My-Draft 2015

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THE NA M E OF TH E M AGAZ I N E / E D I T I O N

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INDICE

PETE PHILO

BUONA LA PRIMA?

I Minnesota Timberwolves sono all’ultima chiamata per il successo. Imperdibile l’articolo di Niccolò Costanzo, tra presente, passato e futuro della franchigia delle Twin Cities

4 SOCIAL DRAFT

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TO CHINA AND BACK

Quali sono i compiti di uno scout NBA? In base a cosa le squadre NBA preferiscono scegliere al Draft un giocatore piuttosto che un altro? Claudio Pavesi cerca di di scoprirlo parlando con Pete Philo, attualmente direttore dell’International Scouting dei Pacers

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MATTEO JEMOLI

SIXERS AL DRAFT

MOCK DRAFT

I TALENTI DEL DRAFT

In cosa consiste il lavoro di scouting per le squadre del campionato italiano? Come si scopre il nuovo rookie rivelazione della Serie A? Luca Antonelli ne parla con Matteo Jemoli

Alla luce dell’infortunio di Embiid, cosa farà Philadelphia al Draft? L’analisi di Filippo Antonelli

Come ogni anno, Claudio Pavesi e Niccolò Costanzo si sono “sfidati” a colpi di Mock Draft. Chi indovinerà più scelte fra i due?

53. Ebbene sì, avete letto bene, in questo magazine troverete 53 schede di approfondimento sui giocatori più interessanti che si sono dichiarati per il Draft

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La lunga strada di Emmanuel Mudiay, raccontata da Lorenzo Neri

Interessante analisi di Luca Ngoi sul tema della percezione mediatica dei prospetti nell’era dei social

Con il primo numero dell’anno scorso abbiamo voluto dare il via a una piccola tradizione, eccoci dunque al nuovo capitolo: il secondo magazine basato interamente sul Draft NBA firmato MY-Basket.it.

MY-BASKET.IT redazione@my-basket.it

Dopo il numero del 2014 che potremmo definire introduttivo, sia cronologicamente che per i temi trattati, in questo numero targato giugno 2015 abbiamo voluto addentrarci maggiormente nella realtà del Draft approfondendo realtà come lo scouting, il rapporto di determinate squadre con questo evento e la relazione con i new media.

REDATTORI Filippo Antonelli Luca Antonelli Marco Arcari Niccolò Costanzo Lorenzo Neri Luca Ngoi Claudio Pavesi

Come sempre ci sono le interviste agli addetti ai lavori e gli articoli di approfondimento adatti agli esperti, ma anche a chi si sta avvicinando solo ora al Draft NBA. Non potevano mancare le schede dei singoli prospetti, il vero cavallo di battaglia del nostro magazine sul Draft. Quest’anno le schede sui prospetti sono ben 53, per sapere davvero tutto sulla nuova ondata di rookie che colpirà NBA. Ringrazio personalmente tutti coloro che hanno lavorato a questo progetto e, insieme a loro, auguro a tutti una buona lettura.

MY-Basket non è in alcun modo collegato alla NBA o ad altre compagnie o organizzazioni e l’utilizzo dei marchi registrati appartenenti ai rispettivi proprietari è da considerarsi con finalità illustrative e non a fine di lucro. Tutte le foto contenute in questo magazine sono tratte dalla ricerca immagini di Google o dalle pagine Facebook ufficiali e sono state utilizzate per finalità non commerciali.

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TH E NA ME OF THE M AGAZI NE / ED ITIO N

GRAFICA E IMPAGINAZIONE Gabriele Galluccio COPERTINA Cesare “The Ceza” Bartoccini

Claudio Pavesi

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NICCOLÒ COSTANZO

BUONA LA PRIMA? I Timberwolves all’ultima chiamata per il successo

Intro - Italia, sono le ore 6:00 di Mercoledì 19 Giugno; gli appassionati di NBA della penisola sono presumibilmente incollati alla televisione o al computer per assistere alla consegna da parte di Adam Silver, commissioner della Lega americana, del Larry O’Brien Trophy ai Golden State Warriors. La squadra di Steve Kerr ha appena vinto il titolo, e la premiazione a MVP di Andre Iguodala ci aiuta a dare la misura del tipo di pallcanestro espresso quest’anno a Oakland; votata al collettivo, alla difesa, alla compattezza di un gruppo costruitosi nel corso degli anni, esaltato dal genio creativo di Kerr e Stephen Curry. Appena 12 ore dopo essersi congratulato con i proprietari di una delle migliori franchigie NBA, Joe Lacob e Peter Guber, Silver ha stretto la mano, in quel della Mayo Clinic Center di Minneapolis a Glen Taylor, noto uomo d’affari del Minnesota e proprietario dei Timberwolves. Prima di proseguire, occorre un breve excursus sulla vita cestistica e non di Taylor. Ex senatore dello stato in cui risiede, Taylor è noto non solo per la sua lunga reggenza come proprietario NBA, ma anche per aver acquisito recentemente lo Star Tribune, il principale quotidiano di Minneapolis/St.Paul, le due principali 4

città dello Stato, rispettivamente la più popolata e la capitale, che singolarmente condividono la stessa area metropolitana, motivo per cui sono chiamate Twin Cities. Va detto che come proprietario sportivo Taylor ha faticato maggiormente se rapportato ai successi in ambito economico. Benché abbia vinto due titoli WNBA con le Minnesota Lynx (2011,2013), il fiore all’occhiello del suo pacchetto cestistico, i Timberwolves, sono attualmente la peggior squadra della NBA. Taylor e la possibile crescita della franchigia - E’ sempre complicato emettere giudizi di valore, ma in questo caso i numeri ci supportano. Prendiamo come esempio un un campione di 26 squadre, ovvero il numero di franchigie ad aver disputato tutte quante le stagioni dal 1995/1996 (esclusa Brooklyn per evitare complicanze, anche se si sarebbe potuta includere, ndr); i T’Wolves sono la seconda peggior squadra NBA per percentuale di vittorie (39) dietro i Clippers (38, ma in recupero), la quartultima per numero di stagioni (12) senza aver disputato i playoff (dietro Golden State, 16, L.A. Clippers 14, Toronto e Memphis a 13) e l’unica, insieme a Denver e Golden State, a non aver partecipato per al-

meno dieci stagioni consecutive alla post-season (11 le stagioni di magra per i Wolves). Timberwolves e Golden State, siamo ancora qui, al peggio e al meglio che possa attualmente offrire la NBA. Se Minnesota non dovesse centrare i playoff nella prossima stagione, raggiungerebbe proprio la franchigia di Oakland, l’unica squadra negli ultimi trent’anni a non aver raggiunto questo traguardo per dodici volte consecutive (dobbiamo inserire nel nostro conteggio anche la stagione 1994-1995). Stupisce come quella che fino a quattro anni fa poteva essere considerata una delle peggiori squadre dell’ultimo ventennio NBA sia diventata un’organizzazione formidabile. Ciò evidenzia quanto oggi sia possibile cambiare i rapporti di forza in una lega, in cui risorse umane ed economiche certamente non sono mai mancate, ma nella quale l’avvicendamento nella gestione delle franchigie da uno stampo più “presidenzialista” ad uno guidato da dirigenze sostanzialmente plenipotenziarie, abbia profondamente mutato le carte in tavola per numerose squadre storicamente in difficoltà. Senza togliere che il cammino, in tal senso è tutto ancora da scrivere, visti i numerosi avvicendamenti nelle ownership (si TH E NA ME OF THE M AGAZI NE / ED ITIO N

vedano Clippers, Grizzlies, Kings, Bucks, ecc.) e nel modo di pensare alla realizzazione di una squadra e di una organizzazione NBA (Sixers). Complicato capire se questo possa avvenire anche nel Minnesota, visto che la proprietà Taylor è una delle più influenti nelle vicende sportive delle squadra dell’intero panorama NBA, come ci ricorda un memorabile trafiletto di un seccato Tom Ziller su Sbnation.com, intitolato “Glen Taylor is the biggest reason Timberwolves keep losing”. D’altra parte, il vulcanico proprietario dei T’wolves è anche riuscito nel 2000 a farsi squalificare per quasi un anno dai campi NBA per aver fatto firmare a Joe Smith un contratto ufficioso per garantirsi il sì del giocatore. Si può ben capire da una serie di elementi qui enunciati che, in una scala che va dal Donald Sterling ai Joe Lacob/Robert Pera, verso quale categoria si orienti l’ex senatore del Minnesota. Taylor o non Taylor, che il destino possa mutare rapidamente è il desiderio di tutti i fan dei Timberwolves, e in parte della NBA stessa, che vede nella possibile rinascita della squadra delle Twin Cities il rafforzamento e la crescita di appeal di uno dei fanalini di coda della Lega per quanto riguarda valore della squadra (29° posto, 625 milioni di THE N AME O F THE MAGAZINE / ED ITIO N

dollari) e ricavi (26°, 128 mil.). In tal senso l’inaugurazione del nuovo centro sportivo e quartier generale dei Timberwolves (e Lynx) in quel della Mayo Clinic Center, una delle strutture più importanti degli Stati Uniti, con all’interno una sezione dedicata alla medicina sportiva all’avanguardia, è una delle migliori notizie possibile per la NBA sulla volontà dei Wolves di crescere dopo anni di impasse. L’impianto è costato attorno ai 25 milioni di dollari e ha permesso di iniziare una partnership con la clinica, che tra le altre cose è l’azienda, con circa 57.000 impiegati, a dare il maggior numero di posti di lavoro nel Minnesota, molto radicata quindi nel territorio; Adam Silver ha più volte definito la struttura un fiore all’occhiello (“gold standard” ). Il commissioner è rimasto visibilmente impressionato dalle strutture sportive e mediche presenti, talmente moderne da non essere “paragonabili con alcuna delle strutture dei club calcistici che sono andato a visitare in Europa”. La presenza dei campi d’allenamento all’interno della Mayo Clinic, sponsor ufficiale delle Minnesota Lynx (la WNBA a differenza della NBA appone gli sponsor sociali sulle magliette), ha impressionato Silver anche dal punto di vista dell’immagine di una squadra che si troverà a stretto contatto con la comunità locale (le strutture si trovano nel centro di Minneapolis, a un passo da quelle degli avventori “comuni”). Come detto da Taylor, questa nuova struttura sarà la “Game changer”. Cambierà la storia dell’organizzazione come nessun altro evento. Tutto molto ben fatto, ma il basket? Storia del Draft - La decisione da parte della dirigenza di menzionare il meno possibile la questione prima scelta appare effettivamente condivisibile. D’altra parte quando si parla di Timberwolves e Draft si rischia solo di far venire alla mente motivi di imbarazzo. Servirebbe il migliore dei

cronisti per poter trovare una definizione moderata rispetto all’operato della squadra delle Twin Cities negli ultimi dieci anni. Io propenderei per il termine “ecatombe”. Per l’analisi sui draft di Minnie avrei iniziato con piacere con un numero tondo, quindi dal 2005, ma tutto sommato di Rashad McCants poco importa, così come delle sue scorribande cestistiche nel Texas. Spurs, Mavericks, Rockets? No, Legends. In D-League. Voltiamo pagina. Del 2006, oltre a ricordare chiaramente la commozione per la prima scelta dei Toronto Raptors, mi viene in mente il terzetto Brandon Roy, Randy Foye e Rudy Gay. Rispettivamente la sesta, la settima e l’ottava chiamata del Draft. Minnesota scelse per prima. Prese Brandon Roy, salvo scambiarlo per Randy Foye, scelta controversa, nonostante l’ex T’Wolves e Clippers avesse fatto una favolosa carriera a Villanova. Sfortunatamente per Minnesota, Roy si rivelò essere, oltre che il rookie dell’anno, un giocatore incredibile. Minnesota decise successivamente di scambiare Foye e riprendere Roy, un po’ troppo tardi, purtroppo, visto che il problema cronico alle cartilagini delle ginocchia costrinsero l’ex stella di Portland a ritirarsi preventivamente. Furono vani i tentativi nel 2012-2013 di tornare in campo con i Wolves (per leggere qualcosa sulla vita post-cestistica di Brandon Roy, è stato pubblicato il 20/6 un articolo di Robby Davis di GolocalPDX. Niente di particolarmente approfondito, ma leggere qualcosa su Roy è sempre piacevole, ndr). Nel 2007, senza più Garnett come punto di riferimento, Minnesota dovette ridare un senso alla sua esistenza. A dir la verità, il giorno del Draft NBA, Garnett era ancora in quel di Minneapolis, e ci sarebbe rimasto per un altro mese circa. Perché non affiancargli quindi un centro reduce da due anni di vittorie a Florida, affinché potesse crescere sotto la sua ala protettrice, o semplicemente sostituirlo? No,

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Noah com’è noto non fu scelto con la sette, se lo assicurarono i Bulls con la chiamata numero nove. In compenso arrivò un altro vincente da Florida, Corey Brewer, che tra le altre cose non era neanche lontano parente del giocatore che è oggi, e che Minnesota ha scambiato tempo fa, ri-preso e ri-scambiato proprio quest’anno. Il 2008 va segnalato come il miglior Draft del decennio per i T’Wolves. Iniziato in una maniera non proprio positiva, ovvero con la faccia funerea di O.J. Mayo scelto alla tre, la rassegna si concluse positivamente con l’arrivo di Kevin Love (che comunque costrinse i T’Wolves a disfarsi a “costo zero” di Al Jefferson), in una trade con Memphis che coinvolse anche Mike Miller. Buona scelta anche prendersi i diritti di Nikola Pekovic, che sarebbe poi tornato utile; terrificante, invece, quella di dar via il campione NCAA e futuro bicampione NBA, Mario Chalmers. Chapeau invece ai neonati Thunder, che subito dopo O.J. Mayo scelsero con la quarta chiamata un difensore arcigno da UCLA. Il derby di guardie in salsa californiana del Draft 2008 credo l’abbia perso la USC di Mayo, visto che il Bruin in questione era Russell Westbrook. La tre di Minnesota, fu effettivamente ben spesa. Il 2009. Perché non scegliere alla cinque un playmaker e bissare nella chiamata successiva? Già dal punto di vista teorico la cosa non regge, ma se analizziamo i contenuti la questioni si fa ancor più allarmante. Ricky Rubio (quinta chiamata) si era, infatti, deciso a restare in quel di Barcellona piuttosto che non andare nel Minnesota al freddo, facendosi forza su una rescissione che i T’Wolves non avrebbero potuto pagare. Per ovviare alla problematica, in attesa della “Decisiòn”, si decise di andare con un altro playmaker, totalmente inadatto per la triple post offense, il ben noto triangolo. Scelta interessante, soprattutto dopo aver ingaggiato da più di venti giorni Kurt Rambis, storico assistente di coach 6

Phil Jackson. Il povero Jonny Flynn da Syracuse (sesta chiamata) fu scelto, nell’imbarazzo generale, subito dopo Ricky Rubio, e fu rovinato dalla scellerata gestione di David Kahn, all’epoca GM dei T’Wolves. Alla fin fine non fu così disastroso il 2009 per Minnesota. Ordine delle chiamate: 7) Stephen Curry; 9) DeMar DeRozan, 10)Brandon Jennings, 17) Jrue Holiday, 19) Jeff Teague. Alla diciotto avrebbe scelto Minnesota. Si optò chiaramente per il terzo playmaker, Ty Lawson, che però apparve un po’ troppo forte agli occhi della dirigenza che se ne liberò per una prima scelta, che in un discreto giro di vite, portò Portland a mettere le mani su Luke Babbit. Il 2009 di Minnesota rappresenta il punto più basso mai

toccato da una squadra a un Draft, quantomeno nella storia recente della NBA. Giocare un anno di triangolo con Jonny Flynn è sicuramente propedeutico per ottenere una scelta molto alta nel successivo Draft. Per dovere di cronaca, e un qual certo rispetto che ho sempre provato nei confronti dell’uomo che sconfisse insieme al disperso Eric Devendorf una delle più forti UConn di sempre in sei overtime, bisogna anche rendere noto il livello medio della squadra allenata da coach Rambis. Corey Brewer, Ryan Gomes, Damien Wilkins, Al Jefferson, con tratti di Pecherov, Lionel Hollins e tanto tantissimo Ramon Sessions; David Kahn diede il meglio di sé. Nel 2010 si decise di replicare il progetto Syracuse, poiché TH E NA ME OF THE M AGAZI NE / ED ITIO N

stava evidentemente pagando i suoi dividendi con Flynn. Con la terza chiamata fu scelto Wesley Johnson preferito a DeMarcus Cousins, dato che a Minnesota serviva solamente un centro all’epoca. Fosse servito qualcos’altro si sarebbe potuto scegliere, d’altra parte, solo tra Monroe, Hayward e Paul George. Il centro divenne quindi una priorità per l’anno successivo, il 2011. Enes Kanter e Jonas Valanciunas i più quotati. Fu preso Derrick Williams. Alla 20 Donatas Motiejunas non fu ritenuto all’altezza, e quindi invece che prendere Kenneth Faried o accettare i diritti su Nikola Mirotic, avvenne l’apocalisse. Sarebbe auspicabile passare oltre la questione Mirotic, ma fu talmente paradossale che mi è impossibile farlo. Minnesota, stufa del rendimento di Jonny Flynn (proprio nell’anno in cui fu cacciato Rambis) e di avere da qualche minuto Donatas Motiejunas, si accordò con Houston. I texani diedero a Minnesota Brad Miller, Mirotic e Chandler Parsons. Dopodiché ri-regalarono inspiegabilmente Parsons a Houston stessa, che se lo comprò per una cifra relativamente bassa. Non paghi, i Timberwolves diedero via Mirotic, a Chicago, per Norris Cole e Malcolm Lee. Norris Cole fu ceduto agli Heat, quindi la dirigenza di Minnesota, dopo aver avuto Motiejunas, Parsons, Mirotic e Cole, decise che l’unico a restare in squadra sarebbe

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stato Malcolm Lee, oggi anonimo ai Grand Rapids Drive. Vorrei veramente continuare, ma ritengo sia superfluo. Ciò che andava capito sulla gestione dei Draft di Minnesota credo si sia capito da questa ultima, sciagurata, operazione. 2014-2015 - Dopo una volata sui Draft di Minnesota tra il serio e il faceto, è ora di tornare su quel “Game changer” così utilizzato nella conferenza del 17 Giugno per presentare il nuovo quartier generale della franchigia. Che questi impianti possano rivelarsi la svolta della franchigia, è in parte condivisibile; tuttavia, con tutto il rispetto per delle strutture all’avanguardia, non basta una favolosa clinica sportiva per cambiare il DNA ventennale di un’organizzazione. La fortuna di Minnesota è che, contestualmente alla formazione del nuovo centro, sono avvenute le due più grandi svolte a livello prettamente cestistico della franchigia. L’acquisizione della prima scelta del Draft 2014, Andrew Wiggins, colpo magistrale del President of Basketball Operations, Flip Saunders, che ha valorizzato al massimo un giocatore a scadenza di contratto come Kevin Love e la vittoria della lottery nel 2015, che assicurerà ai T’Wolves un giocatore tra Karl-Towns, Jahlil Okafor e D’Angelo Russell. Sono questi tre, infatti, i giocatori più quotati del

Draft 2015. Nonostante l’occasione di avere in squadra due prime scelte (non me ne voglia Anthony Bennett) sia pressoché irripetibile, il tempismo di questa prima scelta è in parte infelice, in quanto in entrambi i ruoli coperti dal trio, quello di centro e quello di playmaker, Minnesota sta già investendo la maggior parte delle proprie risorse. I Timberwolves che hanno vinto 16 partite l’anno scorso, infatti, hanno in Ricky Rubio e Nikola Pekovic due perni della loro squadra. A dir la verità, questi perni appaiono piuttosto scricchiolanti. I due sono stati falcidiati dagli infortuni sin dall’inizio della loro carriera NBA. Con un pizzico di malignità non possiamo non pensare che la sorte sia stata francamente un po’ beffarda nei confronti dei T’Wolves, dato che solo a una squadra come quella delle Twin Cities si poteva prospettare una partnership con una clinica di medicina sportiva. Il playmaker spagnolo, nella fattispecie, ha giocato 22 partite. Nikola Pekovic appena 31. Ciò che non scricchiola, però, sono i lunghi contratti stipulati dai due giocatori. Il dato economico è piuttosto allarmante considerando che, sommando gli emolumenti del duo, Minnesota dovrà spendere più di 24 milioni di dollari l’anno prossimo. Per una squadra alla ricerca di una nuova identità e di punti di riferimento sul parquet, avere come giocatori

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cardine due elementi che tendono spesso e volentieri a infortunarsi potrebbe non giovare. Per Rubio il discorso è complesso e ci porterebbe, in parte, lontani dalla nostra analisi, andando a fare valutazioni sull’effettivo valore del giocatore; nella stagione 2015-2016, lo spagnolo andrà a percepire il nono stipendio più alto tra i point men della lega (12,7 mil.), più di Curry, Conley, Lowry, Teague, in virtù di quattro stagioni disputate in maniera poco brillante, se si esclude a tratti la terza. Considerando, però, la lunga estensione quinquennale da poco firmata, la posizione di uomo franchigia dell’ex Barcellona non dovrebbe essere in discussione, almeno fino a un’auspicata esplosione di Wiggins. Nonostante le ottime impressioni destate da D’Angelo Russell a Saunders, è difficile immaginare un rivolgimento tale da poter allontanare Rubio da Minnesota; un’eventuale coesistenza tra i due, appare ancor più complessa. Il triennale da più di trenta milioni che aspetta Pekovic, non impedirà comunque ai T’Wolves di operare una scelta tra i due centri disponibili, Jahlil Okafor e Karl Towns. Okafor ha dimostrato di poter gestire una mole di gioco offensiva senza pari al livello di college basketball, se si eccettua Frank Kaminsky (mai dimenticherò la fortuna di averli ammirati in finale in quel di Indianapolis). Tutto fa presagire che l’ex Duke possa solo che aumentare le sue abilità di realizzatore, essendo dotato di mani di una dolcezza unica. La coesistenza con un giocatore come Pekovic, soprattutto difensiva, appare però impossibile a un livello NBA. Fatto sta che l’impressione è che Saunders non si farà influenzare dalla situazione contrattuale di Pekovic, e porterà a casa semplicemente il giocatore migliore tra Towns e Okafor. Postulando la cronica assenza del montenegrino, Minnesota avrebbe la necessità di annoverare tra le proprie fila un realizzatore 8

puro sottocanestro. Francamente, però, la metà campo che desta ancor più preoccupazioni in quel di Minneapolis è quella difensiva. Nella stagione appena passata i T’Wolves hanno avuto il peggior defensive rating della Lega (un orribile 112.2) e Karl Towns sembrerebbe essere un giocatore in grado di poter dare una scossa da questo punto di vista. Non è solo questo, però, il motivo per apprezzare un giocatore con le caratteristiche dell’ex Kentucky. Proprio i Wildcats, infatti, hanno negli ultimi anni portato alla ribalta dei centri atipici come Anthony Davis e Nerlens Noel. Entrambi, ovviamente a due stadi della carriera ben distinti, hanno iniziato con prerogative prettamente difensive, evolvendo man a mano il proprio gioco. Per Davis, ovviamente, abbiamo un campione più ampio rispetto alla singola stagione di Noel, in cui i progressi sono stati comunque piuttosto evidenti. Towns sembra essere un giocatore con queste fattezze, e non è assolutamente escluso che nel corso della carriera possa migliorare fino a diventare un giocatore decisivo anche nella metà campo offensiva. In una squadra come Minnesota, che pullula di difensori mediocri, Okafor potrebbe vedere le sue debolezze messe maggiormente in mostra, senza avere necessariamente enormi benefici dal sistema offensivo guidato da Rubio. In questo momento, anche in virtù delle esplicite dichiarazioni di Coach Calipari che descrivono un Towns voglioso di giocare per i Wolves, sembra essere, quindi, l’ex Wildcat l’uomo deputato alla ricostruzione della franchigia insieme ad Andrew Wiggins.

in cui, se si escludono gli anni d’oro di Kevin Garnett, Minnesota è sempre sembrata un’ospite indesiderata. Anche per questo, il momento sembra essere quello propizio. L’arrivo di Wiggins, il ritorno, forse momentaneo, dello stesso Garnett, l’unico giocatore in grado di mettere nella mappa cestistica degli Stati Uniti le Twin Cities, e infine questa prima scelta, che rappresenta l’unica occasione negli 26 anni di storia della franchigia di poter scegliere il miglior giocatore possibile, sono segnali decisivi per il rilancio dei Minnesota Timberwolves. Si tratta ancora una volta, per l’ultima volta, di scegliere bene tra le opzioni disponibili. First pick, last chance.

