Conservazione e conservatori della Pala di Este dall'Ottocento ai giorni nostri, 2012

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“Anoi tutti sarebbe obbligo sacrosanto di tramandare quest’opera che tanto ci onora intatta ai più tardi nepoti”1. Conservazione e conservatori della Pala di Este dall’Ottocento ai giorni nostri

Conservazione e conservatori

La vicenda conservativa dell’opera che Giambattista Tiepolo dipinse nel 1759 per il Duomo di Este ha ufficialmente inizio il primo luglio 1892, quando Alessandro Prosdocimi, allora assessore alla pubblica istruzione del Comune atestino, illustra con accorate parole al Consiglio comunale la storia del prezioso dipinto, “solennemente interprete di quel sentimento religioso, veramente profondo, che allora affratellava gli estensi nelle opere di decoro del Tempio e della Patria”2 Come costata con una precisa descrizione il pubblico amministratore, “la grandiosa tela pende floscia dalla sua vecchia e tarlata armatura; gli smaglianti colori […] si veggono quasi offuscati per l’opera edace e continua del fumo degli incensieri e delle candele, per modo che sono quasi interamente velati non pochi di quei minuti pregi che fanno lodatissimo l’insuperabile sfondo del quadro e per i quali acquistano pregi maggiori le bellissime figure che in esso vi campeggiano”3; è quindi più che mai necessario un restauro, con operazioni sia di tipo meccanico sia di tipo artistico secondo le procedure del tempo, che Prosdocimi chiede al Consiglio comunale di approvare e sostenere4

I numerosi documenti inediti sulla pala, recentemente ritrovati, permettono di ricostruire, grazie alla varietà e ricchezza d’informazioni che contengono, una storia affascinante e sfaccettata, che riguarda non solo le tecniche di restauro e i restauratori, ma, anche le competenze e l’avvicendamento delle istituzioni statali preposte alla tutela, i rapporti tra i diversi organismi che operavano a livello locale, le vicissitudini delle persone a vario titolo coinvolte nella salvaguardia del patrimonio storico-artistico. In questo breve contributo, che anticipa un più articolato studio monografico, si darà conto dei tre più importanti restauri a cui è stato sottoposto nei secoli il dipinto di Este, per concludere con un l’accurato studio condotto sulle sue attuali condizioni conservative e la descrizione dell’intervento che si è reso necessario al fine esporre l’opera nella attuale mostra.

La “riparazione” del 1893 è la prima importante operazione conservativa documentata della pala di Santa Tecla, quella che segue “vecchi e grossolani restauri”5, verosimilmente eseguiti con intento manutentivo dopo la messa in opera del qua-

dro oltre un secolo prima. Promotore dell’iniziativa, come già evidenziato, è l’instancabile Alessandro Prosdocimi, personalità di spicco della vita civile atestina, nominato proprio in quell’anno ispettore onorario ai monumenti e agli scavi. La tela, in origine priva di telaio e inchiodata con borchie al tavolato di larice curvo, che Tiepolo volle fosse addossato alla muratura di fondo dell’abside6, presenta dei difetti di tensionamento nella parte bassa, ossidazioni della vernice e cadute di colore. Municipio e Fabbriceria del duomo condividono il comune desiderio di restituire decoro all’opera per mezzo di un intervento che ripari i danni subiti e assicuri la sua futura conservazione. Il primo pittore invitato dall’abate Antonio Pertile a valutare le condizioni del dipinto è il veneziano Francesco Vason, da cui Giacomo Favretto era stato a bottega. Agli inizi del 1892 l’artista redige un progetto d’intervento che prevede le seguenti fasi: foderatura della pala, costruzione di un telaio per sostenere l’opera senza inchiodarla al primitivo tavolato pensato da Tiepolo, garantendo così la circolazione dell’aria anche sul retro, consolidamento dei sollevamenti di colore, leggera pulitura. Il compenso previsto per le operazioni è di lire 1.150, necessarie per il pagamento sia di Vason sia del signor Riccoboni, forse un falegname, che si sarebbe occupato della parte meccanica del restauro. La scelta dell’operatore e l’entità della spesa, come risulta dalle delibere comunali, sono pienamente condivise dalla municipalità di Este, che scrive al Prefetto di Padova Saladino Saladini affinché assuma informazioni presso l’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Veneto sulla capacità di Francesco Vason a eseguire il lavoro. Federico Berchet, direttore di quest’ultimo ufficio, si rivolge al presidente dell’Accademia di belle arti di Venezia Nicolò Barozzi affinché convochi la Commissione permanente di pittura ed esprima il giudizio di competenza. Dopo varie sedute e un sopralluogo a Este, il 18 novembre 1892 la Commissione si pronuncia unanimemente in senso negativo, poiché Vason non ha sufficiente esperienza per compiere l’intervento necessario. Non senza imbarazzo da parte degli interlocutori atestini, il pittore riparatore viene congedato e il Comune sceglie al suo posto il veneziano Giovanni Zennaro autore, assieme a Giovanni Spoldi, di molti restauri a Palazzo Ducale.

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Figura 1. Este, Duomo di Santa Tecla, Santa Tecla libera Este dalla pestilenza, eliotipia Jacobi, inizi del XX secolo.

Anche questa volta si interpella, per mezzo degli organi preposti, la Commissione permanente di pittura che, con deliberazione 24 febbraio 1893, approva le operazioni conservative e ritiene l’operatore prescelto “pienamente capace” di eseguirle, avendo già avuto prova “della sua idoneità e diligenza” in precedenti lavori.

Il sospirato restauro della pala di Tiepolo per opera di Zennaro, coadiuvato dall’atestino Ausonio Raimondi, inizia soltanto il 12 agosto, dopo la felice soluzione di un vero e proprio incidente diplomatico generatosi tra il Comune e il Ministero della Pubblica Istruzione che, su proposta unanime della Commissione conservatrice dei monumenti di Padova, aveva contestualmente assegnato il medesimo incarico al restauratore padovano Antonio Bertolli.

La successione delle operazioni, concluse il 14 settembre, è puntualmente riportata nel «Giornale dei lavori di riordino del dipinto di Giambattista Tiepolo “Este liberata dalla pestilenza del 1630 per intercessione di S. Tecla” conservato nel Duomo di Este»7, custodito nell’archivio storico comunale, un documento molto prezioso per la conoscenza dei materiali usati e delle scelte di fondo operate, controllate e condivise da una commissione di sorveglianza, appositamente creata, costituita da Alessandro Prosdocimi, Federico Tietze e Giuseppe Riccoboni. La pala, staccata dal tavolato, viene arrotolata da Zennaro su un cilindro di legno, trasportata nel Castello di Este e distesa con il verso appoggiato al pavimento. Qui l’artista protegge la pellicola pittorica con veli fatti aderire per mezzo di colletta animale (“colla di carnicci”); poi costruisce un telaio interinale per tendere la tela di rifodero e prepara una colla di pasta (“colla di fior di farina”) per le operazioni di foderatura. Asciugata la velinatura gira il dipinto con l’ausilio del cilindro, e con la pietra pomice spiana “l’orlo prominente della cucitura che univa i due teli” e ogni altra asperità per ottenere un piano perfettamente dritto. Servendosi di paranchi (“taglie”), il pittore fa aderire al retro del quadro cosparso di colla il telaio interinale con la tela di rifodero ben tesa e verosimilmente lo stira (“si eseguì la foderatura”); quindi postolo in verticale, assicurato con funi e legacci, lo lascia asciugare. Ultimata l’asciugatura, toglie le veline sul fronte con acqua tiepida, che rimuove la colla ma anche la polvere e lo sporco grasso; in seguito ravviva la superficie pittorica “con alcool ed essenza di trementina in dosi più o meno forti a seconda del bisogno”. Le stuccature sono realizzate da Zennaro con gesso di Bologna e colla animale, levigate e integrate con colori a tempera, previa stesura di un leggerissimo film di vernice di mastice. Ultimato l’intervento, il restauratore arrotola su di un cilindro di 70 cm di diametro la tela tolta dal telaio interinale, la riporta in chiesa e, tesa su un telaio diritto di abete a cunei realizzato dal falegname Valentin Barbato8, la ricolloca al suo posto, sulla parete di fondo dell’abside (Figura 1).

L’intervento, svolto da Zennaro con diligenza e meticolosità e con materiali potenzialmente reversibili, costituisce il punto di partenza dei problemi che ancora oggi affliggono la tela, a causa delle tensioni non controllabili determinate dalla foderatura e dalla messa in opera su un telaio piano. La decisione di non utilizzare più il tavolato curvo come supporto, pensato da Tiepolo stesso e necessario all’equilibrio dell’opera, era destinata infatti a condizionare i restauri futuri e la salute della preziosa opera. La scelta, tuttavia, rispondeva all’epoca all’esigenza conservativa, ritenuta fondamentale, di consentire la circolazione dell’aria dietro alla pala ma anche, forse soprattutto, al desiderio di parte della comunità di valorizzare il dipinto che “non debba servire come fino ad oggi solo a scopo di decorazione, ma debba essere messo in condizioni tali […] da poter essere ammirato in migliori condizioni di luce, come richiede il suo pregio”9. Dopo soli dieci anni, la riconoscenza e le lodi nei confronti di Zennaro, dei suoi committenti e della Commissione di vigilanza si trasformano in critiche sempre più frequenti e puntuali, diffuse anche per mezzo della stampa locale. Secondo molti e competenti interlocutori, l’improvvido restauro non solo aveva stravolto l’idea progettuale di Tiepolo, ma provocato nuovi danni alla pala, alterato le linee architettoniche dell’abside del duomo e deturpato i postergali del coro e la sedia abaziale “che trovasi così quasi sepolta sotto il vuoto lasciato per lo spostamento del quadro dalla parete”. Tra il 1903 e il 1904 è ancora Alessandro Prosdocimi, nella sua veste di regio ispettore, a informare il direttore dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Veneto dei malumori circolanti a Este e della volontà di alcuni consiglieri di rimettere il dipinto sul tavolato, come era originariamente. La questione sembra però esaurirsi dopo la relazione formulata dall’ingegner Riva al direttore dell’Ufficio regionale e da questi partecipata alla Fabbriceria del duomo di Este, nella quale si sostiene la bontà dell’intervento di Zennaro e la facilità di ovviare agli inconvenienti esistenti ritensionando meglio la tela tiepolesca sul telaio dritto10 Il primo maggio 1907, tuttavia, la vicenda sembra subire un’accelerazione: Gino Fogolari, direttore delle Regie Gallerie di Venezia, accompagna il direttore generale per le antichità e belle arti Corrado Ricci a fare un sopralluogo a Este e scrive al Ministro della pubblica istruzione che “la pala di Tiepolo nel Duomo, di rarissima bellezza, ha bisogno di essere meglio tesa e di essere rafforzata nella cornice”. Viene così di nuovo invitato Giovanni Zennaro a visionare l’opera e a presentare un preventivo, che prontamente il pittore restauratore redige il 24 maggio, proponendo le seguenti operazioni: “levare il dipinto dal posto, distaccare la tela dal telaio e chiudere le morse che sono molto aperte, mettere un’aggiunta al detto telaio per ridurlo nella misura giusta del dipinto e così aver modo di far agire i cunei e mettere la tela in perfetta e durevole tensione. Eseguente tali operazioni sarà

