Nea

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Silvia Greco

Silvia Greco, comandante della III compagnia del 9° reggimento di fanteria “Bari” di stanza a Trani

dell’impiego in Afghanistan non concedono spazi all’incertezza. In ogni caso, lo spirito di gruppo e la guida di straordinari comandanti mi hanno dato la forza di superare anche i momenti più delicati». Quali immagini dell’esperienza afgana le sono rimaste negli occhi? «L’Afghanistan rimane soprattutto impresso nel cuore: mi hanno indotto a riflettere e valutare diversamente gli aspetti che caratterizzano la mia vita in Italia. Uscire dalla base significava fare un salto indietro di secoli: i villaggi di misere capanne di terra, paglia e acqua, le donne che attingevano l’acqua da sottili fiumiciattoli. Un’immagine che non scorderò mai è quella dei bambini che chiedevano l’acqua al nostro passaggio nei villaggi: in estate, con una temperatura superiore ai 50 gradi, i ragazzini non avevano di che sfamarsi e dissetarsi». nea | dicembre 2012

Altre scene difficili da dimenticare? «Era frequente vedere coppie di coniugi al bordo delle strade in cui la donna rivolgeva sempre le spalle alla strada benché coperta da un burqa integrale. A dimostrazione del fatto che, in alcune aree dell’Afghanistan, a molte donne è ancora negata la possibilità di “affacciarsi” alla conoscenza del mondo. Ma soprattutto gli sguardi degli uomini e delle donne della mia Compagnia, i miei ragazzi che, nonostante i rischi e le condizioni critiche, erano sempre tranquilli e determinati. Per me era una vista rassicurante perché sapevo di poter contare su di loro». Prima di partire ha dichiarato che l’integrazione di genere nell’Esercito è ormai compiuta. Quali valori innovativi ha portato la donna nella sfera militare? «Il mio impiego da “comandante di uomini”, in un teatro operativo come quello afgano, dimostra che 59


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