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Outro - Comunque vada, Saunders non può permettersi di sbagliare. Il momento in cui si scriverà il destino per i Timberwolves sarà proprio il 25 di Giugno. L’alternativa al successo è la fine di tutto, dell’ultima vera chance per poter incidere in una Lega TH E NA ME OF THE M AGAZI NE / ED ITIO N

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1 - MUDIAY AL NIKE HOOP SUMMIT

LORENZO NERI

TO CHINA AND BACK LA LUNGA STRADA DI MUDIAY

Nato a Kinshasa ma cresciuto a Dallas, Emmanuel è reduce da un’esperienza in Cina molto remunerativa (ha guadagnato 1.2 milioni di dollari), ma non per questo meno formativa. A differenza di Jennings e Tyler, l’approccio con una realtà diversa è stato ottimale e Mudiay si è distinto anche per una grande abnegazione. Sarà un esempio da seguire in futuro per i talenti che vorranno bypassare il college?

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sprecare un anno del suo talento, conscio del rischio di pagarne le conseguenze al momento del Draft.

Il 24 agosto 2013 Emmanuel Mudiay metteva la firma sulla lettera d’intenti che lo avrebbe legato alla Southern Methodist University allenata dal leggendario coach Larry Brown per la stagione 2014/15, in quella che crediamo sarebbe stata l’unica della sua carriera collegiale. La maglia dei Mustangs però non la metterà mai, così come non avrà la possibilità di imparare i concetti della Right Way di coach Brown. Undici mesi dopo infatti, precisamente il 22 luglio 2014, il ragazzo nato a Kinshasa ma cresciuto a Dallas, firma un altro documento ben più remunerativo: è il contratto da 1.2 milioni di dollari che lo lega con la squadra cinese dei Guangdong Tigers per un anno, quello che doveva passare nel campus dell’ateneo texano.

nistico non è più ormai inedita prima di lui ci sono passati Brandon Jennings con le sue vacanze romane e Jeremy Tyler in un tour che lo ha portato da Israele al Giappone - ma rimane comunque un percorso non convenzionale che farà sempre notizia, un percorso che può rivelarsi vantaggioso inizialmente ma che può pagare i dividendi poi nel corso della carriera. E proprio i suoi predecessori ne sono l’esempio più fulgido.

Ovviamente l’attenzione da parte dei La scelta di bypassare il college per media è salita alle stelle al momento andare a giocare a livello professio- della decisione e, come previsto, 10

non sono certo andati per il sottile. Durante le interviste a lui e a Brown dopo l’annuncio in molti hanno puntato il dito verso i sospetti sulla sua eleggibilità scolastica, ma entrambi hanno smentito ogni singola volta motivandola con la possibilità per Mudiay di aiutare sin da subito la madre e i fratelli a livello economico dopo una vita che li ha visti perdere il padre prematuramente e un’infanzia passata a cavallo tra un Congo in piena guerra e l’America. Ha scelto di soprassedere ai limiti d’età imposti dalla NBA per cercare una fonte di reddito che gli permettesse di non

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Nel momento in cui ha finito il liceo era considerato uno dei pretendenti alla prima scelta assoluta con Okafor, ma dopo la stagione passata in Cina le quotazioni sono inevitabilmente scese, principalmente a causa dell’esplosione di giocatori come Karl-Anthony Towns e D’Angelo Russell e dell’avvento della nuova european sensation Kristaps Porzingis, ma principalmente perché la sensazione comune era quella di aver perso la cognizione delle sue capacità e del suo potenziale. Non potendosi mettere in competizione diretta con i suoi coetanei è cresciuto intorno a lui un grosso punto di domanda, relegandolo a uomo del mistero quando invece non lo è mai stato se non per giornalisti/blogger/ appassionati. Non lo è sicuramente stato per i front office NBA - a patto che ne esistano per loro di mystery men, considerando i vari scout internazionali - che lo seguono sin dalle prime uscite liceali e lo hanno seguito durante quest’annata. Non è precipitato nelle previsioni, difficilmente andrà oltre la 6 dei Kings, ma ugualmente intorno a lui vige questo alone di mistero derivante dalla sua scelta. Il campionato cinese non brilla certo per spettacolarità: la disparità tra i giocatori locali e gli americani ingolo-

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siti dai grandi assegni dei proprietari è abissale, le difese, l’intensità e il livello tattico è decisamente inferiore rispetto a quello che si può trovare in ambito collegiale; ma in Oriente Emmanuel ha potuto affrontare giocatori di buon livello - principalmente americani - nel suo ruolo e le due partite di semifinale contro gli Shangai Sharks di Stephon Marbury, seppure non fosse neanche al 50% fisico (e lo si è notato in gara-4, esausto), sono state esaltanti per mostrare le sue potenzialità. Ha potuto adattarsi a carichi e tempi di allenamento comparabili a quelli che troverà in NBA, comportandosi da vero professionista, anche fuori dal campo. Rispetto ai predecessori, Mudiay non se ne è andato solo per gli easy money, non ha fatto come Brandon Jennings, sbarcato in una realtà completamente diversa rispetto a quella a cui era abituato credendo e sperando che questa si adattasse a lui. Il congolese si è plasmato in Cina, ha cercato di ambientarsi in tutti i modi e quando si è fatto male alla caviglia dopo 10 partite e i Tigers lo hanno prontamente sostituito con Will Bynum non ha preso il primo volo di ritorno per gli States come ci si aspettava, è rimasto, ha lavorato e viaggiato assieme alla squadra

nonostante non potesse giocare. Per questo il paragone con le scelte passate di Jennings appunto e Tyler sono fuorvianti. C’è un approccio e un’applicazione che negli altri due casi non si è mai vista ed è per questo che nonostante il sospetto a cui si guarda a questa operazione, i dubbi e il timore, non perderà troppo terreno la notte del 25 giugno come è successo agli altri. Non so se Mudiay abbia settato un nuovo inizio per questo genere di decisioni, non credo diventerà un trend a meno che la NBA continui con queste ridicole regole sul limite di età, ma qualora lo diventasse sono sicuro che sarà lui l’esempio da seguire.

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fatto che oggi, nel 2015, sia diventato ormai fondamentale dare una certa opinione di sé, anche a costo di snaturarsi e di diventare altro rispetto a se stessi.

LUCA NGOI

SOCIAL DRAFT La percezione mediatica dei prospetti nell’era dei social

Ho sempre trovato strano, ma per certi versi interessante, come uno sport di squadra come il basket si trasformi quasi in una specialità individuale durante il periodo del Draft. Lo screening approfondito dei prospetti coinvolti in questa kermesse annuale tende infatti a togliere l’attenzione dal concetto di coralità per focalizzarsi sull’individuo. A differenza del Draft NFL, che concentra tutto il suo massimo carico emotivo e di attenzione in un unico evento preparatorio come il Draft Combine (o due, se vogliamo includere anche i Pro Days all’interno dei campus di varie Università), il Draft NBA è molto più diluito nel tempo. Esiste una Combine, finalizzata alle misurazioni fisico-atletiche dei giocatori, ma è infinitamente meno seguita a livello mediatico: basti pensare che non è nemmeno trasmessa in televisione, diversamente da ciò che accade in NFL, in cui questo evento è televisto da quasi un decennio. Siamo entrati in un’era in cui possiamo potenzialmente sapere tutto di tutti. Possiamo quasi riuscirci con perfetti sconosciuti che incontriamo un giorno in un bar. E allora perché non dovremmo sentirci in dovere di conoscere tutto di un ragazzo di vent’anni o poco più che potrebbe diventare il nuovo giocatore della nostra squadra preferita? In fondo

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ce lo ha insegnato Socrate che avere sempre più informazioni, conoscere sempre qualcosa in più fa parte della nostra cultura, oltre ad essere un dovere morale non solo per gli intellettuali ma per tutti i cittadini. Forse sto elevando un concetto popolare come lo sport a qualcosa di più alto tirando in ballo il filosofo greco, ma penso che anche lo sport (in questo caso il basket) necessiti di una legittimazione più elevata per penetrare all’interno della cultura più propriamente detta. Questi giorni, o forse sarebbe meglio dire queste settimane, di “periodo Draft” non devono essere state facili per i ragazzi che si preparano a sostenere un evento così importante. Per alcuni si tratta del punto più alto della propria carriera da giocatore. Altri vengono da luoghi che il tifoso medio americano non pensa neanche facciano parte della cartina del mondo e che in ogni caso pronuncerà in modo sbagliato. Tutti però, in un modo o nell’altro, stanno cercando di fare la stessa cosa: impressionare. Fare bella figura. Dopo gli anni ’80, quelli del grave problema della droga (giocatori che ormai quasi platealmente facevano uso di cocaina prima delle partite, poi il “caso Len Bias”, ecc…), dopo i primi ’90 e lo spopolare della cultura hip hop apertamente sbattuta in faccia da ragazzi come

Allen Iverson e Shaquille O’Neal, la NBA ha cercato di cambiare direzione. Basta con tutte queste catene e vestiti larghi: essere cattivi non fa figo. Non era evidentemente più tempo per i Bad Boys, forse più per il fatto che non impressionavano più la gente che non per una reale idea etico-morale della Lega. Da lì in poi si è sempre cercato di puntare tutto sull’apparenza, e non lo dico necessariamente come un fatto negativo. Apparire come un bravo ragazzo, avere una famiglia solida e unita alle spalle, dedicarsi con passione anche allo studio, sono diventate qualità ammirevoli tanto quanto tirare bene da tre punti o prendere tanti rimbalzi? Probabilmente sì. Gli ultimi giocatori arrivati nella NBA con una reputazione di “cattivi ragazzi, ma talenti spaventosi” che mi vengono in mente sono OJ Mayo e Michael Beasley (casualmente scelti nello stesso Draft: quello del 2008). Nessuno dei due è riuscito a emergere come il grande giocatore che il loro potenziale poteva lasciar intravedere. Potremmo fare molti discorsi sul fatto che ciò che le persone si aspettano da noi possa effettivamente tradursi nel nostro rendimento reale in campo lavorativo o sociale, ma per il momento mettiamoli da parte. Concentriamoci invece sul

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Essendo sostanzialmente un malato di Draft, passo gran parte del mio tempo in questo periodo a scrutinare i prospetti, a controllare i Mock Draft sito per sito e, molto spesso, a sentire o leggere interviste dei giocatori. Provate a fare un semplice esperimento. Andate sul canale YouTube di DraftExpress (il sito che è ormai un’autorità in fatto di basket giovanile mondiale). Prendete tre interviste a caso a tre prospetti diversi. Al di là del fatto che le domande sono pressochè le stesse, vi sfido a trovare grandi differenze tra di loro. Tutti i ragazzi si descrivono come “regular kids”, persone normali (e in effetti non ne dubito), che passano il loro tempo libero dormendo, mangiando o giocando ai videogiochi, e tutti comunque ribadiscono di mettersi a disposizione dei futuri allenatori per poter giocare in qualsiasi ruolo sia loro richiesto. Raramente ho sentito risposte diverse da quelle elencate, e questo ci pone un interrogativo importante riguardo la percezione di questi giocatori nel 2015. La personalità viene in qualche modo omologata in favore di una tanto ricercata “normalità”. Ma che cos’è la normalità? Verrebbe da chiederselo a questo punto. Normalità è forse fare tutti la stessa cosa? Non potrebbe viceversa essere catalogata come “banalità”? Quanto può essere influenzato un General Manager o uno scout da risposte standardizzate in serie come in una sorta di novella catena di montaggio nella quale a uno stimolo (la domanda del giornalista in questo caso) corrisponde una reazione sempre identica? La mia opinione è che, in questo contesto, cercare di differenziarsi non faccia necessariamente del male. Anche in questo caso però molto THE N AME O F THE MAGAZINE / ED ITIO N

probabilmente è più una questione di reputazione e di voci che di fattori comportamentali reali. Quante volte abbiamo visto un ragazzo scendere di due o tre posizioni anche per i rumors che circolavano in merito al proprio atteggiamento o alla sua etica del lavoro? Soltanto qualche giorno fa parlavo con un allenatore di Serie C italiana che mi ha detto di aver scelto un giocatore e conseguentemente non confermato un altro solo perché il primo aveva più voglia di allenarsi e di sacrificarsi tutti i giorni in palestra. Questo tipo di elementi giocano in questi anni un ruolo ancor più fondamentale, e possiamo presupporre che unitamente ad uno scouting tecnico ne venga effettuato uno caratteriale e psicologico.

Alla fine dei conti però ciò che conta ancora più di qualsiasi altro aspetto è quello tecnico. Ma anche in questo caso la tecnologia e i social media, e in generale tutto un circolo vizioso di dicerie e voci all’interno di addetti ai lavori e non, sta prendendo il sopravvento sul resto. Come vi dicevo in precedenza, il periodo del Draft scatena in me antichi feticismi, che mi portano ad esempio ad esaltarmi per video di workouts (allenamenti, o provini se preferite) di tutti i giocatori che hanno anche solo una minima chance di essere scelti. Per quanto mi riguarda è un rituale che porto avanti da diversi anni, ma per la prima volta quest’anno ho la sensazione che la highlights-mania stia arrivando ad un livello superiore. Il caso più re13


recente è quello del video, rilasciato da SLAM Magazine, di Kristaps Porzingis, il talento lettone che ha giocato questa stagione a Siviglia. Nel video in questione il figlio e fratello d’arte (Janis Porzingis ha giocato anche in Italia) schiaccia, salta, e mette in mostra un jumper (anche dalla lunga distanza) tutt’altro che disprezzabile avendo però come unici avversari i trainers che conducono il workout. L’esibizione del giovane Kristaps è apprezzabile e sicuramenKRISTAPS PORZINGIS Il talento lettone proveniente dalla ACB, più precisamente da Siviglia, ha generato grande rumore per un video in cui mette in mostra tutte le sue qualità, ritenute abbastanza elevate per essere scelto molto in alto.

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te denota un talento da lottery, ma qualcuno in seguito a questo filmato di circa cinque minuti, ha parlato di possibilità che possa essere scelto alla numero due dai Los Angeles Lakers, anch’essi impressionati dalla performance. Quanto può un video arrivare a penetrare realmente all’interno di ambienti professionali estremamente qualitativi come lo staff tecnico di una squadra riconosciuta a livello mondiale? Probabilmente non siamo ancora arrivati al punto in cui la percentuale di questi fattori che chiamerei estrinsechi è preponderante nei ranghi di un front office chiamato pur sempre a prendere decisioni che potrebbero influenzare il futuro di una franchigia,

ma certamente fino a qualche anno fa era impossibile immaginare i livelli ai quali siamo arrivati oggi. Rimanendo nei limiti di questo discorso, e allargandolo parzialmente, potremmo dire che molto spesso sono anche i giornalisti ad esasperare i termini di certe valutazioni. Termini come “Future Top 5 Pick”, “Absolute BEAST”, “Dominates”, non fanno altro che mettere pressione a dei ragazzi che non sempre sono in grado di fare fede a tali aspettative. Oltretutto generano un hype tra gli appassionati, i quali a loro volta creano aspettative intorno a un giocatore che magari ha semplicemente ben figurato in un allenamento.

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Un altro esempio in questo caso è quello di Emmanuel Mudiay, talento congolese transitato in Cina per il suo anno post-liceo e immediatamente risucchiato nel vortice dei video pre Draft dopo essere stato protagonista di una serie di mixtape proprio nel suo periodo liceale. Forse è proprio lui il vero simbolo della nuova direzione verso la quale sta andando la percezione dei prospetti cestistici. Mudiay è stato un fenomeno di culto sostanzialmente da quando ha iniziato a giocare a basket negli Stati Uniti: molte persone conoscono meglio i suoi video di schiacciate rispetto agli highlights di un Ramon Sessions qualunque. Possiamo dire che Mudiay è già un giocatore migliore di Sessions pur non avendo giocato un singolo minuto di basket NBA? Molto probabilmente no, anche se qualcuno potrebbe giurare il contrario. Un qualcuno che, molto probabilmente, sarà stato inficiato nella sua valutazione da tutta quella serie di video e quindi portato ad un’analisi soltanto superficiale del giocatore e della persona Mudiay, il quale però è già un brand. Non voglio avere la malafede di pensare che a diciannove anni ci sia già qualcuno dietro a Mudiay che gli possa indicare precisamente le mosse da seguire per apparire in un certo modo, anche perché ha assunto un agente da relativamente poco tempo e dubito si possa già permettere una persona che si occupi della sua immagine a 360 gradi. Ma anche se così fosse, la percezione di Emmanuel Mudiay come “talento che piace” era tale già quando di anni ne aveva diciassette, dunque possiamo presupporre una certa inclinazione naturale ad apparire in un certo modo. Il congolese è sicuro di sé, al limite della cockiness, ha una grande autostima (il che potrebbe aiutarlo oltremodo con il suo tiro, dalle percentuali ondeggianti) e non ha paura di ferire quella dei suoi avversari. È il tipo di playmaker che esalta le folle nel 2015: uno che THE N AME O F THE MAGAZINE / ED ITIO N

preferisce schiacciare piuttosto che passare. E che lo fa con una potenza inaudita. Tutto ciò contribuisce a creare una certa percezione di sé, e quindi in qualche modo a preferirlo ad altri giocatori meno esposti mediaticamente e che probabilmente infiammerebbero meno gli appassionati sin dal primo giorno. In un 2015 in cui esistono mixtape di ragazzini delle medie, oppure in cui sono le stesse famiglie dei ragazzini a richiedere a siti specializzati di realizzare video appositamente per creare da subito una certa percezione di questi piccoli cestisti, appare chiaro come sia necessaria una riflessione. Non tanto di carattere moralistico per affermare il solito adagio del “so’ ragazzi, lasciamoli divertire”, ma quanto sul tipo di direzione che sta prendendo lo scouting professionale e non. La soglia di età in cui è considerato lecito fare scouting si sta abbassando, andando a toccare quella del college football, che notoriamente presenta tramite le proprie Università lettere di intenti a ragazzi in età da scuola media. Il basket sta arrivando a questi livelli, anche perché evidentemente c’è un interesse da parte del pubblico nello scovare e nel seguire persino affettivamente dei giocatori sin dagli albori delle loro carriere, nel senso letterale del termine. Nel 2015 un video di YouTube o un tweet ci dicono molto di più di un giocatore di basket rispetto a quanto potevano dirci anche solo cinque o sei anni fa. Ma allargando il tiro potremmo dirci che ci raccontano di loro: delle loro esperienze, dei loro pensieri (tendenzialmente standardizzati) e della loro vita in generale. Non è raro ormai trovare mini documentari di quindici o venti minuti anche su giocatori liceali o collegiali, perché, come dicevamo all’inizio, si vuole sempre sapere di più, e per converso avere sempre maggiori metri di valutazione per analizzare un prospetto. Sono strumenti che

EMMANUEL MUDIAY Il congolese è un fenomeno di culto da quando ha iniziato a giocare a basket negli Stati Uniti. I suoi video hanno avuto una diffusione enorme e ha caratteristiche tali da essere percepito come “talento che piace”.

ci aiutano a capire maggiormente alcuni aspetti, ma fino a che punto sono realmente utili per la carriera dei ragazzi e per i management che devono sceglierli? A volte un video può essere la svolta di una carriera, ma tante altre può, se non distruggerla, come minimo imprimerle un moto discendente.

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LO SCOUTING - PETE PHILO -

Quali sono i compiti di uno scout NBA? In base a cosa le squadre NBA preferiscono scegliere al Draft un giocatore piuttosto che un altro? Abbiamo cercato di scoprirlo parlando con Pete Philo, attualmente direttore dell’International Scouting dei Pacers e con un passato nei Minnesota Timberwolves e nei Dallas Mavericks. Non potendo parlare di giocatori presenti, passati e futuri, secondo il regolamento NBA, Pete Philo ci ha parlato di cosa rende tale un grande scout. Ciao Pete. Potresti cominciare presentandoti. Quali sono i tuoi incarichi e in cosa consistono? «Sono il direttore dell’International Scouting degli Indiana Pacers e il CEO di TPG Sports Group. Principalmente le mie mansioni consistono in ricerca di dati statistici, telefonate con colleghi e addetti ai lavori, organizzare il calendario e gli impegni dei miei collaboratori, raccogliere informazioni da allenatori, General

Manager, agenti e da ogni tipo di ente mediatico. Il mio lavoro di scouting è ugualmente diviso: il mio tempo è occupato al 50% dall’osservazione di giocatori NCAA e il restante 50% dall’osservazione di prospetti internazionali. Generalmente, intorno alla metà della stagione NCAA, guardo anche molte partite NBA. Trovo che guardare partite NBA sia molto importante per uno scout che lavora in questo ambiente, così da restare aggiornati sullo sviluppo dei sistemi di gioco professionistici e trovare quindi prospetti che meglio si adattano a questi ultimi. Le attività che svolgo maggiormente sono quindi le telefonate e, soprattutto, l’osservazione di filmati». Svolgi molti compiti ma so che la NBA ha anche regole molto rigide per gli scout. Quali sono le azioni che ti sono assolutamente proibite? «Esatto, ci sono davvero tante limitazioni. Ti dico le principali, quelle che dobbiamo tenere sempre a mente,

PHILO IN ITALIA Pete Philo con Danilo Gallinari al Rebook Eurocamp 2008, che si è svolto a Treviso. Foto tratta da TPG Sports Group, sito ufficiale dell’organizzazione di cui Pete è presidente.