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necessario levare la polvere dal dipinto e ravvivare la vecchia vernice in parte ossidata e poscia collocare il quadro al suo posto” (Figura 2). Per tale lavoro preventiva la spesa di lire quattrocento, escluso il ponteggio; la somma salirebbe a lire cinquecento se si volesse “collocare il grandioso dipinto, come in origine, sull’assito del coro senza telaio […] essendo il lavoro più complicato e difficile”11

La volontà di trovare una soluzione adeguata spinge Fogolari a interpellare nel mese di settembre il falegname di Venezia Antonio Acerbi12 che, per la parte strutturale, così formula la sua proposta operativa: “costruzione impalco formato a bilancino pensile, levio delle cornici, smontatura del dipinto dalla parete e trasporto in Chiesa sopra tavolato di legname piallato/forellato costruito espressamente per levare la tela dal telaio attuale. Costruzione nuovo telaio in legname m 6.75 x 3.90 formato a curva di cm 40 nella sua larghezza con immorsature squadre di ferro stagnate, viti di collegamento, cunei per tensione della tela e montatura della

medesima nel telaio, con relativa cantinella all’ingiro. Montatura del dipinto nella parete assicurato con lame a viti e montata la cornice all’ingiro”13. Il compenso previsto è di lire 375, compreso il ponteggio e la mano d’opera. Informato della proposta, Zennaro dichiara che sollevato della spesa per il telaio, il suo corrispettivo, relativo al solo intervento sulla superfice pittorica, può essere ridotto a lire 300. I due preventivi vengono così inviati a Roma, dove ottengono l’approvazione ministeriale. Sembra oramai tutto pronto per l’intervento, ma le lungaggini determinate dal reperimento dei fondi si trascinano fino agli anni cruciali della Prima Guerra mondiale; dopo la disfatta di Caporetto l’opera, che Fogolari voleva rimuovere già nel 1915, viene smontata dal telaio dritto, rullata, imballata, caricata su un camion e ricoverata in un luogo sicuro a Roma14. Riportata in Veneto nel 1919, per volontà della Soprintendenza è depositata nel Museo Civico di Padova, dove Fogolari si accerta del “perfetto stato di conservazione”.

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Figura 2. Este, Duomo di Santa Tecla, Santa Tecla libera Este dalla pestilenza, particolare prima del restauro Acerbi, secondo decennio del XX secolo.

Sono tempi difficili e non è possibile realizzare il restauro programmato prima del conflitto. Al soprintendente non resta che comunicare in tono asciutto la sua decisione al sindaco: “credo […] più opportuno risollevare la tela come era precedentemente all’asporto, rimandando la foderatura a tempi più tranquilli per noi. Appena finiti alcuni lavori in corso sarà perciò mia cura di far trasportare dai miei e di rimetterla a posto”15. La pala giunge a Este nel mese di luglio del 1920, “in ottimo stato di conservazione” e viene riposizionata sul telaio piano nel coro del duomo. È Evaristo Sartori, abate mitrato del duomo di Este, che nel 1923 comunica a Fogolari l’intenzione di provvedere al restauro della tela di Tiepolo e alla sua ricollocazione in curva e chiede gli venga suggerito un artista capace. Il soprintendente consiglia Antonio Acerbi, che nel frattempo aveva provveduto al restauro del dipinto di Piazzetta conservato nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia con ottimi risultati. Quest’ultimo il 14 giugno 1923 scrive al direttore delle Regie Gallerie allegando il preventivo di restauro, la cui spesa ammonta a lire 4.800, destinate a salire se non si potrà trasportare la pala a Venezia. Due sono i problemi cui si deve far fronte per iniziare i lavori: decidere il luogo in cui saranno effettuati e reperire i fondi necessari. La mobilitazione è totale: Fabbriceria, Comune e Ministero contribuiranno in misure diverse alle spese, mentre l’abate, non senza manifestare il suo disappunto, concede che l’opera sia portata via da Este. Il 27 novembre la tela di Tiepolo, munita di sigilli16, parte alla volta di Venezia per ritornare a Este il 6 febbraio 1924, “regolarmente rifoderata e collocata su apposito telaio ricurvo”, da Acerbi17, che vi aveva provveduto in un locale di Palazzo Ducale. In tale occasione viene anche realizzata una nuova cornice modanata e dorata con oro zecchino “a lire 50 al metro” da Pietro Michieli18, doratore e decoratore di Venezia (Figura 3).

Ma il restauro e la sistemazione della pala nel sito originario sembrano non rispondere alle aspettative della cittadinanza. Il 7 maggio Fogolari comunica all’abate Sartori che: “già l’Ispettore on. Dr. Callegari mi ha scritto a proposito della S. Tecla del Tiepolo. La foderatura è stata eseguita regolarmente ponendo i vari teli della nuova tela per il lungo, come erano prima, e come prima qualche leggero rilievo per il lungo era inevitabile che si vedesse; ma doveva esser visibile, in tutto quel po’che le cuciture rendevano, appena messo in opera il dipinto. Non mancherò quindi di venire a vedere e a rendermi conto della cosa con Loro. Era prevedibile che la disposizione in curva, che toglie modo di tendere la tela trasversalmente, importasse qualche inconveniente, e credo che è stato per por rimedio ad esso che si era già deciso di metterlo in piano. I vantaggi del vedere il dipinto come era stato ideato dall’artista devono renderci tolleranti a sopportare qualche scherzo che la luce radente non può mancar di fare”19. La spiegazione del fitto carteggio dei mesi seguenti

tra l’abate e il soprintendente non è, tuttavia, da ricercare nell’imperizia di Antonio Acerbi, quanto piuttosto nel compenso per il restauro richiesto dal medesimo a Evaristo Sartori, ammontante a lire 9.445 al posto delle lire 4.800 preventivate. In realtà, come risulta dalla minuziosa “Specifica del lavoro eseguito” inviata all’abate nel maggio 1924, il costo dell’intervento corrisponde al preventivo (ammonta infatti a lire 4.795); sono le spese di trasporto (lire 1.450) e il compenso per la cornice (lire 3.200) le voci che fanno quasi raddoppiare la parcella, sconvolgendo l’altrettanto minuziosa politica di finanziamento che era stata messa in atto per far fronte all’onere dell’intervento20

Veri e propri problemi conservativi si evidenziano però nel 1929, anno in cui l’attenzione si concentra sull’opera a seguito della richiesta di prestito, poi negata, alla Mostra del Settecento italiano (Venezia, Giardini della Biennale). Il regio ispettore onorario Adolfo Callegari invita più volte Fogolari a fare un sopralluogo perché “nella pala di S. Tecla il colore si è sollevato dove è la Gloria in due punti, e cioè su un’estremità del manto del Signore e sul braccio di un angelo. Anche nel basso, qua e là, si notano screpolature e puntini bianchi dove il colore è caduto”21. Callegari ritiene anche “necessario che venga l’Acerbi per applicare dei veli, operazione delicata, che è meglio affidare a chi fece l’intelaiatura quattro anni fa”22. Il suggerimento è accolto dal soprintendente e Antonio Acerbi si reca a Este, dopo varie sollecitazioni, a velinare la tela; torna in seguito per togliere le veline e “per lavare il dipinto che è piuttosto sporco”. Nonostante il pronto intervento, le condizioni dell’opera continuano a destare preoccupazione e alla fine dell’anno il regio ispettore comunica a Fogolari che “la congiunzione dei teli coi quali la pala è stata rintelata dall’Acerbi si fa sempre più visibile con danno della giusta visione del quadro. Inoltre la tela non è più bene trincata, e in qualche punto il colore accenna a gonfiarsi. Ritengo […] necessario un sopralluogo per decidere sul da farsi”23 È chiaro che i due precedenti restauri, se da un lato avevano risolto alcuni dei difetti di adesione e coesione della pellicola pittorica, dall’altro, modificando l’originario sistema di tensionamento della tela, provocavano nuove emergenze conservative a carico sia del supporto sia del colore. Fogolari sa che è necessario intervenire di nuovo ed è consapevole che i problemi che si sono manifestati devono essere risolti definitivamente per non pregiudicare la conservazione futura del dipinto. La scelta del restauratore, questa volta, cade sul bergamasco Francesco Steffanoni. Il soprintendente, sentito anche l’amico Ettore Tito, nel 1931 comunica in questa forma al Ministero problematiche e proposte operative: “L’inconveniente maggiore, e più volte da noi rilevato, deriva dal fatto che il telaio in curva non permette di tendere bene la tela e qua e là si deposita la polvere e appaiono con brutto aspetto, specialmente in certe condizioni di luce, le linee di unione delle varie tele

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usate per la foderatura, ritornando alla disposizione di prima. Nell’occasione si potrà anche eseguire una più accurata pulitura poiché ora appaiono qua e là come delle macchie. Per tale lavoro avrei intenzione di servirmi dell’opera del Cav. Francesco Steffanoni, che delle foderature ha una pratica grande”24 Il Ministero prontamente risponde a Fogolari e dispone di dare subito avvio alle operazioni, precisando che non potrà però contribuire alla spesa. Il restauratore infatti, dopo aver analizzato l’opera, quantifica in lire 8.000 il suo intervento che necessita di cinque importanti fasi: “1. […] completa sfoderatura […], poiché, tutte le congiunzioni di tela fattevi a mezzo di cuciture, […] si sono impresse come un cordone in rilievo sul davanti del dipinto, disturbandone così la visione quieta e regolare […]; 2. nuova doppia foderatura […] (previa copertura

