiamato sperimentale ma è giocato senza cosciente memoria sull’onda dell’approssimazione e dell’effetto a a tutti i costi, fosse anche un effetto di disgusto e di perplessità. E’ in molti casi un vuoto e si ha l’impressione che là dove esista un’ idea manchi la coscienza del fare e dove questa ci sia quello che difetti sia l’’idea. Ciò snatura gli scopi e la natura stessa dell’arte provocando disorientamento e la falsa convinzione di poter affollare il reale campo creativo con chiunque si improvvisi artista. Intanto il misconoscimento

e la latitanza istituzionale rendono ancora stentata la via della seria ricerca artistica.

Mario Surbone - tempera su cartone cm
70x70

La questione attualità-futuro in rapporto al trascorso è tutta in divenire: l’oggi, e ancora di più il domani, è segnato dalla virtualità. Il nuovo millennio si manifesta con un inquietante scenario globalizzato a dominanza tecnologica e non si può tornare indietro. Bruciano di continuo i modelli di riferimento e la comunicazione on-line senza regole spesso sostituisce e nasconde il dialogo, valore fondante di una comunità. E’ un processo strutturale e culturale in corso che esige una gestione intelligente e fondamentali cardini etici. Le arti visive affondano radici profonde nel nostro paese e la pittura e la scultura attuali non possono ritirarsi di fronte agli ostacoli essendo parte integrante della ricerca di senso e della comprensione del nostro futuro.

Giovanna Arancio

Nino Aimone
Mario Schifano

Scultura Centrale

dal 12/04/2025 al 22/06/2025 - Vicenza, Ex Centrale del Latte

L’edifico dell’Ex Centrale del Latte, dismesso nel 2009 e riportato a nuova vita nel luglio scorso, è un luogo gravido di storie e di suggestioni per i residenti del quartiere San Bortolo. Lo stabile è ora al centro di un progetto di valorizzazione attraverso una mostra che intende mettere in sinergia la struttura architettonica con una serie di sculture che sono il frutto delle migliori esperienze in ambito plastico da parte di artisti che impiegano una vasta gamma di materiali e tecniche di lavorazione (dalla terracotta alla ceramica, dalle pietre dure ai metalli).

La selezione degli artisti, tutti italiani, è frutto di un attento monitoraggio di professionisti che possiedono curricula di grande spessore, con all’attivo mostre nazionali e internazionali presso importanti istituzioni pubbliche e private. Gli autori coinvolti sono: Bertozzi & Casoni, Francesco Bocchini, Arthur Duff, Filippo La Vaccara, Chiara Lecca, Roberto Mascella, Nero/Alessandro Neretti, Adriano Persiani, Giorgia Severi, Silvia Vendramel, Willy Verginer. A ognuno di loro è riservato uno degli ambienti che cadenzano i quattro livelli della struttura con l’intento di stabilire un sapido rapporto tra i volumi architettonici e quelli delle opere. Le pareti rimarranno quindi intonse proprio perché le sculture saranno messe al centro delle singole sale, permettendo così ai visitatori di esperirle a tutto tondo e ammirando, al contempo, il pregevole intervento di riqualificazione dell’edificio.

Con la loro presenza, le sculture saranno in grado di convertire l’attuale centro civico in un potenziale spazio museale che amplifica la sua pratica sociale e culturale, innescando altresì una forza di coesione con i fruitori e il contesto cittadino. La gran parte di queste sculture scendono infatti dal proprio piedistallo con l’intento di “abitare” gli ambienti dello storico stabilimento vicentino; il

contenitore architettonico e il contenuto artistico gli stessi visitatori si trovino “al centro” di un evento che vuole offrire un impatto emotivo e comunicativo di grande spessore per la città.

La mostra è curata da Alberto Zanchetta, Professore ordinario all’Accademia di Belle Arti di Venezia, curatore e critico di origini vicentine, nonché da Paolo Dosa, fondatore di AndreA Arte ContemporaneA, galleria attiva dal 2003 al 2013 nella Casa del Palladio a Vicenza.

L’organizzazione è affidata all’Associazione ACT Arte Contemporanea Territorio e vede il contributo di Fondazione Roi e diversi sostenitori e sponsor locali.

Willy Verginer, The human whisperer, 2023. Tiglio, colore acrilico. 70 x 235 x 82 cm
Chiara Lecca

LORENZO CURIONI

Lorenzo Curioni, pittore brianzolo, intesse sulla tela un profondo rapporto tra l’uomo e lo spazio, una relazione per lo più giocata nell’habitat urbano dove la presenza umana traccia la sua storia e si affaccia facendo sentire i diversi ritmi della sua quotidianità o impregna di sé attraverso i segni del suo passato con cui ha imparato da sempre a coabitare.

L’artista dipinge questa realtà complessa, ne conosce luci ed ombre.

Inoltrandosi nelle sue periferie, facendosi largo tra gli interni dei suoi angoli più degradati od occhieggiando i luoghi deserti delle sue fabbriche dismesse si rimane catturati ascoltando il silenzio che ci investe e ci avvolge in un’atmosfera intrisa da questo inquieto legame uomo-spazio.

Sono opere senza retorici rimpianti che ritraggono un mondo trascorso di intensa vita vissuta.

Il novecento lombardo, con la sua rapida industrializzazione, ha lasciato un ricco bagaglio di fermenti, testimonianze, e nondimeno di arte, che arriva fino ai nostri giorni e con il quale il terzo millennio fa i conti. I pietrificati silenzi dei paesaggi ur-

bani sironiani, le irrequietezze chiariste, i disagi e le speranze, che si vissero nell’epoca dell’inurbamento, si ritrovano in quella tradizione lombarda di cui Curioni porta i segni, naturalmente ormai lontani e rivisitati. In queste aree, che l’artista ricrea,viene tratteggiata la fine irreversibile di un’epoca e nel contempo ciò che appare in questa prima parte del terzo millennio: infatti gli spazi periferici , seppure anonimi, rivendicano una loro attuale identità collettiva, rivelano un loro modo d’essere all’interno di una tavolozza chiara fra gamme di grigi e celestini, terre tenui aranciate od ocracee, luci pacate e soffuse. I contorni delle cose sono leggeri, spesso al limite dell’accenno, mentre i piani cromatici si susseguono in profondità all’interno di una composizione di rigorosa coerenza.

Giovanna Arancio

mail: curionilorenzo@tiscali.it cell.: 340.97 24 174

Una Riflessione sulla Produzione Fotografia

della Famiglia Wulz

In una ricerca storiografia e scientifica sulla famiglia Wulz apro il mio saggio dicendo : Posso affermare che la produzione di Giuseppe è continua, sistematica, non interrotta da particolari esperimenti. Colpisce, come già segnala Italo Zannier, che lo studio non ha bisogno della pubblicità sui periodici o della partecipazione alle varie esposizioni dove si conquistano preziose medaglie. Giuseppe gradatamente con schiva modestia raggiunge il ruolo di prestigioso professionista, accurato, perfezionista, attento ai dettagli. Nei quasi cinquant’anni di lavoro esegue migliaia di negativi in studio e d’aprés nature, non si sottrae alle mode nel senso che, accetta quanto viene richiesto, ritratti su carte de visite, o in formato cabinet, vedute nei grandi formati in bianco e nero e colorate, servizi in formato stereoscopia: una produzione che lascia il segno. Costante è la collaborazione con i musei o con i privati collezionisti per la riproduzione di opere d’arte, in quanto la fotografia è uno strumento che arricchisce le schede scientifiche, si inserisce negli album dei ricchi collezionisti, documenta il quadro che viene venduto dagli atelier d’arte. Nelle conferenze tenute nel 1905 e nel 1907 da vari esperti all’Università del popolo si utilizzano i “diapositivi” che diventano un corredo di grande richiamo e che preludono ai nostri PPT. Un esempio per tutti: Piero Sticotti, conservatore dei musei può presentare e illustrare la preziosa collezione di disegni del Tiepolo acquistata da Giuseppe Sartorio nel 1893 ormai entrata far parte del patrimonio museale cittadino per donazione. L’occasione è unica, per la prima volta queste opere d’arte vengono mostrate e spiegate a un pubblico ampio tutte insieme . Cessa la propria attività nello studio a fine giugno del 1914 passando le consegne al figlio maggiore Carlo che già dal 1900 a 26 anni ha incominciato a imporre la propria presenza. Muore il 14

