Prologo

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Sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto “più in là”. (Eugenio Montale)

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Prologo Mentre camminavo sulla luna ti ho vista avvolta nella nebbia anelavi azzurro per il mantello bussai alla vetrina dell’infinito. Prego? -due etti d’azzurro senza un filo di grigio[ho un credito illimitato al grande supermercato delle buone intenzioni pago con la carta fasulla che la vita m’ha donato] Prego? -due etti d’azzurro senza un filo di grigioUn cielo a fettine come ali di falena è quel che manca al desco della vita incartato a dovere nella mia poesia sarà manto da cucire con ago e refe. Senza un filo di grigio, ovviamente.

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Franco Pucci

due etti di azzurro senza un filo di grigio Marzo 2015

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Nacqui, ma non mi avvertirono. Sono nato a mia insaputa in un paesino della bergamasca, poiché quando Milano seppe delle intenzioni dei miei, pensò bene di farsi bombardare dai tedeschi. Potevano avvertirmi, però! Avrei sicuramente optato per Parigi o che so, messo alle strette, anche Sannazzaro de’ Burgundi sarebbe andato bene. Fu per questo mio essere Bastian contrario che fui ribattezzato subito “il rompicoglioni della Val Brembana”. E dire che non ho mai visto né visitato il mio paese natio, né mi sono mai peritato di farlo. Non avevano chiesto la mia opinione. Forse sottoposto a tortura avrei accettato proponendo una mediazione: modificare il nome del paese da Zogno in “Sogno”. Ma non fu così. Ergo io mi considero non nato. Mi ribello alla sola idea. Ho sempre discretamente evitato qualsiasi esibizione di documenti che comprovassero il ferale evento, ma non sempre ci sono riuscito e così cado spesso in depressione a seguito di crisi acute d’identità. Lascio crescere compiacente una selvaggia e folta barba pur di evitare il confronto mattiniero con lo specchio che inevitabilmente mi riproporrebbe la crudele domanda: chi sei? No, non sei,

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non ti conosco, non sei mai nato, per cui non esisti. Così anche adesso dopo tanti anni fatico ad accettare il fatto compiuto. Con la discutibile saggezza dei vecchi sono arrivato a una conclusione: c’era la guerra, i miei avevano fretta e nel marasma pensarono bene di “portarsi avanti coi lavori” e si dimenticarono di chiedere la mia opinione. Potevano avvertirmi, però!

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Note biografiche Nato in un paesino della Bergamasca, dopo aver frequentato le Scuole Tecniche con un profitto senza infamia e senza lode, Franco Pucci decide di comunicare con ill Mondo ester no attraverso immagini e segni, entrando così nel mondo della grafica. Un corso serale triennale di Grafica Pubblicitaria, condotta da Albe Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti, presso la Scuola Umanitaria famosa anche perché ha dato linfa vitale alla Scuola del Libro di Milano, gli svilupperà la passione e la voglia di lavorare per il mondo della comunicazione e della grafica. Gli interessi per questa sua passione lo coinvolgono e lo assorbono totalmente, non impedendogli però di sposarsi e di contribuire a mettere al mondo quattro figli. Un’esperienza di circa quattro anni come disegnatore tecnico presso aziende e studi d’ingegneria e architettura e poi… il salto nel mondo della grafica pura! La pubblicità e la televisione lo catturano definitivamente e per oltre un trentennio si occuperà, nel ruolo di Direttore Creativo, della comunicazione per le agenzie e le strutture promozionali nazionali e internazionali. Già che la tastiera del computer ha sostituito la sua veloce penna, ora che ha molto più tempo, si dedica totalmente alla scrittura creativa, dando la sua collaborazione a diversi portali, tra i quali: www.rossovenexiano.com e al suo blog personale www.francopucci-bricole.blogspot.it inoltre, come e-book sfogliabili, su www.issuu.com Le sue ultime pubblicazioni sono: “Il volo del Gabbiano”, NarrativaePoesia Editore, “bricole” e “spifferi” editi in proprio. Michela Zanarella

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Prefazione Franco Pucci è stato uno dei primi autori da me letti sul sito letterario Rossovenexiano e da allora non ho più smesso di seguirlo. La sua crepuscolarità è sempre stata per me di grande suggestione. I toni pacati dei suoi versi, con quel particolare retrogusto leopardiano di rimpianto e nostalgia tra una laguna e un gabbiano, con uno sguardo spesso rivolto al passato e anche all’infanzia, mai completamente abbandonata nel ricordo, hanno il potere e la musicalità di certe splendide “barcarole”, così in tema coi panorami chioggiotti che ci racconta. E' frequente in Franco accompagnare i suoi versi con un velo di ironia, che giunge inaspettato a sorprenderci nella chiusa di diverse sue poesie, quasi a rappresentare una piccola personalissima morale. Raramente l'Autore fa uso di temi e lemmi ridondanti o eroici, pur mantenendo in certe liriche un tono rigido, specialmente nel trattare la morte, verso la quale usa sfumature di gozzaniana memoria, quasi deridendola per esorcizzarne il timore. Il leitmotiv della sua poesia rimane però quella vaga insoddisfazione di vita tipica dei crepuscolari, una sorta di malessere esistenziale che raggiunge l’apice della bellezza poetica nelle ombre della notte magari in riva a un canale o al tramonto in compagnia di un gabbiano, figura ricorrente nei suoi testi e nella quale spesso si identifica. Leggendo le sue opere non si può non percepire come, dietro quel disincanto, a volte quasi scettico, e quell’espressione da “viveur”, si celi invece una grande sensibilità capace di profondi sentimenti, primo su tutti l’amore per la sua compagna di vita. Nei versi di Franco possiamo di frequente godere panorami densi di chiaroscuri accesi da lampi di colore, immagini pittoriche che rivelano il suo amore e la sua capacità anche nell'espressione di questa arte.

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Un autore Franco Pucci che, con inestimabile pregio, con eleganza e senza artifizi, rivela tutto il suo sentire, nel quale, con delicatezza, sensibilitĂ e rispetto possiamo tutti rispecchiarci. Sara Cristofori

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Cinque sassolini [ho cinque sassolini levigati dal mare fondi di bottiglie infrante sugli scogli erosi dal sale e sminuzzati dalla rena pietre preziose per ingenue collanine] Una nenia, una cantilena che non m’abbandona quando lo sguardo s’emoziona nell’urtare l’onda con affanno cerco nelle tasche quei piccoli sassi. Fantastici ricordi di giochi bambini -sandali rottiperle di sogni colorati che più non appartengono persi nella rincorsa del tempo sfuggito dalle dita. [eppure li avevo conservati gelosamente in quel fazzolettone a quadri rossi e blu c’erano pure quattro cocche agli angoli per non dimenticare che la vita è gioco] Cinque sassolini -nelle scarpe- per ricordare.

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Il pescatore di lune Il canale è una lavagna blu notte screziata riflessi argento che guizzano e s’inseguono quante albe ho deflorato in paziente attesa intrecciando canapi di innocenti speranze. Non ho esche affascinanti -solo dita ribelliche svogliate si sottraggono ai miei pensieri divagano, nascondono la voglia del racconto poi un brivido mi coglie e chiudo le imposte. Non ho le mani forti e navigate del pescatore che sanno di fatica e sale del mestiere antico dietro i vetri mi accoglie il grigio ammuffito di una notte indecisa tra il sonno e l’incanto. -ho le canne in soffitta, ma la luna tra le dita-

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La solitudine dell’attesa è un aggrapparsi alle nuvole al confine della tua illusione è aspettare -dolorosa feritache solo il mare sa suturare Così, anno dopo anno alzi nuove barricate mattone dopo mattone il muretto a secco sgretola immancabilmente al primo fiato. Ti raccogli lassù, sui cirri dei tuoi pensieri sgrani il rosario delle paure e degli errori. Attendi. Il sole è metodico, non mancherà. Nella solitudine dell’attesa la speranza.

