Vado ad patrem

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René Vuilleumier

Vado ad Patrem

«Entro nella vita» (s. Ter. di G. B.)


Proprietà letteraria riservata: © 2017 by Himmel associazione

Con approvazione ecclesiastica: D. Benedetto Calati, Priore Generale della Congregazione Benedettina Camaldolese, 1 giugno 1981.

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PREFAZIONE «Tutto è bene ciò che finisce bene»! È vero soprattutto della nostra vita terrena che deve meritare la vita eterna, la quale dipende dal nostro ultimo atto di volontà. Se questo è un atto di amore può riparare una vita fallita, come quella del Buon Ladrone. Se invece è un atto di ribellione o di disperazione può rovinare per sempre anche un Apostolo, come ce l’insegna Giuda. L’atto più importante nostra esistenza terrena è quello che la chiude e ci spalanca la vita eterna. Merita pensarci e prepararci. Fermiamoci su un tema di tanta importanza, meditando il pensiero di eminenti maestri, convalidato da luminose parole del Signore a una autentica mistica dei nostri tempi e che mi permetto di sottomettere al giudizio e alla riflessione del gentile lettore. (Maria Vatorta, Poema dell'Uomo-Dio, Quaderni del ’43 e del ’44).

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«ENTRO NELLAVITA)) 1-L’ARTE DEL MORIRE «Pretiosa in corspectu Domini mors Sanctorum ejus» La cosa più importante è di preparare, meritare una santa morte con una santa vita. Cristo solo c’insegna a valorizzare la vita e soprattutto la morte santificando la nostra anima col sacrificio di noi stessi che della morte fa l’atto «più prezioso, sublime della vita agli occhi del Signore» (Sal. 115,15). Bisogna fare di questo atto finale il capolavoro di tutta la nostra esistenza, cioè: non una fatalità come il pagano, non una disgrazia come il ribelle, ma un sacrificio come Cristo, per imitare, continuare, anzi, per completare il suo olocausto. «Completo nel mio corpo (fisico), ciò che manca alla Passione di Cristo per il suo Corpo (Mistico), la Chiesa» (Col. l,24). Il sacrificio è l’atto più sublime e lo scopo del Creato, perché ritorno, o meglio, trasformazione della creatura in Dio Creatore. «I nostri costumi pagani ci rendono timidi di fronte alla morte. Dalla nostra infanzia c’insegnano a temerla, a fuggirla a tutti i costi. Certo, è molto amaro e difficile morire, quando nessuno ce l’insegna, quando ingannano il moribondo fino all’ultimo per impedirgli di capire ciò che accade». «Uomo dell’eternità, il sacerdote deve proiettare sopra ogni cosa

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terrena la luce dell’aldilà, deve infondere negli altri il dono di pensare alla morte con ottimismo cristiano, con fiducia e gioia. Deve insegnare a guardarla con fede, soprattutto a valorizzarla come Cristo e con Cristo, facendone un sacrificio a Dio in unione e imitazione del sacrificio della Croce, per completare la Passione del Signore e la Redenzione del mondo» (Padre Gratry, Méditations inédites). «Oblazione finale, la morte è il sacrificio supremo cui bisogna prepararsi come il celebrante si prepara al sacrificio della Messa. È veramente una Messa la nostra morte, se viene unita alla morte di Gesù per la salvezza dell'Umanità» (Abbé Pereyve, Méditations sur les Saints Ordres, p. 70). Difatti, afferma il Card. Ch. Journet, «la morte del cristiano, considerata unita alla morte di Cristo, suo Capo, diventa un atto sacerdotale, un sacrificio propriamente detto». Anzi, aggiunge Padre Desurmont, «Cristo Sacerdote ha bisogno di noi, della nostra vita e morte, come di una sua umanità sopraggiunta, per completare col nostro il suo sacrificio e così integrare il grande sacramento»: la Chiesa, «sacramento universale di salvezza» (Lum. G. 48), frutto del sacrificio del Cristo totale (Capo e Corpo Mistico). «Bisogna vedere nella morte un sacrificio. Il corpo di cui Gesù fu rivestito nell’Incarnazione, fu per Lui solo materia di sacrificio. Lo stesso per il cristiano che partecipa al suo sacerdozio (col carattere sacramentale del battesimo, della cresima e degli Ordini sacri). Deve servirsi del suo corpo solo per edificare, beneficare gli altri. Ma l’uso principale da farsene è di sacrificarlo, di morire, morte iniziata nella castità, continuata nella penitenza, ultimata nella morte fisica» (Abbé Pereyve. Id). Per richiedere copie cartacee: cell.: 320.56.12.481 | email: info@profeti.net


