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my-basket, in collaborazione con sportando, presenta

MY-NCAA 60 PAGINE DI APPROFONDIMENTO SULLA NCAA PAGINA 10

LA STORIA DI ZACH HODSKINS LA MATRICOLA PIU’ SPECIALE DELLA STAGIONE NCAA

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LE TOP 10 DEI FRESHMAN, SOPHOMORE, JUNIOR E SENIOR

40 ANNI DI COACH K L’INTERVISTA A TUTTO CAMPO CON IL LEGGENDARIO COACH DI DUKE E TEAM USA

LE PREVIEW DELLE CONFERENCE PIU’ IMPORTANTI DELLA NCAA LA TOP 15 DEI GIOCATORI DA TENERE D’OCCHIO NELLE CONFERENCE MINORI L’INTERVISTA CON TRAVIS DIENER, TORNATO NELLA SUA MARQUETTE D3SIGN+ MGZ

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L’ACC DEGLI IMMORTALI

INDICE

OLTRE LE MAJORS

Coach K, Boeheim, Pitino, Williams e le 3351 vittorie in Division I

40 anni di coach k

LE TOP 10 I migliori freshman, sophomore, junior e senior della stagione NCAA 2014-1015

L’intervista esclusiva ed a tutto campo realizzata a Mike Krzyzewski, leggendario allenatore di Duke e Team USA

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GRAFICA E IMPAGINAZIONE Gabriele Galluccio

LA STORIA DI ZACH HODSKINS

GOLDEN EAGLES FOR LIFE

DIRETTORE EDITORIALE DEL MAGAZINE Claudio Pavesi

Alla scoperta della matricola più speciale della NCAA, con il contributo di coach Matthew Kramer

L’intervista a Travis Diener, tornato nella sua alma mater dopo essere diventato un’icona della Dinamo Sassari

Filippo Antonelli Luca Ngoi Dario Skerletic Niccolò Costanzo Alessio Bonazzi

REDATTORI

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LE PREVIEW DELLE CONFERENCE 2

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EDITORIALE

Dopo i numeri realizzati sulla March Madness e sul Draft 2014, con quest’ultimo che ha fatto registrare oltre 20.000 contatti, ci siamo detti “perché non farne uno ancora più di nicchia?”. Ed è così che è nata l’idea di realizzare una vera e propria guida sulla stagione NCAA 2014-15, con la speranza magari di avvicinare al fantastico mondo del college basketball anche appassionati che fino ad ora se ne sono tenuti a largo. Come al solito, abbiamo dedicato tanto tempo e tutta la nostra passione per realizzare un prodotto di buona qualità, impreziosito dalla collaborazione con Sportando. Non resta altro che augurarvi buona lettura!

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L’ ACC DEGLI IMMORTALI Coach K, Boeheim, Pitino, Williams e le 3351 vittorie in Division I Gli spostamenti delle squadre tra le varie conference hanno portato in ACC, negli ultimi anni, colossi del college basketball come Syracuse e Louisville. I Cardinals sono pronti per fare il loro esordio nella conference e competere con le migliori squadre della nazione. La competizione, però, non sarà solo tra le squadre, ma anche tra alcuni dei migliori allenatori in circolazione, nonché tra i più vincenti nella storia di questo gioco. Basterebbe un dato per confermare quanto il livello sia alto in ACC quest’anno: quattro dei quindici allenatori sono già stati introdotti nell’Hall of Fame di Springfield, nonostante siano ancora in attività. Si tratta naturalmente di Mike Krzyzewski, Jim Boeheim, Rick Pitino e Roy Williams. Coach K ha vinto quattro titoli NCAA con Duke, Williams due con North Carolina, Pitino due con Kentucky e Louisville e Boeheim uno con Syracuse. Tutti e quattro hanno vinto più di 600 partite in Division I e, da questo punto di vista, Krzyzewski è già l’head coach con il più alto numero di vittorie a questi livelli. Coach K ha iniziato la sua carriera da allenatore ad Army nel 1975, prima di legare indissolubilmente il suo nome a quello di Duke a partire dal 1980. Con i Blue Devils ha vinto 13 titoli ACC e ha partecipato a otto finali nazionali, vincendone quattro. 4

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DI FILIPPO ANTONELLI

Per cinque volte coach dell’anno in ACC, Krzyzewski è stato introdotto nell’Hall of Fame nel 2001 ed è stato anche Sportsman of the Year nel 2011 secondo la rivista Sports Illustrated. Dal 2005 è allenatore della nazionale statunitense, con la quale ha vinto due campionati del mondo e due ori olimpici. In Division I ha collezionato l’incredibile numero di 983 partite vinte con una percentuale di vittoria pari al 76.3%. Alle sue spalle si piazza coach Jim Boeheim, allenatore di Syracuse dal 1976, che in Division I ha trionfato nel 74.8% delle gare disputate, raccogliendo quindi 948 vittorie. Ha vinto il Torneo NCAA solo una volta, nel 2003 con Carmelo Anthony, ma WWW.MY-BASKET.IT

è stato anche assistente di Coach K nelle spedizioni vincenti di Team USA alle Olimpiadi del 2008 e del 2012 e ai Mondiali del 2010. È nell’Hall of Fame dal 2005. All’interno di questo gruppo stellare, l’ultimo allenatore ad aver portato a casa un titolo nazionale è stato Rick Pitino, trionfatore nel 2013 con Louisville. A differenza di Coach K e Boeheim, Pitino non ha una storia così lunga con la sua squadra attuale: è arrivato sulla panchina dei Cardinals nel 2001, dopo aver allenato Hawaii, Boston U, Providence e Kentucky. È l’unico allenatore nella storia della Division I ad aver vinto il titolo NCAA con due squadre diverse – prima di vincere nel 2013 con i Cardinals,

Nella pagina precedente: in alto Rick Pitino (Louisville), in basso Mike Krzyzewski (Duke) e Roy Williams (North Carolina). In questa pagina: sopra Jim Boeheim (Syracuse) aveva trionfato anche con Kentucky nel 1996 – ed è stato introdotto nell’Hall of Fame un anno fa. Il suo record da allenatore è di 696-246. Infine c’è Roy Williams, che dopo aver perso la finale NCAA nel 2003, ha lasciato Kansas ed è approdato a North Carolina, vincendo il Torneo nel 2005 e nel 2009. La sua introduzione nell’Hall of Fame risale al 2007 e, tra i riconoscimenti accumulati in carriera, troviamo anche nove premi di allenatore dell’anno tra Big Eight, Big 12 e ACC. Da capo allenatore ha vinto 724 partite con una percentuale

di vittoria del 79.2%. Pensare che l’ACC a livello di panchine sia circoscritta a queste quattro leggende, tuttavia, è fuorviante. L’anno scorso la conference è stata dominata da Tony Bennett, allenatore di Virginia che si impose all’attenzione nazionale già all’esordio in Division I, vincendo il premio di allenatore NCAA dell’anno con Washington State. Due anni fa, invece, a trionfare in ACC fu Jim Larranaga con i Miami Hurricanes. L’allenatore che portò George Mason alle Final Four ha vinto 531 partite in

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carriera e punta fortemente al club delle 600 in tre o quattro stagioni. Non si possono ignorare nemmeno Danny Manning, chiamato per risollevare Wake Forest dopo due belle annate a Tulsa, e Mike Brey, che allena Notre Dame dal 2000 ed è stato nel 2011 miglior allenatore della nazione. E se ci si aspetta che Mark Gottfried riesca a portare North Carolina State al Torneo per il quarto anno in altrettanti sulla panchina dei Wolfpack, merita attenzione anche Buzz Williams, arrivato a Virginia Tech da Marquette. D3SIGN+ MGZ

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40 ANNI DI COACH K L’intervista esclusiva ed a tutto campo realizzata a Mike Krzyzewski, leggendario allenatore di Duke e Team USA

DI CLAUDIO PAVESI Il cognome Krzyzewski può non essere il più facile da pronunciare o da ricordare, ma se il tuo nome è Mike non c’è dubbio che tutti ti conoscano, anche se principalmente per il soprannome: Coach K. Sono poche le volte in cui è difficile descrivere una persona e le sue gesta, ma quello di Coach K è uno di questi casi, ogni parola infatti sembrerebbe riduttiva. Il nome di Mike Krzyzewski è di attualità in NCAA ormai dal lontano 1966, anno in cui ha cominciato a giocare con Army, prima di dedicarsi al suo vero amore, ovvero allenare. Coach K, quando ancora questo soprannome non era famoso, ha cominciato come assistente del leggendario Bob Knight nel 1974 e dopo una sola stagione di praticantato ha subito cominciato a fare sul serio, diventando capo allenatore per la sua alma mater, Army. Cinque anni di buoni risultati gli sono bastati per passare alla guida di Duke, di cui è ovviamente ancora a capo dal 1980, un legame che non necessita spiegazioni. Per poter spiegare quanto Coach K sia unico e irripetibile basti sapere che, pur essendo ancora in attività, è già stato inserito sia nella College Basketball Hall of Fame che nella Basketball Hall of Fame. Inoltre il parquet del Cameron Indoor Stadium, casa dei Blue Devils, dal 2000 si chiama “Coach K Court”, mentre la zona esterna al palazzetto, in cui gli studenti si accampano letteralmente per settimane così da poter ottenere i biglietti per le partite più importanti, si chiama Krzyzewskiville. Coach K ha anche all’attivo due titoli mondiali e due ori olimpici con Team USA, di cui è allenatore dal 2005. Un ulteriore dato importante per capire l’aura divina che contorna Krzyzewski è il seguente: sotto di lui, a Duke, sono stati formati 12 allenatori NCAA, 2 assistant coach NBA, 1 assistant coach NBDL e 2 General Manager NBA. Potremmo stare qui giorni, forse settimane, a spiegare quanto Coach K sia molto probabilmente la più grande leggenda in attività su una panchina situata a fianco a un parquet, ma sarebbe una perdita di tempo. Ecco perché vi lasciamo all’intervista realizzata a questo mostro sacro della palla a spicchi in cui abbiamo discusso di Duke, di Team USA e dell’evoluzione del college basketball nel corso degli ultimi quaranta anni, lungo periodo di tempo in cui coach Mike Krzyzewski è stato un costante protagonista.

o questo Mondiale ha sancito la sua imbattibilità? Cosa rende Team USA così speciale? «Non credo che nello sport esista il concetto di invincibilità. Non conta chi sei, se non pianifichi tutto al meglio e non ti alleni al massimo delle tue possibilità sarai destinato a perdere, specialmente in ambito internazionale in cui ogni anno troviamo squadre sempre più forti, complete e organizzate. L’obiettivo di Team USA è uno solo: costruire una tradizione vincente in ogni livello del suo programma cestistico, dalle giovanili alla prima squadra. Sotto questo punto di vista Jerry Colangelo ha fatto un lavoro favoloso nell’impostare e nel trasmettere questo concetto, ormai ben radicato nella mente di ogni giocatore, allenatore o membro dello staff che ha l’opportunità di lavorare con Team USA. La dedizione e il desiderio di rappresentare gli Stati Uniti hanno portato ad alcune esperienze davvero speciali negli ultimi anni, e speriamo che in futuro ce ne possano essere altre». Come si fa a scegliere 12 giocatori quando si hanno a disposizione i migliori talenti del mondo? Con quale criterio si selezionano gli elementi di Team USA? «Non abbiamo un criterio ben preciso per selezionare i giocatori, ci affidiamo a un gruppo di coach fidati e “menti cestistiche” che hanno il compito di esaminare e valutare i giocatori sotto ogni aspetto del gioco. L’obiettivo è ovviamente quello di creare la migliore squadra possibile a livello di organico, e ciò non significa necessariamente selezionare i dodici più forti in assoluto. Vogliamo giocatori che siano orgogliosi di scendere in campo per il nome presente sul petto della divisa, non per quello sulla schiena, che siano fieri di rappresentare Team USA al meglio delle proprie possibilità. La fortuna è stata quella di trovare alcuni dei migliori giocatori del mondo

Abbiamo seguito molto da vicino la FIBA World Cup in Spagna, competizione in cui Team USA ha vinto la sua quarta medaglia d’oro internazionale consecutiva (due Mondiali e due Olimpiadi), nonostante l’assenza di tante stelle come LeBron James, Kevin Durant e Paul George. Può esserci una fine al dominio a stelle e strisce, 6

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che siano stati anche in grado di rispecchiare questa mentalità, che poi è la cultura che Team USA ha sempre trasmesso sin dalle squadre giovanili». Al Mondiale di Spagna l’Ucraina ha portato Sviatoslav Mykhailiuk, ragazzo del 1997 che quest’anno giocherà la sua prima stagione NCAA a Kansas. Quanto può far bene un’esperienza del genere per un ragazzo così giovane? Lei convocherebbe mai un liceale per una competizione internazionale importante come la FIBA World Cup? «Non c’è niente di meglio per la crescita di un giocatore che giocare e allenarsi con i più grandi atleti del mondo all’interno di competizioni importanti. Ammetto che, considerando l’attuale livello di intensità fisica e la maturità richiesta nella conoscenza del gioco per avere successo a un Mondiale o in un Olimpiade, difficilmente potrei convocare un liceale o un ragazzo di quell’età (di 17 o 18 anni, ndr) nella prima squadra di Team USA, ma è comunque uno scenario che non escludo. Negli Stati Uniti, e in generale nel mondo, ci sono giovani talenti davvero straordinari, quindi penso che potremmo abituarci a vedere ragazzi di 17 o 18 anni all’interno delle principali squadre nazionali». Coach, lei ha vinto tutto il possibile ed è nella Hall of Fame da 13 anni. Cosa la porta a voler continuare a fare la storia di questo sport come allenatore? Dove trova gli stimoli? «Ogni anno per me è una nuova avventura e il mio obiettivo è quello di aiutare la squadra che ogni volta alleno a giocare al meglio delle sue possibilità. In una situazione del genere anche io devo continuare a imparare e a migliorarmi come allenatore, così da aiutare al meglio i miei ragazzi a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. In questi ultimi nove anni l’esperienza con Team USA mi ha permesso di crescere ancor più di quanto pensassi e di quanto avrei potuto fare allenando solo in NCAA». Sempre più giocatori lasciano il college dopo un solo anno per andare in NBA e di conseguenza gli equilibri di potere all’interno della NCAA cambiano sempre più velocemente. Duke non è mai stata conosciuta per avere molti one-and-done, ma di recente ne abbiamo visti un po’ come Austin Rivers, Kyrie Irving e Jabari Parker, e sembra che anche nella prossima stagione possano essercene più di uno (Okafor e Jones, su tutti). Come fa, in questo sistema, a mantenere Duke sempre nell’elite della NCAA? «Reclutiamo giocatori che rappresentino la cultura che abbiamo qui a Duke e che siano davvero determinati e convinti che venire a Durham sia la scelta migliore per crescere come giocatori e come uomini. I nostri one-and8

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DI CLAUDIO PAVESI

done non fanno eccezione. Gente come Corey Maggette, Luol Deng, Kyrie Irving, Austin Rivers e Jabari Parker ha sempre rappresentato Duke al meglio e per questo si sono conquistati chiamate di eccellenza al Draft NBA. Noi puntiamo sempre a reclutare giocatori che rappresentino i valori di Duke e che ben si adattino al nostro sistema di gioco. Può sembrare banale, ma è questo è ciò che serve per essere un programma di successo». Il numero crescente di one-and-done, anche all’esterno di Duke, è un fenomeno che la preoccupa o lo reputa un normale aspetto del mondo collegiale con cui confrontarsi? «Ci si convive. D’altronde è impossibile prevedere quanto a lungo un giocatore resterà in un campus o quanto velocemente questo riuscirà ad adattarsi allo stile di gioco della NCAA, per questo bisogna essere sempre pronti a tutto. Va detto che chi lavora nel mondo del college basketball deve sempre adattarsi alle direttive stabilite dalla NBA e dalla Players Association».

hanno già fatto esperienze importanti con le squadre giovanili di Team USA, questo è un fattore che ha permesso loro di maturare maggiormente rispetto ai normali freshman». Coach, se consideriamo anche l’esperienza da giocatore e da assistente allenatore lei si trova nel mondo del college basketball dalla metà degli anni ‘60. Secondo lei quali sono gli aspetti del gioco che maggiormente sono cambiati in questi anni di NCAA? «I cambiamenti principali sono senza dubbio quelli relativi all’atletismo ed alla velocità, due aspetti ora fondamentali, molto più che in passato. Probabilmente però il cambiamento principale che c’è stato da quando mi occupo di pallacanestro è stato l’innesto della linea del tiro da tre punti e il conseguente adattamento. Ma non dimentichiamoci che il successo di una squadra è determinato solo e sempre da quanto riesca a eseguire il proprio piano partita sia in attacco che in difesa».

Quasi mai abbiamo visto una Duke con così tanti freshman in ruoli importanti, ben quattro. Cosa la porta a credere quindi di poter vincere il Torneo NCAA con un’edizione dei Blue Devils così “inedita” e poco esperta? «Abbiamo un gruppo di freshman davvero speciale ma anche tanti veterani di talento, senza dubbio quindi il successo della squadra dipenderà da come questi due blocchi si legheranno, dentro e fuori dal campo. Quest’anno abbiamo almeno dieci ragazzi in grado di avere un ruolo importante in squadra e sarà necessario che tutti e dieci diano il massimo se vogliamo che Duke possa essere sempre competitiva e al massimo delle sue potenzialità dalla prima partita fino a Marzo. Non scordiamoci inoltre che tre dei nostri quattro freshman

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NON ESISTONO LIMITI: LA STORIA DI ZACH HODSKINS Writer of the story John Sebastian Doe

DI CLAUDIO PAVESI

Photographer John Arnold Doe

Alla scoperta della matricola più speciale della NCAA, con il contributo di coach Matthew Kramer In Division I ci sono 351 squadre e di conseguenza più di mille freshman si affacciano ogni anno sul panorama del college basketball, riempiendo i campus di tutta America con sogni, ambizioni e voglia di fare. Non tutti i freshman però sono uguali. Alcuni sono particolarmente forti, altri sono molto discussi e mediaticamente intriganti, altri diventeranno i nuovi idoli della student section per la loro abilità nello sventolare gli asciugamani a ogni canestro dei compagni, mentre altri ancora vedranno la propria carriera andare in fumo prima ancora che cominci. La storia di oggi parla di un ragazzo che non rientra in nessuno di queste categorie ma è allo stesso modo speciale, se non più speciale. Parliamo di Zach Hodskins, freshman dei Florida Gators. Hodskins non cambierà la stagione dei Gators (pensate che nella classifica di ESPN dei migliori liceali d’America non è nemmeno classificato, ndr), non avrà un futuro in NBA. La storia di Hodskins non parla di redenzione, non viene dalla tipica famiglia del ghetto, ma una particolarità ce l’ha: non ha il braccio sinistro. Com’è possibile che un giocatore

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sia arrivato a entrare nei prestigiosi Gators pur non avendo un braccio? Per questo dobbiamo fare un passo indietro. Per ripercorrere meglio la sua storia, ci faremo aiutare dalle parole di coach Matthew Kramer, allenatore di Zach Hodskins durante la stagione 2013-14, la sua ultima a Milton High School. GLI INIZI - Quando nasci a Lexington, nel Kentucky, casa dei Wildcats, sai che il basket scorre nelle tue vene e sai che dovrai prima o poi giocarci. Zach Hodskins nasce nel febbraio del 1996, è un bimbo sano e senza problemi, se escludiamo il fatto che è nato senza una parte del braccio sinistro. C’è poco da fare, bisogna accettarlo e continuare a vivere. Zach però non vuole porsi limiti. La famiglia si trasferisce a Brentwood, Tennessee, ma quel sangue cestistico tipico di Lexington, scorre più forte che mai e il ragazzo, pur avendo provato con il calcio, il baseball, il golf e tanti altri sport, non può esimersi dal cominciare a giocare a basket. Certo, senza una mano è più complesso ma non impossibile, bisognerà allenarsi di più ma la volontà c’è e Zach, come WWW.MY-BASKET.IT

detto, odia porsi limiti. Hodskins impara a palleggiare e, benché piccolo, si allena moltissimo come se sapesse che il basket sarà più di un semplice passatempo, ma con la consapevolezza che la sua strada sarà più lunga, ripida e tortuosa rispetto a quella degli altri ragazzi. Il padre una volta disse che a sei anni Zach aveva già imparato a trattare la palla a spicchi con una certa eleganza e che già sapeva eseguire movimenti complessi come la virata. Ovviamente non possiamo sapere con certezza se è la verità, ma non ho problemi a crederlo. Questo ragazzo ha sempre mostrato una certa maturità e solidità mentale, come fa capire lui stesso da un’intervista in cui dice che l’unica cosa che lo infastidiva da piccolo era quando gli altri lo fissavano. Zach sa che le persone sono semplicemente curiose e di conseguenza non dà molto peso alla cosa, anzi quando gli chiedevano come mai non avesse metà braccio sinistro lui soleva rispondere che gli era stato staccato dal morso di uno squalo. «Questa risposta - spiega Zach in una vecchia intervista - lasciava sempre tutti di stucco. Erano quasi spaventati e

la cosa mi faceva sentire più forte e più sicuro, oltre che divertito». Non male per un ragazzino. Ma il basket? Gli anni passano e si inizia a giocare per davvero, per le scuole. Zach impara a costruirsi una tecnica di tiro efficace, basata sulla spinta della mano destra con l’aiuto del braccio sinistro, usato come guida nell’atto del caricamento. Sa di essere bravo ma gli avversari, vuoi per “aiutarlo”, vuoi per averlo sottovalutato, gli lasciano sempre molto spazio. Hodskins non si fa molti problemi e inizia a segnare. A quel punto le difese avversarie, che ormai lo conoscono, si concentrano a difendere su di lui e lo pressano costantemente ma non c’è nulla da fare. Nella squadra di Woodland Middle School, scuola media del Tennessee, i tabellini dicono che Zach ne segna 31 di media. MILTON HIGH SCHOOL - Nuova scuola, nuova avventura, nuova città. Zach arriva a Milton High School, in Georgia, e anche qui, nonostante le fragorose cifre alle scuole medie, la gente continua a sottovalutarlo e a non credere che un ragazzo con un braccio solo possa essere competitivo su un parquet contro atleti normodotati. Lo stesso coach Kramer, arrivato per allenare la stagione 2013-14, l’ultima di Hodskins, prima di vederlo giocare aveva qualche dubbio, come mi ha rivelato: «Onestamente, all’inizio ero scettico riguardo al fatto che Zach potesse giocare una stagione ad alto livello, d’altronde a Milton si gioca un calendario molto difficile, di livello nazionale, con tanto di partecipazioni a tornei importanti contro i migliori programmi liceali in America. Una competizione del genere è difficile per qualsiasi giocatore. Le prime volte che ho visto Zach all’opera però ho capito che il suo spirito competitivo e la sua determinazione erano abbastanza forti per permettergli di superare ogni difficoltà. D’altronde ogni giocatore deve affrontare difficoltà: alcuni sono piccoli, altri non saltano abbastanza,

altri tirano male, altri ancora sono lenti. Il suo svantaggio è più raro rispetto a quello degli altri giocatori, diciamo anche che è unico, ma ha sempre lavorato più di chiunque per superare questo problema, ecco perché ho un enorme rispetto nei suoi confronti». Siamo sinceri, Zach non può fare proprio tutto quello che fanno i suoi compagni nella normale routine di allenamento, ma ciò non vuol dire che non possa comunque dare il massimo in altre situazioni. Coach Kramer me lo conferma: «In allenamento Zach non poteva fare proprio tutto, in sala pesi infatti si compiono esercizi in cui sono necessarie entrambe le mani e da questo punto di vista non c’era molto che potessimo fare a riguardo. In campo però è diverso, sul parquet fa esattamente tutto ciò che fanno anche i compagni». Ovviamente il campo di allenamento è ben diverso rispetto a una partita competitiva, contro avversari a cui poco interessa della tua condizione fisica ma hanno solo intenzione di impedirti di segnare. Coach Kramer mi ha quindi spiegato alcuni adattamenti tattici relativi a Hodskins: «Da un punto di vista tattico, avevamo creato degli aggiustamenti per cercare di sfruttare al massimo Zach. Ad esempio c’erano alcune situazioni di passaggio in cui era in difficoltà, specialmente da alcune zone del campo e in caso di raddoppio di marcatura, così cercavamo di organizzare il nostro gioco in modo da non farlo trovare in situazioni difficili. C’è da dire però WWW.SPORTANDO.COM

che aggiustamenti del genere sono pensati e adattati ad ogni giocatore di qualsiasi categoria, soprattutto a livello liceale». Tutti dicevano che con l’avanzare dell’età e del livello sempre più competitivo, il suo sogno si sarebbe concluso in fretta, ma Zach è un ragazzo parecchio testardo. Lavorando duro si è conquistato un posto da sesto uomo nel suo anno da senior e con 11.8 punti a sera si è fatto notare dagli addetti ai lavori per il gran giocatore che è. In un periodo particolarmente caldo è riuscito a segnare addirittura 23 punti di media nel corso di 8 gare, con un picco di 33 contro Woodstock High. Lo stesso coach Kramer ci ha confermato l’importanza di Zach per Milton High School, e non solo dal punto di vista emotivo: «Sull’Hodskins giocatore si possono avere dei dubbi solo prima di averlo visto giocare. Zach non solo gioca a basket, ma lo fa bene e anche grazie a lui abbiamo conseguito vittorie importanti, pur trovandoci ad affrontare l’elite del basket liceale in America, comprese avversarie presenti nel ranking nazionale. Entrando dalla panchina Zach ha dimostrato di poter essere utile a qualsiasi squadra, specialmente grazie al suo catch-and-shoot dall’arco, un’arma che usa benissimo dal momento che possiede un range di tiro praticamente illimitato. Zach ci permetteva di allargare il campo, creare più spazio a centro area e rendere il nostro attacco davvero completo. A Milton si gioca per vincere e Zach ci aiutava a farlo, di certo non D3SIGN+ MGZ

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giocava per pietà». LA POPOLARITA’ - Un giovane ragazzo con un braccio solo in grado di giocare a pallacanestro ad alto livello, in America e nell’era dei social network. Era solo questione di momenti prima che le sue gesta facessero il giro del mondo. ScoutFocus.com inserisce un video di Zach su YouTube e in breve tempo raggiunge le quattro milioni di visualizzazioni. Il nome di Hodskins è sulla bocca di tutti. In poco tempo parlano di lui la ESPN e NBA TV, ne parlano siti inglesi, francesi, spagnoli, australiani e indiani. Come se non bastasse, sono arrivati anche i tweet di gente come J.J. Redick (giocatore a cui Zach si ispira), Beyoncé e Michael Jordan (sì, quel Michael Jordan) a indicarlo come un’ispirazione. Inutile dire a che livello la sua popolarità sia arrivata. Non scordiamoci però che parliamo di un ragazzo di appena diciotto anni che studia al liceo e intanto gioca a basket, la pressione mediatica talvolta può essere difficile da gestire. Anche sotto questo aspetto il ragazzo prodigio di Alpharetta, Georgia, ha mostrato grande intelligenza e maturità, come spiega sempre coach Kramer: «Come ogni grande esposizione mediatica, anche in questo caso la fama di Zach ha avuto due volti. Da un lato la sua storia ha potuto raggiungere moltissime persone e servire da ispirazione a ragazzi con disabilità e non. E’ stata anche una grande occasione per Zach, che ha potuto incontrare alcuni suoi idoli come J.J. Redick. Da un altro punto di vista però c’è stata un’eccessiva pressione da parte dei media, troppa da gestire per un ragazzo di diciotto anni. Devi sapere che i media di tutto il mondo continuavano a tempestare di telefonate suo padre (lo ha detto il padre di Zach al dailymail.co.uk, ndr) e allo stesso tempo anche la squadra era circondata da giornalisti. Dal Tennessee alla Florida, ovunque andassimo a giocare trovavamo televisioni, agenzie di stampa, radio, giornalisti della carta stampata, blogger, di tutto. Il più delle volte Zach 12