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Pacchi di pasta e sacchi di sabbia [questo povero paese alluvionato -fradicio di lacrime senza arginiscrive la sua storia di re e aruspici sulle pagine di un effimero diario intingendo parole di sale marino affoga la speranza con l’illusione] Tra cinismo levantino e atavica emergenza rapace del fragile terreno per innata accidia recita con maestria la farsa del senno di poi. Appeso al volubile inganno del Profeta Eletto improvvisa il desco tra sacchi di bionda rena e reclama pacchi di pasta insultando il cielo. Ritma nell’aria un vecchio boogie-woogie.

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Quelli come me Quelli come me hanno ancora il blu conficcato sotto le unghie brandelli di cielo stesi ad asciugare sul costato bugiarde clessidre di sabbia divorate dal mare e misurato adagio all’imbrunire del racconto. Quelli come me hanno molliche di gomma-pane nelle tasche cancellano gli sberleffi che insultano le parole scrivono il diario della vita su fragile cartariso e abortiscono pagine piegandole come rughe. Quelli come me hanno nascosto cicatrici bianche riarse dal sale colorato il dolore vestendolo da zigana indovina spogliato le notti delle albe infilando lenti scure e sputtanato i sogni cercandoli disperatamente. Quelli come me hanno accanto donne come te.

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Alcool di ginepro e cannella [per me vorrei una cassa di legno di rose con una finestrella senza ante in cristallo sarà un lungo sonno, ma potrei destarmi vorrei il tuo sorriso allora ad accogliermi] Sarà un attimo. L’alcool brucerà le rose e il cristallo tinnerà frantumandosi in cascata di gelidi diamanti il ginepro aspro di vita morirà le sue bacche mentre incenso di cannella addolcirà l’addio. Solo un attimo, poi. La cenere opalina colorerà l’aggrottato mare l’ultimo riflesso sarà guizzo d’argentea sirena sfumerà nel fondo l’aspro sentore di ginepro, poi sulle labbra resterà un ricordo di cannella. D’elisir scrivo mentre pesto nel mortaio.

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Il guardiano dell’ottovolante È inutile adirarsi con il cuscino, incolpevole testimone degli incubi. Nuovamente la vita ci ha sorpreso lasciandoci appesi sulle sue dune, restii al terrore di un nuovo giro. -dal cielo dove il binario precipita il tempo dell’attesa incanutisceOra che il respiro pareva essere cheto persino il percorso ormai assimilato, il su e giù delle stagioni: salite, discese, ecco che inattesa la giostra ricomincia e noi, aggrappati alla carrozza colorata. La vita m’aveva fornito chiavi -falsenon hanno funzionato -povero illusoora che volevo fermare l’ottovolante m’ha licenziato, il contratto è scaduto. A tempo determinato.

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Pensieri a soqquadro tra aquiloni e gabbiani Osservo attonito il filo che pencola dalla mano mentre la rena nelle scarpe m’avvisa del mare. Com’è che la vita ha sconvolto le rotte prefisse e non ho veleggiato a cavallo del mio aquilone? Non c’è vento stamane sulla spiaggia accigliata né vele che disegnino bianchi ghirigori di spuma il cielo è una cappa d’alluminio corrosa dal sale e i gabbiani sono piccole, anarchiche falci lontane. Non v’è traccia del mio aquilone, ma non dispero. …in fondo un gabbiano è un aquilone senza fili…

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Rovello: lucciole o lanterne? potrei dirti della lucciola che sbiancava tra le dita il sogno chiuso nel pugno pareva salvifica lanterna CosĂŹ ti racconterei anima mia mille e mille notti di cammino il buio incontrato e poi divelto un masso inutile, un intralcio. A pugni chiusi pieni di lucciole attraversando la pece della vita -illudendoci alla luce dei sogniabbiamo acceso lampade votive. Ăˆ tempo di mostrare le palme -vuote di sogni colme di atteseormai buie di lucciole illusorie accendere lanterne di speranza. Resta il rovello.

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Vita (un incontro casuale) T’ho incontrata sulle ginocchia sbucciate -le rotelle dei pattini ansimavano al cieloT’ho sfidata a pallone sul prato d’asfalto la porta disegnata col gessetto sul muro. M’hai cresciuto per la strada quella sera l’ironia di mio padre “hai una sigaretta”? T’ho pagato i sogni come a una puttana, -ho nascosto le ricevute sotto il cuscinoT’ho mentito gli anni vestendoli bambini -ho addomesticato l’affanno del vecchioMa il tempo è dalla tua parte, l’arroganza delle dita è insolenza sulle pagine bianche. È stato un piacere, ora ridammi i pattini.

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Barene, pane e zucchero Perché il dolce dello zucchero è rimasto accartocciato nel blu mare della carta da droghiere? Perché mai il profumo del pane è rimasto incatenato sul marmo e tra le dita sapienti del fornaio? Barene e acqua. Aironi in volo. La strada corre veloce tra sobbalzi i pensieri s’adagiano -vecchie volpisotto le coltri protettive dei ricordi. Alieno primavere di lunari passati. Barene e acqua. Garzette ballerine. Risposte che la vita non mi ha dato rimaste sospese in volo a mezz’aria, vecchi aquiloni monchi senza coda legati all’anima dal filo dei ricordi. Barene e acqua. Pane e zucchero.

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Canto Proserpina nella notte “nella notte dell’arrivo di Flora per la danza propizia dei poeti vorrei vestire con parole fiorite nuovi versi di canzoni d’amore” Non ti scordar di me -primaveraseguo orme di farfalle tra le viole. Nel lucore di lustrini mille gonne -in vetrina come falene adescantimi sorridono, scolorano l’inverno ma cedono la beltà a caro prezzo. Ti incanterei allora con una poesia versi seducenti, abbaglianti lustrini esperto aedo reciterei senza vetrina e come Proserpina ti ruberei al sole. Poi ti nasconderei per non perderti e nella notte dei poeti danzerei solo. Sarò solo un canto, senza vetrina.

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Clic È quando spegni la luce che gli occhi insultano il buio. Il quadro invaghito del muro ha una cornice di luna farlocca, ma l’abaco dà numeri sinceri. È quando spegni la luce che le mani cercano l’approdo. Il buio veste il vuoto d’ira cieca e la paura ha il volto del cuscino, ma il tuo respiro è il mio sorriso. È quando spengo la luce che tutto diventa più chiaro. Clic.

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È qui È qui. Accanto a me. Respiro il suo sogno ancora e ancora. Il suo corpo in controluce violato, avvelenato. È qui. La mano cerca. Nell’abbraccio il profilo sagoma il buio della parete e l’aurora ha il rossore dell’amore, ancora. Sciolgo il dolore, è qui.

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Gli avrei detto… Gli avrei detto: “Auguri, vecchio mio!” Poi, lo avrei cullato abbracciandolo stretto. -la tenerezza soffoca il dolore del ricordo se chiamo il suo nome risponde mio figlioGli avrei detto: “Vieni, ti porto al mare.” Poi, saremmo andati in riva alla laguna. -senza parlare seduti uno accanto all’altro avrei raccontato il vuoto della lontananzaGli avrei detto: “Copriti, è freddo” Poi, avremmo inseguito guizzi d’argento. -il sorriso sarebbe spuntato incontenibile come raggi del sole ribelli sfuggiti all’auroraPoi, mi avrebbe detto: “Ricordi quella riva?” Ricordo papà, ricordo.

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Poesia d’anima passeggera (sono solo una poesia passeggera lascio dietro di me un battito d’ali venditore porta a porta di illusioni ho girato parole insolute alla vita) Un pensiero come un chiodo fisso. Sto aspettando. Conosco le attese. Nelle corsie degli ospedali il bianco ottunde, ferisce -torno nel bozzoloPoi, l’abitudine vince l’apprensione. Spesso è l’unica arma vincente, così ti acconci all’attesa -pazientementeSono -siamo- solo anime passeggere. E poi esce, il sorriso è tirato, ma è qui. Il bianco stinge poco a poco d’azzurro lascio dietro di me un bozzolo di versi. Abbiamo ali ferite, ma -si vola ancora-

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Surreale danza di grida e ombre [inseguo ombre danzanti sul soffitto e stracci di luce di led sul comodino -quasi proscenio di un teatro irrealeesaltano il debutto della luna piena] Lo strazio di un miagolio d’amore fonde col grido roco del gabbiano la notte sempre uguale a se stessa ha nella calle la coltre rassicurante. Madre, stanotte par d’essere su un naviglio -esile foglia in balia dell’imprevistodisubbidiente all’incauto timoniere che non troverà un approdo sicuro. Figlio, le ombre sono arabeschi di paura che il buio incide sulle iridi stanche la stanza -pareti bianche di sabbiaè falsa prigione di lenzuola inutili. Supino ascolto il respiro riaffiorare mentre le luci dei led affievoliscono il miagolio ora è un canto all’amore e il gabbiano trova pace sul cassero.