di veli con colletta, s’intende) e, mediante stiratura al dipinto, oltreché far scomparire le attuali impressioni di cordonature, si rinsalderanno altresì le diverse sollevazioni di colore che minacciano di cadere; 3. stuccatura delle particelle mancanti; 4. rimozione leggera della vernice per pulire il dipinto da quella specie di nebbia che lo vela, causata, ora non potrei con sicurezza dire, se da sporco sepolto, oppure da collette non ben lavate. Ripassatura in fine di una leggerissima mano di vernice, per vedere di ridare al dipinto, dopo la suddetta pulitura, quella luminosità e chiarezza di toni, tutti propri del Tiepolo, che, presentemente lasciano molto a desiderare; 5. rimontatura del dipinto. Vedere di rimettere il dipinto in piena luce, e piano come una tavola, il che, si otterrà per bene mediante le due foderature di cui sopra e, magari, su telaio diritto, abbandonando l’attuale curvo […]. Così, io credo, più nulla ci ostacolerà la visione perfetta e grandiosa di quella stupenda Pala!”25. Steffanoni precisa che “tavolati e telai” saranno conteggiati a parte se l’intervento si farà a Este; mentre verranno considerati a suo carico se potrà eseguire il lavoro nel laboratorio di Bergamo. Anche in questo caso il carteggio tra i vari interlocutori è fittissimo. Fogolari riesce ad ottenere dal Ministero la somma richiesta per l’intervento; l’abate si impegna a pagare le spese per il tavolato e il telaio, il restauratore acconsente a lavorare nella sacrestia del duomo di Este e così, il 17 ottobre 1932 iniziano le operazioni di smontaggio. Ma anche stavolta qualcosa non va per il verso giusto. Il giorno 23 novembre l’ispettore onorario sollecita un sopralluogo perché “lo Steffanoni ha cominciato la pulitura del Tiepolo. La figura della Santa inginocchiata ha riacquistato l’originaria vivacità di colorito (Figura 4). Non nascondo però il timore che in taluni punti si pulisca troppo e perciò io La pregherei di mandare in settimana il dott. Moschini (Ella so che è occupato col Direttore Generale) perché veda e giudichi. Così si avrà l’accordo anche sul criterio che ha lo Steffanoni di restaurare qua e là dove il colore assicura”26. Il sopralluogo avviene il giorno 26, ma non se ne conoscono gli esiti; il restauro si conclude verosimilmente il 31 dicembre, come risulta dalla nota spese del falegname Cesare Bissaro27. Agli inizi del nuovo anno, la tela manifesta però già segni di sofferenza; l’abate Sartori e l’ispettore Callegari scrivono a Fogolari e quest’ultimo, in tono imperativo, a Steffanoni: “[…] veda di sostenersi a Este, se no andiamo male”28. Il restauratore però non pare preoccupato e replica: “Ricevo qui a Firenze la di Lei lettera […] che mi da notizie di Este riguardo al Tiepolo. Le premetto subito che tutto lo spavento è nulla! Nulla, dal fatto che è più che naturale, che un dipinto di sì vaste dimensioni, levato dalla sacrestia appena foderato doppiamente, e la quale sacristia aveva una temperatura ben secca, per l’opera di stiratura ivi compiuta, e, portato nella Cattedrale montato sul telaio e collocato subito a posto, sentisse l’umidità d’ambiente, specie in quest’epoca, e più parti-

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Figura 3. Duomo di Santa Tecla, Santa Tecla libera Este dalla pestilenza, dopo il restauro Acerbi.

colarmente in questi giorni di continue piogge. Non è propriamente nulla! Poiché la stabilità del Tiepolo (del dipinto) ed il suo nuovo sole di luce e splendore che ha ripreso, non saranno per nulla scossi né offuscati. In ogni modo, La assicuro, che fra otto o dieci giorni passerò io stesso da Este, vedrò il da farsi, ed allora, solo allora, disporrò immediatamente perché ogni ombra o timore venga tolto a tutti quei signori. Ella che da tempo ben mi conosce, potrà farsi, verso di Essi, al caso, mallevadore di tutto ciò, mentre io non mancherò presso di Lei di sostenermi a testa alta!”29. Dopo questa missiva, le carte d’archivio testimoniano soltanto un’interessante corrispondenza che si riferisce ai pagamenti dei vari attori dell’intervento – restauratore, falegname, operai – e alla suddivisione delle spese. È quindi verosimile che, nell’immediato, Steffanoni abbia risolto il problema, ma muffe e sollevamenti di colore continuano a manifestarsi negli anni. Nella primavera del 1941, il soprintendente Vittorio Moschini fa costruire un’impalcatura “per provvedere alla apposizione dei veli ovvero alle saldature – secondo le necessità – per assicurare il colore della pala del Tiepolo in S. Tecla”30, sotto la vigilanza dell’ispettore Adolfo Callegari. Si addensano intanto sull’Italia le nubi del secondo conflitto mondiale; così “in data […] 8 settembre 1944 la Soprintendenza alle Gallerie di Venezia nella persona di Pagan cav. Uff. Angelo prende in consegna da mons. Camillo Naselli-Feo Arciprete-Abate Mitrato della Basilica di S. Tecla di Este le seguenti opere: Pala di G.B. Tiepolo rappresentante Santa Tecla che implora dal Cielo la liberazione della città di Este dalla peste, per trasportarle nei luoghi di raccolta designati dal Ministero, per essere ivi conservate fino alla cessazione delle cause che hanno dato luogo alla rimozione”31. L’opera sarà custodita, verosimilmente arrotolata, in Veneto ed esposta alla mostra Cinque secoli di pittura veneta (Venezia – Procuratie nuove), curata da Rodolfo Pallucchini nel 1945. Dopo la sua ricollocazione nella tribuna del duomo, è solo nel 1958 che l’abate Mario Zanchin sollecita un sopralluogo della Soprintendenza perché “la tela del Tiepolo […] presenta delle pieghe, che si fanno sempre più visibili. Qualcuno rilevò che la cosa è effetto del clima e delle variazioni di temperatura”. Si affretta a verificarne le condizioni Francesco Valcanover, allora funzionario di zona, che in questi termini replica: “ho esaminato con il prof. Lazzarin la grande tela del Tiepolo, la cui conservazione non sembra destare preoccupazioni. Certo che bisognerà una buona volta riesaminare accuratamente il problema del fissaggio della tela al telaio curvo”32. Il giovane storico dell’arte, che aveva capito il principale problema dell’opera, nota anche una scalfittura recente nell’angolo in basso a destra, causata da un corpo contundente, che ha danneggiato profondamente il colore per oltre quindici centimetri. Nel 1961 è ancora la Soprintendenza, per mezzo del primo aiuto restauratore Mario Franceschini, che si occupa “dell’asportazione della polvere accumulatasi sulla superficie

dipinta della famosa tela del Tiepolo” a seguito di lavori architettonici svoltisi nel duomo; l’operazione termina, com’è desiderio dell’abate, prima della festa di Santa Tecla che si celebra il 23 settembre. Dieci anni dopo il dipinto è rimosso per l’esposizione alla Mostra del Tiepolo, organizzata da Aldo Rizzi a Villa Manin di Passariano. L’opera lascia Este anche a seguito del parere favorevole del soprintendente Francesco Valcanover, che scrive all’abate Giovanni Foffani: “poiché da tempo la grandiosa tela ha bisogno di un intervento di restauro, per riparare i danni arrecati da un urto, si pensa che detto restauro possa essere eseguito in occasione del prestito alla mostra di Udine”33.

La Santa Tecla ritorna in duomo al termine dell’esposizione sanata dal deterioramento prodotto dall’urto, ma ancora afflitta dai problemi indotti dal suo cattivo tensionamento; è questa la pagina che ci apprestiamo a scrivere grazie al restauro promosso in occasione dell’attuale mostra.

E. F.

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Figura 4. Duomo di Santa Tecla, Santa Tecla libera Este dalla pestilenza, particolare dopo il restauro Steffanoni.

Il nuovo restauro

La presenza del dipinto raffigurante Santa Tecla in questa mostra su Giambattista Tiepolo è il frutto di un’intensa attività istituzionale e amministrativa, condotta dagli organismi preposti con la consapevolezza della necessità d’intervenire, non per il fine ultimo dell’esposizione, bensì per far coincidere l’evento culturale con la reale necessità di tutelare un bene, considerato eredità collettiva d’inestimabile valore. Decidere quindi di spostare una tela così grande dalla sua ubicazione abituale e intraprendere un’operazione di restauro è stata una scelta molto impegnativa, a causa della tipologia stessa dell’opera: una tela di grandissime dimensioni, sorretta da una struttura verticale concava. Tuttavia il dipinto necessitava di un urgente intervento conservativo a causa è di una serie di restauri impropri, subiti nel corso dei suoi due secoli abbondanti di vita. Tutti gli interventi precedenti hanno, infatti, cercato di dare resistenza e robustezza alla pala aggiungendo sul retro teli di rifodero e colle, fino a determinare a una forma di laminazione della tela originale. È stata così messa in secondo piano la funzione strutturale di quest’ultima, a causa dell’intenzione di rendere inerte il suo movimento attraverso l’abrasione delle fibre. Tuttavia nessuno dei restauri passati è riuscito a dare sicurezza strutturale e dignità espositiva all’opera e, per oltre due secoli, la comunità locale ha lamentato la presenza di ondulazioni e insaccature nella parte bassa, oltre che di rilievi, fasce verticali e diffuse cadute di colore. In tutti gli interventi manutentivi è stato privilegiato il tensionamento verticale, senza considerare che il grande telero doveva essere revi-

sionato soprattutto attraverso una adeguata distribuzione delle forze per eliminare tutte le problematiche in fieri. Lo scopo del restauro attuale è quello di individuare e risolvere i problemi che affliggono il dipinto: per raggiungere quest’obiettivo si è progettato un intervento diviso in due fasi. Nella prima l’opera è stata messa in sicurezza e riposizionata sul suo telaio in maniera controllabile, al fine di recuperare, nell’arco temporale della permanenza in mostra, la giusta planarità e una serie di dati necessari a compiere le scelte d’intervento definitivo. In una seconda fase sarà ultimato il restauro e sulla base dei e i dati raccolti si potrà realizzare il supporto metodologicamente più coretto per il re-inserimento nella nicchia originale.

Stato di conservazione

La tela in situ aveva tre grandi curve di rilassamento verticali, che partendo dai 2/3 dell’altezza, si incurvavano orizzontalmente a sacco nella parte bassa. Superiormente, in corrispondenza del vincolo con il telaio, e per una altezza di circa 60 cm, si sviluppavano una serie di ondulazioni verticali. Al centro la tela usciva dal suo profilo naturale, verso l’esterno, per circa 12 cm dalla traversa. Mentre alla base e in sommità il raggio di curvatura era pari a circa 587,5 cm, nella parte centrale il raggio era di circa 924 cm (Figura 5, Figura 5a). Il dipinto era tensionato quasi totalmente con la sola forza di gravità, determinata dal suo peso; nella porzione superiore era teso solo in senso verticale, come dimostra la tipologia di ondulazioni. Nella parte centrale era visibile un’ondulazione verticale causata dal peso della materia ed un raddrizzamento

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Figura 5. Elaborazione grafica in pianta della nicchia absidale in cui era inserita l’opera: 1 telaio, 2 tavolato, 3 nicchia muraria.

Figura 5a. Spaccato prospettico della nicchia, particolare della deformazione della tela: 1 tela, 2 telaio, 3 tavolato, 4 nicchia muraria.

della tela dovuto all’eccessiva presenza di forza orizzontale. Questo difetto si notava infine anche nella parte inferiore, con evidenti gibbosità e insaccature (Figura 6, Figura 6a). Dopo lo smontaggio è stato possibile analizzare ogni singolo elemento compositivo dell’opera, cioè il telaio, il tavolato sottostante, la tela e la policromia.