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ha gestito molto bene la situazione, ma in qualche occasione gli eccessivi contatti con i media si sono rivelati una distrazione e un peso. C’è da dire però che è stata un’esperienza importante per lui, ma anche per me e per il resto della squadra. In un certo senso ci ha aiutato a crescere». COME KEVIN LAUE E JIM ABBOTT - Tra interviste, partite e lezioni scolastiche, Zach ha dovuto pensare seriamente a una cosa ovvia ma al tempo stesso fondamentale: il futuro. Ogni ragazzo, arrivato alla fine del liceo, deve pensare a cosa fare della propria vita: alcuni provano a sfondare nello sport, altri preferiscono studiare, altri cercano lavoro e altri ancora mollano tutto per fare qualcosa che forse non è chiara nemmeno a loro. Qualcosa però bisogna fare. Zach ormai è un senior e l’anno prossimo bisogna andare al college. Ma quanti giocatori con un braccio solo hanno giocato in Division I? Forse è la fine del sogno, o forse no. Una possibilità c’è, d’altronde in Division I si è già visto un giocatore di basket senza una mano: Kevin Laue. Laue è un ragazzo nato nel 1990 con la stessa disabilità di Hodskins che, dopo un’ottima carriera liceale, ha realizzato il sogno di diventare il primo giocatore di Division I (nella pallacanestro) con una sola mano, dopo aver accettato la borsa di studio di Manhattan. Nei tre anni passati con i Jaspers, Laue ha giocato costantemente con una media di 4 minuti a partita ed è WWW.MY-BASKET.IT

riuscito a segnare più volte su azione, guadagnandosi così anche un film dedicato alla propria storia, chiamato “Long Shot: The Kevin Laue Story”, uscito a cavallo tra 2012 e 2013. La situazione di Hodskins però è diversa: Laue infatti era un centro di 211 centimetri la cui unica mano era descritta dai compagni come qualcosa di “grosso quanto due mani normali sommate tra loro” e il suo gioco si concentrava sullo stoppare e catturare rimbalzi. Zach è una guardia di 193 centimetri la cui missione è quella di segnare più punti possibili. Una situazione leggermente più complessa dal momento che dovrà usare molto di più il palleggio rispetto a Laue. Ma forse è necessario guardare anche ad altri sport. Nel baseball Jim Abbott, pur non avendo la mano destra, è stato una vera leggenda a Michigan nel ruolo di lanciatore partente, la sua maglia infatti è ritirata e lui è inserito nella College Baseball Hall of Fame. Inoltre è stato chiamato al Draft MLB con l’ottava chiamava assoluta e ha giocato nella Major League per dieci anni, realizzando addirittura un nohitter, che per chi non lo sapesse è una partita in cui il lanciatore non permette ad alcun battitore avversario di arrivare in base, se non per propria scelta e/o errore. Hodskins ha sempre detto di guardare a Laue come un modello e un’ispirazione, ma ovviamente anche Abbott ha giocato un ruolo importante. Dopo il diploma a Milton High School, Hodskins ha ricevuto

una lettera di complimenti proprio da parte di Jim Abbott, che gli augurava una carriera di successi e gli ricordava di non porre limiti ai propri sogni. Era un segno, l’incoraggiamento che serviva, era come un lasciapassare che gli garantiva l’ingresso nello sport di alto livello, quello che conta davvero. A questo punto, più convinto che mai, Zach Hodskins prende il coraggio a piene mani e decide di rifiutare le borse di studio di molti programmi “minori” come Alabama-Birmingham e Birmingham Southern, preferendo andare come “preferred walk-on”, ovvero senza borsa di studio ma con la certezza di entrare in squadra, ai prestigiosi Florida Gators di coach Billy Donovan. FLORIDA E IL FUTURO - Arrivato a Florida, l’ormai ex guardia di Milton High School si è subito integrata e ha già cominciato a legare con i compagni oltre che, come suo solito, a sbalordire tutti sul parquet. La strada però sarà lunga e difficile, Zach infatti è il più giovane tra i walkon di Florida e uno degli elementi più giovani dell’intera squadra, inoltre i walk-on non hanno mai avuto grande feeling con Billy Donovan.

In 18 anni di “era Donovan”, ai Gators infatti possiamo identificare il giocatore di maggior successo senza una borsa di studio in Jacob Kurtz, attuale senior con 56 punti in carriera. Certo, queste statistiche non sono particolarmente invitanti, ma la storia è fatta per essere riscritta, inoltre la decisione di Zach di rinunciare a borse di studio complete per andare a Florida parla chiaro: non importa quanto ci vorrà, l’obiettivo non è solo quello di realizzare un sogno ma anche di poter valorizzare al massimo il proprio potenziale. Sarà difficile, molto probabilmente quest’anno non vedrà il campo, forse nemmeno l’anno prossimo, ma Zach sa che potrà avere un’occasione, sa che una volta Billy Donovan lo guarderà negli occhi e gli dirà di prepararsi a entrare in campo, glielo ha confermato lo stesso coach. E’ per questo che ha preferito Florida anche alla prestigiosa Kentucky, nella sua natia Lexington. Anche coach Kramer ha ben chiaro che la carriera di Zach può continuare a essere molto positiva, seppur difficile: «Un livello così alto di Division I è ben più competitivo, anche rispetto all’eccellenza del basket liceale. Già al liceo alcune squadre sono riuscite a

limitare Zach con ottimi aggiustamenti difensivi, e di conseguenza in SEC sarà ancora più dura, ma parliamo di un ragazzo determinato e allenato da coach Donovan, uno dei migliori allenatori al mondo che, insieme al suo staff, saprà farlo migliorare». Zach è un ragazzo unico. Magari non vincerà il premio di miglior giocatore in NCAA, magari non vincerà il titolo come protagonista e chi può sapere se in futuro continuerà a vivere nel mondo della pallacanestro. Una cosa però è certa: Zach Hodskins mi ha colpito, anzi ci ha colpito, e non ci dimenticheremo di lui. Ho pensato a lungo come chiudere la storia di questo ragazzo ma le parole migliori le ha regalate, come sempre, chi lo conosce bene, cioè coach Matthew Kramer: «Oltre alle gioie come giocatore, gli auguro di creare una serie di ricordi che possano rimanergli per sempre nella mente e nel cuore, il tutto continuando a ispirare persone, con o senza disabilità. Zach ha l’occasione di colpire le persone in modi che esulano dalle semplici prestazioni sul campo, questa è una grande responsabilità ma anche una grande possibilità e sono sicuro che saprà sfruttarla nel migliore dei modi».

IN BOCCA AL LUPO, ZACH!

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GOLDEN EAGLES FOR LIFE È stato uno dei giocatori più amati del nostro campionato negli ultimi anni, grazie alle quattro stagioni disputate con la maglia della Dinamo Sassari. Travis Diener ha lasciato il segno anche negli Stati Uniti: ha portato, assieme a giocatori come Dwyane Wade e Steve Novak, Marquette alla semifinale nazionale – poi persa con Kansas – nel 2003 e in seguito ha giocato per cinque stagioni in NBA. Playmaker dalla fenomenale visione di gioco, Diener è sempre stato anche un ottimo tiratore dell’arco. Prima di ritirarsi quest’estate, l’ex playmaker della Dinamo è riuscito a vincere il suo primo trofeo italiano: la Coppa Italia. Dopo una carriera così intensa, terminata all’età di 32 anni, Diener ha accettato subito di tornare a lavorare nel mondo del basket e più precisamente nell’ateneo con il quale aveva raggiunto traguardi straordinari. Marquette lo ha assunto a giugno come Director of Player Personnel. Dal campo alla scrivania, mantenendo sempre quella professionalità che lo contraddistingueva anche in campo. E chissà quanti ragazzi riusciranno a crescere negli anni grazie ai consigli di uno come Travis, che da giocatore riusciva a creare ed incantare con innaturale facilità. Quali sono i tuoi compiti principali da Director of Player Personnel? «Devo seguire quotidianamente i giocatori che fanno parte del nostro programma cestistico. Questo può voler dire ad esempio incontrare ogni giorno singoli giocatori per fare sedute video o per discutere 14

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“Un’emozione unica tornare a Marquette. Gli obiettivi? Giocare di squadra e dare tutto quello che abbiamo in ogni singola partita”.

di altri aspetti. In sostanza il mio ruolo non è tanto diverso da quello di un assistente allenatore, con la differenza che io non posso partecipare al processo di recruiting al di fuori della nostra scuola e portare giocatori a Marquette».

come siamo adesso». Duane Wilson è reduce da due infortuni che gli hanno impedito di scendere in campo nella passata stagione. Riuscirà a guadagnare minuti già da freshman? «Duane ha una possibilità di diventare un buon giocatore di college. Il problema è che, a causa degli infortuni, ha dovuto stare lontano dal campo per tutto l’anno e quindi non ha per forza di cose molta esperienza a questi livelli. Ha una grande attitudine per la pallacanestro e ha voglia di migliorare per diventare un giocatore importante».

I Golden Eagles sono arrivati per l’ultima volta alle Final Four nel 2003, quando tu facevi parte della squadra. Che ricordi hai di quell’esperienza? Che effetto fa essere tornato nella tua alma mater? «Quella stagione resta uno dei ricordi preferiti della mia carriera da giocatore. Non solo perché eravamo molto forti, ma anche perché eravamo molto legati tra di noi fuori dal campo, c’era una grande chimica di squadra. Tornare a Marquette è bellissimo. È l’università che abbiamo frequentato io e mia moglie e non è molto lontano da dove siamo cresciuti. E oltretutto è un grande college, per cui essere di nuovo qua è emozionante».

Quali sono i tuoi playmaker preferiti nel panorama NCAA attuale? «Ne citerei due: Marcus Paige di North Carolina e Fred VanVleet di Wichita State. Paige mi piace perché è anche un realizzatore letale, VanVleet invece perché è un grande leader e in campo cerca di far rendere al meglio i suoi compagni».

Marquette ha perso tutto il quintetto della passata stagione. Cosa pensi della squadra e quali sono gli obiettivi? «La nostra squadra manca di esperienza, ora come ora, e non abbiamo nemmeno una gran profondità nelle rotazioni. In ogni caso, daremo tutto quello che abbiamo ad ogni partita e giocheremo una pallacanestro di squadra. Non possiamo porci altri obiettivi se non quello di migliorare giorno dopo giorno e sono sicuri che a febbraio saremo molto meglio di

Quali sono a tuo avviso le migliori squadre nella Big East e quali le migliori nell’intera nazione? «Villanova è la favorita per vincere la nostra conference. Secondo me hanno degli ottimi giocatori e possono finire la stagione tra le prime 10/15 squadre del ranking nazionale. In generale, penso che le migliori squadre al momento siano Kentucky, Arizona, Duke e Wisconsin».

DI FILIPPO ANTONELLI

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LA PREVIEW DELLA ACC Insieme alla Big Ten, la ACC è la Conference con più tradizione e con più blasone nell’intero college basketball. Basti pensare che il pubblico di questa Conference ha potuto ammirare un giovane Michael Jordan quando vestiva la maglia dei Tar Heels di North Carolina; per non parlare di allenatori leggendari come coach K, Dean Smith, Roy Williams, Larry Brown: persone che hanno letteralmente rivoluzionato il gioco, portando le rispettive squadre a giocare su livelli difficilmente raggiungibili o replicabili. Ogni anno emergere in questa competizione è il compito più duro che un gruppo di atleti collegiali si possa proporre, e anche le compagini di “seconda fascia” annoverano tra i propri ranghi prospetti che possono ritagliarsi ottime carriere da professionisti, siano esse in Europa o nella NBA. Anche quest’anno non mancheranno le emozioni e la qualità, anzi forse proprio da quest’anno il livello sarà ulteriormente elevato visto l’arrivo di Louisville, una delle più recenti super potenze in NCAA, ma avremo modo di parlarne tra qualche riga. Dunque non esitiamo e andiamo ad analizzare più in profondità le pieghe della ACC 2015. 16

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LA FAVORITA - DUKE BLUE DEVILS Nei (peraltro pochi) preview stagionali già disponibili è indicata come seconda, ma noi di MY-Basket seguiamo sempre gli insegnamenti del Maestro Giordani e andiamo contro corrente, chiaramente spiegando il perchè. Un motivo più che sufficiente potrebbe già essere la presenza di coach K, reduce da un’estate nella quale si è confermato come l’allenatore più vincente della storia di Team USA portando le seconde e le terze linee della NBA sul tetto del mondo. A Duke è chiamato a portare una squadra dal talento clamoroso in cima alla Nazione, e dunque a trasformare dei giovanotti di buone speranze in uomini. I Blue Devils hanno portato a casa la migliore recruiting class della stagione, nella quale spicca la più che probabile prima scelta del Draft 2015, il centro Jahlil Okafor, che dovrà essere servito dalle scorribande di Tyus Jones, playmaker creativo e passatore sublime. Una delle tante chiavi della stagione sarà la condizione di Rasheed Sulaimon, che quando è in giornata si è dimostrato un più che valido go to guy, ma che quando non lo è può risultare addirittura deleterio: finora WWW.MY-BASKET.IT

DI LUCA NGOI gli è mancata insomma la maturità; entrare nella sua mente non dev’essere una delle cose più semplici da fare, se nemmeno coach K è riuscito a smuoverlo definitivamente, ma questo dovrebbe essere l’anno della definitiva esplosione. Normalmente ripartire dai freshmen e dalla gioventù ti pone in una posizione di svantaggio, se non altro perchè si deve ricreare una chimica di squadra da zero, ma a Durham tutto sembra possibile, e Okafor mi ricorda tanto una versione extra large di Anthony Davis: Kentucky nel 2011 ha dimostrato che giocatori così possono essere la differenza tra vincere e perdere a marzo. LE RIVALI - NORTH CAROLINA TAR HEELS, LOUISVILLE CARDINALS Come accennavo poco fa: tutti ci stanno raccontando che questo sarà l’anno giusto per North Carolina e per Roy Williams, che potrebbero seriamente tornare padroni della Conference. La classe di recruiting

è di una qualità che non si vedeva effettivamente da molto tempo, con l’ala Justin Jackson che è la risposta Tar Heel a Jabari Parker e Theo Pinson, il quale oltre a schiacciare qualsiasi cosa si trovi davanti dovrà anche dimostrare di essere efficace e affidabile in diverse situazioni. Il roster comunque sembra completo e profondo, con il playmaker Marcus Paige a fare da coordinatore delle operazioni e vero leader spirituale del gruppo. La sua maturazione è diventata evidente nelle ultime fasi della scorsa regular season, quando è parso pronto anche per palcoscenici ben superiori, ed è uno dei più seri candidati a vincere il premio di “Player of The Year”. A tutto ciò aggiungiamo una panchina di qualità, con Nate Britt, Isaiah Hicks e Jackson Simmons a fare da principali esponenti per la second unit e capiamo come a UNC si respiri nuovamente un’aria di trofeo. Abbastanza simile il discorso per quanto riguarda Louisville. Anche

qui troviamo una recruiting class molto sopra la media e nella quale spicca il nome di Shaqquan Aaron, formalmente un’ala piccola ma in grado di fare qualsiasi cosa su un parquet adibito alla pallacanestro, unita a un nucleo di “veterani” ben rodati (i vari Blacksheare, Rozier e Jones) al servizio della star che risponde al nome di Montrezl Harrell, uno dei prodotti meglio riusciti della “cura Pitino”. Dopo quattro anni di maturazione step by step, il cucciolo si è fatto uomo e si è trasformato in uno dei migliori giocatori della Nazione. Il primo anno nella ACC si farà sentire: la competizione sarà molto più dura per i Cardinals, e questo potrebbe penalizzarli inizialmente, dunque li mettiamo leggermente più arretrate rispetto alle potenze della Carolina, ma il gruppo è di tutto rispetto, e quando c’è di mezzo Pitino bisogna sempre aspettarsi sorprese da un momento all’altro.

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LA CLASSE MEDIA - VIRGINIA CAVALIERS, SYRACUSE ORANGE, NORTH CAROLINA STATE WOLFPACK Le squadre nella “bubble” (il cosiddetto mischione di mezzo) della ACC potrebbero vincere abbastanza agilmente nel 70 percento delle altre Conference di Division I, e questo è un primo fatto abbastanza interessante. Virginia è chiamata a ripartire dopo l’ottima stagione scorsa, nella quale è stata per gran parte dell’anno attaccata al gruppo delle prime della classe. Non sarà facile ripetersi senza Joe Harris, il mortifero tiratore che ha trascinato l’attacco durante tutto il 2014, ma sicuramente il gruppo è di grande qualità, a partire dall’ala al terzo anno Malcolm Brogdon, che quest’anno sarà chiamato a recitare il ruolo del nuovo sceriffo insieme al playmaker London Perrantes, il quale durante la scorsa stagione si attestò come uno dei migliori esterni della Conference. Qualche interrogativo in più circonda invece i Syracuse Orange, che si confermano una delle potenze della ACC (al loro secondo anno nella Conference), ma che hanno perso tre pezzi da novanta come CJ Fair, Tyler Ennis e Jerami Grant; tuttavia ci sono molte speranze attorno al nuovo playmaker Kaleb Joseph, che secondo alcuni ha i numeri per ripetere le gesta del suo più recente predecessore. Molto passerà anche dalle prestazioni di Rakeem Christmas, l’elemento più esperto a roster e il più indicato a prendere il posto, numericamente e nominalmente, del già citato Fair. La squadra di coach Boeheim dipenderà come sempre dalle proprie performance difensive, ma nessuno mette in atto la zona come loro e avere la meglio su questo tipo di sistema non sarà facile per nessuno. E se Syracuse si può lamentare per le sue dipartite, NC State dovrebbe teoricamente cadere in uno stato di disperazione assoluta, in quanto in estate ha salutato TJ Warren, il D3SIGN+ MGZ

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Nella pagina precedente: James Robinson (Pittsburgh). In questa pagina: a sinistra Oliver Hanlan (Boston College), in basso coach Danny Manning (Wake Forest)

miglior giocatore della scorsa ACC che è stato scelto da Phoenix; inoltre Tyler Lewis è partito in direzione Butler per continuare il suo percorso collegiale, eppure il reparto esterni rimane di grande qualità, comandato da Anthony “Cat” Barber e arricchito dal transfer da Alabama Trevor Lacey. Da valutare il reparto lunghi, dove nessuno dei probabili partenti ha ancora accumulato abbastanza esperienza: in questo contesto si innesta l’interessante freshman Cody Martin, ala dall’atletismo esplosivo che troverà spazio in una rotazione quanto mai ampia e costellata da giocatori non di prima classe, ma comunque sopra la media. C’È DI PEGGIO - MIAMI HURRICANES, PITTSBURGH PANTHERS, FLORIDA STATE SEMINOLES A Miami va il titolo di squadra più rinnovata della ACC, ma questo potrebbe non essere necessariamente un fatto positivo. Lo è sicuramente perchè in un via vai di giocatori, tra entranti ed uscenti, ne ha guadagnato un playmaker puro e un grande leader come Angel Rodriguez, precedentemente visto a Kansas State, ma potrebbe non 18

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esserlo perchè non è mai semplice amalgamare in poco tempo una squadra con così tanti cambiamenti, tra i quali va peraltro annoverato Cruz Uceda, probabilmente il miglior giocatore in uscita dai Junior College. Dunque i pezzi intriganti non mancano, ma per completare un puzzle perfetto potrebbe volerci più di una semplice stagione. Pittsburgh non è una squadra simpatica. Non gioca particolarmente bene, i suoi migliori interpreti (Dejuan Blair qualche anno fa, Henry Sims di recente) non entusiasmano con giocate spettacolari: si potrebbe dire che è una squadra anonima, eppure in qualche modo l’anno scorso si è qualificata al torneo e ha quasi eliminato la corazzata Florida. Rispetto a quella squadra mancheranno il miglior realizzatore (Lamar Patterson) e il miglior rimbalzista (Talib Zanna). Torna il playmaker James Robinson, che l’anno scorso era stato bravo nel punire gli avversari catalizzati su Patterson, ma rimangono seri dubbi che possa trasformarsi da sfruttatore di scarichi ad arma principale della squadra. Nonostante questo i sophomore Artis, Young e WWW.MY-BASKET.IT

Newkirk sembrano far ben sperare e dovrebbero garantire ai Panthers di poter dare fastidio a più di una squadra in questa Conference. Florida State invece ha perso Okaro White (probabilmente lo state ammirando alla Virtus Bologna), che l’anno scorso si occupava di fare le pentole e i coperchi, soprattutto in post basso, ma ha guadagnato un elettrizzante freshman di nome Xavier Rathan-Mayes, realizzatore molto tecnico e in grado di prendersi carico dell’attacco già dalla prima partita. Inoltre a livello fisico promette molto bene il reparto lunghi, che può contare su tre giocatori oltre i due metri e dieci, che dunque incuteranno timore e sconsiglieranno le penetrazioni avversarie: il “capitale umano” per ricostruire con calma e nel frattempo accumulare esperienza c’è tutto. Non vinceranno da subito, ma sono sulla lista delle squadre più promettenti per il futuro. GLI ULTIMI - NOTRE DAME FIGHTING IRISH, GEORGIA TECH YELLOW JACKETS, BOSTON COLLEGE EAGLES, VIRGINIA TECH HOKIES, CLEMSON TIGERS, WAKE

FOREST DEMON DEACONS Sarà una dura lotta per stabilire chi dovrà accollarsi la poco agognata palma di peggior squadra della Conference. Abbiamo poco spazio e dunque non ce n’è abbastanza per un’analisi approfondita, che comunque vi invitiamo a fare per amore del basket. In questa sede ci limitiamo a dire che: Notre Dame (anch’essa al primo anno di ACC) fonderà tutto sul proprio pacchetto esterni (Jerami Grant, Pat Connaughton e Demetrius Jackson); Boston College punta tutto su Oliver Hanlan, il proprio top scorer dell’anno passato: dopo di lui è buio pesto; Georgia Tech ha perso cinque dei sei migliori realizzatori della scorsa stagione: rimane il solo Marcus Georges-Hunt, ma è davvero poco per sperare in più di quattro vittorie; Virginia Tech ha una promettente recruiting class (Justin Bibbs e Ahmed Hill erano tra i primi 100 giocatori in uscita dalle high school), ma ci vorrà tempo perchè torni ad essere competitiva; Clemson dovrà superare la crisi post-KJ McDaniels, e non sarà un’impresa facile; Wake Forest infine riparte da coach Danny Manning, per anni assistente a

Kansas ed ex grande giocatore NBA, che proverà a ridare energia ad una squadra che comunque guarda con gioia al futuro visti gli innesti molto interessanti di Codi Miller-McIntyre e Devin Thomas.

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della banda c’è un fuoriclasse come Georges Niang, ala candidata al titolo di miglior giocatore della Big 12, soprattutto ora che ha perso quei chili di troppo che lo appesantivano l’anno scorso. L’unico dubbio resta la solidità a rimbalzo dato che il centro titolare, Jameel McKay, transfer da Marquette, potrà scendere in campo solo dal 20 dicembre per le regole sulla eleggibilità.