marzo del 1918. In seguito figlia e nipote d’arte discendente da una centenaria dinastia di fotografi triestini, nel 1928, Wanda Wulz, appena venticinquenne, si ritrova a dirigere lo studio di famiglia con il supporto della sorella minore Marion, inaugurando una lunga carriera di ritrattista d’atelier intervallata da una breve eppure importantissima parentesi avanguardista. A ben vedere, l’exploit che la consacrerà come unica donna fotografa futurista italiana conferendole i riconoscimenti della critica internazionale, soprattutto grazie al celeberrimo Io + gatto, si inserisce in una parabola artistica e personale già in piena evoluzione, la quale non poteva essere altrimenti se non libera e appassionata. Appartiene alla produzione degli anni Trenta una serie di prove fotografiche di carattere più intimo e privato, volte a sperimentare e autenticare un’identità femminile emancipata e in linea con il carattere della nascente, moderna, new woman. In questa sede si intende approfondire questa sorta di «archivio personale» di immagini prodotte da Wulz, le quali la indurranno ad interfacciarsi con le potenzialità più concettuali del mezzo, rivelandone un esempio magistrale di approccio fotografico primo novecentesco al femminile. Interessanti e sintomatici tributi giovanili nell’ambito dell’autoritratto passando dall’essere oggetto a soggetto della rappresentazione , del travestimento e della mini-performance fotografica: si tratta di immagini che stimolano soprattutto una prospettiva concettuale e proto-comportamentista. Sono lavori che coinvolgeranno e includeranno in prima persona anche la sorella Marion, infatti sarà lei a scattare una buona parte di queste fotografie: si potrebbe pensare alla passione ereditaria per il ritratto di famiglia che interessò l’intera dinastia dei Wulz, tuttavia lo spirito e le modalità espressive risulteranno stavolta assai diverse .

Attraverso una serie di scatti, Wanda Wulz comporrà una sorta di manifesto della sua emancipata identità femminile con un inedito atteggiamento performativo da compiaciuta transformer. Ciò malgrado i tempi ancora precoci, molto in anticipo sulla grande ondata della performance, del travestitismo e del travestimento fotografico degli anni Sessanta e Settanta, interpretata principalmente da Urs Lüthi e Luigi Ontani come da tanti altri artisti e artiste sulla stessa linea, comunque debitori e debitrici della celeberrima Rrose Sélavy di Marcel Duchamp del 1921 (Naldi, 2003). Inoltre la famiglia Wulz comprende adesso gli amatissimi gatti (Mucincina, destinata alla maggiore notorietà, Pippo e Plunci) oltre all’affezionata amica e complice creativa Anita Pittoni (artista, stilista, designer e donna di lettere triestina) la quale sarà protagonista di alcuni dei progetti fotografici che ci interessano, direttamente tramite la sua presenza fisica o le sue creazioni di moda (Cammarata, 1999). Si evidenzia da subito la natura peculiare e intima, addirittura domestica, delle opere; per questo caratterizzate da una più ampia libertà espressiva e da un’atmosfera giocosa e disimpegnata rispetto a certi altri lavori d’atelier.

Infatti e ciò vale in questo caso specifico come in linea generale è plausibile che sia proprio la relativa mancanza di pressione dall’esterno, o dai canoni artistici istituzionali, a favorire l’emergere di una purissima concettualità fotografica .È d’obbligo fare un’ultima considerazione preliminare: tale slancio esibizionistico si rivelerà in parte propedeutico all’esplosiva esperienza avanguardista di Wanda con il Futurismo, per poi sostanzialmente spegnersi tra le ordinarie mansioni dello studio. Senza nulla togliere all’importanza di questo circuito extra intrapreso da Wulz, se ne deve riconoscere il carattere transitorio d’eccezione che conferma la regola concentrandosi nell’arco di una serie esclusiva di operazioni giovanili, altamente rivelatorie. Wulz manterrà, per il restante cinquantennio di attività, lo status ufficiale di fotografa di un atelier predestinato a divenire ultracentenario. La questione però non rischia di apparire meno affascinante, tanto più che certe interessanti sfumature, come quello spontaneo, divertito e passeggero mettersi in gioco dinanzi all’apparecchio fotografico, possono fornire un’autentica chiave di lettura dell’artista, e della donna, Wanda Wulz.

Un ritratto in particolare apre la serie agendo come significativa anticamera dei lavori che seguiranno, nella misura in cui il suo impatto psicologico è tanto intenso quanto spoglia e asettica risulta la composizione. Semplicemente, Wanda rivolge uno sguardo impavido e granitico verso lo spettatore, seduta di tre quarti su di un’anonima seggiola. È Marion a scattare la foto, eppure pare di poter già condensare quegli spectrum, operator e spectator fissati da Roland Barthes (1980) in un unico soggetto o ruolo: il ritratto funziona da auto-rappresentazione della stessa Wanda (spectrum e operator) che con fierezza palesa a sé e al mondo (spectator) la sua affermata identità. Che poi lo scatto sia materialmente affidato a Marion, non disturba né indebolisce questa interpretazione, considerata la grande intimità familiare e l’affinità artistica tra le due donne. Trattasi dunque di un “Ecce Donna”, crudo e consapevole. Se, come ci suggerisce Alberto Boatto (2005), «ritrarsi equivale sempre a raggiungere e a presentare un’identità “Io sono questo”», Wulz si immortalerà con il mezzo fotografico in varie vesti e quindi in diversi “Io”, mostrando tutte le Wanda che le consentono di esibire la sua identità femminile: moderna, libera e anticonformista, con un pizzico di ironia e senso ludico. Tecnicamente ancora non si discute di autoritratti, ma, considerato lo stretto legame affettivo e artistico che esiste tra di loro, Marion diviene una facile proiezione di Wanda allo scatto: è probabilmente la maggiore e più audace delle sorelle Wulz a scegliere la messinscena, le pose e i costumi di questi autentici tableaux vivants. Incamerando tale complessivo clima esperienziale d’avanguardia, anche in quanto a espressività corporea, Wanda Wulz, con fiori tra i capelli, propone all’obiettivo della sorella il suo corpo semiscoperto e in movimento, nella gestualità libera e sensuale della danza ovvero «la disciplina che ricorda più da vicino la performance e meglio ancora la Body Art» (Fabbri, 2006). Infine è interessante il fatto che come diverrà tipico di molte operazioni di Arte Concettuale pure in campo fotografico nella serie di immagini in questione non esista alcun impegno formale da parte delle fotografe, anzi, si lasci intravedere persino l’intelaiatura del pannello bianco retrostante, di solito invisibile nella costruzione della finzione fotografica. Tutta l’attenzione è rivolta al gesto, all’espressione corporea disinvolta e divertita di una donna che palesa platealmente il proprio spirito libero e creativo. «L’autoritratto ci consegna ogni volta, espresso in forma visiva, una sorta di spaccato autobiografico, un frammento di confessione» (Boatto, 2005). Mediante l’Autoritratto allo specchio del 1932 , Wanda Wulz esprime tutta la fierezza, e il fascino, di una donna libera sulla via della completa realizzazione personale e artistica. Se ad aprire il testo è stato quel lavoro che “credevamo” di poter fruire come un autoritratto di Wanda benché a scattare dietro l’obiettivo ci fosse in realtà Marion , nel caso attuale, noi spettatori “sappiamo” trattarsi di un autentico autoritratto. A qualificarlo esplicitamente interviene la precisa titolazione nonché il mezzo profilo sfocato della fotografa che compare sull’angolo superiore sinistro dell’immagine, lasciando il restante ampio campo visivo al chiaro e diretto riflesso speculare del suo volto. Vi è qui la ferma intenzione di auto-effigiarsi autonomamente specchiandosi. Narcisa ora più che mai, Wulz decide di non delegare più neppure la sorella e avverte l’esigenza di ritrarsi in solitaria accostandosi a uno strumento altamente rivelatore come lo specchio, congelando l’immagine riflessa tramite quell’altro specchio, però dotato di memoria, che è l’occhio fotografico. Nel primo