CLAUDIO PAVESI

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specialmente quando viaggiamo. Non possiamo avere alcun tipo di comunicazione diretta con i prospetti eleggibili al Draft prima che questi si dichiarino ufficialmente. Oltretutto non possiamo parlare dei prospetti o di giocatori NBA durante le interviste o, in generale, con chiunque non lavori nella franchigia di riferimento. Non possiamo nemmeno parlare con i giocatori NBA delle altre squadre. Come detto, ci sarebbero molte altre regole ma queste sono le principali, quelle su cui la NBA è più severa e attenta». Solitamente quanto tempo ti ci vuole per osservare un prospetto prima di essere convinto del suo valore? «L’osservazione sui video non è mai abbastanza ma, personalmente, preferisco osservare un giocatore dal vivo come minimo per tre volte. Ovviamente le variabili sono tantissime ma la più delicata riguarda lo scouting dell’ambito prettamente tecnico e legato alla pallacanestro giocata, infatti non elimino mai un prospetto dalla mia lista senza averlo visto dal vivo almeno una volta. E’ molto importante osservare un giocatore in diversi ambienti, situazioni e livelli di gioco, per vedere come riesce a reagire a ciascuno di essi. Una cosa altrettanto utile, se non di più, è osservare un giocatore in diversi sistemi di gioco. Se mi capita un’occasione del genere durante lo scouting di un prospetto non me la faccio scappare». Cosa cerchi di solito in un prospetto? «E’ difficile da dire. Ovviamente le qualità fisiche e tecniche sono fondamentali ma generalmente cerco di concentrarmi su ciò che più serve a un giocatore per fare bene in una determinata posizione. Ogni ruolo infatti ha un set di caratteristiche che può essere o meno trasportato anche nel gioco NBA. Più che una caratteristica è importante trovare quelle doti che meglio si adattano 17


possiamo parlare direttamente con i giocatori in questione, ma estremamente completo e dettagliato».

“Il mio palcoscenico preferito? L’Eurolega, sempre spettacolare e di altissimo livello. Le Final Four sono imperdibili, non solo per i prospetti coinvolti, ma anche perché sono l’occasione per parlare con i migliori addetti ai lavori”.

alla squadra NBA che lo sceglierà». NBA, NCAA e basket FIBA hanno diversi sistemi e regole. Come queste differenze influenzano il tuo modo di fare scouting? «E’ qui che sta il segreto per essere un bravo scout. Conoscere le regole e i sistemi di gioco dei vari campionati è fondamentale per fare un buon lavoro. Spesso infatti ciò che rende un prospetto ottimo per il basket NCAA lo può condannare nel basket europeo e viceversa. I talenti migliori sono sempre quelli in grado di fare la differenza in ogni campionato e in ogni sistema di gioco». Considerando la tua esperienza, quale credi sia il campionato internazionale migliore per lo sviluppo di un prospetto? Quello in cui più facilmente si trovano NBA-ready. «Ovviamente il palcoscenico che preferisco è l’Eurolega, sempre spettacolare e di altissimo livello. Mi piace molto anche il campionato spagnolo, la ACB. Trovo che sia un campionato davvero di altissimo livello e ricco di ottimi allenatori. Recentemente infatti sono molti i giocatori della ACB che vengono scelti ai Draft NBA». Quali sono gli eventi che un Interna18

tional Scout NBA segue con più interesse? A questo proposito, guardi anche partite di basket liceale? «Vado a molti eventi ma il principale resta sempre le Final Four di Eurolega. Spesso ci sono alcuni prospetti coinvolti ma, anche quando non ci sono talenti da osservare in vista del Draft, è un evento da non perdere per mantenere i propri contatti e per parlare con i migliori addetti ai lavori. Per quanto riguarda il basket liceale invece la situazione è più complessa. Le regole NBA infatti ci proibiscono di seguire le partite di high school ma possiamo andare agli eventi (esterni ai loro campionati) in cui ci sono i prospetti». E’ comune per le squadre NBA draftare giocatori che poi non vengono firmati immediatamente. Questi finiscono per giocare in giro per il mondo ma i loro diritti riguardanti la NBA restano nelle mani di chi li ha draftati. Come si comportano gli scout nei confronti di questi ragazzi? «Solitamente questi giocatori sono molto seguiti dagli scout della squadra che li ha scelti al Draft. Passiamo molto tempo con loro, la comunicazione costante è infatti essenziale per osservarne i miglioramenti ma soprattutto per farli sentire parte di

un progetto a cui dovranno prendere parte in futuro. Spesso gli scout si recano nel paese in cui questi talenti giocano per vederli in campo ma anche per passare del tempo con loro e conoscerli meglio così da vedere come vivono quella che per molti è la prima esperienza da professionisti. Appena hanno del tempo libero cerchiamo di farli venire alla sede centrale della franchigia NBA che li ha scelti e li facciamo allenare nei nostri centri». Immagino che tu, come ogni scout NBA, non ti occupi solo dell’aspetto tecnico di un prospetto, ma farai anche ricerche per capire che tipo di persona sia fuori dal campo. Specialmente al giorno d’oggi, visto che grazie ai social network questi giovani talenti sono ancora più esposti ai media e all’opinione pubblica. «Esatto. Facciamo ricerche molto approfondite su ciascun giocatore che valutiamo, nessuno escluso. Cerchiamo tra le informazioni più generali fino ad addentrarci nei rapporti che ha con la famiglia, con gli amici, con la scuola, con gli allenatori e chi più ne ha, più ne metta. Cerchiamo di sapere tutto ciò che un prospetto fa fuori dal campo, nel bene e nel male. E’ un lavoro lungo, anche perché non TH E NA ME OF THE M AGAZI NE / ED ITIO N

Pete, fai questo lavoro da più di dieci anni e al giorno d’oggi, grazie a internet e alle nuove tecnologie, è possibile avere il materiale video in maniera più sostanziosa e rapida rispetto al passato. Quanto ciò ha influenzato il tuo modo di procedere allo scouting? Ad esempio, adesso viaggi tanto quanto dieci anni fa? «Certamente le nuove tecnologie ci hanno dato una grande mano e ci hanno permesso di essere ancora più produttivi. Da quando possiamo avere così tanti video e statistiche avanzate i report degli scout sono diventati incredibilmente dettagliati. Ciò nonostante non viaggio meno rispetto al passato. Preferisco sempre seguire i giocatori dal vivo e credo che sia importante vedere le partite in loco per valutare al meglio un giocatore». Hai lavorato con tante franchigie NBA come i Mavericks, i Timberwolves e ora i Pacers. Puoi spiegare i diversi rapporti delle dirigenze con gli scout? «Ogni squadra ha il suo modo di lavorare. E’ essenziale che ci sia una continua comunicazione con i piani alti, così come grande leadership

nel front office. Ai Pacers mi trovo benissimo perché l’organizzazione è estremamente professionale e tiene molto allo scouting. Io e gli altri scout parliamo spesso con la dirigenza e i coach. In alcuni periodi le comunicazioni sono settimanali, in altri invece sono addirittura giornaliere. Danno grande rilievo al nostro lavoro». Dal momento che ti occupi dello scouting internazionale vieni spesso anche in Italia. Cosa ne pensi del campionato italiano e della pallacanestro espressa nel nostro paese? «Amo il campionato italiano ma devo ammettere che il livello è calato rispetto agli scorsi anni. Spero che ritorni in fretta ai livelli del passato perché l’Italia è un paese fantastico e con una grande cultura cestistica, molto radicata nel territorio. Ciò nonostante ritengo sia ancora tra i migliori campionati europei, con ottimi allenatori e dirigenze capaci, infatti mi capita spesso di venire in Italia a osservare giocatori. Ti assicuro che gli scout NBA adorano venire in Italia, il paese infatti è stupendo e il cibo è fantastico». Per l’ultima domanda cambio leggermente argomento. Tu personalmente sei tra i responsabili sviluppatori della Pro Scouting School, il principale evento di formazione

per scout in America. Ci parleresti di questa iniziativa? «Si tratta di un progetto molto importante e speciale per me. Io e gli altri organizzatori ci abbiamo lavorato per molti anni e abbiamo finalmente lanciato il progetto nel 2014. E’ un evento che offre corsi e strategie per sviluppare l’educazione e le relazioni degli e tra gli scout. In questa conferenza è possibile incontrare i principali addetti ai lavori nel mondo della pallacanestro, ascoltare le loro presentazioni così da imparare nuove tecniche e, ovviamente, accrescere la propria agenda di contatti. Ci occupiamo di ogni aspetto dello scouting: dal mondo universitario a quello professionistico, americano e internazionale, prendendo in considerazione ogni aspetto, dai sistemi di gioco a quelli di allenamento, fino all’uso delle analytics e delle nuove tecnologie. Penso sinceramente che sia il livello più alto a cui una conferenza relativa al basket possa ambire, e per questo dobbiamo ringraziare tutti i nostri contatti e le persone abili e capaci che decidono di prenderne parte. Quest’anno pensiamo di aggiungere anche diverse sale dedicate all’analisi video per avere un ambiente più organizzato e dedicato al puro scouting. E’ davvero un grande progetto».

“Pro Scouting School è un grande progetto, molto importante per me. E’ un evento che offre corsi e strategie per sviluppare l’educazione e le relazioni degli e tra gli scout”.

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LO SCOUTING

- MATTEO JEMOLI -

In cosa consiste il lavoro di scouting in Europa e, nel dettaglio, per le squadre del campionato italiano? Come si scopre il nuovo rookie rivelazione della Serie A? Ne abbiamo parlato con Matteo Jemoli, ex assistente della Pallacanestro Varese e ora primo assistente alla Pallacanestro Trapani. Prima di tutto puoi spiegare ai nostri lettori in cosa consiste il tuo ruolo di assistant coach? «Da 6 anni faccio l’assistente in Serie A nella Pallacanestro Varese. Oltre al mio ruolo di assistente-allenatore negli allenamenti e durante le partite, nel resto del tempo mi occupo (insieme ai vice allenatori che ho avuto la fortuna di affiancare) del lavoro di scouting degli avversari al video e di preparazione della partita. Oltre al lavoro al video di scouting pre e post partita, nel basket moderno dobbiamo essere aggiornati anche sui giocatori stranieri (provenienti da college e altri campionati europei)

per essere informati sul maggior numero di talenti possibili sia durante l’anno, in caso ci sia da rimediare a infortuni o tagli, che durante l’estate per il mercato». Quante partite o quanto tempo serve per capire al meglio le caratteristiche di un giocatore giovane? «Non c’è una regola fissa per quanto riguarda il tempo. Solitamente ho delle liste (per età, disponibilità, ultimo anno di college, ruoli, ecc..) dalle quali comincio a guardare delle clip del giocatore e a creare così un profilo che poi metto in un database. Se il giocatore è molto interessante per il nostro club (specie durante l’estate, dove abbiamo più tempo) mi vado a vedere anche delle partite complete per capire meglio il ritmo della partita e alcune situazioni specifiche che dalle clip sarebbero difficili da capire». Quali caratteristiche osservi maggiormente in un prospetto? Quali sono le qualità che rendono

JEMOLI CON DUCARELLO Matteo Jemoli (a sinistra) con Ugo Ducarello (a destra). Hanno lavorato insieme a Varese nella scorsa stagione, mentre nella prossima saranno insieme a Trapani in Serie A2 Gold.

L’NCAA e i campionati europei hanno regole molto diverse e un tipo di gioco molto diverso, come impatta questo aspetto nella valutazione di un giocatore? «Prima di tutto quando guardo un giocatore cerco di creare un profilo “neutro” che si basa su ciò che sa fare e su ciò che non sa fare, indipendentemente dal fatto che giochi in una squadra che predilige correre o in una che preferisce un attacco più lento ed

AUTORE: LUCA ANTONELLI CREDIT PHOTO: GIANLUCA BERTONI

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un giocatore NCAA utile per il gioco europeo e quali invece quelle che lo rendono meno interessante e più adatto a NBA/D-League? Nella valutazione di un giocatore conta anche l’aspetto “off-court” o interessa comunque molto meno dell’aspetto tecnico? «Come detto, dei giocatori che vedo creo un profilo che poi metto in un database. Di solito divido il profilo in 4 fasi: analisi fisica (braccia lunghe, parte alta del corpo, piedi veloci, ecc…), analisi offensiva (come si costruisce i tiri, il suo gioco di 1contro1, come va a rimbalzo, quali sono le sue tendenze, ecc...), analisi difensiva (regge gli 1contro1, mette il corpo, fa tagliafuori, ecc..) e valutazioni finali in cui analizzo il ruolo in cui potrebbe giocare, il livello generale, se è adatto al club e le informazioni personali. Per quanto riguarda i rookies è sempre molto difficile dare un giudizio. Se alle volte sbagliano persone competenti come scout e general manager di grande esperienza, figuratevi quanto possa esser complesso immaginare il futuro di un ragazzo di 20 anni che esce dagli Stati Uniti per la prima volta in vita sua. Certo l’aspetto “off-court” è molto importante. Con le nuove tecnologie e tramite una rete ampia di contatti oltreoceano è abbastanza “semplice” ricevere notizie sulla vita privata di questi ragazzi, sui loro stili di vita o se hanno combinato qualche cosa che non va negli anni del college».

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elaborato. Quello che mi interessa è fare una sorta di fotografia del singolo giocatore. Poi logicamente una delle grandi diversità sono i 35” per azione concessi nella NCAA rispetto al basket europeo. Soprattutto per quanto riguarda gli esterni capita di vedere dei playmaker (anche se ormai sono quasi tutte combo-guard) che giocano i primi 20” dell’azione senza attaccare, cosa che in Europa non è ovviamente permessa dal cronometro dei 24”». In Italia ormai arrivano sempre più rookie direttamente dall’NCAA: quali sono le difficoltà che possono incontrare alla loro prima esperienza da professionisti lontano da casa e cosa possono imparare in un campionato come quello italiano? «Senza dubbio lo sbarco in Italia di un rookie va incontro a pro e contro, come tutte le scelte. Per dei ragazzi di 20 anni giungere nel nostro paese senza esser quasi mai usciti dagli Stati Uniti può essere un problema, sia per quanto riguarda la pallacanestro che l’ambientamento nella vita quotidiana (tra le domande più comuni troviamo «Perché qui i negozi chiudono alle 20? Come si usa il cambio manuale in auto? Benzina o gasolio? Perché non accettano la carta di credito dal panettiere?»). Con loro bisogna essere un po’ più pazienti che con altri giocatori, dialogare molto e dare consegne precise sul campo. Il campionato Italiano penso sia uno dei migliori campionati per “lanciare” un rookie. Molte matricole hanno fatto 1/2/3 anni in Italia per poi sbarcare in campionati o in squadre prestigiose». Hai partecipato dal vivo alla Summer League della scorsa stagione. Cosa ti porti dietro di quella esperienza e quanto è utile poter osservare i giovani dal vivo rispetto all’uso dei video? «L’anno scorso ho seguito per 8 giorni la Summer League di Las Vegas. E’ 22

stata un’ottima esperienza. Essere sul posto permette di vedere meglio alcune cose di un giocatore che su video sono impossibili da notare, come ad esempio il linguaggio del corpo mentre viene sostituito, l’uso della voce in campo, il rapporto coi compagni e con gli arbitri. Inoltre, se realmente interessati al giocatore, c’è la possibilità di scambiare quattro chiacchiere personalmente per conoscerlo meglio, capire cosa pensa del suo futuro e se può essere interessato a venire a giocare in Europa. La Summer League è anche un luogo di incontro e scambio di informazioni. Lì si ha la possibilità di conoscere agenti, allenatori e scout da tutto il mondo. Insomma, esserci è un “must”, anche solo per pochi giorni». Nell’epoca moderna è sempre più facile osservare i giocatori grazie a internet e alla grandissima presenza di video. Come questo aspetto ha rivoluzionato il lavoro di scout e allenatori? E quanto conta l’aspetto relazionale (pareri di chi ha allenato o giocato col prospetto) nella valutazione di un giocatore? «Senza ombra di dubbio grazie a programmi come Synergy è molto semplice reperire video (sia clip che partite intere) di tutti i giocatori del mondo. Grazie a programmi come questo in pochi secondi è possibile farsi un’idea delle caratteristiche dei giocatori. Ovviamente se si ha la bravura di aver tessuto una vasta rete di contatti tra giocatori, allenatori e scout si riesce ad avere un grande numero di informazioni soprattutto sotto il punto di vista personale. E’ molto importante nella scelta del giocatore tener conto del suo vissuto al college o in altre leghe europee, come spesso sentiamo dire, “prima viene l’uomo e poi il giocatore”». Da quando lavori nel basket professionistico qual è stato il giocatore NCAA con maggior impatto nel campionato italiano al suo primo anno?

In alto a sinistra: Darrun Hilliard, Villanova. In alto a destra: D’Angelo Harrison, St. John’s. In basso a sinistra: Olivier Hanlan, Boston College. In basso a destra: D.J. Newbill, Penn State.

«Non è semplice fare subito la differenza appena arrivati nel campionato italiano. A memoria cito Trevor Mbakwe, arrivato a Roma nella stagione 13-14. E’ stato in grado di diventare fin da subito uno dei migliori centri del campionato raggiungendo anche la semifinale. Ora gioca al Bamberg, nel campionaTH E NA ME OF THE M AGAZI NE / ED ITIO N

to tedesco». Quali giocatori tra quelli che hai visto e che probabilmente finiranno undrafted ritieni più interessanti per l’Europa? E quali sono le loro caratteristiche? «Nel prossimo Draft ci saranno diversi giocatori interessanti, alcuni THE N AME O F THE MAGAZINE / ED ITIO N

dei quali potrebbero anche essere scelti dai Pro, mentre altri potrebbero giocarsi il loro futuro tra D-League e Europa. Vi elenco alcuni tra i miei preferiti. Darrun Hilliard: mancino con un grande tiro da 3 punti che esce da un’ottima università quale Villanova. D’Angelo Harrison: combo-guard da St. John’s, dotato di un ottimo palleg-

gio-arresto e tiro. Poi c’è D.J. Newbill che ha un talento clamoroso nel fare canestro e un ottimo fisico. Concludo con Olivier Hanlan: realizzatore puro, sa fare canestro in tantissimi modi ed è pericolosissimo se entra in striscia».

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FILIPPO ANTONELLI

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Sixers al Draft L’infortunio potrebbe tenere Joel Embiid fuori dai giochi ancora a lungo, e così i Sixers stanno pensando di tutelarsi con la scelta di un altro lungo al Draft. Ma tra gli esterni ci sono diverse possibilità molto interessanti 1

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Non c’è pace per Joel Embiid, il centro camerunense chiamato dai Philadelphia 76ers con la terza scelta dello scorso Draft. Dopo aver saltato l’intera stagione 2014/2015 per un infortunio al piede, Embiid potrebbe non rientrare in campo nemmeno nella prossima. L’ottimismo degli ultimi mesi di questa regular season - quando il centro, anche in allenamento, sembrava avviato verso il pieno recupero - è rapidamente svanito con la comparsa degli ultimi referti medici. La tabella di marcia verso la ripresa ha subito un arresto e, ad oggi, non è ancora possibile conoscere un’eventuale data di rientro. Un intoppo che potrebbe avere ripercussioni sul futuro prossimo dei Sixers e potrebbe decisamente condizionare le decisioni del front office nel Draft 2015. Un anno fa, Philadelphia decise di scegliere un centro nonostante la presenza di Nerlens Noel nel roster. Noel, come Embiid, aveva saltato la prima stagione per infortunio, ma era pronto per tornare in campo. Nel piano della dirigenza era stata messa in conto l’assenza del camerunense - già infortunato al momento del Draft - per il 2014/2015, ma si sperava che dall’estate 2015 i due lunghi avrebbero potuto cominciare il lavoro assieme in campo per trovare un’intesa. Con la svolta moderna della pallacanestro, era una sfida affascinante pensare di vedere due

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giocatori del genere uno accanto all’altro nella stessa squadra. I nuovi problemi di Embiid, però, rallentano il processo di ricostruzione e rinviano tutti i piani di un altro anno. Non è un mistero che Karl-Anthony Towns e Jahlil Okafor siano favoritissimi per le prime due scelte. Ma c’è un altro lungo che ha visto le sue quotazioni in incredibile ascesa: Kristaps Porzingis, lettone che dal 2010 gioca per il Sevilla in Spagna. E si fa sempre più strada l’ipotesi che, a causa dell’infortunio di Embiid, i Sixers potrebbero optare per il giocatore che rimane tra questi tre, per blindare un reparto lunghi che ha nel sophomore Noel - 9.9 punti, 8.1 rimbalzi e 1.9 stoppate di media da rookie - un punto fermo. Se da un lato andare in questa direzione permetterebbe di affiancare fin da subito a Noel - senza dover aspettare ancora - il compagno di reparto del futuro, dall’altro avrebbe anche notevoli controindicazioni. La prima e più evidente è che verrebbe bruciato il piano che il front office aveva in mente solo un anno fa. Aggiungere un altro giovane lungo di talento sarebbe un pesante ingombro per Joel Embiid, che una volta rientrato non si troverebbe più la strada spianata verso un ruolo importante. E andrebbero anche riscritte le gerarchie di un reparto potenzialmente stellare, ma in cui è difficile figurare come tutti gli elementi potrebbero svilupparsi nel giusto modo e con il giusto spazio. La seconda controindicazione è che, sistemando in maniera definitiva il discorso lunghi, rimarrebbero comunque tutte le falle attualmente esistenti tra gli esterni. Non dimentichiamoci che Phila detiene anche i diritti su Dario Saric, scelto dai Magic

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In foto, Joel Embiid. I suoi nuovi problemi fisici rallentano il processo di ricostruzione dei Sixers

In foto, Nerlens Noel. E’ lui il punto fermo per il futuro di Phila

In foto, Kristaps Porzingis. Le sue quotazioni sono in incredibile ascesa, Hinkie ci sta pensando

un anno fa, ma girato ai Sixers in cambio di Elfrid Payton. Per il nostro ragionamento, partiamo da un’analisi su come si sono mossi i Sixers nelle ultime stagioni. La franchigia tre volte campione NBA ha cercato di accaparrarsi il maggior numero di scelte possibili al Draft, rinunciando nel contempo ad impegnarsi a lungo termine con un buon numero di giocatori e ad accordare ingaggi pesanti. Il risultato è stato un continuo viavai, che ha fatto sì che nella stagione 2014/2015 siano scesi in campo con la maglia dei 76ers addirittura 25 giocatori diversi. Prima della trade deadline, il general manager Sam Hinkie ha anche rinunciato a Michael Carter-Williams, Rookie of the Year 2013/2014, spedito ai Bucks in cambio di una prima scelta. Gli unici esterni sotto contratto per l’anno prossimo sono Tony Wroten e Robert Covington.