L’attuale telaio34, realizzato da Acerbi nel 1924, presenta una concavità inferiore a quella della nicchia di almeno 3 cm (Figura 5) ha infatti una freccia di 32 cm, mentre quella del tavolato originario su cui poggiava l’opera (tutt’ora presente) è di circa 36-37 cm. Il telaio è in buono stato di conservazione, sebbene alcuni incastri abbiano subito delle perdite e ci siano parecchie tracce di chiodature. Esattamente lungo il perimetro interno dei lati orizzontali, si nota una serie di fori, uniformemente distribuiti ad una distanza di circa 10 cm.

Questo fa ipotizzare che Acerbi avesse usato queste traverse per tendere longitudinalmente dei fili sul retro della tela che possono aver avuto due funzioni. La prima è quella di fornire un appoggio alla tela durante la chiodatura sul telaio.

Ma è anche possibile che Acrebi, conscio della problematicità di tensionare correttamente la tela stessa, abbia usato dei fili tesi verticalmente per fornire ulteriore supporto alla pala, vincolando tali fili alla tela di rifodero da lui applicata. Ciò avrebbe permesso alla tela di mantenere una concavità anche nella parte centrale dell’opera. Tuttavia questa funzione rimane solo un’ipotesi che sarà difficile verificare. Sappiamo che Tiepolo fece realizzare il tavolato di supporto sul quale il dipinto era imbullettato. La struttura fungeva sia da sostegno sia da protezione e coibentazione, impedendo ponti termici e punti di rugiada dannosi per la fibra tessile. Il tavolato, benché molto sudicio, è in buono stato di conservazione; non poggia direttamente sulla parete muraria ma dista circa 2,5 cm dal muro perché fissato a 9 traversine di legno larghe circa 10 cm, che corrono verticalmente lungo tutta la nicchia, con un interasse di circa 50 cm. Su tali aste, Tiepolo ha fatto chiodare 19 tavole orizzontali in larice di 36 cm di larghezza, dello spessore di circa 2,3 cm. Questo tavolato attualmente non riveste tutta la nicchia ma è troncato a circa 50 cm

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Figura 6. Particolare degli ampi rilassamenti presenti nella tela prima del restauro.

dalle estremità, a causa di antichi rimaneggiamenti strutturali (Figura 7). La tela originale è composta da un tessuto di canapa di 9 fili di ordito per 7 fili di trama al cm2, un tessuto non fitto e di filato alquanto leggero. L’opera è costituita di due teli verticali rispettivamente di circa 126 cm e 264 cm (Figura 8). La prima tela di rifodero a contatto diretto con l’originale è composta sempre da una fibra di canapa che possiede 10 fili di trama per 8 fili di ordito al cm2, e sembra molto fragile. Le successive tele di rifodero, che corrispondono alla doppia foderatura dello Steffannoni, hanno rispettivamente 10 x 9 fili al cm2, sono d’identica fattura e incollate a versi incrociati (Figura 9). Infine, lungo i bordi, le tele di rifodero hanno perso la giusta adesione con la tela originale. Purtroppo l’appesantimento strutturale apportato dalle foderature, l’aumen-

to della sensibilità alle variazioni igrometriche, il cattivo tensionamento e il facile cambiamento dimensionale della tela, hanno creato uno sfibramento ed un relativo allungamento delle fibre tessili.

Osservando la preparazione originale, si nota che è stata realizzata con un sottile strato di bolo veneziano steso a spatola sulla tela35. È certo che la mestica rossa con legante oleoso ha deteriorato la fibra tessile originale. La trama e la tipologia di esecuzione della preparazione hanno infatti determinato una superficie materica quadrettata (una sorta di mosaico a tessere convesse) ed un relativo craquelure ortogonale. Alla luce di ciò, quindi, tutti gli interventi di restauro antico hanno contribuito al suo deterioramento, rendendola ancora più fragile, a causa di puliture con sostanze basiche, pietra pomice per

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Figura 6a. Grafico delle deformazioni presenti nella tela prima del restauro.
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Figura 7. Tavolato originario su cui era imbulletta la tela precedentemente all’inserimento del telaio.

livellare il retro e soprattutto per l’uso di grossi quantitativi di colle di pasta, calore e pressione.

Sicuramente nel corso degli anni la tela non ha subito solo la consunzione della cucitura dei due teli, che ha provocato problemi di distacco, come nella testa della bambina piangente in primo piano (Figura 10), ma anche una serie di strappi e colpi, come testimoniano diverse tracce di ridipinture visibili a luce radente e a luce ultravioletta, (Figura 11) distribuiti un po’ ovunque nella policromia. In alcuni punti la tela ha subito infine dei colpi, che hanno generato sulla policromia un craquelure orizzontale tipico da urti meccanici36.

Altro particolare da tenere in considerazione è la presenza di alcuni fori passanti (Figura 12). Degno di attenzione è un foro abbastanza grande al centro dell’opera a circa 80 cm dalla

Figura 9. Particolare della stratificazione delle foderature: 1 tela originale, 2 foderatura Acerbi, 3 e 4 doppia foderatura Stefanoni.

Figura 10. Particolare delle deformazioni della tela e strappi celati dalle ridipinture.

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Figura 8. Schema delle pezze di tela che compongono l’opera originale.
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Figure

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Figura 11. Particolari della policromia a luce ultravioletta che evidenziano i diversi ritocchi presenti sulla policromia.
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11a, 11b. Particolari della policromia a luce ultravioletta che evidenziano i diversi ritocchi presenti sulla policromia

Figure 11c, 11d. Particolari della policromia a luce ultravioletta che evidenziano i diversi ritocchi presenti sulla policromia.

Figura 12. Particolari della policromia, fori sulla tela originale celati da ridipinture.

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base dalla forma classica di bruciatura di candela. Per nasconderlo è stato usato dello stucco e una ridipintura. Nella parte inferiore c’è un altro danno evidente determinato da qualche trauma meccanico. Infine la chiodatura perimetrale interessava spesso anche porzioni del recto.

La policromia presenta diffuse cadute di colore, zone abrase e spulite, e diverse vernici che con il tempo si sono ossidate e insudiciate. Antichi ritocchi celano anche porzioni di policromia originaria.

Intervento propedeutico

Al fine di eseguire in sicurezza lo smontaggio, la grande tela di Tiepolo è stata prudentemente schiodata dal telaio e portata con cautela in posizione orizzontale. Una volta planare, è stata velinata nelle zone dove si riscontravano problemi di coesione o sollevamenti della pellicola pittorica e lungo tutto il bordo perimetrale della policromia, in alcuni punti decoeso e rovinato dalle chiodature. Il dipinto è stato arrotolato ad un rullo di circa 85 cm diametro, lungo 450 cm, posto in una cassa e trasportato con un camion condizionato nel laboratorio di Villa Manin di Passariano di Codroipo, dove è stato predisposto un microclima idoneo e un piano di lavoro adeguato a supportare l’opera ed eseguire il restauro. Il tavolo è stato progettato per avere anche la funzione di supporto interinale, considerate le grandi dimensioni della pala e l’impossibilità di restaurarla in posizione verticale. Il piano di lavoro, composto da diversi moduli (Figura 13), misura circa 488 x 854 cm37, mentre la tela misura circa 410 x 705 cm; le porzioni di tavolo eccedenti sono

state progettate per le varie operazioni conservative sull’opera. Giunta a Passariano, la pala è stata srotolata delicatamente sul piano. È stato così possibile constatare la deformazione che il tempo ha causato sulla fibra tessile: la lunghezza dei lati perimetrali dell’opera, infatti, è superiore alle dimensioni assiali della tela. Questa condizione è la causa delle ondulazioni presenti lungo tutto il suo perimetro; per cercare di appianarle, i bordi della tela sono stati vincolati in maniera provvisoria con degli agganci particolari. Sono stati appositamente realizzanti due tipi di tensori: uno rigido ma calibrabile tramite una vite, l’altro con sistema flottante a molla, altrettanto calibrabile. Entrambi i tensori sono muniti di pinze che si agganciano ai margini delle tele di rifodero per pressione, senza bisogno di collanti o fasce (Figura 14).

Il sistema ideato ha permesso di vincolare i bordi in maniera elastica e flottante, consentendo di tenere in tensione il dipinto e di conoscere sempre la forza di carico applicata; allo stesso tempo è stato possibile imprimere una forza di trazione localizzata attraverso il sistema rigido. La struttura di vincolo elastico perimetrale ha dato subito risultati positivi: la minima forza applicata ha infatti rapidamente determinato una distensione del “sandwich” di quattro tele sovrapposte. Questa prima fase ha evidenziato la necessità di monitorare scientificamente i movimenti della tela prima di individuare e realizzare il supporto definitivo per il ricollocamento a Este.

In posizione planare sono stati controllati tutti i sollevamenti della policromia, effettuati i primi fissaggi per permettere le successive operazioni ed eliminate le velinaure di protezione applicate per la fase di trasporto. In seguito il recto dell’opera è stato pulito superficialmente dal particellato di deposito con

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Figura 13. Elaborazione grafica del supporto interinale per supportare la tela nelle fasi di lavoro.

stoppini leggermente inumiditi con Ligroina 100-140°. Sono quindi state eseguite le riprese fotografiche dell’opera attraverso una struttura realizzata ad hoc. Data l’impossibilità di fotografare l’insieme della pala a causa delle dimensioni, si è resa necessaria una ripresa del dipinto “a mosaico”. Si sono così realizzate delle fotografie ricche di dettagli, caratterizzate da una qualità superiore rispetto ad una semplice foto generale, che costituiscono un documento estremamente preciso. Per tali riprese è stato costruito uno stativo a ponte mobile, al quale è stata applicata l’apparecchiatura fotografica. Allo stesso modo sono state eseguite anche le fotografie a luce ultravioletta (Figura 11), che hanno confermato la gravità dello stato di conservazione della policromia e i restauri antichi della pellicola pittorica. Infine è stato realizzato un carrello mobile sopra la tela, di 125 x 500 cm, che scorre sui margini del tavolo, necessario per tutte le fasi di restauro, soprattutto per raggiungere le zone centrali dell’opera. Successivamente la superficie pittorica è stata consolidata e verniciata; si è creato uno strato d’intervento preliminare, steso con lo scopo di separare l’originale dagli interventi successivi che serviranno per l’esposizione in mostra. Per questo

motivo è stata adoperata una resina reversibile atossica a ph neutro38, che ha dato forza di coesione alla pellicola pittorica e ha funzionato da strato isolante per la policromia sottostante. Le stuccature, indispensabili in alcuni punti, sono state realizzate con gesso caricato con resina acrilica adeguatamente diluita39, additivata da un elastomero sintetico. Dopo tale intervento è stato steso un leggerissimo film di Regal Varnish40. In seguito, dove necessario, sono stati eseguiti i ritocchi pittorici, abbassando di tono i punti che presentavano ridipinture evidenti, al fine di permettere una corretta visione dell’opera. L’integrazione è stata eseguita a tratteggio, con colori a vernice. Per l’esposizione del dipinto in mostra si è scelto di non rinchiodare la tela sul telaio curvo realizzato nel 1924 da Acerbi, ma di fissarla al medesimo con un sistema flottante, privo di vincoli rigidi, al fine di garantire comunque una buona distribuzione delle forze alla tela nel periodo d’esposizione (Figura 15). Si è quindi realizzato un meccanismo con cui è possibile tarare la tensione laterale della tela in maniera millimetrica e la tensione verticale in maniera flottante. Con tale sistema verranno assorbite le evidenti variazioni microclimatiche a

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Figura 14. Sistema di tensionamento applicato sul supporto interinale e spaccato del meccanismo: 1 tensore flottante, 2 tensore rigido.