scatto del 1930 Wanda delineava il piglio forte e coraggioso della donna e dell’artista giovane, da poco al comando della prestigiosa azienda di famiglia in seguito alla morte del padre. Nell’autoritratto del 1932, la fotografa avvolta nella penombra afferma la sua immagine con rinnovato orgoglio e le sopracciglia aggrottate in uno sguardo di sfida. Questo sarà un anno cruciale per Wulz poiché in aprile si verificheranno gli importanti incontri con Marinetti e la grande Mostra Fotografica Futurista a Trieste, alla quale lei parteciperà guadagnandosi gli elogi della critica e del leader del Futurismo: per Wanda è l’occasione d’oro che la consegnerà al successo internazionale come unica donna fotografa futurista italiana. L’opera del 1932, dunque, assume i connotati della tipologia del l’«autoritratto come monumento» teorizzata da Stefano Ferrari: «prevale l’elemento dell’intenzionalità legata a una situazione contingente e particolare, quando l’autoritratto segna effettivamente le tappe cruciali nella vita dell’individuo» (2008). Ciò spiegherebbe il perché di una tale, nuova, esigenza auto-rappresentativa (in questo determinato frangente) e perfino l’essenza stessa di una mimica facciale così caricata. A ridosso dell’esperienza futurista, Wanda decide di impugnare effettivamente l’apparecchio fotografico per autoritrarsi, compiendo un gesto e una dichiarazione forte: si mostra come Fotografa e come Futurista. Trattiene i capelli con un “emblematico” foulard a toppe asimmetriche e sfodera uno sguardo già avanguardista, affine alle rinomate espressioni seriose di Marinetti davanti all’obiettivo fotografico. Chi scrive ha avuto modo di individuare, tra le stampe fotografiche dell’Archivio Studio fotografico Wulz, solo un altro paio di autoritratti: due belle immagini, dai toni chiari e delicati, rispettivamente datate 1932 e 1936. Nella prima, Wanda si mostra dentro una cornice ovale, seduta dando le spalle a una grande specchiera in legno che riflette il suo profilo sorridente; la fotografa rivolge lo sguardo direttamente all’obiettivo, sono graziosi e raffinati sia la posa che l’abito lungo con ricami e maniche

a sbuffo, sistemato morbidamente su tutta la seduta. Lo scatto del 1936 appare più dinamico: Wulz si riprende di scorcio in primo piano, indossa un fazzoletto scuro in testa, sorride e indirizza lo sguardo fuori camera. Si tratta in entrambi i casi di immagini curatissime sotto il profilo formale, è chiaro infatti che in questi lavori la fotografa intenda privilegiare questo aspetto. Citando ancora Ferrari, si aggiunga inoltre che esistono «l’autoritratto esplicito, che l’autore stesso definisce tale, e la semplice autoproiezione» (2008): quest’ultimo meccanismo andrebbe al di là della più generica pulsione autobiografica ovvero quel bisogno dell’artista di inserire nella propria opera consciamente o meno – elementi o figure che raccontino il suo mondo e la sua storia privata. Talvolta si usa « il termine autoritratto riferendosi proprio a opere specifiche (alcune e non altre), le quali da un punto di vista figurativo non hanno nulla dell’autoritratto» (Ferrari, 2008). In quegli anni così attivi creativamente, tra traguardi avanguardistici e desideri di autoaffermazione artistica e identitaria, le sorelle Wulz iniziarono a ritrarre con una certa frequenza anche gli amati gatti di casa, Mucincina, Pippo e Plunci, che diventarono i soggetti di fresche e affettuose immagini da album di famiglia. Pure questi scatti, inclusi a buon diritto in quello che abbiamo definito “archivio privato” di Wulz, sono carichi di una valenza concettuale non indifferente a prescindere da quella meramente affettiva. Entrambe le sorelle si dedicarono ai ritratti delle bestiole

contestualizzandoli in un’atmosfera molto intima, tra le stanze della casa mentre giocano o viene preparato loro il cibo. Ma il più delle volte fu Marion a fotografare queste scene familiari, soprattutto perché spesso insieme ai gatti è ritratta Wanda: si percepisce l’affiatato legame esistente tra quest’ultima e i suoi animali. Alcune immagini sono molto intense e ben studiate a livello formale, nella composizione e nella scelta della luce che crea ombre lunghe e suggestive, come nel Ritratto di Wanda con la gatta Mucincina, appoggiata a un tavolo. In primo piano un piccolo vaso con fiori del 1932: qui è interessante notare la pelliccia chiara indossata da Wulz che, abbracciando il felino, sembra fondersi e mimetizzarsi con il suo stesso manto. In un’altra immagine del 1930, sempre scattata da Marion, Wanda è ritratta sorridente accanto al gatto Plunci. Invece, una fotografia di Mucincina in posa con i suoi cuccioli, viene indicata da Elvio Guagnini e Italo Zannier (1989) come opera di Wanda e Marion insieme. Opera esclusivamente della primogenita Wulz è il ritratto ravvicinato di Mucincina titolato Gatto meno io, cioè lo scatto utilizzato per la sovrimpressione del celebre Io + gatto presentato alla mostra futurista triestina. A questo lavoro è d’obbligo affiancare l’Autoritratto che Wanda si scatta per poter finalmente compiere quell’originale fusione: l’ombra sfumata sul volto in primo piano, attorniato dal collo di pelliccia che favorirà la metamorfosi, mostra un sorriso malizioso e uno sguardo penetrante e sensuale, già felino

Rauschenberg e Il Novecento

Milano, Museo del Novecento

Nel centenario della nascita di Robert Rauschenberg (Port Arthur, 1925 — Captiva Island, 2008), il Museo del Novecento di Milano presenta un eccezionale progetto espositivo che costruisce per la prima volta un ponte tra le opere di questo fondamentale protagonista della storia dell’arte e alcuni dei più significativi capolavori ospitati all’interno delle collezioni del Museo, intrecciando una trama tra la visione innovativa dell’artista americano e il ricco tessuto dell’arte italiana del ventesimo secolo.

Parte del programma di Milano Art Week, la mostra, organizzata dall’associazione Arte Totale e promossa da Comune di Milano — Cultura con il supporto di Fiera Milano e di Marazzi Group, rappresenta il punto culminante delle iniziative promosse da miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea organizzata da Fiera Milano che proprio a Rauschenberg e al suo spirito collaborativo ha dedicato la sua 29esima edizione, a partire dal titolo, “among friends”, preso in prestito dall’ultima retrospettiva dedicata all’artista americano.

Figura centrale nella transizione dall’arte moderna a quella contemporanea, Rauschenberg ha sempre dimostrato un’insaziabile curiosità e un profondo impegno per la collaborazione e lo scambio di idee. Al Museo del Novecento questi aspetti sono enfatizzati dalla volontà di mettere in relazione e dialogo, a volte in maniera volutamente anacronistica, la sua ricerca e quella di artisti appartenenti ai principali movimenti artistici che hanno scandito il Novecento italiano, dal Futurismo all’Arte Povera.

Attraverso sovrapposizioni di visioni, materiali e intenzioni artistiche, le sue opere si confrontano con le collezioni del Mu-

seo, instaurando richiami diretti, affinità formali o tematiche. Il risultato è un percorso che riflette le audaci sperimentazioni di artisti che, come Rauschenberg, hanno inventato nuovi linguaggi, sfidando i materiali e rivoluzionando le convenzioni di pittura e scultura.

