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Fondazione Piazzolla Sito Internet: www.fondazionemarinopiazzolla.it e-mail: fondazionepiazzolla@libero.it
Presentazioni, incontri, assegnazione premi letterari, concerti e altro
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SCOPI E STORIA La “Fondazione PIAZZOLLA” prende nome dal suo fondatore Marino Piazzolla, poeta, critico, filosofo, pittore. Nato a San Ferdinando di Puglia nel 1910, rimase orfano di entrambi i genitori in giovane età. Nel 1931 si recò in Francia, ove proseguì gli studi sino alla Laurea in Filosofia conseguita alla Sorbona. Negli anni Trenta lavorò alla “Dante Alighieri” a Parigi, ove conobbe Gide, Valéry, Sartre e tanti altri poeti e scrittori del tempo, collaborando come critico e poeta a prestigiose riviste letterarie francesi. Allo scoppio della guerra ritornò in Italia e nel 1945 si trasferì a Roma, dove fece parte della Scuola romana, dedicandosi alla poesia, alla critica e all’insegnamento e collaborando a diverse riviste letterarie tra cui in particolare “La Fiera Letteraria”, allora diretta da Vincenzo Cardarelli. Di lui si sono occupati i più significativi esponenti della critica militante ed accademica, ricevendo prestigiosi premi letterari. Dopo la sua morte, avvenuta a Roma nel 1985, per sua volontà testamentaria, fu istituita la “Fondazione PIAZZOLLA”, presieduta da Velio Carratoni, ente non commerciale e apartitico, riconosciuto dalla Regione Lazio nel 1988, con lo scopo di diffondere e tramandare la cultura letteraria contemporanea. In tale ambito la “Fondazione PIAZZOLLA” ha pubblicato molti testi di importanti autori italiani (Loi, Amelia Rosselli, Pagliarani, Pizzuto etc.) e internazionali (Valverde, Evans, Kirsch, Heaney, Batur, Adonis, Bonnefoy, Takano, Jaccottet, Zlobec, Hamburger, Akin, Xingjian ecc), ed ha assegnato borse di studio di critica letteraria a studi monografici e tesi di laurea, a ricercatori, studiosi e accademici. Ha anche riproposto opere antropologiche e storiche, aventi come punto di riferimento, la storia del mito, forme arcaiche di civiltà, da cui si sono generate arti e sviluppati spunti di riflessione in chiave critica o esistenziale. Ha inoltre assegnato riconoscimenti nell’ambito di importanti Premi letterari internazionali ad autori viventi o alla memoria come Germano Lombardi, Ferretti, Cacciatore, Vigolo, Giuseppe Guglielmi ecc. Ha presentato o riproposto poeti, scrittori e pensatori di chiara fama. Ha anche assegnato premi per opere prime di promettenti giovani autori.
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Marino Piazzolla
R IP R OP O S TE
Stiamo vivendo lo sfacelo della vita italiana Di seguito due testi di Marino Piazzolla. Si tratta di un’intervista a Antonio Delfini del 1959 e di un intervento su Corrado Govoni del 1970. Il primo affronta tematiche quali la classe politica, gli uomini di cultura, la rivoluzione scientifica e certo spirito di rivolta antesignano del ’68. Si parla di un processo di liberazione di cui si sentiva il bisogno già nel 1959. Delfini, alla domanda di Piazzolla, parla di non immediata ma prevista rivolta classica, antica e assoluta. Nel secondo pezzo si parla di Govoni. Del periodo romano, dopo che il figlio Aladino era stato trucidato alle Fosse Ardeatine. Piazzolla non sa frenare un certo coinvolgimento, ripensando forse a quanto lo stesso Govoni aveva detto di lui: “… Il Mattutino delle tenebre è una poesia… che se fosse stata scritta da uno di quei poeti che oggi vanno per la maggiore, avrebbero gridato al miracolo. Ma l’hai scritta tu, caro Marino, e resta miracolo per me. Se tu me l’avessi data a suo tempo, l’avrei messa al posto d’onore della mia antologia, da S. Francesco ai poeti d’oggi”.
Antonio Delfini: quella che ci sarà in Italia, sarà una rivolta classica, antica e assoluta [Allo scrittore Antonio Delfini, uno degli spiriti più liberi e originali della nostra odierna letteratura, abbiamo rivolto tre domande sui rapporti fra cultura e società e sul tema della «distensione».]
Perché in Italia esiste una frattura di carattere morale e civile tra la classe politica velleitaria e provinciale, e gli uomini di cultura, che quasi sempre subiscono, rimanendo perciò isolati, lo spirito dittatoriale di quella pseudo-élite di politici che non opera mai in senso storico e sociale ma in conformità allo spirito di conservazione? Questa frattura, secondo me, nacque in Italia poco avanti la Prima guerra mondiale. La Massoneria, già corrotta e solamente intesa alle grandi carriere positive, nepotizzò tutte le branche del potere, e fuse tutto poi nel fascismo. Se andiamo a vedere nel pedigree delle élites politiche (attualmente clericali o anticlericali parenti di clericali) vi troveremo sempre un papa o un uomo massone. Stiamo vivendo lo sfacelo della vita italiana.
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Gli uomini di cultura, isolati, sono spesso moralmente deboli e si dànno da fare talvolta ingenuamente e tal’altra interessatamente, per diventare simpatici agli uomini della élite politica. Vengono premiati con un po’ di pane, con delle donnacciole smesse o con un viaggetto all’estero. Non si può sperare che gruppi di uomini, furbi, agguerriti atei nel cuore, superstiziosi e spregiudicati sibariti, incompetenti di tutto, possano operare in senso storico e sociale. Mettiamo che siano una banda di cialtroni organizzati, non Antonio Delfini più colti ma soltanto appena eruditi e informati. Con quale spirito dovrebbero dunque operare se non in conformità alla conservazione della cialtroneria stessa? Magari avessero operato in conformità allo spirito di conservazione! Oggi l’Italia sarebbe a un livello morale, sociale e progressista superiore alla stessa Inghilterra!
In quale misura la distensione politica internazionale agevola lo spirito critico degli scrittori sia cattolici che socialisti, chiamati oggi ad assumere, senza timore di sorta, la responsabilità di rinnovare il clima morale ed estetico di tutta la società italiana, rimasta bloccata dalla guerra fredda e dal conformismo? A parte il fatto che il clima morale ed estetico della società italiana è bloccato dalla Controriforma, e non è mai stato sbloccato (appena smosso dai filosofi napoletani, da Napoleone, dal Risorgimento fino al 1959, da Benedetto Croce, da Marinetti ecc.) presumo che lo spirito critico degli attuali scrittori, sia cattolici che socialisti, sarà ben poco agevolato dalla Distensione politica internazionale. Lo spirito critico degli scrittori vive, anzi, agevolato dai molti timori. Se non hanno saputo o voluto assumere delle responsabilità quando era il caso di saperle e volerle assumere, che potranno fare senza timori di sorta? Che potranno rinnovare? La Distensione mi lascia però intravedere una speranza per l’Italia. Io credo (ma forse sogno) che ci sia in Italia un gruppo di scrittori (socialisti o cattolici poco importa) che non ha mai potuto parlare perché soverchiati dal bizantinismo, dal carrierismo, dall’intrigo, dal sotto-giornalismo, dal cupido servile spionaggio. Se questo tipo di scrittore, al quale da quarant’anni in Italia si tien chiusa Fermenti 454
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la bocca attraverso lo Stato, i sindacati intellettuali, i gruppi politici formalizzati e inideologici, attraverso gli archivi, le questure, i salotti ecc. ecc; se questo tipo di scrittore esiste, allora è lecito sperare che lo spirito critico italiano risorga e costruisca qualcosa per il bene del popolo. Che rapporto puoi stabilire tra la rivoluzione scientifica che sta preparando in modo perfetto le conquiste spaziali e lo spirito di rivolta (così scarsamente sentito in Italia per ragioni clericali) che dovrà iniziare, nella società italiana e internazionale, un autentico processo di liberazione? Caro Piazzolla, questa è una domanda terribile per me. Fino al lancio del primo Sputnik io pregavo (letteralmente e realmente) perché l’umanità non riuscisse a uscire dalla terra. Adoravo tutti gli incanti della vita umana del passato e volevo riviverli e desiderare che dopo di me si rivivessero. Ritenevo che non avrei potuto sopravvivere a un simile affronto alla vita umana. Però non sono morto, e sono passati due anni dal lancio del primo Sputnik. In effetti, il mio terrore e orrore che l’uomo uscisse dalla terra era dato dal fatto che io vivevo nel mondo occidentale dello squallido, ignobile neocapitalismo pseudo-parasocialista, gesuitico e ateo di questo dopoguerra. Mentre gli strozzini, il fisco, il parroco, gli imprenditori organizzati facevano soffrire la mamma, mi portavano via i miei quattro poderi, sradicando le querce antiche intorno alla casa della mamma, i borghesi pseudo-tutto della mia città mi sabotavano persino nel matrimonio e creavano intorno a me immaginari dossiers di luride questure e agenzie di informazione, e mi facevano comunista mentre io pregavo Cristo e mi facevano reazionario mentre mi battevo nell’Unità Popolare contro la legge infame della maggioritaria. Vivevo nel terrore, nello sgomento, nello sdegno, che banchieri e imprenditori privati arrivassero per primi sulla luna. Grazie a Dio (e qui bisogna proprio ringraziare Dio!) gli imprenditori privati sono rimasti a terra. Pensare che nel nostro ignobile ambiente occidentale c’era persino chi si era specializzato in diritto di proprietà spaziale… Caro Piazzolla, quello che ci sarà in Italia, sia pure fra molti anni se non subito, sarà una rivolta classica, antica e assoluta. Quella rivolta che da Roma in qua non si ebbe mai. Sarà l’ultima disperata rivoluzione nella storia umana del mondo antico. (a cura di Marino Piazzolla, in “Italia domani”, 29 novembre 1959)
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L’Italia odia i poeti Per Govoni, Roma fu un calvario […] È proprio a Roma che Corrado Govoni viene colpito da tre incancellabili dolori: la morte, alle Fosse Ardeatine, del figlio Aladino; la follia che si abbatte sulla sua sposa e infine l’immeritato esilio che lo fa solo: candido fantasma degno di una gloria che per lui si fa ormai sempre più lontana, estranea. Eppure, lo spirito di questo grande poeta, sia pure per vie misteriose, attinge forme e luci dalla città che, pur spietata e cinica, lo spinge a sopravvivere, a sperare soprattutto nella poesia. Lo affascina il silenzio delle notti romane, i rari usignoli all’alba, negli orti e sui pini favolosi delle ville: i nuvoloni, dopo i temporali, che egli paragona a velieri in rotta verso il giovine cielo con ciurme di angeli silenziosissimi. La sua immaginazione si appaga al Corrado Govoni contatto puro con le cattedrali, severe nella penombra delle sere; e le fontane gli ricordano i segreti di una bellezza liquida e musicale come le sue elegie. A Roma scopre il senso della morte che, in un’ora precisa e vitrea, cancella per sempre l’uomo e sul suo nome fa calare il duro oblio. Dal suo esilio egli si rammarica di vedere tutto, ma di non esser visto da nessuno. Ama segretamente e mai alcuno si ricorda di tanto amore. Ode lo squillo delle campane che si accompagna alla sua solitudine di vecchio sconfitto, pur sempre consolato, e per miraracolo, da una vicinissima fanciullezza attaccata al suo cuore. Roma si è creata nei secoli, varia e funebre, piena di improvvise paure e di squarci da schiantare; e Govoni si sente felice di far parte di questa orchestra solare e terribile. Infatti, il sole di Roma, l’ossessiona perché è fatto di una luce antichissima, piena di giorni che egli spera di poter vivere ma che la morte incenerisce subito nell’anima, lasciandolo nello sgomento. Roma creativa e Govoni creatore legati in un unico ritmo. Si pensa al candore di Virgilio contadino ch’entra tra le colonne del Foro e tace per la troppa favella che gli preme nel petto. Il campagnolo Govoni vede nel sole di Roma miliardi di spighe; accompagna con gli
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occhi tanto oro e, nascosto, incomincia a raccontarsi liricamente come un uccello che scopre il cielo adatto al suo canto. E questa volta sarà un canto funebre, un lamento: Quante croci ho portato in vita mia! / Croci d’amore, croci di poesia. / Tante ne vidi e tante ne portai / che persino le braccia in fiore al mandorlo / vidi alzar disperatamente in croce. / Ma la croce più perfida ed amara / è quella che ora porto nel mio sangue, / inchiodata con chiodi incandescenti: / la croce della povera tua bara.
