Dossier Giustizia 12 2011

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Pier Costanzo Reineri • Espropri per pubblica utilità

Esiste un’evidente distonia fra il principio enunciato dalla Cassazione e i principi della giurisprudenza della Cedu

destinato all’esercizio di un’attività imprenditoriale, cioè un’azienda, la perdita di quest’ultima non va indennizzata». Questa sentenza urta anche con il senso comune. «La Cassazione ha affermato che nella determinazione del valore venale della “res” oggetto di espropriazione occorre tenere presente la differenza tra l’area espropriata, comprensiva degli edifici che vi insistano, e l’azienda, per cui “le costruzioni esistenti sull’area vanno considerate nel loro valore in sé, non per il diverso valore che esse possono avere in rapporto alla particolare destinazione connessa all’attività d’impresa”. La sentenza è stata oggetto di critiche, anche perché in contrasto con i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo - CEDU, firmata anche dall’Italia». Può precisare? «Esiste un’evidente distonia fra il principio enunciato dalla Cassazione e i principi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per cui il cittadino non può essere espropriato di un proprio bene senza un indennizzo adeguato alla perdita concretamente subita. Per la suddetta Corte la nozione di bene si espande fino a ricomprendere ogni utilità concretamente ricavabile dalla “res” oggetto di esproprio. E il giudice deve interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme interne. Qualora ciò non sia possibile, ovvero si dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, il giudice deve proporre la relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, 1° C&P • GIUSTIZIA

comma della Costituzione che stabilisce che “la potestà legislativa è esercitata … nel rispetto dei vincoli derivanti … dagli obblighi internazionali”, quali quelli che promanano dalla Cedu». La questione dell’indennizzabilità di quell’azienda espropriata è quindi ancora aperta? «Certamente, il giudice del rinvio ove ora pende la causa (ancora la Corte d’Appello di Torino), pur non potendo discostarsi dal principio affermato dalla sentenza della Cassazione, potrà però sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme interne in tema di indennizzo espropriativo, come interpretate riduttivamente dalla Cassazione, per violazione dei principi in materia della suddetta Convenzione e quindi per violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione». L’ultima parola passerà quindi alla Corte Costituzionale? «Si, se la Corte di Torino solleverà la predetta questione. Altrimenti la stessa questione dovrà essere riproposta con un ricorso in Cassazione. Se quest’ultima dovesse riconfermare il principio della sentenza n. 8229/2009, non resterà che adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo». Il suo studio è quindi specializzato in materia di espropriazione per pubblica utilità? «Certo, ma non solo. È uno studio amministrativo e civile, all’interno del quale collaborano l’avvocato Nicola Peretti e mio figlio Paolo Alberto. La materia dell’espropriazione per pubblica utilità è, per così dire, a cavallo dei predetti ambiti». 151


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