Figura 15. Sistema di tensionamento flottante della tela sul telaio attuale: 1 telaio, 2 bordo distanziatore di scivolamento, 3 fasce perimetrali di ampliamento, 4 asta di irrigidimento, 5 vincolo al telaio, 6 tenditore.

cui sarà sottoposta la pala che, innalzandosi verticalmente negli spazi espositivi per oltre sette metri, sarà soggetta a diverse percentuali di riscaldamento e umidità. Per rendere possibile tutto ciò sono state preparate, attorno al perimetro della tela, delle fasce di aggancio in tessuto sintetico sottile ma molto robusto, resistente anche alla trazione a 45°. Queste prendono a sandwich tutte e tre le tele di rifodero e girano sul retro del telaio. All’estremità delle fasce è stata realizzata un’asola, necessaria per inserire un profilato di alluminio, utile per metterle in tensione attraverso dei tenditori41, coadiuvati nella loro azione flottante e di scivolamento da un profilo perimetrale in legno a bordi arrotondati appositamente realizzato, disposto sul margine esterno del telaio originale (Figura 15). Lungo i montanti laterali e nella traversa superiore tali sistemi di aggancio sono flottanti, ossia a molla tarabile; ciò permette di calcolare e modificare anche in corso d’opera la forza da applicare alla tela, potendo così verificare ogni suo spostamento.

I quattro mesi nei quali l’opera sarà esposta in mostra saranno utili per monitorare il comportamento della tela e realizzare successivamente il supporto definitivo per il suo re-inserimento

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Figura 16. Particolare della policromia deturpata da interventi antichi.
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nella nicchia originaria. Questo periodo di controllo si rende indispensabile ai fini della taratura finale delle forze da applicare per la sua conservazione in funzione del comportamento della tela stessa, che necessita di tempo per assestare i propri movimenti interni. Non sarebbe stato infatti adeguato e funzionale al controllo delle forze meccaniche che agiscono in essa proporre subito la struttura definitiva di sostegno. Possiamo considerare il periodo espositivo un momento di verifica fondamentale e obbligatorio per la corretta finalizzazione delle operazioni di restauro e a tale scopo verrà programmato un monitoraggio.

Intervento finale

1. Intervento sulla policromia e sulla fibra tessile

I controlli effettuati durante le fasi preliminari dell’intervento di restauro hanno permesso di verificare che il movimento della tela, in base a cambiamenti di umidità relativa, è molto repentino ed evidente. Molti sollevamenti del colore –come ad esempio quelli localizzati nei panneggi dell’abito della Santa, dove il Tiepolo ha usato strati di colore più corposi – seguono l’andamento longitudinale della tela ed in molti casi sono a cresta; il colore è staccato, assieme alla preparazione rossa dalla tela sottostante e non c’è spazio per distenderli. Questo accade perché la grossa quantità di colla di pasta stesa sul retro e la tripla foderatura, sommata all’impossibilità di tirare in maniera uniforme la tela anche in senso orizzontale, hanno determinato il sopravvento degli strati di tessuto e delle colle sulla resistenza degli strati policromi. I teli di rifodero, a causa dei trattamenti ricevuti, si sono ristretti nel tempo, determinando una forza di compressione sugli strati di preparazione e di colore soprastanti. In molte zone la compressione ha superato le forze di adesione degli strati policromi alla fibra sottostante e generato dei sollevamenti. Per appianare correttamente la policromia sul supporto, si rende necessario liberare la fibra originale da tutte le aggiunte di colla e tela ora presenti. Solo in questo modo si potrà ristendere e ripianare la fibra eliminando le forze di compressione sulla pellicola pittorica. Inoltre le tele di rifodero non sono in buono stato di conservazione, sono realizzate a pezze, la loro fibra è fragile e ci sono segni di grossi attacchi microbiologici42. La pulitura dell’opera, quindi, dovrà essere eseguita prima della sfoderatura, anche per il fatto che le tele di rifodero compiono, in tale fase, un’azione di sostegno della policromia stessa.

La situazione delle ridipinture e/o rimaneggiamenti è diversamente stratificata sulla tela, sia dal punto di vista cronologico che qualitativo (Figura 11). Nessuna delle integrazioni esistenti è di una qualità tale da poter essere mantenuta; inoltre le ridipinture alcune volte nascondono parti parzialmente rovinate o abrase. Sicuramente bisognerà eliminare i ritocchi

del 1971, liberare la policromia dalle vernici recenti e da quelle più ingiallite e, soprattutto, togliere il sudiciume inglobato nelle vernici e/o nei resti di vecchie vernici. Sarebbe auspicabile eliminare anche i ritocchi più antichi, proprio per cercare di recuperare la “freschezza” e “trasparenza” della materia originale. Si spera inoltre che i ritocchi del restauro del 1893 non abbiano modificato la stratigrafia originale per mezzo di velature ad ampie campiture.

La pulitura sarà effettuata con prodotti idonei, dopo una serie di test, anche alla luce di alcuni aspetti operativi importanti. Oltre al “rispetto massimo” della materia originale, bisognerà evitare la persistenza del solvente negli strati pittorici: non si dovrà penetrare troppo in profondità ma rimanere in superficie, non si dovrà bagnare con acqua la tela sottostante, e non si dovranno innescare reazioni fisiche pericolose usando prodotti poco appropriati per la preparazione rossa della tela. Verosimilmente verrà utilizzata una soluzione gelificata di miscele di solventi organici neutri con polarità abbastanza bassa visto che con una miscela LA243 si ottiene un risultato soddisfacente sullo spesso strato di vernici pigmentate e ossidate.

La pulitura andrà effettuata non solo per campiture ma anche per livelli e/o per qualità di materia da rimuovere, considerata la presenza di diversi strati disomogenei dovuti a interventi antichi (Figura 16). Questo permetterà di comprenderne adeguatamente la mappatura e, di conseguenza, di controllare meglio la pulitura che metterà in luce alcune parti ammalorate, come ad esempio la zona della cucitura (localizzata a sinistra nei pressi della bambina riversa sulla madre morta) o quella della bruciatura di candela. Inoltre se necessario verranno eliminate anche le vecchie stuccature. Liberata la policromia dalle vernici e dalle ridipinture, il craquelure sarà pulito e predisposto ad accogliere il consolidante. Come nell’intervento preliminare, questa stesura avrà la duplice funzione di film protettivo degli stati sottostanti e di consolidante della materia policroma del dipinto. Compiuta questa fase operativa, con la tela vincolata al tavolo interinale e quindi adeguatamente tensionata, si potrà procedere con la protezione della policromia, che verrà eseguita con più veli di carta giapponese e con collanti che non dovranno entrare in conflitto con il consolidante steso precedentemente. Una volta protetto il recto si procederà a riavvolgerla sul rullo e srotolata con il verso a vista. L’eliminazione delle tele di rifodero appare semplice, mentre sarà più complessa l’eliminazione dei residui di colla di pasta a contatto con la tela originale, poiché non si conosce esattamente lo stato di conservazione della fibra tessile. Sarà necessario individuare un sistema di eliminazione della colla di pasta che non necessiti né di mezzi acquosi né di abrasivi, entrambi pericolosi per la sensibilità all’acqua e la delicatezza della preparazione rossa, già reiteratamente vessati nel passato: la tela originale infatti è molto abrasa. Una volta

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Figura 17. Pistoncino flottante: 1 supporto interinale, 2fasce di aggancio con bordo di irrigidimento, 3 vincolo al tavolo interinale, 4 pistone flottante.

liberata tutta la fibra dai residui di colla e individuati lo stato di conservazione, gli strappi passanti e le abrasioni della cucitura, si metterà in atto un programma il cui scopo sarà quello di ricomporre la forza strutturale della fibra tessile. Una delle tecniche possibili per eseguire l’intervento è la cucitura di testa dei fili, unita all’inserimento di inserti con ricucitura perimetrale e rinforzi con incollaggio di ponti di filo nelle zone più critiche a livello strutturale per la fibra tessile. Ciò consentirà di rendere omogenea la resistenza strutturale della tela originale. Solo a questo punto sarà possibile capire se quest’ultima avrà ancora potere portante degli strati soprastanti o se invece sarà necessario intervenire con una nuova e adeguata foderatura o con uno strip lining o con una foderatura ai soli margini con tela di appoggio su tutto il retro. Le fasce perimetrali dovranno essere sottili ma allo stesso tempo molto resistenti. Sarà preferibile usare delle fibre naturali come lino cotto, magari adeguatamente trattato. Le fasce di tessuto leggero saranno ripiegate su se stesse a formare un’asola e il margine sormonterà un paio di millimetri i bordi del recto originale. Questo permetterà di dare un aggancio migliore e una protezione ulteriore al perimetro della tela. Tali fasce, oltre a essere indispensabili per il montaggio sul telaio definitivo, saranno utili per tendere la tela sul tavolo interinale. Se necessario, per l’operazione di fissaggio dello strip lining, si potrà usare anche il vuoto localizzato. È già possibile sostenere l’inopportunità di realizzare una nuova foderatura a colla di pasta; se si dovrà foderare, sarà logico indirizzarsi verso una foderatura a freddo e a bassa pressione.

Una volta completato il risanamento della fibra tessile si potrà rigirare nuovamente l’opera con il recto a vista e, con

Figura 18. Particolare della parte inferiore del tavolato originale di supporto: 1 tracce di vecchie chiodature di vincolo, 2 antichi perni filettati di aggancio.

il nuovo strip lining o con il margine della tela di rinforzo, si potrà nuovamente ritensionare perimetralmente l’opera sul piano interinale. Il tensionamento dovrà essere molto delicato e graduale: si potranno usare dei sistemi a pistoncino flottante a lenta tensione per controllare il comportamento della tela (Figura 17). La taratura della vite determinerà una variazione di tensione: sarà così possibile tensionare la tela in maniera diversificata nella varie zone del dipinto e gestire anche la taratura della tensione per fasi successive di equilibratura, fino ad arrivare ad un adeguato appianamento delle eventuali ondulazioni e gibbosità ancora presenti. Completata questa fase di tensionamento preliminare si potrà liberare la policromia dai veli di protezione, controllando il suo stato di salute. Si verificherà nuovamente il fissaggio del colore e l’appianamento delle creste ancora parzialmente prominenti.