LA PREVIEW DELLA BIG-12 L’anno scorso la Big 12 è stata una delle conference che più ha regalato emozioni per la presenza di giocatori attesissimi in vista del Draft come Wiggins, Smart ed Embiid, ma anche per i risultati che hanno visto la sorprendente Iowa State vincere il titolo nel torneo di conference ai danni della favoritissima Kansas e dell’altra sorpresa Oklahoma. Quest’anno, come vedremo, sono cambiati molti interpreti, ma la Big 12 resta una delle conference di punta dell’intero panorama NCAA grazie alla presenza di squadre prestigiose e freshman di lusso. Andiamo a esaminarla nel dettaglio. LA FAVORITA - KANSAS JAYHAWKS Gli anni passano, i giocatori cambiano ma i favoriti sono sempre i ragazzi di Bill Self. E’ vero, se ne sono andati giocatori come Embiid, Wiggins, Tarik Black e Nadir Tharpe (anche Andrew White III), ma Kansas potrà puntare su una freshman class favolosa formata da Cliff Alexander, Kelly Oubre, Devonte Graham e Sviatoslav Mykhailiuk (tutti ritenuti tra i 50 migliori freshman in circolazione), oltre al transfer Hunter Mickelson. I Jayhawks di quest’anno sembrano assortiti ancor meglio 20

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dell’anno passato: ora Frank Mason, Conner Frankamp e soprattutto Wayne Selden Jr. hanno un anno di esperienza sulle spalle, mentre i giovanissimi Oubre, Graham e Alexander faranno parte del quintetto e non faranno rimpiangere la coppia Wiggins-Embiid, anzi la perimetralità di Oubre e la potenza di Alexander apriranno molti spazi alle doti realizzative di Selden. Come se ciò non bastasse, non scordiamoci di Perry Ellis, l’anno scorso secondo miglior scorer dietro a Wiggins e candidato al premio di miglior giocatore della Big 12, sarà lui infatti a ricoprire il ruolo di leader emotivo della squadra nonostante sia solo un junior. L’unico senior è Christian Garrett ma quasi certamente non vedrà il campo. Seppur giovane, Kansas non manca di esperienza: nonostante sia un freshman, Sviatoslav Mykhailiuk quest’anno ha fatto parte della squadra ucraina ai Mondiali di Spagna con risultati più che buoni. A questo organico praticamente perfetto sembrerebbe mancare un esperto leader difensivo sotto canestro, ma ecco che troviamo Hunter Mickelson, al primo anno a Kansas ma con due stagioni di esperienza ad Arkansas, WWW.MY-BASKET.IT

DI CLAUDIO PAVESI il tipico stoppatore che ha sempre fatto le gioie di Bill Self, come è stato Jeff Withey nel recente passato. Signori, abbiamo davanti agli occhi una candidata al titolo di Campione NCAA. I RIVALI - TEXAS LONGHORNS, IOWA STATE CYCLONES Cercare di rubare il titolo a Kansas sarà davvero difficile, ma le due squadre più pronte a farlo sono di certo Texas e Iowa State. Texas viene da una buona annata ma non totalmente convincente. Dalla sua parte però ha un vantaggio enorme: non ha perso effettivamente alcun giocatore, fatta eccezione di Martez Walker, l’anno scorso solo ottavo nella rotazione per minutaggio e settimo per punti segnati (4.7 a partita), “cacciato” da Texas per via di due arresti. Oltre che su una squadra più esperta, coach Rick Barnes potrà contare su freshman notevoli come Jordan Barnett ma soprattutto Myles Turner, quasi certamente il

centro tra i freshman di quest’anno insieme a Jahlil Okafor e candidato a una scelta di lotteria al prossimo Draft NBA. Texas si ritrova a essere una delle squadre dalla panchina più lunga dell’intero panorama NCAA e con una coppia di lunghi, formata dal già citato Turner e da Cameron Ridley, da fare invidia ad alcune squadre NBA. Fondamentale sarà il supporting cast: molto dipenderà dalla difesa perimetrale di Demarcus Holland e dalle abilità realizzative dei piccoli Javan Felix e Isaiah Taylor, i quali dovranno cercare di essere più continui rispetto all’anno passato specialmente per le percentuali dal campo, rispettivamente del 35% e 39% nel 2013-14. Se Texas riuscisse a trovare un equilibrio e una buona distribuzione dei possessi, allora potrebbe essere davvero un problema per Kansas. Particolare, come sempre, la situazione di Iowa State. I campioni in carica della Big 12 hanno perso le due stelle Melvin Ejim (ora a Roma)

e DeAndre Kane, inoltre hanno a disposizione una freshman class piuttosto deludente formata dal non entusiasmante Clay Custer e dall’enigmatico lungo greco Giorgos Tsalmpouris. Come possono essere competitivi? Con la solita arma di Fred Hoiberg, i transfer, coloro che in passato hanno fatto la gioia di ISU, Royce White e DeAndre Kane su tutti. Quest’anno Hoiberg potrà contare sull’ex Northern Illinois Abdel Nader (salterà le prime tre partite per una sospensione), buon realizzatore e rimbalzista, ma soprattutto su Bryce Dejean-Jones, guardia che tanto bene ha fatto nelle sue due stagioni a UNLV. Aggiungete al mix due tiratori perimetrali di categoria dalla panchina come Naz Long e Matt Thomas, il super rimbalzista e leader emotivo Dustin Hogue, un playmaker estremamente preciso come Monte Morris (meno di 1 palla persa di media l’anno scorso) e avrete una potenziale squadra da titolo di conference, specie se alla guida WWW.SPORTANDO.COM

LA CLASSE MEDIA - KANSAS STATE WILDCATS, OKLAHOMA SOONERS Salutati Southwell e Spradling, due dei migliori quattro realizzatori della squadra, Kansas State resta comunque una squadra da temere nonostante una freshman class piuttosto anonima. In teoria anche quella scorsa doveva essere un’infornata di matricole non eccezionali, ma Marcus Foster si è rivelato uno dei migliori dieci della nazione e, insieme al leader dei Wildcats Thomas Gipson, è atteso da un’annata da grande protagonista. Interessanti i transfer: K-State potrà contare su Justin Edwards, guardia da quasi 17 punti a partita nella sua stagione a Maine, ma anche su Stephen Hurt, proveniente da Northwest Florida State College, secondo molti tra i migliori quindici giocatori in circolazione provenienti da un Junior College. Sulla continuità di Foster e Gipson ormai non ci sono dubbi, più che altro bisognerà vedere come si adatterà Hurt e soprattutto capire se Edwards sarà in grado di non esagerare limitando così le palle perse (4.1 a partita a Maine). Anche nel migliore dei casi, i Wildcats non sembrano avere materiale da titolo ma potrebbe dare fastidio a molte squadre. Il solito cavallo pazzo della conference resta Oklahoma. Cameron Clark ora gioca a Cremona ma molti dei suoi ex compagni sono ancora a OU. E’ rimasto Bobby Hield, miglior scorer nel 2012-13, così come Isaiah Cousins, diventato l’anno scorso un favoloso tiratore. E’ rimasto anche Ryan Spangler, miglior rimbalzista D3SIGN+ MGZ

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Nella pagina precedente: Jordan Woodard (Oklahoma). In questa pagina: a sinistra Juwan Staten (West Virginia), in basso Phill Forte III consolato da Markel Brown (Oklahoma State)

della Big 12 in carica con 9.3 a partita. Molto passerà dalle mani di Jordan Woodard: l’anno scorso è stato una piacevole sorpresa in cabina di regia per i Sooners e, con un anno di esperienza in più, potrebbe rivelarsi uno dei migliori playmaker quantomeno della Big 12. La stagione dei Sooners dipenderà dall’eleggibilità di TaShawn Thomas. Il lungo, transfer da Houston, non ha ancora ricevuto il permesso dalla NCAA per scendere in campo e un giocatore del suo livello potrebbe totalmente cambiare gli equilibri della squadra, specialmente nel pitturato così da alleggerire il lavoro di Spangler, che altrimenti sarebbe facilmente marcabile. Al suo posto potrebbe debuttare il freshman Dante Buford ma, seppur sia stato inserito nella top 100 degli esordienti dalla ESPN, non è ancora pronto per avere un impatto costante in Big 12, specie per sostituire un veterano di livello come Thomas. C’È DI PEGGIO - WEST VIRGINIA MOUNTANEERS, BAYLOR BEARS, OKLAHOMA STATE COWBOYS Vero, West Virginia potrà contare su un buon transfer come Jonathan 22

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Vero, West Virginia potrà contare su un buon transfer come Jonathan Holton e sul redshirt freshman Elijah Macon, ma difficilmente potrà sostituire Eron Harris e Terry Henderson. I Mountaneers sono un cantiere aperto e gli operai che ci lavoro non sembrano essere i migliori in circolazione. C’è un “però” e si chiama Juwan Staten: dopo un anno a Dayton e una stagione mediocre a West Virginia, è esploso rivelandosi una delle migliori guardie dell’intero panorama NCAA. Questo ragazzo è in pole position per il premio di miglior giocatore della Big 12 grazie alle sue favolose abilità offensive (18 punti, 5.6 rimbalzi e 6 assist l’anno scorso), coniugate con ottime doti da difensore perimetrale che gli hanno permesso di entrare già l’anno scorso non solo nel miglior quintetto, ma anche in quello dei migliori difensori della conference. Staten è un giocatore da non perdere e di sicuro l’intera stagione di WVU dipenderà da lui. Baylor è il punto di domanda di questa stagione. L’anno scorso ha giocato un basket celestiale e lo dimostra il fatto che abbia raggiunto le Sweet Sixteen al Torneo NCAA. Quest’anno WWW.MY-BASKET.IT

sono costretti a giocare senza Cory Jefferson, Brady Heslip e Isaiah Austin, ovvero tre dei primi quattro realizzatori oltre che due dei primi tre rimbalzisti. Ai Bears il talento non manca, e su tutti svetta Kenny Chery, autore di una grande stagione nonostante l’arrivo in sordina da un Junior College: la speranza è che segua le sue orme anche Deng Deng, arrivato da Lee College. Se Baylor vorrà essere competitiva dovrà costringere O’Neale e Prince, statisticamente i migliori tiratori, a concludere maggiormente dall’arco così da aprire il campo per Chery. Inoltre ci si aspetta dei Bears molto meno dipendenti dai lunghi dato che, oltre a Rico Gathers e al neo arrivato Deng, non sembra ci sia molta scelta e soprattutto qualità. Si prospetta un anno difficile per Oklahoma State. I Cowboys hanno salutato quattro dei primi sei giocatori per minutaggio e punti segnati, ma soprattutto due fuoriclasse come Marcus Smart e Markel Brown. In una situazione del genere non è facile risollevarsi, specialmente se la stella dovrebbe essere Le’Bryan Nash, uno dei più grandi “il ragazzo può ma non si

applica” della NCAA recente. Qualche sicurezza in più si dovrebbe avere da Phil Forte III, specie in attacco, ma il buco lasciato da Smart lascia molti enigmi riguardanti la cabina di regia, posto che spetta a Jeff Newberry, transfer arrivato da New Mexico Junior College e ricercato da molte squadre di Division I come Texas A&M e UConn. Se Newberry potrà dare la stessa solidità di Smart però non possiamo saperlo. Ma una certezza ce l’abbiamo: per quanto sia atteso, il nuovo freshman Joe Burton non potrà sopperire alla mancanza di Markel Brown da subito. Questi sono i motivi per cui Oklahoma State rischia di compiere una stagione tutt’altro che positiva. GLI ULTIMI - TCU HORNET FROGS, TEXAS TECH RED RAIDERS Poco da dire su TCU e Texas Tech, queste due squadre saranno semplicemente gli agnelli sacrificali della Big 12. La vera notizia dell’anno è che TCU potrebbe non finire ultima. Gli Hornet Frogs vengono da una stagione disastrosa da zero vittorie in diciotto partite di conference, ma intravedono la luce in fondo al tunnel: potranno

contare su Kyan Anderson e Amric Fields, i due migliori realizzatori della passata stagione, ed in più alla partenza di Jarvis Ray, terzo miglior marcatore del 2013-14, hanno risposto con l’aggiunta dell’ottimo talento Trey Ziegler, guardia in cerca di riscatto dopo l’annata fallimentare a Pittsburgh (4 punti di media), arrivata successivamente a due stagioni da dominatore a Central Michigan (16 punti, 7 rimbalzi e 2.5 assist di media nel 2012). Texas Tech ha perso quattro dei suoi primi cinque realizzatori della passata annata, che è stata comunque fallimentare, come dimostra il record di 6-12 nella Big 12. Con questa premessa si capisce che i Red Raiders sono attesi da una stagione quantomeno faticosa, anche se potranno contare ancora sulle due WWW.SPORTANDO.COM

guardie Robert Turner e Toddrick Gotcher, forse le uniche note positive della squadra pur non essendo dei fuoriclasse. Molto dipenderà da Justin Jameson, lungo proveniente dal junior college di Missouri StateWest Plains che prima di cedere alla corte di coach Tubby Smith ha ricevuto offerte anche da programmi importanti come Florida State, Oregon, Pittsburgh e Wichita State.

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più interessanti dell’intero panorama collegiale, D’Angelo Russell. Con Shannon Scott in regia, Russell, Sam Thompson, Amir Williams, e l’altro freshman Keita Bates-Diop, il volto dei Buckeyes risulterà totalmente stravolto, anche dalla panchina, da cui si alzerà Jae’Sean Tate, un altro rookie promettentissimo, che ha rifiutato Michigan e Purdue, per approdare alla corte di coach Thad Matta. Poco da dire sui Buckeyes, perché sono una squadra assolutamente nuova, ma l’unica, va detto, ad aver fatto un recruiting di alto, altissimo profilo. Se Matta dovesse trovare la quadratura del cerchio, questa potrebbe realmente rivelarsi un’annata d’oro per Ohio State. La prima dell’era post Aaron Craft.

LA PREVIEW DELLA BIG-10 Per avere una percezione di cosa rappresenti la Big Ten nel mondo del college basetkball, non si può che non partire dai numeri. Negli ultimi dieci anni, solo le squadre della Big East hanno vinto più partite del torneo NCAA di quelle della conference che andremo a presentare qui sotto. La Big Ten, infatti, si piazza immediatamente dietro, con 8.8 vittorie di media a torneo, che ben può far capire come si stia parlando della “crème de la crème” della Divison I di pallacanestro. Un altro dato, molto più immediato, è quello rappresentato dalle ultime cinque edizioni delle Final Four: ben quattro volte si sono presentate squadre della Big Ten, con un’apparizione in finale, quella di Michigan nel 2013. Andiamo a vedere perché, nella nuova era del college basketball, dove Duke, Kentucky, North Carolina, fanno vere e proprie campagne acquisti alla fine di ogni stagione, questa conference, non amante dei riflettori, resta sempre una delle maggiormente competitive dell’intero panorama collegiale. LA FAVORITA - WISCONSIN BADGERS Si riparte dalla dolorosa, 24

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dolorosissima sconfitta patita a 5.6 secondi dal termine, a causa di un tiro da tre di Aaron Harrison, nelle scorse Final Four. La grande notizia, però, è rappresentata dalla conferma pressochè totale del gruppo che è arrivato ad un tiro dalle Finali NCAA. Frank Kaminsky (13.9 ppg) e Sam Dekker (12.4) ci saranno per trascinare, insieme a Trevon Jackson, atteso ad un decisivo anno da senior, la squadra il più avanti possibile. Se di Kaminsky e Dekker sappiamo sostanzialmente tutto, in quanto miglior coppia di ala grande/centro dell’intero panorama del college basketball, dotata di presenza interna, abilità perimetrale, ottimo apporto difensivo e doti di leadership, è meglio soffermarsi un momento su Jackson. La storia della NCAA, infatti, parla chiaro; le squadre che arrivano in fondo, sono sempre dotate di una guardia di esperienza, in grado di sobbarcarsi la squadra nei momenti di maggiore difficoltà. Jackson questo può farlo, ma, nell’anno in cui Ben Brust (12.6, con il 39% da tre) ha abbandonato il Wisconsin per andare a giocare da professionista in Lituania, le difficoltà, potrebbero aumentare, soprattutto se Bronson Koenig (sophomore, 3,5ppg) non WWW.MY-BASKET.IT

DI NICCOLO’ COSTANZO riuscirà rapidamente a calarsi nella nuova realtà, che dovrebbe, molto probabilmente, vederlo partente in quintetto. Da tenere d’occhio anche Nigel Hayes (7.7ppg), All-Freshman della Big Ten nella passata stagione. Le certezze sono certamente maggiori rispetto ai dubbi, essendo la squadra guidata da Bo Ryan, a mani basse il miglior allenatore NCAA della passata stagione, e dotata di uno dei migliori giocatori della Division I, Kaminsky. Sarebbe incredibile non vedere i Badgers alle Elight Eight quest’anno, ed il 3° posto nel ranking pre-stagionale di ESPN prospetta obiettivi ancor più impegnativi per una delle squadre più forti e divertenti degli ultimi anni. Incolore come al solito il recruiting, che ha visto arrivare solamente Ethan Happ, ala che non dovrebbe essere impiegata nel corso della stagione. D’altra parte si sa, Wisconsin non è una squadra dotata di grande budget, il 242° nella Division I, e appeal, il che non fa altro

che aumentare esponenzialmente i meriti del coach e degli interpreti del suo gioco. LE RIVALI NEBRASKA CORNHUSKERS, OHIO STATE BUCKEYES “Ti sei dimenticato del lago Michigan?”, potrebbero dirmi, probabilmente a ragione. Ma cercherò di spiegare esaurientemente le motivazioni che mi hanno spinto a considerare due squadre molto diverse tra loro, come le prime rivali dei Badgers. Partiamo da Nebraska. Una squadra molto particolare, che l’anno scorso ha disputato una favolosa stagione, rovinata dalla sconfitta contro la Baylor di Isaiah Austin al primo turno del Torneo NCAA. E’ difficile valutare quanto possa essere profonda la squadra di coach Tim Miles, dato che, oltre all’addio di Deverell Biggs, per motivi disciplinari, la squadra preoccupa molto a causa della morìa nel reparto lunghi. Allora per

quale motivo possono giocarsi un posto importante in una conference competitiva come la Big Ten? Per il terribile trio di Juniors, che corrisponde a qualcosa di più che al semplice zoccolo duro della squadra. Shavon Shields (12.8ppg), due volte giocatore della settimana lo scorso anno, Walter Pitchford (9.3), ma soprattutto Terran Petteway, All Big-Ten e miglior marcatore della conference nella scorsa stagione, a 18.1 di media, più di un certo Nik Stauskas. Sono rimasti tutti e tre, e se l’ala freshman Jake Hammond dovesse rivelarsi affidabile, i Cornhuskers potrebbero veramente togliersi molte soddisfazioni. Per il motivo opposto, vedo la squadra più deludente della passata stagione come una possibile favorita. Ohio State è stata pressochè inguardabile per tutta la precedente annata, e quest’anno, per fortuna, ha cambiato tanto. Via Aaron Craft, Amedeo Della Valle, LaQuinton Ross e Lenzelle Smith, ha aggiunto una delle guardie WWW.SPORTANDO.COM

LA CLASSE MEDIA - MICHIGAN WOLVERINES, MICHIGAN STATE SPARTANS Ecco il lago. La prima delle due potrebbe tranquillamente trovarsi al di sopra di Nebraska o Ohio State, ma ho comunque preferito metterla un gradino sotto, per un semplice motivo: i Wolverines hanno perso 30 punti a partita, a causa degli addii di Stauskas e Robinson III. Se consideriamo che anche Jordan Morgan e Mitch McGary hanno abbandonato Ann Arbor, la situazione sembrerebbe assolutamente critica. Sembrerebbe. Perché la squadra che ho avuto il piacere di vedere quest’estate a Vicenza, grazie ai favolosi organizzatori dell’NCAA Vicenza College Basketball Tour, che non smetterò mai di ringraziare, è una squadra forte, poco da dire. Fisicamente mostruosa, sembrerebbe non essere composta quasi esclusivamente da Freshman e Sophomore, ed invece è così. Escluso Caris Levert, chiaramente la stella della squadra, Zak Irvin, Derrick Walton Jr., Mark Donnal e Kameron Chatman non sembrerebbero i classici ’95/96, con un fisico si promettente, ma tutto ancora da costruire. Il tasso atletico della D3SIGN+ MGZ

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Nella pagina precedente: Caris LeVert (Michigan). In questa pagina: a sinistra Branden Dawson (Michigan State), in basso Kendrick Nunn (Illinois)

squadra è incredibile, ed il talento, sebbene deficitario sotto canestro, è assolutamente abbondante nel reparto esterni. Caris LeVert si giocherà le sue chance NBA, Irvin e Walton Jr. sembrano lanciati alla stagione della consacrazione, cosa che mi fa pensare che se Michigan dovesse trovare il modo di non soffrire troppo sotto canestro, potrebbe veramente rivelarsi una mina vagante nella Division I. Per gli Spartans, a mio avviso, sono stato anche troppo generoso. L’unico motivo che me li fa includere tra le outsiders è il genio di Tom Izzo, sempre pronto a mischiare le carte in tavola, in modo da rendere i suoi ragazzi sempre e comunque competitivi. Questa volta, però, le carte mi sembrano essere veramente poche, per poter puntare seriamente in alto. Gary Harris (16.7), Adreian Payne (16.4) e Keith Appling (11.2) sono perdite incommensurabilmente pesanti, soprattutto in mancanza di freshman interessanti. Bisognerà puntare tutto su chi c’era, e su chi ha mostrato di aver un potenziale, più o meno confortante. Branden Dawson (11.2) è uno di quelli che ha dato più segnali, e sarà chiamato ad una 26

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stagione da leader, niente al di fuori dalle sue possibilità. Più interessante, invece, sarà vedere la maturazione di Denzel Valentine (8.0) e Travis Trice (7.3), due giocatori quasi sprecati da utilizzare nel ruolo di quinta e sesta punta, un po’ miseri come seconda e terza, a meno di miglioramenti inaspettati. Se però quel diavolo di Izzo dovesse fare il colpo, la sua leggenda non potrebbe far altro che innalzarsi nell’iperuranio. C’È DI PEGGIO - IOWA HAWKEYES, ILLINOIS FIGHTIN ILLINI, MARYLAND TERRAPINS, MINNESOTA GOLDEN GOPHERS Piuttosto fitta, e dal talento medio alto, la middle class della Big Ten è come al solito molto interessante. Partiamo dalla novità, Maryland, che ha lasciato la ACC per la Big Ten, e si presenta con una squadra pressochè uguale, grazie alle conferme di Dez Wells (14.2) e Jake Layman. La notizia più interessante, però, è l’arrivo di Romelo Trimble, guardia molto talentuosa, che dovrebbe contendersi con D’Angelo Russell il titolo di freshman dell’anno della conference. Da capire l’impatto, ma sarà senza dubbio un esperimento WWW.MY-BASKET.IT

intrigante, anche per valutare la differenza tra due delle leghe più interessanti della NCAA. Un’altra squadra da tener d’occhio è Illinois, ormai lontana da anni dal basket che conta. Come al solito è la tenuta mentale dei Fightin Illini a preoccupare, e l’infortunio di Tracy Abrams al crociato è veramente una tegola che potrebbe non essere digerita. L’anno da senior di RayVonte Rice (15.5), l’arrivo del forte Amhad Starks (10.4) da Oregon State e la crescita di un AllBig Ten Freshman come Kendrick Nunn (6.2), potrebbero non rendere questa annata semplicemente di transizione, come troppe se ne son viste negli ultimi anni ad Illinois. Due squadre che godono di una certa credibilità sono Iowa e Minnesota. La prima è arrivata dopo otto anni al torneo NCAA, perdendo contro Tennessee. La rotazione di coach McCaffery è ampissima, con undici giocatori oltre i dieci minuti di media a partita, che rende gli Hawkeyes una squadra piuttosto complessa da intellegere. La perdita di Devyn Marble (17.0) è però disastrosa, nonostante Aaron White (12.8) sia veramente una giocatore

interessante. In controtendenza alla fiducia generale, però, mi sento di dare ad Iowa meno chance che a Minnesota. Dopo aver portato il trofeo NIT a casa, i Golden Gophers puntano al bottino grosso, ovvero ad una partecipazione al torneo NCAA. Richard Pitino, figlio di Rick, sembra essere pronto per una grande stagione, e le conferme di due dei tre migliori giocatori della scorsa stagione, Andre Hollins (13.6) e Deandre Mathieu (12.0), due fantastici tiratori da tre punti, fanno ben sperare, anche se il recruiting è stato francamente pessimo, una costante delle squadre della Big Ten. LE ULTIME - INDIANA HOOSIERS, PENN STATE NITTANY LIONS, NORTHWESTERN WILDCATS, PURDUE BOILERMAKERS, RUTGERS SCARLET KNIGHTS Dispiace inserire Indiana e Purdue nel gruppo di coda, ma francamente l’arrivo dell’All-American James Blackmon Jr. e la conferma di Yogi Ferrell (17.3) non sembrano poter lanciare gli Hoosiers verso un qualunque obiettivo di una certa rilevanza. Lo stesso vale per Purdue, a cui manca totalmente

una dimensione perimetrale, che il suo giocatore di riferimento A.J. Hammons non può garantire. Penn State e Northwestern sono poca cosa: i primi hanno un prospetto interessante per il basket europeo, DJ Newbill, i secondi ben sei freshman, che li renderanno tanto giovani quanto interessanti da seguire. La vera squadra di culto è però Rutgers, che cambiando poco e niente, passerà dal 12-21 di record nella American Conference, ad un qualcosa di sensibilmente inferiore nella decisamente più competitiva Big Ten.

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LA PREVIEW DELLA BIG EAST Secondo anno per la nuova Big East che potrebbe terminare, ancora una volta, con la vittoria finale di Villanova. In una conference molto equilibrata, di livello superiore rispetto a quella passata, però non sarebbe una grande sorpresa vedere una fra Georgetown e Xavier battagliare fino all’ultimo per il titolo. Senza dimenticare, ovviamente, Butler e St. John’s, pronte a stupire tutti. Dovranno invece abbandonare i sogni di gloria, almeno per questa stagione, Creighton e Marquette, con De Paul impegnata a confermare, per la settima stagione consecutiva, l’ultimo posto in graduatoria. LA FAVORITA VILLANOVA WILDCATS Da campioni in carica, i Wildcats sembrano pronti, almeno sulla carta, a ripetere quanto fatto lo scorso anno. Non c’è più Bell, perdita dura da digerire ma non impossibile da dimenticare, soprattutto con un Hart che, dopo essere stato uno dei migliori sesti uomini dell’intera NCAA, nel corso di quest’annata potrebbe definitivamente esplodere. Pinkston e Ochefu assicurano un frontcourt di spessore, così come Arcidiacono e Hilliard garantiscono solidità e 28

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talento negli spot di point e shooting guard. Ma, al di là del quintetto, è tutto il roster di Villanova a stupire per profondità e talento. Ennis e Jenkins dalla panchina rappresentano un vero e proprio lusso, mentre Bridges e Booth potranno crescere sotto l’ala protettrice di un gruppo esperto e di livello e diventare, sul lungo termine, già determinanti per una squadra che potrebbe puntare alle Final Four. I RIVALI - GEORGETOWN HOYAS, XAVIER MUSKETEERS, BUTLER BULLDOGS Nonostante la perdita di Starks, Georgetown può “accontentarsi” con alcuni dei migliori freshman dell’intera conference. Copeland, Peak e White saranno importanti e costituiranno la vera e propria spina dorsale di un team che vedrà in SmithRivera il vero ago della bilancia. Uno Smith-Rivera che sarà, a meno di spiacevoli sorprese, uno dei migliori giocatori della conference. Sotto le plance Georgetown difficilmente sarà in difficoltà, visto l’ampia scelta a disposizione. Qualche dubbio sorge sulle seconde linee tra gli esterni, dove Trawick dovrà confermare i numeri fatti vedere soltanto a sprazzi nel corso dell’ultima stagione. Questi WWW.MY-BASKET.IT

DI ALESSIO BONAZZI punti interrogativi, che potranno essere sciolti soltanto dal parquet, fermano gli Hoyas in questo ranking ad un passo dal primo posto nella Big East, almeno nelle previsioni, anche se non sarebbe una sorpresa veder festeggiare Georgetown al termine della stagione. I Musketeers della scorsa stagione potevano essere in prospettiva forse la migliore squadra della Big East. Senza le partenze di Christon e Martin, infatti, Xavier sarebbe potuta finire in testa a questo ranking. Rimane però la sensazione che, se si dovesse indicare il roster più completo della conference, probabilmente la scelta ricadrebbe comunque su Xavier. Tutto, o quasi, potrebbe dipendere da Dee Davis. Lo scorso anno, da play di riserva, ha chiuso a 4.7 assist di media, mostrando una leadership notevole. Quest’anno avrà la sua grande chance, così come l’altro Davis, Myles, avrà un ruolo più importante all’interno del quintetto, e sarà uno dei perni di una squadra

profondissima sia tra le guardie che sotto canestro. Un gruppo senza talenti straordinari o atleti che in prospettiva potrebbe far parlare di sé al piano superiore, ma del quale si potrebbe far fatica a trovare un punto debole e che sicuramente potrebbe sorprendere in più di un’occasione. I dubbi sull’andamento di Butler nella scorsa stagione rimangono irrisolti, così come le quattordici sconfitte rimediate in una conference che non era di grandissimo livello. Lo scorso anno, infatti, la squadra crollò dopo una partenza più che positiva (10-2). In questa stagione, invece, i Bulldogs dovrebbero tornare ad occupare una posizione di rilievo. Persi alcuni pezzi di quello starting-five, Butler riparte da una base notevole di talento. Roosevelt Jones, tornato dopo l’infortunio, sarà uno dei perni di una squadra che presenta un quintetto solido, guidato da Barlow in cabina di regia. Sotto canestro, insieme a Woods, ci saranno Charabscz, Martin e Etherington, un trio intrigante e

che potrebbe spingere Butler molto in alto. Il vero leader dei Bulldogs, però, dovrebbe essere Dunham, giocatore che difficilmente manca di coraggio e che, all’occasione, può vincerti la partita da solo. Butler ha di sicuro il suo go-to guy. LA CLASSE MEDIA - ST. JOHN’S RED STORM, SETON HALL PIRATES I Johnnies si fermano giusto un gradino sotto le prime quattro nel ranking della Big East. La decisione di Obekpa di rimanere, almeno per un’altra stagione, con i Red Storm è stata la notizia migliore per una squadra che potrebbe puntare a strappare un biglietto per il Torneo NCAA. Lo stesso Obekpa sarà la punta di diamante di un roster che, nonostante gli addii a Sampson, Achiuwa e Sanchez, rischia di dar molto filo da torcere agli avversari di turno. Harrison potrebbe esplodere definitivamente, dopo aver messo fino ad ora ben 1672 punti a referto senza mai essere WWW.SPORTANDO.COM

caricato di eccessive aspettative. Aspettative che non saranno poste su Jordan, che dovrebbe avere il giusto spazio per emergere, senza pressioni. L’ago vero della bilancia, però, dovrebbe essere Keith Smith. Se l’ex Westchester Community College (15.3 punti e 15.7 rimbalzi lo scorso anno) riuscirà a tenere lontani tutti i problemi del passato legati ad aspetti accademici e non, St. John’s potrebbe puntare ancora più in alto di quanto ci si possa aspettare. Sono passati otto anni dall’ultima partecipazione di Seton Hall al Torneo NCCA. Al di là del fattore tecnico, però, i Pirates sembrano abbastanza in credito con la dea bendata. In questi otto anni, Seton Hall è riuscita comunque a portare a casa un record positivo (132-125) e, la scorsa stagione, dieci delle diciassette sconfitte arrivarono con un scarto minore di cinque punti. Teague, Oliver ed Edwin (passato per Pistoia in estate, prima di virare verso altri lidi) non ci saranno più, D3SIGN+ MGZ