Poi riprende con somma tragica tenerezza: Colsi un fiore sbocciato sulle Fosse / e un gorgheggio d’allodola dal cielo; / era i! fiore inzuppato del tuo sangue; / echeggiava l’orrore del tuo grido, / nell’angelico canto, figlio mio! / Li porterò immortali nel mio cuore / finché alla terra maledetta e al cielo I io non dirò: ecco, se puoi, li prendi. / il fiore insanguinato e l’alto grido I della carneficina. E prova a renderli / senza ribrezzo e voluttà d’amore, / senza terrore ai palpiti di un nido. (Da Aladino 1948)
È un canto lungo e straziante. Govoni immagina di udire la voce del figlio trucidato in quella maledetta fossa Ardeatina, in quella notte tragica piena del grido di trecento innocenti; e gli si gonfiano gli occhi celesti; e così dal suo cuore sgorgherà lamento più cupo: amore di padre sopravvissuto al figlio, caduto con la bellezza di un dio sul volto, cancellato nel buio di una grotta, finito nella morte, per sempre. E a Roma accompagnerà, da una stanza all’altra, la dolce compagna sepolta sotto i capelli sfatti da quella notte, ormai delirante, con l’orecchio attento ad ogni minimo rumore d’uscio. Intanto si è fatta bianca e, nella demenza, nega la morte: essa aspetta, da un istante all’altro, che il figlio rientri, come ogni sera, alla stessa ora, in silenzio. E in questo poeta lo strazio s’ingrandisce di giorno in giorno: al dolore che gocciola dai suoi occhi azzurri si aggiunge la visione quotidiana e tragica di sua moglie impazzita: se essa non ha più visto il suo Aladino tornare, è certa che tornerà: qualcuno busserà alla porta, sarà il figlio: apparirà anche dopo anni ed anni (per i colpiti da attonita pazzia il tempo si ferma sull’ora del dolore e resta esattamente fisso sopra un nome; e quel nome è Aladino). Govoni invece sa che suo figlio non potrà più tornare; ma non dice nulla, non osa confessarle che è morto: morto in quella notte orribile e terribile. Lo ripete soltanto a sé quasi con pudore e si lamenta in silenzio, Fermenti 457
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sciogliendosi in un pianto interminabile che lo colpì di parole celesti. Si affida allora e come sempre, alla poesia e si allontana dalla vita, dal rumore del mondo, dalla fossa romana in cui anche lui muore un po’ tutti ì giorni, soffocato dalla solitudine, dall’oblio. Roma è per questo poeta un luogo di calvario. In un clima di amarezza e di ceneri scrive il suo poemetto L’Italia odia i poeti. Avrebbe dovuto scrivere Roma odia i poeti, perché fu a Roma che egli ebbe la rivelazione della morte vera e del dolore. Fu Roma ad operare in lui la metamorfosi, il passaggio dalla felicità d’una poesia dispiegata con geniale impeto lirico alla poesia che scandisce una segreta desolazione, su cui la parola si fa epigrafe e preghiera. Gli angeli della notte lunga gli parlano dal bianco dei muri silenziosi ed egli ascolta se stesso, mutato da un tragico lamento senza eco. Scrive e colloca ogni immagine in una spelonca paurosa; ma la poesia non l’abbandona. Se egli vive la sua vecchiaia come un relitto, la musica del verso, da un inverno all’altro, gli fa compagnia: pane quotidiano, sua debole speranza. Poi il sole si ritrae nell’abisso azzurro, Roma si nasconde dietro i tetri burocrati della gloria e il povero Govoni, di periferia in periferia, si ritira, ormai dimenticato, nell’eremo di Pomezia. E qui scompare, – angelo del silenzio, – in se stesso, e per sempre. (Marino Piazzolla, da “Persona”, 1970)
La Biblioteca Nazionale di Roma ha reso esecutiva l’acquisizione del materiale bibliografico-archivistico appartenuto al poeta Marino Piazzolla. Tale materiale è entrato a far parte del patrimonio dello Stato italiano. I documenti in questione, selezionati e valorizzati, costituiranno il Fondo Piazzolla di interesse letterario-filosofico che documenterà inediti e particolari aspetti della vita culturale del ’900.
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L’Autore proteiforme
IN T E R VIS TA
Intervista a Gualtiero De Santi Il 28 marzo 2007, con il patrocinio dell’ Assessorato alla Cultura e Turismo del Comune di Urbino, ha avuto luogo un incontro con Gualtiero De Santi, docente presso l’Istituto di Filologia Moderna dell’Università degli studi “Carlo Bo” di Urbino. Tale incontro, curato da Vitaliano Angelini e svoltosi nella sala della Fondazione “Leonardo Castellani” del centralissimo collegio Raffaello, rientrava nell’ambito delle manifestazioni artistiche e letterarie celebranti il decimo anno di attività di “URBINOARTE: arte, cultura e conoscenza” (l’associazione degli artisti urbinati). Argomento della manifestazione è stata la presentazione del volume: Le stagioni francesi di Marino Piazzolla, mandato nelle librerie dalla editrice Fermenti nel dicembre 2006. L’incontro si è avvalso anche della scrupolosa introduzione della scrittrice urbinate Maria Lenti e di successive considerazioni dello stesso Gualtiero De Santi sulle quali si è poi sviluppato un breve dibattito. Il libro in questione si sofferma a considerare, in modo particolare, il decennio che va dal 1931 al 1939, attraverso l’analisi delle prime pubblicazioni in lingua francese di Piazzolla e la sottolineatura dei rapporti e delle frequentazioni letterarie del poeta pugliese nella Parigi di quegli anni. In quel periodo, infatti, Marino Piazzolla ebbe modo di conoscere Paul Valéry, André Gide, Reverdy, Claudel, ecc. e di commisurarsi con le grandi correnti poetiche parigine. In particolare, come nota Renzo Paris nelle breve introduzione al saggio, De Santi “confronta la poesia di Piazzolla con quelle del Santuario poetico Otto-Novecentesco, non soltanto francese o italiano” e, con specifica attenzione, approfondisce il rapporto dello stesso poeta con gli ermetici francesi e con gli autori surrealisti e d’avanguardia, distinguendolo tuttavia chiaramente per la propria autonomia. Il pubblico particolarmente motivato, pur nella eterogeneità generazionale, ha visto una notevole partecipazione di giovani studenti. Vitaliano Angelini
Cosa rappresenta per te la ricerca critica su Le stagioni francesi di Marino Piazzolla? Sono anni che si sostiene doversi fare una rilettura del Novecento, ed insieme una sua riscrittura critica. Il lavoro svolto sin dagli anni ’50 da un Fermenti 459
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Pasolini, e accanto a lui ovviamente da altri (ancor prima ad es. da un Giacomo Debenedetti), ha ridisegnato la mappa della nostra letteratura. Non esisteva evidentemente il solo ermetismo – se si sta alla poesia – e all’opposto non mancava una letteratura narrativa e saggistica in grado di offrire un ritratto ricco e soprattutto Gualtiero De Santi più attendibile della nostra cultura. Una cultura che è rimasta forzatamente provinciale a causa del fascismo ma anche in ragione di una tabe accademica che si deve far risalire a molti secoli prima (tabe e vizio contro cui gli italiani erano stati messi in guardia da Madame de Staël nella nota lettera sull’Utilità delle traduzioni già agli inizi dell’Ottocento). Sia che fosse influenzata e schiacciata dal naturalismo nella narrativa a cavallo tra Otto e Novecento, e sia che la rinascita della nostra poesia avvenisse sotto la pressione della rivoluzione simbolista – nella linea Baudelaire-MallarméValéry che giungendo ad Ungaretti fondava anche da noi ciò che in tutto il mondo si chiama poesia pura ma che da noi va sotto il nome di ermetismo – la nostra letteratura è rimasta discosta da quanto avveniva in Europa; ma questo non ha significato che tutti gli autori le fossero rimasti estranei. Non Moravia e Zavattini – per dire di uno scrittore un tempo letto e riverito su cui oggi pende una sorta di damnatio memoriae, l’autore de Gli indifferenti e La noia; e di un altro scrittore, Za appunto, la cui genialità non è stata ancora interamente acquisita e riconosciuta almeno per ciò che concerne la letteratura – i quali si spiegano perfettamente nel quadro europeo, dove è facile leggere i legami che essi intrattengono, magari anche involontariamente, e di lì il grado esatto della loro creatività. Insomma, aprirsi comparativamente ad un ambito più vasto era necessario per capire il primo Piazzolla ma anche per capire il seguito – tutto italiano – della sua vicenda artistica. Ed è stato questo soprattutto un modo per utilizzare una metodologia – appunto comparativa – che oggi è persino ovvio avere in conto ma che in Italia, specie nelle università, continua a restare ai margini nonostante l’enorme sviluppo registrato in Francia, nei paesi anglosassoni e persino in Oriente: un modo che rivendicando la qualità di un autore poneva ugualmente la necessità di un mutamento di registro critico. Nel sottotitolo si accenna a “Il romanzo della formazione negli anni dell’anteguerra”. Fino a che punto si è formato a Parigi negli anni dei suoi studi? Fermenti 460