Terminate le predette operazioni saranno a disposizione tutti i dati per scegliere il livello di integrazione pittorica. Ci saranno delle zone da stuccare e forse delle zone ove prima di stuccare servirà fare degli inserti in tela. Le stuccature andranno a ricostruire la superficie volumetrica delle parti mancanti imitando la texture della materia policroma; saranno realizzate con uno stucco studiato appositamente e sufficientemente elastico rispetto alla tela originale. Tutte le texture verranno realizzate a bisturi. Ultimate le stuccature, si potrà procedere con l’integrazione pittorica che sarà differenziata a seconda delle problematiche. Nelle zone spatinate si potrà intervenire con acquerelli; in quelle abrase, l’intervento dovrà essere più corposo e coprente e saranno più indicati i colori a vernice. Ci saranno quindi delle parti con piccole stuccature puntiformi, dove saranno sufficienti ritocchi a vernice. Sulle stuccature più ampie si renderà necessa-

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rio stendere una campitura di base a tempera, per avvicinarsi cromaticamente al colore circostante ed avere una “chiusura” della preparazione, che fungerà da interfaccia per il tratteggio ad acquerello. L’ultima fase di ritocco ed equilibratura verrà poi fatta con colori a vernice. Tutti gli interventi saranno completamente reversibili, compatibili e riconoscibili da vicino.

L’ultima fase estetica sarà la protezione finale, eseguita con successive sottili velature a vernice, previa completa asciugatura di ogni singolo film. La verniciatura verrà fatta ad aerosol. Tale metodologia permetterà di rendere la superficie priva di macchie di assorbimento. Allo scopo sarà utilizzata la vernice Regal Varnish44. La tela, una volta ultimata questa fase, potrà essere montata sul supporto definitivo.

2. Intervento sulla struttura portante

Tiepolo aveva fatto inchiodare la grandiosa tela direttamente sul tavolato di larice, opportunamente predisposto e fissato alla muratura dell’abside. Dopo lo smontaggio del dipinto, sono ora visibili gli elementi strutturali del supporto originariamente voluti dall’artista e ciò che rimane degli accorgimenti utilizzati per montare la pala (Figura 18). È infatti rilevabile la traccia della chiodatura nella parte superiore ed inferiore del tavolato; non è possibile affermare con sicurezza che essa continuasse anche lungo le estremità laterali, sebbene ciò appaia verosimile, poiché il tavolato ha subito delle consistenti riduzioni in tempi antichi. Infatti, già nel 1924, una parte laterale era stata resecata ai bordi per il re-inserimento in curva del dipinto, montato sul nuovo telaio progettato da Acerbi (Figura 7). Tiepolo, conscio del problema determinato dalla forma del telero e dalle sue grandi dimensioni, ha realizzato un dipinto molto “snello” e leggero: tela sottile, mestica rossa elastica ed altrettanto sottile, ed infine strati di colore alquanto sottili. Questo per evitare movimenti eccessivi dell’insieme. La presenza di perni filettati inghisati al basamento inferiore della nicchia, inducono a pensare ad un antico sistema di tensionamento, al momento in fase di studio. Queste tracce e la grandezza dell’opera richiamano alla mente il concetto di sospensione dei “ciclorama”45, enormi dipinti circolari di quindici metri di altezza, che venivano tensionati solo in verticale, sfruttando come forza la tensione determinata dal peso della materia dell’opera. La tela ha bisogno di una tensione verticale, che eviti la formazione di insaccature, ma necessita anche di una tensione orizzontale, che contrasti la formazione delle fenditure perpendicolari a cresta; la forza impressa, tuttavia, non deve essere troppo elevata, perché altrimenti rettificherebbe la concavità della tela nella parte centrale. Per questo motivo la tensione orizzontale da imprimere sarà di valore diverso a seconda dell’allontanamento dai bordi e sarà maggiore

alle estremità e minore al centro. Tensionando infatti la tela solo verticalmente, ai lati si manifesterebbe un restringimento orizzontale, superiore nella parte centrale a causa dell’effetto Poisson46 (Figura 19). Cioè, se viene applicata sulla fibra tessile una forza verticale e la fibra ha un semplice vincolo perimetrale, al suo interno si forma una tensione orizzontale.

Lo scopo dell’intervento è quello di trovare un equilibrio tra le forze, tale da permettere una distribuzione corretta delle tensioni. Si dovrà considerare sia l’opportunità di riutilizzare o trasformare il telaio già esistente, sia quella di sostituirlo con uno nuovo, costruito con una diversa metodologia. Sicuramente sarà necessario applicare un sistema di aggancio che non abbia vincoli rigidi, ma che sia flottante e dia la possibilità di rimozione del dipinto senza nuovi danneggiamenti, anche in tempi brevi, in caso di emergenza.

Le caratteristiche funzionali del nuovo supporto dovranno garantire le seguenti condizioni:

•aiutare la protezione della tela, aumentando la coibentazione; •facilitare l’inserimento e l’eventuale sfilamento della pala nella nicchia;

•avere un vincolo perimetrale mobile e scorrevole lungo i bordi;

•avere un aggancio di tali vincoli rapido ed elastico; •trasformare il telaio da rigido a flottante;

•creare un supporto flottante con la possibilità di intervenire dal recto per eventuali tarature senza smontare l’opera dalla nicchia;

•presupporre metodologie tecniche e materiali che siano in grado di mantenere una stabilità strutturale nel tempo per evitare deformazioni;

•dare la possibilità di creare un meccanismo di allontanamento della tela dal supporto per permettere un controllo dal retro dello stato di conservazione

Per garantire tali requisiti sarà necessario realizzare uno o più modelli in scala che simulino il comportamento reale.

Oltre ad eventuali pistoncini elastici per tensionare la tela 47 e oltre a sistemi di dilatazione del perimetro della struttura portante, verranno prese in considerazione delle modalità di collegamento elastico, distribuito al centro della superficie tessile. Il fine sarà quello di creare un “effetto ventosa” sul retro del dipinto. Allo scopo è ipotizzabile l’uso di un sistema a campi elettromagnetici regolabili, basati sull’uso di magneti per tenere in curva la superficie del tessile.

Si può affermare, in sintesi, che tensionando l’opera in maniera tradizionale, pur con una tensione corretta, la tela nella parte centrale tenderebbe comunque a raddrizzarsi,

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assumendo una forma trapezoidale decrescente dal centro verso i lati (Figura 19). È necessario quindi privilegiare un tensionamento verticale con un sistema flottante nella parte superiore e inferiore48 Atal fine si possono adottare aste perimetrali che si dilatino (Figura 20).

Verticalmente le fasce perimetrali girate sul retro e agganciate a dei tiranti regolabili permetterebbero un vincolo più elastico in senso trasversale e più scorrevole in senso longitudinale49. Come agganci potrebbero essere adottati dei tenditori (Figura 20), collocati con maggiore concentrazione

agli angoli. La tensione descritta sarà tuttavia insufficiente a mantenere perfettamente in piano la pala, nonostante agisca in verticale e solo parzialmente in trazione orizzontale, poiché creerà automaticamente un parziale raddrizzamento della tela al centro. Per evitare questo movimento è necessario applicare una forza ortogonale alla fibra, se pur minima, che la tenga aderente alla forma concava della nicchia. L’utilizzo di un campo magnetico basato sul principio del neodimio50, potrebbe risolvere il problema. In questo modo infatti si può ottenere una forza ortogonale alla tela, distribuita su tutta la superficie e calcolabile precisamente. Per sostenere l’opera sarà quindi necessario costruire un nuovo telaio. Il nuovo supporto potrebbe essere costituito da quattro moduli uguali, concepiti con un sistema a centina, ovvero da un insieme di centine che seguano tutta la superficie in altezza, con un passo di circa 20 cm l’una dall’altra. Tali centine, di pochi centimetri di profondità (circa 5 cm) e dello spessore di 2 cm, che verranno tagliate al laser per ottenere una precisione di calcolo massima, saranno tenute assieme da aste verticali. Si formerà così un’intelaiatura molto leggera ma allo stesso tempo indeformabile ed elastica (Figura 21). I margini esterni verticali verranno irrobustiti e arrotondati per permettere lo scorrimento laterale delle fasce perimetrali. La centina perimetrale superiore e la centina perimetrale inferiore verranno irrobustite e affiancate da un profilo rigido di espansione che permetterà l’ampliamento del telaio stesso. Tutti i margini verranno trattati con apposito materiale per facilitare lo scivolamento della tela; l’intera superficie sarà composta da una serie di reticoli quadrati di dimensioni di circa 20x20 cm. Nel verso della concavità, e cioè dove poggerà la tela originale,

Figura 20. Sistema di tensionamento flottante in senso longitudinale: 1 perimetro della struttura portante, 2 fasce perimetrali rovesciate, 3 profilo di dilatazione con bordi di scivolamento, 4 pistone flottante con sistema di taratura delle forze, 5 stop di sicurezza regolabile.

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Figura 19. Grafico raffigurante la deformazione della tela in riferimento al tensionamento perimetrale dell’attuale telaio curvo. La zona celeste indica la crescente variazione di raggio di curvatura della fibra tessile verso il centro dell’opera.
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tutta la superficie verrà rivestita con uno strato di materiale che seguirà perfettamente la forma concava. Un’idea sarebbe quella di usare del Kevlar o del Goretex, oppure un compensato molto leggero: si otterrebbe così una superficie perfettamente concava, senza difetti di continuità. Inoltre per aiutare la stabilità, pur mantenendo la struttura elastica, si potrebbero inserire anche dei tiranti metallici molto sottili. In tal modo si otterrebbe una sorta di “rilettura” contemporanea del vecchio tavolato tiepoleco. Sul retro del telaio, ad una distanza di circa sei centimetri, e per tutta la superficie, si ipotizza di appoggiare dei piccoli magneti al neodimio, i quali però non saranno incollati sulla struttura, bensì semplicemente appoggiati su dei cuscinetti in silicone, che daranno al magnete la possibilità di scivolare di alcuni millimetri sulla superficie in tutte le direzioni. Questo permetterebbe alla tela un movimento minimo, garantendo sempre il tensionamento. Il retro del dipinto, per appoggiarsi alla struttura di supporto, dovrà essere trattato in maniera specifica. Allo scopo si possono studiare dei micro-ragnetti molto sottili (quattro decimi di millimetro) nichelati e dorati, per evitare qualsiasi ossida-

zione, che potrebbero avere sei “zampe”di aggancio che, disposte a formare un esagono, diano forma a dei moduli ripetibili e regolari, capaci di formare strutture estese, simili a dei reticoli alveolari.

Quest’ultimi verranno appoggiati esclusivamente sulla tela di rifodero, e non sull’originale, usando le “zampe” come punti di adesione. In alternativa ai ragnetti metallici, si possono inoltre creare dei gel magnetici, magari utilizzando le odierne tecnologie serigrafiche, da stendere in maniera puntiforme sulla tela di rifodero, senza creare delle tensioni superficiali. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di realizzare un tessuto nuovo, con trattamento in gel ferroso secondo un disegno particolare, da far aderire in maniera superficiale sulla tela di rifodero.