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Nella pagina precedente: Isaiah Whitehead (Seton Hall). In questa pagina: a sinistra Kris Dunn (Providence), in basso Steve Wojciechowski (Marquette)

ma l’essere riusciti ad accaparrarsi Whitehead, uno dei migliori prospetti dell’intera nazione, e Delgado, che potrebbe essere il vero ago della bilancia della stagione di Seton Hall, non può che lasciare ottimisti i tifosi e suscitare la curiosità degli esperti. Il frontcourt però può certamente far sorgere dei dubbi. Auda e Mobley, oltre a non essere dei grandi rimbalzisti, dovranno riuscire a garantire quella costanza che non hanno di certo mostrato nel corso della passata annata. C’È DI PEGGIO - CREIGHTON BLUE JAYS, PROVIDENCE FRIARS Come ad una commemorazione, in questa sezione si parlerà molto di chi non c’è più. “Doug Mc Dermott è uscito dal gruppo” (quasi cit.). Battute a parte, i Blue Jays devono fare i conti con la partenza di quattro quinti del loro starting-five. Oltre al nuovo giocatore dei Bulls, hanno lasciato Creighton anche Gibbs, Maniget e Wragger, tutti punti cardini di un sistema che vedrà in Chatman l’unico reduce dalla scorsa annata. McDermott padre, però, potrebbe ripartire subito da una buona classe 30

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di giovani talenti. Harrell potrebbe stupire sin da ora, così come Artino, Brooks, Dingman e Zierden potranno avere l’opportunità di mostrare il proprio valore da titolari, dopo il ruolo marginale avuto la passata stagione. Le basi per ripartire ci sono ma, visto il livello generale della Big East, bisognerà attendere almeno un anno per rivedere qualcosa di veramente interessante. Lo stesso non può dirsi per Providence. I Friars hanno perso Cotton e Batts, arrivati alla fine del loro percorso collegiale. Soprattutto nel caso del primo, il vuoto lasciato dalla point guard, che è riuscita intanto a far parte, seppur per pochi mesi, dei San Antonio Spurs, prima di essere tagliato a pochi giorni dallo start della stagione NBA, sembra difficile da colmare. Quelli che sarebbero dovuti essere i nuovi perni della squadra, almeno nei progetti iniziali, sono finiti in Colorado (Fortune) o impelagati in vicende giudiziarie che poco hanno a che fare con lo sport (Austin). Dunn è tornato ma sulle sue condizioni nessuno è disposto a mettere la mano sul fuoco. Insieme ad Henton potrebbe formare una coppia intrigante nel backcourt, WWW.MY-BASKET.IT

così come Chukwu potrebbe essere uno dei centri più interessanti della conference, anche se magari non da subito. Difficile immaginare che questi Friars possano guadagnarsi la seconda partecipazione consecutiva al Torneo Ncaa. GLI ULTIMI - DE PAUL BLUE DEMONS, MARQUETTE GOLDEN EAGLES Le tradizioni sono importanti. E De Paul sembra aver presso alla lettera la questione. Sono ormai sei le stagioni consecutive passate all’ultimo posto della Big East. E dovrebbero diventare, a meno di clamorose sorprese, sette. I Blue Demons hanno perso i due top scorer della scorsa stagione e i nuovi arrivi stuzzicano davvero poco la fantasia, soprattutto se il migliore è uno che ha segnato meno di quattro punti di media nelle ultime due stagioni. Il traguardo dei cinque successi nella conference potrebbe essere già troppo difficile da raggiungere per un team che, dalla stagione 2008/2009 in poi, ha messo su un “bel” record da 10 vinte e 98 perse. Se c’è qualcosa di già definito, nella Big East, è l’ultimo post dei Blue

Demons e sembra difficile che le cose possano cambiare nel breve periodo. Chi invece dovrebbe fare un passo indietro è Marquette. L’addio di coach Williams è coinciso con quello dato da alcuni talenti interessanti, come Hill, Pierce e Shayok. In questo caso, a differenza di quanto detto per De Paul, del potenziale c’è ma ci sarà bisogno anche di un paio di stagioni per far sì che il nuovo progetto, affidato a Wojciechowski, cominci a portare i Golden Eagles a lottare per qualcosa di importante. Il reparto esterni, formato da atleti come Wilson, Carlino e Mayo, non è affatto male, ma sotto canestro i problemi non saranno pochi, visto la stazza non proprio intimidatoria dei lunghi di Marquette. Cohen e Noskowiak rappresentano delle discrete speranze, ma non promettono di poter cambiare, almeno nell’immediato, le sorti di un team che farà fatica. Sul lungo termine, invece, la scelta di affidarsi a Wojciechowski potrebbe pagare buoni dividendi.

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LA PREVIEW DELLA PAC-12 La Pac-12 è una delle conference che negli ultimi anni ha fornito al Torneo NCAA il maggior numero di squadre, e ci si aspetta che si confermi ad alti livelli anche in questa stagione. L’anno scorso fu UCLA a strappare la vittoria in finale contro Arizona, che invece era stata la miglior squadra della regular season. Decisiva una tripla di Jordan Adams, che quest’anno gioca nei Grizzlies, a 43” dal termine dell’incontro. Andiamo ad analizzare quali saranno i rapporti di forza nella stagione che sta per cominciare. LA FAVORITA – ARIZONA WILDCATS Non si scappa: cambiano i giocatori, ma la squadra di Sean Miller resta sempre la testa di serie numero uno nella Pac-12. I Wildcats hanno visto partire Nick Johnson, il loro miglior realizzatore della passata stagione, e soprattutto Aaron Gordon, ma non per questo si sono indeboliti. A garantire la competitività della squadra c’è Stanley Johnson, freshman californiano inserito l’anno scorso nel miglior quintetto nazionale dei liceali e ritenuto uno dei migliori prospetti di questa stagione da tutti i siti specializzati. Al suo fianco nel frontcourt troviamo il solido centro 32

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Kaleb Tarczewski e il sophomore Rondae Hollis-Jefferson, elemento di grandissima energia, nonché uno dei giocatori più apprezzati dai fan di Arizona nella passata stagione, che ha dichiarato che la squadra ha il miglior quintetto della nazione. Da lui ci si aspetta che continui il percorso di crescita e che sfrutti il maggior numero di responsabilità che avrà quest’anno. Il senior T.J. McConnell distribuirà i palloni ai compagni e Brandon Ashley è chiamato a diventare il leader offensivo dei Wildcats, dopo due stagioni a buoni livelli. Le gerarchie della panchina sono invece tutte da stabilire: Gabe York è il tiratore chiamato in causa a partita in corso e potrebbe avere più minuti anche Elliot Pitts, l’anno scorso visto solo per piccoli frammenti di gara. Il playmaker di riserva sarà il piccolo Parker Jackson-Cartwright, freshman da cui è difficile aspettarsi un impatto immediato. Miller ha puntato molto sul rafforzamento del frontcourt di riserva, che vede praticamente solo Korcheck di ritorno dall’anno scorso e si arricchisce con i quotati freshmen Craig Victor e Dusan Ristic: il primo ha più probabilità di ottenere minuti rispetto al secondo, ancora WWW.MY-BASKET.IT

DI FILIPPO ANTONELLI fisicamente da costruire. Il credo dei Wildcats sarà ancora basato su atletismo e difesa forte. I RIVALI – UCLA BRUINS, UTAH UTES UCLA è un cantiere aperto: quattro titolari della passata stagione – giocatori del calibro di Jordan Adams, Kyle Anderson e i gemelli David e Travis Wear, oltre al sesto uomo di lusso Zach LaVine – non fanno più parte della squadra. È inevitabile che, in una situazione del genere, ci sia molta incertezza su quello che i campioni in carica della Pac-12 potranno fare quest’anno. L’unico giocatore rimasto del quintetto 2013/2014 è Norman Powell, reduce da una stagione da 11.4 punti e 2.8 rimbalzi di media, e chiamato ad incrementare notevolmente la sua produzione. Tony Parker scalerà in quintetto, assieme al figlio del coach Bryce Alford e a Isaac Hamilton, fuori per tutta la passata stagione a causa di problemi accademici. A completare

lo starting five ci sarà uno dei ragazzi più interessanti della truppa di Alford, il freshman Kevon Looney, grande atleta e rimbalzista con, tuttavia, non troppe abilità realizzative. Il vero problema sarà la panchina: a fianco dell’affidabile freshman Thomas Welsh, che potrebbe anche rubare a Parker il posto in quintetto, ci sono giocatori visti pochissimo nelle passate stagioni, come Wanah Bail e David Brown. Da valutare il possibile utilizzo dei freshmen Alec Wulff tra i piccoli e Gyorgy Goloman tra i lunghi. È difficile capire quale pallacanestro esprimerà una squadra praticamente nuova, ma l’impressione è che farà grande affidamento sul gioco interno. Nella passata stagione, ben cinque squadre si sono classificate dietro ad Arizona e UCLA con un record di 10-8, appena davanti a Utah e Washington che chiusero la regular season con 9-9. Il motivo per cui gli Utes sono favoriti per arrivare in testa a questo gruppone è semplice: i giocatori

chiave dell’anno scorso sono ancora tutti al loro posto. In particolare Delon Wright, serio candidato per il premio di giocatore dell’anno della Pac-12, che viene da una stagione da 15.5 punti, 6.8 rimbalzi, 5.3 assist e 2.5 rubate di media. Poi il playmaker Brandon Taylor e l’ala Jordan Loveridge, entrambi in doppia cifra di media un anno fa, e anche Dakarai Tucker e Dillan Bachynski, il fratello di quel Jordan che ha fatto le fortune di Arizona State. A garantire un apporto dalla panchina sono di ritorno Jeremy Olsen e Kenneth Ogbe, ma non Parker Van Dyke, che ha lasciato temporaneamente Utah per trasferirsi in una missione dei mormoni. Ci sarà così spazio per Chris Reyes e per qualche freshmen, su tutti il quotatissimo Brekkott Chapman e Isaiah Wright. Aspettatevi da questa squadra un gran numero di tiri da fuori. LA CLASSE MEDIA – STANFORD CARDINAL, COLORADO BUFFALOES, WWW.SPORTANDO.COM

CALIFORNIA GOLDEN BEARS Stanford con Chasson Randle – 18.8 punti e 3.6 rimbalzi di media nella passata stagione – e Anthony Brown, non se la passa di certo male. Certo, un anno fa i Cardinal avevano utilizzato una rotazione cortissima e il fatto di non avere più in organico due titolari del calibro di Josh Huestis e Dwight Powell potrebbe influire sulle ambizioni di coach Dawkins. Stefan Nasic mira a mantenere il posto in quintetto e scalpitano per partire con lui il playmaker Robert Cartwright e le ali Reid Travis e Michael Humphrey, ritenuti tre dei 100 migliori giocatori nella loro classe. I Cardinal non solo hanno abbastanza talento per disputare un’ottima stagione nella Pac-12, ma hanno posto anche le basi per inaugurare un ciclo di successo. Anche se Spencer Dinwiddie non veste più la maglia dei Buffaloes, vale la pena di considerare Colorado tra le migliori squadre della Pac-12 per la presenza di giocatori come Askia Booker, Josh Scott – giocatore d’area e ottimo rimbalzista – e il tiratore Xavier Johnson. Non solo: tutti gli altri giocatori di rotazione sono ancora al loro posto, a partire da Wesley Gordon e Xavier Talton fino ad arrivare a Jaron Hopkins e Dustin Thomas. A dare profondità al reparto lunghi ci pensa il freshman Tory Miller, ma anche Dominique Collier può ambire fin da subito ad un posto in rotazione. Le squadre della Pac-12 che intendono vincere il torneo di conference dovranno obbligatoriamente fare i conti con i Buffaloes, una delle compagini più arcigne e profonde tra queste dodici. California si è assicurata uno dei migliori prospetti europei di quest’anno, il centro britannico Kingsley Okoroh, noto come stoppatore di livello. Il nativo di Derby si inserisce in un contesto in fase di ricostruzione, con tre titolari dell’anno scorso che non fanno più parte della squadra. Cuonzo Martin si troverà ad utilizzare largamente Steven Kravish, Tyrone Wallace, D3SIGN+ MGZ

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Nella pagina precedente: Shawn Kemp Jr. (Washingtont). In questa pagina: a sinistra Andy Enfield (USC), in basso Gary Payton II (Oregon State)

Jabari Bird e Jordan Mathews, affiancati in questa nuova stagione dal transfer Dwight Tarwater e da altri giocatori che hanno avuto ruoli marginali nelle annate precedenti, come Sam Singer e Christian Behrens. Si sono certamente viste edizioni più talentuose dei Golden Bears, ma nemmeno questa è da sottovalutare. C’È DI PEGGIO – WASHINGTON HUSKIES, OREGON DUCKS, ARIZONA STATE SUN DEVILS Avevamo già parlato della classifica compatta della scorsa stagione e Washington, con il suo 9-9, a conti fatti è arrivata quart’ultima e al contempo ad una sola vittoria dalla terza classificata. Difficile però che gli Huskies possano compiere il salto di qualità, visto che C.J. Wilcox ha terminato i suoi anni di eleggibilità universitaria ed è ora sotto contratto con i Clippers. Gli occhi saranno puntati su Andrew Andrews e Nigel Williams-Goss, quest’ultimo protagonista di una sfolgorante stagione da freshman. Più complicata da decifrare quella che sarà la futura gerarchia del reparto lunghi, che potrebbe vedere Shawn Kemp Jr. protagonista al 34

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fianco di Robert Upshaw, transfer da Fresno. La coperta sembra essere abbastanza corta per gli Huskies. E che dire di Oregon? La squadra, allenata da Dana Altman, è reduce due partecipazioni consecutive al Torneo NCAA. Un’eventuale riconferma a livelli così alti passa interamente dalle mani di Joseph Young, l’anno scorso protagonista con 18.9 punti di media. Gli altri quattro membri del quintetto base dell’anno scorso non vestono più la maglia dei Ducks. Tra gli elementi a disposizione di coach Altman, solo Elgin Cook aveva già un posto in rotazione. Basta questo per comprendere come la squadra campione della Pac-12 nel 2013 stia vivendo una fase delicata. Una buona notizia però c’è: i Ducks potranno contare su Dillon Brooks, arrivato da Findlay Prep e autore di 25.2 punti di media con la maglia della nazione under-18 ai campionati americani. Oregon ci ha abituati ad una grande pallacanestro negli ultimi anni e la sfida è riuscire a mantenersi su quei livelli estetici anche con un gruppo nuovo. La differenza di prospettive per Arizona State rispetto ad un anno fa, quando hanno partecipato al Torneo WWW.MY-BASKET.IT

NCAA, si può racchiudere in tre nomi: Jahii Carson, Jermaine Marshall e Jordan Bachynski, che hanno tutti lasciato l’università. Non per questo è tutto da buttare: Shaquielle McKissic e Jonathan Gilling sono ancora al loro posto, insieme a Bo Barnes ed Eric Jacobsen. I due giocatori più interessanti tra i nuovi arrivi – entrambi da junior college – sono Savon Goodman e Willie Atwood. In generale, i Sun Devils hanno un roster profondo e non dovrebbero avere problemi ad orchestrare una rotazione in grado di reggere il campo, soprattutto in difesa. Bisogna vedere, però, se ci sarà qualcuno capace di elevare il livello offensivo della squadra. GLI ULTIMI – USC TROJANS, WASHINGTON STATE COUGARS, OREGON STATE BEAVERS I Trojans sono stati la peggior squadra della Pac-12 nella passata stagione, con un record di addirittura 2-16 contro le rivali della conference. Lo scenario non dovrebbe mutare più di tanto per USC, che ha perso addirittura i suoi quattro migliori marcatori dello scorso anno. I Trojans hanno l’opportunità di ricostruire

dopo un ciclo non particolarmente brillante: le pietre angolari della prossima stagione saranno coach Andy Enfield, arrivato nel 2013 dopo un’annata leggendaria a Florida Gulf Coast, e il serbo Nikola Jovanovic, che si è messo in mostra già da freshman. Sono solo tre i giocatori di ritorno che hanno avuto minuti importanti nella stagione 2013/2014 – Jovanovic, Gavrilovic e Jacobs – e quindi grandi speranze saranno riposte sui freshman Elijah Stewart e Jordan McLaughlin nel backcourt. I Cougars hanno fatto poco meglio di USC nella Pac-12 (3-15) un anno fa e i loro sogni di riscatto sono affidati al backcourt composto da DaVonte Lacy – 19.4 punti di media da junior – e Que Johnson, con il senior KernichDrew e il sophomore Iroegbu dalla panchina. Dopo i due anni al junior college, è arrivata a Washington State l’ala Aaron Cheatum, che dovrà dare una mano a Junior Longrus e a Jordan Railey per non soffrire troppo nel pitturato. Il reparto lunghi dei Cougars sembra infatti il vero punto debole della squadra e il principale motivo per cui Washington State non dovrebbe fare granché meglio dell’anno scorso.

Oregon State ha perso tutto il quintetto dell’anno scorso e si presenta ai blocchi di partenza con un collettivo giovanissimo. Tra i nuovi arrivi spicca un nome affascinante: Gary Payton II, che giocherà nei Beavers dopo l’esperienza al Salt Lake Community College e dovrebbe avere un buon minutaggio alla prima stagione in Division I. Non solo: quando i Beavers affronteranno Washington, sarà di scena la sfida tra il figlio di Payton e quello di Shawn Kemp. Molto ci si aspetta da Chai Baker, guardia con spiccate doti realizzative e grande atletismo. In generale, non sembrano esserci le premesse per un’annata di successo in una conference così competitiva. Oregon State deve pensare a costruire per il futuro.

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LA PREVIEW DELLA SEC Strana conference la SEC. Da anni è la principale potenza del college football e di conseguenza la conference che più fabbrica dollari nella NCAA, ma nel basket ha avuto anni difficili. Quando lo spettacolo sembrava desolante, è arrivato coach Billy Donovan che, alla guida di Florida, ha portato i Gators al successo per due anni consecutivi con una delle squadre più forti che si siano mai viste negli ultimi quindici o venti anni di NCAA. L’arrivo di Calipari a Kentucky ha fatto rinascere un programma storico come quello dei Wildcats, ma al tempo stesso la sua UK viene identificata come la squadra che ha portato alla ribalta il fenomeno dei one-and-done, ovvero i giocatori che passano subito in NBA dopo un solo anno di college basketball, fenomeno tanto odiato dai puristi. La verità, però, è che i due colossi della conference hanno ben poco altro da affrontare. Le altre squadre della SEC infatti non sono molto competitive. E’ vero: Vanderbilt, LSU e Missouri hanno talvolta buone annate ma si tratta di momenti in cui la fortuna aiuta non poco l’organizzazione, e per questo motivo parliamo di fatti sporadici. Andiamo a vedere la SEC nel dettaglio. 36

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LA FAVORITA KENTUCKY WILDCATS Kentucky quest’anno è la squadra da battere, non solo in SEC ma in tutta la NCAA, come dimostra il primo posto nel ranking pre-stagionale. UK viene da una grande stagione terminata solo in Finale NCAA, a pochi secondi dalla vittoria del titolo nazionale, inoltre quest’anno potrà contare non solo sulla solita infornata di freshman, ma anche su ritorni eccellenti dei gemelli Harrison, Willy Cauley-Stein, Alex Poythress e Dakari Johnson. Mai sotto Calipari erano tornati così tanti giocatori importanti da una stagione precedente. La solita freshman class clamorosa ha portato a Lexington giocatori del calibro di Tyler Ulis, Devin Booker, Karl-Anthony Towns Jr. e Trey Liles, un gruppo che potrebbe formare un validissimo quintetto in qualsiasi conference, ma a Kentucky alcuni di loro potrebbero addirittura non vedere il campo. Con le assenze di Julius Randle e James Young non si sa ancora chi potrebbe ricoprire il ruolo di miglior realizzatore, anche se quasi certamente sarà Aaron Harrison a prendere le redini dell’attacco. Con una squadra del genere, Kentucky potrà usare la transizione quanto WWW.MY-BASKET.IT

DI CLAUDIO PAVESI l’attacco ragionato a metà campo, il tutto occupando totalmente il campo in entrambe le fasi, dato che il fisico dei Wildcats fa invidia a certe squadre NBA: con alcuni quintetti infatti UK potrà avere un reparto guardie di almeno 198 centimetri, e un frontcourt da almeno 207 centimetri. L’unica pecca potrebbe riguardare la costanza nel tiro perimetrale ma ciò nonostante i Wildcats restano la prima potenza dell’intero college basketball. LA RIVALE - FLORIDA GATORS Florida è sempre competitiva ma la vera chiave è una sola ormai dal 1996, e si chiama Billy Donovan. Prima che arrivasse quest’ultimo, i Gators avevano raggiunto il Torneo NCAA solo cinque volte nella loro storia (di cui due poi annullate dai libri di storia per irregolarità), mentre sotto la sua guida sono arrivati alla fase finale per 14 volte in 18 anni con tanto di quattro presenze alle Final Four, due delle quali vinte

consecutivamente nel 2006 e 2007. Il 2013-14 dei Gators è stato eccezionale, come dimostra l’imbattibilità in SEC e il raggiungimento delle Final Four, ma, come spesso succede, anche Florida dovrà adattarsi ad alcune partenze illustri quali quelle di Casey Prather (miglior realizzatore), Scottie Wilbekin (playmaker e leader tattico), Patric Young (capitano, inamovibile nel pitturato) e Will Yeguete (uomo chiave della difesa). Perché Florida è ancora così competitiva? Senza dubbio per il ritorno di giocatori importanti sia in attacco che in difesa come Michael Frazier II e Dorian Finney-Smith, ma anche per la presenza di Kasey Hill, che prenderà in mano la cabina di regia dei Gators. La chiave di Donovan però è la difesa, i suoi giocatori infatti hanno sempre grande versatilità e sono in grado di reggere ogni cambio difensivo, sia in post che sul perimetro. Per questo motivo sarà indispensabile la presenza di Jon Horford, arrivato

da Michigan. Un altro transfer interessante è Alex Murphy, arrivato dopo una brutta esperienza a Duke per seguire le orme del fratello Erik, giocatore di Florida fino al 2013. Da non scordare anche i tre ottimi freshman Devin Robinson, Brandone Francis e Chris Chiozza, il cui impatto effettivo sarà ben più notevole di quello statistico, come tipico per i ragazzi di Donovan. La vera chiave di volta sarà Chris Walker, ala dal talento spropositato, l’anno scorso limitato dai brutti risultati accademici. Da Walker dipenderà effettivamente la stagione di Florida, anche se la squalifica per le prime due partite non lo fa partire col migliore degli auspici. Abbiamo davanti agli occhi una nuova Florida, forse non forte come quella dell’anno scorso, ma Billy Donovan arriva alle Elite 8 da quattro stagioni consecutive. Un motivo ci sarà. LA CLASSE MEDIA - ARKANSAS RAZORBACKS, OLE MISS REBELS, WWW.SPORTANDO.COM

AUBURN TIGERS, LSU TIGERS Bisogna ammettere che queste quattro squadre non sono vere e proprie super potenze ma hanno una caratteristica comune: hanno al loro interno dei leader dal talento individuale indiscutibile. Arkansas è stata una piacevole sorpresa la scorsa stagione e ci si aspetta il bis per quest’anno. Alla guida dei Razorbacks c’è Bobby Portis, un’ala grande dal talento strabordante e pronta alla sua stagione di consacrazione prima del definitivo approdo in NBA. Arkansas potrà contare sui ritorni di sei dei suoi primi sette realizzatori e per questo non la si può considerare solo come “la squadra di Portis”. Occhi puntati quindi anche su Rashad Madden e Michaels Qualls, entrambi in odore di NBA, che quest’anno potranno contare sull’aiuto di Jabril Durham, uno dei playmaker più quotati tra quelli provenienti dai junior college. Se i Razorbacks sapranno porre un rimedio alle loro amnesie a rimbalzo (l’anno scorso solo 9 squadre hanno concesso più rimbalzi offensivi di loro tra le 351 della Division I) potranno diventare addirittura una squadra da temere al Torneo NCAA. I Rebels di Ole Miss dovranno fronteggiare una stagione senza l’incredibile realizzatore Marshall Henderson (19 punti di media l’anno scorso) ma l’ateneo del Mississippi ha già trovato un modo per rialzare la testa e risultare addirittura più competitivo rispetto all’anno passato. Pronti per giocare ci sono Rod Lawrence, arrivato da un junior college, ma soprattutto altri due transfer di livello: Terence Smith (15 punti di media a Tennessee-Martin) e l’ottimo M.J. Rhett (11 punti e 9 rimbalzi a partita a Tennessee State). Se questi innesti non bastassero, i Rebels potranno contare su un vero e proprio fenomeno, uno dei pochi in grado di rubare a un giocatore di Kentucky il titolo di miglior giocatore della SEC, ovvero Jarvis Summers, già esploso l’anno scorso e pronto a un 2014-15 in cui potrebbe superare D3SIGN+ MGZ

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Nella pagina precedente: Antoine Mason (Auburn). In questa pagina: Jarell Martin (a sinistra) e Jordan Mickey (in basso), che formano la grande coppia di ali di LSU

i 20 punti di media, sempre che l’integrazione con Smith e Rhett lo permetta. Una grande sorpresa potrebbe essere rappresentata da Auburn. I Tigers hanno avuto un’estate davvero piena con l’arrivo di elementi importanti come Antoine Mason (l’anno scorso a 25.6 punti di media. Solo McDermott ha segnato di più in ogni livello NCAA) e dell’ala grande Cinmeon Bowers, da molti considerato come il miglior talento proveniente da un junior college in tutta America. Oltre all’arrivo di questi due talenti e del playmaker K.C. Ross-Miller da New Mexico State, non va dimenticato il ritorno di una vera e propria stella come K.T. Harrell, l’anno scorso autore di 18.3 punti di media. Per dimostrare che Auburn non scherza, ha calato il jolly portando nel campus Bruce Pearl, ex allenatore di Tennessee, un mostro sacro da più di 450 vittorie all’attivo, una percentuale di vittorie del 76% e nemmeno una stagione perdente in carriera. I Tigers stanno crescendo. LSU a dirla tutta non ha una grande squadra ma quest’anno, escludendo le cinque squadre già descritte, in SEC ci sarà una clamorosa bagarre 38