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Esiste un primissimo tempo – adolescenziale e direi quasi impubere – della formazione culturale di Marino Piazzolla che si può agevolmente ricondurre ai suoi anni scolastici in Italia, e forse anche a prime letture. Un iniziale movimento e approccio che però porta a relegarsi entro una dimensione di provincia chiusa, in un meridionalismo letterario asfittico e folcloricamente ovvio, e dove giunge l’eco spenta dei poeti e degli scrittori che si studiavano allora e che si sarebbero continuati a studiare in classe (Pascoli, ad esempio). Un Piazzolla solo affisso a questa condizione e a questo spazio non avrebbe trovato il giusto respiro: non sarebbe forse uscito dal bozzolo di una vocazione priva dei necessari stimoli e correttivi. Piazzolla diventa invece poeta a Parigi, città in cui incontra la poesia moderna e dove prende a orientare la sua stessa scrittura (il che avviene con la prova diretta della lingua poetica francese, mutuata dagli autori grandi e piccoli, dai classici conclamati come dagli autori giovani). Il cosmopolitismo parigino non distrugge tuttavia la sua natura, ma bensì la affina, la fa più convinta e la sostiene nelle proprie ragioni interiori. Ma soprattutto la poesia francese è per Piazzolla il vero confronto con il linguaggio lirico e con la sua modernità: un bagno nella Senna per rinvenire se stesso senza nondimeno smarrirsi, anzi direi per finalmente trovarsi. Come ha assimilato la poesia francese? Mi verrebbe fatto di rispondere: respirando l’aria francese, parigina. Ma mi rendo conto che si tratta di una risposta un po’ scontata, e comunque generica. Piazzolla viene dalla provincia italiana e giunge ancor giovane in uno dei centri della cultura mondiale: il suo bagaglio culturale è la vocazione poetica, non molto rispetto ai modelli e agli autori che vede agire sotto i suoi occhi e che a un certo punto prende a frequentare anche con una certa assiduità; ma molto se si pensa che a questa sua natura egli voleva restare fedele. Per natura intendo ovviamente la sua sensibilità e il modo peculiare di leggere il mondo poeticamente: in una forma accesa, radiante. La Francia – la linea su ricordata che muovendo da Baudelaire giunge sino a Mallarmé e a Paul Valéry – gli fornisce l’asse su cui innestare il suo fervore latino e mediterraneo. E infatti il suo percorso finisce proprio con Quasimodo, come ci ha insegnato Michele Dell’Aquila: ma il punto d’approdo non sarebbe possibile senza il tragitto antecedente. Insomma, Piazzolla capisce le ragioni della poesia moderna; le vive culturalmente, intimamente; le sperimenta, ma per perfezionare la sua forma; è insomma un poeta mallarmeano e valerista nel senso che comprende a fondo le ragioni di quella poesia, ma non la ripete e neppure la copia. Fermenti 461
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Come recita un verso di un poeta brasiliano, rifiuta l’accademismo e la mimesi per usare la poesia in una forma pura. Diciamo che la sua scrittura è il prodotto di un attraversamento, il cui fine è però altro rispetto alla poesia ermetizzante. Pura è la poesia in sé (e questo è il maggior insegnamento desunto da Mallarmé), ma a condizione che la si svincoli da ogni gabbia formale predeterminata, dunque anche da quella dell’ermetismo e dei suoi modelli d’oltralpe. Cosa, invece, secondo te, non ha compreso di quegli autori frequentati, letti o studiati? Non direi che Piazzolla non abbia compreso gli autori letti o studiati (fanno fede al riguardo i suoi numerosi interventi critici, specie negli anni successivi). Li studiava e li afferrava bene, accogliendone le ragioni estetiche che per via breve direi le ragioni di una poesia realmente al passo coi tempi; se ne serviva intellettualmente ma senza conformarvisi. C’era in lui una fedeltà a ragioni antecedenti che il rapporto con i francesi ovviamente giunge a perfezionare e finalmente a davvero cementare. Ad esempio legge e frequenta i surrealisti, ne afferra la reale dimensione: ne tocca con mano quelle tangenze che lo riguardavano e che riguardavano, rafforzandola e facendola crescere, la sua scrittura: ma non diviene surrealista. Idem per il valerismo, per il pointillisme apollinairiano, per Reverdy: tutte occasioni per spronare la sua inventiva e perfezionare la scrittura lirica, ma anche per farla lievitare dall’interno comprendendo le ragioni che muovevano i diversi movimenti d’avanguardia e non, attivi a Parigi o sulla scena francese. Lo reputi un epigono o un innovatore, sempre in riferimento a quegli anni di formazione alla Sorbona e di frequenza di tanti autori che tu elenchi? Né epigono né innovatore. Intendiamoci: Piazzolla fa impiego di un bel francese e di una scorrevole lingua poetica (e in questo ha ottime doti di mimetismo, o per meglio dire di convinta assimilazione); certi suoi versi e alcune composizioni sfumano dentro il quadro della poesia francese, ne riprendono motivi, immagini, stilemi, azzardi e rarefazioni. Ma alla fine, come ho detto, torna ad essere se stesso, o meglio arriva ad essere se stesso. La Francia è per lui una sorta di bagno purificatore: un tramite che può consentirgli di essere un poeta disposto all’affronto della poesia; un passaggio dunque determinante, irreduttibile, necessario in una buona misura (anche se va ricordato che gli scrittori di riferimento investono il Fermenti 462
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quadro della poesia europea dai lirici greci a Dante, da Leopardi e Hölderlin agli autori novecenteschi). Ma un passaggio da cui imparare ad essere poeta, senza per questo cedere ad alcuna imitazione. Quale metodo hai seguito per occuparti di lui? Ho già detto di aver utilizzato una metodologia d’ordine comparativo, che potesse far capire cosa era arrivato a Piazzolla – alla sua scrittura – dalla letteratura francese e come egli avesse con quest’ultima interagito. Il processo critico condotto sui testi ha mostrato quanto della poesia dei francesi era entrato nella testualità piazzolliana e cosa invece fosse rimasto in seme, germinando verso altre direzioni. In più – descrivendo e inseguendo questa sua straordinaria avventura parigina – ho potuto ricostruire per segmenti, sempre angolati su di lui, tanti dei momenti cruciali della nostra civiltà e cultura europea. Esaltanti e emozionanti per me, che mi sono formato intellettualmente a un cespite francese attraverso il quale – quasi come Piazzolla – prima ho recuperato la cultura italiana e poi mi sono volto ad altri terreni: segnatamente il mondo tedesco e la filosofia. Tra i critici o lettori di poesia del periodo successivo, fino ai nostri giorni, chi ha capito di più o di meno Piazzolla? Si tratta di una domanda avventata e complessa, poiché tanti si sono occupati di Piazzolla: molti fraintendendolo o limitandone le prospettive, certuni realmente cimentandosi con la sua opera. Ho ricordato sopra Dell’Aquila – e in fondo è lui che ha tracciato le linee larghe in cui collocarlo (e dove è collocabile anche la sua prima fase francese). Ovvio poi menzionare René Méjean, e anche per certi tratti un Rosario Assunto, poi Antonella Calzolari e Dario Bellezza. Ma mi preme ricordare María Zambrano (che tuttavia non ha fatto in tempo a studiarlo davvero pur cogliendone certe suggestioni estetiche non laterali: Piazzolla sarebbe stato un poeta perfetto per le sue analisi e le sue prospettive ermeneutiche). Il pensiero Fermenti 463
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zambraniano potrebbe essere oggi una traccia valevole per leggere in profondità Piazzolla. In più riconducendo alla piena evidenza che si tratta di un autore con una densità di pensiero estetico e filosofico, che non va affatto sottratto alle sue opere (come ha ben capito Donato Di Stasi nella sua importante e anche decisamente illuminante monografia sull’autore pugliese). Un tuo giudizio sulle iniziative promosse dalla Fondazione che porta il suo nome. Il giudizio è ovviamente positivo, anzi decisamente positivo. La promozione degli studi sull’opera e sulla personalità piazzolliana è ovviamente molto apprezzabile: ha saputo portare a diverse cose di rilievo, direi. Ma per stare nell’ottica entro cui mi sono personalmente mosso, trovo alquanto importante lo sprone offerto alle traduzioni e a ricognizioni critiche non limitate al nostro quadro nazionale, e non limitate alla sola testualità letteraria. Piazzolla è anche un pittore, o almeno un disegnatore; e la sua poesia, la sua scrittura, presentano alcuni risvolti di ordine fonico e teatrale che andrebbero valorizzati sulle tavole di un palcoscenico (un lato evidenziato con chiarezza dalla rappresentazione di Hudèmata data quasi un anno fa a Roma). Tra le opere da lui scritte quali ti convincono di più? Non per ripetermi: ma mi piace il suo periodo francese. E sono attratto dalle opere nelle quali prevalgono il paradosso e la dismisura, il pensiero e la caoticità della materia. Segnalo per brevità I detti immemorabili di R. M. Ratti e Lettere della sposa demente, e insieme ad esse la citata Hudèmata. Pensi che dalla Francia, in archivi o biblioteche, possano pervenire altre documentazioni utili a capire di più l’autore di Lettere della sposa demente? Il riferimento riguarda non solo gli anni della formazione ma anche l’intervista alla Radio Francese a puntate del 1978. Forse non c’è moltissimo, ma qualcosa – come del resto tu stesso sai – ancora rimane da esplorare e indagare. E chissà che non emergano ulteriori aspetti della personalità di Piazzolla. Una personalità in fondo proteiforme, ambigua, tormentata, che dunque potrebbe riservarci ancora qualche sorpresa. (a cura di Velio Carratoni)
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Corso Monografico Anno Accademico 2007-2008 Università degli Studi di Urbino
Cattedra di Letteratura Italiana - Modulo II Durata semestrale: 30 ore. Titolo corso: UN OUTSIDER DEL NOVECENTO: MARINO PIAZZOLLA Corsi di Laurea in: Lingue e civiltà orientali. Prof. Gualtiero De Santi (gualtierodesanti@virgilio.it) Obiettivi formativi: la lettura di Piazzolla consente di approfondire momenti importanti della cultura artistica del Novecento. Programma: 1) Il Piazzolla francese. 2) Poetica e scrittura. 3) Lettere della sposa demente 4) Hudèmata Modalità didattiche: insegnamento frontale con seminari, proiezioni di film e video, esecitazioni. Testi di studio: M. Piazzolla, Lettere della sposa demente, Roma, Fermenti, 2007. M. Piazzolla, Hudèmata, Roma, Fermenti, 2006. G. De Santi, Le stagioni francesi di Marino Piazzolla, Roma, Fermenti, 2006. G. Ferroni, A. Cortellessa, I. Pantani, S.Tatti, Storia e testi della letteratura italiana, vol. X . Ricostruzione e sviluppo nel dopoguerra (1945-1968), Milano, Mondadori Università, 2005, pp. 93-99 ; 110-119; 125-126; 131142; 345-371; 403-405; 441-463; 511-519; 583-588; 597-598. Modalità di accertamento:
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Esame orale su programma del singolo modulo, con una prova scritta del valore di 3 crediti, non propedeutica, che verterà su argomenti del corso. Informazioni aggiuntive per gli studenti non frequentanti Testi di studio: Per i non frequentanti, è richiesta inoltre la conoscenza di: D. Di Stasi, Frammenti di lucido delirio - mito, sogno, follia in Marino Piazzolla, Roma, Fermenti, 2002. Modalità di accertamento: Esame orale su programma del singolo modulo, con una prova scritta del valore di 3 crediti, non propedeutica, che verterà su argomenti del corso.