Avvalendosi della consulenza della Robert Rauschenberg Foundation, i curatori della mostra — Gianfranco Maraniello, Direttore dell’Area Musei d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano, e Nicola Ricciardi, Direttore Artistico di miart, con il prezioso supporto di Viviana Bertanzetti — hanno inserito luogo il percorso museale una selezione di otto opere provenienti da tutta Europa e realizzate da Rauschenberg tra gli anni Settanta e Ottanta.

Dal 9 all’11 maggio, per il secondo anno presso le OGR Torino, torna l’appuntamento annuale di The Phair – fiera dedicata alla fotografia. Parteciperanno 50 gallerie, italiane e internazionali, che per l’occasione presenteranno progetti che pongono al centro il medium fotografico, come strumento di riflessione sul ruolo dell’immagine nella società contemporanea.

Un’esperienza immersiva, all’interno dell’iconica Sala Fucine, dove il pubblico potrà tuffarsi in un percorso espositivo che attraverso la fotografia offre l’occasione per leggere il presente e immaginare nuovi scenari.

Il programma di The Phair quest’anno si arricchisce di un ricco calendario di incontri e di uno speciale Talks Program il cui focus sarà il collezionismo – raccontato da prospettive private, corporate e istituzionali – e affiancato a conversazioni quotidiane con artisti e curatori.

Mario Gabinio, preziosa immagine d’archivio concessa dalla Fondazione Torino Musei – Archivio Fotografico dei Musei Civici (Fondo Gabinio) – che sottolinea ancora una volta il legame profondo tra la città e la fotografia.

The Phair 2025 invita ad esplorare insieme il linguaggio fotografico che si fa chiave di lettura il nostro tempo, attraverso i lavori di artisti affermati ed emergenti – capaci di guardare al futuro e tracciare una storia del mezzo fotografico stesso.

Informazioni www.thephair.com

Immagini

Mario Gabinio, Torino, Giostra Zeppelin in movimento. Ripresa notturna, 1934, stampa alla gelatina bromuro d’argento, mm 233 x 174, inv. B106/21,Torino, Archivio Fotografico dei Musei Civici – Fondazione Torino Musei, fondo Gabinio. Su concessione della Fondazione Torino Musei.

Paolo Pellegrin, A Colony of black kites flying over Shimogamo temple. Kyoto, Japan, 2019, stampa fotografica, 60 x 40 cm, courtesy Galleria Umberto Benappi

A guidare l’immaginario di questa edizione è “Torino. Giostra Zeppelin in movimento. Ripresa notturna, 1934” realizzata da

Ghirri Luigi – dalla serie Paesaggio Italiano “Reggio Emilia Casa Benati” 1985 stampa vintage 36×44,7 cm, courtesy Galleria Antonio Verolino

MARIA HALIP

La recente produzione di Maria Halip indaga le interazioni tra luce fluorescente, colore e design. L’alternanza di superfici monocrome e stratificazioni cromatiche crea un’estetica essenziale e dinamica, in cui la percezione dello spettatore diventa parte integrante dell’opera.

La vibrazione luminosa dei materiali trasforma l’ambiente in un’esperienza immersiva, sfumando i confini tra immagine e sensazione e inaugurando nuove prospettive di percezione

DANIELA GILARDONI

DANIELA GILARDONI nel ‘79, dopo anni di lavoro nel sorgente mondo dell’informatica, scopre e s’innamora del vetro, e inizia la sua ricerca e sperimentazione con questa affascinante materia. Usa tutte le tecniche della vetrata istoriata. Per 17 anni crea i suoi vetri d’arte nello studio di MILANO e collabora con i migliori artigiani-artisti della provincia lombarda. La ricerca la porta sempre più a dare spazio all’arte pura, oltre che a quella applicata. Nel˜96 trasferisce lo studio a PAVIA.

La sua esigenza di mettersi alla prova con la materia la stimola alla creazione di opere dai soggetti più vari, ma nella continua esaltazione degli elementi costitutivi dell’antica arte vetraria: l’utilizzo del vetro e del colore, nel loro rapporto con la luce. Sperimenta tutte le tecniche di assemblaggio o fusione a fuoco del vetro. L’originalità delle cromie frutto dell’autonoma produzione dei vetri che utilizza nelle fusioni. ... (Keep reading)

Stagioni

Vetrofusione con intrusione di foto digitali a fuoco

Arazzo con stoffe di riciclo e di sua stampa e feltro ad ago cm 82x cm 61 cm 82x cm 90 opera del 2023
Triceratopo

GIOVANNI SPINAZZOLA

Giovanni Spinazzola nasce a Ferrandina (Matera) nel 1972. Si diploma prima al liceo artistico di Matera, poi consegue il diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano). Tra gli anni 1991-1997 collabora con la stamperia d’autore La Spirale (dove apprende le tecniche litografiche, xilografiche, serigrafiche e calcografiche) e con la Leo Burnett Company.

Successivamente lavora come Designer di mobili imbottiti con le aziende Nicoletti s.p.a. ed Ego Italiano. Fra le mostre più significative: XV Congresso Europeo per la cardiologia “Zambon Group”, Inghilterra; Concorso per conto della società Calvin Klein, Milano; Trenta ore per la vita a favore dell’AISM, Milano; Gruppo d’Arte, Cinisello Balsamo; Salon 1°, Brera, Milano; Gruppo d’Arte, Cinisello Balsamo; Partecipazione alla Giornata Mondiale per la pace Swatch-Peace Unlimited, Milano; Giovani Proposte, Galleria La Roggia, Palazzolo sull’Oglio, Brescia; I colori del vento, Milano; Couleurs Printaniéres, Cristal D’Argentiére, Francia; Insieme per donare 2001, Aula Magna dell’ospedale

Luigi Sacco, Milano; Il Convito della Bellezza, salone Pontificio Seminario Regionale Minore, Potenza; I Custodi della Memoria Collettiva, Museo Provinciale, Potenza; Campionesi del III Millennio, Galleria Civica, Campione d’Italia; Cib’arte e Universo Cartesiano, Galleria d’Arte della Certosa, Milano; I custodi della Memoria Collettiva, Museo Provinciale, Potenza; Segni di fede nel battistero sul lago, Museo dello Stucco e della Scagliola Intelvese, Comunità Montana Lario Intelvese e Comune di Lenno (Co); Un Tempo e uno Spazio per l’omaggio alla bellezza, Salone Pontificio Seminario Regionale Minore di Potenza; Nuovi percorsi, Galleria “L’Ariete”, Potenza; PagliaronArte, Senise (Pz); Arte in Tasca, Centro culturale “Annotazioni d’arte”, Milano; Arte Estate Spinoso, Spinoso (Pz); Progetto scenografico del Recital Chi è come te tra i Muti?, Teatro “Due Torri”, Potenza; Rosari Virginis Mariae, Salone Seminario Minore, Potenza; Ciò che è infinitamente piccolo, artisti del 1900 e contemporanei, Galleria Civica, Palazzo Loffredo, Potenza; Personale Passante, Galleria Idearte, Potenza, Libro in arte – L’autunno profuma di libro, Castello di Lagopesole (Pz); Padiglione Italia alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia per il 150° dell’Unità d’Italia a cura di Vittorio Sgarbi, Galleria Civica Palazzo Loffredo, Potenza; I care (io me

ne curo), Galleria civica, potenza; Personale cityscapes, Galleria idearte, Potenza.

M.C. Escher, la mostra a Conversano

dal 28/03/2025 al 28/09/2025

Conversano, Castello Conti Acquaviva d’Aragona - Regione: Puglia

Dal 28 marzo al 28 settembre 2025 le sale espositive del Polo Museale - Castello Conti Acquaviva d’Aragona di Conversano accoglieranno le opere di Escher, artista geniale e visionario, amatissimo dal grande pubblico in tutto il mondo, artista iconico per gli amanti dell’arte ma anche per matematici, designer e grafici, per le sue creazioni uniche in grado di coniugare l’arte con l’universo infinito dei numeri, la scienza con la natura, la realtà con l’immaginazione, generando invenzioni fantasiose e paradossi magici.