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per il quinto posto. In questo mucchio di squadre di medio (talvolta mediobasso) livello, LSU si ritroverà sì priva di Johnny O’Bryant III e Andre Stringer, ma potrà contare sui sophomore Jordan Mickey e Jarell Martin che insieme formano una delle coppie di ali più forti della NCAA. Il loro mix di atletismo, doti offensive, fisici slanciati e braccia lunghe potrebbe regalare al pubblico di Baton Rouge qualche gioia, seppur in un’annata teoricamente non facile. C’È DI PEGGIO - ALABAMA CRIMSON TIDE, GEROGIA BULLDOGS, SOUTH CAROLINA GAMECOCKS, TEXAS A&M AGGIES Come accennato parlando di LSU, da qui in poi si scatena l’inferno. Alabama ha perso effettivamente solo un uomo importante in Trevis Releford, ma era anche l’unico Crimson Tide in doppia cifra, oltre che l’unico in grado di fare la differenza in attacco. L’arrivo di transfer di rilievo come Michael Kessens, Ricky Tarrant e Christophe Varidel aiuterà sicuramente Alabama a portare a termine una discreta stagione, ma per una squadra così inedita e rinnovata, specialmente dal punto di vista WWW.MY-BASKET.IT

offensivo, sarà difficilissimo poter risultare costantemente competitivi, specialmente considerando che il calendario dei Crimson Tide è stato classificato da ESPN come il quarto più difficile in tutta la NCAA. A un’inedita e rinnovata Alabama, risponde una Georgia praticamente uguale a quella dell’anno scorso. I Bulldogs hanno perso solo due elementi: Brandon Morris e Donte’ Williams. In questa situazione ci sono molte possibilità per fare bene perché la squadra è ben collaudata, va anche detto però che Georgia non è riuscita a migliorarsi: non è arrivato alcun transfer e la freshman class è costruita su Yante Maten che non sembra essere un campione, almeno non dal primo anno. In poche parole, sempre gli stessi Bulldogs, senza infamia e senza lode. Simile è il discorso di South Carolina. I Gamecocks sono una realtà in crescita, coach Frank Martin infatti, alla sue terza stagione dopo diversi anni a Kansas State, ha intenzione di cambiare la storia di South Carolina e renderlo un programma vincente ma è un processo lungo. E’ sulla buona strada ma con una freshman class non particolarmente convincente

e nessun transfer in arrivo, sarà difficile per i ragazzi di coach Martin fare meglio del 2013-14 (14-20 il record complessivo, 5-13 in SEC), specialmente considerando la partenza di Brenton Williams, miglior realizzatore dell’anno scorso. Non molto di più si può dire anche per gli Aggies. Jamal Jones non è il solo ad aver lasciato Texas A&M, ma era l’unico della squadra in doppia cifra di media e sarà dura sostituirlo, nonostante l’arrivo di Alex Robinson, un ottimo freshman. I due transfer Jalen Jones e Danuel House sono ancora dei punti di domanda: quasi certamente il primo potrà giocare solo nel secondo semestre, il secondo invece potrebbe non essere disponibile per l’intera stagione. L’NCAA deve ancora pronunciarsi riguardo la loro eleggibilità. Il già citato Jamal Jones ha lasciato la scuola dichiarando: «Chiunque, se sapesse cosa succede davvero in quel programma, al mio posto, se ne sarebbe andato». Parole pesanti che mettono gli Aggies sotto i riflettori, e non per il più roseo dei motivi. GLI ULTIMI TENNESSEE VOLOUNTEER, MISSOURI TIGERS,

VANDERBILT COMMODORES, MISSISSIPPI STATE BULLDOGS Come detto, la SEC è caratterizzata da buone annate periodiche delle squadre “minori”. Come ben sappiamo però alle ondate positive seguono sempre anni difficili in cui si cerca di ricostruire. E’ questo il caso di Tennessee e Missouri, che hanno avuto un 2013-14 di discreto livello, ma allo stesso tempo sono state vittime di un vero esodo. Missouri ha perso Jabari Brown, Jordan Clarkson, Earnest Ross e Tony Criswell, che combinavano 55.5 dei 73 punti di squadra, tre leader e un comprimario che di certo non potranno essere sostituiti dal transfer Deuce Bello e dai freshman guidati da JaKeenan Gant. Lo stesso discorso vale per Tennessee che ha perso ben sette giocatori, ovvero WWW.SPORTANDO.COM

55.2 punti sui 72 di squadra, oltre che i primi due rimbalzisti. Uno di calibro NBA come Jarnell Stokes non può essere sostituito, specie con una recruiting class capitanata da Detrick Mostella e senza nemmeno un transfer. Tennessee ha perso anche il già citato coach Pearl, e quasi certamente sarà questa l’assenza più pesante. Lo scorso anno Vanderbilt e Mississippi State sono state le vittime sacrificali della SEC. I Bulldogs non hanno perso nessun giocatore importante ma il livello non sembra essere sufficiente per fare una figura quantomeno dignitosa. Vanderbilt oltretutto ha perso tre dei quattro giocatori in doppia cifra per punti segnati durante il 2013-14. Sarà un anno durissimo per questi quattro atenei. D3SIGN+ MGZ

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LA PREVIEW DELLA MWC La Mountain West Conference (da ora MWC) è una Conference hipster. Non è una competizione mainstream, e ti senti figo quando parli con un amico che segue magari solo superficialmente il basket nel dire: “Io seguo la MWC”. In pochi sanno chi ne fa parte, eppure è uno dei segreti meglio tenuti del panorama cestistico collegiale. Da queste parti hanno ammirato negli anni un MVP delle Finals (Kawhi Leonard, a San Diego State), un fromboliere che non ha ancora pienamente dimostrato quello che ci si aspettava (Jamal Franklin, stesso ateneo), uno dei migliori dieci giocatori attualmente in attività (Paul George, a Fresno State) più svariati personaggi che io definirei “di sottobosco”, ma non per questo da scartare, come ad esempio il “pesarese” Kendall Williams e il suo compagno per quattro anni a New Mexico, Cameron Bairstow, che l’anno scorso si è imposto come uno dei primi venti lunghi dell’intera NCAA e che ora lotta per un posto nelle rotazioni dei Bulls. Dunque proprio malaccio questo posto non dev’essere: si respira un’aria nuova, che allo stesso tempo odora di tradizione perchè non dobbiamo dimenticarci del prestigio nobiliare 40

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degli UNLV Running Rebels, i quali hanno entusiasmato tutti negli anni ‘90 quando li guidava “lo Squalo” Jerry Tarkanian e che molto più recentemente hanno consegnato ai libri di storia una prima scelta NBA, per quanto criticata e criticabile come Anthony Bennett. Addentriamoci dunque nelle pieghe di questo mondo affascinante quanto equilibrato. LA FAVORITA - SAN DIEGO STATE AZTECS Squadra quanto mai solida e allenata benissimo da un allenatore consolidato come Steve Fisher. A lui si devono le esplosioni di Leonard e Franklin da semplici “buoni talenti, ma difficile che facciano strada” a giocatori fatti e finiti che sono riusciti a ritagliarsi uno spazio in NBA. Anche quest’anno sarà lui la chiave per un gruppo dal talento cristallino. Lo conferma anche il ranking pre stagionale (numero 16), il più alto della storia del programma cestistico di ateneo, che ci suggerisce che dovremmo aspettarci tantissimo da questa squadra. La rotazione è profonda, con tre giocatori di quintetto che tornano alla base (Winston Shepard, JJ O’Brien e Skylar Spencer), il WWW.MY-BASKET.IT

DI LUCA NGOI transfer da Arizona Angelo Chol non sarà un fenomeno (alla corte di coach Miller giocava meno di dieci minuti a gara), ma aggiunge energia e fisicità a una squadra che da quattro-cinque anni a questa parte proprio sull’atletismo straripante è fondata. Aggiungiamo al calderone due ultimi elementi: una più che discreta classe di freshman, a partire dall’interessante playmaker Trey Kell, arrivando al talento grezzissimo ma potenzialmente devastante del lungo Malik Pope. Hanno perso il perno centrale dell’anno scorso, il realizzatore Xavier Thames, e con lui gli oltre 18 punti di media, dunque sarà fondamentale per coach Fisher gestire la rotazione degli esterni tra i freshman Kell e Zabo e il senior Aqeel Quinn, ma la profondità del roster è unica nella Conference e tra le più intriganti della Nazione. Coach Fisher ha parlato di titolo nazionale, obiettivo sicuramente pretenzioso, ma che fa ben intuire le prospettive degli Aztecs 2015.

I RIVALI - COLORADO STATE RAMS, WYOMING COWBOYS Voglio un applauso per Colorado State. I Rams per anni hanno prodotto il miglior basket di squadra della Conference, raccogliendo però pochissimi risultati (un solo invito al Torneo, con immediata eliminazione e neanche un titolo di Conference), hanno sfornato un lungo dal grande valore tecnico Colton Iverson, eppure è sempre mancato qualcosa. Questo potrebbe essere l’anno della loro definitiva consacrazione tra le squadre migliori della MWC. Si punta tutto sul talento realizzativo emergente di JJ Avila, che ha chiuso lo scorso anno a oltre 16 di media con 3.4 assist: sarà lui il leader offensivo e vocale di una squadra che punta molto anche sul ritorno di Daniel Bejarano, per anni il “Delfino” di Iverson e dall’anno scorso il principale responsabile della produzione sotto le plance (non ha deluso: 8.3 rimbalzi a partita). Il gruppo è solido ed esperto (tre

soli freshmen che troveranno poco spazio) e punta tutto su una rotazione estremamente gerarchica, ma efficace. Wyoming, dal canto suo, è un caso strano: per anni è stata tra le peggiori squadre della Conference, sguazzava sul fondo delle classifiche, ma ha trovato un talento d’elite nel figlio d’arte Larry Nance Jr, ala dalla sublime eleganza che ha letteralmente trascinato la squadra per tutto l’anno scorso con i suoi 15.4 punti ad allacciata di scarpe. Gli servirà l’aiuto dei compagni Riley Grabau e Josh Adams, entrambe guardie in grado di crearsi il tiro e di punire sugli scarichi, ma in generale necessitano di un grande miglioramento a livello fisico (poco più di 29 rimbalzi di squadra catturati) per imporsi davvero come rivali credibili. LA CLASSE MEDIA - UNLV REBELS, BOISE STATE BRONCOS UNLV spera di tornare di nuovo nel cuore degli appassionati di basket WWW.SPORTANDO.COM

di tutta America grazie a una delle migliori recruiting class da diversi anni a questa parte, che dovrebbe permettergli di giocare un basket frizzante e ad alta velocità, seppur rapportata al panorama generale dell’NCAA che predilige ritmi piuttosto bassi. Il prospetto più interessante è la guardia Rashad Vaughn, che già da quest’anno avrà in mano la squadra e dovrà guidarla con i suoi guizzi e la sua capacità di segnare in qualunque modo: se troverà la maniera di migliorare anche come regista, può diventare un giocatore più che interessante. Insieme a lui attenzione anche a Goodluck Okonoboh, atleta semplicemente clamoroso ma dalle capacità offensive estremamente limitate. Se volete una versione collegiale dell’asse Chris PaulDeAndre Jordan, guardatevi tutte le partite di UNLV quest’anno perchè gli alley-oop pioveranno in quantità. Per le vittorie ci sarà da aspettare, in quanto come detto la squadra si fonda sul gruppo di giovanissimi (a proposito: segnatevi anche il nome dell’ala Dwayne Morgan), ma se ci fosse un NCAA League Pass i Rebels sarebbero i primi sulla lista delle squadre da guardare. Ci si divertirà forse leggermente di meno in Colorado, a Boise State, dove per i Broncos andrà in scena l’ultimo anno del “Drmic-Marks Show”. Sono loro due infatti i giocatori di riferimento di un gruppo che ha guidato la Conference per punti segnati l’anno scorso e dai quali dipenderanno le sorti della compagine anche quest’anno. Drmic, ala nel giro della Nazionale australiana, è stato inserito anche tra i cento migliori giocatori dell’intero college basketball da Mike Rutherford di SBnation, da sempre un’autorità nell’ambiente. Se migliorano le prestazioni in difesa (l’anno scorso concedevano agli avversari quasi il 45 percento dal campo) potrebbero esserci soddisfazioni per gli arancioblu. D3SIGN+ MGZ

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Nella pagina precedente: Hugh Greenwood (New Mexico). In questa pagina: a sinistra Cezar Guerrero (Fresno State), in basso Jalen Moore (Utah State)

C’È DI PEGGIO - FRESNO STATE BULLDOGS, NEVADA WOLF PACK, NEW MEXICO LOBOS Se Wyoming è in drastica risalita, la squadra che ha risentito maggiormente della dipartita dei suoi pezzi pregiati è New Mexico. Dopo due titoli di Conference consecutivi e una buona figura nello scorso Torneo, i Lobos si trovano costretti a ricostruire. Le sorti offensive della squadra sono nelle mani di Hugh Greenwood, al quarto anno in questo sistema e dunque il più accreditato per trascinare i compagni, che dovranno affidarsi al gioco di squadra e a dei meccanismi ben oliati per sperare di sopravvivere al livello fisico impressionante di questa MWC. Anche Fresno State ha perso il suo miglior giocatore, quel Tyler Johnson che l’anno scorso ha sorretto una squadra che faceva una fatica terribile a trovare il canestro. Il gioco passerà dunque dalla regia sfrontata ed elettrizzante del messicano Cezar Guerrero, probabilmente il playmaker più tecnico e “pulito” di questa Conference, che però è chiamato a superare i suoi troppi limiti caratteriali e la sua incostanza. 42

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Più continuità offensiva e maggiore aggressività difensiva saranno le chiavi per i nuovi ‘Dogs che sperano di uscire da un apparentemente infinito tunnel di anonimato. Tra questa categoria di squadre Nevada è quella forse nella peggiore condizione: ha perso il suo leader e giocatore di maggior talento, il realizzatore Deonte Burton, insieme ad altri tre giocatori da quintetto, e non ha neanche un nucleo giovane al quale affidarsi per cominciare la rifondazione, che necessariamente passa dalle mani della guardia Senior Michael Perez, il quale però non nasce attaccante e sarà chiamato a un grosso salto di qualità, se non vuole che la squadra sprofondi. GLI ULTIMI - AIR FORCE FALCONS, SAN JOSE STATE SPARTANS, UTAH STATE AGGIES Ad Air Force gira tutto male. Avevano trovato un buon giocatore nell’esplosivo Tre’ Coggins, ma quando gli hanno detto che se fosse tornato per l’anno da Junior avrebbe dovuto estendere il suo impegno militare fino al quinto anno non se l’è sentita e ha fatto i bagagli, lasciando la squadra in braghe di WWW.MY-BASKET.IT

tela ed affidata soltanto ai Seniors Max Yon e Marek Olesinski, che farebbero fatica ad entrare nelle rotazioni di qualsiasi altra squadra di una Conference decente di Division I e che qui invece saranno chiamati a sobbarcarsi tutto il peso offensivo di una compagine tra le peggiori in attacco dell’ultima annata. Forse va ancora peggio a Utah State, per la quale il giocatore migliore che tornerà quest’anno è Jalen Moore, che l’anno scorso non arrivava a 6 punti di media. Gli Aggies hanno perso tre Seniors che mettevano insieme 50 punti di media e dovranno cominciare tutto da capo affidandosi anche alle speranze di Darius Perkins, transfer dal Junior College di MiamiDade, ma la situazione sembra più complicata che mai in un contesto già di per sè non entusiasmante. San Jose State sulla carta è la squadra messa peggio di tutte, ma almeno ha un progetto di ricostruzione cominciato l’anno scorso, quando la squadra era quasi interamente composta da freshman e riuscì a vincere la miseria di sette partite. Il talento più intrigante è Rashad Muhammad, uno dei pezzi pregiati della scorsa recruiting class,

al quale saranno affidate le chiavi del team. Non bisogna comunque aspettarsi molto: sarà un altro anno di rebuilding e di costruzione di una chimica di squadra per coach Wojcik, ma qualche lontana speranza si intravede.

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LE ALTRE CONFERENCE In alto: Ryan Boatright (UConn). Nella pagina seguente: al centro Larry Brown (SMU), a fianco James Woodard (Tulsa) e Will Cummings (Temple)

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AAC – La favorita d’obbligo, con la partenza di Louisville in direzione ACC, resta Connecticut, che ha perso giocatori importanti, ma può pur sempre contare su Boatright e Brimah. L’aggiunta più interessante è quella di Sam Cassell Jr., che approda in Division I dopo un’annata travagliata trascorsa tra Notre Dame Prep School, College Park e Chipola Junior College. Promette scintille anche il freshman Daniel Hamilton, e cruciali per il successo di UConn dovranno essere anche Philip Nolan e Omar Calhoun, che avranno a WWW.MY-BASKET.IT

disposizione più minuti sul parquet. Sgomita per farsi spazio Southern Methodist, che può ancora contare su Nic Moore e Markus Kennedy. Anche se Mudiay ha preferito andare a giocare in Cina, la squadra di Larry Brown ha inserito un innesto importante come Justin Martin, transfer da Xavier. Se Keith Frazier riuscirà a non tradire le aspettative, considerando che era posizionato alto nelle classifiche dei freshmen dell’anno scorso, allora i Mustangs potranno puntare a entrare nel ranking nazionale.

Sembra ci sia una netta distanza tra queste due squadre e le altre dell’AAC, ma in realtà anche Memphis può dire la sua. Le partenze nel backcourt sono compensate dall’arrivo in Tennessee di Avery Woodson e soprattutto Dominic Magee, considerato tra i 100 migliori freshmen della nazione. In ogni caso, nessuno dei giocatori a disposizione di coach Pastner nei ruoli di playmaker e guardia ha mai giocato per i Tigers fino ad ora e questo potrebbe naturalmente causare qualche complicazione. Shaq Goodwin e Austin Nichols dovrebbero comunque essere sufficienti per una stagione ad alti livelli. Cincinnati sembra essere un po’ più indietro a livello di talento rispetto al gruppo precedente. I quattro anni di Sean Kilpatrick coi Bearcats sono stati ottimi, con la squadra che ha sempre raggiunto il Torneo NCAA e che ha avuto il miglior record di conference – a pari merito con Louisville – nella passata stagione.

Nessuno dei giocatori del nuovo roster era in doppia cifra di media un anno fa. Jermaine Sanders, da senior, è chiamato a trascinare Cincinnati, ma è da vedere se ne avrà le capacità. Nel pitturato, i nuovi arrivati Coreontae DeBerry e Gary Kelly possono essere una minaccia. Tulsa – arrivata in AAC dalla Conference USA – e Temple non hanno un collettivo in grado di competere con UConn, SMU e Memphis, ma hanno tre dei giocatori più interessanti dell’AAC. James Woodard, infatti, è reduce da una stagione da 15.5 punti e 5.9 rimbalzi a partita ed è stato votato per il Preseason All-Conference First Team. Nel secondo quintetto troviamo invece Will Cummings e Quenton DeCosey di Temple. Con 16.8 punti di media, Cummings è il giocatore con la miglior media realizzativa in AAC nella passata stagione tra quelli che sono ancora al college. Tulane, alla sua prima stagione in questa conference, WWW.SPORTANDO.COM

schiererà addirittura tre giocatori che l’anno scorso erano in doppia cifra di media, ma l’impressione è che la squadra dovrà accontentarsi al massimo di lottare per evitare l’ultima piazza. ATLANTIC 10 – Da questa conference ci si aspetta uno stravolgimento delle gerarchie rispetto alla passata stagione. I St. Joseph’s Hawks, campioni in carica, dovranno affrontare la nuova stagione senza le due stelle Halil Kanacevic – passato da Roma nel finale della stagione e quest’anno all’Olimpia Lubiana – e Langston Galloway. Se non altro, il sophomore DeAndre Bembry avrà la possibilità di prendere in mano la squadra dopo un’ottima annata da freshman, chiusa a 12.1 punti e 4.5 rimbalzi a partita. Con Dwayne Evans, Rob Loe e l’eclettico Jordair Jett che hanno concluso i loro anni di eleggibilità, anche i Saint Louis Billikens, vincitori della regular season 2013/2014 in D3SIGN+ MGZ

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A-10, sembrano tagliati fuori dalla lotta per il titolo. I loro destini sono affidati ad un quintetto completamente nuovo in cui dovrebbero comparire giocatori di rotazione dello scorso anno come Austin McBroom, Grandy Glaze e John Manning oltre ad Achraf Yacobou, transfer da Villanova. In un simile scenario, l’occasione è ghiotta per Virginia Commonwealth che si ritrova di colpo senza quelle che, con George Washington, erano

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le due più grandi rivali dell’anno scorso. I Rams erano arrivati dietro a St. Louis in regular season e avevano perso contro St. Joseph’s la finale del torneo dell’A-10. Il risultato più deludente della loro stagione, comunque, rimane l’eliminazione al secondo turno del Torneo NCAA contro Stephen F. Austin. Coach Shaka Smart ha deciso di restare sulla panchina di VCU nonostante le offerte di atenei importanti e questa è la notizia migliore per i Rams, che sul campo potranno ancora ammirare la coppia formata da Treveon Graham e Melvin Johnson. E attenzione a Terry Larrier, che ha tutte le caratteristiche per non far rimpiangere Juvonte Reddic. Anche George Washington si è mantenuta su buoni livelli ed è la più accreditata per competere fino alla fine con i Rams. Non ci sono più Isaiah Armwood – ora a Trento – e Maurice Creek, ma i Colonials hanno nel roster tre dei cinque giocatori della squadra che sono andati in doppia cifra di media l’anno scorso: Kethan Savage, Patricio Garino e Kevin Larsen. E con loro Joe McDonald, letale dal perimetro. I nuovi arrivati Matt Cimino e Yuta Watanabe possono dare una mano fin da subito in un reparto lunghi altrimenti non troppo affollato. Altra squadra che ha tutte le carte in regola per fare bene, dopo aver disputato un Torneo NCAA da favola, è Dayton. I Flyers hanno una certezza in Jordan Sibert – il miglior marcatore della squadra l’anno scorso – e sperano nella crescita di DyShawn Pierre, che ha l’obbligo di attestarsi come secondo violino. La squadra rivelazione dello scorso Torneo, per sostenere la sua pallacanestro tenace e rapida, ha bisogno di una crescita da parte dei vari role players che un anno fa entravano dalla panchina. Menzione d’onore per Massachusetts, che ha nel lungo Cady Lalanne un grande punto di forza e può ambire ad un ruolo da underdog.

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CONFERENCE USA – Ci si aspetta il salto di qualità da Louisiana Tech, che l’anno scorso ebbe il miglior record (13-3) assieme ad altre tre squadre, ma fu sconfitta da Tulsa nella finale del torneo di conference. Nella passata stagione i Bulldogs furono anche nella Top15 della nazione per punti, rimbalzi ed assist di media e furono infatti invitati al NIT. Quattro giocatori di un certo peso all’interno della squadra – Alex Hamilton, Raheem Appleby, “Speedy” Smith e Michale Kyser – sono ancora al loro posto. Smith, che fu anche miglior difensore della C-USA un anno fa, è il maggior indiziato per essere il leader della squadra, anche se il miglior marcatore sarà prevedibilmente uno tra Hamilton e Appleby. Non ha di che lamentarsi nemmeno UTEP, squadra di vertice già un anno fa con un record di 12-5, che si gode Julian Washburn, C.J. Cooper e soprattutto il sophomore Vince Hunter, miglior freshman della conference nella passata stagione con 12.3 punti e 6.5 rimbalzi di media. La profondità del frontcourt, però, non è affiancata da una pari densità nel backcourt e questo potrebbe creare qualche problema a coach Tim Floyd. In materia di giocatori interessanti, a Charlotte c’è la guardia Pierria Henry, che fu l’unico giocatore della C-USA a chiudere la passata stagione in doppia cifra di media per punti (12.3) e con almeno 5 rimbalzi e 5 assist a partita. I 49ers potranno ancora mandare in campo quattro dei sette giocatori che un anno fa disputavano 20 o più minuti a partita. Un altro dei migliori giocatori di questa conference è Aaron Bacote di Old Dominion, autore di ben 15.5 punti di media nella scorsa stagione. La nuova arrivata Western Kentucky (dalla Sun Belt) promette di infastidire le avversarie già alla sua prima stagione in C-USA e ha più che legittime ambizioni di classifica: con due giocatori come George Fant e T.J. Price, la strada è in discesa.

L’anno scorso tre squadre arrivarono in testa alla classifica della conference insieme a Louisiana Tech (13-3): Southern Miss, Middle Tennessee e Tulsa. La prima ha perso l’intero quintetto e quindi sarà costretta a vivere una stagione di transizione, senza poter ripetere il piazzamento dell’annata 2013/2014. La stessa situazione, all’incirca, che stanno attraversando a Middle Tennessee, dove il solo Reggie Upshaw Jr. – tra i giocatori attualmente nel roster dei Blue Raiders – stava in campo almeno 20 minuti nell’edizione passata di questa squadra. Tulsa, invece, ha cambiato conference e giocherà quest’anno nell’AAC con Connecticut e Southern Methodist. WEST COAST CONFERENCE – Questa conference non offre solitamente una gran varietà di risultati: dal 2009 al 2013, la finale del torneo WCC è stata per cinque volte consecutive tra Saint Mary’s e Gonzaga. L’anno scorso BYU ha interrotto la striscia positiva di apparizioni in finale dei Gaels, ma sono stati comunque i Bulldogs ad alzare al cielo il trofeo. Quest’anno la situazione non sembra essere poi troppo diversa, con Gonzaga che inizia la stagione come sempre da favorita e BYU e Saint Mary’s che sono le più quotate per raggiungere il secondo posto. Gonzaga ha una profondità da fare invidia a diverse squadre delle conference maggiori. I giocatori di ritorno sono elementi in grado di fare la differenza, come Kevin Pangos, Gary Bell Jr. e Przemec Karnowski. Ma non sono solo questi tre ad essere da garanzia per una stagione ad alti livelli: Gonzaga operato bene sul mercato dei transfers aggiungendo tre giocatori – Kyle Wiltjer, Byron Wesley e Eric McLellan – rispettivamente da Kentucky, USC e Vanderbilt. E poi ci sono i freshmen: Domantas Sabonis – considerato da Eurohoops come il miglior giocatore europeo nato nel ’96 – e il playmaker

Josh Perkins su tutti. I Bulldogs, Torneo che manca dal lontanissimo offensivamente parlando, sono una 1998. delle migliori squadre dell’intera nazione e la chiave del successo sarà riuscire a distribuire i minuti in Nella pagina precedente: maniera utile, visto che almeno dieci giocatori sono in grado di tenere il Shaka Smart (VCU) e Jordan campo. Se Karnowski è atteso alla Sibert (Dayton). miglior stagione della sua carriera In basso: Aaron Bacote al college, considerando che non ha più Olynyk e Dower davanti (ODU) e Kevin Pangos nelle gerarchie, Wesley – miglior (Gonzaga) marcatore di USC con 17.8 punti di media nella stagione 2013/2014 – è il realizzatore che era mancato a coach Few un anno fa. Per quanto riguarda le rivali, non si dovrebbe uscire dal trio composto da BYU, Saint Mary’s e San Fransisco. I destini dei Cougars dipendono totalmente da Tyler Haws, il giocatore che ha raccolto l’eredità di Jimmer Fredette nel college di Provo. Haws, nella stagione passata, ha segnato 23.2 punti di media – sesto miglior marcatore della nazione – e vorrà onorare la sua ultima stagione coi Cougars cercando di vincere per la prima volta la WCC, anche se la concorrenza di Gonzaga sembra onestamente insormontabile. Brigham Young potrà ancora contare su Kyle Collinsworth, che l’anno scorso ha collezionato cifre di tutto rispetto: 14 punti, 8.1 punti e 4.6 assist ad allacciata di scarpe. Brad Waldow, 15.1 punti e 7.4 rimbalzi di media l’anno scorso, è pronto ad iniziare una nuova stagione a Saint Mary’s e su di lui grava la responsabilità di dover riportare in finale i Gaels per reinstaurare la tradizione che negli ultimi anni li ha visti come i più accreditati rivali di Gonzaga. San Francisco, invece, deve capitalizzare la stagione da senior di Kruize Pinkins e Matt Glover: l’anno prossimo, infatti, Mark Tollefsen e Tim Derksen saranno gli unici reduci della squadra che ha fatto bene nella scorsa regular season. I Dons, due volte campioni NCAA con Bill Russell e K.C. Jones negli anni ’50, sognano una qualificazione o un invito per il

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quarto di finale del torneo di conference. Kyle Wilson è un forte candidato per essere il prossimo a ricevere il premio di miglior giocatore della conference e sarebbe un traguardo storico, perché nessun giocatore di Army è mai riuscito in questa impresa. Wilson, in ogni caso, non dovrebbe aver problemi a riconfermarsi come miglior marcatore della conference. Il non aver perso elementi di spicco sarà un fattore nella stagione di Army, che l’anno scorso ha avuto alti e bassi – nonostante un record positivo contro le squadre della Patriot – e non è riuscita ad arrivare oltre alla semifinale del torneo di conference.