La marche à l’Etoile: le monde du poète Marino Piazzolla Recuperate le registrazioni delle interviste rilasciate da Marino Piazzolla a Radio France, sezione France Culture, a cura di Q. Thomas Germain, E. Schlegel e J. Couturier. Le conversazioni sono andate in onda dal 2 al 5 maggio e dal 26 al 30 giugno del 1978. Alcuni argomenti trattati: il pensiero filosofico e la poesia di Marino Piazzolla, la logica sferica, il misticismo di Dante, la società contemporanea tra capitalismo e comunismo, la creazione di personaggi femminili, il gioco dell’immaginazione, la morte e l’immortalità, il sacro nell’arte, ecc.
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Domenico Cara
IN T E R VE NTI
Un’arsa serie di fulmini (e solstizi) Ogni aforisma è un alito di vita se la genericità vignettistica o grossolanamente sentenziale non occupa “lo campo” dell’evento mistificato, la qualità specifica della riflessione attenta, l’informazione precisa e il prodigio della possibile raffinatezza. Il calcolo astratto della brevità può non generare scintille, usi, a volte magici, di sensibilità e quindi senza particolare volto e immaginazione, messo in atto dall’implicita passione e dall’attacco improvviso, non forzato o soltanto obbediente a segnali vanesi, colti perché la moda ormai colpisce un po’ tanti esecutori d’opera, complici – ovviamente- di ogni deriva e colore La bellezza ha i suoi fulmini bianchi impercettibile. di Marino Piazzolla Marino Piazzolla, autore di microtesti prima della cosiddetta moda brada, e prima di ogni genere di scrittura versata sul principio di fulmineità, salva con l’aforisma ogni pericolo relativo a questa pratica un po’ emotiva, un po’ poetico-filosofica. Intanto perché le linee di frattura sentono attivo un dinamismo consecutivo, che corrisponde all’umano, e quindi all’intellettualità umile, contratta, fluente nella mobilità della sua immediatezza (senza produrre opacità o svolgimenti sacrificali non immediati). Poi, o simultaneamente, perché le energie adottate dalla verve personale consentono velocità di sintesi e di destino poetico, e un esemplare sistema di crescita che si sviluppa in una serie proliferante di espansioni, ma senza eccessi visivi e contenutistici, corrispondenti alla propria, naturale spontaneità ritmicamente felice, tra agonismo tematico e scambio ordinato d’intenti e di fermenti concreti di sensi, di dissensi, di conoscibilità del mondo, quasi non abbia alcuna necessità di ricorrere al Fermenti 467
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simbolo e alla metafora comunque partecipati e legittimi. Il tutto dovuto ad una realtà di rari solstizi. Marino Piazzolla conferisce a questi inediti stabilità nervosa e in tutto raccontata, accoglie nei suoi ascolti rivincite di modo duttilmente presente nel recente “I detti memorabili di R. M. Ratti”(2001), nelle cui fonti l’immagine di favola è spinta fino alla prova definitiva della scommessa (limpidità, ipotesi realistica, modo del dire espresso sotto forma di monologo libero, automatico, verità assoluta interrogata nella contingenza personale e felicemente comunicata e inventiva). Aforisma dopo aforisma, ecco l’apparizione di uno e tanti enigmi, del problema sostanziale, rettificato per la medesima meditatio del lettore, l’allusione ad una levità sospesa, smarrita, il punto di vista rappresentato nella purezza garantita non soltanto dalla riga solitaria o isolata, ma dal congruo potere di ritrovare nelle contingenze del rigore letterario, l’individualità e l’ideale destino di come un diario aforistico possa diventare progetto e proposta morale, sogno biografico, paura stilizzata, sospetto di una soluzione, qualcosa di razionale, memoria ordinaria e cruciale, fornita di elementi di consumo quotidiano. In più atti di sbigottimento che spesso scelgono il tacere e che la scrittura evidenzia in aspetto eremitico, quasi la parola sia inutile alla spiegazione dei concetti (scritti o gestuali) diffusi, comuni, o imposti dalla storia dei linguaggi e qui riproposti come mediazione continua, mai selvaggia, a verbosità casta, ad osservanza interiorizzata. Quasi per calmo egocentrismo o per vocazione a riflettere sul viaggio e “la bellezza (che) ha i suoi fulmini bianchi”. Così, puntualmente, egli reagisce alle consolazioni che mancano in ogni civile percorso e il silenzio non del tutto riesce a distillare o rendere molto disadorno il movente assai deserto. E’ questa la sua istanza che geme e colora la stretta misura della voce, moltiplicata da parallele modalità di testimonianza, non in più stili, né in più conflitti, ma per misure specifiche, in lui naturali e non speculari o mediati soltanto dall’esperienza. L’abisso, in cui l’uomo d’oggi vive, diventa un luogo di espiazione e il poeta – filosofo detta le tracce per sfuggire a nuovi errori. Le impronte, diventate scaglie editoriali, ormai famose, e tutte in superficie per l’intesa collettiva non oscura, né disciplinare, ricuce un pacato materiale come punti di fuga fecondi, inarrestabili, attivi, non luci morte o pallide curiosità. Marino Piazzolla indica nei suoi discorsi convenzionali un alternarsi di prosa e di versi senza divieti, in libertà colma e assidua. In principio Fermenti 468
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era il verso e quindi la poesia, poi ha proposto la prosa in più linee e snodi, ha concorso con una folta dose di “Confessioni sul viaggio di andata”(1972) in cui disegna le proprie rivelazioni liriche, icastici bisbigli, quasi in una metamorfosi infinita dove scorrono emotività, squarci di conoscenza, attenzioni alla vita. In un raccontarsi per distillazioni assolute ed estrazioni, non direi brusche e audaci, impostate su figure disincantate, allegorie parziali, stati materici sfumati, e come effetti di luce e d’ombra, un “quasi diario” di fiuti e di rifiuti, ascolti intimi, rappresentazioni di inestensiva durata e potere, in cifra alquanto recitativa e scevra di qualsiasi ideologia. L’intensità non si scorge mai nei suoi testi, perché essi sono avvolti da una coltre di semplicità permanente, colta, mai stanca e, se mai, dedicata all’uomo di cui traccia apparizioni, risorse spontanee, attraversamenti umorosi, spinti come bagliori quieti. Nel clima di questi frammenti, direi infiniti, anzi a irradiazione totale, senza eccessi laboriosi nella relazione comunicativa, i misteri di rapidità sono consonanti alla menzogna logorroica del nostro tempo e opposti ad esso. Ma comportamento corrispondente alla scoperta e riscoperta di un’individualità non travestita, fondamentale alla conoscenza di se stesso e di quel pubblico lettore che è possibile intercettare, grazie alla tersa felicità dolente di rappresentarsi per essenze fertili: l’amore, il male, la luce, la bellezza, i dati di fatto, la terra in cui vive, la speranza e il sogno. E una molteplicità di temi abituali che scorrono interattivi, nei quali Piazzolla (come ognuno di noi) è protagonista, peraltro offrendo distinte testimonianze e valori esistenziali, a forma di processo e combattendo sensi, colpe e nausee. Ecco nel –minimo –libro alcuni momenti e movimenti della sua inesausta scrittura, ovviamente a rarefatta addizione ed esempi marginali. “Sono da questa parte. Attendo un fulmine sulla fronte”. ”Io, più stanco degli altri, a leggere l’enigma.”. ”Vieni e saremo in due a cercarti”. ”Non temermi: sono soltanto di passaggio”. “Tace il cielo fino alle nostre orecchie”. ”Ti do gli occhi: dammi tu la luce per guardarli”. ”Mi do del tu per non essere solo e altrove”. “Io di qua ma ovunque l’infinito”. ”Ho messo la maschera: voglio che mi vedano meglio”. “Sarò breve: non si riempì la bocca di noia”. “Ascoltatemi dopo: fatemi prima scomparire”. E, in propositi familiari(e di diffusa postumità), Marino Piazzolla (di cui ogni tanto mi leggo la nostra corrispondenza estimativa) assiduamente intrattiene il lettore che si fida del suo dolore, degli eccessi involontari, Fermenti 469
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che si estrinsecano in un rapporto consecutivo, impressionante, quando scova occasioni ed ipotesi che lo fanno amare. Questo pugliese di Roma e di Francia, ancora solitario protagonista delle sue estasi, degli stati di illuminazione, è tuttavia operativo come quasi nessun altro contemporaneo lontano dalla cultura ufficiale, deciso anche dopo la morte a non lasciarsi ignorare, trascinato oltre l’arca, perché viva di ciò che ha scritto e pensato, qualunque storia abbia combusto senso del mondo e singolare innocenza espressiva, febbre segreta e occulte delizie dello scrivere amaro e audace, che rappresenta nell’ancor postmoderno l’equilibrio del desiderio, senza finzione o disamore, e in tutto mediterranea entità ad alta dimensione, non secondaria ad ogni altra umanità. Domenico Cara
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Ruth Mezzolani
IN T E R VE NTI
Pensieri su Lettere della sposa demente Mentre leggevo Lettere della sposa demente mi è venuta in mente una canzone che amavo ascoltare alcuni anni fa: parlava di una donna che aveva giurato di aspettare in eterno il suo amore partito per mare. Lui non fece mai ritorno ma lei lo attese per tutta la vita, guardando il mare, fino a che impazzì, e i suoi capelli divennero bianchi, fino a che il mare stesso si trasformò nel suo amore. L’immagine dell’amore congiunto alla follia ha spesso dato vita ad immagini di questo tipo che riempiono la letteratura, dalle tradizioni romantiche fino, in maggior misura, alle tradizioni popolari e alle fiabe. Da un lato, la donna fragile e vulnerabile, un fiore delicato da proteggere o, nel peggiore dei casi, un oggetto di proprietà da rinchiudere, dall’altro, la donna forte ed in contatto con il segreto più oscuro della vita stessa che ha sempre suscitato quella paura che deriva dalla non conoscenza, dalla non intelligibilità dell’essenza stessa del femminile e dall’idea che le donne siano creature più facilmente in contatto con la sfera “mistica” del conoscibile. Malgrado ciò la poesia di Piazzolla non è ascrivibile ad una poesia di genere: il poeta non cerca di riassumere il punto di vista femminile della sposa ma la utilizza come strumento per parlare direttamente attraverso la poesia, che non ha sesso. Ecco che la sposa demente rinchiusa fra quattro mura contiene dentro sé lo stesso poeta che, come un Albatro racchiuso all’interno di un corpo goffo e sgraziato, sceglie lo stato della follia per sfuggire al mondo e per parlare con la voce assoluta della poesia, che è elemento reale e divino allo stesso tempo, ed è il tramite fra i due mondi paralleli che la donna abita. La stanza ove si trova rinchiusa la sposa e la sua mente sono lo stesso luogo, la vita vera si muove intorno ma è in secondo piano poiché lei ne è appena partecipe: i suoni e le immagini che provengono dalla realtà sono flebili e fugaci, senza intensità, al contrario delle sue immagini interiori. È sì vero che sono gli stimoli esteriori a provocarle le più intense emozioni, ma questi vivono ed esplodono esclusivamente all’interno della sua mente, in combinazione col suo amore. Sono lo scenario, l’ispirazione onirica Fermenti 471
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della sua demenza, e al di fuori di essa non hanno quasi significato: Talvolta penso di perderti M’invade allora il delirio: Il sole si spegne, Non odo nemmeno il mondo che mi chiama. Io, muta, m’abbandono Soltanto in una immensa oscurità. (M. Piazzolla, Lettere della sposa demente, Fermenti Editrice, Roma 2007, p.21)
Anche gli elementi naturali che la circondano sono parte della sua follia e la sospingono verso il suo amore: Io sento che tu m’ami. Lo dice il sole, l’albero fiorito: Lo dice il gallo al sommo della notte. […] (ibidem, p.15)