A Conversano, attraverso l’esposizione di circa 80 opere, corredato da approfondimenti didattici, video e sale immersive, viene presentato l’intero percorso artistico di Escher, dagli inizi ai viaggi in Italia alle varie tecniche artistiche che lo videro impegnato per tutta la vita e che lo hanno reso un artista unico.

Tra tassellature, metamorfosi, strutture dello spazio e paradossi geometrici, fino alle opere che dagli anni ‘50 ne hanno accresciuto la popolarità tanto da poter parlare

oggi di una vera e propria Eschermania, in mostra vengono presentati alcuni i lavori tra più noti dell’artista olandese come Cascata (1961), Belvedere (1958), Relatività (1953), Giorno e notte (1938) Galleria di stampe (1956) e tante altre.

La mostra M.C. ESCHER, promossa e sostenuta dal Comune di Conversano Città d’Arte e Museco – Musei in Conversano e Regione Puglia, con il patrocinio dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, della Città Metropolitana di Bari, di Puglia Promozione ed ENIT – Agenzia nazionale del turismo, è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la M.C. Escher Foundation e Maurits ed è a cura di Federico Giudiceandrea, uno dei più importanti esperti al mondo dell’artista.

La mostra vede come sponsor SIECO Sistemi integrati per l’ecologia, mobility partner Ferrotramviaria, partner plus BCC Conversano, Cestaro Rossi & C. e Replan ESG, partner Vetrerie meridionali e BdM Banca.

DISCEPOLO GIRARDI

Salvatore De Stefano, in arteDISCEPOLO GIRARDI pittore e scultore, si avvicina all’arte ispirato dal padre pittore. Usa un stile figurativo informale e la tecnica ad olio per esprimere se stesso attraverso i suoi quadri. Estrae i messaggi dalle sue opere non da teorie, ma dal puro colore, creando un dialogo aperto con il suo pubblico. Le sue opere, ricche di luce e colore, esprimono un bisogno profondo di andare oltre, di rendere l’artista infinito.

hanno scritto lui riviste giornali e parlato della sua arte noti critici italiani tra le tante personali in italia e alll estero si annovera nel 2011 la ppartecipazione alla biennale di venezia padiglione italia

È il poeta Orazio che afferma ‘Ab ovo usquead mala’, - un pasto completo nell’antica Roma solitamente iniziava con le uova e terminava con i frutti – e come su un vassoio d’argento l’antica Ercolano ci consegna una grande quantità e varietà di reperti organici in eccezionali condizioni di conservazione, a dimostrazione di un assortimento invidiabile di cibi e alimenti. Materia prima e frutto di una sorprendente arte culinaria, il cibo di questa città romana si mostra attraverso i resti carbonizzati di pane, cereali, legumi, frutta, uova, formaggio, frutti di mare, ci sembra quasi di sentirne i profumi; oltre a vasellame, pentole, utensili, oggetti di uso quotidiano e di lusso, che restituiscono preziose informazioni sui principali aspetti dell’alimentazione degli antichi Ercolanesi: dalla produzione al consumo e allo smaltimento del cibo.

Parco archeologico di Ercolano

corso Resina, 187 – 80056 Ercolano (Napoli)

Apertura: 27/03/2025

Conclusione: 22/06/2025

Organizzazione: Gallerie d’Italia

Indirizzo: Via Toledo, 177 - 80134 Napoli (NA)

Sito web per approfondire: https://gallerieditalia.com/it/ Facebook: https://www.facebook.com/gallerieditalia

Instagram: https://www.instagram.com/gallerieditalia/

GIORGIO DELLA MONICA

“Giorgio, allievo prediletto assai dotato, in qualche modo continuatore, con una propria fisionomia, della mia visione pittorica … è una spugna che assorbe e rielabora qualsiasi elemento tecnico che possa essergli utile nell’estrinsecazione del suo mondo emozionale: non una supina assunzione dei dati, ma una loro riutilizzazione filtrata dalla propria personalità. Ne è prova il suo continuo interrogarsi sui linguaggi estetici che gli possano permettere di esternare la gamma dei propri sentimenti. Egli attraversa una fase di studio delle tecniche e di impaginazione del dipinto. Un divenire che potrebbe, ad una prima superficiale valutazione, ingenerare un sospetto di scarsa coerenza. Da un’osservazione più attenta si intuisce invece immediatamente l’universo di Giorgio: un coacervo di sentimenti, sensazioni, stimoli culturali, aneliti e eremitiche sono la fotografia del suo carattere esplosivo, di guascone buono, di persona sempre disponibile al contatto e all’apertura, pronta a mettersi in discussione e ad allargare il proprio orizzonte di conoscenza.

Naturalmente egli è ben conscio che, nei tempi congeniali alla sua ricerca, il lavoro approderà a una continuità rappresentativa che sintetizzerà, in maniera univoca, la variegata gamma dei suoi interessi. Questa fase della pittura è comunque sempre sostenuta da un’indubitabile qualità tecnica: qualità che rappresenta la più certa garanzia del suo futuro sviluppo .

Che si cimenti in una “natura morta”, o in un “notturno”, o nel volto seducente di una donna o nella resa illuministica

di un paesaggio, la cifra della padronanza tecnica è sempre elevata, felice, profusa con metodica, quasi maniacale attenzione. La “fame” di ulteriori apprendimenti e l’innata curiosità rappresentano leve sicure per un continuo, futuro miglioramento della sua produzione pittorica”.

Virginio Quarta

Gallerie d’Italia - Napoli

“ La Dama col liocorno di Raffaello. Nell’ambito della rassegna “L’Ospite illustre” Intesa Sanpaolo espone, dal 27 marzo al 22 giugno 2025, nel suo museo delle Gallerie d’Italia a Napoli la Dama col liocorno di Raffaello Sanzio, proveniente dalla Galleria Borghese di Roma.

Dopo il grande successo della mostra Velázquez. “Un segno grandioso”, che la scorsa primavera aveva portato a Napoli due opere del pittore sivigliano dalla National Gallery di Londra, l’esposizione dell’opera di Raffaello rappresenta un nuovo capitolo della rassegna L’Ospite illustre, curata e promossa da Intesa Sanpaolo.

Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo, afferma: “Accogliere la Dama col liocorno conferma il solido legame di amicizia e collaborazione con la Galleria Borghese, simbolo della bellezza e del valore del patrimonio culturale italiano. La rassegna “L’ Ospite illustre” e la collana editoriale curata da Allemandi testimoniano l’impegno delle Gallerie d’Italia nel promuovere la conoscenza, lo studio e la condivisione di grandi capolavori, offrendo a un pubblico sempre più ampio di studiosi e appassionati anche occasioni di scoperta. Intesa Sanpaolo in questi anni si è dedicata al sostegno di progetti di ricerca e di valorizzazione del patrimonio artistico del Paese, in un rinnovato ruolo al fianco dei musei più prestigiosi e delle collezioni più significative.”

L’opera è un esempio emblematico del Rinascimento italiano, caratterizzato da eleganza compositiva e un’attenzione meticolosa ai dettagli. Questo ritratto è avvolto da un alone di mistero riguardo all’identità della donna raffigurata, al significato dell’unicorno e alle numerose modifiche subite nel corso dei secoli. La Dama col liocorno è un’opera ricca di stratificazioni storiche e simboliche, che riflette la maestria di Raffaello nel ritratto psicologico e la sua capacità di assimilare influenze (Leonardo, Piero della Francesca). Il mistero sull’identità della donna e le trasformazioni subite dal dipinto lo rendono un affascinante caso

di studio nella storia dell’arte.

La Dama col liocorno fu restituita a Raffaello dallo storico dell’arte Roberto Longhi nel 1927, quando presentava ancora le ridipinture che, coprendo l’unicorno, l’avevano trasformata in una Santa Caterina con la ruota dentata e la palma del martirio. L’opera fu oggetto di lì a poco di un restauro che la liberò dagli interventi successivi.