Questi meccanismi da elaborare e testare, avranno lo scopo di tenere sempre aderente la tela al telaio concavo sottostante. Il sistema di tensione perimetrale sarà quindi coadiuvato dal sistema di tensione generato a campi magnetici su tutta la superficie, che applicheranno una forza ortogonale alla fibra in modo omogeneo e costante.

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Figura 21. Elaborazione grafica della nuova struttura portante per la tela che si addosserà al tavolato esistente: 1 vista del recto, 2 vista del verso.

Per concludere è d’obbligo evidenziare come l’attuale mostra su Tiepolo abbia avuto il pregio di creare una rete di rapporti di lavoro che hanno prodotto una compatta squadra, operativa su più fronti (scientifici, tecnici, storici e archivistici). Si rende doveroso quindi ringraziare tutte le

persone che hanno collaborato, nella speranza che tutto il lavoro fatto fin ora prosegua in futuro e abbia un adeguato completamento sotto ogni profilo.

F.D.Z.

Atutti i colleghi che credono nello Stato.

Il presente studio non sarebbe stato possibile senza uno splendido lavoro di squadra. Desideriamo ringraziare: Irina Baldescu, Denis Boem, Annalisa Bristot, Luca Caburlotto, Stefano Candusso, Luciano Carraro, Margherita Caporusso, Maurizio Chittaro, Bruno Cogo, Fabrizio Infanti, Marco Fratucello, Ennio Malisan, Marica Mercalli, Odorico Nella, Lucia Pigozzo, Angelo Pizzolongo, Monica Pregnolato, Massimo Righini, Maddalena Santi, Lucia Sartor, Ugo Soragni. Grazie a Vera Ferigo per il suo impegno instancabile, intelligente e generoso. Un particolare segno di gratitudine giunga anche a Erika Crosara ed Elisabetta Favaron, per la collaborazione costante e tenace. Un abbraccio a Luca Majoli, paladino sognante della tutela.

1 Questo contributo si basa sui documenti inediti reperiti in quattro archivi: l’Archivio della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici per le Province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, Atti generali, Este Duomo di Santa Tecla, PD.2.EST.1.CH1.4 (di seguito A.Sop.BSAE.VE); l’Archivio della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e laguna, busta A15 Provincia, Este Monselice Montagnana: Este, Duomo di Santa Tecla e Torre Civica (1892-1924) (di seguito A.Sop.BAP.VE); l’Archivio Storico Comunale di Este, Sezione ottocentesca, busta 1017 (di seguito ASCE); l’Archivio parrocchiale del duomo di Este (di seguito APDE). La vicenda conservativa dell’opera, i materiali e le tecniche utilizzate, come pure le persone coinvolte, le istituzioni, la normativa prevista in caso di guerra e molti altri aspetti, meriterebbero approfondimenti mirati e una bibliografia specifica che non è possibile fornire in questa sede, per motivi editoriali e di tempo. Ci limiteremo pertanto a segnalare alcuni testi di riferimento, utili per approfondire problemi specifici. Notizie sui restauratori e le metodologie di intervento sono in: G. Gambarin, I dipinti del duomo di Este: storia e catalogazione, tesi di laurea, Università degli studi di Padova, Facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1976/77; A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano 1988; A. Torresi, Primo dizionario biografico dei pittori restauratori italiani dal 1750 al 1950, Ferrara 1999; Il restauro dei dipinti nel secondo Ottocento, a cura di G. Perusini, Udine 2002; C. Cennini, Il libro dell’arte, a cura di F. Frezzato, Venezia 2003; M. Ciatti, Appunti per un manuale di storia e teoria del restauro, Firenze 2009; Giambattista Tiepolo. Il restauro della Pala di Rovetta, a cura di A. Pacia, Firenze 2011. Per i Soprintendenti si consulti: Dizionario biografico dei Soprintendenti storici dell’arte (1904-1974), Bologna 2007; Dizionario biografico dei Soprintendenti architetti (1904-1974), Bologna 2011. Utili anche gli articoli comparsi sulla stampa locale: Ristauro di un quadro, in “L’Adriatico”, 16 settembre 1893; Un quadro di Tiepolo, in “Gazzetta di Venezia”, 20 settembre 1893; Ristauri al capolavoro di Gio. Batta Tiepolo nel nostro Duomo, in “Il Berico”, 18 agosto 1903; Ristaturi al capolavoro di Giovanni Battista Tiepolo nel nostro Duomo, in “La Provincia di Padova”, 19-20 agosto 1903; F. Franceschetti, Il restauro del Capolavoro di Gio. Batta Tiepolo nella Basilica Abbaziale di S. Tecla, in “Il Popolo Veneto”, 2 dicembre 1923;F[rancesco] F[ranceschetti], Il capolavoro di Gio. Batt. Tiepolo nella Basilca Abbaziale di Este. Notizie storico-artistiche, in “Il Popolo Veneto”, 5 febbraio 1924. Il titolo è tratto dalla relazione letta dall’assessore alla pubblica istruzione Alessandro

Prosdocimi al Consiglio comunale di Este il primo luglio 1892, conservata in ASCE.

2 ASCE, I luglio 1892.

3 Ibidem.

4 La suddivisione delle operazioni di restauro in meccaniche e artistiche riflette il concetto ottocentesco d’intervento conservativo, così come veniva allora sistematizzandosi nella manualistica tecnica. Il pittore restauratore, cui era riconosciuto il ruolo di “riparatore” delle opere d’arte, interveniva in genere esclusivamente sulla pellicola pittorica (restauro artistico), mentre la foderatura e la realizzazione dei telai, come pure il risanamento dei supporti in caso di dipinti su tavola (restauro meccanico), era lasciata ad artigiani, in genere falegnami. Per ulteriori informazioni si vedano almeno: G. Piva, L’arte del restauro, Milano 1988 (terza ed.);U. Forni, Manuale del pittore restauratore, a cura di G. Bonsanti- M. Ciatti, Firenze 2004; La cultura del restauro tra tutela e conservazione dell’opera d’arte, atti del Convegno Internazionale di Studi (Bergamo 9-11 marzo 1995), in “Bollettino d’Arte”, supplemento al n. 98 (1996).

5 Francesco Franceschetti, nel suo articolo Il capolavoro di Gio. Batt. Tiepolo nella Basilca Abbaziale di Este. Notizie storico-artistiche, pubblicato il 5 febbraio 1924 su “Il Popolo Veneto”, scrive “[…] da lungo tempo se ne lamentava l’abbandono e a togliere da esso la polvere depositatavi da tanti anni, provvide con mezzi abbastanza sbrigativi, intorno al 1890, l’arciprete Antonio Pertile. Una sera, dopo chiuse le porte della Basilica onde evitare non desiderati controlli, fece rizzare attorno al dipinto una impalcatura ed operai di sua fiducia eseguirono la lavatura generale del grandioso dipinto”. È molto probabile che i fondi archivistici citati nella nota n. 1 restituiscano notizie relative anche a interventi precedenti.

6 Tutti i documenti testimoniano l’assenza del telaio e il tensionamento originario della tela, voluto dall’artista, mediante chiodatura sul tavolato di larice. In occasione dello smontaggio del dipinto, avvenuto il 30 ottobre 2012, è stato possibile verificare l’esistenza del tavolato medesimo, tutt’oggi in ottimo stato di conservazione, costituito da un assito orizzontale in larice sostenuto da mezzi morali assicurati alla muratura curva dell’abside. I pittori veneziani, abituati a lavorare in un ambiente umido, avevano sempre l’accortezza di frapporre un tavolato tra il muro e l’opera, anche quando utilizzavano un telaio, consapevoli della funzione di volano termico garantita dal legno. Nel nostro caso Tiepolo, considerate le dimensioni della pala e la sua funzione complementare all’architettura, ha pensato ad un sistema di supporto sottile e a un tensionamento a tenda, che poi è stato stravolto dall’utilizzo di un telaio prima planare e poi curvo.

7 ASCE, 9 novembre 1893. Il regio ispettore Prosdocimi trasmette al sindaco di Este i verbali e il collaudo della commissione di vigilanza e il giornale dei lavori tenuto da Zennaro, un documento di eccezionale importanza per la storia conservativa dell’opera.

8 La costruzione del telaio, operazione ritenuta essenzialmente “meccanica”, è lasciata al falegname, quasi mancasse la consapevolezza dei problemi che

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si sarebbero generati dal cambiamento del supporto. Documenti novecenteschi asseriscono che Zennaro tagliò la tela lungo i lati verticali, anziché girarla e ribatterla sul bordo del telaio: la notizia è in corso di verifica.

9 ASCE, 16 febbraio 1893, lettera del sindaco di Este al Commissario distrettuale di Este. Nell’opinione pubblica si era diffuso il convincimento che il tavolato sottostante fosse marcito per l’umidità. Il rilassamento della tela era invece dovuto in parte agli incauti lavaggi effettuati per pulirla, in parte all’umidità stessa.

10 A.Sop.BAP.VE, 27 marzo 1904, prot. n. 289/A30 (copiato il 29 marzo 1904). L’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Veneto comunica alla Fabbriceria del duomo il parere del proprio ingegner Riva, invitato a esprimersi sulle condizioni del dipinto. Quest’ultimo reputa il rilassamento della tela una conseguenza del restringimento del telaio (sic) e dell’umidità che agisce sulle fibre tessili. Ritiene utile provvedere esclusivamente a un nuovo tensionamento, senza che sia assolutamente necessario riposizionare la pala sul tavolato curvo; anzi sul telaio piano esistente sono meglio garantite le condizioni di illuminazione.

11 A.Sop.BSAE.VE, 24 maggio 1907, prot. n. 5330/XII. La nota testimonia della consapevolezza di Zennaro che i problemi potrebbero derivare dalla messa in opera della tela sul telaio a cunei.

12 Nei vari documenti Acerbi è indicato come impresario, falegname, capo mastro.

13 A.Sop.BSAE.VE, preventivo del 30 settembre 1907, prot. n. 5640/XII del 2 ottobre 1907.

14 Per le vicende relative alla tutela del patrimonio storico artistico durante la Prima Guerra mondiale si veda almeno: G. Fogolari, Relazione sull’opera della Soprintendenza alle gallerie e agli oggetto d’arte del Veneto per difendere gli oggetti d’arte dai pericoli della guerra, in “Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione”, XII, fasc. IX-XII, 1918, pp. 185-229.

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A.Sop.BSAE.VE, 5 dicembre 1919, prot. n. 931.

16 Per evitare che la pala fosse sostituita con una copia, “sugli orli dei lati minori alla tela vennero applicati due cartoncini, contrassegnati dentro e fuori dai timbri dell’Abbazia e del Comune e fissati alla tela da funicelle, con piombo fuso e sigla”. Cfr. F. Franceschetti, Il restauro del Capolavoro di Gio. Batta Tiepolo nella Basilica Abbaziale di S. Tecla, in “Il Popolo Veneto”, 2 dicembre 1923.