Certo, attraverso qualifying offers e team options Hinkie avrà la possibilità di trattenere anche Canaan, JaKarr Sampson e Glenn Robinson III, ma questo cambia di pochissimo il nocciolo della questione. Il tallone d’Achille della squadra, sia in ottica presente sia in ottica futura, risiede in un backcourt inesistente, soprattutto dopo la partenza di MCW. I Sixers non possono avere ambizioni immediate, il roster non lo permette in alcun modo. Devono continuare ad avere pazienza, soprattutto finché non saranno in grado di costruire un contorno stabile e rilevante intorno ai giovani scelti al Draft. Per questo motivo, aspettare Embiid sembra la decisione più razionale e sensata. Senza fretta alcuna, ma continuando nel frattempo il processo di ricostruzione negli altri ruoli. E, da questo punto di vista, la classe Draft 2015 va decisamente incontro ai Sixers. Rinunciare a Porzingis - o

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1 - D’ANGELO RUSSELL

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E’ il prospetto più adatto al contesto dei Sixers. Può essere subito leader e gestire l’attacco senza pressioni.

2 - EMMANUEL MUDIAY La sua decisione di non passare per il college ha fatto molto discutere. Point guard pura con un arsenale offensivo tutto da affinare.

3 - JUSTISE WINSLOW Fresco campione NCAA con Kentucky, un esterno molto interessante su entrambi i lati del campo.

a chi per lui - non significa non poter mettere le mani su un giocatore di pari livello. Anzi, le diverse combinazioni possibili con i giocatori a disposizione sono tutte molto affascinanti. Nel senso che i tre nomi più quotati tra gli esterni - D’Angelo Russell, Emmanuel Mudiay e Justise Winslow - appartengono a tre giocatori diversi tra di loro, per ruolo o per vocazioni. Il prospetto più adatto al contesto dei Sixers sembra senza dubbio essere il primo: una combo guard, per versatilità e caratteristiche. Che ha dimostrato, durante la stagione NCAA, un talento smisurato e sfacciato.

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La presenza di Russell nel roster dei Sixers potrebbe garantire non solo assist, ma anche punti. Philadelphia sarebbe per lui il contesto ideale per gestire, già da rookie, l’attacco a modo suo. Riuscendo così a parametrarsi fin da subito con il livello dei professionisti e a svolgere quel ruolo di leader che il suo potenziale gli avrebbe potuto comunque proporre in futuro. Quello del prodotto di Ohio State, per i Sixers, sembra quindi il profilo ideale. Mudiay è una point guard pura con un arsenale offensivo tutto da affinare e Winslow è un esterno interessantissimo sui due lati del campo, ma che difficilmente potrà essere un trascinatore fin dal

suo primo anno. Al di là di ogni ragionamento, una sola cosa è certa: è impossibile prevedere il comportamento dei Sixers. E, quando si parla di Sam Hinkie, anche ciò che può sembrare altamente irrazionale diventa all’improvviso la scelta più logica. Per questo motivo, nessuno potrà stupirsi se Adam Silver annuncerà, alla terza chiamata, il nome di un lungo. L’alto livello dei migliori giocatori di questo Draft dovrebbe permettere di cadere comunque in piedi. Resta solo da capire quanto le condizioni fisiche di Embiid influenzeranno i piani e le decisioni dei Sixers.

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KARL-ANTHONY TOWNS

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Timberwolves C

Lakers

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EMMANUEL MUDIAY

Knicks

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G

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CHRIS MCCULLOUGH

Celtics

Pacers

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F

F

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DELON WRIGHT

Blazers

G

F

JONATHAN HOLMES

Nets

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D’ANGELO RUSSELL

Sixers

6 9 12

G

G

Rockets

G

21 RASHAD VAUGHN Mavericks

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G

G

F

F

F

Celtics

G

Wizards

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HOLLIS-JEFFERSON

Bulls

G

JUSTIN ANDERSON

Grizzlies

F

CHRIS MCCULLOUGH

Celtics

F

STANLEY JOHNSON

Pacers

F

F

MONTREZL HARRELL

Blazers

F

F

Nets

6 9 12

G

G

TREY LYLES

F

Jazz KELLY OUBRE JR.

Hawks

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F

DEVIN BOOKER

Hornets

15

G

JUSTISE WINSLOW

Kings

G

JERIAN GRANT

Rockets

G

21 RASHAD VAUGHN Mavericks

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G

R.J. HUNTER

Cavaliers

G

TERRY ROZIER

Lakers

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DELON WRIGHT

D’ANGELO RUSSELL

Sixers

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HERNANGOMEZ

Spurs

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KEVON LOONEY

Raptors

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FRANK KAMINSKI

Bucks

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G

SAM DEKKER

Thunder

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BOBBY PORTIS

C

11 CAMERON PAYNE

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TYUS JONES

WILLIE CAULEY-STEIN

Pistons

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MYLES TURNER

Suns

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G

C

Magic

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KRISTAPS PORZINGIS

Heat

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G

MARIO HEZONJA

Nuggets

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MONTREZL HARRELL

Warriors

Knicks

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TERRY ROZIER

Lakers

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G

R.J. HUNTER

Cavaliers

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EMMANUEL MUDIAY

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JAHLIL OKAFOR

4

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JERIAN GRANT

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Lakers

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KELLY OUBRE JR.

KARL-ANTHONY TOWNS

Timberwolves C

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Hawks

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TREY LYLES

Jazz

18

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DEVIN BOOKER

Hornets

15

G

JUSTISE WINSLOW

Kings

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HERNANGOMEZ

Spurs

29

F

BOBBY PORTIS

Raptors

23

G

FRANK KAMINSKI

Bucks

20

G

TYUS JONES

Thunder

26

KEVON LOONEY

Grizzlies

28

F

JUSTIN ANDERSON

Bulls

F

STANLEY JOHNSON

Pistons

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HOLLIS-JEFFERSON

Wizards

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C

SAM DEKKER

Celtics

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F

WILLIE CAULEY-STEIN

Suns

KRISTAPS PORZINGIS

11 CAMERON PAYNE

MYLES TURNER

Heat

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Magic

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MARIO HEZONJA

Nuggets

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G

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JAHLIL OKAFOR

G

JONATHAN HOLMES

Warriors

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IL MOCK DRAFT DI NICCOLÒ COSTANZO

IL MOCK DRAFT DI CLAUDIO PAVESI

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Cl audio pavesi, luca ngoi, marco arcari, FILIPPO E LUCA ANTONELLI

I MIGLIORI TALENTI DEL DRAFT 30

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AWUDU ABASS Ala piccola, Pallacanestro Cantù, 27/01/1993, 1.98m, 100 kg Statistiche Stagione Regolare Serie A: 5.1 ppg, 2.9 rpg, 0.6 apg, 53% da 2, 30.7% da 3, 64.1% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro/Undrafted

Capitano di Cantù a soli 22 anni, una leadership innata e una serie di Quarti di Finale (contro la Reyer Venezia) giocata ad altissimo livello: Abass si presenterà così al Draft 2015, facendo valere anche un altissimo potenziale, che però non è ancora riuscito a esprimere in Serie A e che quindi lo condanna al ruolo di giocatore più che sottovaluto. Per doti tecniche e atletiche, Abass è un’ala piccola esplosiva, con una buona capacità di costruirsi tiri dal palleggio, ma con un range di tiro limitato, specialmente per ciò che riguarda l’affidabilità da oltre l’arco; gran difensore, capace di leggere bene ogni situazione difensiva e di tenere l’1vs1 anche di avversari più grossi di lui e discreto rimbalzista, sebbene potrebbe migliorare in questo aspetto, considerando anche i mezzi atletici a sua disposizione. Due anni fa aveva impressionato in un match di Euroleague, contro il Real Madrid, per intensità e caparbietà, sebbene avesse concluso con 2/7 dal campo, mentre nel 2012

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era stato spaziale all’Europeo Under-20, dove l’Italia non andò a medaglia ma sconfisse comunque la Spagna, campionessa in carica, e la Lituania. Proprio contro la Spagna, Abass mise a referto una doppia-doppia da 24 punti e 12 rimbalzi, a testimonianza del grandissimo potenziale di cui dispone. Il problema, però, è che a spesso il capitano canturino fatica a mettere in mostra questo potenziale con costanza e incisività. CONCLUSIONE - Sebbene Draftexpress, fino a qualche giorno fa, lo accreditava alla 60° posizione, non credo che il talento italiano possa essere scelto in questo Draft; potrebbe comunque trovare maggiore continuità nella prossima stagione a Cantù, considerando il ridimensionamento economico del budget a disposizione dei lombardi, per consacrarsi definitivamente.

CLIFF ALEXANDER Centro, Freshman, Kansas, 18/08/1993, 2.04m, 108kg Statistiche: 7.1ppg, 5.3rpg, 1.3bpg, 56.6% dal campo, 67.1% ai liberi Previsione scelta: Inizio secondo giro

La situazione del lungo di Kansas è molto particolare. Prima dell’inizio della stagione NCAA era considerato una lottery pick ma arrivato a Kansas si è rivelato un prospetto piuttosto deludente. Alexander, sulla carta dominante, non è riuscito a incidere con la squadra di coach Self e stava pensando di tornare a Kansas per il secondo anno salvo poi essere sospeso per irregolarità economiche legate alla madre. Nonostante ciò Alexander resta un ottimo rimbalzista, soprattutto in attacco, seppur sia leggermente sottomisura per il ruolo. Fisicamente è eccellente, infatti ha un fisico statuario, mani grandi, braccia lunghe e una notevole elevazione, tutte caratteristiche che gli permettono di essere un discreto ricevitore dinamico negli attacchi in transizione e un efficace difensore nel pitturato, seppur la tecnica in questo fondamentale non sia eccelsa. Difficilmente si trovano giocatori migliori nell’eseguire un tagliafuori. La sua arma principale è però quella voglia di spac-

care il mondo che lo porta anche a commettere diverse forzature. Offensivamente è paurosamente grezzo, sia spalle che fronte a canestro, e purtroppo la bassa statura per il ruolo rende ancora più evidenti queste mancanze. Non è molto abile a leggere le difese e spesso prende scelte discutibili. Il tiro è quantomeno discontinuo ma la tecnica di tiro non è male. Se riuscisse a velocizzare il rilascio potrebbe diventare un’arma interessante. CONCLUSIONE - Non il super talento che ci si aspettava ma comunque un giocatore interessante e sufficientemente giovane per avere un potenziale notevole. Considerando che dovrebbe essere scelto tra la fine del primo giro e l’inizio del secondo, potrebbe rivelarsi un ottimo investimento a basso rischio per il futuro. Chi avesse bisogno di un pitbull del pitturato sa di dover fare il suo nome.

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JUSTIN ANDERSON Ala Piccola, Junior, Virginia, 19/11/1993, 1.99m, 105kg Statistiche: 12.2ppg, 4.0rpg, 1.7apg, 46.6% dal campo, 45.2% da tre, 78.0% ai liberi Previsione scelta: Fine primo giro

La parola d’ordine di Anderson è una sola: miglioramento. Anderson è migliorato fisicamente diventando più possente e scolpito, è migliorato come difensore ma soprattutto è migliorato come tiratore. Nei suoi primi due anni a Virginia tirava meno e male da tre punti, sfiorando a malapena il 30%, ma quest’anno è esploso e, seppur tirando dall’arco ben quattro volte a partita, ha superato il 45% di realizzazione. Tutti ciò è stato possibile migliorando molto la meccanica di tiro, ora rapida, precisa e con un rilascio alto. A questi miglioramenti aggiunge le doti che ha sempre avuto, come l’esplosività. Atletismo, braccia lunghe e una parte alta del corpo potente lo rendono un penetratore fenomenale, capace di reggere bene ai contatti. Impressionante anche in transizione. Grande agonista, ha ottimi istinti difensivi, specie sul perimetro, e ha tutto per diventare un difensore impressionante, in grado di cambiare gli equilibri in NBA. Per questo deve rin-

graziare in particolare la sua clamorosa velocità laterale che gli permette di tenere il passo di guardie e ali, anche sul pick&roll. L’unico vero problema sta nel trovare una reale continuità nel tiro e nell’imparare a gestire meglio l’attacco quando ha la palla tra le mani. Nel caso diventasse, come si crede, un role player, questi ultimi difetti possono facilmente essere limati col tempo. CONCLUSIONE - Pensare a quanto sia migliorato nel giro di una sola stagione fa impressione, è quindi legittimo pensare che un lavoratore del suo calibro possa solo incrementare questi miglioramenti sotto la guida di un esperto staff NBA. Il fatto che verrà scelto verso la fine del primo giro non può fargli che bene. Cosa c’è di meglio per un futuro role player che finire in una squadra da playoffs, in mezzo a veterani di alto livello?

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BRANDON ASHLEY Ala Grande, Junior, Arizona, 15/07/1994, 2.04m, 103kg Statistiche: 12.2ppg, 5.2rpg, 0.7apg, 51.4% dal campo, 33.3% da tre, 70.3% ai liberi Previsione scelta: Metà secondo giro

Sebbene i suoi tre anni ad Arizona siano stati abbastanza soddisfacenti dal punto di vista dei risultati individuali e di squadra, Ashley ha probabilmente deluso le attese rispetto a quanto ci si aspettava da lui. I miglioramenti di questo giocatore nel corso della sua carriera NCAA sono stati incostanti e forse neanche troppo decisivi. Nel suo anno da junior, non ha proseguito con la tendenza ad aumentare il suo raggio di tiro e si è attestato all’incirca sullo stesso numero di conclusioni totali dall’arco. 68 triple tentate in tre anni sono un bottino troppo basso per poterlo giudicare, al di là del 38.2% che ha collezionato. La sua qualità migliore, sui due lati del campo, è sicuramente il jump shot, che soprattutto dalla media distanza colpisce a ripetizione e con precisione. Un aspetto interessante a livello NBA, vista la direzione che sta prendendo il ruolo del quattro. La costruzione definitiva di un tiro da tre affidabile potrebbe garantirgli un posto. Sebbene abbia dimostrato a livello

NCAA di possedere buone qualità in post, non riesce ad essere un attaccante prolifico in queste situazioni, anche e soprattutto per il peso contenuto. Soffre avversari più fisici perché, nonostante l’ottima velocità, non è un gran palleggiatore, né eccelle nel prendere decisioni rapide. Buon rimbalzista difensivo, nella sua metà campo comunque si dimostra spesso disattento. CONCLUSIONE - Un jump shot del genere, in un lungo, è sicuramente materiale da non disdegnare. È tutto il resto a far dubitare della possibile permanenza di Ashley in NBA. A partire dall’attitudine difensiva e dalla capacità di giocare contro avversari più fisici. È difficile immaginare un suo impiego da ala piccola, ma potrebbe rivelarsi anche troppo leggero per giocare da quattro.

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DEVIN BOOKER Guardia, Freshman, Kentucky, 30/10/1996, 1.98m, 93kg Statistiche: 10.0ppg, 2.0rpg, 1.1apg, 47.0% dal campo, 41.1% da tre, 82.8% ai liberi Previsione scelta: Lottery Pick

Booker è il giocatore più giovane del Draft e questo lo rende molto interessante per via del potenziale. Ovviamente Booker non è solo un progetto. La guardia di Kentucky ha un fisico perfetto per il ruolo di guardia, con già una buona quantità di muscoli che gli permettono di difendere sui pari ruolo nonostante sia un difensore mediocre. La qualità principale di Booker è certamente il tiro da tre punti. E’ senza dubbio il miglior tiratore del Draft. Booker è un tiratore perfetto sia con i piedi per terra che uscendo dai blocchi: la meccanica è rapida e precisa, il rilascio è alto e armonioso, anche i piedi sono sempre nella posizione corretta. Non è un caso se il 41.1% dall’arco è la miglior percentuale tra le guardie di questo Draft. Tira benissimo anche in palleggio-arresto e tiro, seppur questa sia praticamente l’unica opzione a sua disposizione quando ha la palla tra le mani. Booker sarebbe anche un discreto passatore ma non ha molta visione di gioco. La cosa ottima però sta

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nel fatto che ne è consapevole e per questo, grazie al suo alto QI cestistico, commette pochissimi errori. Purtroppo Booker non è molto esplosivo e non è un grande penetratore ma risolve questi problemi con la sua grande capacità nei movimenti senza palla, che sia in transizione, come tagliante, o per sfruttare i blocchi dei lunghi. Questa mancanza di atletismo lo rende però un difensore limitato. CONCLUSIONE - Booker ha praticamente solo il jumper nel suo arsenale ma è un’arma così elaborata e perfetta che senza dubbi gli darà grandi soddisfazioni anche in NBA. Oltretutto, nonostante l’esperienza in una squadra di grande blasone come Kentucky, avrà ancora 18 anni quando inizierà la prossima stagione NBA, a testimonianza di un potenziale invidiabile.

ANTHONY BROWN Ala Piccola, Senior, Stanford, 10/10/1992, 2.04m, 96kg Statistiche: 14.8ppg, 6.9rpg, 2.5apg, 43.1% dal campo, 44.1% da tre, 79.5% ai liberi Previsione scelta: Fine primo giro/Inizio secondo giro

Arriva al Draft dopo cinque anni al college: un infortunio lo ha tenuto fuori per l’intera stagione 2012/2013. L’anno da redshirted è stato il vero punto di svolta della sua carriera NCAA, visto che prima di esso era un giocatore di rotazione dal minutaggio nella norma e dallo scarso impatto. Nelle ultime due stagioni, invece, si è attestato come realizzatore in doppia cifra di media e ha aiutato Stanford a portare a casa la vittoria nel NIT 2015. In attacco, soprattutto se considerato in ottica futura, è abbastanza monodimensionale. Non ha ancora un palleggio convincente e nelle conclusioni al ferro ha percentuali non lusinghiere. Con queste caratteristiche, difficilmente una squadra NBA potrà utilizzarlo in maniera diversa che come specialista da tre. In compenso, Brown arriva al Draft come uno dei migliori tiratori in situazioni di catch and shoot e non è trascurabile nemmeno in uscita dai blocchi. Sul lato difensivo del campo, è un giocatore solido. Tuttavia, anche

da questo punto di vista, non è sempre costante e attento. Sembra essere proprio la deconcentrazione il difetto che deve tentare il più possibile di eliminare. In attacco, invece, il probabile ruolo di specialista gli permetterà ─ come già faceva a Stanford ─di non essere sempre coinvolto. CONCLUSIONE - Difficilmente un giocatore di questo tipo avrà mai, in NBA, una posizione diversa da quella di role player. Le qualità in difesa e nel tiro da tre, però, fanno presupporre che ci possa essere più di una squadra interessata alle sue prestazioni. Potenziale tutt’altro che da star, ma attenzione che con impegno e fortuna, per quanto riguarda il contesto in cui si ritroverà, Brown può diventare un apprezzabile giocatore di rotazione.

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WILLIE CAULEY-STEIN Centro, Junior, Kentucky, 18/08/1993, 2.14m, 109kg Statistiche: 8.9ppg, 6.4rpg, 1.7bpg, 1.2spg, 57.2% dal campo, 61.7% ai liberi Previsione scelta: Lottery Pick

Cauley-Stein è un centro difensivo di altissimo livello, un giocatore che fin da subito può dare molto a chi lo sceglierà. Dotato già ora di un ottimo fisico, seppur longilineo, si tratta di un giocatore dall’incredibile atletismo e dalla stordente velocità, il tutto arricchito da una coordinazione degna di un’ala piccola. Queste caratteristiche gli permettono di correre il contropiede con efficienza e di catturare un grande numero di rimbalzi offensivi (il 12% dei rimbalzi offensivi disponibili in carriera). La specialità della casa però è la difesa. Cauley-Stein è un rim protector eccellente, il migliore di questo Draft, sia sul proprio uomo che in aiuto, ma la sua rapidità laterale e le lunghe leve gli permettono anche di non sfigurare quando cambia sulla guardia durante un pick&roll. Anzi, è talmente completo che nei tre anni a Kentucky ha difeso contro tutti e cinque i ruoli. Il dato più incredibile? Nelle 105 partite in carriera ha stoppato il 10% dei tiri effettuati dagli avver-

sari. Probabilmente il lungo di Kentucky sarà l’unico giocatore nelle prime dieci chiamate a non essere un freshman, cosa che aggiunge ai suoi pregi anche una notevole esperienza in un programma vincente e costantemente esposto alla pressione mediatica. In attacco è molto limitato. Se non riceve in attività dinamica non sa come comportarsi a causa della totale assenza di movimenti in post e del troppo discontinuo tiro. Il difetto principale però sta nel fatto che tante, troppe volte si dimentica di tagliare fuori l’avversario a rimbalzo difensivo. CONCLUSIONE - Un difensore di questo livello fa sempre gola, specie se accompagnato da questa struttura fisica. Raramente si è visto un giocatore così pronto a ripercorrere i passi di Tyson Chandler, ecco perché Cauley-Stein si merita una chiamata in lottery.

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RAKEEM CHRISTMAS Ala Grande/Centro, Senior, Syracuse, 01/12/1991, 2.07m, 110kg Statistiche: 17.5ppg, 9.1rpg, 1.5apg, 2.5bpg, 55.2% dal campo, 71.2% ai liberi Previsione scelta: Prima metà secondo giro

Compirà addirittura 24 anni a dicembre e questo non depone a suo favore. D’altronde, prima della sua stagione da senior, non sarebbe stato per lui facile nemmeno entrare in discorsi di questo tipo. Il suo utilizzo è cresciuto in maniera esponenziale, così come il livello delle sue prestazioni. Durante la combine, ha impressionato per le sue qualità atletiche. È un giocatore veloce ed esplosivo, che ha dimostrato a Syracuse buone capacità come rollante sul pick and roll e un arsenale sufficiente spalle a canestro, sebbene la maggior parte dei suoi punti siano frutto dello strapotere fisico. Il vero problema per Christmas è che un’altezza di 2.07m non è confortante per il ruolo di centro e le sue caratteristiche, a livello NBA, sono lontane da quelle di un’ala grande moderna. Sul lato difensivo del campo, si è messo in mostra come rim protector di livello più ottimo e come grande rimbalzista. Anche in questo discorso, però, spunta un problema: Syracuse difende con

una zona 2-3 e il regolamento NCAA non prevede l’infrazione di tre secondi difensivi. Al piano di sopra, Christmas non avrà più la possibilità di stazionare sotto il suo canestro e la sua efficacia a rimbalzo e nelle stoppate potrebbe risentirne. CONCLUSIONE - L’atletismo è quello di un giocatore di prima fascia, l’altezza invece convince meno, considerando che per caratteristiche è un centro fatto e finito. Il dibattito sulla possibilità per Christmas di avere un posto in NBA ruota tutto attorno a questa questione. Le strade percorribili sono due: sviluppare un gioco perimetrale o comunque lontano da canestro, scenario che pare di difficile realizzazione, oppure aumentare la forza fisica sperando che la verticalità non ne risenta.