Ma quando l’amore svanisce esiste solo una immensa oscurità. La musica è un elemento ricorrente e fondamentale del delirio onirico della sposa. La musica assomiglia alla poesia: sono due supporti che permettono di comunicare con l’amato in quanto entrambi sono assoluti e quasi divini. Non appartengono alla realtà ma abitano uno spazio che la sposa raggiunge quando incontra il suo sposo. Ugualmente il poeta raggiunge questo spazio assoluto attraverso i suoi versi che sono musica. Confessa Piazzolla stesso nella nota che funge da introduzione a E l’uomo non sarà solo (Ceschina, Milano 1960). Io ho capito appena che la mia poesia è anche musica. Non posso scrivere, cioè raccontarmi, che dando alle parole la stessa instabilità quasi arcana delle note. I significati li attingo dal mio tempo vissuto. L’esperienza reale, ormai lontana, me ne dà il tono. Il tono delle mie parole è l’unico contenuto possibile: esso è la mia qualità d’uomo che si colloca in una sintassi tutta musicale. Non so comporre che fra toni alti e bassi, proprio come accade nella musica. Le parole comuni si riempiono allora del mio battito. Esse, lo sento, hanno sangue e vibrano nella mia voce, vivono con me. Le ho lasciate maturare nel mio tempo d’uomo e conservano di me le tracce più segrete e remote. Fermenti 472
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Ma a dispetto del “coro” di voci, della musica e del canto che la circondano, il suo amore è muto, muto come l’attesa palpitante della sua venuta: Oltre i vetri c’è un albero che trema E, più distante, un’ala di colomba, Che sembra una tua lettera volata. C’è una casetta verde e, in fondo, un pino Che si piega, dolcissimo, sul colle. Manchi tu solo In tante cose mute Che annunziano il tuo amore. (ibidem, p.23)
Il suo nome, il nome dell’amato, è legato a lei e a lei soltanto: Lontana più che mai La vecchia luna Veglia sul volto Che declina, appena Sul tuo nome, Legato alla mia voce. (ibidem, p.23)
La sua passione dunque può essere vissuta solo in sogno, luogo ove le è possibile incontrare il suo amato. Come afferma Paola Culicelli in un suo saggio, Lo specchiamento di Nàrkissa, “l’uomo è infatti una chimera partorita all’inconscio della donna. Egli sorride alla sposa come se si trovasse dentro di lei: è propriamente un sogno che si genera nell’intima ombra dell’anima” (sito web www.fondazionemarinopiazzolla.it). L’amore che emerge dalla speranza nell’arrivo dello sposo illumina tutto il testo: “nonostante la sposa esprima dolore, oblio, insopportabile assenza, non smentisce l’ipotesi di speranza che circola in ogni frammento lirico, in ogni proposizione catafatica o apofatica della scrittura di Piazzolla” (Donato Di Stasi, Un intellettuale europeo: Marino Piazzolla, sito web www.fondazionemarinopiazzolla.it). L’opera viene sempre illuminata da una luce chiara e splendente quando la sposa pensa al suo amato. Il sole che splende, la luna bianca e le stelle che rischiarano la notte, la fiamma che brucia e che mantiene vivo Fermenti 473
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l’incanto: Ho bruciato un foglio E nella fiamma, Al posto dove c’erano due lacrime, Lucevano i tuoi occhi. Ma l’incanto è svanito … Io sono ritornata alla finestra A vedere tremare d’amore Le prime due stelle. (ibidem, p.21)
È un continuo brillare di stelle e di occhi. L’innamoramento è del resto la fase più intensa di un amore e la protagonista lo vive con la stessa intensità di una reale passione. Il buio è tutto ciò che la distanzia dal suo sposo illuminato, una notte senza stelle, una vita intera al buio della sua malattia. Perciò il bianco è il colore predominante fra i versi. Dona anch’esso luminosità al testo ma suggerisce anche molteplici sfumature e significati: è l’abito della sposa ed il suo velo, che consacrano la verginità e la purezza di un amore mai consumato: Un giglio s’è levato di buon ora Mia madre, sottovoce: Mi ha detto: “lo vedi come è bianco? Ha sognato la luna: oppure è innamorato come te” (ibidem, p.32)
È il colore della giovinezza ma al contempo quello della vecchiaia: Stamane si è sciolta la neve; Ma soltanto mia madre È rimasta coperta di bianco Senza dir nulla al sole. (ibidem, p.32)
L’universo onirico della protagonista non è statico ma scorre al pari del passare dei giorni. La sposa, infatti, pur trascorrendo la sua esistenza in una durata e Fermenti 474
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in uno spazio che sono altro da quello reale, percepisce il trascorrere del tempo e delle stagioni. Man mano che il suo sogno-visione si evolve e cresce, scompare l’esperienza dolorosa dell’io incatenato alla crudele realtà. In questo senso la demenza della sposa non è più il riflesso della sua prigionia materiale ma la liberazione da essa, uno stato quasi di mistica veglia che le permette di dilatare la sua triste esperienza di vita, quasi come il nostro poeta si ritrova ad affermare nell’introduzione a E l’uomo non sarà solo: A misura che si dilata la coscienza, corre il tempo, veloce; mi sfugge la vita per i pori e mi resta il dubbio di non essere più me stesso. Io sono, in fondo, quel che il tempo mi permette di essere. Mi sembra di aver vissuto una vita molto più lunga della mia età reale. A volte vorrei essere immerso in un sereno dormiveglia per non capire e avere l’illusione della lentezza del tempo. Tra la veglia ed il sonno, essendo caduti in uno stato di innocenza originaria, pochi istanti si dilatano, durano a lungo, dandoci, in un barlume di coscienza, il senso di un tempo più lungo. Ruth Mezzolani
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T E AT R O
Hudèmata Actàbat - suite nera reading scenico di e con MARCO PALLADINI dalle opere poetiche di MARINO PIAZZOLLA con gli attori Tiziana Lucattini e Fabio Traversa installazione scenica di Luisa Taravella
8-10 Maggio 2008 Nuovo allestimento
presso il Meta-Teatro (gestito da Pippo Di Marca) V. Natale del Grande, 21 - Roma
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Foto della rappresentazione:
Marco Palladini
Tiziana Lucattini
Fabio Traversa
Negli ultimi anni della sua randagia esistenza Piazzolla lavora a una lingua inventata, idioma ufficiale del suo bruciante e composito universo, raccogliendo frammenti di greco antico (logoteuta), di latino aureo (laèta), di perdute lingue sapienziali (amàtma), di dialetto dauno (sciorscim nel significato di grondare), di codici variegati (neumata, ripreso dalle notazioni musicali medievali). Consegue da queste poesie in lingua misteriosa una fascinazione straordinaria. A un tratto le parole dispiegano inusitate aperture, lasciano affiorare condizioni rimosse, evocano articolazioni dell’essere accantonate ormai nei reperti d’antan… Donato Di Stasi
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Premio Feronia 2007
PREMI
Sezione Fondazione Marino Piazzolla conferito alla memoria di: Giuseppe Guglielmi
Nella foto la targa commemorativa del premio Il testo: “ La Fondazione Marino Piazzolla conferisce a Giuseppe Guglielmi riconoscimento per l’originalissima ricerca poetica, meritevole di essere riproposta e per l’attività svolta come traduttore dal francese di opere tra le più rappresentative e coivolgenti. Come uomo di cultura si distinse, per lo più, come organizzatore innovativo di sistemi bibliotecari, lasciando un’impronta nei metodi da seguire e approfondire..”
Nella foto, opera di Michele Cossyro donata alla famiglia di Giuseppe Guglielmi. Memoria (cm. 69x55,5, tempera e ceramica III fuoco)
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Massimo Raffaeli mentre legge la relazione su Guglielmi
Esce in Marzo il volume “Essere & Non Avere” di Giuseppe Guglielmi Fermenti Editrice, 2008, pp. 56, € 10,00
“… In un saggio poi incluso in Empirismo eretico (’72), senza affatto nominarlo ma leggendone i versi con autentico furore cognitivo, sarà Pier Paolo Pasolini a dettare l’epigrafe che è anche l’oroscopo del poeta Giuseppe Guglielmi; lì viene dedotta la drammatica deriva che, insieme, è il suo punto d’onore: Ogni distruzione è sostanzialmente un’autodistruzione ”.
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Con Giuseppe Guglielmi dentro la spietata epica del boom di Massimo Raffaeli, da “Il Manifesto”, 06/07/2007 Giuseppe Guglielmi (nato a Bari nel 1923 e scomparso a Bologna nel ’95), [è stato] uno dei poeti più originali del nostro dopoguerra. Leggendarie erano la ritrosia e l’umbratile gelosia della propria libertà che di rado lo allontanavano dal portico di Santo Stefano, casa sua, a Bologna, tanto quanto appariva in lui vitale, e salutare nelle sue inversioni improvvise, la vocazione alla battuta mordace e ai paradossi irridenti (come quello che nel marzo del ’77, quando la città sembrava in stato preinsurrezionale, ci arrivò addosso alla stregua di una doccia gelata: «Attenzione, il capitalismo ha i secoli contati»). Rigoroso con se stesso fino ad essere spietato, impaziente di esiti che sentiva sempre perfettibili, in una lotta con la parola che negli ultimi anni rischiosamente presagiva la resa al silenzio, Guglielmi lascia un solo libro dal titolo che peraltro non potrebbe essere più suo, Panglosse. Blandimentis oramentis coeteris meretriciis (Feltrinelli, 1967), poi ristampato con integrazioni in Ipsometrie. Le stasi del sublime (Savelli, 1980) dove si legge una netta e inderogabile dichiarazione di poetica: «Poesia si estrae dai testi, si riscopre, si inventa, è il luogo per sempre emarginato della ragione. ... Al sistema canonico delle forme letterarie, alla loro funzione tra araldica e legittimatrice, si oppongono qui da una parte le figure della “inopia semantica” e dall’altra le intermittenze di una “folle cantica”. Se il sublime è impredicabile, il linguaggio chiede ancora di essere forzato al limite delle sue prestazioni». […] Nel clima e anzi nei paraggi topografici dove intanto prendono corpo due riviste quali “Officina” e l’anceschiana “Verri”, Guglielmi in effetti esordisce da battitore libero: la sua è una poesia petrosa, scandita e ribattuta sugli endecasillabi («di una precisione fabbrile difficilmente eguagliabile», dirà Fausto Curi) con effetti di mordace espressionismo ovvero di satira corrucciata; l’io non vi scompare affatto ma ritorna a soprassalti (spezzato, strinato) dentro gli scenari deformi di un sopravvivere borghese, segnato da risibili velleità, pretese ipocrite e stolte decorazioni culturali. È l’io che non si lascia spegnere proprio perché ha il compito esclusivo di testimoniare la sua postdatata vanità, la sua ambigua superfluità; così infatti, ad apertura di pagina, in Hopla wir leben: «Intenti eslege in opere d’inchiostro/ con dentro in cuore lacrime e rovine/ ma inchiodato sul petto oh non soffriamo/ sì lietamente vivi noi viviamo/ ...». La leggenda della mancata inclusione di Guglielmi nella antologia dei Novissimi (‘61) a cura di Alfredo Giuliani e la sporadica partecipazione, da parte sua, alla successiva attività del Gruppo 63 forse si spiegano anche col rifiuto di aderire a una poetica che programma la riduzione o la cancellazione dell’io proprio nel momento in cui esso gli rimanda – nella condizione dello spasmo cognitivo e di un’estrema controversia – le ultime e mai confessate verità. […]
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Premio di Poesia “PoeticaMente Pace 2007”
PREMI
organizzato dalla Provincia di Roma in collaborazione con la Fondazione Piazzolla La premiazione è avvenuta Martedì 16 ottobre 2007 - 0re 17.00 presso Palazzo Valentini - Sala della Pace Il premio era rivolto a giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni, residenti nei Comuni della Provincia di Roma (eccetto il Comune di Roma) allo scopo di far emergere nuovi talenti poetici e di sollecitare la loro creatività verso il tema della pace, come condizione fondamentale della convivenza umana. La Commissione del premio: Mario Lunetta (presidente), Donato Di Stasi, Roberto Piperno.
