Professioni
Donna Leader Maggio 2014 - pag. 45
Cambiamo la giustizia italiana Risolvere le problematiche interne all’avvocatura e le disfunzioni del sistema giudiziario. Gli obiettivi dei giovani avvocati italiani guidati da Nicoletta Giorgi
il primo presidente donna nella storia dell’Aiga, associazione che riunisce i giovani avvocati, imponendosi lo scorso ottobre sull’altra candidata Claudia Pizzurro. L’elezione di Nicoletta Giorgi è un segnale che testimonia l’esigenza di cambiamento tra i giovani professionisti. Formazione, precariato, accesso alla professione. Dove occorre intervenire? «Aiga è in prima linea nell’ammodernamento della professione. È necessario far cambiare pelle all’avvocatura affinché renda un servizio al cittadino e alle imprese, mostrandosi al passo con i tempi. Il cambiamento deve però partire dall’interno: i giovani devono essere preparati per accedere alla professione nel modo più competitivo possibile. Perciò puntiamo alla riforma della formazione universitaria, con la creazione di percorsi di studi multidisciplinari dove si propongono materie come inglese giuridico, diritto industriale, informatica e ogni altra materia che tenga conto dell’evoluzione del mercato e dei rapporti sociali. È altrettanto importante che il giovane praticante prima, e il collaboratore poi,
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riacquisti quella dignità che con il tempo gli è stata tolta». In che modo? «I grandi numeri della categoria hanno viziato anche il rapporto tra dominus e praticante e il coinvolgimento dei giovani colleghi. Aiga punta a un’auto-riforma dell’avvocatura riconoscendo le realtà che si verificano all’interno degli studi che ormai sono più simili alla parasubordinazione che non alla libera professione. Chiediamo che vengano riconosciute almeno le tutele minime spettanti a chi lavora in strutture non proprie. Solo così potremmo far crescere giovani professionisti responsabili e preparati, non ingrossando le fila dei precari e degli insoddisfatti». Da quali elementi passa il miglior funzionamento della giustizia? «Semplificazione del processo, digitalizzazione della giustizia, riorganizzazione delle piante organiche dei magistrati e del personale amministrativo. È arrivato il momento di attuare svolte epocali: una di queste è il processo civile telematico. Un’altra riguarda la riorganizzazione degli uffici e l’introduzione di una gestione manageriale dei tribunali. Si devono avere obiettivi di efficienza e con-
trollare affinché questi possano essere raggiunti, eliminando gli ostacoli». Quali obiettivi in vista del congresso dell’avvocatura che si terrà a Venezia il prossimo ottobre? «Da anni, la nostra categoria sconta il prezzo della divisione interna e della mancanza di una voce forte e rappresentativa che interagisca con le altre istituzioni politiche. Aiga è riunita attorno a un tavolo, insieme alle altre associazioni e componenti ordinistiche, per elaborare un nuovo modello da sottoporre all’approvazione del congresso. Se da Venezia uscirà una categoria unita, sarà più semplice creare un professionista che possa contribuire fattivamente agli interessi dei cittadini». Francesca Druidi
Dei delitti e delle pene La legge 67 del 2014 promuove le misure alternative al carcere, anche nel tentativo di arginare il sovraffollamento. L’avvocato Antonietta Martino solleva un problema di discrezionalità l sistema penitenziario italiano e le sue pene sono stati concepiti per la rieducazione del condannato. Quanto, ciò, è ancora vero? Secondo l’avvocato e giudice onorario Antonietta Martino: «La pena, per dettato costituzionale, deve tendere alla rieducazione del condannato e per far sì che l’opera di risocializzazione sia più efficace è stato introdotto nel nostro ordinamento il sistema delle misure alternative alla detenzione. Ma nella realtà la rieducazione non è mai totale, così come la pena non funge da deterrente. Si pensi alla magistratura di sorveglianza quale organo al quale è assegnata la competenza all’applicazione delle misure alternative alla detenzione. Se essa stessa non crede nella rieducazione del condannato, difficilmente concederà la misura alternativa, aggravando non solo le condizioni psicologiche del condannato (che si vede respinta un’istanza seppure abbia i requisiti per ottenerla e da qui la sfiducia) e della sua famiglia, ma anche degli operatori penitenziari che hanno lavorato insieme al condannato. A ciò si aggiunga che le decisioni della magistratura di sorveglianza sono discrezionali. C’è comunque un dato certo: le misure alternative alla detenzione da sempre sono escluse per i condannati a reati gravi, esclusione che andrebbe estesa fino a ricomprendere il reato di omicidio stradale quale causa della guida sotto l’uso di sostanze stupefacenti e alcoliche». Da quanto detto dall’avvocato Martino dipende parte del problema del sovraffollamento delle carceri. Ma non solo. «La prima causa è l’uso smodato delle misure cautelari car-
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cerarie, cui segue la discrezionalità nella concessione delle misure alternative alla detenzione. Periodicamente sono state prese iniziative, mai risolutive e che hanno solo creato allarme sociale – l’indulto – e sicuramente la soluzione non arriverà con la legge 67 del 28 aprile 2014, Svuota Carceri, perché prevede che le deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio avvengano in un arco temporale di 18 mesi per cui unica immediata applicazione riguarderà la sospensione del processo per messa alla prova e per gli irreperibili». La discrezionalità nella concessione di misure alternative diventa allarme sociale quando la si ritrova in determinate fattispecie di reato, come lo stalking. «Negli ultimi anni il reato di stalking, per la sua recrudescenza, è stato oggetto di grande attenzione da parte dei media, della magistratura e degli organi legislativi, al punto che la legge 94 del 2013 ne ha aggravato le pene ed è stata esclusa, per i condannati, la sospensione dell’esecuzione della pena. Astrattamente, sono favorevole all’applicazione della misura cautelare, sia carceraria sia domiciliare, per lo stalker, però solo se il comportamento integra realmente gli estremi della fattispecie, al contrario si tradurrebbe in un’ingiusta privazione della libertà. Tuttavia è opportuno sottolineare che non tutti i casi di minacce, ingiurie, molestie o maltrattamenti oggetto di querela sono qualificabili come atti persecutori». Luca Càvera
L’impegno per il diritto L’avvocato Antonietta Martino svolge la professione fra Potenza e Perugia. Svolge l’attività forense nella propria città natale, occupandosi soprattutto di diritto penale e di famiglia, mentre nella città umbra ricopre le funzioni di giudice onorario presso il tribunale di Perugia. Qui è stata assegnata alla sezione penale, con un giorno a settimana dedicato alle funzioni di giudice tutelare. Dal 2001 è iscritta all’albo degli avvocati di Potenza e dal 2013 all’albo dei cassazionisti e delle magistrature superiori. Fra il 2000 e il 2012 ha assunto le funzioni di vice procuratore onorario presso la procura della Repubblica di Melfi. E, conseguiti gli attestati richiesti, da un decennio, ha affiancato all’attività in toga anche la docenza presso corsi di formazione.
L’avvocato Antonietta Martino, che dirige l’omonimo studio legale di Potenza martanto68@tiscali.it