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Tuttavia sorride Benché la terra abbia subito l’idiota arroganza dell’uomo il patto infame con la notte e la falce alacre della guerra. -nel cieloa volte è timido passante che occhieggia tra le nuvole a volte è sfrontato amante sui dolci declivi dell’aurora -nella calleoggi il vecchio pescatore ha steso la rete da riparare ago e spago per medicare le ferite di un mare riottoso -sulle maniBriciole di stelle si spengono spaurite tra losanghe di luce. Se stringi i pugni son sicuro che acchiappi il sole pei raggi. Sorride ancora, sorridi.

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Bucaniere per amore (marinaio di nuda terra da zappare io -bucaniere dal vessillo strappatoho l’azzurro/mare pittato nel cuore e l’incoscienza audace nei pantaloni) Poi, una rena color d’oro su cui dormire uno stormo d’ali dalle strida arrugginite cui donare pensieri e poesie al tramonto. Stasera isserò il nero vessillo al poggiolo sarò il bucaniere dei miei sogni bambini e da provetto guitto ruberò il tuo sorriso. Poi, sarà sogno e m’imbarcherò di nuovo.

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Come in un quadro di Botero c’è chi la chiama fortuna chi dice era il tuo destino chi invoca trigoni astrali chi recita fioretti smodati (i cerchi nell’acqua s’inseguono ciottoli coatti feriscono il pugno) Poi con gli anni mi ero convinto: chi cantava insieme al mio cuore era un lieve battito d’ali di falena. Ora persino tu lo chiami angelo? (i cerchi nell’acqua sono affogati il sale di laguna sanerà il pugno) Vorrei fermare il cuore, incontrarlo poi chiedergli perché il suo sorriso ha premiato l’esagerata ambizione del mio assolo nell’arena della vita. Come in un quadro di Botero.

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Non c’è memoria senza memoria Scrivo di te, di mare e gabbiani scrivo di ricordi di anni lontani scrivo della vita la nostra storia perché il domani serbi memoria -vola altoScarti improvvisi volute eleganti racchiuse tra parentesi danzanti. Libero -ribelle alle convenzioniinterpreta fuori dal rigo e scrive armonie di indolente musicalità. Poi da lassù plana -quasi sospesoun capriccioso aquilone senza fili sfuggito a mani bambine -atterracon lo stridore roco e prepotente sull’iride dei miei occhi sgranati. -ancora mi emozionoAnnose barricate a difesa del cuore travolte dalla piena dei sentimenti. Ho respirato città nebbia e catrame anni di polveri sottili e piogge nere. Inerme ho masticato soffocato l’ira incastrato nella idiotissima sequela di scatole di latta sbuffanti profitto.

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Gli occhi pieni di mare e incantati dallo spettacolo dell’istrione alato feriti da ricordi come inattesi flash. Lampi a volte dolorosi a volte felici che ingoio e dimentico, ma domani? Da vecchi il domani è vestito di ieri, già vissuto non è nei nostri pensieri. Eppure la memoria graffia, ostinata.

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Schegge di cristallo e graffi nel blu (stasera il cristallo sul tavolino riflette l’oro liquido a schegge) È quando hai un macigno che ti opprime sullo sterno groppo in gola senza motivo che ti incatena alla carotide. È allora che annaspi e cerchi un appiglio lassù, dove mai avresti pensato di inseguire graffi il cielo violando il blu. Ora l’oro del vino nel bicchiere lascia il posto al rubino del sole misuro l’angoscia del crepuscolo che mi assale e mi incattivisce. (schegge di cristallo sul selciato riflettono il rosso del tramonto) Non ho più pazienza né fiducia nella panacea lenitiva del tempo e l’oblio del vino s’è frantumato vorrei risposte stasera, da lassù. Graffio il cielo, ti vengo a cercare.

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Se la risposta è una storia, è la nostra Ora che ho liberato le mani e il cuore dalle spine che l’intrico di rovi ha inflitto le sue ultime ferite che il nostro claudicare ha nascosto le incertezze e lacrime di mare hanno riarso cicatrici antiche… …ora, che farò ora? Non puoi rispondermi sconosciuto, selvatico fiore. Che ne sai tu di notti perse ad infilar rime precarie di parole amare per cancellare dolci intemperanze e preghiere fioche come lumini palpitanti al vento? Potrei scrivere una storia, la nostra. È importante. Allora darei risposta a questa innata inquietudine direi come stanotte sul poggiolo tu sia sbocciato mentre recitavo al vento e soffocavo le fiammelle… …ma questa è un’altra storia.

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Ti parlerò di noi, quasi fosse fiaba (non sono attrezzato al verbo d’oggi non ne capisco il suono, la violenza non ne sopporto l’acrimonia, l’odio non mi piace affidare punti, virgole e storie ad una trappola elettronica scarafaggi di venefica plastica nera) So che mi ascolti amico mio non puoi ignorare il canto nuovo della mia voce ed ho compagno solo te stasera, lassù annuvolato su di un falso nido in fasce. -l’anima è schiusa in questa notte mite e son sicuro che sarai pubblico attentoSe il coraggio è arte di vivere allora noi abbiamo incantato tele con cuore naif, abbiamo scritto versi di metrica esatta sconoscendo la malìa dello strapiombo. Cancri figli del grande trigono d’acqua timidi e restii nell’abbandonar la rena. Servì coraggio, non so dove lo trovammo ma ancora ci sostiene nelle lune traverse prima d’eclissarci nuovamente nel mare lasceremo tracce d’amore come Pollicino. Come vedi la parola ha il sapore di fiaba non vibra di elettroni, va diritta al cuore.

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Un aquilone di garza e cerotti Lo stridere sgraziato di un gabbiano solleva batuffoli di sabbia corrucciata l’onda senza lo scoglio da abbracciare geme nostalgia della risacca smarrita. È brezza quella che accorda lo spartito -alito leggero che spolvera dolcementeL’anima, ingombra di ferite autunnali, invaghita di questo afflato vorrà volare. Costruirò un aquilone dalle ali di garza imbastite con filo e virtù di mani antica -il velo da sposa su archetti di parasolecome seconda pelle di cerotti temerari. È un insolito aquilone quello che s’alza il gabbiano zittito l’ammaestra nel volo muoiono lassù all’orizzonte dopo il sole -straccetti di garza sui castelli di sabbiaNon basteranno cerotti per ricostruirli.

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A due marinai di terra Non so quanti passi dovrò contare prima che questa emozione si sciolga. Ho dato la rotta a navicelle e zattere cariche di vento, ansie e anni faticosi, ho visto luoghi in cui solo a un padre è permesso accedere ma, sempre, ho lasciato l’emozione stivata nel legno. Ora l’approdo è lì, a poche bracciate. È lì che darò misura del mio esser uomo prima d’esser padre, quando sarà difficile distinguere il tremolio delle fiammelle con la ruggine che scolorirà tra le ciglia. Non so quanti passi dovrò fare, non li conterò ma, quando la mano posata sul mio braccio stringerà la mano che l’attende, getterò l’ancora. E scioglierò il nodo che serra l’emozione. Buon viaggio, figli. *a Fulvia e Fabio per il loro matrimonio

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Al mercatino (tra la menta e il coriandolo) Colleziono i ricordi come francobolli usati ritagli di vecchie cartoline dai colori sbiaditi emozioni sbocconcellate, dai profili usurati silloge raccolte in album di antica maestria copertine gemelle, senza titolo, impolverate. Ancora prove d’autore abilmente contraffatte -rare istantanee di metamorfosi colte a metà bozzoli sfilacciati appesi al ramerino selvatico spuntato in un coccio di terracotta ammuffita quarti di vita, leccornie in offerta dal norcino. Ho aperto un banchetto scrivendo l’ossessione tra i versi del racconto ho esposto le mirabilia sciorinate sul bianco delle pagine elettroniche troverete la collezione tra paccottiglie di parole. -i vecchi album ammiccano, lustrati a nuovo‌ma non sono in vendita. Accumulo.