Le indagini radiografiche compiute sull’opera hanno mostrato che prima dell’unicorno, emblema della castità, Raffaello aveva dipinto un cagnolino, simbolo di fedeltà: si tratta dunque plausibilmente di un ritratto eseguito in occasione di un matrimonio.

Organizzazione: Gallerie d’Italia

Indirizzo: Via Toledo, 177 - 80134 Napoli (NA)

Apertura: 27/03/2025

Conclusione: 22/06/2025

Sito web per approfondire: https://gallerieditalia.com/it/ Facebook: https://www.facebook.com/gallerieditalia Instagram: https://www.instagram.com/gallerieditalia/

Mostra al Madre NAPOLI Euforia di Tomaso Binga

La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee – museo Madre presenta, dal 18 aprile al 21 luglio, la mostra Euforia Tomaso Binga, a cura di Eva Fabbris con Daria Kahn e con il progetto espositivo di Rio Grande. Si tratta della più ampia retrospettiva museale mai dedicata all’artista, che ripercorre oltre quarant’anni della sua attività attraverso più di 120 opere: poesie visive, installazioni, fotografie, collage, documenti e testimonianze performative – molte delle quali esposte per la prima volta o riproposte dopo decenni – provenienti da musei e collezioni private.

Il titolo della mostra nasce dal dialogo tra l’artista e la curatrice Eva Fabbris: Euforia, parola prediletta da Binga per la sua completezza vocalica e la sua sonorità espansiva, diventa – come spiega Fabbris – “un titolo-manifesto, un augurio, una necessità politica di resistenza”. Un termine che riflette pienamente lo spirito dell’artista, caratterizzando tanto il suo approccio alla pratica verbo-visiva quanto il suo impegno nel

pensiero e nell’azione femminista. Tomaso Binga, nome d’arte di Bianca Pucciarelli Menna (nata a Salerno nel 1931, vive e lavora a Roma), artista che dal 1971 ha scelto di entrare nel mondo dell’arte con uno pseudonimo maschile per evidenziare i privilegi dell’uomo anche nel campo culturale: “Il mio nome maschile – dice Binga – gioca sull’ironia e lo spiazzamento; vuole mettere allo scoperto il privilegio maschile che impera nel campo dell’arte, è una contestazione per via di paradosso di una sovrastruttura che abbiamo ereditato e che, come donne, vogliamo distruggere. In arte, sesso, età, nazionalità non dovrebbero essere delle discriminanti. L’Artista non è un uomo o una donna ma una PERSONA”.

venerdì 18 aprile 2025 → lunedì 21 luglio 2025

Museo Madre

Via Settembrini (Palazzo Donnaregina) n.79 – 80139 Napoli (Napoli)

Villa Campolieto, una mostra sui piaceri della tavola nell’antica Ercolano

Dall’uovo alle mele. La civiltà del cibo e i piaceri della tavola è la nuova mostra del Parco Archeologico di Ercolano, organizzata in collaborazione con la Fondazione Ente Ville Vesuviane e ospitata nelle sale affrescate di Villa Campolieto, una delle più affascinanti ville di età borbonica del Miglio d’Oro. Dal 28 marzo i visitatori sono immersi in un viaggio nell’epoca romana alla scoperta di quella che possiamo definire una vera e propria civiltà del cibo. Il cibo è un filo rosso che lega il presente al passato non solo per le elementari necessità biologiche. Mai come a Ercolano emerge con chiarezza un rapporto con il cibo che guarda non solo alla qualità e varietà dei prodotti, ma anche alla cura della preparazione e al risultato gastronomico.

Tra un presente richiamato da immagini ricavate dall’odierna realtà della moderna Ercolano e l’antichità romana, la mostra non perde mai di vista la bellezza della vanvitelliana Villa Campolieto, con spazi aperti e dialoganti con il prezioso contenitore. Attraversando le sale si gode tanto dei reperti esposti, quanto della splendida dimora settecentesca. La raffinatezza e il valore storico del piano nobile di Villa Campolieto hanno richiesto un approccio espositivo rispettoso; da qui nasce l’idea della “stanza nella stanza”, allestimento che crea un dialogo tra il passato e il presente.

Gli oltre 300 scheletri di fuggiaschi ritrovati sull’antica spiaggia di Ercolano hanno offerto dati sullo stato di salute della popolazione e sul cibo che mangiavano: erano uomini, donne,

bambini che hanno popolato le strade e le case di Ercolano antica la cui vita non è mai veramente terminata, ma è in qualche modo giunta sino all’oggi fissata per sempre in quelle strade e tramandata al futuro attraverso lo scorrere delle generazioni.

MARIATERESA AIELLO:

un viaggio nell’anima di Marilyn Monroe attraverso l’arte.

La recente serie di dipinti di Mariateresa Aiello rendono omaggio a una delle icone più affascinanti del XX secolo: Marilyn Monroe. Ispirata dalla bellezza e dalla complessità della vita dell’attrice, l’artista ha intrapreso un percorso di studio per catturare non solo l’immagine, ma anche l’essenza di questa straordinaria figura.

Ogni opera della collezione include simboli significativi. Nel primo dipinto, la bandiera americana riflette l’ambiente in cui Marilyn viveva e lavorava. “Marilyn era diventata un’icona internazionale, conosciuta in tutto il mondo,” spiega Mariateresa. “Ho voluto rappresentare il suo mondo, arricchendo l’opera con elementi che parlano della sua vita e della sua carriera.”

Lo stile di Mariateresa, da lei definito “trasposizionismo”, si distingue per una tecnica particolare: l’esterno entra nell’interno, attraverso contaminazioni e trasposizioni di colori, creando un dialogo tra il volto di Marilyn e il paesaggio circostante. L’artista utilizza toni energici e forti contrasti per comunicare emozioni, mantenendo la delicatezza dell’immagine di Marilyn.

Ogni dipinto ha un profondo significato. In una delle sue opere, Marilyn si abbraccia, esprimendo l’amore per se stessa: tema ricorrente nelle sue citazioni. Le parole dell’attrice, “l’unica persona di cui devo davvero prendermi cura sono io,” risuonano intensamente in questo dipinto.”Ho voluto rappresentare Marilyn come una donna consapevole, nonostante le sue fragilità,” afferma Mariateresa. L’artista, che ha sempre rappresentato paesaggi e scenari, è rimasta affascinata dalla poliedricità di Marilyn: attrice, cantante e produttrice, la cui vita è stata segnata da sfide e dolori. “Marilyn ha avuto una vita travagliata, eppure è riuscita a brillare,” osserva Mariateresa, “ho voluto reinterpretarla in modo moderno, esaminando la sua anima e la sua complessità”.

In un altro dipinto, Marilyn è rappresentata con un costume bianco, immersa in un paesaggio che non è quello americano, ma una spiaggia del Mar Tirreno. “Il mare è un elemento che amo profondamente e ho voluto portare un pezzo di casa nella narrazione,” spiega l’artista.

Mariateresa utilizza il colore non solo in senso estetico, ma anche psicologico. “Il colore è tutto per me; rappresenta il mio stato d’animo e le emozioni che voglio trasmettere.” Ha cercato di cogliere l’anima di Marilyn Monroe e di proiettarla in un contesto moderno, dando nuova vita a un simbolo senza tempo. La sua passione per l’arte e il suo desiderio di raccontare storie attraverso colori e forme si manifestano in ogni opera, rendendo il suo lavoro un’esperienza emozionante e coinvolgente. L’artista invita tutti a scoprire il mondo di Marilyn attraverso i suoi occhi, capaci di catturare l’essenza di una delle donne più iconiche della storia.