Saluto del Presidente della Fondazione In occasione della premiazione del concorso “PoeticaMente Pace”, promosso dalla Provincia e dalla Fondazione Marino Piazzolla a Palazzo Valentini di Roma, mi è toccato di prendere la parola per ragioni istituzionali. Ero alla presenza di giovani, cimentatisi in una gara poetica che aveva come spunto l’approfondimento del tema della pace, attuale da millenni. Pensare la pace, desiderarla in contrapposizione a tragiche conseguenze di tante belligeranze è un fatto romantico, retorico o astratto che non risolve tanti drammi dei rapporti umani. E la pace non è solo un’aspirazione a senso unico, dovendo tenere alla base il presupposto della difesa che non è mai un fatto ingiusto. Difendersi dall’avversario che aggredisce è un dovere sacrosanto. Combattere predatori, violentatori, imbarbaritori è un comandamento di fede. Pertanto in nome della pace non si può essere traditori o vigliacchi. Nel concorso, tali presupposti o sono stati sfiorati o affrontati come stato d’animo o aspirazione alla pacificazione, intesa come ragione di accordo o comprensione. Rimanendo in tale contesto si è avuta una professione di fede in chiave laica, come estrema risorsa a voler bandire ogni forma di contesa o aggressione. Esprimere tale ambito è già un grande risultato, a prescindere da ogni politicizzazione o ideologizzazione fine a se stessa. E una nutrita rappresentanza di ragazzi, dai quindici ai venticinque anni, si è sentita protagonista dal gennaio
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precedente (data della diffusione del bando), all’ottobre successivo, data della chiusura di tale tornata, avvenuta con la premiazione e la lettura dei testi pubblicati in un libro appositamente realizzato, “PoeticaMente Pace 2007”, Fermenti Editrice, Roma. Nella partecipazione dei giovani frequentatori di scuole della provincia, ho avvertito una presenza che mi ha inibito nel mio ruolo istituzionale. Nel porgere il saluto ufficiale non mi sono adattato nel mio compito distaccato e formale di Presidente della Fondazione Piazzolla, sentendomi invece uno di loro. Così avrei voluto lasciare il tavolo, per chiedere ad ognuno per quali ragioni ha mostrato avversione nei confronti di tanti bellicismi. Anche se a volte tali avversioni sono discutibili in questa nostra società ricca di violenti per moda, aspirazione o calcolo, grazie a istituzioni corrotte o contaminate che prosperano in nome della legalità. E le loro letture, essendo testimoniate con partecipazione, mi è capitato di subìre come un transfert, notando come i giovani non sono solo contraddittori o inconcludenti. Molti di loro, se coltivati dalla famiglia o dalla scuola, potrebbero essere assertori di ragioni costruttive. Questa è l’aria di sfida che ho sentito diffondersi intorno. E tale provocazione mi ha convinto che in nome dell’istruzione ci sono tante aspirazioni che la nostra società rifiuta o non riconosce. Per concludere una constatazione di Giorgio Napolitano: “...difendersi dalle aggressioni ... non significa trasformarci in un esercito di aggressori...” che conferma quanto da me accennato nelle espressioni precedenti. Avallare ciò, non significa sconfessare il pacifismo a senso unico. Sentiamoli alcuni ragazzi del “PoeticaMente Pace”: Dario Ronzani: “Pace che strana nota / sulla bocca di nessuno / e nel cuore di tutti ...”; Martina Andrenacci: “Illumina questa terra nostra / e falla vivere / e respirare ...”; Sandra Volpentesta: “... Sono mille anni / che ti cerco / ma non riesco / a trovarti ...”; Annacarla Benedetti: “Ahi, serpe militare / che tu possa venir schiacciata da una / giostra infantile ...”; Valentina Coccia: “... pace utopia dei nuovi popoli”; Arianna Angelucci: “... potremmo evitare rivolte, catastrofi, guerre / ma non di morire ...”; Pier Paolo Piscopo: “... questa Pace non può esistere ...”; Giorgio Zussini: “E se fosse una parola?”; Elisa Pacini: “Perché uccidere e odiare?”; Giulia Nardi: “ La pace è l’amore corrisposto e spontaneo / di sei miliardi di vite ...”. Non sottovalutiamo, per partito preso, queste parole né i giovani. Quando è possibile, difendiamoli o sosteniamoli. Da loro si può prevedere una vera fonte di pace. Più che da fronti o Cancellerie di tanti stati guerrafondai, pacieri di circostanza e non per convinzione. Velio Carratoni
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Premio di poesia PoeticaMente Pace 2007: i vincitori Sezione di Civitavecchia Alessio Natali (primo) Anna Carla Benedetti (secondo) Sandra Volpentesta (terzo) Martina Andrenacci (menzione d’onore) Sezione di Palestrina Dario Ronzani (primo) Emanuele Natale (secondo) Iacopo Milana (terzo) Carolina Micheli (menzione d’onore) Sezione di Frascati Luca Mazzocchetti (primo) Giulia Nardi (secondo) Elisa Pacini (terzo) Giorgio Zussini (menzione d’onore) Sezione di Tivoli Pier Paolo Piscopo (primo) Arianna Angelucci (secondo) Valentina Coccia (terzo) Meris Angelini (menzione d’onore)
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Foto della premiazione:
Velio Carratoni (a destra)
Rita Monteforte, assessore alla politica delle scuole della Provincia di Roma
A sinistra, Mario Lunetta
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Foto di alcuni vincitori:
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Premio internazionale “Città di Penne-Mosca” 2007, XXIX edizione
PREMI
Premio speciale opera prima edita, poesia Sezione Fondazione Marino Piazzolla
Vincitore: Michelangelo Bonitatibus, Il cacciatore di chimere Motivazione: Poesia che cita realtà con leggerezza immediata verso mete invisibili che vanno al dunque senza lasciare tracce stridenti. L’umano è fuso ad un’essenza levigata. Le parole si identificano in tratti di tempo animati da regole arcane dal sapore spesso enigmatico. Ogni ricordo è uno scolpire immagini immerse nel tempo, pur andando al di là di ogni temporalità. Bonitatibus va alla ricerca di tracce recenti o attuali, anche se tutto rientra in un gioco prefissato che rivive e muore in nome di un ricordo scemato. C’è aria di regole ancestrali nei suoi versi, scaturiti da attimi fuggenti. E dal contingente si va ad un eterno presente, ove la poesia sembra suggerita da entità non svelate. Tutto resta in un’atmosfera trasognata, pur essendo reale. E la memoria prevale sovrana. Le parole esprimono concetti con sussurri che riportano stati d’animo reconditi, alla ricerca di tracciati di vita e di abbandoni agognanti presenze di atmosfere non atrofizzate o superate. “…tutto si consuma/dal letto alla scrivania/tra insospettabili pareti… apparterrò mai a queste pareti?… davanti allo specchio medito la fuga… a 4000 metri/ sarò più vicino a Dio?… sull’acqua/hai scritto/ col dito/il tuo perdono...gli dei non piangono/la morte degli amanti…”. Questi alcuni esempi di un poeta ricco di coinvolgimenti, pur superando contatti finiti. Fermenti 487
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Il ciclo della vita è una conferma di riminiscenze in connubio con uno stato di contemplazione fremente. “...potessi cancellare dal vetro/il tuo sorriso/che mi divora dentro”. Questa l’illusione più aperta che incita alla mestizia, senza lamenti o titubanze. Per dimostrare come il tutto sia un insieme di niente necessario che nutre e consuma in nome della vita. Per l’atmosfera mai retorica e altisonante, per il dire senza ribadire, Bonitatibus tende a trasfigurare ogni anelito, risultando in balia di immagini balenanti, di un sentore primordiale, quasi al di là del tempo. Questo il suo lato che lo distingue come un itinerante concentrato in sé, alla ricerca di tangibili chimere. Le ragioni su esposte ci danno sentore di un testo non occasionale, meritevole del conferimento del Premio Fondazione Marino Piazzolla, poesia, opera prima. E l’autore, Michelangelo Bonitatibus, con il suo volume Il cacciatore di chimere, edito da Fermenti, ci dimostra, come asseriva Mario Luzi, che la poesia può essere ovunque. Basta saperla percepire. Nel caso in questione, attraverso reminiscenze permanenti, capaci di localizzare ritratti, più scolpiti che tratteggiati, “a sgretolare dal cuore le paure”.
Segnalato: Baldo Lerri, Se tu fossi più bella Motivazione:
Un giovane autore da non perdere di vista per rievocazioni in cui non c’è ricordo che non parli di te che appari/come un mattino imminente. Con quel tuo corpo che diventa un abbraccio/ e sembra non finirsi mai. E qui si arriva a nomi di donne che rappresentano storie di vita riproponenti il ripetuto amore. E così Ambra, sei l’entusiasmo/sei la sera...ti canto/ e non ci sei mai Stefania...-i capelli lunghi/Valentina./eran presi a pretesto quei capelli.../... io t’amo/Margotte...mi chiedo Francesca/se esiste ancora l’essenza/che t’ha vista invecchiare... ...come lo so, Annetta/che non si ritorna...- Anita -/quanto grande è nei tuoi occhi l’immenso.../Anita, ha l’aria di chi vuol dire e sa/che ogni parola ha un peso/un languore... E rievocando figure di donne, prevale una sensazione di interrogativo sommesso sulla tristezza e la sofferenza. Insomma una poesia, quella di Se tu fossi più bella, edito da Tracce, mai conclamata o illusionista, alla ricerca di interiorizzazioni inaspettate. La segnalazione di questo autore del 1980, riguarda tale caratteristica da non trascurare. (Motivazioni a cura di Velio Carratoni)
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Alcune foto della manifestazione
Velio Carratoni. A destra il vincitore.