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Caramelle da una sconosciuta Ti narrerò, riavviando i fili d’argento, quasi fosse erba tenera su cui sognare come abbia inciampato nella vita -ierisedotto e impaniato da stagioni etere. *** (eh sì che c’ho creduto alle loro parole io che c’ho giocato -ora che cala il soleio che con loro litigo -così per pigrizianon ho avuto remore nell’impudicizia) *** Ho raccolto foglietti d’oro spiegazzato -ritagli d’emozioni divorate all’istantelusingavano con l’inganno anni melati e ho succhiato la vita senza conoscerla.

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Estemporanea [vorrei accanto la tavolozza i miei pennelli, i miei colori l’odore acre dell’acquaragia il mare riflesso sugli smalti] Senza biacca e tele pronte nÊ cavalletto per sostenere occhi ingordi che divorano la bellezza del quotidiano. Raduni di famelici gabbiani -attesa nei sanguigni riflessi di tende tese su Canal Venamentre il pescatore prepara astuzie per i guizzi argentati che giocano la luce serotina. Non ho ragione delle mie mani ormai son la fatica delle parole.

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L’altana sulla nuvola E poi mi siedo e inseguo le emozioni che volano alte e si perdono nel blu. Dall’altana sulla mia nuvola attendo altre primavere giovani e meno ostili. Il sole pare ammutolito, si nasconde, poi riappare, giocherellone irritante. Non ho visto rondini, ancora. -pensieri affastellati scivolano e scorrono veloci nella mente distratto seguo dal finestrino i minuetti di aironi e garzetteHo accanto il tuo sorriso, tanto basta. È malinconia nel sussulto delle ruote e la speranza ha il colore della laguna. Ho emozioni dispettose nello zainetto che si burlano di un cuore viaggiatore e l’altana sulla nuvola è vana panacea. Non ho visto rondini, non ancora.

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Oltre la vita, per la vita Quando il silenzio perde la voce è allora che dai nome alla paura. Una cuna di luce come soffice bambagia mi ha ninnato per quel tempo indefinito era liquido amniotico di tepore materno il cordone ombelicale di sicuro appiglio. -poi la voce, il mio nomeMentre i led colorati erano stelle cadenti nella sala operatoria accendevano le luci sul proscenio della vita per la mia replica nel folle Barnum d’arte e umanitĂ varia. Quando il silenzio ritrova la voce allora dai un nome alla speranza.

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Tu non saprai mai …e ti scopri ipnotizzato dal gorgo del lavandino alzi gli occhi e t’incontri straniero in un riflesso… Ho parole bianche che svaniscono sul cuscino -ingiurie scolorite dal tempo e dalla speranzamille battiti asincroni che straziano il costato dita impudenti che disfano la tela di Penelope. Tu non saprai mai le notti quando l’oblio cede e cerco invano un sussurro che dica: non sarà. La smorfia che appare sullo specchio ha l’urlo della paura, sbaffo carminio sulla tela disfatta. No, tu non saprai mai.

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Unbelievable melancholia E poi ritrovarsi nel sorriso di vecchie foto accarezzare i profili disegnare gli abbracci. Chiudere l’album col sospetto di un tempo e una pagina da riempire con la foto mancante.

-sospeso-

E poi ritrovarsi nel sorriso. -ancora-

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È un cielo di garza È un cielo di garza. Nell’imbrunire una rondine smarrita volava stranita, straniera all’amplesso di un cielo di garza dal respiro velato che piombava le ali, affogava il canto. Cercava una nota, un angolo strappato un assenso alla fuga da quel cielo ignoto così la voluta era uno sgorbio, un insulto e il canale attonito rifiutava il suo palco. È un cielo di garza. Il profumo di caffè ha mitigato il dolore quella piccola spina che piaga il costato la delusione per l’appuntamento perso per lo spettacolo agognato nell’inverno. Un ultimo, sommesso garrire, un saluto o forse un lamento, chissà, verso un Dio che simile all’uomo stravolge i percorsi e muta il suo canto in urlar di gabbiano. Cuce nella calle il pescatore il suo cielo rammenda con l’accia la garza violata.

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Lo stupore di una preghiera inusitata Mi sembra d’essere sull’ottovolante. È un altalenare inesausto di emozioni di mere probabilità, timori inespressi. Nei continui, estenuanti accertamenti le disillusioni e le speranze vanificate. [temo l’improvviso scarto il precipitare a mozzafiato del sorriso e il fiato in gola nello scalare l’erta, ancora] Mezzanotte -cedo il respiro al sonnoper ingannare gli occhi pieni di spilli che straziano il desiderio di serenità. Con stupore mi sorprendo a pregare. È una preghiera che non conosco, ma le parole che sgorgano sono semplici, scevre da antiche liturgie, colloquiali. Come a un amico a cui chiedi ascolto. Sono sull’ottovolante e parlo con Dio!

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Nei miei e nei tuoi occhi Occhi appassiti di algide lenzuola di bianche pareti, corridoi infiniti tra angeli azzurri in camice verde -api operaie di febbrile dedizioneOcchi stanchi di macchine aliene seduttrici di chimiche portentose nei vetri attaccati a croci d’acciaio -insulti di dolore a un livido cielo[non credere allo specchio, prezzolato sicario del tempo l’ingiuria che ti propone non trova spazio nel mio cuore se pure nel furore tu sfidassi i danni della premonizione nei cocci del cristallo troveresti riflesso ogni tuo sorriso] Nei tuoi occhi i miei, e tanto basta.

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Oggi se non sei “post” non sei up-to-date Tutti dobbiamo essere o diventare “post” di qualcosa, “post-comunisti”, “post-giovani” “post-sessantottini”. E poi dovremmo vivere in questa era “post-moderna” che i senza vergogna definiscono come “post-bellica”. Anch’io oggi mi sento un “post” coatto… Un foglietto giallo canarino spiaccicato sulla bacheca di un social-game indaffarato a distruggere se stesso. Non mi leggeranno. Allora planerò, irriverente falena, sui bit del mondo “post”, definitivamente up-to-date. …ferocemente saldato al frigo, a memoria d’esser vivo!

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Quel veleno nell’angolo della memoria Avevo coltivato deliziose cattiverie da dire la neve di Crono m’ha congelato la lingua. Avevo giustificato le rivalse da impugnare l’ira di Nemesi m’ha sfilato l’elsa di mano. ***** Capiterà ancora che io incontri quel veleno che avevo conservato nel barattolo di vetro. L’avevo ficcato in alto, lassù sopra la madia nella cucina, dove la nonna non ci arrivava. Era veleno giovane fatto di piccole cattiverie -piccole vendette disegnate sotto le coperterabbia inespressa aspra di fragole immature puerilmente celata nel cantuccio dei ricordi. ***** Troverò quel vetro, ho preparato il bicchiere affogherà in me quell’angolo della memoria. Quando la riva sarà uno sgorbio nero sul blu il rosso della pira emozionerà il sole calante. Non temere, quel veleno è ancora giovane…

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Selfie? Mah… Si può catturare un sospiro o un’istantanea dell’anima dal riflesso di un finestrino? Ho poca dimestichezza con i neologismi, ma non credo. Sul proscenio acquamarina danza la garzetta, si esibisce in un romantic Ballet Blanc. Il cristallo riflette l’emozione del tuo sorriso alle mie spalle. “Selfie?” Mah… Io e te chioseremo il viaggio ma perderemo questa ribalta. (non ti dirò mai di neologismi tanto la laguna è uno tsunami) …mi arrendo.