I quadri dedicati a Marilyn Monroe,rappresentano un viaggio emotivo e simbolico. Non sono semplicirifacimenti fotografici o celebrazionisuperficiali del personaggio, ma offrono una lettura personale, in cui il volto e il corpo di Marilyn diventano un pretesto per riflettere sulla debolezza,sulla femminilità e sulla importanza del mito. L’artista sceglie di reinterpretare Marilyn in spazi vivaci e colorati, dove si uniscono componente pop e sensibilità pittorica. Oltre al sorriso smagliante l’artista riesce ad afferrare il pensiero più intimo, cogliendo l’espressione del volto. Il colorecrea un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà, icona e donna, luce e ombra. Marilyn simbolo di bellezza, femminilità complessa, forte e fragile parla al cuore di chi la osserva. Mariateresa Aiello, attraverso la sua pittura, ridona voce a una figura eternae ci invita a guardare oltre ciò che appare.

Alessandra Primicerio (Critico d’Arte)

Giulio Telarico:

l’artista che esplora nuove dimensioni della percezione

Giulio Telarico ci invita ad esplorare nuove dimensioni della conoscenza attraverso le sue opere. Nella sua arte si intrecciano storia, mito e leggenda, creando un linguaggio unico che abbina tecniche iperrealiste con elementi di astrazione. I suoi lavori sono caratterizzati da precisione e dettagli straordinari, che coinvolgono attivamente chi li osserva. Telarico riesce a trasformare la realtà in un’esperienza estetica emozionante, rendendo il pubblico partecipe delle sue creazioni. L’artista parla della condizione umana, della fragilità e della complessità della vita. Lo storico dell’arte, Andrea RomoliBarberini, ha notato come il segno, nelle opere di Telarico, riesca a esprimere emozioni e sentimenti, creando un dialogo tra astrazione e realismo. La sua arte invita a riflettere su nuove possibilità espressive:attraversando e trasformando il mondo rompe gli schemi abituali.

Una mostra importante è stata “Varcare la soglia”, che ha spinto a riflettere sul concetto di limite e trasformazione nell’arte. Il termine “varcare” implica un’azione consapevole: l’artista non si limita a osservare, ma affronta un viaggio verso nuovi territori creativi. La soglia diventa un simbolo di accesso a una nuova dimensione, in cui l’arte invita tutti a partecipare attivamente, esplorando oltre i confini della percezione visiva.

Una delle sue opere più emblematiche è “Cartalibro storie

di imago”, composta da 26 carte con segni e simboli che creano una narrazione visiva, giocando sull’interazione tra pubblico e privato. Una sua creazione del 2022 presenta 50 profili umani decorati con segni misteriosi, che richiamano la vulnerabilità umana ed esperienze psicologiche complesse.

Le sue opere spingono a una riflessione profonda. È un viaggio in continua evoluzione. Ci incoraggiano a guardare oltre la superficie per cogliere i messaggi e le emozioni che l’artista desidera comunicare.

Telarico esplora anche il concetto di percezione che attraverso le sue opere si concentra sui cinque sensi. Ogni pezzo ci invita a riflettere sulla nostra esperienza sensoriale, con temi come “toccare”, “gustare” e “ascoltare” che stimolano un’interazione profonda con il mondo che ci circonda. L’arte di Giulio Telarico va oltre la forma, ponendo l’accento su un processo di trasformazione che interroga chi la osserva. La sua ricerca di significati e nuovi modi di fare arte ci invita a oltrepassare i nostri confini, affrontando con curiosità e coraggio il cambiamento che ogni processo creativo comporta. L’artista è un esploratore del segno, del colore e della forma che invita ognuno di noi a riflettere su come percepiamo l’arte e come essa possa trasformarci.

Alessandra Primicerio (critico d’arte)

Tra Imperfezione e Grazia: il viaggio artistico di Melinda Mantuano.

Circa un anno fa, l’artista MelindaMantuano ha realizzato la sua prima opera, che rappresenta una delle 15 stazioni della Via Crucis. Fu ispirata da un’idea sviluppata insieme a un gruppo di ragazzi “Artisti per Dio”. L’ottava stazione ritrae Gesù che incontra le donne di Gerusalemme. In questa opera, Melinda ha messo tutta se stessa, sentendosi sempre guidata da Dio.

Un elemento distintivo è il volto di Gesù. Mentre il colore era ancora fresco, Melinda ha dipinto un viso stanco e dolorante, segnato dal peso della croce e dal cammino verso il Calvario. Una volta asciugato, il volto di Cristo, racconta la Mantuano, si è trasformato assumendo un’espressione serena. Per lei ogni creazione è un dono di Dio. L’artista non utilizza i colori a caso; ogni tonalità ha un significato. Il nero simboleggia l’assenza di colore e quindi il dolore e la morte di Gesù, mentre il marrone rappresenta la terra arida, simbolo della passione di Cristo, ma che, se coltivata con cura può portare buoni frutti. I colori dorato, giallo e rosso sono emblematici di luce e preziosità. Il rosso rappresenta non solo la passione ma anche il coraggio di Gesù.

La serie dei quadri si intitola “Fino alla fine”, poiché Melinda crede che ogni traguardo rappresenti non una conclusione, ma l’inizio di un nuova partenza. La sua tecnica pittorica è caratterizzata da macchie di colore, senza l’uso del pennello; il colore viene applicato sulla tela in orizzontale, lasciando che i toni si mescolino, si sovrappongano e si uniscano e ogni colore prenda la sua direzione in modo naturale. Questo processo riflette il suo percorso di vita, iniziato durante le scuole superiori e proseguito fino all’Accademia.

Per Melinda, il disegno è importante come la pittura e per lei rappresenta, sin da piccola, un’ancora di sfogo. La sua

prima esposizione dal titolo “La bellezza: forme e colori tra emozioni e vita”, racchiude la sua concezione di arte e armonia interiore e risale al 2018. Durante il lockdown del 2020, l’artista ha realizzato molti disegni per combattere la malinconia, dando vita a due personaggi: “Definito” e “Imperfetto”. L’Imperfetto, inizialmente chiuso in sé stesso, rappresenta la sua vulnerabilità e il sentirsi inadeguato, mentre il Definito si è evoluto nel tempo.

La Mantuano utilizza la mano sinistra per il tratto definito e la destra per quello imperfetto, a causa di un evento doloroso avvenuto all’età di 8 anni che l’ha portata ad imparare a scrivere e a svolgere le attività quotidiane con la mano sinistra. Questo percorso le ha permesso di scoprire una ricchezza interiore e una positività che, inizialmente, attribuiva alla mano sinistra, ma che ha poi compreso provenire dalla destra.

Il suo profilo Instagram, “Definito e Imperfetto”, riflette questa dualità: “Definito” è rappresentato come un personaggio perfetto e disciplinato, mentre “Imperfetto” è un ballerino sognante e libero, simbolo di positività. La fusione di luce e ombra, realtà e sogno, fragilità e determinazione si manifesta chiaramente nella sua pittura. Anche se le sue opere non sono perfette, nel loro insieme trovano una forma di perfezione, poiché nella imperfezione risiedono bellezza e autenticità.

L’arte di Melinda è una riflessione profonda che incarna l’incontro tra interiorità e vita, aiutandola a osservare e abbracciare tutte le esperienze della sua esistenza. L’artista ci invita a guardare le sue opere con il cuore aperto, per scoprire le emozioni che suscitano in ognuno di noi.