Igino Creati e Baldo Lerri (a destra)
Michelangelo Bonitatibus, il vincitore
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B A N DO
Premio letterario “Giacomo Leopardi” per tesi di laurea e di dottorato (undicesima edizione)” in collaborazione con l’Università degli Studi di Macerata, i comuni di Recanati e S. Severo e la Fondazione Marino Piazzolla Art. 1 - Il Centro Nazionale di Studi Leopardiani, nell’intento di richiamare l’attenzione dei giovani sulla vasta problematica leopardiana, bandisce un concorso riservato a tesi inedite di laurea quadriennale o di specializzazione (sono escluse le lauree triennali) e a tesi inedite di dottorato su temi riguardanti Giacomo Leopardi sotto gli aspetti biografici, storici, letterali, linguistici e filosofici, nonché la diffusione del pensiero e dell’opera del poeta nel mondo. Art. 2 - Al concorso potranno partecipare i laureati (con laurea quadriennale o specialistica) e i dottori di ricerca, di qualsiasi Università italiana ed estera, che abbiano conseguito il titolo negli anni accademici 2004-2005, 2005-2006, 2006-2007. Art. 3 - Il concorso è così suddiviso: a. Sezione tesi di laurea quadriennale o specialistica: 1° premio € 1.500; 2° premio € 750 b. Sezione tesi di dottorato: 1° premio € 2.000; 2° premio € 1.000 Verranno assegnati inoltre due premi speciali (per tesi di laurea quadriennale o specialistica, ovvero per tesi di dottorato, a scelta della Commissione giudicatrice), ciascuno di € 800: e. Premio speciale “D. Cardella - Città di San Severo” d. Premio speciale “Fondazione Marino Piazzolla”. Art. 4 - La Commissione giudicatrice sarà composta dal Vicepresidente e dal Comitato scientifico del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, che stabiliranno i criteri di selezione e valutazione; dal Rettore dell’Università degli Studi di Macerata e dal Sindaco di Recanati o loro delegati. Per i premi speciali, la Commissione giudicatrice sarà integrata dal Sindaco di San Severo e dal Presidente della Fondazione “Marino Piazzolla” o loro delegati. Art. 5 - Il giudizio della Commissione giudicatrice sarà inappellabile. Art. 6 - I concorrenti dovranno far pervenire, entro il 31 marzo 2008, Fermenti 490
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cinque copie dei loro lavori al seguente indirizzo: Centro Nazionale di Studi Leopardiani - Premio “Giacomo Leopardi” - Via Monte Tabor, 2 - 62019 Recanati (Macerata) - Italia. Almeno una delle cinque copie dovrà essere corredata dalla domanda di partecipazione in cui siano indicati i dati anagrafici, il recapito, il numero telefonico e un indirizzo di posta elettronica; e dalla presentazione firmata da uno dei relatori all’esame di laurea o di dottorato, riportante la votazione conseguita. Una delle cinque copie sarà conservata nella Biblioteca del Centro Nazionale di Studi Leopardiani; le altre quattro saranno restituite agli autori, su loro richiesta e a loro spese. Art. 7 - La Commissione giudicatrice potrà proporre al Centro Nazionale di Studi Leopardiani la pubblicazione integrale o parziale delle tesi premiate. Art. 8 - La cerimonia della premiazione avrà luogo a Recanati il 29 giugno 2008, durante la celebrazione dell’anniversario della nascita di Giacomo Leopardi.
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Premio letterario “Mario Petrucciani/Fondazione Piazzolla”
B A N DO
in collaborazione con l’Istituto di Filologia Moderna dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e la Fondazione Piazzolla E’ indetta la prima edizione del Premio letterario, articolato in due sezioni, ad anni alterni. a) saggistica per un volume edito di critica letteraria a far data dal 01/01/2006 al 30/06/2007 su tematiche riguardanti la poesia. Primo classificato: € 1.000.00 (mille). Tale premio verrà conferito nella primavera del 2008. b) Premio per una tesi di Laurea sulla figura e l’opera del poeta Marino Piazzolla, discussa tra il 01/01/2006 e il 15/02/2009. Si prevede la pubblicazione della tesi vincente. La tesi deve essere accompagnata dalla richiesta di partecipazione al premio e dall’esplicita autorizzazione concessa alla Fondazione Marino Piazzolla di poterne conservare copia e permetterne la consultazione con fini di studio. Le tesi devono essere inviate a: Presidenza Fondazione Marino Piazzolla, c/o V. Carratoni (Presidente) C.P. 5017 - 00153 Roma Ostiense. Dovranno pervenire entro il 28 febbraio 2009. A pubblicazione avvenuta si terrà cerimonia di assegnazione presso l’Università di Urbino entro giugno 2009. I premi saranno assegnati a giudizio insindacabile della Giuria, così composta: Velio Carratoni – Presidente Donatella Marchi Salvatore Ritrovato Enrico Grandesso Antonella Calzolari Donato Di Stasi Gemma Forti – Segretaria (con diritto di voto). Fermenti 492
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MANIFESTAZIONI
Le Voci della Città Poeti a Roma 1950-2000 seconda parte in collaborazione con Ente Biblioteche di Roma e Fondazione Piazzolla
La rassegna, promossa dalle Biblioteche di Roma e dalla Fondazione Marino Piazzolla, coinvolge quattro Biblioteche della nostra città (Enzo Tortora, Franco Basaglia, Guglielmo Marconi, Elsa Morante) e costituisce la seconda parte dell’importante iniziativa, svoltasi nel 2004 presso la Casa delle Letterature. Mantenendo lo schema della prima parte, la rassegna prevede 14 incontri, ciascuno dei quali è dedicato a due autori di grande presenza nella poesia italiana del secondo Novecento che hanno operato a Roma, città che nello scorso secolo ha visto nascere tanta grande poesia italiana. Il coordinamento critico è affidato a studiosi di riconosciuta competenza nel campo specifico. La rassegna, che coprirà un arco di quattro mesi (da metà dicembre 2007 a metà aprile 2008), costituisce un evento di rilievo nella riaffermazione di una coscienza collettiva che intende porsi al tempo stesso come civile ed estetica. Le voci dei poeti, proprio per la loro complessità, funzionano anche come indicatori di consapevolezza in questo nostro tempo che sembra votato, troppo spesso, alla superficialità e alla confusione. I destinatari della manifestazione sono ovviamente tutte le persone che amano la buona poesia e la riflessione sulle sue parole e il suo pensiero. Ma il pubblico privilegiato resta, nell’intenzione dei promotori e dei curatori, quello dei giovani, in tutte le loro collocazioni sociali e culturali, affinché possa svilupparsi la loro apertura nei confronti di un linguaggio di profondità, come quello poetico, che tanto può, ancor oggi, contribuire a quell’ “accrescimento della vitalità” di cui parlava Leopardi, e a una maturazione del gusto immaginativo, come della capacità critica nei confronti della realtà complessiva dei nostri anni. Curatore Mario Lunetta Coordinatore Roberto Piperno
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Intervento in apertura lavori Il poeta è un barbaro sovversivo alle soglie della città che sfida costantemente il nostro status quo... Poesia è lotta continua contro silenzio, esilio e inganno Lawrence Ferlinghetti da Che cos’è la poesia
Da tali premesse arriviamo alla presenza-assenza della poesia. Se c’è, qualcosa si anima o rimbrotta. Se non c’è il mondo si spegne, dopo tanti gemiti sempre più affievoliti. Negli ultimi cinquant’anni a Roma, c’è stato, nel disordine costruttivo e nello scempio delle coscienze, un fior fiore di poeti che non hanno migliorato il mondo, limitandosi a constatarlo, facendo da contraltare a schiere di politicanti o divi che hanno tentato di lasciare il segno, svuotando tante coscienze. E i poeti, da assertori di contraddizione in fieri, hanno contrastato la retorica di ogni efficientismo d’accatto. Per questo, oggi, restano nella loro inattualità, come dei contraddittori creativi che hanno animato certi appassimenti o atrofizzazioni, rimanendo in disparte a decifrare il tempo, inascoltati e anacronistici, pur essendo portati come esempio o ammirati a posteriori. Il poeta è la voce nel deserto, di un Giovanni Battista ritenuto da strapazzo, anche se rimane su di un piedistallo invisibile. Oggi, grazie al Comune di Roma, in persona dell’Ente Biblioteche, alla Fondazione Marino Piazzolla che porta il nome di un poeta, rimasto ai margini di tanto inutile esibizionismo, mentre in Francia era intervistato dalla Radio Nazionale su argomenti di storia, letteratura ed attualità, e ad un curatore, Mario Lunetta, che ha proposto tanti nomi che meriterebbero di più e riproposto altri, con lo scopo di rendere il poeta, esempio di realtà e ricerche da raggiungere o determinare, in contrasto con la paccottiglia superficiale e disumana dei tempi attuali. Eccoci poi a ricordare come agli uomini, per poter sopportare certe sofferenze mortali, non rimane che affidarsi alla testimonianza o ricerca dei poeti, i quali dimostrano, come asseriva Keats, che il reale non coincide con ciò che è, perché egli, il poeta, sta dalla parte di ciò che è a venire, ossia dalla parte dell’ombra. Essendo nella nebbia, regno di un nulla che è nell’ordine dell’essere. Cioè di un niente che è. Fermenti 494
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Una concezione romantico-esistenziale che ben si concilia con certo tardo realismo corrente. Constatato ciò, in qualità di Presidente della Fondazione Piazzolla, porgo, in occasione dell’inaugurazione della rassegna Le Voci della Città – Poeti a Roma seconda parte, auguri di buon lavoro ai relatori e ai poeti, sperando che dal niente che è, si possa arrivare ad un niente di coscienza e vicinanza verso coloro che a Roma hanno prodotto poesia in anni non sempre facili e limpidi. Velio Carratoni
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PROGRAMMA
Gli incontri iniziano alle 17.30. Il giorno 11 Dicembre alla Biblioteca Enzo Tortora, inaugurazione con inizio alle 17 - drink.