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Sulla corriera, tra rap e aquiloni Corriera piena, non ci sono posti abbastanza per la giovane marea colorata che l’ha invasa. Il vociare cristallino irrompe nella cacofonia delle ruote che straziano il selciato. È un rap. Un racconto ritmato dai battiti dei loro cuori poesia velata tra realtà e fantasia, incatenata alla corriera, allo scorrere del tempo sui vetri. (sorrido ai sorrisi forzati di passeggeri canuti) Il futuro è un fotogramma rubato alla laguna le speranze sono aquiloni che anelano libertà, che tamburellano sui finestrini. È il ritornello. (la metrica è travolta dallo scalpitare ansioso)

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E oggi scrivo per me Per questi miei anni, settanta carte aggrinzite dozzinanti di un mazzo truccato che il tempo, attonito baro di professione, ha gettato all’aria. Il Jolly m’aveva sorriso per ben tre volte di fila. E questo non era ammissibile. Non per Crono. Raccolgo le carte sparse sul molo -sprezzanteNume spietato, carnefice dei tuoi stessi aborti oggi t’ho fregato, il meglio deve ancora venire. Sogghigno nuovamente, mentre l’ultimo jocker s’inabissa e il retrogusto è nodo alla gola, ansia. Non dirò mai che stavolta la mano era truccata questa è un’altra storia, non m’importa, sorridi! Ok, un’altra mano. Do io le carte?

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È per te, nonostante Babele Ha una livida luce sinistra questa falce di luna stanotte dà algidi riflessi negli occhi. (pensieri cavatappi vìolano lo strapuntino blu cobalto e i fori rimandano gemiti) Ho attraversato la laguna a volo d’angelo sorvolando le piccole onde corrucciate alla ricerca dello sberleffo di luna che ostenta l’abito lucente di piccoli asterischi. Gelidi aquiloni d’alluminio avvinti alle nuvole da catene -arazzi di lampi premonitori nel cielo pece di questa nottepoi fiori di calicanto in riga come beghine in processione. Ho perso traccia delle parole tra le rovine dei miei sussurri in questa folle Torre di Babele. (emozioni tradiscono il respiro -ma il cuore ha ancora vocee gli occhi mentiranno i lustri) Nonostante Babele, auguri.

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Gibigianna crepuscolare Ora la laguna all’imbrunire sembra carta d’argento ciancicata, sgualcita. Lo sguardo spazia oltre i panni stesi, incontra gli umori, i colori della calle. Coriandoli di vita di un’Italia ancorata alla mammella di una terra matrigna. Il poggiolo è un satellite sospeso lassù e lo stivale è di pan di spagna fradicio che sbriciola pian piano nel sale amaro. -colma d’ignavia la zuppa mediterraneaL’uggia che m’assale è figlia del vento refoli che sfibrano l’anima, che potano senza pudore le fronde del mio cuore. Ora le voci che salgono, che rimbalzano sono brusio indistinto di mille campanili e i piccoli egoismi crescono incontrollati, coprono con arroganza le grida di dolore che la risacca becchina vomita sulla rena. Coriandoli di voci di un’Italia sbriciolata.

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Precario graffito nel cielo di Gaza Ho messo all'incanto due occhi di brace un pugno di sabbia, una kefiah laureata una kippah corrosa da ancestrale simun due giochi incoscienti di lacrime attigue. (ha cassetti ricolmi dell’odio mistificato il canterano dell’antica ipocrisia europea) Ho cercato la madre di questa ira abietta barava per strada i suoi torti per ragioni. Sull’eterno sudario di questa povera terra sono impresse le tracce dell’indifferenza. (ha cassetti con alamari e tiretti di cedro l’omertoso custode dei silenzi prezzolati) Granelli di sabbia raggrumati negli occhi come acini di sangue di rosari analfabeti e mute preghiere a un Dio misconosciuto hanno bestemmiato l'orrore delle bombe. (ha cassetti di menzogne e Dei da citare per blasfeme discolpe di atroci vendette) Ho messo all'incanto anche la mia anima -ho occhi ormai stanchi tra ciglia di pietrase il mondo aprirà i cassetti alla speranza l’ipocrisia seppellirà tra macerie di parole. (l’odio alienato diverrà gessetto d’artista il graffito precario artiglierà le coscienze)

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Spritz, Pastis e assenzio pei ricordi… …Parigi, 1983… È pigro lo scorrere della Senna stasera e il suo riflesso nel Pastis è un ologramma. Sei bella come non mai nei pois del tuo cotone mentre sorseggi felice la tua Perrier e sorridi. L’aria tutta d’intorno alla brasserie ti abbraccia danza insieme a te sulle note dell’organetto e ti trasporta magicamente sul Bateau Mouche. E ora si va, sull’onda dei ricordi, scivolando dolcemente verso l’Ile de Saint Louis… …Chioggia, 2014… Il vociare del Corso ci richiama alla realtà, lo struscio serale ha aperto le danze e dalla laguna sale il lamento sgraziato di un gabbiano in amore. Guardo un po’ deluso i nostri ricordi sciogliersi come il rubino dei cubetti di ghiaccio nel bicchiere. …incrocio il tuo sorriso… Per te la vita è sempre un bicchiere mezzo pieno, forse sarà per questo che è così difficile disunirci, ci completiamo perché lo vedo sempre mezzo vuoto. Sorrido, chiudo gli occhi, e mentre il brusio sale dalle calli il Bateau Mouche passa sotto Pont Saint-Michel. …alzo il calice e mi affido all’assenzio.

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Sveva e la sua metà di cielo* Piccola Sveva ti voglio raccontare la metà del cielo che t’appartiene. Pretendila, è tua. Avrai occhi taglienti di diamante parole aspre di fragole immature nei sorrisi candidi di perle infilate il fiero cipiglio vestito di dolcezza. Avrai il cielo azzurro degli aquiloni e il rosa dei tuoi sogni sulle loro ali voleranno liberi lassù senza recinti se saprai guidarli con mano sicura. Difendila, è tua. Della metà avversa ne farò una fola orchi e uomini neri moriranno tutti col tempo come ricordi di bambina al mattino del tuo diventare donna. Piccola Sveva nel tuo nome è la luce della metà del cielo che t’appartiene. *dedicata a Sveva la mia nipotina

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Vivere è una metafora Oggi vorrei fosse già domani quel giorno, quel tuo sorriso. Oggi vorrei fosse già l’attimo quel mio averti qui d’accanto. Esercizio vano quell’anelare ardente ho visto scorrere stagioni come cirri compressi tra due tavole blu cobalto e poi sfuggire al limite dei tuoi occhi. E il racconto del domani è già storia. Perché la vita è metafora del tempo è un attimo sospeso tra cielo e terra.

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La valigetta di latta stampata Gli spigoli color cuoio, stondati -rivetti come borchie prezioseLa maniglia di plastica amarena sopportava un diroccato skyline, una New York ridente cartolina appariva tra la ruggine del cielo. Il lucchetto pencolante, intristito pareva inutile orpello di metallo ché la piccola chiave sua amante s’era persa tra le rughe del tempo, ma la vecchia Pelikan in bachelite celava ancora il pennino adorato. [due fogli ingialliti di quaderno d’allora -piccoli quadretti da riempire di nuovoscacchiera crudele di un gioco negletto è quanto mi resta della noia degli anni] Cederò la valigetta al mercato dell’oblio in cambio una poesia di latta, stampata.

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Viene dal mare Viene dal mare. Il vento. [questa voglia nomade questa ansia d’andare che ammalia le gambe che imbriglia l’anima e che irretisce il cuore] Venne dal mare. Il legno. Il piccolo naviglio naufragò -gabbiano senza timonieraspiaggiò senza patemi d’ala noi mistificatori del tempo dal mazzo di carte truccato. Viene dal mare. Il canto. Il richiamo è una nenia fatata -Circe bara, spariglia le carteho remi acconci per navigare colori stinti e poche ragnatele non ci fermeranno comunque. Viene dal mare. Andiamo.