DI FILIPPO ANTONELLI I dell’NCAA non è composta solo da istituzioni come ACC, Pac-12, OLTRE LE LaBigDivision Ten e le altre in cui giocano le potenze del college basketball. Esiste un gran numero di conference di minor rilievo in cui si danno battaglia squadre e giocatori MAJORS che sognano di arrivare fino al palcoscenico del Torneo NCAA. In questo articolo, analizziamo i giocatori da tenere d’occhio di 15 conference della D1. 15 GIOCATORI #15 JAMES DANIEL - MID-EASTERN ATHLETIC CONFERENCE Guardia, Sophomore, Howard Bison, 1.80m, 75kg DA TENERE 21ppg, 2.5rpg, 1.6apg, 36.8% dal campo, 39.4% da tre, 79.8% dalla lunetta D’OCCHIO Howard 2013/2014: 8-25 (5-11), quarti di finale torneo MEAC

La nostra lista parte con un realizzatore straordinario, e ne troverete tanti altri proseguendo con la lettura. Daniel ha una meccanica di tiro tutt’altro che affascinante: tiene il pallone spostato completamente a destra e carica dal basso. Ciò non gli ha impedito di essere il miglior tiratore dall’arco della MEAC nella passata stagione per numero di triple a segno e il quarto migliore per percentuale dalla lunga distanza. Numeri di per sé non straordinari: il giocatore ha anche collezionato un poco lusinghiero 33.7% da due con solo 64 canestri su 190 tentativi. Però abbiamo dimenticato fino ad ora di mettervi al corrente di un dato: era la sua prima stagione in NCAA e presentarsi in Division I con 21 punti di media, anche nella MEAC, non è materiale quotidiano. Daniel deve certamente migliorare sotto molti punti di vista: scelte di tiro, coinvolgimento dei compagni, intensità e presenza difensiva. Ciò non toglie che gli allenatori della conference hanno grande fiducia in lui e lo hanno votato come miglior giocatore della stagione che sta per iniziare. #14 KYLE WILSON - PATRIOT LEAGUE Guardia/Ala piccola, Junior, Army Black Knights, 1.92m, 86kg 18.4ppg, 2.6rpg, 1.5apg, 44.3% dal campo, 43.4% da tre, 79.1% dalla lunetta Army 2013/2014: 15-16 (10-8), semifinale torneo Patriot Attaccante dotato di molteplici dimensioni di gioco, ha una stazza che gli permette di non temere nessun difensore della squadra avversaria. Eccelle soprattutto sul primo passo per battere l’avversario in penetrazione e sul tiro in uscita dai blocchi, ma non è da sottovalutare nemmeno il suo tiro dal palleggio. Tra gli highlights della stagione passata spicca naturalmente il canestro in girata con cui ha messo al tappeto Bucknell a 12” dalla fine del 48

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#13 MARTEZ HARRISON - WESTERN ATHLETIC CONFERENCE Playmaker, Sophomore, UMKC Kangaroos, 1 ottobre 1993, 1.80m, 84kg 17.2ppg, 3.3rpg, 3.8apg, 1.7spg, 43.9% dal campo, 35.9% da tre, 63.8% dalla lunetta UMKC 2013/2014: 10-20 (7-9), primo turno torneo WAC Pirotecnico, non c’è termine migliore per definire il playmaker di UMKC. Giocatore velocissimo che si esprime al meglio in contropiede, non ha avuto difficoltà ad ambientarsi in NCAA dopo un’ottima carriera liceale alla Brewster Academy. La sua visione di gioco, soprattutto in transizione, è straordinaria, ma lo porta talvolta a chiedere troppo a se stesso o ai compagni e ad incappare in qualche palla persa evitabile. Il repertorio di Martez è arricchito dai frequenti cambi di direzione e crossover che lo rendono spettacolare ed imprevedibile. Certo, stando a quanto detto fino ad ora si potrebbe pensare ad un giocatore efficace unicamente quando i Kangaroos riescono a correre. In realtà anche a difesa schierata non è del tutto carente dal punto di vista delle letture offensive e, lontano dalla palla, sa muoversi e sfruttare decentemente i blocchi dei compagni. Il suo problema principale resta la struttura fisica, che ne limita l’efficacia nei pressi del ferro avversario quando si avventura in penetrazione. Le stoppate subite, infatti, sono abbastanza frequenti. #12 DYAMI STARKS NORTHEASTERN CONFERENCE Guardia, Senior, Bryant Bulldogs, 8 luglio 1992, 1.88m, 88kg 18.9ppg, 3.4rpg, 2apg, 41.5% dal campo, 36.8% da tre, 86% dalla lunetta Bryant 2013/2014: 18-14 (10-6), quarti di finale torneo NEC Se il tuo allenatore, che ha avuto la fortuna di allenare guardie come Troy Bell e Cuttino Mobley, dice che

sei uno dei migliori giocatori che abbia mai avuto a disposizione, allora vuol dire che il talento non ti manca. Guardare Starks è un’esperienza vietata ai deboli di cuore, perché non sai mai cosa possa estrarre dal cilindro nell’azione successiva. Le sue scelte di tiro, tuttavia, sono rivedibili e si concentrano solitamente al di là dell’arco dei tre punti: nella passata stagione la sua percentuale di realizzazione è calata rispetto al 40% dell’anno da sophomore. In ogni caso la sua tecnica di tiro è pulita e affidabile e non dovrebbe creargli particolari problemi al di là di fuori delle fisiologiche giornate storte. Nelle sue prime tre partite da junior, ha segnato 100 punti complessivi con un 32/59 totale al tiro. Inoltre, è un tiratore mortifero dalla lunetta. Il suo rivale numero uno per il titolo di miglior giocatore della NEC è Jalen Cannon di St. Francis (Bkn). I Bulldogs sperano che Starks si riveli il trascinatore di cui hanno bisogno per sognare la vittoria. #11 STEPHEN CROONE SOURTHERN CONFERENCE Playmaker, Junior, Furman Paladins, 29 luglio 1993, 1.82m, 77kg 19.1ppg, 4.4rpg, 3.7apg, 46.8% dal campo, 32.3% da tre, 75% dalla lunetta Furman 2013/2014: 9-21 (3-13), primo turno torneo SoCon È stato miglior marcatore, miglior passatore e terzo miglior rimbalzista dei Paladins nella passata stagione. Croone ha partecipato, segnando o fornendo l’assist, al 42% dei canestri segnati da Furman l’anno scorso. Il ragazzo è notevolmente migliorato rispetto alla stagione da freshman e fa della esplosività la sua arma migliore: Croone si è messo in mostra anche con un paio di prodigiose schiacciate nel traffico in faccia a difensori decisamente più alti di lui. Il tiro da fuori va, però, sistemato per riuscire a punire con maggiore costanza le difese che riescono ad impedire le sue incursioni. La sua azione tipica prevede una partenza in velocità da destra per battere l’uomo e arrivare al ferro, ma ha tempi di passaggio più che buoni sul penetra e scarica e sul pick and roll, qualità che rendono spesso e volentieri innocui gli aiuti difensivi dei lunghi. Lo sanno bene i Liberty Flames, che un anno fa lo hanno visto segnare 40 punti e catturare 11 rimbalzi. Sì, perché il folletto dei Paladins è una presenza fissa a rimbalzo e l’intera squadra riesce a partire più velocemente in transizione quando è direttamente Croone a recuperare il pallone sugli errori avversari. D’altronde, per un giocatore come lui che adora avere la palla in mano, non c’è niente di meglio che prenderla subito all’inizio dell’azione.

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#10 EGIDIJUS MOCKEVICIUS MISSOURI VALLEY CONFERENCE Centro, Junior, Evansville Aces, 1 settembre 1992, 2.09m, 102kg 10.5ppg, 8.3rpg, 2bpg, 62.7% dal campo, 72.9% dalla lunetta Evansville 2013/2014: 14-19 (6-12), quarti di finale torneo MVC Evansville può contare, nel reparto esterni, su un giocatore esplosivo come D.J. Balentine, capace di segnare 22.8 punti di media nella sua stagione da sophomore. Eppure, da spettatori europei quali siamo, non possiamo non rimanere catturati dal centrone degli Aces, il lituano Egidijus Mockevicius, che per la verità si è già fatto un nome nel nostro continente con la rappresentativa giovanile lituana, con cui ha vinto un Mondiale. Non ci dobbiamo stupire se, tra qualche anno, ritroveremo il suo nome nel basket europeo d’elite. Mano educata e aggressività in crescita rispetto ai suoi esordi, Mockevicius mette anche in campo una presenza difensiva senza eguali in questa conference, che è il vero segreto del suo successo. Ottimo stoppatore e rimbalzista tenace, ha già fatto parte del miglior quintetto difensivo della MVC nella passata stagione ed è stato votato dai media tra i cinque migliori giocatori della conference nell’annata che sta per cominciare. Se dovesse migliorare i movimenti spalle a canestro, sarebbe un’arma letale per gli Aces. #9 TYLER HARVEY - BIG SKY CONFERENCE Guardia, Junior, Eastern Washington Eagles, 17 luglio 1993, 1.93m, 84kg 21.8ppg, 4.2rpg, 2.7apg, 44.3% dal campo, 43.3% da tre, 89.7% dalla lunetta Eastern Washington 2013/2014: 15-16 (10-10), non qualificati al torneo Big Sky Abbiamo appena menzionato un giocatore europeo e ci troviamo ora ad inquadrare la realtà di un ateneo che pone grande attenzione al panorama internazionale. Eastern Washington ha infatti ben sei giocatori stranieri nel roster: tre australiani, un tedesco, un serbo e un ucraino. Il loro leader tecnico e carismatico – è infatti uno dei capitani della squadra – è tuttavia uno statunitense di Torrance, California, che non dovrebbe avere problemi a vincere il premio di MVP della Big Sky in questa stagione. L’esterno degli Eagles è un giocatore solido fisicamente ancor prima che tecnicamente. La capacità di resistenza al contatto è elevatissima e raramente sbaglia l’appoggio al tabellone. Carica tantissimo il tiro in sospensione ed è molto efficace se innescato in uscita dai blocchi. Nella sua seconda stagione ha 50

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collezionato un’alta percentuale di realizzazione dall’arco e, oltretutto, il suo raggio di tiro è ampio. Ci troviamo di fronte ad un attaccante difficile da contenere, fenomenale anche dalla lunetta e capace di dispensare assist quando la difesa avversaria collassa su di lui. #8 SIYANI CHAMBERS - IVY LEAGUE Playmaker, Junior, Harvard Crimson, 14 dicembre 1993, 1.83m, 77kg 11.1ppg, 2.4rpg, 4.6apg, 38.1% dal campo, 37.9% da tre, 73.3% dalla

lunetta Harvard 2013/2014: 27-5 (13-1), vincitori Ivy League, terzo turno Torneo NCAA Chambers è arrivato ad Harvard nel 2012 e, nelle due stagioni che ha disputato finora, i Crimson hanno partecipato al Torneo NCAA e hanno superato il secondo turno eliminando squadre molto più quotate come New Mexico e Cincinnati. Harvard ha di nuovo i favori del pronostico per trionfare nella Ivy in questa stagione e Chambers competerà per il premio di giocatore dell’anno, anche se il più accreditato per vincere resta il suo compagno Saunders. Chambers è un giocatore estremamente intelligente, che non ha però dalla sua una particolare esplosività o velocità. Caratteristiche che ne limitano l’efficacia nella metà campo offensiva, dove riesce ad esprimersi quasi unicamente dalla media e dalla lunga distanza. Si tratta tuttavia di un playmaker che eccelle nelle letture sul pick and roll e ha una visione di gioco sopra la media. Rispetto alla sua prima stagione in NCAA, è riuscito anche a limitare il numero delle palle perse. È un difensore discreto, con un buon fiuto per le palle rubate, e ha svolto egregiamente la sua parte in una stagione in cui Harvard ha concesso 61 punti a partita. #7 JORDAN REED - AMERICA EAST CONFERENCE Guardia/Ala piccola, Junior, Binghamton Bearcats, 16 gennaio 1994, 1.94m, 95kg 15.4ppg, 8.9rpg, 1.2apg, 41.4% dal campo, 35.9% da tre, 71.4% dalla lunetta Binghamton 2013/2014: 7-23 (4-12), quarti di finale torneo Am-East Il ragazzo ha lavorato moltissimo sul suo gioco ed è difficile non notare quanto sia migliorato da una stagione all’altra. Partiamo dalla sua qualità principale: l’atletismo. Reed è un super-atleta ed è in grado di mortificare gli avversari con schiacciate mozzafiato nel traffico o su un lob di un compagno. Questo strapotere atletico gli permette di essere il miglior rimbalzista della squadra ed uno dei migliori dell’intera America

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East. Non solo atletismo però, dicevamo. Rispetto alla sua prima stagione, il tiro in sospensione è decisamente più affidabile e anche dalla lunetta Reed ha migliorato le percentuali. Il lavoro sul tiro non gli ha ancora permesso di diventare una minaccia dal perimetro. Se riuscisse ad aggiungere anche questa dimensione al suo gioco, diventerebbe un giocatore devastante su entrambi i lati del campo. Qualcosa che manca quasi completamente a Reed, però, c’è: le vittorie. Ha vinto solo 9 delle 57 partite che ha giocato in Division I. Un bottino troppo magro per un giocatore del genere, che deve obbligatoriamente invertire il trend negativo nel suo anno da junior. #6 JACOB PARKER - SOUTHLAND CONFERENCE Ala piccola, Senior, Stephen F. Austin Lumberjacks, 9 luglio 1993, 1.98m, 95kg 14.2ppg, 7.1rpg, 2apg, 53.8% dal campo, 46.9% da tre, 79.9% dalla lunetta Stephen F. Austin 2013/2014: 32-3 (18-0), vincitori torneo Southland, terzo turno Torneo NCAA La vittoria di Harvard su Cincinnati è stata una sorpresa, ma nello scorso Torneo NCAA l’impresa più grande è stata probabilmente quella dei Lumberjacks, che hanno sconfitto VCU all’overtime grazie a 22 punti – e a un canestro decisivo con 1’ da giocare – di Jacob Parker. Quest’ultimo ha vinto il premio di miglior giocatore della Southland in una stagione che è stata quasi perfetta per Stephen F. Austin: i texani si sono presentati al Torneo con un record di 31-2 dopo aver vinto tutte le partite con le rivali della conference. L’artefice principale del successo è da ricercare sulla panchina della squadra: coach Underwood ha cambiato la mentalità dei Lumberjacks, lavorando su una pallacanestro basata su difesa e tiro da tre e coinvolgendo i ragazzi. Parker è il giocatore che più ha beneficiato della cura Underwood, trasformandosi da uomo di rotazione a leader tecnico di una formazione che ha sorpreso gli interi Stati Uniti. L’ala dei Lumberjacks ha risolto diverse partite con canestri decisivi e ha dimostrato di non avere feeling solo con il tiro da fuori, ma di poter fare male anche nei pressi del canestro avversario e di disporre di mezzi atletici tutt’altro che disprezzabili. Riuscire a ripetere una stagione come quella dell’anno scorso, per Parker e per i suoi compagni sarà difficile, anche perché i Lumberjacks hanno perso qualche elemento di spicco. L’unica certezza è che il miglior giocatore della Southland, anche quest’anno, gioca a Stephen F. Austin.

#5 KEIFER SYKES - HORIZON LEAGUE Playmaker, Senior, Green Bay Phoenix, 30 dicembre 1993, 1.82m, 82kg 20.3ppg, 4.4rpg, 4.9apg, 46.9% dal campo, 30.9% da tre, 81% dalla lunetta Green Bay 2013/2014: 24-7 (14-2), semifinale torneo Horizon, primo turno NIT La stagione 2013/2014 si è conclusa nel peggiore dei modi per i Phoenix: dopo aver dominato la Horizon in regular season, Sykes si è fatto male e Green Bay ha perso contro Milwaukee nella semifinale del torneo di conference, non potendo accedere al Torneo NCAA. Il quintetto base, in ogni caso, è rimasto sostanzialmente inalterato dalla scorsa stagione, ad eccezione del centro Alec Brown che ha terminato i suoi anni al college ed è stato scelto al Draft NBA dai Phoenix Suns. La partenza di Brown non fa altro che aumentare le responsabilità di Sykes, che l’anno scorso è stato protagonista anche sul versante riconoscimenti individuali: giocatore dell’anno della Horizon e menzione tra i migliori giocatori della nazione secondo l’Associated Press. La qualità principale di Keifer Sykes è senza dubbio il disumano atletismo che gli consente di non soffrire più di tanto dei problemi che usualmente affliggono i playmaker di 1.80m. Sykes è un giocatore in grado di arrivare al ferro senza difficoltà anche quando gli avversari provano a frapporsi tra lui e il canestro. Nella passata stagione ha deliziato i fan del college basketball con alcune schiacciate spettacolari nel traffico, la migliore delle quali è probabilmente quella al volo contro gli UIC Flames. Sarebbe però riduttivo considerarlo unicamente come uno schiacciatore: ha un ball-handling eccezionale, una visione di gioco sopra la media, un tiro dal palleggio in crescita e anche dal perimetro sta lavorando per attestarsi su livelli accettabili. Non è un difensore eccellente, ma sa dare fastidio al portatore di palla. I miglioramenti che ha mostrato stagione dopo stagione ci portano a credere che per lui nulla sia impossibile e che, dopo un’apparizione di alto livello al camp di Chris Paul dedicato ai playmaker, le porte della NBA non siano completamente serrate. #4 CAMERON PAYNE - OHIO VALLEY CONFERENCE Playmaker, Sophomore, Murray State Racers, 8 agosto 1994, 1.88m, 80kg 16.8ppg, 3.6rpg, 5.4apg, 1.7spg, 40.4% dal campo, 34.1% da tre, 77.4% dalla lunetta Murray State 2013/2014: 23-11 (13-3), semifinale torneo OVC, vincitori CIT Payne non è di certo entrato in NCAA e nella Ohio Valley Conference in punta di piedi. I Racers, dopo aver perso giocatori come Canaan, Poole e Ed Daniel, sembravano

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destinati ad una stagione di transizione. Invece si sono ritrovati in casa un elemento di livello assoluto, capace di conquistarsi l’All-OVC Team da freshman e di essere considerato come favorito per il premio di miglior giocatore della conference nella stagione che deve ancora iniziare. Le prestazioni di Payne hanno permesso a Murray State di disputare un’ottima regular season e di vincere il CIT, un torneo a 32 squadre riservato alle mid-majors che non sono state invitate al Torneo NCAA, al NIT o al CBI. E, dopo risultati del genere, è normale che si sprechino i paragoni tra Cameron Payne e proprio Isaiah Canaan, che gioca nei Rockets e che fu protagonista di una stagione da 31 vittorie e 2 sconfitte con Murray State. I due non sono del tutto simili come caratteristiche: Payne è più plamaker, Canaan più realizzatore. Ma quello che hanno in comune è il ruolo all’interno della squadra, dal momento che Payne ha raccolto l’eredità del suo predecessore e si è conquistato sul campo i gradi di trascinatore. Sono state anche le circostanze ad aiutarlo: Zay Jackson, che avrebbe dovuto essere il playmaker titolare dei Racers nella passata stagione, si è infortunato al ginocchio a ottobre 2014. Payne ha così avuto tutto il tempo per giocare e ambientarsi in NCAA. Dall’arco dei tre punti non è sempre preciso, ma ha garantito comunque due canestri pesanti di media nella sua prima stagione in NCAA. In generale, l’elevato numero di punti a partita è ascrivibile più all’egualmente elevato numero di tentativi che alla presenza di doti realizzative di primo livello. La visione di gioco, invece, è indiscutibile e permette all’intera squadra di giocare una pallacanestro gradevole ed efficace. I Racers intendono tornare a stupire la nazione. #3 JOHN BROWN - BIG SOUTH CONFERENCE Ala piccola/Ala grande, Junior, High Point Panthers, 28 aprile 1992, 2.02m, 93kg 19.5ppg, 7.7rpg, 1.9apg, 1.6bpg, 1.5spg, 54.5% dal campo, 74.5% dalla lunetta High Point 2013/2014: 16-15 (12-4), quarti di finale torneo Big South, primo turno NIT Considerando il valore della squadra, difficilmente coach Cherry sarà stato soddisfatto da come i suoi ragazzi si sono comportati nel torneo della Big South: i Panthers son stati eliminati ai quarti di finale da Winthrop per una tripla sulla sirena di Andre Smith. A giocare per High Point nel corso della stagione 2014/2015 ci saranno ancora due giocatori importanti come Devante Wallace – che nella scorsa stagione ha tirato col 49.1% dall’arco – e Adam Weary, ma l’attrazione principale dell’ateneo del North Carolina sarà ancora una volta l’ala John Brown. I Panthers si candidano quindi come 52

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principali rivali di Coastal Carolina per la vittoria finale nella Big South. Brown, che in questa conference ha già ricevuto il premio di Freshman of the Year (2013) e di giocatore dell’anno (2014), potrebbe essere il primo giocatore da Art Parakhouski (2009 e 2010) a vincere il massimo premio individuale della Big South per due stagioni consecutive. Brown è uno di quei giocatori che, semplicemente, ha troppa energia e troppo atletismo perché gli avversari possano reggere il suo passo. Da un punto di vista tecnico è tutto meno che un prodigio e difetta quasi del tutto di tiro dalla distanza: nei primi due anni al college ha tentato solo 5 tiri dall’arco senza realizzarne nemmeno uno. Tuttavia, durante la sua stagione da sophomore, si è visto qualche miglioramento spalle a canestro e nelle conclusioni dal palleggio. Nei pressi del canestro avversario è un acrobata: ha una vasta gamma di movimenti per schivare i difensori e appoggiare indisturbato al vetro. L’elevazione è spaventosa e permette a Brown di collezionare un gran numero di schiacciate, anche a rimbalzo offensivo o su lob di un compagno. In difesa si rende utile con stoppate sull’aiuto e con grandi letture sulle traiettorie di passaggio, che gli permettono di recuperare palla e di ripartire per facili contropiedi. Difficile prevedere dove lo porterà il suo percorso di crescita e a quale livello si ritroverà al termine della sua carriera universitaria, ma di certo Brown è un giocatore versatile e spettacolare che può fare le fortune di un college come High Point. #2 SHAWN LONG - SUN BEL CONFERENCE Ala grande/Centro, Junior, LouisianaLafayette Ragin’ Cajuns, 29 gennaio 1993, 2.06m, 111kg 18.6ppg, 10.4rpg, 2.7bpg, 52.2% dal campo, 42.3% da tre, 67.4% dalla lunetta UL Lafayette 2013/2014: 23-12 (11-7), vincitori torneo Sun Belt, secondo turno Torneo NCAA 16 marzo 2014, i Georgia State Panthers di Ryan Harrow e R.J. Hunter, favoriti d’obbligo dopo una regular season da 17-1 contro le avversarie di conference, perdono al supplementare la finale del torneo della Sun Belt contro Louisiana-Lafayette. All’epoca il giocatore che catturava maggiormente l’attenzione era certamente Elfrid Payton, anche se l’MVP di quella finale fu Xavian Rimmer. Nei Ragin’ Cajuns c’è un altro giocatore in grado di ripetere i passi di Payton, portando la squadra al successo e attirando le attenzioni degli scout NBA. Shawn Long ha avuto un incredibile anno da sophomore, bissando la doppiadoppia della sua stagione d’esordio ed incrementando tutte le sue cifre nonostante un minutaggio ridotto. Il ragazzo è tecnicamente il centro della squadra, ma in

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realtà le sue caratteristiche peculiari gli permettono di essere alquanto versatile sul campo da basket. È veloce, dinamico e atletico, con buone capacità offensive nei pressi del ferro avversario, ma al contempo anche una precisione invidiabile al tiro dalla lunga distanza. Con la partenza di Elfrid Payton, le attenzioni delle difese avversarie saranno tutte su di lui e bisognerà allora valutare come sarà in grado di reagire a queste novità – tra cui un numero maggiore di raddoppi – e come si comporterà senza i passaggi precisi del nuovo playmaker degli Orlando Magic, che era in grado di innescarlo a ripetizione. Ecco il commento che ci ha rilasciato il suo coach, Bob Marlin: «Sa fare un po’ di tutto: tiri, rimbalzi e stoppate. Il suo rivale per il titolo di miglior giocatore della conference quest’anno è R.J. Hunter di Georgia State, che ha già vinto l’anno scorso. Shawn ha una chance di raggiungere Elfrid in NBA al termine della sua carriera qui e, nelle prossime due stagioni, deve dimostrare di poter giocare a questi livelli con continuità. L’assenza di Payton, che era suo amico e compagno di stanza, oltre che il playmaker, si farà sentire, ma penso che Shawn se la caverà benissimo comunque. Sarà il leader della squadra e dovrà adattarsi a giocare coi nuovi compagni». #1 ALAN WILLIAMS - BIG WEST CONFERENCE Centro, Senior, UC Santa Barbara Gauchos, 28 gennaio 1993, 2.03m, 120kg 21.3ppg, 11.5rpg, 2.4bpg, 53.3% dal campo, 68.5% dalla lunetta UCSB 2013/2014: 21-9 (12-4), quarti di finale torneo Big West In cima alla nostra Top 15 non può che esserci Big Al, il centro dei Gauchos che ha letteralmente distrutto ogni avversario che si è trovato davanti nella passata stagione. Un potenziale All-American, nonostante giochi in una piccola conference come la Big West. I suoi sostenitori – tra cui troviamo il famoso giornalista e blogger Ken Pomeroy, che ha addirittura inserito una sezione fissa dedicata ad Alan Williams all’interno del suo resoconto settimanale sul college basketball – sperano ardentemente che il centro di UCSB abbia la possibilità nel 2015 di entrare nel tabellone del Torneo NCAA, circostanza che non si è verificata quest’anno a causa della inspiegabile sconfitta per 31 punti rimediata dai Gauchos contro una squadra meno quotata come Cal Poly al primo turno del torneo della Big West. L’anno scorso Williams è stato un’autentica macchina da statistiche e non solo: decimo miglior marcatore e secondo miglior rimbalzista della nazione; quindici

doppie-doppie; nove partite con 15 o più rimbalzi catturati; 39 punti, 9 rimbalzi e 8 stoppate contro South Dakota State; 27 punti e 20 rimbalzi contro UC Davis. Non siete ancora impressionati? Allora è arrivato il momento di giocarci il carico pesante: durante la prima parte di stagione, ha sfidato tre squadre – UNLV, UCLA e California – di prima fascia nel panorama del college basketball. In quelle tre sfide, ha riportato due vittorie e ha collezionato 22.6 punti e 9.6 rimbalzi di media con un 28/51 complessivo al tiro. Segno che, tutto sommato, Williams potrebbe stare tranquillamente anche ai quei livelli e che le sue incredibili statistiche non sono solo figlie del giocare in una conference come la Big West. La statura – è alto poco più di due metri – non gioca a suo favore, ma Williams compensa con un’energia fuori dal comune e con una struttura fisica che gli permette di spazzare via i giocatori che si interpongono tra lui e il canestro. In difesa tende a prendersi delle pause con troppa frequenza e non sempre riesce a gestire i falli con lucidità, ma ha comunque un buon fiuto per la stoppata e sa farsi valere sotto canestro. L’istinto per il rimbalzo resta la sua qualità principale: non importa dove cadrà la palla, la certezza è che Williams, di fisico o di energia, riuscirà ad arrivarci prima degli altri. L’unica pecca da questo punto di vista, se proprio vogliamo trovarne una, è che rispetto alla stagione da sophomore ha catturato meno rimbalzi offensivi. In attacco è migliorato di anno in anno, anche dal punto di vista delle percentuali, e garantisce punti e grande impatto. Ha un semigancio affidabile, una capacità incredibile di resistere ai contatti e una buona velocità che gli consente di convertire in canestro un rimbalzo offensivo prima che gli avversari possano intervenire. I movimenti spalle a canestro non sono eccellenti, ma hanno una notevole efficacia. Negli ultimi due anni, Big Al è diventato il punto di riferimento principale di UCSB grazie alla sua crescita costante e ad un mix di caratteristiche tecniche e fisiche che lo rendono un materiale unico nella Big West. Non è un caso che il centro dei Gauchos abbia concluso quasi il 37% dei possessi della sua squadra nei minuti in cui è stato in campo. Adesso Williams deve fare in modo di incanalare la sua produttività verso la vittoria del torneo di conference. Un risultato che UCSB, ironia della sorte, ha raggiunto consecutivamente nel 2010 e nel 2011 – le due stagioni precedenti all’arrivo di Williams – con Orlando Johnson, ma che non si è ripetuto con Big Al in campo. Se non riuscisse a raggiungere il Torneo NCAA neanche nella sua stagione da senior, sarebbe un grande peccato per tutti gli appassionati e anche per lui, che non avrebbe a disposizione una vetrina così importante per imporsi definitivamente all’attenzione nazionale.