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PAT CONNAUGHTON Guardia, Senior, Notre Dame, 06/01/1993, 1.97m, 98kg Statistiche: 12.5ppg, 7.4rpg, 1.5apg, 46.6% dal campo, 42.3% da tre, 78.1% ai liberi Previsione scelta: Metà secondo giro

Potente, molto più atletico di quanto si pensi, tiratore e soprattutto leader, Connaughton è tutto ciò che una squadra vorrebbe e al tempo stesso non vorrebbe avere. L’ex stella di Notre Dame è un ragazzo dalla grande personalità, capace di prendersi tiri importanti nei momenti decisivi e sempre pronto a motivare i compagni di squadra. Non è un grande difensore seppur il fisico e l’atletismo lo aiuteranno non poco sotto questo punto di vista. Connaughton infatti ha fatto parlare di sé alla Combine perché, pur essendo il tipico bianco di origini irlandesi, ha fatto registrare il miglior risultato nei test sull’elevazione. Le sue caratteristiche fisiche a atletiche lo rendono un rimbalzista strepitoso per il ruolo, l’anno scorso infatti ha toccato quota 8.3 rimbalzi di media sui 40 minuti. Nonostante la potenza e la verticalità non è un penetratore straordinario, anzi la sua arma principale (talvolta l’unica) resta il catch&shoot, meglio se dalla lunga distanza. Ra-

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gazzo molto professionale e intelligente, Connaughton è molto consapevole dei propri limiti, per questo gioca al massimo delle proprie possibilità in qualsiasi occasione, che sia un’amichevole estiva o la finale del Torneo della ACC. CONCLUSIONE - L’anno scorso è stato scelto al Draft della MLB dai Baltimore Orioles ma pur di finire la carriera a Notre Dame ha rifiutato l’accordo iniziale, buttando letteralmente nel cestino oltre seicentomila dollari, più di metà del suo contratto. Connaughton avrà sempre il baseball, ma l’aneddoto appena citato dovrebbe facilmente spiegare quanto conti per lui questo sport. Ho potuto vederlo dal vivo e quando ho potuto parlargli mi ha detto chiaramente che la sua priorità è la palla a spicchi. Non stupitevi se dovesse trovare spazio anche in NBA, una lega che in teoria non gli appartiene.

SAM DEKKER Ala Piccola/Ala Grande, Junior, Wisconsin, 06/05/1994, 2.06m, 99kg Statistiche: 13.9ppg, 5.5rpg, 1.2apg, 52.5% dal campo, 33.1% da tre, 70.8% ai liberi Previsione scelta: Metà primo giro

Uno dei giocatori che più ha beneficiato del Torneo NCAA per aumentare le sue quotazioni. Se vi serve qualcuno per il tiro della vita, allora potete affidarlo a Dekker senza preoccupazione alcuna. Non solo per i canestri con cui ha spento le speranze di Arizona e Kentucky: già al liceo si era reso protagonista di una tripla decisiva per vincere il campionato. Le grandi prestazioni sue e della sua squadra ─ non hanno comunque del tutto allontanato i dubbi sul possibile impatto di Dekker tra i professionisti, nonostante le ottime doti. Non puoi essere un elemento di primo piano del sistema dei Badgers senza avere una smisurata intelligenza cestistica. E non è questa l’unica qualità del giocatore: in attacco è uno di quei classici giocatori che sanno fare bene tutto, pur senza essere specialista in alcuna categoria. Per quanto i tiri da tre lo abbiano consegnato alla ribalta nazionale tra marzo e aprile, non è comunque un tiratore puro, anche a causa di una meccanica discontinua.

Nasce come ala piccola, ma ha ben figurato nei test fisici durante la combine, anche se l’apertura alare è nella norma e i suoi 2.06m possono renderlo materiale altamente appetibile. Le buone capacità da palleggiatore e la velocità, oltre all’attitudine difensiva non trascurabile, sono altri punti a suo favore. Nella sua metà campo può rendersi efficace anche sui piccoli e, in situazioni dinamiche, sui lunghi. CONCLUSIONE - Nel basket moderno, che vede sempre più di buon occhio lo small ball, può essere molto interessante vedere un suo utilizzo da ala grande. Paradossalmente, in riferimento a un giocatore che si è messo in mostra per le triple nel Torneo, il dubbio maggiore sta proprio nella possibilità per lui di diventare un tiratore costante. Meno preoccupazioni ci sono per l’attacco a metà campo e per la fase difensiva.

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DANIEL DIEZ Ala Piccola, San Sebastián Gipuzkoa BC, 7/04/1993, 2.03m, 100kg Statistiche Regular Season Liga ACB: 12.1ppg, 6.8rpg, 55% da 2 punti, 41% da 3 punti, 72% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro

Dopo aver dominato a livello giovanile ha finalmente trovato una squadra in cui poter mostrare tutto il suo talento e trovare un ruolo chiaro e definitivo, considerando che prima si alternava negli spot 3 e 4. Díez ha chiuso la stagione come miglior giovane della Liga e si appresta, con molta probabilità, a tornare al Real Madrid per entrare in pianta stabile nelle rotazioni dei Blancos. La sua caratteristica principale, finora, è quella di essere un giocatore che tiene pochissimo tempo palla, preferendo fare tanti movimenti senza palla per farsi trovare pronto sugli scarichi: questa caratteristica lo rende un ottimo giocatore da catchand-shoot, ma non un abile creatore di gioco, non avendo una velocità di esecuzione e un ball-handling fuori dal comune. Difensivamente ha dalla sua una grande attitudine al lavoro e alla competitività, ma deve ancora migliorare molto nelle letture e nella capacità di tenere gli 1vs1 contro avversari anche più lenti di lui, poiché spesso tende a sbagliare

proprio la posizione di gambe e busto offrendo spesso il fianco all’avversario. Ottimo rimbalzista, per posizione e capacità di applicare il taglia fuori, il giovane spagnolo pecca solamente per esplosività e atletismo, pur riuscendo comunque a dominare in Europa grazie a una comprensione del gioco e delle spaziature già pari a quella di un giocatore con tanta esperienza alle spalle. In NBA, però, questo potrebbe non bastare per garantirgli una carriera, poiché si troverebbe a difendere contro ali piccole ben più atletiche e veloci di lui. CONCLUSIONE - Per sperare in una carriera NBA deve specializzarsi nello diventare uno “spot up shooter” di livello, poiché questo tipo di giocatore è ormai merce rara in NBA.

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JERIAN GRANT Playmaker, Senior, Notre Dame, 09/10/1992, 1.93 m, 89 Kg Statistiche: 16.5 ppg, 3 rpg, 6.5 apg; 47.8 % dal campo, 31.6 % da 3 punti, 78 % ai liberi Previsione: Metà primo giro

Jerian Grant per certi versi è una forza della natura. Vederlo giocare è un’esperienza perché per alcuni tratti della partita sembra letteralmente perfetto. Ha grande fiducia nei propri mezzi, è un leader naturale e un grande decision maker. Sa segnare in diversi modi diversi, anche se la penetrazione e l’attacco al ferro rimangono la prima opzione offensiva per questo playmaker dalla taglia fisica sopra la media. Mi ricorda vagamente un Victor Oladipo con maggiore propensione (ed efficacia) al passaggio, fondamentale nel quale è migliorato molto durante la sua esperienza a Notre Dame. Il dato degli assist rapportato sui 40 minuti ci dice 7.3, a simboleggiare ancora una volta quanto la generosità offensiva di questo giocatore sia una delle sue caratteristiche primarie. È un playmaker moderno, che fa dell’azione all’interno del pick’n’roll la sua soluzione offensiva preferita, qualora non voglia o non possa mettersi in proprio per una rapida sortita verso il ca-

nestro. Per essere altrettanto efficace anche in NBA tuttavia dovrà aggiungere dei correttivi al suo gioco, che non si sviluppa particolarmente bene quando è chiamato a tirare sul catch’n’shoot. Da testare anche la sua resistenza a contatti che, al piano superiore, saranno di intensità di gran lunga superiore a quella fronteggiata al college. Sorgono dubbi anche riguardo a parte del suo gioco nella metà campo difensiva, dove il fisico sicuramente lo aiuta, ma è ancora troppo incostante nel reggere la pressione e il contatto fisico sui blocchi. CONCLUSIONE - Jerian Grant è un giocatore pressoché fatto e finito: sarà difficile vederlo migliorare ancora in altre parti del suo gioco, ma dall’altro lato chi lo sceglierà saprà di avere in casa un prodotto completo e sicuramente pronto a competere, soprattutto in attacco, sin dal primo giorno di training camp.

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Arturas Gudaitis Centro, Zalgiris Kaunas, 19/06/1993, 2.08m, 114kg Statistiche LBL: 9.4ppg, 5.2rpg, 1.2bpg, 59.8% da 2 punti, 76.4% ai liberi Statistiche Euroleague: 6.5ppg, 4.0rpg, 51.3% da 2 punti, 61.8% ai liberi Previsione scelta: Inizio secondo giro

Centro moderno, capace di mixare doti atletiche a fondamentali eccelsi: il suo habitat naturale è il post basso, dove offensivamente riesce a trovare una varietà di soluzioni che gli permettono di poter sfidare con successo anche centri ben più grossi di lui, mentre difensivamente è spettacolare nelle letture e nel prendere posizione, con un’applicazione quasi maniacale del taglia-fuori. Esegue perfettamente il pick&roll grazie alla capacità di rollare velocemente ed è un ottimo difensore su questo fondamentale, poiché riesce anche a trovare raddoppi in uscita sul portatore di palla che non permettono nemmeno l’inizio della giocata avversaria. Ottimo rimbalzista offensivo, Gudaitis potrebbe diventare una macchina da punti, anche per la sua capacità di guadagnarsi costantemente viaggi in lunetta, ma deve assolutamente aumentare il suo range di tiro e la capacità di segnare anche piazzati e tiri dalla media, altrimenti rischia di diventare offensivamente monodi-

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mensionale. Deve migliorare nella capacità di coinvolgere i compagni e come passatore, oltre a dover strutturarsi fisicamente se vuol competere in NBA nello spot di centro; inoltre, deve migliorare anche come difensore, poiché spesso tende a cercare troppo l’anticipo oppure a perdere il riferimento dell’avversario senza seguirlo in una difesa a uomo. Infine, pur essendo un ottimo difensore sul pick&roll avversario, deve affinare il senso della posizione e la capacità di tenere le corrette spaziature con i compagni, oltre a non abusare della sua capacità di raddoppiare egregiamente sul portatore di palla avversario. CONCLUSIONE - Difficile, oggi come oggi, pronosticare un sicuro avvenire in NBA, ma il ragazzo ha tutte le qualità per provare a dire la sua anche oltre-Oceano; altrimenti, può sempre diventare un crack in Europa.

Montrezl Harrell Ala Grande, Junior, Louisville, 26/01/1994, 2.02m, 115kg Statistiche: 15.7ppg, 9.2rpg, 1.4apg, 56.6% dal campo, 24.3% da tre, 59.7% ai liberi Previsione scelta: Metà primo giro

Ala grande di Louisville, è un giocatore che fa dell’atletismo e dell’energia le sue caratteristiche più importanti e significative. Harrell è molto interessante soprattutto per la sua grandissima capacità di andare a rimbalzo contro qualsiasi tipo di avversario utilizzando la propria forza e il proprio atletismo e questa abilità lo porta ad essere notevolmente pericoloso nel convertire in due punti gli errori al tiro dei compagni e nel compiere schiacciate spettacolari e ad alto coefficiente di difficoltà. In attacco, però, oltre ad essere bravo a farsi trovare pronto sugli scarichi e ad essere capace di tenere vivi i possessi dopo i tiri sbagliati dai compagni, non è ancora riuscito a crearsi un solido gioco in post, in uno contro uno ed un tiro apprezzabile dalla media e da fuori (percentuali intorno al 30%), anche se ha mostrato notevoli miglioramenti nel passaggio e nella gestione della palla sui raddoppi. In difesa fa leggermente fatica a contenere gli avversari di altezza maggiore

e non ha una velocità di piedi tale per contenere con profitto le ali grandi con gioco esterno. Il fondamentale difensivo in cui è sicuramente più performante è la stoppata, grazie sempre alle sue doti atletiche e alla sua forza fisica. In sintesi, un concentrato di fisico ed energia difficile da contenere e controllare. CONCLUSIONE - Harrell è un giocatore che può certamente tornare utile in NBA, anche se fondamentale sarà vedere il suo approccio in campo nel suo anno da rookie per capirne l’utilizzo. Certamente nell’NBA moderna un giocatore debordante atleticamente, capace di prendere rimbalzi offensivi e convertirli facilmente in due punti, fa sempre comodo. Deve migliorare difensivamente e deve crearsi alternative offensive più credibili, soprattutto da fuori e in post.

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Aaron Harrison Guardia, Sophomore, Kentucky, 28/10/1994, 1.98m, 95kg Statistiche: 11.0ppg, 2.6rpg, 1.4apg, 39.5% dal campo, 31.6% da tre, 78.2% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro/Undrafted

Aver fatto parte di una delle squadre più forti nella storia del college basketball ─ record di 38-1 ─non basta di per sé per ottenere una chiamata al Draft. Tra i sette giocatori di Kentucky, Aaron Harrison è quello che più di tutti rischia di finire undrafted. È sempre stato considerato meno talentuoso del gemello Andrew, anche se ha lasciato di più il segno nelle ultime due corse dei Wildcats alle FinalFour NCAA. Nel Torneo del 2014, infatti, riuscì a segnare la tripla decisiva in tre partite consecutive, mandando al tappeto Louisville, Michigan e Wisconsin. Quanto basta per diventare una leggenda, anche se in finale la squadra di Calipari fu sconfitta da Connecticut. Sebbene questa striscia di canestri potrebbe far pensare ad un tiratore puro, questo Harrison ha avuto percentuali altalenanti nel corso dei suoi due anni al college e, da sophomore, è sceso addirittura fino al 31.6% dall’arco. Il problema principale è che quest’anno, oltretutto, è parso poco

incisivo. Una prima parte di stagione in chiaroscuro ha ridimensionato le sue responsabilità, frenando i suoi istinti e riducendolo alla posizione di chi attende un eventuale pallone. Nonostante la stagione da freshman ─ chiusa a 13.7 punti di media─ avesse fatto ben sperare in una futura crescita del giocatore, la verità è che non si è dimostrato un attaccante costante dal palleggio. CONCLUSIONE - La struttura fisica è quella di un potenziale giocatore NBA, ma il suo possibile impatto al piano di sopra è ancora tutto da chiarire. I mezzi tecnici non impressionano e servirà un gran lavoro sul tiro e sulla ricerca di una nicchia da specialista per poter guadagnare un posto. La notte del 25 giugno, nessuno avrà da stupirsi in caso di mancata chiamata.

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Andrew Harrison Playmaker/Guardia, Sophomore, Kentucky, 28/10/1994, 1.97m, 96kg Statistiche: 9.3ppg, 2.2rpg, 3.6apg, 37.8% dal campo, 38.3% da tre, 79.2% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro

Se c’è qualcuno che non ha reso secondo le aspettative in questi due anni a Kentucky, allora quel giocatore è sicuramente Andrew Harrison. Certo, qualche passo in avanti rispetto alle prestazioni dell’anno da freshman c’è stato. Soprattutto nella gestione dei possessi. Non che il q.i. cestistico sia granché elevato, ma bene o male ha cercato di essere meno mangiapalloni possibile ed è migliorato nelle letture, riducendo di conseguenza il numero delle palle perse. Diventare un playmaker, in prospettiva NBA, potrebbe essere per lui un’importante chiave di volta. Per statura e struttura fisica, è un prospetto decisamente interessante. Falle nel suo gioco, comunque, ce ne sono eccome. Non è un tiratore eccezionale da fuori, ad esempio, sebbene non possa essere battezzato. L’atletismo è sopra la media, ma non ha una velocità tale da rappresentare una minaccia costante dal palleggio. E dentro l’area iniziano i veri problemi: Andrew Harrison ha chiuso l’anno da

sophomore con un tremendo 37.5% da due (65/173), percentuale che si abbassa ulteriormente se consideriamo solo le conclusioni al ferro. L’unica nota positiva è la frequenza con cui riesce a guadagnarsi gite in lunetta. In difesa è talvolta un punto interrogativo: il problema sembra essere di concentrazione, più che di cattiva predisposizione. CONCLUSIONE - Un playmaker con quella struttura fisica può essere interessante. Il problema è che, ad oggi, Andrew Harrison non è considerabile, a livello NBA, un giocatore efficace nel ruolo di point guard. Le sue quotazioni sono comunque più alte di quelle del gemello e fanno propendere per una chiamata nella seconda metà del secondo giro. Poi starà al giocatore lavorare nella direzione giusta.

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Tyler Harvey Guardia, Junior, Eastern Washington, 17/07/1993, 1.93m, 82kg Statistiche: 23.1ppg, 3.6rpg, 2.6apg, 46.9% dal campo, 43.1% da tre, 85.2% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro

Attaccante intelligente e completo, anche dal palleggio, Harvey è stato il miglior realizzatore dell’intera nazione nell’annata appena conclusa. Non fatevi ingannare dalla mancanza di chili: non si fa minimamente impressionare dai contatti e, anzi, in entrata riesce a sfruttarli spesso e volentieri per chiudere le azioni con un canestro e fallo. Ma è sul perimetro che mostra le qualità migliori: nonostante i 9.3 tentativi dall’arco a partita, è riuscito a mantenere, come nella stagione precedente, una percentuale di realizzazione di poco superiore al 43%. Per di più, il suo raggio di tiro è molto ampio e questo può rivelarsi assai vantaggioso al piano di sopra. Detto questo, ci sono anche diverse motivazioni che giustificano la sua posizione bassa nei vari Mock Draft. È vero, infatti, che in NCAA non ha mai sofferto i contatti del difensore, ma è altrettanto vero che il livello fisico della Big Sky è un tantino lontano da quello della NBA. Il confronto con avversari molto più strutturati potrebbe

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costringerlo ad esprimersi unicamente sul perimetro, limitando la varietà delle sue soluzioni. E anche il tiro, da punto di forza, potrebbe trasformarsi in tasto dolente: ha una meccanica molto particolare e il rilascio è spesso lento, un invito a nozze per difensori più alti che potrebbero agevolmente contestare il tentativo. CONCLUSIONE - Ci riagganciamo all’ultima considerazione: il rilascio è lento, ma in questa stagione ha dimostrato notevoli progressi. Anche le conclusioni più veloci, nei casi in cui il difensore si stava avvicinando, hanno trovato il fondo della retina. E nella partita più importante dell’anno, la sfida del Torneo NCAA contro Georgetown, ha segnato sei triple. Potrebbe essere un affare per la squadra che se lo ritrova al secondo giro.

Guillermo Hernangòmez Centro, Club Baloncesto Sevilla, 27/05/1994, 2.08m, 113 kg Statistiche Regular Season Liga ACB: 10.6ppg, 6.2rpg, 0.5apg, 55% da 2 punti, 69% ai liberi Previsione scelta: Fine primo giro

Stiamo parlando di un giocatore fenomenale, in grado già di dare del filo da torcere a gente come Tomic, Lampe, Reyes e di emergere in un campionato di livello assoluto come la Liga Endesa. Offensivamente ha tutto per diventare un grandissimo giocatore: legge benissimo il pick&roll e ha un timing perfetto nel rollare verso canestro, in post è praticamente immarcabile e ha un senso della posizione fuori dal comune che, grazie anche alla grande abilità nel taglia-fuori, gli permette di essere un ottimo rimbalzista offensivo. Hernangòmez è l’emblema del centro moderno, non più alto oltre i 2.10-2.15, bensì mobile e dinamico, capace di mixare la verticalità con una tecnica di primissimo livello e di correre in campo aperto quasi come fosse un’ala piccola. L’unica pecca riguarda la gestione dei possessi, poiché a volte tende a cercare la giocata anziché premiare il taglio di qualche compagno o ributtare fuori il pallone, e ciò provoca spesso un turnover. Ovviamente, a

soli 21 anni, gli aspetti su cui migliorare non possono mancare, specialmente a livello difensivo: non è un gran difensore sul pick&roll avversario e tende troppo spesso ad uscire in aiuto difensivo lasciando libero il pari-ruolo avversario. Non è un gran protettore del ferro e non riesce a sfruttare le sue doti di rimbalzista difensivo e le capacità tecnico-atletiche in difesa come succede nella fase offensiva; dovrebbe migliorare molto nella capacità di seguire il diretto avversario e di non guardare solo il movimento del pallone. CONCLUSIONE - Impossibile non scegliere un talento del genere, sebbene molti ritengano che sia under-size per il livello della NBA. Credo che possa rientrare a Madrid e fare due stagioni ad altissimo livello con i castigliani, prima di provare a strappare un contratto nel professionismo statunitense.

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Mario Hezonja Guardia/Ala piccola, FC Barcelona, 25/02/1995, 2.02m, 98 kg Statistiche Regular Season ACB: 4.6ppg, 1.9rpg, 1.4apg, 57% da due, 38% da tre, 83% ai liberi Previsione scelta: Top 10

Il giovanissimo del Barça ha stupito tutti, non solo per le cifre messe a referto, ma soprattutto per il carattere e la positiva sfacciataggine che ha dimostrato di avere. Talento cristallino e atletismo ben sopra il livello medio europeo dei pari età, Hezonja ha potenzialmente tutto per ritagliarsi una carriera in NBA; fisico longilineo ed esplosivo, velocità e reattività anche a livello di scivolamenti difensivi, capacità di tenere l’1vs1 anche con avversari più grossi di lui e un arsenale offensivo da far rabbrividire. A soli 20 anni ha dimostrato di poter dominare anche contro squadre come Real e Fenerbahce, risultando fondamentale per il cammino europeo dei blaugrana pur partendo dalla panchina. Considerando che ha saltato tutta la stagione ‘11-‘12 per infortunio a un braccio e mononucleosi, il croato ha ancora grandi margini di miglioramento, specialmente nella capacità di lettura delle situazioni offensive, dove spesso tende a incaponirsi con 1vs1 e penetrazioni

reiterate che lo portano fuori ritmo. A livello offensivo, però, possiede mezzi atletici devastanti, che sfrutta molto bene per concludere alleyoop dopo aver eseguito tagli backdoor o sulla linea di fondo, fondamentali in cui eccelle particolarmente; inoltre, grazie ad ottime abilità di passaggio e di corsa, riesce a mettere in ritmo i compagni nella fase di transizione. Gran giocatore da “catch and shoot”, grazie a un’elevazione importante in fase di tiro e a un rilascio educato: il suo range di tiro e la sua efficacia negli angoli lo rendono anche un affidabile tiratore da 3 punti. CONCLUSIONE - Le franchigie faranno la fila per cercare di ottenerne i diritti, specialmente se dovesse continuare a dominare le Finali di Liga. E se poi cominciano a chiamarlo “il Kobe dei Balcani”…

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Rondae Hollis-Jefferson Ala Piccola, Sophomore, Arizona, 03/01/1995, 2.01m, 96kg Statistiche: 11.2ppg, 6.8rpg, 1.6apg, 50.2% dal campo, 20.7% da tre, 70.7% ai liberi Previsione scelta: Seconda metà primo giro

Tra i giocatori più apprezzati durante il suo anno da freshman ad Arizona, alla seconda stagione Hollis-Jefferson non ha fatto altro che ottenere ancora più consensi. Nei minuti in cui è in campo, potete star certi che entrerà in qualche modo in ogni singolo possesso. Ha un’energia disumana e non fa nulla per controllarla: è sempre il giocatore più attivo della squadra, semplicemente perché nessuno può stare al suo passo. Grandissimo atleta, si esprime soprattutto in transizione e in penetrazione. Al ferro, infatti, è un buon attaccante, così come è abile a tagliare dal lato debole. Se però gli viene negata l’entrata, Hollis-Jefferson diventa sostanzialmente un giocatore battezzabile. Ha un raggio di tiro molto limitato e il suo jumper è inconsistente. Dall’altro lato del campo, invece, è uno dei migliori giocatori che si siano visti in questa stagione di college basketball. A livello NCAA, è stato sempre l’elemento incaricato di prendersi cura del miglior avversario. Ha una struttura fisica e

un atletismo tali da poter difendere con efficacia su quasi tutti i ruoli. È difficile non rivedere in questo giocatore similitudini con la versione di Michael Kidd-Gilchrist che usciva da Kentucky nel 2012. CONCLUSIONE - I limiti offensivi sono evidenti e sembra che Hollis-Jefferson debba concentrarsi soprattutto sulle sue abilità da specialista difensivo per ottenere un posto stabile in una rotazione NBA. Lavorando, intanto, sul suo jump shot. Un giocatore del genere può far gola a molte squadre in cerca di un collante difensivo e, ulteriore fattore da prendere in considerazione, il prodotto di Arizona è fisicamente già formato per giocare fin da subito. Molto probabilmente, non andrà oltre la ventesima scelta.