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Impietosa, surreale nottata La luna taglia a fettine la scrivania come un pane casereccio filtrando dalla veneziana e il riflesso sui tasti è alibi per la mia imperizia crescente. Un macaone color oro rulla i motori sul bordo del bicchiere porta-matite orrida ceramica cinese di mercatino. Come accidenti sarà finito lì? Luna? -tutto stasera recita il mio disagio non scrivo righe decenti da tempoLe mani sono passate dallo sciopero anarchico alla più completa dislessia così smoccolo il poco tempo tiranno che irride alle mie difficoltà presenti. La risma di fogli Fabriano lì accanto ha smesso di sperare in un amplesso i colori sono spirati uno dopo l’altro come i led di un computer asmatico. Ora la falena dorata misura le pareti apro le imposte al suo assolo regale. Mentre litigo i tasti sogno acquerelli per le lettere -neri insetti dispettosi-tutto stasera recita il mio disagio non coloro versi, stingono nel cuoreImpietosa, surreale nottata. Scrivo.

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Venti di guerra e pruriti indecenti Ho ancora qualche sogno da spendere tenterò nel suk delle illusioni sotto casa poi la torta nera di mirtilli al cherosene brucerà avanzi e scorie dell’ultima cena. Non ho seguaci che alzino i calici per me, eppure ho portato il mio legno sulle spalle. L’erta era coperta di felci odorose e falene libravano, delicate étoile, sull’assito antico. Anche stanotte l’angoscia morde, lacerata sui rovi la pelle del poeta sibilo odio e maledizioni al vento, affilo vanamente pensieri venefici. Annuso venti procellosi di guerra -pruriti indecenti che ciclicamente fanno la storia dell’idiozia umanaRullo di tamburi e pifferai magici. Non ho seguaci che alzino i calici per me, giovani semi ancora appesi all’ombelico. M’è rimasto qualche sogno da spendere, ma il suk sotto casa ha chiuso i battenti. Notte di luna piena, stellata. Senza sogni.

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Aita! Aita! Paese mio piccolo capolavoro della natura -pasticciera innamorata del pan di spagnaadagiato su un letto blu mare dolce/salato zuppo sino al midollo di rivoli d’anarchia. Spolverato con maestria di torri e campanili -mille e più artefatti di malleabile cioccolatairosi o sorridenti nella loro fragile pastafrolla vivi nell’eterna compiacenza degli smemorati. Aita! Aita! Stupisci ciclicamente della tua innata ignavia e stupri con famelici bocconi il dolce indebito -maledici Giove Pluvio dimentico del rossoreche continuamente ammanta la tua ingordigia. Aita! Aita! S’alzano grida, ipocrite simulacri dello scempio insultano la mia angoscia lo sconcerto m’assale -è un déjà-vu doloroso che fatico ad assimilarené mi sono di conforto le rughe di anni innevati. Povero Paese mio, divorato da omuncoli obesi pasticcieri ingrassati dall’oblio e acquiescenza. Aita! Aita! Ma ormai è tardi…?

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Pelle di coccodrillo Avevo ali ai piedi quando il verde colorava gli anni cuoio e legno lasciavano orme lievi di passi ansiosi. Avevo ali ai piedi quando il cuore sorrideva al cielo tela e gomma sostenevano complici balzi dissennati. Avevo ali di cemento quando l’approdo s’avvicinava lacci e pelle misconosciuta di scarpe logore d’asfalto. Il sole della maturità ha liquefatto l’illusione delle ali carta velina e fantasia sono ammuffite nel canterano. Scrivo per volare ma ai piedi ho parole immalinconite e rido fino alle lacrime se guardo le nuove ali di pelle. Di coccodrillo.

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Saltando il fosso a piè pari La mia storia è scritta sugli argini di un fosso che scorre placido -ormai la furia è scivolataora incerta su massi infidi a volte è straripata inondando i sogni inceneriti da lunghe attese. Vedi cara non ho mai scritto pagine di un diario ho masticato parole come aquiloni imprendibili affascinanti come pifferaie di leggiadre illusioni perse tra le nuvole senza guida all’approdo certo. Le canne ora celano le rive e i tritoni sono spariti mille piogge hanno lavato gli argini, affogato anni -le trappole dorate delle mie parole t’han irretitoadesso volo appeso alla coda dell’ultimo aquilone.

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Di questo tempo acefalo [liberati i versi senza punti e interiezioni le dita incastrate in piccole trappole nere inseguo formiche alate che si rincorrono in allegra anarchia sul bianco elettronico] Siccome non ho niente da dire allora scrivo c’è troppo cielo attorno per serrarlo in pugno c’è troppo mare nei miei occhi -alghe di cigliac’è troppo vento per sguinzagliare la nuvola. Con un lapis dalla punta ballerina come étoile un block-notes dai quadretti d’azzurro sbiaditi una gomma masticata da un tempo ignorante un banco di marmo avvinghiato alla darsena. Così ti dedico questi versi sghembi e scatenati le parole in punta di labbra s’affacciano restie ma tacciono -meretrici al soldo della fantasialibero il fiato gioca a nascondino tra i polmoni. È una serenata senza capo né coda anima mia. Figlia di un tempo acefalo.

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Non voltarti per far di conto [ha il colore ovattato dell’Ottobre -il ricordo è la pallina di un abaconon contare, l’emozione inganna puoi sbagliare, confondere i passi] i nostri passi hanno lasciato tracce diseguali nel respiro, ma gemelle. Dondolando sincroni sulle cicatrici sorridiamo degli affanni percorsi e perfetti complici celiamo l’abaco. [ha sapor di confetto quell’Ottobre -il ricordo crocchia dolce tra i dentinel contare l’emozione m’abbraccia non erro, i passi sono inconfondibili] Non voltarti, ho ritrovato l’abaco.

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Piombo e cristallo (senza rete) [vivo un equilibrio chimico su di una fune di cristallo saltimbanco involontario implume, i piedi di piombo la vita appesa -senza rete- a una nuvola compiacente protagonista e figurante in un circo immaginario] Notte di cartone. Blu. Inattesa. Un lampione rosso plagia la luna mille lampadine di luce diseguale avvitate alla notte deflorano il blu. Quale miscredente mano d’artista avrà compiuto siffatto scempio? Notte senza equilibrio. Blu. Surreale. Cavalco pensieri -puledri neonatipiccole e malferme ipotesi di poesia audaci follie di versi senza briglie. Quale mirabile rimario avrò in dote alla fine dell’illusoria scorreria? Notte senza rete. Blu. Amara. Frantumo la fune -automa di piomboil blu del cartone stinge il cristallo frammenti di versi feriscono la notte. Quale provetto artigiano fonderà queste schegge per farne poesia? Notte di piombo e cristallo. A pezzi.

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Senza pudore (canzone svergognata) stanotte vorrei rubare la poesia nei versi che leggo sul tuo sorriso -affiora l’incipit tra le tue labbrama il refrain è scritto sul cuscino E ora vorrei riprendere la rima dei versi ancora sospesi tra il cuore e l’indecenza versi svergognati -ignudi, messi al muroche cantano la gioia dell’ingoiare aurore. (la vita è una canzone svergognata senza pudore l’abbiamo cantata…) Al ritmo del metronomo che ha corrotto lo specchio incipriando il nostro rossore versi svergognati -ignudi, messi al murohanno plagiato anni falsando lo spartito. (la vita è una canzone svergognata senza spartito l’abbiamo cantata…)

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Stringimi (il ragno ha arruffato la tela l’impiccato rampogna le zampe) Stringimi quando mi vedi -smarrito nell’inutile giocoimmaginando il futuro di un tempo orfano di noi. (la luna è un taccuino di pelle cucito con il refe dei ricordi) Stringimi quando mi vedi -rovistare nel tascapanecroste del nostro passato per i passeri della nostalgia. (la luna è un taccuino di pelle zeppo di cicatrici anemiche) Stringimi quando mi vedi -appeso a un aquilonecelare le orme nella rena e irridere la spuma del mare. (il ragno ha districato la tela l’impiccato blandisce le zampe) Stringimi forte.