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INTERVISTA CON ALAN WILLIAMS

OLTRE LE MAJORS IL #1 DELLA TOP 15

6 DOMANDE AD UNO DEI PROSPETTI PIU’ INTERESSANTI CHE LE CONFERENCE DI MINOR RILIEVO HANNO DA OFFRIRE

Sei probabilmente il miglior rimbalzista della nazione. Come ti alleni per migliorare a rimbalzo? Come fai a trovare quasi sempre la posizione corretta nel pitturato? «In allenamento mi concentro sempre sulle meccaniche di tiro dei miei compagni per studiare le traiettorie e stabilire dove cadrà il pallone. Anche per la posizione il meccanismo è lo stesso: guardo da dove parte il tiro e provo a capire dove devo piazzarmi per catturare il rimbalzo». Le tue abilità in post basso ti hanno permesso di mantenere buone percentuali di tiro nella passata stagione. Pensi che l’importanza del semigancio nel basket moderno sia un po’ sottovalutata? «Ritengo che il semigancio sia la parte migliore del mio repertorio ed effettivamente è una tecnica che funziona alla perfezione per me. Effettivamente al giorno d’oggi è un po’ come una forma d’arte smarrita, ma penso che i giovani giocatori dovrebbero esercitarsi in questo tipo di tiro perché ha un’alta efficacia».

di fine anno. Non solo: siamo una squadra di talento e con una panchina profonda, quindi abbiamo le carte in regola per stupire qualcuno a quel punto della stagione. Certo, sostituire Kyle è veramente difficile per noi, ma abbiamo affiancato qualche ragazzo di talento ai giocatori di ritorno nei ruoli di guardia e ala, per cui ce la possiamo fare». Nonostante la tua incredibile produttività, sei passato un po’ sottotraccia negli ultimi anni. Anche questo contribuisce a darti le motivazioni per continuare a migliorare? Pensi che affrontare squadre come Kansas, SMU, Oregon e Oregon State durante la prima parte di stagione ti aiuterà a catturare l’attenzione nazionale? «Assolutamente sì. Mi sento motivato a continuare a lavorare duramente per migliorare giorno dopo giorno e dimostrare a tutti che si sbagliavano a non prendermi più

Avete perso contro Cal Poly nel primo turno del torneo della Big West. Riuscirà la squadra a rialzarsi e a qualificarsi per il prossimo Torneo NCAA, anche senza Kyle Boswell? «Penso che siamo abbastanza forti da poter rientrare nella lotta per occupare una posizione al Torneo 54

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di tanto in considerazione. Le gare contro avversarie di quel livello sono una grande opportunità non solo per me, ma per l’intera squadra. Ci possono permettere di guadagnare visibilità a livello nazionale e sarebbe grandioso per tutti noi». Quest’estate hai giocato nella Drew League. E’ stato difficile adattarti a giocare con guardie come Baron Davis e Mike Efevberha? «Prendere parte alla Drew League è stata un’esperienza fantastica e mi ha aiutato moltissimo a crescere come giocatore. Non direi che è stato difficile adattarmi, alla fine si trattava solo di svolgere un compito diverso rispetto a quello che mi viene assegnato a UCSB. Nella mia squadra della Drew League ero un role player e dovevo fare semplicemente quello che serviva per la vittoria». Da vero fan di Harry Potter quale sei, lasceresti il basket per il quidditch? In quale ruolo ti piacerebbe giocare? «Amo troppo il basket, non potrei mai abbandonarlo! Comunque, se dovessi giocare a quidditch, mi piacerebbe essere il portiere titolare nella squadra di Grifondoro!».

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#10 JUSTISE WINSLOW

I 10 MIGLIORI FRESHMAN DI CLAUDIO PAVESI Andrew Wiggins, Jabari Parker e molti altri hanno preso sottogamba la classe del 2015, che si preannuncia davvero interessante e ricca di talento, soprattutto per la presenza di molti lunghi di alto livello e pronti ad avere impatto fin da subito, materiale che in NCAA mancava da tempo. Andiamo a scoprire i dieci principali freshman dell’anno.

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Duke, Ala piccola/Guardia, 1.98m, 102kg, 26 marzo 1996 Numero 16 secondo ESPN, numero 12 secondo Rivals.com Cominciamo questa classifica con un giocatore di Duke, ma non sarà l’unico. Winslow potrebbe non avere grandi statistiche dato ai Blue Devils troverà un mix di freshman e giocatori più esperti che dovrebbero togliergli alcuni possessi dalle mani, non è quindi difficile prevedere che non potrà ripetere l’annata da 27 punti di media con cui ha concluso la sua carriera liceale. Questo ragazzo ha un fisico clamoroso ma stupisce per alcune caratteristiche non banali per un freshman del 1996: il QI cestistico, i fondamentali e la difesa. Winslow è infatti un difensore favoloso, in grado di marcare guardie e ali piccole e sa anche quando frenarsi e non esagerare. L’esperienza con la squadra Under-18 di Team USA lo ha aiutato. Un suo limite sta nel creare gioco dal palleggio ma con Cook e Tyus Jones in squadra non sarà un problema. Non è un grande tiratore dall’arco né dalla lunetta ma saprà rendersi utile per Duke, specialmente da ala piccola (suo ruolo naturale), mai come ora che Jabari Parker e Rodney Hood sono in NBA.

#9 ISAIAH WHITEHEAD

Seton Hall, Guardia/Playmaker, 1.93m, 95kg, 8 marzo 1995 Numero 15 secondo ESPN, numero 16 secondo Rivals.com Stephon Marbury, Sebastian Telfair e Lance Stephenson sono tre dei giocatori più entusiasmanti usciti da Lincoln High School ma Whitehead è pronto ad aggiungersi alla lista. Velocissimo, dotato di un gran tiro, di un’incredibile capacità di concludere in entrata e di un ball handling tipico di chi ha giocato tanto sul cemento quanto sul parquet, questo ragazzo porta con sé tutta la sicurezza, la voglia di vincere e la spocchia di Brooklyn. Capace di giocare da guardia ma anche da playmaker, unisce le sue doti da realizzatore a una notevole capacità di trovare il compagno libero non appena un difensore si stacca per aiutare il suo marcatore, costantemente bruciato ogni volta che la nuova stella dei Pirates punta il ferro. Nonostante sia considerato tra le migliori due guardie della classe freshman 2014 ha scelto Seton Hall per rivoluzionare la storia del programma universitario, come Lance Stephenson scelse Cincinnati. A Born Ready non andò benissimo, ora però tocca a Whitehead smentire gli scettici.

#8 KEVON LOONEY

UCLA, Ala piccola/Ala grande, 2.05m, 100kg, 6 febbraio 1996 Numero 13 secondo ESPN, numero 10 secondo Rivals.com Il reparto lunghi e ali di UCLA è piuttosto ridotto, per questo motivo Looney dovrebbe avere un minutaggio molto ampio e un ruolo importante. Offensivamente è uno dei giocatori, non solo freshman, più completi che ci siano. Alcuni dicono che dovrebbe lavorare sul fisico e diventare una sorta di Kevin Love, altri invece dicono che mantenendo la magra corporatura attuale e aumentando la velocità di esecuzione potrebbe essere un giocatore sullo stile di Kevin Durant. In ogni caso si cade in piedi. Cosa vorrà diventare spetterà a lui ma di sicuro abbiamo davanti un giocatore capace di segnare in ogni modo e da ogni parte del campo, inoltre le braccia lunghe gli consentiranno una discreta presenza a rimbalzo ma al tempo stesso sfoggerà un grande ball handling dato che al liceo spettava sempre a lui portare palla. Looney inoltre è molto disciplinato, quasi mai tenta una stoppata “per i fotografi”, preferisce infatti effettuare giocate difensive che gli permettano di recuperare il possesso.

#7 KELLY OUBRE

Kansas, Ala piccola, 2.01m, 91kg, 9 dicembre 1995 Numero 12 secondo ESPN, numero 6 secondo Rivals.com Un’ala piccola “alla Wiggins” destinata a passare subito in NBA? Sì e no. Oubre ha un talento spropositato e un potenziale clamoroso che dovrebbe portarlo a essere una scelta di lotteria già al prossimo Draft ma come stile di gioco non potrebbe essere più diverso da Wiggins. Questo mancino è sì esplosivo ma non ha un gran ball handling e soprattutto non ha la potenza fisica di Wiggins, in compenso ha un arsenale di fondamentali che Wiggins deve ancora costruire: Oubre infatti è quasi certamente il miglior tiratore dell’intera classe di freshman del 2014. Il rilascio è vellutato ed elegante, inoltre la sua altezza e la lunghezza delle sue braccia rendono il jumper praticamente impossibile da stoppare. Se dovesse aumentare il tonnellaggio parleremmo di uno dei migliori dieci giocatori dell’intera NCAA ma nel frattempo la sua perimetralità aprirà molti spazi ai compagni Cliff Alexander, Perry Ellis e Wayne Selden, rendendo l’attico di Kansas uno dei più temibili d’America.

#6 CLIFF ALEXANDER

Kansas, Ala grande, 2.04m, 109kg, 16 novembre 1995 Numero 3 secondo ESPN, numero 4 secondo Rivals.com Aggiungete qualche muscolo ai Bronzi di Riace e avrete il fisico di Alexander. Potente, atletico e verticale come pochi, Alexander ricorda per forza di cose Thomas Robinson, sia per lo stile di gioco che per la scelta di Kansas. Molti lo considerano tra i migliori tre freshman dell’anno ma allora perché in questa Top 10 è solo sesto? Il ragazzo ha sicuramente un potenziale disumano ma resta ancora grezzo, inoltre rispetto a Thomas Robinson è quei cinque o sei centimetri più basso che potrebbero farlo soffrire contro i lunghi più grossi e tecnici, particolarmente abili nel post basso. Alexander infatti se preso da fermo può essere gestito, sia in attacco che in difesa, ma se arriva lanciato non c’è speranza: in attacco è un sicuro canestro e fallo, in difesa invece arriverà di certo una stoppata che manderà il pallone sulla bibita della signora in quindicesima fila. Ci si aspetta tanto, forse troppo considerando quanto è ancora grezzo, ma Bill Self ha di sicuro un piano per farlo risplendere.

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#5 MYLES TURNER

#3 STANLEY JOHNSON

#1 JAHLIL OKAFOR

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Texas, Centro, 2.10m, 109kg, 24 marzo 1996 Numero 2 secondo ESPN, numero 9 secondo Rivals.com E’ un centro e non ci sono dubbi ma il fisico ancora magrolino, da liceale, e la presenza in squadra del possente Cameron Ridley dovrebbero portarlo a giocare spesso da numero quattro proprio al fianco del corpulento compagno già citato. Turner non dovrebbe soffrire per questa variazione dato che non solo possiede grande atletismo e un discreto, seppur in miglioramento, gioco in post basso, ma fa del gioco fronte a canestro la sua specialità. A Turner piace puntare l’avversario, gli piace snervarlo con un ottimo palleggio per poi finirlo con un jumper dalla media o anche dalla lunga distanza. In difesa è discontinuo ma con quelle braccia “alla Durant” arriva su ogni pallone anche se in ritardo. L’unico enigma riguarda l’ambientamento a Texas perché non solo dovrà condividere sì il campo con Ridley ma anche con due rinomati solisti come Jonathan Holmes e Isaiah Taylor. Con la palla in mano è una certezza quindi non serve altro che i compagni gliela consegnino spesso. Arizona, Ala piccola, 2.01m, 110kg, 29 maggio 1996 Numero 7 secondo ESPN, numero 3 secondo Rivals.com Johnson è il freshman più pronto per la NBA che si possa trovare in NCAA. Il fisico è scultoreo, l’esplosività è irreale ma la verità è che questa è solo una piccola parte del pacchetto-Johnson. L’ex Mater Dei High School ha un ball handling da playmaker, un crossover letale, sa tirare da tre punti e dalla media, è uno schiacciatore da sogno e, come se non bastasse, trova con estrema facilità i compagni sugli scarichi. I suoi compagni di Arizona, dopo il primo allenamento, hanno detto alla stampa che questo ragazzo non è marcabile da nessuno e tenderei a fidarmi. La sua dote principale però è un’altra: vincere. Come Jabari Parker anche Johnson ha vinto il titolo statale (nel suo caso della California) per tutti e quattro gli anni di liceo ma ci ha aggiunto anche due ori olimpici con le squadre giovanili di Team USA e il titolo di MVP del McDonald’s All-American Game, la partita che schiera ogni anno i migliori liceali d’America. Non credo voglia smettere di vincere. Duke, Centro, 2.09m, 122kg, 15 dicembre 1995 Numero 1 secondo ESPN, numero 1 secondo Rivals.com Finiamo come abbiamo cominciato, con un giocatore di Duke, probabilmente il più forte e interessante dell’intero panorama collegiale. E’ vero, è un’affermazione forte dato che è solo un freshman, inoltre Duke negli ultimi anni ha sempre avuto i propri leader offensivi negli esterni, i lunghi più efficaci invece sono sempre stati dei grandi difensori e/o grandi atleti. Okafor è a Duke per rompere gli schemi, degli avversari e forse anche della stessa Duke. Dimenticatevi il tipico atleta saltatore, è un elegantissimo dominatore del post basso dotato di piedi veloci, da pugile, e un uso del piede perno da fare invidia a molti giocatori NBA. Grosso ma non ancora molto potente, dovrà imparare a sfruttare maggiormente il proprio fisico e dovrà lavorare in palestra per ridistribuire meglio il peso. Testa sulle spalle e maturità lo rendono il giocatore ideale per recepire gli ordinamenti di Coach K, con cui pare avere un grande feeling. Difficile dire se sarà la prima scelta assoluta al prossimo Draft, ma ha tutte le carte in regole per dominare in NCAA. WWW.MY-BASKET.IT

#4 TYUS JONES

#2 KARL-ANTHONY TOWNS

Duke, Playmaker, 1.85m, 86kg, 10 maggio 1996 Numero 4 secondo ESPN, numero 7 secondo Rivals.com Finalmente un playmaker. Negli ultimi anni i playmaker di Duke hanno sempre avuto grande impatto pur essendo quasi sempre giocatori non entusiasmanti o particolarmente fenomenali, l’unica vera stella infatti era Kyrie Irving per via di un infortunio giocò pochissimo con i Blue Devils. Jones è uno dei migliori playmaker passati a Duke da anni a questa parte e, nonostante la presenza di un playmaker esperto come Cook in squadra, potrà dare subito leadership e ordine ai Blue Devils. Sia lui che Cook sanno passare benissimo il pallone (Jones probabilmente di più) ma sanno anche segnare, Jones infatti ha un ottimo range di tiro e dalla lunga distanza sarà utile anche sugli scarichi, per questo non dovremmo stupirci se vedremo Coach K schierare il doppio playmaker, opzione che tra l’altro potrebbe favorire non poco anche l’altro favoloso freshman Jahlil Okafor. Non siamo ancora certi di cosa vedremo a Duke ma di certo ci si divertirà.

Kentucky, Centro/Ala grande, 2.10m, 108kg, 15 novembre 1995 Numero 9 secondo ESPN, numero 5 secondo Rivals.com Dopo avere visto più e più partite di Karl Towns posso dirlo: non ricordo un freshman così completo da anni a questa parte. Ha già un ottimo fisico da centro ma volendo può giocare anche da ala piccola. Tira dalla media, gioca in post, è un passatore eccezionale e quasi sempre riesce a battere gli avversari puntandoli dal palleggio da fuori area. In difesa ha ottimi istinti da stoppatore anche se talvolta si fa ingolosire troppo e sbaglia il tempo dell’aiuto. L’ho visto tirare da tre punti, rubare palla al playmaker avversario e condurre il contropiede. Insomma, cose incredibili. Karl Towns non è un freshman come gli altri, è speciale e Calipari lo sa bene perché il suo ex assistente Orlando Antigua ha più volte convocato questo ragazzo classe 1995 nella nazionale della Repubblica Dominicana. La sua presenza consentirà a Calipari di avere una serie quasi infinita di quintetti, alcuni di questi dotati di una quantità di centimetri e chili che alcune squadre NBA si sognano.

NOTA DELLA REDAZIONE - Le statistiche liceali lasciano spesso il tempo che trovano e sono anche piuttosto difficili da reperire, quindi in questa classifiche, come avete potuto vedere, sono state sostituite dalla posizione nella classifica generale della freshman class secondo i due principali siti di classificazione dei liceali: ESPN.com e Rivals.com

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#10 CHRIS WALKER

I 10 MIGLIORI SOPHOMORE DI CLAUDIO PAVESI La classe dei freshman del 2013 è stata una delle più celebrate e discusse degli ultimi anni, ma ormai molti dei talenti più cristallini di questa annata sono in NBA. Ciò non toglie che nel panorama collegiale sono rimasti ancora tanti ottimi giocatori che si apprestano a cominciare il secondo anno al college: alcuni di loro sono già delle stelle, altri lo stanno diventando, andiamo a scoprire chi sono i dieci sophomore più intriganti della stagione NCAA 2014-15.

#9 RODNEY PURVIS

#7 ANDREW HARRISON

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Connecticut, Playmaker/Guardia, 1.93m, 93kg, 14 febbraio 1994 8.3ppg, 2.4rpg, 1.3apg, 44.2% dal campo, 38.5% da tre, 51% dalla lunetta (a North Carolina State) Forse esagero ma Purvis ha tutto per continuare la tradizione dei super playmaker di UConn dopo Kemba Walker e Shabazz Napier pur avendo un gioco diverso, meno perimetrale e più da “combo guard” alla Derrick Rose quando giocava ai Memphis Tigers. Purvis ha un fisico scolpito nella roccia per essere un “piccolo” e il suo atletismo porta inevitabilmente il paragone a Rose, inoltre Ollie ha giurato di averlo fatto lavorare moltissimo sul limitare le palle perse e su una maggiore ricerca dei compagni, spesso ignorati in passato a favore di una carica verso il ferro. Purvis nel 2012 scelse di andare a Lousville, ruppe il commitment e andò a North Carolina State dove giocò bene (come vedete dalle statistiche). Ha aspettato il consueto anno per scendere in campo con UConn e coach Ollie ha parlato di questo evento dicendo: “la mia nuova Ferrari è fuori dal garage”. Un motivo ci sarà. Kentucky, Playmaker/Guardia, 1.98m, 95kg, 28 ottobre 1994 10.8ppg, 3.2rpg, 4.0apg, 36.7% dal campo, 35.1% da tre, 76.4% dalla lunetta La scorsa stagione di Andrew può essere definita deludente, almeno dal punto di vista individuale. E’ vero, le statistiche non sono male ma tutti si aspettavano una sorta di nuovo John Wall, un giocatore da prime dieci chiamate già al Draft 2014 ma le 2.7 palle perse a partita, il 37% al tiro e alcuni blackout in momenti cruciali di partite importanti (l’opposto del gemello) hanno danneggiato la sua immagine. Andrew resta un talento incredibile, capace di fare qualsiasi cosa in campo, d’altronde è un playmaker di 2 metri. Calipari ha dichiarato di credere in lui come non mai e ha aggiunto che il numero 5 dei Wildcats sta lavorando sodo per limare i suoi difetti. Secondo Calipari Andrew non ha nulla in meno rispetto ai playmaker forti e atletici che hanno fatto la sua fortuna in passato come Derrick Rose (a Memphis), John Wall, Eric Bledsoe, Brandon Knight e Marquis Teague. Chi siamo noi per contraddirlo? WWW.MY-BASKET.IT

#8 NIGEL WILLIAMS-GOSS

#6 JORDAN MICKEY

Florida, Ala grande/Ala piccola, 2.08m, 100kg, 22 dicembre 1994 1,9ppg, 1.3rpg, 0.4bpg, 59.3% dal campo, 28.6% dalla lunetta In un mondo perfetto Walker sarebbe il primo giocatore di questa lista, anzi potrebbe tranquillamente essere già in NBA, scelto in lottery nel Draft 2014, e invece eccolo in fondo alla Top10. Alto, atletico, con braccia lunghe, coordinatissimo nei movimenti, elegante quanto potente, Walker è, senza mezzi termini, un’ira di Dio e chi lo ha visto giocare al liceo lo può confermare. Dico così perché chi segue la NCAA non lo ha praticamente mai visto considerando che l’anno scorso ha saltato un semestre per gli scarsi risultati accademici ed è stato poi relegato poi ai margini delle rotazioni da coach Donovan per non urtare l’armonia della squadra. Questo deve essere il suo anno ma è già stato sospeso per le prime due partite per una violazione del regolamento scolastico. “Court” in inglese indica il campo da gioco ma anche il tribunale, ora sta a Walker decidere in quale dei due luoghi essere protagonista, in positivo o in negativo.

Washington, Playmaker, 1.90m, 86kg, 16 settembre 1994 13.4ppg, 4.4rpg, 4.4apg, 1.1spg, 46.4% dal campo, 35.6% da tre, 72.3% dalla lunetta Il compagno di Amedeo Della Valle a Findley Prep già l’anno scorso si è rivelato il leader assoluto degli Huskies come potete vedere dalle statistiche e quest’anno farà anche meglio, vista l’assenza di C.J. Wilcox, miglior scorer della passata stagione, andato in NBA ai Clippers. Nigel ha un buon fisico, molto atletismo e sa attaccare il ferro, inoltre il suo jumper è sempre più affidabile e sta trovando la fiducia per migliorare il tiro dall’arco, inoltre la sua rapidità gli consente di trovarsi spesso sulle linee di passaggio avversarie. Deve limitare le palle perse (2.9 a partita) e deve migliorare in difesa ma con un solo anno di NCAA sulle spalle ha ancora tempo per imparare. Williams-Goss è solo l’ultima delle ottime guardie atletiche e in grado di fare tutto uscite da Washington dopo Nate Robinson, Isaiah Thomas, Terrence Ross e Tony Wroten. Se è vero che buon sangue non mente, potremmo avere trovato il prossimo dominatore della Pac-12. LSU, Ala grande, 2.03m, 100kg, 9 luglio 1994 12,7ppg, 7.9rpg, 1.1apg, 3.1 bpg, 53.3% dal campo, 69.5% dalla lunetta L’ennesima dimostrazione che madre natura non dà a tutti la stessa base con cui lavorare. Si sapeva che Mickey fosse forte ma nessuno credeva fosse così bravo, in primis non lo pensava Jarell Martin (altro sophomore di LSU da tenere d’occhio) a cui l’anno scorso Mickey ha rubato la scena. Atletismo da videogame, abilità offensive nel pitturato in costante crescita e istinti da fuoriclasse, specialmente in difesa come dimostrano le 3.1 stoppate a gara, rendono Mickey un giocatore tanto inarrestabile quanto difficile da descrivere. Come detto, vive ancora di istinti e talvolta perde il controllo ma quando decide di puntare l’area fronte a canestro, con il suo fisico da Bronzo di Riace e le sue braccia infinite, talvolta non lo si ferma nemmeno col fallo. Siamo onesti, se non fosse per quei 5 o 6 centimetri in meno staremmo parlando della cosa più simile a Anthony Davis vista in NCAA. Forse non in termini di potenziale, ma di efficacia in certi aspetti del gioco. WWW.SPORTANDO.COM

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#5 MARCUS FOSTER

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Kansas State, Guardia/Playmaker, 1.88m, 91kg, 3 giugno 1995 15.5ppg, 3.2rpg, 2.5apg, 42.3% dal campo, 39.5% da tre, 73.4% dalla lunetta Nella discussa e celebrata classe di freshman del 2013 Foster era considerato non più del massaggiatore di Jabari Parker e invece la storia ci racconta altro. Foster è stato la principale sorpresa dell’anno scorso rivelandosi la stella dei Wildcats di cui è stato il miglior scorer. Foster sa segnare da ovunque e in ogni modo ma questo già lo si era capito, per questo ci si aspetta che possa fare ancora meglio dei 15.6 punti di media dell’anno scorso. Foster è riuscito a domare il suo più grande nemico: il peso, riuscendo a mantenersi in forma e rapido nei movimenti anche in off-season, un vero evento nella sua carriera. Ha dichiarato di aver lavorato molto sul ball handling e sulle scelte di passaggio, aspetti non da poco considerando che l’anno scorso il suo difetto principale sono state le palle perse, ben 2.2 a gara a fronte di soli 2.5 assist, non molto considerando i soli 189 cm di altezza. Se il ragazzo risolve anche questo neo sono dolori per tutti in Big 12.