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Jonathan Holmes Ala Piccola/Ala Grande, Senior, Texas, 09/12/1992, 2.06m, 110kg Statistiche: 10.5ppg, 6.1rpg, 1.1apg, 1.0bpg, 38.9% dal campo, 33.1% da tre, 77.8% ai liberi Previsione scelta: Fine primo giro

Un fisico da ala grande e la velocità di un’ala piccola. Holmes è il tuttofare che può non servire a nessuno per la sua natura “anti specialista” ma può essere utile a tutti, dipende dal sistema in cui andrà a giocare. E’ un bel tiratore, specie piedi per terra, ma non è fenomenale, spesso infatti si intestardisce e forza troppo. E’ veloce e ha un fisico costruito e potente, frutto di un duro allenamento in palestra nel corso degli ultimi due anni, ma comunque manca di esplosività (penultimo tra le ali nei test sull’elevazione). E’ molto versatile in attacco grazie a un mix delle caratteristiche sopracitate ma non è comunque un grande realizzatore (le percentuali parlano chiaro), né un grande passatore, sono infatti la rapidità del primo passo e l’uso delle finte nei closeout difensivi avversari a permettergli di attaccare il ferro con efficacia. Meglio fronte a canestro che in post, ancora migliore però senza palla, forse unica caratteristica in cui è un fuoriclasse. Anche in difesa è molto duttile

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dal momento che può difendere sui numeri tre come sui numeri quattro, sia in post che sul perimetro. Diventa una risorsa irrinunciabile quando difende sul pick&roll per la sua abilità di difendere sia sul bloccante che sul portatore di palla. E’ un agonista portato a buttare il sangue sul parquet ma la mancanza di verticalità lo rende discontinuo a rimbalzo (non in quello d’attacco, in questo caso ha un ottimo timing), e gli impedisce di essere efficacie in aiuto come rim protector, specie quando gioca da ala grande. CONCLUSIONE - Non è un fenomeno in nulla ma sa fare bene molte cose, una descrizione che ha sì portato al fallimento molti talenti ma pochi di questi erano ali di 206 centimetri nell’era in cui regna il concetto di small ball.

R.J. Hunter

Mouhammadou Jaiteh

Guardia, Junior, Georgia State, 24/10/1993, 1.98m, 84kg Statistiche: 19.7ppg, 4.7rpg, 3.6apg, 39.5% dal campo, 30.5% da tre, 87.8% ai liberi Previsione scelta: Fine primo giro

Ala Grande/Centro, JSF Nanterre, 27/11/1994, 2.08m, 112 kg Statistiche Regular Season LNB Pro A: 11.6ppg, 6.5rpg, 0.7apg, 60% da 2 punti, 56.6% ai liberi Previsione scelta: Metà secondo giro

Non è un caso raro in NCAA: il figlio dell’allenatore sa giocare, sa giocare eccome. Suo padre, che lo ha allenato a Georgia State, ha cercato di insegnargli a pensare sempre come se fosse un coach. È difficile valutare il peso di questo consiglio sul modo di giocare di Hunter, anche perché il giocatore tende spesso e volentieri a prendersi tiri che con la tattica hanno poco a che fare. Ma è facile anche pensare che il q.i. cestistico, e di conseguenza la capacità di adattamento, di questo ragazzo non sia da sottovalutare. La sua qualità migliore è il tiro: lo sanno bene i Baylor Bears, che si sono visti scaricare in faccia da Hunter 14 punti negli ultimi 2’30” di partita durante il Torneo NCAA, tripla della vittoria compresa. Il range di tiro di R.J. è già pienamente di livello NBA. Se, da un lato del campo, abbiamo un giocatore che può segnare punti a raffica, dall’altro ne abbiamo però uno che in difesa fa abbastanza fatica. Contro gli avversari veloci, ma anche in prospettiva

NBA contro quelli più fisici. La questione del tonnellaggio è rilevante: Hunter pesa meno di 85kg. E non ha un atletismo di livello sufficientemente alto per compensare questa mancanza di chili. Un fattore che potrebbe condizionarlo anche nella metà campo offensiva, soprattutto in entrata. CONCLUSIONE - Il possibile ruolo futuro di Hunter in NBA è al momento impossibile da pronosticare: tutto dipenderà dagli esiti del lavoro atletico che sicuramente svolgerà per aumentare la massa. Ad oggi, si può presupporre che Hunter abbia le carte in regola per ritagliarsi un ruolo di specialista da tre punti, considerando anche le sue abilità in uscita dai blocchi. Un talento offensivo del genere vale il rischio di una chiamata al primo giro.

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Il Big-Man in forza al Nanterre è un giocatore interessante e potenzialmente dominante, pur essendo forse un po’ undersize per poter dire la sua in NBA anche da centro. Per doti atletiche ha a disposizione un’incredibile agilità/ mobilità in rapporto al suo fisico ed è un ottimo difensore sul pick&roll avversario. Eccellendo per verticalità, molti potrebbero considerarlo un giocatore incapace di giocare in post o di usare i movimenti spalle a canestro, ma così non è; Jaiteh è un giocatore dalle mani molto educate, capace di andare al ferro con entrambe senza alcuna distinzione, ed è un gran rimbalzista, poiché combina un grande atletismo con una tecnica e un senso della posizione davvero ottime. Gran parte del potenziale del giovane francese sta proprio nella sua capacità di dominare a rimbalzo pur essendo sotto i 2.10m. Le pecche non mancano, considerando che non è un abile protettore dell’area e che deve migliorare molto in fase difensiva, spe-

cialmente nelle situazioni in cui non riesce a tagliare fuori l’avversario per non fargli ricevere palla. Ha un limitato range di tiro, che lo obbliga a essere un giocatore efficace solo vicino a canestro o in post basso, senza poterlo essere anche in post alto o dalla media; infine, pur essendo un ottimo difensore sul pick&roll avversario, complessivamente è molto lento nelle rotazioni difensive e permette ai lunghi avversari di prendere spesso posizione facilmente, poiché non usa il suo fisico come potrebbe, dimostrandosi spesso l’anello debole difensivo. CONCLUSIONE - Sarà sicuramente scelto in una posizione interessante, ma difficilmente potrà già fare il salto oltre Oceano; ha bisogno di qualche anno ad alti livelli europei per migliorare, soprattutto difensivamente, dove è davvero insufficiente per ora.

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Dakari Johnson Centro, Sophomore, Kentucky, 22/09/1995, 2.13m, 120kg Statistiche: 6.4ppg, 4.6rpg, 0.9bpg, 50.6% dal campo, 62.5% ai liberi Previsione scelta: Prima metà secondo giro

Giocatore molto celebrato al liceo, Johnson ha avuto la “sfortuna” di trovarsi sempre davanti giocatori clamorosi come Julius Randle e Willie Cauley-Stein prima, e Towns, Lyles e ancora Cauley-Stein dopo. Per questo il suo minutaggio è stato sempre ridotto. Il fisico mastodontico, se vogliamo anche leggermente sovrappeso, è la principale qualità dell’ex Kentucky, grazie alla quale è diventato non solo un ottimo rimbalzista (11.3 sui 40 minuti), soprattutto in attacco, ma anche un fenomenale bloccante e una risorsa importante in post, sia in difesa che in attacco. La sua parte alta del corpo, potentissima, gli permette infatti di guadagnare una posizione molto profonda e vicina al canestro avversario. Le stesse caratteristiche fisiche sono anche il suo limite dato che spesso finisce per stancarsi, e di conseguenza distrarsi, dopo pochi minuti in campo. Ciò è dovuto anche al fatto che gioca sempre al 110% delle proprie possibilità. Sulla breve distanza però mette in

scena una notevole accelerazione. Col suo fisico Johnson dovrebbe essere un migliore rimbalzista difensivo e, soprattutto, un rim protector. Se i pochi movimenti offensivi in post si possono perdonare, il fatto che non sia un grande stoppatore e nemmeno un buon difensore in aiuto, è qualcosa di eccessivamente limitante. CONCLUSIONE - Con Dakari Johnson parliamo di un ragazzo paurosamente talentuoso, limitato al college da compagni fin troppo prestigiosi e irraggiungibili per chiunque. Nonostante i due anni in una squadra di altissimo livello come Kentucky, è ancora diciannovenne e per questo il suo potenziale resta enorme. Andrà al secondo giro e per questo motivo la sua chiamata ha buone possibilità di rivelarsi un furto, nell’accezione più positiva del termine.

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Stanley Johnson Ala Piccola, Freshman, Arizona, 29/05/1996, 2.03m, 110kg Statistiche: 13.8ppg, 6.5rpg, 1.7apg, 44.6% dal campo, 37.1% da tre, 74.2% ai liberi Previsione scelta: Lottery Pick

Johnson è uno dei giocatori più giovani in questo Draft, essendo classe 1996 ma nonostante ciò è già uno dei giocatori più pronti del Draft, soprattutto dal punto di vista fisico. Muscoloso, atletico, potente e ben costruito, l’ex stella di Arizona fa del corpo il proprio punto di forza, specialmente dal punto di vista difensivo. Johnson è molto rapido nei movimenti laterali quando marca a uomo ma anche estremamente rapido nell’inserirsi sulle linee di passaggio, senza dimenticare che la sua verticalità gli consente di disturbare le conclusioni al ferro degli avversari. Le doti fisiche lo rendono molto pericolo anche in attacco, specialmente in transizione e quando riceve palla in situazione dinamica. Sa puntare il ferro e sa come sfruttare questa situazione per andare in lunetta, non a caso si procura mediamente un libero ogni dieci possessi. Un suo grande punto forte è l’intelligenza. Non è eccezionale con la palla in mano e a creare dal palleggio ma ne è

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consapevole e per questo non è solito rallentare l’azione con la palla tra le mani, così come non è un grande tiratore dalla media, per questo, in questa situazione come in entrata, è in grado di sfruttare il proprio fisico per catturare un rimbalzo offensivo. Anche da tre punti è piuttosto discontinuo ma raramente si è visto un giocatore così con la sua attitudine e il suo spirito di sacrificio, ecco perché potrebbe facilmente migliorare da questo punto di vista nelle mani di un sapiente coaching staff. CONCLUSIONE - Stanley Johnson non sembra avere il potenziale di alcuni colleghi ma la sua attività in campo e il fatto che sia già NBA ready lo rendono un prospetto degno delle prime dieci chiamate, utile sia a franchigie in ricostruzione, sia a chi necessita di un giocatore da rotazione in vista di una stagione lunga e ricca di vittorie.

Tyus Jones

Frank Kaminsky

Playmaker, Freshman, Duke, 10/05/1996, 2.03m, 110kg Statistiche: 11.8ppg, 3.5rpg, 5.6apg, 41.7% dal campo, 37.9% da tre, 88.9% ai liberi Previsione scelta: Top 20

Centro/Ala Grande, Senior, Wisconsin, 04/04/1993, 2.14m, 105kg Statistiche: 18.8ppg, 8.2rpg, 2.6apg, 58.1% dal campo, 41.6% da tre, 78.0% ai liberi Previsione scelta: Lottery Pick/Top 20

Leader nato. Jones viene da una stagione formidabile in cui ha conquistato il titolo NCAA con prestazioni da veterano navigato, specie nei momenti decisivi, seppur in squadra con lui ci fossero giocatori più quotati come Jahlil Okafor e Justise Winslow. Jones è un passatore puro, quasi certamente il migliore del Draft, in grado di gestire il campo perfettamente sia in transizione (86 assist in transizione, leader in NCAA) che a metà campo, coinvolgendo allo stesso modo guardie, ali e lunghi. Sa eseguire uno schema così come usare la propria creatività per reagire agli adattamenti difensivi, anche perché sa leggere le difese avversarie con incredibile velocità. Sul pick&roll si raggiunge l’apoteosi, raramente infatti si è visto un giocatore così abile a gestire questa situazione, specialmente all’età di Jones. E’ un discreto realizzatore ma è ancora dal pick&roll che Jones allarga il proprio arsenale offensivo grazie al buon tiro da fuori, l’ottimo floater e alcuni cambi di velocità. E’

cresciuto incredibilmente di quasi 3 centimetri quest’anno ma resta ancora decisamente sottopeso per la NBA, il fisico infatti è molto esile e già gli ha dato problemi in NCAA contro avversari più costruiti. Oltretutto non è particolarmente veloce. Questi due difetti influiscono non poco sulle sue doti difensive, già piuttosto scarse, sia sulla palla che sul pick&roll. CONCLUSIONE - I dubbi difensivi ci sono, quelli sulla costruzione fisica e atletica ancora di più e possono essere un problema grosso. E’ però un giocatore dell’intelligenza cestistica impressionante e dagli attributi ancora più notevoli. Queste ultime due doti non si insegnano, la difesa invece si può migliorare. Una chiamata appena successiva alla lottery rispecchia al meglio i pro e i contro del Blue Devil.

TH E NA ME OF THE M AGAZI NE / ED ITIO N

Kaminsky è il lungo offensivamente più completo di questo Draft. Un sette piedi dotato di quella rapidità e in grado di tirare da tre punti col 42% è sempre qualcosa di raro. Capace di segnare da ogni posizione del campo, si rivela un giocatore ancor più stupefacente quando si osserva la rapidità dei suoi piedi e il suo trattamento di palla, a livello di un’ala piccola. Kaminsky può usare le sue lunghe braccia per infastidire linee di passaggio e tiri avversari, ma è sul pick&roll che vediamo il meglio di Frank “The Tank”. In difesa infatti ha la velocità per cambiare sul portatore di palla come per recuperare sul bloccante, in attacco invece è semplicemente perfetto. L’85% delle volte esegue un pick&pop per prendersi un tiro da lontano o per bruciare in velocità il difensore in recupero, anche nel pitturato però è impressionante per la sua abilità di attaccare sia spalle che fronte a canestro. Kaminsky è anche un leader nato e per questo riesce a dare il meglio,

da entrambi i lati del campo, quando la partita si scalda. L’ultima Final Four ne è la conferma. Il fatto di aver compiuto prestazioni clamorose contro i più forti pari ruolo in questo Draft come Okafor, e Towns non fa che confermare le sue qualità. I difetti? La verticalità e il tonnellaggio non eccessivi, uniti a un non eccezionale tempismo in aiuto, lo rendono un rim protector di basso livello e con diversi limiti a livello NBA. CONCLUSIONE - Sembra che l’attuale Kaminsky sia già il migliore possibile e che il potenziale sia quindi molto ridotto. Ecco perché quello che normalmente sarebbe un giocatore da prime dieci chiamate potrebbe e dovrebbe essere scelto nel limbo che si pone tra la fine della lottery e la chiamata numero venti. Una situazione che potrebbe rivelarsi positiva nel caso finisse in una squadra da Playoffs in cerca di punti dalla panchina.

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Kevon Looney Ala Grande, Freshman, UCLA, 06/02/1996, 2.07m, 101 kg Statistiche: 11.6ppg, 9.2rpg, 1.4apg, 47% dal campo, 41.5% da tre, 62.6% ai liberi Previsione scelta: Fine primo giro

La giovanissima ala grande degli UCLA Bruins è uno dei giocatori più intriganti tra quelli che possono andare alla fine del primo giro. Looney, giocatore dotato di una assoluta versatilità, abbina una discreta altezza per essere un’ala grande ad un fisico esile e poco muscoloso che, se da un lato lo penalizza quando va a fronteggiare avversari stazzati e forti fisicamente, dall’altro lo avvantaggia quando può correre o aprire il campo. Looney è un ottimo rimbalzista, soprattutto offensivo, e, grazie all’aumento di fiducia durante l’anno, è diventato un discreto tiratore dall’arco e dalla media. Ha una buona tecnica che gli permette anche di attaccare il diretto avversario dal palleggio. È anche un discreto passatore, oltre che un buon giocatore di pick and roll e pick and pop. In difesa questo giocatore, che ha anche un’ottima etica del lavoro, mette la sua altezza, la sua energia e il suo atletismo al servizio della squadra, sebbene si trovi molto in difficoltà con-

tro ali più forti e fisiche di lui ed abbia spesso problemi di falli. La caratteristica che lo ha reso speciale durante il suo unico anno NCAA è stata sicuramente la sua grandissima capacità a rimbalzo (primo per rimbalzi e doppie-doppie tra i freshman). CONCLUSIONE - Looney giocherà come ala grande in NBA e per poter affrontare gli avversari in quel ruolo deve sicuramente aggiungere fisico e muscoli. In attacco deve specializzarsi maggiormente nel suo gioco trovando quindi più soluzioni da esterno per non dipendere troppo dalle sue abilità di rimbalzista, che sicuramente risulteranno ridimensionate a livello NBA. Il miglioramento della struttura fisica, infatti, sarà soprattutto fondamentale per rimanere un grande rimbalzista anche tra i professionisti.

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Trey Lyles Ala Grande, Freshman, Kentucky, 05/10/1995, 2.09m, 109 kg Statistiche: 8.7ppg, 5.2rpg, 1.1apg, 48.8% dal campo, 13.8% da tre, 73.5% ai liberi Previsione scelta: Lottery Pick

Lyles è fisicamente il perfetto prototipo dell’ala grande NBA. Non è un’ala “moderna” che punta molto sull’atletismo e sull’esplosività, al contrario, seppur veloce, Lyles trae la sua fortuna dalla spaventosa coordinazione, dai suoi piedi rapidi e dalla fluidità nei movimenti. In poche parole fa sembrare semplice e naturale tutto ciò che fa in attacco. Ha un enorme QI cestistico, infatti sa muoversi molto bene senza palla ed facile per lui liberarsi della marcatura, sia con tagli che giocando il pick&roll come bloccante, consentendo al portatore di palla un facile passaggio. L’abilità nei movimenti rende difficile per gli avversari eseguire il tagliafuori, per questo Lyles è un notevole rimbalzista offensivo, ottimo se pensiamo che a Kentucky ha giocato quasi sempre come ala piccola. Come se non bastasse in attacco è completissimo: ha molti movimenti in post, un più che discreto jumper e sa battere il diretto marcatore puntandolo dal perimetro e bruciandolo col suo

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mix di velocità e ball handling. Trey Lyles possiede anche uno dei migliori movimenti in virata che si possano osservare su un parquet. Ciò che rende Lyles non marcabile è l’abilità di sapere leggere gli aiuti della difesa avversaria, situazione che batte o con un arresto-e-tiro o con le sue doti di passatore, fondamentale in cui è molto sottovalutato. Il vero problema è la difesa. Non ha l’esplosività per andare in aiuto o essere solido a rimbalzo, non ha la potenza per difendere in post e non ha la tecnica per difendere sul perimetro. Difensivamente parlando è nella terra di nessuno. CONCLUSIONE - Trey Lyles è già oggi un numero quattro di assoluta efficacia offensiva ma dai troppi dubbi nella propria metà campo. La duttilità, la consapevolezza nei propri mezzi e il potenziale sono troppo grandi per non valere una scelta in lottery.

Chris McCullough

Jordan Mickey

Ala Grande, Freshman, Syracuse, 05/02/1995, 2.06m, 90kg Statistiche: 9.3ppg, 6.9rpg, 2.1bpg, 1.7spg, 47.8% dal campo, 56.3% ai liberi Previsione scelta: Fine primo giro

Ala Grande, Sophomore, LSU, 09/07/1994, 2.04m, 108kg Statistiche: 15.4ppg, 9.9rpg, 1.3ast, 3.6bpg, 50.4% dal campo, 64.6% ai liberi Previsione scelta: Inizio secondo giro

Questo giocatore è uno dei principali enigmi del Draft 2015 e non solo perché ─ nel corso della sua breve carriera ha avuto una qual certa tendenza a disattendere le aspettative su di lui, attirandosi la fama di giocatore non particolarmente motivato. Un infortunio al crociato ha messo fine alla sua stagione a metà gennaio: in totale, quindi, ha giocato solo 16 partite di NCAA prima di compiere il grande salto. McCullough è un giocatore dagli straordinari istinti, capace di giocate di grande energia e di essere una minaccia in transizione. Difensivamente è difficile prevedere il suo impatto futuro: arriva dalla 2-3 di coach Boeheim dove comunque ha messo in mostra il fiuto per la stoppata e la capacità di leggere le traiettorie di passaggio e non possiede una forza fisica sufficiente per opporsi, in una difesa a uomo, alle ali grandi NBA. In ogni caso, è un buon difensore quando si tratta di uscire sugli esterni e, occasionalmente, può fare un buon lavoro sul perimetro.

In attacco, invece, è tutto da costruire: non ha grandi doti di palleggio, non ha un gioco solido spalle a canestro e, sebbene abbia del potenziale sul tiro da fuori, ha collezionato per partita un solo tentativo dalla media in questa stagione. Ha una buona propensione per il rimbalzo, ma non sempre ha presente il concetto di tagliafuori. CONCLUSIONE - Il potenziale è intrigante, dal momento che si può lavorare per fare di lui quel tiratore da fuori che oggi, nello spot di ala grande, pare imprescindibile. È difficile, però, non avere qualche dubbio sulle sue caratteristiche fisiche. Necessita di molti chili per poter essere un difensore affidabile sui quattro, altrimenti rischia di essere il punto debole della squadra da quel lato del campo.