«Dobbiamo mirare a realizzare l’ideale della morte cristiana, una morte cioè con Cristo Crocifisso. Una tale morte offerta in sacrificio potrà riparare tanto in una vita che allora ci sembrerà nulla o fallita. Prepariamola per non perdere il momento più prezioso della nostra esistenza, ma non aspettiamo l’ultima ora, quando indeboliti e sfibrati dalla malattia, non avremo più la forza d’improvvisare l'‘atto importantissimo di una morte pienamente cristiana e sacerdotale. Tutta la vita dovrebbe essere preparazione all’atto del morire, atto decisivo per l’eternità, l’atto più grande e fecondo della nostra vita» (Grimal, Le sacerdoce et sacrifice du Christ). «Come per Gesù, il nostro sacrificio verrà consumatosolo con la fine della nostra vita. Intanto, tutta la vita coltiviamo i sentimenti adatti all’ultima ora, offrendoci spesso in sacrificio a Dio. Così tutta la nostra esistenza diventerà preparazione al sacrificio della morte» (Padre Condren). In breve, il sacrificio della morte va preparata con una vita di sacrificio. «C'è una preparazione che facilita la morte: il distacco intero col quale un’anima si prova a morire in anticipo con l’abbandonare spiritualmente ciò che ha di più caro in questo mondo. Tale distacco non va confuso con la fredda indifferenza. La virtù del distacco ci porta ad abbandonare le cose che non cessano di esserci care. Quale migliore rimedio contro le tremende sorprese ed esigenze della morte come il prepararci pian piano con progressivo distacco interiore da tutti i legami terreni che ci riuscirebbe così difficile a spezzare d’un tratto tutti insieme!» (Pereyve). «C’è poi un mezzo semplicissimo di non più temere la morte, è quello di vivere uniti a Cristo che l’ha vinta e ce ne libera. Se Per richiedere copie cartacee: cell.: 320.56.12.481 | email: info@profeti.net


vivessimo il sacrificio di Cristo durante la vita, ci sarebbe facile viverlo anche in punto di morte» (Padre Sertillanges O.P.). «O Gesù, dammi la grazia di abituarmi a morire, lasciando spesso in spirito le persone e cose a me care. Non ti chiedo di amare nulla, o Gesù, che hai pianto Lazzaro e amato le sue sorelle, Marta e Maria. Ti chiedo solo quello spirito di sacrificio che ci fa abbandonare (internamente) tutto ciò che amiamo in questo mondo, sacrificio che rende 1'anima leggera e pronta a spiccare il volo quando scocca l’ora di salire più in alto. Arma il mio cuore, Signore, e fammi trovare nel tuo spogliamento sulla Croce quel distacco interiore che prepara una santa morte» (Abbé Pereyve). «Cristo ha tolto alla morte il suo veleno dacché ha subito la morte per meritarci la vita. Da allora possiamo unirci a Lui, come membra al Capo, per offrire al Padre un sacrificio sublime che attira su di noi le più abbondanti benedizioni celesti» (Scheeben). Sicché «la morte non appare più come un castigo, neppure come una dura necessità naturale o una penitenza, ma come il supremo onore che Dio possa concedere ad un uomo» (in quanto partecipazione al sacrificio di Cristo). Tale morte è lo scopo della vita per raggiungere con la nostra trasformazione in Cristo la risurrezione della carne e la felicità eterna. «Ringrazio Dio di avermi fatto la grazia di riconoscere la morte come la chiave della vera beatitudine. Non mi addormento mai, la sera, senza pensare che, pure giovane, posso non risvegliarmi, la mattina. Pensiero che non mi ha mai turbato, anzi, non ha nulla per me che di soave e di consolante. Ogni giorno ringrazio il Signore di tale felicità che di cuore auguro a tutti gli uomini, miei fratelli» (Wolf. Mozar,. il grande musicista). Per richiedere copie cartacee: cell.: 320.56.12.481 | email: info@profeti.net