Alessandra Primicerio (critico d’arte)

“Shanhai Taiji”

L’originale arte contemporanea del paesaggio con inchiostro del tè

●Asia Taiwan PAN,HAN-BANG

Il significato ultimo, se non te lo aspetti] Le montagne non hanno uno slancio permanente e l’acqua non ha una forma permanente. Le creazioni artistiche avanzate nascono in risposta alle opportunità e si muovono in modo casuale. La cosa più difficile della pittura è l’interesse naturale, cioè non è intenzionale, è una sorpresa che arriva per caso. Questo tipo di sorpresa è spesso qualcosa che non chiedi e ti accontenti senza chiederla. Per rendere vivido un dipinto, dovrebbe essere meno deliberato e più naturale. La pittura avanzata è il processo di trasformazione del caso in necessità. Il concetto creativo è quello di perseguire la vividezza e la naturalezza del dipinto. Nel dipinto viene utilizzato il kung fu e il pennello è rilassato e libero, riducendo la deliberazione e la scultura. Dal punto di vista dell’estetica taoista, l’arte persegue la semplicità e l’innocenza e si oppone a tracce artificiali come l’artificialità e l’intaglio. La pittura cinese pone maggiore enfasi sul cielo e sulla natura. L’arte contemporanea del tè e dell’inchiostro attende con ansia il regno degli “eventi inaspettati”. A causa di questi “controlli” “incontrollabili”, l’opera è piena di un sentimento casuale, rilassato e naturale. Questo è anche un fattore importante per cui la pittura AI non può sostituire la pittura umana. 02 [Irregolare, poco chiaro, non deliberato, solo interessante]

La concezione artistica è tra esistenza e non esistenza. La poesia ha una concezione artistica perché sembra esserci e per niente, vagamente. Il manuale di istruzioni non ha una concezione artistica perché è scritto in modo troppo chiaro e diretto. Non c’è “intenzione” in un quadro di prima classe, ma non è assolutamente “non intenzionale”. Ciò che bilancia i due è la natura. Essere liberi non significa essere casuali. La ricerca della libera creazione ha determinati requisiti. Gli antichi hanno detto a lungo che “fai quello che vuoi senza infrangere le regole”. Puoi fare quello che vuoi, ma ci sono regole e regolamenti in esso. Un passaggio dal Tao Te Ching: “Il Tao è una cosa, ma è in trance”. In trance, c’è qualcosa in esso. Come in trance, c’è un’immagine in esso. 】L’immagine è così sfocata, non così chiara, e non è niente. È questo tipo di “immagine”. [Image Tea and Ink Art] non è una rappresentazione oggettiva come la pittura realistica, né è completamente soggettiva come l’astrazione. Invece, si tratta di trovare un equilibrio perfetto tra somiglianza e dissimilarità, tra rappresentazione ed espressione, per trasmettere la poesia e la concezione artistica dietro l’immagine. Le opere interessanti sono spesso noiose a prima vista, o addirittura incomprensibili, ma più le leggi e le guardi, più diventano interessanti e profonde.

Igor Mitoraj. Lo Sguardo- Humanitas- Physis

La mostra è promossa dal Parco Archeologico di Siracusa

Eloro Villa del Tellaro e Akrai, prodotta da Atelier Mitoraj, in collaborazione a Mediatica e Tate, con il patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali e dell’Identità Siciliana, Assessorato del territorio e dell’ambiente, in collaborazione con Assessorato dell’Agricoltura, con il Parco dell’Etna, con il Demanio forestale con il Comune di Ragalna e con il Comune di Siracusa.

L’esposizione è stata curata con competenza e passione da Luca Pizzi, Direttore artistico dell’Atelier Mitoraj, coadiuvato da Paolo Patanè, Direzione produzione esecutiva; Direttore culturale e creativo Roberto Grossi.

Delle 27 opere monumentali che compongono l’inedito e struggente percorso espositivo, 25 potranno essere ammirate dai cittadini e dai turisti all’interno del Parco archeologico di Neapolis a Siracusa ( sito Unesco- famoso in tutto il mondo per la compresenza di due teatri di pietra e delle vestigia appartenenti alla grande civiltà greca e romana) mentre l’opera bronzea del “Teseo Screpolato” si innalza a 1700 metri sulle pietre laviche dell’Etna (Patrimonio dell’umanità) e la scultura alata “Ikaria” guarda verso il mediterraneo dallo spazio antistante al Castello Maniace ad Ortigia, simbolo dell’incontro tra i popoli e le culture. In questa esposizione lo stile espressivo di Mitoraj e la sua poetica, ricca di surrealismo e simbolismo, si manifestano in assoluta armonia e continuità con i modelli della tra-

dizione classica e romana e in un dialogo fecondo con la natura. Le opere presenti, infatti, realizzate tra il 1993 e il 2014 in bronzo, ghisa, travertino e resina, si integrano magicamente con i luoghi che le accolgono generando suggestioni profonde e stimolando conoscenza e partecipazione. Il tema “Lo sguardo”, trae fondamento dall’espressività delle opere e nel messaggio artistico e culturale di Mitoraj, ed esprime la visione universale di quella dimensione circolare dell’esistenza umana che ci induce ad una riflessione interiore rispetto alla società (Humanitas) nella quale viviamo e al nostro rapporto con natura che ci circonda (Physis) e ai suoi elementi primordiali (fuoco, acqua, terra, aria). Questa grande esposizione, di assoluto valore internazionale, supera, dunque, il concetto della bellezza puramente estetica dell’arte e dei monumenti e, come in una rappresentazione drammaturgica nei due antichi teatri, greco e romano, pone all’uomo contemporaneo interrogativi sul suo destino nel mondo e nella storia.

Dal 26 Marzo 2024 al 31 Ottobre 2025

Presso il Parco Archeologico e paesaggistico di Siracusa

Indirizzo: Viale Teocrito 66

Orari: dalle 8:30 alle 19:30

Curatori: Luca Pizzi

Sito ufficiale: http://parchiarcheologici.regione.sicilia.it

Gli Egizi e i doni del Nilo

Nel Museo della Cattedrale – Palazzo Garofalo di Ragusa, gioiello del barocco siciliano, i visitatori scopriranno l’antica civiltà nilotica attraverso un percorso espositivo ideato attorno ai reperti del Museo Egizio – oltre alle opere provenienti dai musei della Sicilia -, un racconto a ritroso nel tempo, dall’Epoca Predinastica (3900−3300 a.C.) all’Età greco-romana (332 a.C.−395 d.C.). Vasi, stele, amuleti e papiri, oltre ad una maschera funeraria in cartonnage, offriranno al pubblico una sintesi del Museo Egizio più antico al mondo, che celebra nel 2025 i duecento anni dalla sua nascita.

Tra i capolavori in mostra, un modellino di imbarcazione proveniente dai corredi funerari del Primo Periodo Intermedio (2118 - 1980 a.C.), in legno stuccato e dipinto, decorato con la coppia di occhi udjat a protezione dello scafo. Per gli antichi egizi il viaggio del defunto verso la città sacra di Abido avveniva su questo tipo di imbarcazioni. Dalla Galleria della cultura materiale del Museo Egizio proviene il set completo di vasi canopi in alabastro di Ptahhotep, vissuto durante il Terzo Periodo Intermedio (1076 - 722 a.C.). I 4 vasi, utilizzati per conservare separatamente gli organi del defunto, sono chiusi da coperchi che ritraggono le teste zoomorfe dei Figli di Horus. L’esposizione dedica anche un focus alle figure di Johann Joachim Winckelmann e Jean-François Champollion, con una riflessione che riporta il visitatore alle origini dell’egittologia.

Winckelmann, massimo esponente del Neoclassicismo, fu il primo a scrivere un trattato sull’arte egizia, mentre Champollion, decifratore dei geroglifici, contribuì alla comprensione della lingua e della cultura egizia, gettando le basi dell’egittologia moderna.

Nel Museo della Cattedrale – Palazzo Garofalo di Ragusa, gioiello del barocco siciliano, i visitatori scopriranno l’antica civiltà nilotica attraverso un percorso espositivo ideato attorno ai reperti del Museo Egizio – oltre alle opere provenienti dai musei della Sicilia -, un racconto a ritroso nel tempo, dall’Epoca Predinastica (3900−3300 a.C.) all’Età greco-romana (332 a.C.−395 d.C.). Vasi, stele, amuleti e papiri, oltre ad una maschera funeraria in cartonnage, offriranno al pubblico una sintesi del Museo Egizio più antico al mondo, che celebra nel 2025 i duecento anni dalla sua nascita.

Dal 13 Aprile 2025 al 26 Ottobre 2025

Ragusa: Palazzo Garofalo

Indirizzo: Corso Italia 87

E-Mail info: info@arthemisia.it

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