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Nudi Svèstiti d’autunno -anima stranital’ultima ruggine crocchierà poco sotto i nostri passi. Svèstiti d’inverno -imbolsito cuorela prima neve sarà mielato oblio degli anni andati. Svèstiti di pazienza -ansioso amoresedurremo stagioni da deflorare così, senza pudore. Nudi. Alla meta.

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Poesia nascosta tra sabbia e sampietrini Hanno riparato la riva. La sabbia che medica le ferite spicca come pangrattato sulla teglia, ma il caffè è spirato gelido nella tazzina. Hanno rubato il silenzio. Il crocchiare delle molliche rivela l’incedere circospetto delle macchine. Il clacson petulante dell’allarme ottunde. Hanno rubato metà della luna. La gatta non strazia più il suo desiderio il gabbiano ha trovato pace d’amore sul cassero il tordo ha scordato la chioma d’edera del poggiolo. Hanno deflorato il sogno. Da tempo inseguo versi -appigli su rami di cipressi insonnimessaggi in bottiglia sopravvissuti alle gore della pigrizia, quartine d’amore/dolore arrossate sullo specchio al mattino appunti stropicciati di calligrafia invecchiata dal disamore. ….

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(era nascosta poesia) È tempo che io plachi la mia irrequietezza slegando le parole che premono sul cuore per descrivere la paura del disincanto, la sabbia che bruciava nell’emozione degli occhi s’è abbrumata la mano ora accarezza i tasti riscoprendo percorsi dimenticati. (ho divelto i sampietrini)

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Punto e a capo Era tempo che io e te -mio immaginario seppur reale e straziante interlocutoreci incontrassimo di nuovo su questa panchina usurata mentre la darsena chiude gli occhi al riflesso del tramonto. Il marmo è gelido, è vero e mentre io mi acconcio rabbrividendo i pensieri rattrappiti tu preferisci volteggiare lassù -parentesi interrogatorianell’azzurro ingrigito di questo autunno, e ascolti partecipe. È venuto il tempo che -dismessi abiti di nomade inadeguato di versi e quartinemetta un punto su questa pagina sfuggita al carcere elettronico e che definisca quel che mi attende al prossimo angolo della vita. [Ho bruciato teorie di topi impestati tra le pagine di Camus, ho stipato sul ballatoio monatti evasi dalla prosa manzoniana Prevert ora ha una cartolina di Chioggia attaccata alle costole e ho un armadio di abiti da poeta fingitore come dice Pessoa.]

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Più non ti vedo, amico mio forse la parentesi lassù s’è aperta e la difficile equazione s’è sciolta. È stato un volo lungo un lustro e all’approdo ho sognato quando, smesse le ali sul marmo, con la paura della solitudine t’ho inventato. Era tempo che tu sapessi su questa panchina nel tempo è cresciuto un gabbiano di cartapesta dal becco fragile, sporco di parole appiccicate alle ali maldestre implume, ironico cria di un’italica nidiata di santi, poeti e navigatori. Punto. A capo.

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Ultimi fuochi fatui Questa uggia che si appiccica addosso che sopisce le voglie e sfibra i pensieri mi sorprende immaginario viandante tra filari di cipressi scuri e imbronciati. Le parole sono foglie d’autunno ribelli -pencolano appese a svernare sui ramie la fatica dello scrivere m’è compagna come rintocco di campana nottambula. Il marmo nei cimiteri avvampa qua e là del rosso vivo di qualche impudica rosa -sconcertato il consesso dei crisantemiaudace mise en scene dell’ultimo verso. Novembre. Ultimi fuochi fatui.

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Una manciata di stelle tra le dita Hai borseggiato la coperta stanotte! (così sorridi quando rubo il tepore) Sai, ho cercato arrancando nel sogno il conforto che m’attendeva affianco poi la paura ha spalancato gli occhi e senza ali il vuoto m’ha risucchiato. Sai, m’ero abituato a quel volo cieco orbo di stelle e la mano ch’era persa -innamorando il tepore stralunatoha sorvolato maliziosa sul tuo seno. Non temere, nulla spera oltre il buio! (così conforti regalandomi le tue ali) Ho una manciata di stelle tra le dita.

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Odio e amianto -statuine di fango- il presepe affonda È l’ultima pagina di un volo parolaio durato un lustro. Ho comprato cinque candeline bianche a strisce rosse che paiono insegne dei barbieri newyorchesi anni ’30. Muore il sorriso, quasi zucchero a velo sul cioccolato, nell’incontrar gli occhi di chi in questo lustro ha riarso la pelle piagandola al sole e al sale marino sui barconi. Mentre insegui il lampo di una umana comprensione, le schegge di una paura atavica che straziano le ciglia ricamano di sangue il bianco porcellana dello sguardo. Dai il posto alla giovane di colore col piccolo nel fagotto è un sussurro tra le perle quel “grazie” mal pronunciato tra lo sguardo diffidente di chi strige a sé il seno rifatto. “Buonista di merda” è il sibilo eufemismo che rimbalza rigando di venefico colore i finestrini di questa tradotta, affogando lo sconforto di chi coglie il ciglio del burrone. È l’ultimo strato di un paese “tiramisu” zuppo di livore.

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Se chiudo gli occhi la giostra riparte [ho sputato anni e anni in otri di versi risuolato l’anima estenuata da incipit indossato quartine mille volte rigirate rattoppato poesie senza pezze nĂŠ refe] Nascosto tra le righe, rovistando. L’illusione aveva la misura di un sogno -pareti sfuggenti su un piano inclinatole mani afferravano nuvole passeggere e cavalcavo la giostra del tempo rapito. Il fascinoso tornare ad inseguire Crono -vorrei morderti la coda, lepre fasullaè irresistibile esca per me bolso levriere che apre gli occhi ancora fermo al palo. Chiudo gli occhi, si riparte.

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A pochi versi dalla meta Ho provato sai -te l’avevo promessoma il buio che sopraggiunse inatteso rese orba l’anima, ghiacciato il cuore svuotò la mente di lune, albe e stelle. Finisce qui questo libro di pochi versi sofferti e poche rime, spesso lacerate. [Ora che nocche illividite son serrate celando l’incipit della storia che sarà saprò scordare i versi immalinconiti quando scriverò col sorriso dell’età?] Mille non più mille note d’uno spartito -era un refrain tra noi una scommessamille poesie per chiudere un lustro poi millanta parole per scrivere una storia. Come un maratoneta bolso, senza fiato a pochi versi dalla meta mi son fermato. In attesa che le nocche liberino l’incipit.

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1965-2015 Rame, efelidi, pelle di luna e cinabro 1965- li conoscevo beneRame, timide efelidi, pelle di luna e cinabro mille e più sfumature soffocavano il grigio. Riflesse in quei vetri di liquido ambrato -ciglia ammiccantimaliziose banconiere. Della latteria ansante in quel Luglio torrido erano cornice esplosiva di colori alla Van Gogh. -sì li conoscevo beneUn brindisi provocatorio lui sparì, poi riapparve. Un mese lacerò il grigio coi colori di nuova vita. Lei inchiodò nelle pupille per lui i colori dell’amore e i riflessi arsero i timori -fuochi di luce d’Agosto2015- li conosco beneE ancora sono qui, appesi al rimmel che sfuma lento

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alle labbra che raccontano stupite dei colori d’allora. Gli occhi rivolti al mare, sÏ! Nella laguna riflessi rame e pelle di luna e cinabro mentre le efelidi scolorano. Timido intercalare del tempo declinare dieci lustri d’amore.

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Ho immaginato (fantasie leviatane) Noi, passeggeri delle terre di mezzo poeti chimerici dalle rime stralunate architetti senza riga e filo di piombo viviamo schiacciati tra cielo e terra. Ho questi versi inchiodati nella mente -mentre apro le imposte svelo l’arcano di questa notte passata senza ricordoannullata dal buio di un sonno coatto. Notte impiombata, senza alcun sogno eppure viva, palpitante m’ha respirato. Ho partorito un mattino senza sangue melanconica copia d’una tela di Durer. Noi, viaggiatori precari senza licenza grassatori a mano armata della vita scalpellini consumati di lapidi ignote saremo divorati dalla nostra ignavia. Ho spuntato la matita battendo i tasti -quanti scarabocchi incisi nella menteFantasie ricorrenti dell’anima inquieta che cerca rifugio dai mostri leviatani. Ho immaginato.