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Mickey ha il difetto di essere leggermente sottomisura per il suo ruolo ma ha delle braccia infinite che gli permettono di arginare questo problema, inoltre nessuno ha la sua verticalità tra i pari ruolo, dati della Combine alla mano. Il tonnellaggio è buono e il fisico è ben costruito, facile quindi che sviluppi ulteriori muscoli una volta in NBA. Già ora assorbe bene i contatti quando attacca il canestro, specie quando riceve palla in movimento e come rollante. Dopo una ricezione statica è meno efficace ma il jump shot è in miglioramento. Ottima notizia considerando che la base da cui partire è buona (rilascio alto). I movimenti in post non sono molti e anche il semigancio non è sempre una certezza per via della mancanza di centimetri di cui abbiamo già parlato, ha però diversi movimenti ben collaudati come la finta e la virata. Deve però migliorare l’uso della mano sinistra. Gli manca una certa pulizia nei movimenti e non è estraneo a carenze di concentrazione

che si tramutano in tiri forzati o palle perse. La sua specialità è la difesa. In post tiene il contatto contro i pari ruolo più fisici, ha la velocità di piedi per difendere sul perimetro, ha le braccia lunghe e l’accelerazione per interferire sulle linee di passaggio ed è più di ogni altra cosa uno stoppatore incredibile. Rim protector per definizione, nonostante i centimetri ha tutto per poter essere un difensore di impatto in NBA, soprattutto in aiuto. Nessuno in tutto il Draft ha la sua capacità di stoppare il diretto avversario senza bisogno di raddoppi o compagni in aiuto. CONCLUSIONE - Anni fa la mancanza di altezza sarebbe stata letale a Mickey ma al giorno d’oggi è arginabile, grazie anche all’atletismo. Può facilmente diventare uno specialista difensivo in grado di marcare anche tre ruoli, una vera risorsa se usato in un quintetto piccolo.

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Nikola Milutinov Centro, Partizan Belgrado, 30/12/1994, 2.13m, 105kg Statistiche ABA League: 9.8ppg, 7.6rpg, 1.3apg, 57.6% da 2 punti, 58.7% ai liberi Previsione scelta: inizio secondo giro

Il talento serbo del Partizan ha tutto per costruirsi una carriera da backup importante in NBA: tecnica in post, perfetto timing nel blocco e nel rollare durante il pick&roll, capacità di usare la propria stazza per prendere vantaggio vicino al ferro, discreto atletismo pur considerando il rapporto stazza/ altezza e il fatto che non è un giocatore esplosivo e gran capacità di corsa. Inoltre, Milutinov è un ottimo rimbalzista, specialmente offensivo, e un gran difensore di posizione, grazie alla sua verticalità e alle ottime letture sul pick&roll avversario; in fase offensiva, poi, è dotato di una buona visione di gioco e sa assecondare le giocate dei compagni più estroversi, dimostrando di avere grande intelligenza cestistica e abilità nel fare sempre la scelta migliore. Le abilità da migliorare, comunque, non mancano: il gioco in post va perfezionato e vanno migliorati range di tiro e meccanica, così come deve fare molti upgrade nel jumper dalla media, situazione che gli

avversari tendono spesso a concedergli; difensivamente, poi, deve migliorare la difesa individuale, specialmente nella capacità di usare il suo fisico per impedire ai lunghi avversari di ricevere palla in post e di girarsi facilmente verso il canestro, e deve maturare nella capacità di protezione del ferro, pur non essendo un grandissimo atleta. Infine, deve aumentare massa ed elasticità del tono muscolare se vuole davvero poter battagliare contro lunghi più atletici ed esplosivi di lui. CONCLUSIONE - Non avrà difficoltà ad essere scelto al Draft e nemmeno a costruirsi una carriera NBA; sta a lui, però, decidere che tipo di carriera avere, considerando anche quali upgrade potrebbe riuscire a fare durante qualche altro anno da spendere in Europa prima di andare nel professionismo statunitense.

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Emmanuel Mudiay Playmaker, Guandong Southern Tigers, 05/03/1996, 1.98 m, 90.7 Kg Statistiche: 18 ppg, 6.5 rpg, 5.9 apg; 47.8% dal campo, 34.2 % da 3 punti, 57.4 % ai liberi Previsione: Lottery Pick

Emmanuel Mudiay è la nuova speranza del basket africano. Vi abbiamo raccontato in precedenza la sua storia di emigrazione dalla Repubblica Democratica del Congo agli Stati Uniti insieme alla famiglia, e per certi versi è stata proprio la voglia di emergere e quella fame di successo a trasformarlo nel giocatore che è diventato. Mudiay è un playmaker aggressivo. Molti lo paragonano già a John Wall o a Russell Westbrook, e in effetti a guardarlo giocare appare chiaro come questi due (e io aggiungo anche Derrick Rose) siano i modelli più prossimi sui quali si è formata la sua coscienza di giocatore. La sua arma migliore è l’attacco dal palleggio, sfruttando un primo passo che è difficilmente contenibile. Sta cercando di migliorare il ball handling, e nelle ultime interviste ha dichiarato di voler tirare fuori lo Steph Curry che è in lui. Se vuole farlo dovrà migliorare anche le percentuali al tiro, che è ancora troppo incostante, e soprattutto sarà necessaria

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una netta svolta nelle percentuali ai liberi. Difensivamente può sfruttare il suo grande atletismo per recuperare le eventuali falle contro avversari che cercheranno di attaccarlo. Ha dimostrato di essere un discreto stoppatore al liceo, ma in questo senso la sua presenza fisica potrebbe aiutarlo anche al piano di sopra. Necessita di avere molto spesso la palla in mano e potrà rendersi efficace da subito specialmente in situazione di pick n roll, magari centrale e in transizione. CONCLUSIONE - Una squadra che cerca un leader vocale e un playmaker per il futuro dovrebbe puntare su Mudiay, a patto di consegnargli totalmente e in modo incondizionato le chiavi del progetto tattico della franchigia. Può essere un rischio puntare su un giocatore così totalizzante, ma se la scommessa dovesse rivelarsi vincente potrebbe valerne la pena.

Larry Nance Jr.

Jahlil Okafor

Ala Grande, Senior, Wyoming, 01/01/1993, 2.04m, 103cm Statistiche: 16.1ppg, 7.2rpg, 2.5apg, 51.4% dal campo, 33.3% da tre, 78.6% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro

Centro, Freshman, Duke, 15/12/1995, 2.11m, 122kg Statistiche: 17.3ppg, 8.5rpg, 1.3apg, 66.4% dal campo, 51% ai liberi Previsione: Top 3

Questo ragazzo ha già superato un discreto numero di avversità sulla sua strada per diventare un prospetto NBA. Non solo si è rotto il crociato nel 2014, ma ha anche dovuto imparare a convivere con il morbo di Crohn. Per il figlio di Larry Nance, è già un grande risultato poter essere inserito nei discorsi riguardanti il Draft NBA. Non era così scontato non solo fino a un anno fa, ma anche fino ad inizio mese. È stato durante i test della combine che il prodotto di Wyoming si è messo definitivamente in mostra, facendo finire il suo nome sui taccuini dei general manager NBA. Il lato atletico è sicuramente quello più apprezzabile del giocatore, sia dal punto di vista della velocità che da quello dell’elevazione. Le sue schiacciate, anche a rimbalzo offensivo, hanno fatto il giro degli Stati Uniti. Ma non si segnano 16 punti di media con il solo atletismo. La realtà è che Nance possiede anche un ottimo catch-and-shoot, con un raggio di tiro che può occasionalmente estender-

si oltre il perimetro. Fa molta più fatica nelle situazioni in cui deve crearsi un tiro dal palleggio o giocare spalle a canestro. È stato, in questi anni, uno dei migliori difensori della sua conference e si mette in mostra più per la difesa sul perimetro che per quella sotto canestro. Il dato dei rimbalzi difensivi è nella norma: né disastroso, né eccezionale. CONCLUSIONE - L’impressione è che ci troviamo di fronte al classico giocatore che, in qualche modo, sa fare tutto bene, ma niente benissimo. È sviluppando ulteriormente le sue doti di difensore, oltre ad affinare il tiro, che può guadagnarsi un posto in una rotazione NBA. Anche se non dovesse essere scelto al secondo giro, non dovrebbe aver problemi a trovare un contratto.

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Il centro dei Duke Blue Devils freschi campioni NCAA è uno dei pezzi pregiati di questo NBA Draft 2015 insieme a Towns e Russell. Jahlil, nel suo primo e unico anno al college, ha dimostrato di essere uno dei migliori centri che si siano visti negli ultimi anni. Abbina un corpo fisicamente prestante ad una tecnica di altissimo livello. Okafor è bravissimo soprattutto nella fase offensiva dove è praticamente inarrestabile nei pressi del ferro: è capace di dominare in post e in uno contro uno, è abile nel leggere le situazioni e nel passare la palla e può giocare il pick and roll in maniera pericolosa, aggiungendo a tutto questo un’ottima attitudine al rimbalzo offensivo e un controllo del corpo di primo livello anche in transizione. I problemi arrivano più nella parte difensiva dove spesso si fa trovare fuori posizione, cosa che lo porta ad avere problemi di falli. E non è né un grande stoppatore né un grande rimbalzista difensivo, venendo così considerato lontano dall’essere un rim pro-

tector. Inoltre è meno atletico di quelli che sono i suoi pari ruolo e ha grossissime difficoltà ai liberi. Le non brillanti abilità difensive e dalla lunetta, però, non devono far passare in secondo piano il suo straordinario impatto offensivo e la sua capacità di essere già la stella di una squadra vincente. CONCLUSIONE - Jahlil merita certamente una delle chiamate più alte al Draft e può essere un giocatore su cui costruire una franchigia. Dal punto di vista offensivo, le sue caratteristiche e le sue abilità sono già importanti anche per l’NBA. Dal punto di vista difensivo, invece, deve migliorare moltissimo per non essere sovrastato dai centri forti in attacco e più atletici di lui, ma i mezzi su cui lavorare ci sono assolutamente. Il talento è di primo livello, le difficoltà atletiche e difensive possono invece penalizzarlo.

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Cedi Osman Guardia/Ala piccola, Anadolu Efes Istanbul, 08/04/1995, 2.03m, 88 kg Statistiche TBL: 8.4ppg, 4.3rpg, 0.9apg, 48% da 2, 35.7% da 3, 70.3% ai liberi Previsione scelta: Inizio secondo giro

Sotto la guida di Dusan Ivkovic, Osman ha trovato minuti importanti che gli hanno consentito di mettersi in bella mostra anche nel palcoscenico della Euroleague, dove ha impressionato specialmente nei Playoffs contro i futuri campioni del Real Madrid. Giocatore eclettico e completo, capace di dare il meglio a livello atletico in transizione o in recupero difensivo, dove, dopo essere stato battuto sul primo passo, riesce a recuperare lo svantaggio e a rifilare stoppate incredibili agli avversari. Offensivamente, poi, è un giocatore molto efficace in catch-and-shoot e in 1vs1, dove riesce ad assorbire i contatti in penetrazione e a non farsi sbilanciare grazie a un perfetto equilibrio e controllo dei propri movimenti; deve migliorare nella capacità di crearsi tiri dal palleggio e di sfruttare i mismatch, specialmente per esplosività e velocità d’esecuzione, così come deve affinare le letture offensive, sebbene non commetta poi più di tanti turnover. Inoltre, deve migliorare

anche come affidabilità al tiro pesante, poiché perfino nello scorso Europeo Under-20 non aveva particolarmente brillato in questo aspetto. Il giovane turco ha grandissimi margini di miglioramento e, secondo la mia personalissima opinione, in questa stagione ha dimostrato meno del 50% delle sue reali capacità, sebbene debba comunque strutturarsi fisicamente per poter competere anche in NBA. CONCLUSIONE - Osman ha già dichiarato che, comunque vada al Draft 2015, resterà altri due anni in Europa, presumibilmente per eliminare le pecche e diventare un giocatore completo sotto ogni punto di vista; verrà comunque scelto, perché il talento è fuori dal comune e la testa è già quella di un grande professionista.

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Kelly Oubre Ala Piccola, Freshman, Kansas, 04/04/1993, 2.00m, 92kg Statistiche: 9.3ppg, 5.0rpg, 0.8apg, 44.4% dal campo, 35.8% da tre, 71.8% ai liberi Previsione scelta: Lottery Pick

Ancora grezzo, il talento di Kansas, può rivelarsi una delle chiamate più interessanti per via del suo enorme potenziale. Oubre si presenta al Draft come un’ala piccola decisamente sottopeso ma comunque molto meglio costruito rispetto all’estate scorsa, cosa che dimostra la predisposizione a diventare ben più possente. Oubre resta un ottimo atleta, perfetto per giocare in transizione e abbastanza verticale per concludere in penetrazione contro avversari fisicamente più costruiti, contro i quali prende vantaggio sfruttando l’enorme apertura alare (219 cm) e la grande coordinazione. Queste caratteristiche gli permettono di prendere più rimbalzi di quanto ci si aspetti da un giocatore del suo tonnellaggio (addirittura 9.5 sui 40 minuti) ma soprattutto gli consentono di avere un jumper difficile da marcare, dal rilascio rapidissimo e molto alto. Ovviamente le stesse doti lo rendono un difensore molto interessante: rapido

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lateralmente e rapace sulle linee di passaggio. E’ ancora un difensore molto discontinuo ma il potenziale in questo fondamentale è impressionante, anche maggiore rispetto a quello offensivo. In attacco infatti non sembra sappia creare molto dal palleggio e la sua enorme dipendenza dalla mano sinistra lo rende prevedibile quando si butta nel pitturato a testa bassa, troppo prevedibile se consideriamo che è un passatore piuttosto scarso. Va detto che in una stagione in cui tutti si aspettavano Selden Jr. e Alexander, è stato Oubre a prendere per mano Kansas, nel bene e nel male. CONCLUSIONE - Decisamente non il giocatore da scegliere se si cerca un contributo immediato e continuo ma una scelta imperdibile per chi desidera lavorare sul suo potenziale pur accontentandosi, nel breve periodo, di un più che discreto tiratore di striscia. Lottery pick per definizione.

Cameron Payne

Bobby Portis

Playmaker, Sophomore, Murray State, 08/08/1994, 1.88 m, 83 Kg Statistiche: 20.3 ppg, 3.8 rpg, 6 apg, 44.9 % dal campo, 37.3 % da 3 punti, 78.3 % ai liberi Previsione: Lottery Pick/Metà primo giro

Ala Grande, Sophomore, Arkansas, 10/02/1995, 2.09m, 111kg Statistiche: 17.5ppg, 8.9rpg, 1.2apg, 53.6% dal campo, 46.7% da tre, 73.7% ai liberi Previsione: Metà primo giro

Le quotazioni di Cameron Payne in queste settimane di avvicinamento al Draft si sono alzate giorno dopo giorno. Ha disputato due stagioni a Murray State, in una Conference molto adombrata rispetto al circuito mainstream della NCAA, ma ha comunque saputo guidare una squadra che aveva bisogno di un leader. Payne ha imparato a essere utile ai compagni in diversi modi. Chiaramente il suo compito primario, in un roster con relativo talento offensivo, era quello di segnare dei punti, ma in soli due anni è migliorato in ogni categoria statistica, dimostrandosi un giocatore completo. Vista la nuova direzione nella quale sembra andare la NBA, ovvero quella di avere sempre meno giocatori specializzati in un’unica qualità e sempre più interpreti versatili, Payne sembra poter calzare a pennello. La taglia fisica è buona per il ruolo, pur non essendo eccezionale, ma gli dovrebbe ugualmente consentire di tenere difensivamente contro la maggior par-

te delle guardie nella Lega, ma è chiaramente l’altra metà del campo quella nella quale può essere utile sin dal suo primo giorno. Ciò che impressiona ancor più degli innumerevoli servizi che Cameron può offrire su un campo da gioco è proprio l’etica del lavoro. Un ragazzo che faceva panchina in una sconosciuta high school di Memphis e giocava solo 15 minuti a partita nella squadra di AAU è riuscito in soli due anni a diventare uno dei giocatori più apprezzati del panorama cestistico americano. CONCLUSIONE - Chi sceglierà di puntare su Cameron Payne si troverà in casa un prodotto finito, da poter inserire nelle rotazioni sin da subito. Probabilmente non ci sono grandissimi margini di miglioramento, ma in una scienza imperfetta come il Draft puntare su un prodotto sicuro può rivelarsi decisivo.

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Tra le ali grandi in questo Draft spicca sicuramente Bobby Portis di Arkansas. Portis è un’ala forte particolarmente moderna come caratteristiche in quanto abbina un’ottima struttura fisica ad un gioco fuori area sia in attacco che in difesa di alto livello. Può infatti tirare senza problemi dalla media e dall’arco, è molto attivo a rimbalzo, ha velocità e tecnica per poter giocare uno contro uno e in contropiede. Inoltre in difesa può marcare gli avversari anche sul perimetro e non si lascia battere molto facilmente. Quest’anno non ha tirato tantissimo da tre (0.8 tentativi a partita), ma ha iniziato la stagione con un impressionante 5/6 dall’arco nelle prime quattro partite. Le difficoltà maggiori che Portis ha riguardano il suo gioco interno, dove fatica sia a crearsi situazioni in post in attacco sia a marcare lunghi fisici e interni in difesa. A queste difficoltà si aggiunge anche il fatto che non è un giocatore particolarmente atletico ed esplosivo. Le sue caratteristiche

migliori, comunque, rimangono quelle relative all’essere un attaccante di tutto rispetto soprattutto lontano da canestro e all’essere un rimbalzista di primo piano. CONCLUSIONE - Per poter aver successo in NBA Bobby Portis deve sicuramente migliorare per quanto riguarda il gioco interno sia in attacco sia in difesa, riuscendo così a non soffrire troppo lunghi più atletici e più stazzati. La sua attività a rimbalzo e la sua capacità di segnare fuori area però lo rendono un prototipo di giocatore molto utile per il tipo di gioco che spesso si vede nella NBA moderna. In un squadra con ambizioni di Playoffs può essere un’arma tattica interessante e può avere la possibilità di proseguire il suo processo di crescita ad alto livello.

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Kristaps PorziNGis Ala grande, Club Baloncesto Sevilla, 02/08/1995, 2.16m, 105 kg Statistiche Regular Season ACB: 10.7ppg, 4.8rpg, 1.0bpg, 53% da 2 punti, 31% da 3 punti, 77% ai liberi Previsione scelta: Top 10

Sarà, con tutta probabilità, il pezzo pregiato tra gli “europei”, tanto che alcuni lo accreditano di una possibile scelta tra le prime 5. Giocatore che ha stupito tutti nell’annata con Siviglia, vincendo l’Eurocup Rising-Star Trophy e mettendo insieme numeri da capogiro anche in Liga. Offensivamente ha tutto per diventare un ottimo giocatore anche in NBA: spettacolare nel concludere alley-oop e nel regalare poster agli avversari, sempre presente a rimbalzo offensivo e dotato di un grande atletismo e di una notevole velocità in transizione nonostante un fisico che potrebbe far pensare il contrario. La sua forza principale, però risiede nella varietà di soluzioni offensive a sua disposizione, partendo dalla capacità di giocare indistintamente il pick&roll o il pick&pop, per arrivare a un ampio range di tiro e a una versatilità spaventosa nel gioco in post. Ciò che potrebbe penalizzarlo, oggi come oggi in NBA, è la sua incapacità di contenere in fase difensiva nel corpo a cor-

po e la sua mediocrità come rimbalzista, se la si rapporta ai mezzi fisici e atletici di cui dispone. Inoltre, non è un gran difensore interno, specialmente contro avversari più atletici di lui o con più stazza, e non è nemmeno abile nel tagliar fuori l’avversario a rimbalzo difensivo, attitudine che dovrebbe essere imprescindibile per un giocatore come lui. CONCLUSIONE - A nemmeno 19 anni il potenziale di cui dispone è da mani nei capelli e una carriera in NBA sembra quasi scontata; certo, è un giocatore che deve crescere sotto molti punti di vista, ma rimane un talento cristallino e potenzialmente dominante.

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Norman Powell Guardia, Senior, UCLA, 25/05/1993, 1.94m, 97kg Statistiche: 16.4ppg, 4.7rpg, 2.1apg, 45.6% dal campo, 31.9% da tre, 75.1% ai liberi Previsione scelta: Inizio secondo giro

Uno dei giocatori più interessanti e intriganti di questo Draft, siamo sicuri di non esagerare. Certo, i difetti ci sono, altrimenti non si spiegherebbero le previsioni che lo vedono probabilmente fuori dal primo giro. Ma, tra gli esterni di questa classe, è difficile trovare una tale combinazione di forza, atletismo, energia e grinta. Powell è una forza della natura, un giocatore che può battere in velocità la maggior parte degli avversari per concludere al ferro. Il suo limite principale risiede proprio nella scarsa varietà del gioco offensivo: a livello NCAA gli riusciva fin troppo facile farsi beffe del difensore sul primo passo per entrare in penetrazione, situazione in cui è un realizzatore temibile. Ma la realtà è che, al di fuori del pitturato, ha avuto percentuali altalenanti. Il suo catch-and-shoot, così come il tiro del palleggio, è ben al di sotto della media degli esterni NBA. E al gradino più alto del basket dovrebbe dimostrare di poter essere ancora così efficace in transizione e in

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corsa. L’energia, dicevamo, è una delle sue qualità migliori e si riflette anche sul suo gioco nella sua metà campo: non è un difensore puro, ma è iper-competitivo. Non ha problemi, fisicamente parlando, a tenere il suo uomo ed è disposto a tutto pur di non concedergli canestri facili. CONCLUSIONE - Le possibilità di rimanere in NBA, per Powell, ruotano intorno al miglioramento nelle percentuali da fuori e al dimostrare di poter essere un difensore così energico anche tra i professionisti. Un giocatore del genere, se dovesse effettivamente affinare il suo gioco, può rivelarsi un valore aggiunto notevole per ogni squadra, anche dalla panchina. Chi scommetterà su di lui, potrebbe mettere a segno un vero e proprio colpaccio.