17 Il telaio realizzato per il restauro Acerbi, seguendo la curvatura del muro absidale, è quello che ancora sostiene la pala. Reca le firme di Acerbi, dell’abate Evaristo Sartori e di Francesco Steffanoni. La struttura non ha mai svolto correttamente la sua funzione portante per l’impossibilità di tensionale la tela lungo i lati verticali; si notano delle modifiche agli angoli (aggiunta di biette) e la messa in opera di un’ulteriore traversa orizzontale mediana.

18 APDE, 20 dicembre 1925. Pietro Michieli scrive all’abate per sapere se può essere pagato direttamente dalla parrocchia, visto che Acerbi tarda a saldare il dovuto.

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A.Sop.BSAE.VE, 7 maggio 1924, prot. n. 04567.

20 In APDE, carte sparse.

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A.Sop.BSAE.VE, lettera scritta dall’ispettore onorario il 22 aprile 1929, prot. 457/7 Rest. e cons. del 30 aprile 1929.

22 Ibiem.

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A.Sop.BSAE.VE, lettera scritta dall’ispettore onorario il 12 dicembre 1929, prot. 1316/2 Padova del 13 dicembre 1929. Le operazioni di fodera-

tura a cui è stata sottoposta la tela devono essere state fatte con rulli pesanti e caldi, come si desume dal fatto che nella pellicola pittorica sono impresse le tavole del piano su cui poggiava. Non è da escludere che, a luce radente, anche questi segni potessero recare disturbo.

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A.Sop.BSAE.VE, 11 settembre 1931, prot. n. I/756/2 Padova.

A.Sop.BSAE.VE, copia del preventivo Steffanoni datato 8 ottobre 1931.

A.Sop.BSAE.VE, lettera dell’ispettore onorario del 23 novembre 1932, prot. 842/2 Padova del 24 novembre 1932.

A.Sop.BSAE.VE, la polizza perviene alla Soprintendenza il 21 gennaio 1933.

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A.Sop.BSAE.VE, 9 gennaio 1933, minuta di Fogolari senza protocollo.

A.Sop.BSAE.VE, lettera del 10 gennaio 1933, prot. n. 41/2 Padova dell’11 gennaio 1933.

A.Sop.BSAE.VE, la lettera del I maggio 1941, prot. n. 711/2 Padova, è indirizzata all’ispettore onorario Adolfo Callegari.

31 Copia della ricevuta si conserva nell’A.Sop.BSAE.VE. Per la salvaguardia delle opere d’arte durante il secondo conflitto mondiale si vedano: La protezione del patrimonio artistico nazionale dalle offese della guerra aerea, a cura della Direzione Generale delle Arti, Firenze 1942; G. Fogolari, Alcuni scritti d’arte, a cura di G. Fogolari-S. Fogolari, Trento 1974; E. Franchi, Arte in assetto di guerra, Pisa 2006.

32 Nell’A.Sop.BSAE.VE si conserva copia di una lettera inviata a titolo personale da Francesco Valcanover all’abate Mario Zanchin.

33 A.Sop.BSAE.VE, lettera dell’abate al soprintendente datata 19 novembre 1971, prot. 23 novembre 1971 n. 3249/2 Padova.

34 Il nuovo telaio, di dimensioni in sviluppo di 390x676 cm, possiede due aste verticali di larghezza di 19 cm e spessore di 4,5 cm, realizzate usando l’assemblaggio di due tavoloni di abete da 390 cm di lunghezza, con un incastro longitudinale centrale, inclinato di una lunghezza di circa 76 cm. Le due aste perimetrali curve misurano 21,5x4,5 cm, e sono realizzate in legno di larice a cinque strati longitudinali (con la tecnica lamellare). Sono presenti una traversa verticale in abete di 12,5x3,5 cm, e due traverse orizzontali in legno di larice, con una sezione di 12,5x3,5 cm. L’incastro tra i profilati è di tipo mortasa e tenone; il telaio possiede anche delle zeppe e cartelle di legno per bloccare gli angoli ai lati.

35 Era consuetudine dell’epoca per gli artisti Veneziani acquistare tele già preparate da artigiani specializzati, denominati “imprimidori”. La preparazione tipica che veniva fatta nelle botteghe era di intonazione calda, spesso frutto di mescolanze di terre colorate, ossidi di ferro e minio ed infine olio come medium, a cui venivano poi aggiunti biacca e neri carboniosi per accelerare l’essicazione. Cfr. Giambattista Tiepolo. Il restauro della Pala di Rovetta, a cura di A. Pacia, , Firenze, 2011, p. 30.

36 Vedasi V. Schaible, Reflexions sur la formation de cuvettes a la surface des peintures sur toile, in Preprints,vol. I, (9th Triennal Meeting Dresden, 2631 August 1990), Los Angeles 1990, pp. 139-144.

37 Ognuno dei sette moduli che costituisco il piano misura 122 x 488 cm, ed è composto da una struttura portante metallica e da un piano in multistrato soprastante. Tutti i moduli sono vincolati assieme tramite imbullonatura, e formano così un piano unico senza interruzioni di continuità. La superficie del tavolo è stata protetta con tessuto non tessuto, necessario a creare uno strato cuscinetto uniforme.

38 È stato utilizzato l’Aquazol, una ammide terziaria alifatica, la poli(2-Etil2-Ossazolina), polimero idrosolubile, stabile termicamente, atossico e a ph neutro.

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Plextol B-500, resina acrilica termoplastica a media viscosità in dispersione acquosa chimicamente molto stabile.

Vernice finale a base di Regalrez 1094, un polimero alifatico a basso peso molecolare, che possiede un indice di rifrazione elevato, simile alle resine naturali, una maggiore stabilità all’invecchiamento e ingiallimento e una più ampia reversibilità rispetto alle classiche vernici finali acriliche e chetoniche.

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Questi tenditori sono costituiti da barre in acciaio filettate a uncino. La barretta aggancia con l’uncino l’asta in alluminio inserita nell’asola, attraversa la lama, o altra tipologia di vincolo inserito nel telaio, passa la molla e si conclude con un dado che regola millimetricamente il carico della molla. Il tirante possiede uno stop di sicurezza regolabile tramite un dado oltre il quale la tensione predefinita non può andare, a tutela dell’integrità del dipinto.

42 Muffe antiche probabilmente manifestatesi a seguito delle foderature pregresse.

43 Miscela di Ligroina 80% e Acetone 20% (rapporto in peso).

44 Vedasi nota n. 40.

45 G. A. Berger, The role of tension in the preservation of canvas paintings: a study of panoramas, in ICOM Committee for Conservation 6th Triennal Meeting, Preprints, Ottawa, 25-27 September 1981, Paris, 1981, pp.1-12.

46 F. Del Zotto, Preservation of canvas paintings. Structural solutions in relation to environmental changes. Preliminary report, in Science Technology and European Cultural heritage, (Proceedings of European Symposium, Bologna,13-16 June 1989), Brussels-Luxembourg 1991,pp. 717-721.

47 Cfr.F. Del Zotto, Preservation of canvas paintings. Structural solutions in relation to environmental changes, in ICOM Preprints, Dresda 1990, pp. 113-118; F. Del Zotto, Self-expansion stretcher for two-sided paintings: floating auto-adapting suspension system, in ICOM-CC Preprints, Rio de Janeiro 2002, pp. 338-345; F. Del Zotto, Il telaio come strumento di conservazione preventiva: recenti soluzioni per l’equilibrio delle forze e il mantenimento delle strutture di supporto originali, in Lo stato dell’arte, (Atti del primo congresso nazionale dell’IGIIC), Torino 2003, pp. 396-408; F. Del Zotto, Bastidores y pinturas sobre lienzo. Equilibrio de las tensiones y propuestas operativas (secundaparte), in “PH57 - Boletin del Instituto Andaluz del Patrimonio Historico”, 57, (Febrero 2006), pp. 82-96.

48 Il sistema a spinta è composto da due elementi avvitati fra loro: una bus-

sola, filettata all’interno, inserita nella sezione del telaio di legno, e un pistoncino cavo che si avvita all’interno della bussola medesima. Ciò consente di modificare l’altezza della camera di contenimento della molla. La porzione di barra filettata che esce dal pistoncino cavo permette da una parte di leggere la forza impostata sulle molle in fase di montaggio, dall’altra di monitorare le variazioni di carico delle stesse molle a seguito dei movimenti della tela nel tempo. In questo modello le bussole possono essere costruite anche con diametri diversi, quindi si possono utilizzare anche molle di diametro superiore a favore di dipinti di grande formato, che necessitano di tensioni di carico più elevate e quindi di molle più grandi.

49 Per vincolo elastico si intende un meccanismo esterno da poter utilizzare sia sul telaio esistenze che su quello nuovo. È un pistoncino che aggancia ad una estremità i bordi della tela e dall’altra è bloccato al telaio. Il vincolo al telaio avviene per mezzo di un supporto cubico avvitato al legno, oppure di una lama, inserita per maggiore solidarietà in una apposita fresatura nel telaio e poi avvitata allo stesso. Entrambi i supporti sono internamente filettati per sostenere la bussola che alloggia il pistoncino. Questa contiene una molla adeguata per formato, deflessione e carico alle esigenze e alle caratteristiche del singolo dipinto. La molla è attraversata da una barra filettata, che fuoriesce dal supporto cubico oppure dalla lama, e aggancia la tela del dipinto o le fasce perimetrali. Il vincolo fra la barra e la tela può avvenire in diverse forme: mediante una estremità sagomata a gancio che entra in appositi fori sulle lame applicate a rinforzo del perimetro del tessile, oppure incastrandosi fra le due lame del sandwich in una apposita sagomatura con un elemento di blocco cilindrico a pressione. Fra il supporto cubico, o a lama, e il punto di aggancio della barra alla tela è inserito un freno esterno costituito da un dado.

All’estremità opposta del pistoncino, sulla barra filettata, sono inseriti: in un caso una rondella e un dado, in successione, che caricano la molla al valore desiderato, nell’altro caso un cilindretto regolatore, a pareti esterne lisce, con filettatura interna del diametro della barra filettata e testa a dado, che, avvitandosi sulla barra filettata stessa, entra all’interno della bussola e, anche qui, carica la molla al valore desiderato. Il tirante possiede uno stop di sicurezza regolabile tramite un dado oltre il quale la tensione predefinita non può andare, a tutela dell’integrità del dipinto.Il neodimio è un metallo argenteo e lucente appartenente al gruppo delle “terre rare”, o lantanidi, presente nella lega chiamata mischmetal fino al 18%.

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Il neodimio viene utilizzato per produrre magneti permanenti ad elevata forza coercitiva ed è meno costoso dei magneti al samario-cobalto.

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Bibliografia storica

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