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Agonia di Gennaio È un Gennaio che fatica a morire -abbarbicato a baffi di cielo pesto camuffato da lampi di livido solelacera di brividi la voglia di vivere. [è un Gennaio che fatica a morire sotto le coltri non trovo conforto] Fatico a scrivere un verso sereno l’anima ghiaccia al fiatar dell’odio e non v’è traccia di fiori di campo sul seno inaridito della tolleranza. [è un Gennaio che fatica a morire e sogno terre promesse e palmizi] Che senso avrebbe cercare tepore là dove la terra è brulicar di croci? Gli aedi hanno cantato vanamente storie d’uomini ciechi e arroganti. [forse due passi con te sulla luna mano nella mano sarebbero cura]

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Ho fatto pace con Dio [oh no, non è un armistizio, sai non v’è stata mai guerra -sì avevo ipotecato il cuoree celavo l’anima agli occhi] Dicono che i vecchi sognino riparo tra marmi, santini e moccoli accesi. Sarà certezza senile o fede redenta quel gesto d’acqua sparso sulle dita? Pagata l’ipoteca, ho intascato la vita e ora ogni alba è laica lode alla sorte -forse lo scaccino non m’incontreràse al crepuscolo cerco Dio nella calle. [ancora ho nel cuore il passo -della paura, dell’ignoto cieloè bastato l’attimo oltre la vita e gli occhi hanno visto il vero] Ho fatto pace con Dio.

90


Adagio adagio (che non si svegli il silenzio) Adagio. A passi felpati. [sono entrato senza bussare nel tuo cuore le spine di antichi amori con passo felpato -ho costretto celando il ricordo del dolorenel pugno che stringeva rose rosse di rovo] Forte. A lingua sciolta. Forse fu un azzardo quella mia spregiudicatezza ma il cuore batteva un ritmo ancora sconosciuto sicuro, il tuo sorriso celava un sì di timide ciglia e il racconto ebbe un prologo di promessa poesia. Sì, cinquanta anni fa ho inciso l’incipit nell’anima di questa lirica ho conservato omissis e correzioni e la chiusa -ancora tutta da scrivere- è nel silenzio che coccola mille parole appese alle nostre labbra. Adagio. Ho intinto la penna. [e ora sono qui, rannicchiato tra le tue ciglia -rapì la mia blusa da marinaio il tuo cuoreerano anni spudorati quelli, di roseo futuro ancora stringo in mano le rose del domani] Forte. Accarezzo il silenzio.

91


No, non mi arrendo Erano piombo colato le parole di questo sapeva la carta del giornale. Erano panini figli del dopoguerra di questo sapeva l’impronta del salame. Erano scarpe di gomma bastarda di questo sapevano i salti sul linoleum. Erano mattoni e gessetto sul muro di questo sapeva il campetto di calcio. Ed erano frutti di bosco d’acerbo sole il gusto dei baci rubati a gote porporine. Sì, ricordi. Ancora e ancora ne parlerei -a te che il forno d’acciaio del progresso ha tolto il gusto mortificandoti le sceltecon una password il desco del fast-food ha incartato di vento il sapore della vita. No, non mi arrendo all’afasia del palato.

92


Sono solo attimi Ci sono momenti in cui la chiarezza di pensiero è tale nel petto da far male. L’alternare ambio dei passi sulla riva frantuma in mille coriandoli di luce la luna svogliata che si burla del canale. Non ho voglia di caffè. Non stasera. Respingo le lusinghe ruffiane del bar il cenno del capo sorride al pescatore. L’ultimo peschereccio rientra, accosta e la piccola frotta di gabbiani disillusi si accomiata straziando il palco lunare. Il motore affaticato ansimerà per ore. È un attimo. Il tempo si è fermato sullo spigolo del cuore è in bilico lo so e il pensiero non lo soccorre e le tessere del puzzle sparigliate dai riflessi perderanno il mio profilo danzando la luna. È in quest’attimo di malinconica atarassia che misuro il vuoto che avrei al mio fianco. La notte così spietata nella sua trasparenza mi racconta di un domani senza te accanto. Ma è solo un attimo.

93


Ascolta, brucia Ascolta, brucia. È un crepitare assordante d’anime -fascine stagionate di odio anticoe l’acre fumigare soffoca il cuore. A est il sole nasce e non vede luce -la bussola della ragione è sbadatal’oriente è sepolto senza una croce. Ascolta, canta. Improvvisa resipiscenza dei cantori -la pièce dell’ipocrisia è alla ribaltaa ponente la speranza è senza voce. Stona oramai questo canto asfittico -la coscienza come ascia riesumatasenza fiato il sibilare non ha ascolto. Acro di fiele il fumo, angustia la gola -i falò hanno camini di orrida storiapiaga il sapore di metallo che uccide. Ascolta, sanguina.

94


Indice

95


1965-2015 Rame, efelidi, pelle di luna e cinabro

86

A due marinai di terra

40

A pochi versi dalla meta

85

Adagio adagio (che non si svegli il silenzio)

91

Agonia di Gennaio

89

Aita! Aita!

68

Al mercatino (tra la menta e il coriandolo)

41

Alcool di ginepro e cannella

17

Ascolta, brucia

94

Barene, pane e zucchero

23

Bucaniere per amore

31

Canto Proserpina nella notte

24

Caramelle da una sconosciuta

42

Cinque sassolini

12

Clic

25

96


Come in un quadro di Botero

32

Di questo tempo acefalo

71

E oggi scrivo per me

57

È per te, nonostante Babele

58

È qui

26

È un cielo di garza

49

Estemporanea

43

Gibigianna crepuscolare

59

Gli avrei detto…

27

Ho fatto pace con Dio

90

Ho immaginato (fantasie leviatane)

88

Il guardiano dell’ottovolante

18

Il pescatore di lune

13

Impietosa, surreale nottata

66

L’altana sulla nuvola

44

97


La solitudine dell’attesa

14

La valigetta di latta stampata

64

Lo stupore di una preghiera inusitata

50

Nei miei e nei tuoi occhi

51

No, non mi arrendo

92

Non c’è memoria senza memoria

34

Non voltarti per far di conto

72

Nudi

76

Odio e amianto -statuine di fango- il presepe affonda

83

Oggi se non sei “post” non sei up-to-date

52

Oltre la vita, per la vita

46

Pacchi di pasta e sacchi di sabbia

15

Pelle di coccodrillo

69

Pensieri a soqquadro tra aquiloni e gabbiani

19

Piombo e cristallo (senza rete)

73

98


Poesia d’anima passeggera

28

Poesia nascosta tra sabbia e sampietrini

77

Precario graffito nel cielo di Gaza

60

Prefazione

9

Prologo

3

Punto e a capo

79

Quel veleno nell’angolo della memoria

53

Quelli come me

16

Rovello: lucciole o lanterne?

20

Saltando il fosso a piè pari

70

Schegge di cristallo e graffi nel blu

36

Se chiudo gli occhi la giostra riparte

84

Se la risposta è una storia, è la nostra

37

Selfie? Mah…

54

Senza pudore (canzone svergognata)

74

99


Sono solo attimi

93

Spritz, Pastis e assenzio pei ricordi‌

61

Stringimi

75

Sulla corriera, tra rap e aquiloni

55

Surreale danza di grida e ombre

29

Sveva e la sua metĂ di cielo*

62

Ti parlerò di noi, quasi fosse fiaba

38

Tu non saprai mai

47

Tuttavia sorride

30

Ultimi fuochi fatui

81

Un aquilone di garza e cerotti

39

Una manciata di stelle tra le dita

82

Unbelievable melancholia

48

Venti di guerra e pruriti indecenti

67

Viene dal mare

65

100


Vita (un incontro casuale)

21

Vivere è una metafora

63

101


ho sbagliato nel cercare l’azzurro altrove era dentro di me ora lo so

102


103



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