«Se difatti, o uomo, sei polvere e tornerai in polvere» (Liturgia), perché il tuo corpo è materiale e la sua vita mortale; ricordati, o cristiano, che la tua anima è immateriale e la sua vita è immortale, soprattutto che la tua grazia santificante è soprannaturale e la sua vita divina, eterna. Per te, credente, la morte è principio, mezzo e fine: Fine della vita mortale perché immolazione corpo alla giustizia divina in sconto dei peccati specialmente carnali. Mezzo per raggiungere la vita immortale, se fai l’offerta dell’anima al Creatore in un atto di perfetto amore. Allora diventa principio della vita eterna, perché comunione con Dio nella gloria del Cielo. Immolazione del corpo, ablazione dell’anima, comunione con Dio, la morte cristiana è quindi un vero sacrificio, il sacrificio più completo, ossia di tutta la persona, e il più meritorio di tutta la vita, se viene unito al sacrificio di Cristo, nostro Capo e modello, sacrificio continuamente rinnovato sull’altare nella Messa per preparare il nostro sacrificio totale, finale, in punto di morte. Come fare della morte un sacrificio? Con l’ubbidienza che ne fa una immolazione del corpo, una ablazione dell’anima e una comunione, trasformazione in Dio o consacrazione.

Immolazione del corpo «Che gli altri debbano morire, è la cosa più naturale per me; ma che io stesso debba morire, non riesco a crederlo» (Xav. de Maistre).

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Perciò. ammonisce la Liturgia: «Ricordati, o uomo, che sei polvere e tornerai in polvere» (Mercoledì delle Ceneri). RICORDATI! «È una debolezza della mente umana che la morte che si presenta da tutte le parti e sotto tutte le forme, non si presenti quasi mai al nostro pensiero. Nei funerali, poi, non si sentono che parole di stupore perché sia morto un mortale... Ma il morto non è ancora nella fossa che i vivi hanno già seppellito il pensiero della morte»!1 CHE SEI POLVERE: «Come gelosa del corpo che ci ha dato, la natura ci fa capire in mille modi che non potrà lasciare molto tempo nelle stesse mani la poca materia che ci presta e che deve continuamente trasformarsi in nuove forme. Ne ha bisogno per altre opere». TORNERAI IN POLVERE: il corpo, perché materiale, é mortale: viene dalla terra e tornerà in terra. L’anima invece, perché immateriale è immortale: viene da Dio e tornerà a Dio. «Moltiplicate i vostri giorni, anni, e se volete, i vostri secoli! Accumulate in questo spazio di tempo, che pare infinito, ricchezze, piaceri, onori! Cosa vi giova? Poiché l’ultimo respiro, il soffio più debole di tutta la vita, basta per rovinare tutto quanto come un castello di carta, giocattolo dei bambini!». Poi, a misura che vengono sù, questi giovani sembrano prenderei alle spalle e dirci: «Largo, lasciateci il posto: è il nostro turno». E 1

«I mortali, non essendo riusciti a rimediare alla morte, si sono ingegnati di non pensarci. Così corriamo tutti nel precipizio dopo avere messo qualcosa davanti per non vederlo» (Pasca). Per richiedere copie cartacee: cell.: 320.56.12.481 | email: info@profeti.net


come noi abbiamo visto passare gli altri, altri ci vedono passare, i quali passeranno come noi. O Dio, cosa siamo mai! Se guardo indietro, nel passato, vedo una successione quasi infinita di secoli in cui non ci sono ancora. Se guardo davanti a me, nell’avvenire, vedo un’altra successione di secoli in cui non ci sono più. «Sicché la mia vita in questo mondo, pare un istante tra due eternità»! (S. Teresa di G.B.). Infine, di noi più nulla resterà sulla Terra. La carne cambierà natura. il corpo cambierà nome, lo stesso nome di cadavere non gli rimarrà molto tempo, perché diventerà un non so che, che non ha più nome in nessuna lingua. Tanto è vero che in noi tutto muore, perfino quella parola usata per indicare i poveri nostri avanzi» (Bossuet).

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Autore: RenĂŠ Vuilleumier Titolo: Vado ad Patrem Formano: 16,5x11,5 Pagine: 133


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