#3 RONDAE HOLLIS-JEFFERSON

Arizona, Ala piccola/Ala grande, 2.01m, 100kg, 3 gennaio 1995 9,1ppg, 5.7rpg, 1.4apg, 1.1 bpg, 49.0% dal campo, 20.0% da tre, 68.2% dalla lunetta L’anno scorso la presenza di Aaron Gordon e di Nick Johnson hanno un po’ oscurato questo ragazzo classe 1995 ma le sue doti restano favolose e il fatto che nell’ultimo Torneo NCAA sia passato a segnare 14 punti a gara dai 9.7 punti della stagione regolare lo dimostra. Atletismo pazzesco, abilità a rimbalzo, ottimo istinto per gli aiuti difensivi (tende ancora troppo a cercare la stoppata) e un notevole arsenale offensivo lo avrebbero reso il primo classificato di questo classificato di questa Top10 se in squadra non si fosse trovato anche un freshman clamoroso come Stanley Johnson che gli toglierà per forza di cose qualche possesso dalle mani. Forse, per questo motivo, non metterà a segno cifre esorbitanti ma la stagione di Arizona passerà soprattutto dalle sue mani che, con un anno di esperienza in NCAA, diventano sempre più educate e inarrestabili. Dimenticatevi la tipica frase “sa solo saltare e schiacciare” e tenete d’occhio questo ragazzo.

#1 WAYNE SELDEN

Kansas, Guardia/Ala piccola, 1.96m, 104kg, 30 settembre 1994 9.7ppg, 2.6rpg, 2.5apg, 43.7% dal campo, 32.8% da tre, 63% dalla lunetta L’anno scorso si è visto poco per la presenza di Wiggins ed Embiid ma Selden è un giocatore speciale, dotato di capacità offensive davvero rare. Un problema al ginocchio ha limitato la sua esplosività nel finale dell’anno scorso ma parliamo di un giocatore le cui doti atletiche hanno pochi rivali, specialmente perché accompagnate da un fisico potente e scolpito che, a scapito dei soli 196 centimetri di altezza, gli permette di giocare praticamente in ogni posizione del campo. E’ una guardia ma ha il ball handling e la visione di gioco per giocare (occasionalmente) da playmaker, l’atletismo di un’ala piccola e la potenza di un’ala grande, il tutto unito a un discreto tiro da tre punti in netto miglioramento. Selden ha subito messo in chiaro che sarebbe tornato a Kansas per il suo secondo anno così da portare a termine gli obiettivi che si era prefissato e non raggiunto nel 2013-14. Il ragazzo vuole vincere e fermarlo sarà davvero un’impresa.

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#4 TERRY ROZIER

#2 AARON HARRISON

Guardia/Playmaker, 1.85m, 86kg, 17 marzo 1994 7.0ppg, 3.1rpg, 1.8apg, 1.0spg, 40.1% dal campo, 37.1% da tre, 71.2% dalla lunetta Come tutte le guardie che hanno fatto la storia recente di Louisville, anche Rozier non è molto alto, ma rispetto a Siva e Russ Smith ha molto più fisico ed esplosività nell’arrivare al ferro, la sue specialità. Veloce, fisico, buon rimbalzista se consideriamo l’altezza e più che discreto tiratore dall’arco, Rozier viene da una stagione mediocre (come potete vedere dalle statistiche) ma c’è da dire che il suo minutaggio era limitato dalla presenza di Russ Smith e Luke Hancock, non più a Louisville quest’anno, e per questo ci si aspetta che il 2014-15 sia la sua stagione. Lo strapotere di Harrell nel pitturato e l’esperienza di Chris Smith e Wayne Blackshear lo aiuteranno ulteriormente a diventare uno delle chiavi, se non proprio la chiave principale, del gioco di Pitino nella nuova esperienza in ACC, conference durissima che servirà tra l’altro da banco di prova per testare il potenziale NBA di Rozier le cui doti restano comunque fuori discussione. Kentucky, Guardia, 1.98m, 96kg, 28 ottobbre 1994 13.7ppg, 3.0rpg, 1.9apg, 1.1spg, 42.3% dal campo, 35.6% da tre, 79.0% dalla lunetta C’è la possibilità che il maggiore (di un minuto) dei gemelli Harrison non si migliori tantissimo statisticamente rispetto all’anno scorso, specie per il gran numero di giocatori importanti in squadra, ma è davvero necessario che Aaron migliori per essere il numero due di questa classifica? L’anno scorso è stato uno dei giocatori più decisivi dell’intera NCAA, come dimostrano le triple decisive segnate in ogni gara del Torneo NCAA, dalle Sweet 16 alla Finale. Ha cambiato l’identità dei Wildcats con un sentimento di leadership innata, nonostante sia uno dei giocatori più giovani della squadra, quel “non so che” di speciale che hanno solo i grandi giocatori. Ci si aspettano miglioramenti tra cui una maggiore continuità al tiro da fuori e un incremento della fisicità con una conseguente migliore gestione delle penetrazione contro gli avversari più grossi. Se ciò dovesse verificarsi allora Kentucky potrebbe ambire a vincere una partita in più rispetto all’anno scorso, la Finale.

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#10 DORIAN FINNEY-SMITH

I 10 MIGLIORI JUNIOR DI DARIO SKERLETIC

Florida, Ala piccola, 2.03m, 99kg, 4 maggio 1993 8.7ppg, 6.7rpg, 2.1apg, 37% dal campo, 29.3% da tre, 64.3% dalla lunetta Ala che gioca dentro e fuori, gran rimbalzista e discreto passatore. Nello scorso anno, il suo primo con i Gators (ha esordito a Virginia Tech, stesso college in cui aveva deciso di giocare anche il primo di questa lista, salvo poi cambiare idea in seguito al licenziamento dell’allora coach degli Hokies, Seth Greenberg) , Finney-Smith ha recitato da comprimario, lasciando giustamente il palcoscenico all’ottimo gruppo di senior. Nel 2014/15 la musica sarà diversa, Donovan conterà molto sui suoi punti, i suoi rimbalzi ed i suoi passaggi. Da migliorare il tiro da fuori.

Nel primo giro dello scorso draft NBA sono stati scelti appena un junior e .... mezzo! Sì, perchè PJ Hairston in realtà non ha mai messo piede in campo nella sua terza stagione a North Carolina. Questo succede perché di solito i migliori prospetti vanno via dopo una, massimo due stagioni. Non avranno quindi un grande appeal per la NBA, ma i migliori juniors sono il simbolo di quanto si possa migliorare rimanendo al college. La maggior parte dei giocatori su questa lista hanno avuto un ruolo minore da freshman, ma ora sono pronti per dominare...

#8 MALCOLM BROGDON

#9 D’VAUNTES SMITH-RIVERA

Virginia, Guardia, 1.96m, 98kg, 12 novembre 1992 12.7ppg, 5.4rpg, 2.7apg, 41.3% dal campo, 37% da tre, 87.5% dalla lunetta Emerso prepotentemente nella storica stagione scorsa dei Cavaliers, che hanno sorpreso le varie Duke, Syracuse e UNC, andando a vincere sia la regular season che il torneo della durissima ACC. Nel basket ragionato di coach Bennett non è assolutamente facile emergere individualmente, Brogdon ci è riuscito grazie al suo contributo da allaround. E’ un duro, uno che non ha paura dei contatti, che fa veramente di tutto per aiutare la squadra in ogni fase del gioco. Difesa, rimbalzi, regia, punti, qualunque cosa serva pur di arrivare alla vittoria. Ha saltato il 2012/13 per problemi fisici. Senza Joe Harris e Akil Mitchell toccherà a lui il ruolo di leader del gruppo, saprà ripetersi?

Georgetown, Guardia, 1.90m, 97kg, 20 dicembre 1992 17.6ppg, 5rpg, 2.7apg, 44.5% dal campo, 39.3% da tre, 87.3% dalla lunetta Realizzatore ultra-efficiente lo scorso anno, rispettando le consegne di coach Thompson, che aveva bisogno sopratutto dei suoi punti. Segna sia in avvicinamento che dalla lunga distanza, non ha grandi doti atletiche ma sopperisce con un tempismo innato ed un sapiente uso del corpo. Con Starks a Ferentino, e l’arrivo di due ali freshman molto dotate in attacco, quest’anno Smith- Rivera potrà mostrare anche il suo talento come distributore di palloni. Possibile All- American,ottimo prospetto per l’Europa.

#7 FRED VANVLEET

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Wichita State, Playmaker, 1.83m, 88kg, 25 febbraio 1994 11.6ppg, 3.9rpg, 5.4apg, 48.4% dal campo, 41.8% da tre, 83% dalla lunetta Ogni 100 possessi ha dato via 10.6 assist e perso palla appena 2.6 volte. Si è detto tutto ed il contrario di tutto sulla cavalcata di Wichita State nella scorsa stagione, il calendario non era proibitivo ma 35 partite non si vincono per caso, e c’era VanVleet in campo a gestire il gioco. Nonostante gli oltre 31 minuti a partita, solo in 4 occasioni il playmaker ha perso palla più di due volte, e non ha mai fatto registrare più perse che assist. Sono dati incredibili ad ogni livello. Senza Early gli Schockers avranno bisogno di una maggiore produzione offensiva dal reparto esterni (uno dei migliori d’America se si considerano solo gli starters), e VanVleet ha già mostrato di avere un tiro da fuori importante, oltre al coraggio per prendersi responsabilità nei momenti chiave.

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#6 SAM DEKKER Wisconsin, Ala piccola, 2.00m, 100kg, 6 maggio 1994 12.4ppg, 6.1rpg, 1.4apg, 46.9% dal campo, 32.6% da tre, 68.6% dalla lunetta Meno noto ma con migliori prospettive NBA del suo compagno Kamisky grazie ad atletismo e versatilità. Quest’anno potrebbe giocare più minuti da esterno puro in un assetto big con Kaminsky ed il potente Hayes sotto i tabelloni. Conosce il gioco, in attacco può giocare dentro e fuori, ma non ha ancora l’aggressività per fare la prima punta, preferisce giocare all’interno del sistema. Sembra che in estate sia cresciuto di qualche centimetro, novità importante anche in prospettiva NBA. Decisamente più adatto all’ultima versione dei Badgers, per intenderci quella che non esclude a priori la transizione... Insieme a Kaminsky forma un duo dall’altissimo potenziale offensivo, un vero e proprio incubo per le difese avversarie.

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#4 GEORGES NIANG

#5 WILLIE CAULEY-STEIN Kentucky, Centro, 2.13m, 109kg, 18 agosto 1993 6.8ppg, 6.1rpg, 2.9bpg, 59.6% dal campo, 48.2% dalla lunetta Ultimo di una serie di big man con gran potenziale difensivo passati per Lexington nelle ultime stagioni, mobilità e atletismo per difendere su chiunque, tanto che per Calipari potrebbe giocare tranquillamente da ala piccola... Ha il rimorso di non esserci stato nell’atto conclusivo della scorsa March Madness, e per questo ha rimandato l’appuntamento con la NBA, vuole guidare i Wilcats al titolo. Non è il giocatore più continuo del mondo, ma quando l’interruttore è acceso è capace di giocate spettacolari ed efficaci su entrambi i lati del campo. Carattere particolare, estroso a dir poco, quest’anno dovrà limitare i suoi eccessi e mostrare maggiore leadership, per lui c’è un posto speciale nel ‘platoon- system’ su cui Calipari ha deciso di puntare.

#3 CARIS LEVERT

#2 MARCUS PAIGE Michigan, Guardia/Ala piccola, 2.01m, 91kg, 25 agosto 1994 12.9ppg, 4.3rpg, 2.9apg, 43.9% dal campo, 40.8% da tre, 76.7% dalla lunetta Tuttofare di altissimo livello, giocatore moderno, di quelli che piacciono molto al piano di sopra. Perfetto lo scorso anno come spalla di Stauskas, stavolta toccherà a lui essere la prima opzione del sempre temibile attacco dei Wolwerines. Con un reparto lunghi modesto, la squadra di coach Beilein punterà ancor di più sul tiro da fuori, con LeVert nella duplice veste di finalizzatore e regista, per innescare Irvin e Walton jr sul perimetro. Magro come un chiodo, durante la offseason avrà sicuramente cercato di aggiungere massa muscolare. Da freshman ha segnato 2.3 punti a partita, da sophomore 12.9, non è difficile immaginarlo intorno ai 20 per quella che dovrebbe essere la sua ultima stagione nel college basket.

#1 MONTREZL HARRELL

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Iowa State, Ala piccola, 2.03m, 104kg, 17 giugno 1993 16.7ppg, 4.5rpg, 3.6apg, 47.4% dal campo, 32.7% da tre, 72.1% dalla lunetta Compagno di reparto di Nerlens Noel al liceo, ala che segna da sotto, da fuori, ed aiuta in regia. Il suo infortunio - dopo i 24 punti segnati nella prima partita del torneo NCAA- ha infranto il sogno dei Cyclones, poi sconfitti dai futuri campioni di UCONN. Durante la riabilitazione ha lavorato duro e perso oltre 10 chili, si ripresenterà quindi al via con una maggiore autonomia fisica e motivazioni da vendere. Nell’attacco a ritmo alto di coach Hoiberg Niang ha le doti per firmare triple-doppie in serie. Nel 2013/14 i Cyclones hanno vinto 12 delle 13 partite in cui l’ala ha messo a referto almeno 19 punti. Sempre lo scorso anno ha chiuso come primo nella Big12 per canestri segnati dal campo, e , con Melvin Ejim e DeAndre Kane ad iniziare le rispettive carriere in Europa, un bis è tutt’altro che da escludere.

North Carolina, Playmaker, 1.85m, 79kg, 11 settembre 1993 17.5ppg, 3.2rpg, 4.2apg, 44% dal campo, 38.9% da tre, 87.7% dalla lunetta Leader e closer designato dei Tar Heels, capace di creare separazione e costruirsi un tiro in ogni situazione. Grazie all’arrivo di forze fresche dal liceo (3 McDonald’s All-American, Jackson, Pinson e Berry) quest’anno UNC avrà più opzioni in attacco e Paige A- non dovrà giocare sempre 40 minuti, e B- potrà dedicarsi anche a mettere in ritmo i compagni. In una NBA dove il tiro da 3 ed il pick’n’roll contano sempre di più dovrebbe esserci posto anche per questo ragazzo dell’Iowa. Lo vedremo sia da guardia tiratrice (con uno tra il sophomore Nate Britt ed il freshman Joel Berry a portar palla) che da pointguard, coach Williams conta sul suo rendimento e la sua leadership per riportare i giovani e talentuosi Tar Heels alle Final Four.

Louisville, Ala Grande, 2.03m, 109kg, 26 gennaio 1994 14ppg, 8.4rpg, 1.3bpg, 60.9% dal campo, 46.4% dalla lunetta Una forza della natura, cresciuto enormemente nelle due stagioni alla corte di coach Pitino, tanto che ha destato scalpore la sua decisione di tornare al college invece di tentare subito la carta NBA. Da sophomore ha chiuso al quarto posto assoluto in Division One con un mostruoso +481 di Plus/minus. Atletismo e aggressività sono chiaramente da NBA, tecnicamente deve migliorare, ed infatti sembra che in estate abbia lavorato molto sui tiri liberi e sul piazzato dai 5 metri. Aiutato da due braccia chilometriche, vicino al ferro ha veramente pochi eguali nel panorama del College Basketball. Avrà poco aiuto e tante responsabilità nel frontcourt dei Cardinals, la situazione ideale per firmare una stagione da All-American. Nei primi scrimmage aperti al pubblico ha confermato i progressi nel tiro da fuori, ed è sembrato più intraprendente in attacco. Senza dubbio il giocatore chiave dello scacchiere di coach Pitino, dovrebbe viaggiare agevolmente in doppiadoppia. Solo rimandato l’appuntamento con la NBA. WWW.MY-BASKET.IT

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#10 JOSH RICHARDSON

I 10 MIGLIORI SENIOR DI DARIO SKERLETIC La scorsa stagione abbiamo ammirato l’ultimo atto delle carriere di due strepitosi giocatori ‘da College Basket’ come Doug McDermott e Russ Smith. Due macchine perfette, due veri e propri dominatori contro cui nessuna difesa ha trovato il giusto antidoto. Due seniors appunto. Ormai è raro che gli atleti più forti decidano di rimanere in NCAA per i quattro anni previsti, ma anche tra i seniors ci sono tantissimi giocatori di talento, qui cerchiamo di indicarne alcuni tra i migliori.

#8 JOSEPH YOUNG

#9 JERIAN GRANT Notre Dame, Guardia, 1.95m, 91kg, 9 ottobre 1992 19ppg, 2.5rpg, 6.2apg, 51.8% dal campo, 40.8% da tre, 86.5% dalla lunetta Dopo aver giocato appena 12 partite lo scorso anno a causa di problemi accademici, Grant è pronto per chiudere in bellezza la sua carriera con i Fighting Irish. Guardia di 1,95 intelligente e con ottima visione di gioco, prima di chiudere anzitempo la stagione viaggiava a 19 punti, 6.2 assist e 2 rubate, tirando il 57% da due, il 40% da tre e l’86% ai liberi. Percentuali strepitose, ancor di più se si considera che nelle due stagioni precedenti si aggirava intorno al 40-44% da due ed al 35% da tre. Formerà un terzetto interessante e ben assortito con Demetrius Jackson e Pat Connaughton, per fare strada nella ACC sarà comunque fondamentale trovare almeno un big man in grado di reggere l’urto.

#7 TREVEON GRAHAM

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VCU, Guardia/Ala piccola, 1.98m, 100kg, 28 ottobre 1993 15.8ppg, 7rpg, 2apg, 43.7% dal campo, 33.7% da tre, 69.4% dalla lunetta I Rams guidati da Shaka Smart hanno ormai terrorizzato ogni avversario con la loro pressione difensiva che provoca palle perse in quantità industriale. Il reparto è guidato da un altro senior che avremmo potuto inserire in questo ranking, il playmaker Briante Weber, a mani basse il miglior difensore tra i piccoli in Division One. Graham invece è uno che cura più la fase offensiva, dove eccelle grazie alla capacità di mettere punti a referto in tanti modi diversi. Grazie ad una buona struttura fisica riesce a farsi largo ed a subire falli anche sotto le plance, ed è un fattore anche come rimbalzista. Il tiro da fuori non è il pezzo forte del suo repertorio ma è comunque da rispettare, così come quello dalla media distanza. Esplodendo da sophomore ha creato aspettative tali che qualcuno ha storto il naso dopo una stagione da junior con 15.8 punti, 7 rimbalzi e 2 assist di media. Occhio ai Rams... WWW.MY-BASKET.IT

#6 KEVIN PANGOS

Tennessee, Guardia, 1.98m, 92kg, 15 settembre 1993 10.3ppg, 2.9rpg, 1.5apg, 47.4% dal campo, 34% da tre, 79.3% dalla lunetta Eletto miglior difensore della SEC lo scorso anno, questo esterno di poco meno di due metri si è rivelato al grande pubblico con un Torneo NCAA da oltre 19 di media ed un incredibile 25 su 32 da due in quattro partite. Grande atleta con una mano più che discreta al tiro, prima della fatidica March Madness non aveva mai dimostrato la giusta aggressività in attacco. Giocando con due prospetti NBA come Jordan McRae e Jarnell Stokes, preferiva delegare le responsabilità e concentrarsi sulla difesa, il suo marchio di fabbrica. Quest’anno però cambierà tutto, dato che i Volunteers non avranno più diversi giocatori, compresi 4 starters su 5, ed è cambiato anche il coach, con l’arrivo di Donnie Tyndall da Southern Mississipi. Richardson sarà il leader, da lui ci si aspetteranno tante altre serate magiche come quelle della March Madness.

Oregon, Guardia, 1.88m, 84kg, 27 giugno 1992 18.9ppg, 2.8rpg, 1.9apg, 48% dal campo, 41.5% da tre, 88.1% dalla lunetta Subito incisivo dopo il ‘salto’ da Houston a Oregon, Young è strettamente uno scorer super efficiente. Segnare è la cosa che gli viene naturale, ed è per quello che si nota la sua presenza sul parquet. Che sia da sotto, dalla media o dalla lunga distanza, o dalla linea della carità, lui la butta dentro e basta. Durante le partite di Conference ha mandato a segno 86 liberi su 91. Pur essendo un ‘volume-scorer’ ha chiuso con più recuperi che palle perse, e solo due giocatori nella Pac12 hanno fatto registrare una minor percentuale di palle perse. Una macchina insomma, ed anche l’ennesimo candidato a top scorer in Division One, visto che i Ducks hanno pochissime alternative tra i piccoli a causa di ‘contrattempi’ (chiamiamoli così...) vari che hanno decimato il roster.

Gonzaga, Playmaker, 1.88m, 83kg, 26 gennaio 1993 14.4ppg, 3.3rpg, 3.6apg, 43% dal campo, 41.2% da tre, 87.3% dalla lunetta I Bulldogs hanno il potenziale per mettere in campo uno dei migliori attacchi d’America, e questo dipende in gran parte dalla presenza di questo playmaker canadese, capace di giocare oltre 34 minuti a partita nonostante un fastidiosissimo problema all’alluce, di cui si è saputo solo a stagione conclusa. Pangos non ha l’atletismo che contraddistingue i tanti talenti esplosi di recente nella terra dei Raptors, è un giocatore che fa della pulizia tecnica e della solidità i suoi punti di forza. Sempre sopra il 40% da tre nelle precedenti stagioni alla corte di Mark Few, da sophomore ha guidato con fermezza una storica versione dei Bulldogs (per intenderci, quella con Kelly Olynyk e Elias Harris sotto i tabelloni, miglior attacco NCAA con addirittura 118 punti segnati ogni 100 possessi) fino al primo posto nella top25 della Associated Press al termine della regular season. Riuscirà a ripetersi? WWW.SPORTANDO.COM

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#4 JUWAN STATEN

#5 TYLER HAWS Brigham Young, Guardia, 1.96m, 88kg, 11 aprile 1991 23.2ppg, 3.8rpg, 1.5apg, 46.3% dal campo, 40.4% da tre, 88.1% dalla lunetta Decisamente uno dei favoriti per il titolo di top scorer in Division One, viene da due annate sopra i 20 di media con la maglia dei Cougars. Ha già compiuto 23 anni, è ancora al college perchè da buon mormone è andato in missione, saltando così due stagioni. Tiratore letteralmente strepitoso sia dalla media che dalla lunga distanza, ha una varietà di soluzioni che gli permettono di approfittare di ogni distrazione delle difese avversarie. Una macchina anche dalla lunetta (88% in stagione, ha una serie ancora aperta di 29 liberi mandati a segno), probabilmente non è materiale da NBA a causa di mezzi fisici appena ‘‘normali’. Lo aspettiamo a braccia aperte nel nostro campionato...

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#3 BRANDEN DAWSON

Michigan State, Ala piccola, 1.99m, 102kg, 1 febbraio 1993 11.2ppg, 8.3rpg, 1.6apg, 61.3% dal campo, 65.6% dalla lunetta Da buon classico due metri (scarsi...) con forza fisica e atletismo che nella NCAA riesce ad imporsi sotto i tabelloni, nella scorsa stagione Dawson ha preso oltre il 70% dei suoi tiri nei pressi del ferro, realizzandone il 71%. Dopo una carriera liceale culminata con il McDonald’s All-American, l’idea era che per Dawson Michigan State fosse solo una tappa prima di approdare nella NBA. A rovinare tutto ci ha pensato un grave infortunio ai legamenti del ginocchio sinistro sul finire della prima stagione, non il massimo della fortuna per un giocatore che fa dell’esplosività il suo principale punto di forza. Da sophomore Dawson non sembrava più lo stesso, e solo lo scorso anno ha riacquistato quell’esuberanza fisica che ha sempre contraddistinto il suo gioco. In questa versione degli Spartans (senza Adreian Payne, Gary Harris e Keith Appling) coach Izzo avrà bisogno come il pane anche dei suoi punti, oltre che dei suoi rimbalzi e della sua notevole intensità difensiva. Anche per lui non guasterebbe un miglior tiro da fuori.

#1 FRANK KAMINSKY

Wisconsin, Ala grande/Centro, 2.13m, 106kg, 4 aprile 1993 13.9ppg, 6.3rpg, 1.7bpg, 52.8% dal campo, 37.8% da tre, 76.5% dalla lunetta Kaminsky poteva tranquillamente dichiararsi per il draft 2014 dopo lo strepitoso torneo NCAA giocato. Ma il mondo NBA gli è apparso ‘noioso’ (parole sue), e quindi ha optato per un’altra stagione alla corte di Bo Ryan. Arma letale in attacco, tira oltre il 70% nei pressi del ferro ma può far male anche dalla media e lunga distanza. Iniziò a far parlare di sé con 43 punti segnati contro North Dakota in soli 28 minuti, ma il vero ‘boom’, anche a livello mediatico, è coinciso con una serie di prestazioni dominanti nella March Madness, in particolare contro due frontcourt pieni di talenti NBA, quelli di Baylor e Arizona. 19 punti, 4 rimbalzi e 6 stoppate contro i Bears (Cory Jefferson e lo sfortunato Isaiah Austin), 28 con 11 carambole contro i Wildcats (Aaron Gordon, Kaleb Tarczewski e Rondae Hollis-Jefferson). Non è ancora un gran rimbalzista e difensore, ma nella metà campo offensiva è senza dubbio il big man più completo a questo livello.

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#2 DELON WRIGHT

West Virginia, Playmaker, 1.85m, 86kg, 21 maggio 1992 18.1ppg, 5.6rpg, 5.8apg, 48.6% dal campo, 40% da tre, 71.9% dalla lunetta Tanto per cambiare, un altro giocatore che è al suo meglio quando può attaccare il canestro. Veloce, velocissimo, impressiona per la sua capacità di chiudere la penetrazione contro l’aiuto, nonostante non superi il metro e ottanta. Buon tiratore dalla media che però non si fida del proprio tiro da tre, come testimoniato dalle sole 15 triple tentate in 33 partite. Dopo una stagione negativa con Dayton, Staten pian piano è rinato grazie alle cure di coach Huggins. Lo scorso hanno ha trovato un mix quasi perfetto tra iniziative individuali e passaggi smarcanti per i compagni, limitando al minimo le palle perse. Da senior dovrà modificare qualcosa nel suo gioco, dato che i suoi due ‘bersagli’ preferiti - i realizzatori Eron Harris e Terry Henderson- hanno deciso di lasciare in anticipo i Mountaneers, aprendo un buco nello scacchiere di Huggins. Difficilmente non scollinerà oltre i 20 punti a partita.

Utah, Playmaker/Guardia, 1.95m, 86kg, 26 aprile 1992 15.5ppg, 6.8rpg, 5.3apg, 56.1% dal campo, 22.2% da tre, 79.3% dalla lunetta Il fratello di Dorell (swingman dei Blazers) è stato ‘il’ breakout player del 2013/14. Arrivato agli Utes senza troppo clamore, fin da subito Wright è stato l’indiscusso leader del team di Larry Krystkowiak, con medie di 15.5 punti, 6.8 rimbalzi, 5.3 assist, 2.5 recuperi e 1.3 stoppate. Decisamente numeri da all-around. Il suo vero limite è il tiro da fuori - sia dalla media che dalla lunga distanza -, è invece una forza della natura quando parte in palleggio verso il canestro, e questo spinge le difese a sfidarlo al tiro. Con un jumper affidabile Wright diventerebbe ancora più devastante... E’ sopratutto grazie alla sua presenza che gli Utes hanno fondate ambizioni di tornare al Torneo NCAA, da dove mancano dal 2009. Poi sarà Draft NBA.

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