Intervista a ELENA VALLORTIGARA, Carabiniere scelto dell’Arma dei Carabinieri e campionessa italiana di salto in alto
Fragilità è incertezza, ma anche forza… Com’è nata la tua passione per questo sport? I miei genitori mi hanno portato allo stadio di Schio, quando avevo 8 anni. Dopo aver fatto altri sport sempre in ambienti chiusi, hanno optato per uno all’aria aperta. Quello che mi è piaciuto da subito è l’estrema varietà dell’atletica leggera, con tutte le discipline che compongono questo sport: c’è davvero spazio per tutti; il fatto di essere protagonista, per l’individualità della propria attività e per il fatto che questa non sia subordinata alla decisione di altri; ne consegue (ed è una caratteristica che apprezzo) l’avere una pressoché totale assunzione di responsabilità, nel bene e nel male. Il salto in alto, in particolare, mi ha attratta fin dalle prime prove: nonostante l’elevato contenuto tecnico, saltare mi riusciva naturale e anche bene. Perciò l’ho sempre preferito alle altre specialità. Sono sempre stata un’agonista e vincere alle gare e riuscire a misurarsi spesso con i propri limiti mi dava grande soddisfazione. Hai mai pensato di mollare, per alcuni problemi? Assolutamente sì. La prima volta è stata circa a 15 anni, dopo aver stabilito il nuovo record italiano cadette. Il motivo era che in generale venivo riconosciuta più per “la Vallortigara quella che salta” che per “Elena - e basta”. È stato faticoso riuscire ad integrare questi due aspetti della mia vita, quello personale e quello (che poi è diventato) professionale. Ricordo di essere andata anche per la prima volta da una psicologa, per riuscire a gestire al meglio questa situazione che mi faceva soffrire. Altre motivazioni per smettere sono stati gli infortuni, o meglio il fatto di non vederci chiaro, di avere paura che la mia convinzione di riuscire a tornare a saltare alto fosse, in realtà, solo un’illusione. A questo proposito devo ringraziare chi mi è stato vicino e mi ha sostenuta, concretamente e moralmente, in particolare la mia famiglia e il Gruppo Sportivo Forestale, poi accorpato al Centro Sportivo Carabinieri. Da sola non ce l’avrei fatta. Essere donna ti ha creato delle difficoltà nell’ambiente sportivo? Quali e come le hai gestite? Ricordi un episodio in particolare? Non posso parlare di vera e propria difficoltà nella mia esperienza personale, ma c’è sicuramente una palese divergenza di atteggiamento nei confronti delle donne. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, lo sguardo al mondo maschile è molto più incentrato sulla performance che sull’estetica, succede il contrario per il mondo femminile. Un grosso passo in avanti fatto recentemente è stato quello, grazie ad un’atleta americana, di differenziare i contratti di sponsorizzazione, considerando la possibilità di gravidanza per