Nikola Radicevic

Terry Rozier

Playmaker, Club Baloncesto Sevilla, 25/04/1994, 1.96m, 113 kg Statistiche Regular Season Liga ACB: 7.0ppg, 2.4 rpg, 2.9apg, 45% da 2 punti, 26.1% da 3 punti 66% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro/Undrafted

Playmaker, Sophomore, Louisville, 17/03/1994, 1.88 m, 86 Kg Statistiche: 17.1 ppg, 5.6 rpg, 3 apg; 41.1 % dal campo, 30.6 % da 3 punti, 79 % ai liberi Previsione: Fine primo giro

Il giovanissimo serbo è il terzo talento del Siviglia che potrebbe essere chiamato in questo Draft e ha sostituito egregiamente la partenza di Satoransky in questa stagione degli andalusi. Playmaker ordinato e con un fisico davvero importante in rapporto al ruolo, ha un range di tiro praticamente illimitato ed è abilissimo nel gioco a due e nel pick&roll; in questa stagione, poi, ha dimostrato di poter essere un leader in campo e di avere una visione di gioco eccelsa, anche se tende troppo spesso a cercare la giocata difficile anziché preferire la soluzione più comoda. Abile a giocare in transizione, è un giocatore che fa dell’arresto-e-tiro un punto di forza e questa situazione potrebbe avvantaggiarlo nel proseguo della carriera, poiché è un fondamentale che non viene più insegnato granché bene ai giovani. Offensivamente, tuttavia, deve migliorare come realizzatore e deve imparare a gestire meglio i possessi offensivi, limitando specialmente i turnover e le

penetrazioni quando l’area è intasata: è vero che a volte riesce a portare a casa giochi da 3 punti, ma spesso e volentieri si trova a dover scaricare palla quando ormai le linee di passaggio sono completamente occupate da avversari. Infine, sebbene abbia un buonissimo ball-handling, deve migliorare nell’utilizzo della mano debole per portare palla, poiché ha le capacità per diventare un playmaker capace di diventare ambidestro. La nota stonata più pesante? Le percentuali ai liberi, che somigliano più a quelle di un centro anziché a quelle di un play con mani educate come le sue. CONCLUSIONE - Non penso che possa trovare una chiamata in questo Draft, se non altro perché gli occhi saranno puntati sui suoi due compagni di squadra, decisamente più pronti di lui a trovare una collocazione anche nel professionismo statunitense.

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Terry Rozier è l’ennesimo esperimento di Rick Pitino. Arrivato in sordina a Louisville, senza ricevere grandissime attenzioni dai media nazionali, è riuscito a trasformare il suo gioco e ad evolversi in una guardia che può essere utile in diversi modi. Principalmente rimane comunque un giocatore che fa dell’istinto offensivo la sua dote principale. Difficilmente lo si vedrà passare la palla o avere particolari doti registiche, ma proprio per questo può tornare utile al piano di sopra come portatore di energia e punti veloci dalla panchina. La taglia fisica (decente ma non strabordante) lo costringe a giocare come portatore di palla primario, ma le 2.2 palle perse a fronte dei soli 3 assist sono un dato che lascia ancora qualche preoccupazione sulla sua efficacia come playmaker (nel senso puro del termine) in NBA. Aveva lasciato intravedere qualche buon lampo da tre punti nella stagione 2013-14, quando aveva tirato con il 37 percento scarso,

ma quest’anno è regredito in questa specialità per focalizzarsi maggiormente sull’attacco del ferro. L’atletismo e l’esplosività rimangono preponderanti per un giocatore che sa creare dal palleggio e procurarsi tentativi dalla lunetta (quasi cinque a partita quest’anno). Le doti fisico-atletiche lo aiutano anche in difesa, ma deve migliorare nelle letture. Ottima invece la sua capacità di intuire le linee di passaggio, dote che lo ha portato a rubare 2 palloni a partita quest’anno. CONCLUSIONE - In un sistema che privilegi il ritmo alto e un gran numero di possessi Rozier può rendersi utile sin da subito, più come realizzatore che come costruttore. Ci aspettiamo un po’ di fatica invece qualora dovesse essere scelto da una squadra che giochi a metà campo. Un anno in D-League potrebbe aiutarlo a migliorare in questo senso.

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D’Angelo Russell Playmaker/Guardia, Freshman, Ohio State, 23/02/1996, 1.95cm, 87kg Statistiche: 19.3ppg, 5.7rpg, 5.0apg, 44.9% dal campo, 41.1% da tre, 75.6% ai liberi Previsione scelta: Top 5

Non erano in tanti a prevedere che Russell, ad un solo anno dal suo ingresso in NCAA, sarebbe stato già in corsa per una delle primissime chiamate al Draft NBA 2015. Eppure il talento messo in mostra con la maglia dei Buckeyes non ha lasciato indifferenti gli scout, rimasti affascinati anche alla combine dalla struttura fisica, in particolare per quanto riguarda l’apertura alare, notevole per un giocatore che sarà plausibilmente impiegato da point guard a livello NBA. A livello difensivo non è un fattore, ma per l’appunto ha braccia abbastanza lunghe per poter essere un cliente fastidioso. È nella metà campo offensiva che si è guadagnato le attenzioni del mondo della pallacanestro. D’Angelo Russell impressiona anche perché è tutt’altro che un super-atleta, ma fa affidamento su un pacchetto di qualità probabilmente unico in questa classe Draft. Ha doti realizzative e da passatore di primo livello. Pur non essendo il principale portatore di palla di Ohio State, compito che spettava a

Shannon Scott, Russell è riuscito a mettersi in mostra per una visione di gioco straordinaria, soprattutto in penetrazione. A livello di tiro, è dal palleggio che risulta più efficace ed è una discreta minaccia dal perimetro, seppur debba estendere il suo raggio per adattarsi alle distanze NBA. Grazie alla sua efficacia nel giocare per sé e per i compagni, è un’arma notevole sul pick and roll. CONCLUSIONE - Prototipo della combo guard moderna, Russell non dovrebbe aver problemi ad incidere fin dalla sua prima partita in NBA. Per sfruttare appieno il suo potenziale, dovrà ottimizzare la trasformazione in playmaker. Sembra il giocatore perfetto per i Sixers, che sceglieranno con la numero 3. E in quel contesto potrebbe subito mostrare la sua leadership.

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J.P. Tokoto Guardia/Ala Piccola, Junior, North Carolina, 15/09/1993, 1.99m, 89kg Statistiche: 8.3ppg, 5.6rpg, 4.3ast, 1.5spg; 42.8% dal campo, 37.5% da 3 punti, 61.5% ai liberi Previsione: Metà secondo giro

Tokoto è un giocatore dallo straordinario interesse ma la sua avventura NBA non sarà in discesa. L’ex Tar Heel fa dell’energia e della difesa le sue armi principali, il problema sta nel fatto che arriva al Draft leggermente sottomisura ma soprattutto sottopeso. Dovremmo quindi vederlo per lunghi tratti come guardia ma parliamo di un giocatore offensivamente troppo grezzo, con una capacità di scoring quasi nulla dal palleggio e un jumper completamente da costruire. Il 37.5% da 3 punti che vedete nelle statistiche è infatti ingannevole, in stagione si preso solo 36 tiri da tre, meno di uno a partita. Anche il floater, che talvolta usa, è piuttosto inaffidabile. Tokoto cercherà di controbilanciare questi difetti con il suo strabordante atletismo e l’ottima qualità a rimbalzo (7.9 di media in carriera sui 40 minuti) e sulle linee di passaggio. L’arma segreta di questo ragazzo sta nella sua abilità di passatore. L’ex UNC ha una grande tecnica di passaggio e un elevato QI cestistico che gli per-

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mettono di servire i compagni dal palleggio come dal post. L’anno scorso infatti, quando si è trovato in campo, ha assistito personalmente il 24% dei canestri dei compagni. CONCLUSIONE - Tokoto non sarà il giocatore che cambierà una squadra ma un ottimo difensore fa sempre comodo, specie se sa anche passare il pallone con questa qualità. Lavorando sul fisico potrebbe diventare facilmente uno specialista difensivo dalla panchina. Non sarà il nuovo Tony Allen ma abbiamo comunque davanti un potenziale giocatore da rotazione per squadre da Playoffs.

Karl-Anthony Towns

Myles Turner

Centro/Ala Grande, Freshman, Kentucky, 15/11/1995, 2.13m, 112kg Statistiche: 10.3ppg, 6.7rpg, 1.1ast, 2.3bpg; 57.7% dal campo, 81.3% ai liberi Previsione: Top 3

Centro, Freshman, Texas, 24/03/1996, 2.13m, 108kg Statistiche: 10.1ppg, 5.5rpg, 2.5bpg; 45.5% dal campo, 27.4% da 3 punti, 83.9% ai liberi Previsione: Lottery Pick

Teoricamente la prima scelta assoluta. Il portoricano sembra avere tutto ciò che serve per diventare una stella NBA in breve tempo. Già ora ha un fisico invidiabile ma anche una strepitosa mobilità che gli permette di correre in transizione come un’ala piccola, spesso anche portatore di palla. E’ infatti un giocatore dall’enorme QI cestistico e un passatore strabiliante, sia quando guida i contropiedi, sia quando trova un compagno libero dal post a seguito di un raddoppio. Towns sa ricevere in ogni posizione all’interno dell’area per poi concludere a canestro puntando l’avversario o, soprattutto, usando i suoi semiganci, destri o mancini, senza distinzione. I movimenti avanzati in post “alla Jahlil Okafor” infatti sono ancora in costruzione. E’ già un discreto rimbalzista e difensore ma può decisamente migliorare in entrambi gli ambiti, per cui tra l’altro è geneticamente portato. Gli istinti infatti sono ottimi sia a rimbalzo, specie in attacco, che in difesa, dal momento che il

suo fisico gli permette di essere un notevole rim protector, mentre il suo atletismo gli concede di cambiare sui pick&roll con efficacia. E’ ancora però molto scomposto e distratto in difesa. Spesso cerca la stoppata, anche quando non è necessario, e per questo commette un elevato numero di falli. Insomma, in difesa non sarà Anthony Davis ma il potenziale è incredibile. Non è super esplosivo e per sta lavorando molto per crearsi un jumper sempre più continuo e preciso, visto che il rilascio non è per niente male, come si nota dalle percentuali in lunetta. CONCLUSIONE - Inutile girarci intorno, Towns è già da ora uno dei tre lunghi più forti e completi del Draft, oltretutto è senza dubbio quello con più potenziale. Minnesota è a un passo dal creare la coppia Towns-Wiggins, i due giocatori “moderni” per eccellenza.

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La stagione di Myles Turner è stata in qualche modo sottovalutata. Certo, non ha impressionato come Okafor o Towns. Non possiede il loro talento naturale e con tutta probabilità non stiamo parlando di un futuro All Star in NBA. Quello che può offrire Turner però è ciò che molti front office professionistici vanno ricercando in un lungo nel 2015, ovvero: protezione del ferro, atletismo, fisico e capacità di prendere rimbalzi, meglio se in attacco. Le sue statistiche sui 40 minuti nelle prime dieci partite disputate con i Longhorns quest’anno sono state semplicemente mostruose: 24.6 punti, 13.8 rimbalzi e 6.5 stoppate, a testimonianza del fatto che il ragazzo sa offrire tante cose diverse in un limitato impiego sul parquet. Il fatto interessante è che non stiamo parlando del classico centro capace quasi unicamente di schiacciare, anzi. Turner riesce a punire le difese soprattutto con il suo tiro in sospensione, diventato via via più affidabile lungo l’arco di tutta la scorsa

stagione. Ha anche provato ad estendere il suo raggio d’azione, segnando in tutto 17 triple, ma la percentuale totale che vi abbiamo indicato sopra lascia intendere che per il momento farebbe meglio a concentrarsi sulla media distanza. Il rischio che può correre, focalizzandosi così tanto su quella parte del suo gioco è che trascuri la natura di lungo che lotta e segna nei pressi del ferro, tratto che non può permettersi di perdere anche per dare fluidità e varietà al proprio arsenale. Da migliorare anche il gioco spalle a canestro, non ancora consistente e affidabile per un livello competitivo come quello NBA. CONCLUSIONE - Qualora Turner riuscisse a non accontentarsi del tiro al di fuori del pitturato e arricchisse il proprio repertorio potremmo avere davanti un solido titolare NBA per i prossimi anni.

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Rashad Vaughn Guardia, Freshman, UNLV, 16/08/1996, 1.95m, 90kg Statistiche: 17.8ppg, 4.8rpg, 1.6apg, 43.9% dal campo, 38.3% da tre, 69.4% ai liberi Previsione: Fine primo giro

La guardia di UNLV è un concentrato di istinto e talento difficile da trovare in un giocatore così giovane. Vaughn è un realizzatore di tutto rispetto, capace di far male alle difese avversarie in tanti modi diversi grazie al suo fisico e alla sua capacità di crearsi il tiro da solo pur non essendo velocissimo sul primo passo. Segna con costanza sia dalla media che da tre ed è anche capace di farsi trovare pronto sugli scarichi dei compagni, anche se pecca abbastanza nella selezione di tiro e nel fondamentale del passaggio, incappando in un buon numero di palle perse.Non ha neanche grandissime percentuali al ferro. Per il suo ruolo è un notevole rimbalzista e riesce a usare il suo fisico e la sua rapidità per non farsi sfuggire il proprio avversario, anche se non è troppo abile nella difesa sulla palla. Il suo essere uno scorer affidabile e le interessanti caratteristiche fisiche fanno di lui un giocatore con grandissimi margini di miglioramento. Ha già avuto però importanti

infortuni, soprattutto alle ginocchia. CONCLUSIONE - Vaughn a livello NBA dovrà confermarsi uno scorer di tutto rispetto per avere spazio in campo e dovrà soprattutto migliorare in quelle che sono le selezioni di tiro e l’aumento delle variabili con cui può arrivare al canestro, senza dimenticare che una guardia tiratrice non può avere una percentuale ai liberi inferiore al 70%. Difensivamente, invece, sembra già avere la stazza giusta per poter contenere i propri avversari. Essendo così giovane e così pieno di talento può essere un giocatore su cui lavorare per averne grandi benefici in futuro.

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Aaron White Ala Grande, Senior, Iowa, 10/09/1992, 2.05m, 100kg Statistiche: 16.4ppg, 7.3rpg, 1.4apg, 52.1% dal campo, 35.6% da tre, 81.9% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro

Partiamo da una considerazione tutt’altro che disinteressata: sarebbe un peccato non vedere Aaron White in Europa, almeno per un periodo. Le sue caratteristiche sembrano fatte su misura per la pallacanestro alla maniera in cui la si gioca di qua dall’oceano. Ma non per questo il prodotto di Iowa non ha le carte in regola per giocarsi le sue chance in NBA. Non è un lungo particolarmente pesante, il che può causargli notevoli problemi a rimbalzo e in marcatura su giocatori che vanno con costanza in post basso. Detto questo, ha un’ottima mobilità e un atletismo tutt’altro che disprezzabile, circostanza che a livello NBA gli può valere l’accoppiamento difensivo con un quattro perimetrale. In NCAA si è distinto come incredibile realizzatore, dimostrando una capacità di segnare in tanti modi diversi: situazioni di post basso, giocate di energia nei pressi del ferro e anche tiri da fuori. È un fattore dalla lunetta: riesce ad andarci spesso e tira con una percentuale

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vicina all’82%. Anche la visione di gioco è un punto a suo favore, sebbene non sia pienamente supportata dal numero (basso) di assist a partita. Non è di certo l’ala grande tradizionale, né ha le caratteristiche per spostare particolarmente gli equilibri, ma non è da escludere che trovi il suo posto. CONCLUSIONE - L’aspetto più interessante di questo giocatore, per gli scout NBA, è sicuramente il suo possibile utilizzo come lungo per aprire il campo. Al fine di rendere al meglio con questi compiti, White dovrà dimostrare di poter mettere su un tiro da fuori affidabile anche in futuro. Una chiamata al secondo giro è assicurata, si vedrà poi quali saranno i progetti che la squadra che lo sceglierà ha in mente per lui.

Alan Williams

Justise Winslow

Centro, Senior, UCSB, 28/01/1993, 2.04m, 118kg Statistiche: 17.3ppg, 11.8rpg, 1.8bpg, 45.8% dal campo, 76.8% ai liberi Previsione scelta: Fine secondo giro/Undrafted

Guardia/Ala Piccola, Freshman, Duke, 26/03/1996, 1.99m, 101kg Statistiche: 12.6ppg, 6.2rpg, 2.1apg, 48.6% dal campo, 41.8% da tre, 64.1% ai liberi Previsione scelta: Top 5

La sua annata da senior ha deluso un po’ le aspettative: non sul piano personale, visto che ha tenuto comunque medie considerevoli, ma su quello dei risultati di squadra. I Gauchos non si sono rivelati una forza della Big West e questo ha impedito a Williams di prendere parte al Torneo NCAA. Ciò non toglie che Big Al sia stato uno dei giocatori più interessanti degli ultimi anni di college basketball. Partiamo dai punti a suo favore: in allenamento si è sempre concentrato sulle meccaniche di tiro dei compagni, diventando un rimbalzista offensivo tra i più efficaci nell’intera nazione. Dotato di incredibile energia, non sta mai fermo in campo, anche se il suo rendimento difensivo non è costante. In attacco non brilla per pulizia dei movimenti, ma in un modo o nell’altro sa far canestro spesso e volentieri, soprattutto quando si affida al suo semigancio. Tutte qualità che possono bastare in NCAA, ma che in NBA non sono sufficienti per trovare posto. C’è infatti il

problema della statura: per caratteristiche e per stazza, Williams è un centro fatto e finito. Ma è alto appena 2.04m. E, dopo quattro anni da leader assoluto e principale terminale offensivo della sua squadra, arriverebbe al piano di sopra con un’inquadratura tattica ancora da trovare. CONCLUSIONE - È più che possibile che qualche squadra NBA si prenda il rischio di fare un tentativo con un giocatore di questo valore. Non è da escludersi, però, che Big Al finisca undrafted e firmi solo successivamente un contratto. In Europa sarebbe un più che potenziale dominatore, ma con tanto lavoro e determinazione può ritagliarsi un ruolo da comprimario anche dall’altra parte dell’oceano.

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Non c’è nulla da fare: questo giocatore impressiona fin dalla prima volta che lo si vede giocare. Energia disumana, fisico già vicino a quello dei professionisti e fattore su entrambi i lati del campo. Gli è bastato un solo anno alla corte di Coach K per migliorare esponenzialmente, soprattutto in attacco. Man mano che la stagione avanzava, si è imposto come realizzatore sempre più costante. È nella capacità di attaccare l’avversario dal palleggio, in particolare, che è migliorato. Il tiro da fuori è stato presente fin dall’inizio: non per niente ha chiuso senza triple segnate solo 6 partite su 39. Sebbene qualcuno abbia azzardato paragoni con Harden, basati anche sull’uso della sinistra come mano forte, è in Jimmy Butler e in Kawhi Leonard che lo stesso Winslow si rivede. Infatti il prodotto di Duke è un esterno della nuova generazione, capace di imporre la sua legge in attacco e, al contempo, di prendersi cura del miglior giocatore avversario dall’altra parte. Veloce, esplo-

sivo e versatile, potrà essere impiegato, al piano di sopra, non solo come ala piccola, ma anche come guardia. Ed è anche un incredibile rimbalzista: ne ha catturati 56 in sei gare del Torneo NCAA. CONCLUSIONE - Winslow arriva al Draft con grandi credenziali, anche perché la struttura fisica gli dovrebbe permettere di non faticare troppo all’impatto con il livello più alto del basket. Qualche anno per crescere definitivamente va messo in conto, ma le sue capacità di difensore e di attaccante, anche dal palleggio, sono tutto quello che una squadra con carenza tra gli esterni può volere. Difficile, considerando la numero 4 a New York e la numero 5 ad Orlando, che esca dalle prime cinque chiamate. Le caratteristiche sono quelle di una futura stella.

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Delon Wright Playmaker, Senior, Utah, 26/04/1992, 2.01 m, 82 Kg Statistiche: 14.7ppg, 5.0rpg, 5.0apg; 50.5% dal campo, 35.5% da 3 punti, 83.5% ai liberi Previsione: Fine primo giro

Delon Wright potrebbe essere una delle probabili steals di questo Draft 2015. Il suo ultimo anno a Utah è stato favoloso. Ha mostrato di avere completamente in mano una squadra che peraltro dipendeva quasi completamente da lui e si è affermato come uno dei migliori playmaker della Nazione. Nonostante possegga una più che discreta taglia fisica non è dotato di grande atletismo e non sovrasterà mai i propri avversari a livello di potenza: la massa muscolare non è ancora ben definita, ma del resto non sono queste le sue armi principali. Tra le qualità maggiori possiamo infatti annoverare la perfetta visione di gioco, che gli consente di vedere il campo come pochi e di creare passaggi anche dove molti non ne vedrebbero. Wright ha dovuto lavorare tanto su sé stesso per arrivare dove è finalmente giunto. Si era infatti trasferito a Utah da un Junior College senza particolari ambizioni, ma la sua etica lavorativa e la voglia di sacrificarsi ogni giorno in palestra

lo hanno portato a compiere passi in avanti enormi. Altra grande qualità è il controllo della palla, già in questo momento di ottimo livello, che gli permettono di tenere sempre vivo il palleggio anche nelle situazioni di estrema pressione, dalle quali riesce sempre ad uscire abilmente. Il dubbio più grande riguardo la sua futura carriera da professionista è sicuramente il tiro da fuori. Prima dell’ultima stagione a Utah aveva segnato soltanto 30 tiri da tre su 126, e nonostante un discreto miglioramento questa rimane la parte del suo gioco nella quale continua a far fatica. CONCLUSIONE - Delon Wright ha limiti e qualità ben evidenti. Difficilmente potrà mai diventare un All Star, ma disporre di una pedina così versatile può rivelarsi utile. Il giocatore di Utah ha la mentalità e le doti tecniche per essere utile sin da subito anche in una squadra da Playoff.

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Joseph Young Playmaker/Guardia, Senior, Oregon, 27/06/1992, 1.88m, 82kg Statistiche: 20.7ppg, 4.4rpg, 3.8apg, 44.8% dal campo, 35.7% da tre, 92.5% ai liberi Previsione: Metà secondo giro

Il contesto di Oregon lo ha indirettamente aiutato a compiere una tappa obbligata verso l’NBA: rispetto al suo primo anno con i Ducks, ha giocato molto di più da playmaker. Questo cambio di responsabilità, però, ha anche messo a nudo tutte le differenze del suo gioco quando è costretto a portar palla. E, viste le caratteristiche fisiche, difficilmente potrà essere impiegato in altro ruolo tra i professionisti. Da junior aveva già messo in mostra tutto il suo spaventoso arsenale offensivo: non solo tiri da fuori, ma anche una buona propensione a creare dal palleggio e ad avvicinarsi con profitto al canestro, riuscendo nel contempo a perdere un numero bassissimo di palloni (1.1 a partita). Quest’anno, giocando di più da playmaker, ha raddoppiato le palle perse, ma ha anche incrementato la produzione degli assist (da 1.9 a 3.8). Comunque, con compiti di portatore di palla, si è trovato talvolta in difficoltà in quella che è la qualità migliore: produrre punti su punti.

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In difesa non si è mai distinto come grande agonista, ma rispetto al suo anno da junior ha mostrato dei miglioramenti. Certo, la bassa statura e lo scarso peso gli impediranno anche a livello NBA di essere un fattore, ma vedere da lui dell’intensità su quel lato del campo è già un buon risultato. CONCLUSIONE - Guardia nel corpo di un playmaker, avrebbe bisogno di un contesto che gli permettesse di muoversi lontano dalla palla in attacco e, al contempo, di avere in difesa un matchup non troppo impegnativo contro un playmaker. Queste sono le condizioni ideali in cui potrebbe rendere al massimo. Altrimenti, la strada verso la conquista di un posto in NBA può rivelarsi molto lunga. Potenzialmente infinita, a meno che non intervengano miglioramenti esponenziali del giocatore.

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