Biblioteca Enzo Tortora
via Zabaglia 27 b - 00153 Roma
telefono 06 45460601 e-mail enzotortora@bibliotechediroma.it
Martedì 11.12.07 poeti Corrado Govoni - Edith Bruck relatore Cecilia Bello Martedì 18.12.07 poeti Alfonso Gatto - Maria Luisa Spaziani relatore Francesca Bernardini Martedì 08.01.08 poeti Aldo Palazzeschi - Mario Lunetta relatore Francesco Muzzioli Martedì 15.01.08 poeti Luciano Folgore - Tommaso Ottonieri relatore Aldo Mastropasqua
Biblioteca Franco Basaglia
via Federico Borromeo, 67 - 00168 Roma
telefono tel 06 45460371 e-mail francobasaglia@bibliotechediroma.it
Martedì 29.01.08 poeti Mauro Marè / Mario dell’Arco relatore Marco Palladini Martedì 05.02.08 poeti Libero De Libero - Nelo Risi relatore Donato Di Stasi Martedì 12.02.08 poeti Leonardo Sinisgalli - Tommaso Di Francesco relatore Mario Lunetta Fermenti 496
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Biblioteca Guglielmo Marconi
via Gerolamo Cardano, 135 - 00146 Roma
telefono 06 45460301 e-mail guglielmomarconi@bibliotechediroma.it
Martedì 26.02.08 poeti Sandro Penna - Elio Pecora relatore Francesca Bernardini Martedì 04.03.08 poeti Vincenzo Cardarelli - Jolanda Insana relatore Aldo Mastropasqua Martedì 11.03.08 poeti Ruggero Jacobbi - Carlo Villa relatore Mario Lunetta Martedì 18.03.08 poeti Amelia Rosselli - Bianca Maria Frabotta relatore Marcello Carlino
Biblioteca Elsa Morante
via Adolfo Cozza, 7 - 00121 Ostia Lido.Roma
lungomare P. Toscanelli 184
telefono 06 45460481 e-mail elsamorante@bibliotechediroma.it
Martedì 01.04.08 poeti Pier Paolo Pasolini - Renzo Paris relatore Marco Palladini Martedì 08.04.08 poeti Elsa Morante - Carla Vasio relatore Francesco Muzzioli Martedì 15.04.08 poeti Giuseppe Ungaretti - Silvia Bre relatore Donato Di Stasi
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MANIFESTAZIONI
“La vita... è ricordarsi di un risveglio” Letture penniane Mercoledì 30 Maggio 2007 - 0re 18.00 presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma Con il sostegno della Fondazione Piazzolla Con la partecipazione di Luca Baldoni, Pierfranco Bruni, John Butcher, Norberto Cacciaglia, Roberto Deidier, Maura Del Serra, Gualtiero De Santi, Stefano Giovannuzzi, Giuseppe Leonelli, Daniela Marcheschi, Luísa Marinho Antunes, Gabriella Palli Baroni, Elio Pecora, Luigi Maria Reale, Gabriella Sica, Maria Luisa Spaziani, Magda Vigilante. Letture dalla poesia di Sandro Penna a cura di Francesca Gatto.
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Collana per ragazzi “Garrula” sotto l’egida della Fondazione Piazzolla Dopo i vari titoli dedicati alla favolistica da Fermenti, pubblicati nel corso degli anni (La pepita d’oro, Sciabola piroetta, Terra dell’anima, ecc.), si inaugura una nuova serie con la Collana Garrula, curata da Antonella Calzolari, sotto l’egida della Fondazione Piazzolla. La collana si propone di collocare testi ad esclusivo uso dei giovanis-simi e giovani lettori con una distinzione tra una prima fascia fino ai dieci anni circa e una seconda pensata per preadolescenti e adolescenti. Entrambe prendono le mosse dalle aspettative dei rispettivi destinatari e, in particolare la prima, tendono a divertire ma anche ad appassionare i bambini e i ragazzi all’attività della lettura, presentando testi agevoli e accattivanti, anche sotto il profilo grafico, per giungere a testi letterariamente più complessi. Se dunque per la prima fascia si privilegia l’aspetto emotivo e ludico, nella seconda si stimolano il piacere della lettura, dell’autonomia, dell’abilità nell’addentrarsi nei percorsi della narrazione. Per quanto riguarda i generi e le tematiche la collana è aperta a qualsiasi proposta si sostanzi di valore ludico e/o educativo, purché vengano assicurati lo sviluppo della fantasia, la sollecitazione del gusto per la lettura e un concreto sostrato letterario. Accanto a testi prettamente giocosi o di invenzione trovano spazio, quindi, anche libri ispirati a tematiche della gamma più ampia, dalla poesia all’attualità, alla saggistica per ragazzi. Analogamente sono inclusi testi di tipo divulgativo che aggancino le varie discipline al mondo dei più piccini e dei ragazzi, sempre nell’osservanza di un godimento estetico che non può mai venir meno quando ci si rivolge al pubblico dei lettori in erba.
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Alcuni volumi pubblicati con il patrocinio della Fondazione:
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NOTE BIOGRAFICHE
Gualberto Alvino (Roma 1953) è il massimo studioso di Antonio Pizzuto. Celebri i suoi studi linguistici sull’opera del prosatore siciliano e le edizioni critiche di Giunte e virgole e Spegnere le caldaie. Si è anche occupato di D’Arrigo, Consolo, Bufalino, ecc. Collabora ad «Avanguardia» e a varie riviste di critica e filologia. Dario Amato, nato a Roma nel 1983, è un osservatore del costume nelle sue manifestazioni più contraddittorie e impreviste. Le sue attenzioni sono rivolte verso la musica e tante realtà della nostra società decomposta. Le sue constatazioni sono motivate da tante esigenze di scoperte e analisi. Nanni Balestrini, poeta e romanziere, nato a Milano il 2 luglio 1935, vive attualmente tra Parigi e Roma. Agli inizi degli anni ’60 fa parte dei “Novissimi” e del Gruppo 63. È autore, tra l’altro, del ciclo di poesie della Signorina Richmond e di romanzi sulle lotte politiche del ’68 e degli anni di piombo come Vogliamo tutto e Gli invisibili. Ha svolto un ruolo determinante nella nascita di riviste come “Il Verri”, “Quindici”, “Alfabeta”, “Zoooom”. Attivo anche nel campo delle arti visive, ha esposto in numerose gallerie in Italia e all’estero e nel 1993 alla biennale di Venezia. Mirco Ballabene nasce a Urbino nel 1981. Nel 2004 consegue la laurea in lettere moderne all’Università di Urbino con Gualtiero De Santi e una tesi su Eugenio Montale e T.S. Eliot. Diplomatosi alla Scuola di specializzazione per insegnanti di Bologna attualmente collabora con l’Università di Urbino e svolge l’attività di insegnante nella scuola media. Allo studio della letteratura affianca quello della musica, in particolare del contrabbasso classico e moderno, ed è membro dell’associazione culturale ArteAltro, con cui organizza rassegne musicali, spettacoli teatrali e incontri letterari. Giorgio Bàrberi Squarotti, allievo di Giovanni Getto, è stato professore ordinario di Letteratura italiana presso la Facoltà di lettere dell’Università di Torino. Ha collaborato al «Giornale storico della letteratura italiana», a «Lettere italiane»; come critico militante, ha scritto su « Letteratura», «Aut-Aut», «Paragone». La sua produzione saggistica è rivolta all’analisi stilistica e simbolica dei testi letterari; ricordiamo tra l’altro: Astrazione e realtà (Rusconi e Paolazzi, Milano 1960); Metodo, stile, storia (Fabbri, Milano 1962); Teoria e prove dello stile del Manzoni (Silva, Genova 1965); Simboli e strutture della poesia del Pascoli (D’Anna, Messina-Firenze 1966); La forma tragica del «Principe» e altri saggi sul Machiavelli (Olschki, Firenze 1966); Il codice di Babele (Rizzoli, Milano 1971); Gli inferi e il labirinto. Da Pascoli a Montale (Cappelli, Bologna 1974); Il romanzo contro la storia. Studi sui Promessi Sposi (Vita e Pensiero, Milano 1980); Dall’anima al sottosuolo. Problemi della letteratura dell’Ottocento da Leopardi a Lucini (Longo,
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Ravenna 1982); Il potere della parola. Studi sul «Decameron» (Federico e Ardia, Napoli 1983). È autore anche di versi: Il marinaio del Mar Sera e altre poesie (Rebellato, Quarto d’Aitino 1980); Da Gerico (Guida, Napoli 1983). (Notizie tratte dal “Dizionario della Letteratura Italiana del Novecento” diretto da Alberto Asor Rosa) Antonella Calzolari è nata a Roma, dove attualmente risiede e insegna. È giornalista e ha al suo attivo collaborazioni con testate a carattere nazionale e internazionale nonché con la RAI per la quale ha anche scritto il programma “Note di fiaba”, trasmesso da RadioTre. Ha svolto attività di adattamento di testi televisivi. Ha compiuto i suoi studi musicali e fa parte dell’associazione “Musici Artis - Roma”. Scrive poesie, fiabe e novelle. Franco Campegiani ha pubblicato svariati testi poetici, di cui il più recente è “Canti tellurici”, edito nel 2000. Coltiva vivi interessi nel campo delle arti visive, come critico d’arte, ed è membro di giuria in premi letterari. Animatore culturale, giornalista, ha promosso manifestazioni artistiche, letterarie ed anche iniziative ecologiche, nonché cenacoli e manifesti culturali. In campo filosofico ha pubblicato nel 2001, con l’editore Armando, un saggio dal titolo La teoria autocentrica, sostenendo il parallelismo tra sviluppo delle facoltà creative e risveglio della coscienza autocritica. Domenico Cara è nato in Calabria e vive a Milano. Ha pubblicato una densa serie di libri di poesia, di narrativa, di saggistica, di aforismi (dal 1959 al 2007). Ha diretto diverse riviste letterarie e d’arte, e fondato le Edizioni Laboratorio delle Arti. Ha organizzato molte esposizioni d’arte in Europa; ha conseguito diversi premi letterari e coordinato varie operazioni antologiche sulla poesia contemporanea e sull’arte oggi nel mondo. Attualmente ha in preparazione un’opera di etnografia meridionale e sul dialetto nei nostri anni. Sul suo lavoro culturale sono state scritte monografie nel 1987, nel 1992, nel 2002 e nel 2006. Serena Caramitti, romana, poeta, narratrice, musicista, ha esordito nella poesia vincendo il premio “Nuovi Fermenti 1976” con la raccolta È sempre la risacca, poi pubblicata da Fermenti e illustrata da Renzo Vespignani. In seguito ha pubblicato numerosi volumi di poesia fra i quali Tempi sovrapposti (1978, selezionato al Premio Viareggio); Tre donne (1997, premio Laurentum); Colloqui on line (2001). Nel 2005, con il romanzo Penelope in Trastevere, riprende il filone narrativo iniziato nel 1988 con i racconti Il Tabulatore (premio Metis Logos). Alcuni suoi versi sono stati musicati da Irma Ravinale, Francesco De Masi, Giacomo Dell’Orso, e recitati da Giorgio Albertazzi, Lydia Alfonsi, Edmonda Aldini, Achille Millo.
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Velio Carratoni, giornalista, collaboratore di vari quotidiani e periodici da quasi quarant’anni, è nato, per caso, a Latina, nel 1942, ma risiede a Roma da sempre. Dopo aver frequentato Giurisprudenza, si è laureato in Lettere Moderne con Mario Costanzo Beccaria, con una tesi sulla Critica letteraria e la terza pagina negli anni Trenta. Ha svolto attività di docente. Nel 1971 ha fondato Fermenti, periodico a carattere culturale, informativo, attualità e costume, con annessa casa editrice che tuttora dirige. Ha pubblicato Mara, 1971 (entrato nella rosa dei finalisti al Premio Viareggio); Da Gluck alla nuova musica, 1972; Canti famisti, 1981; Un mondo di carne, 1981; Bolgia e cinguettio, 1990;Omaggio a Piazzolla, 1993; Vendette d’amore, 1996; Le Grazie Brune, 2003; Il Sorriso Funesto, 2003. È in uscita la raccolta di racconti Hai usato il suo corpo. Presiede la Fondazione Marino Piazzolla. Maura Chiulli ha venticinque anni, laureata in economia aziendale, ma i numeri e l’ordine non le sono mai appartenuti. Ha iniziato a scrivere molto presto, vincendo il suo primo concorso di poesia a dieci anni, con un componimento intitolato Padre. È autrice di racconti. È presente su MySpace: http://www.myspace.com/maurascrive. Antonino Contiliano vive a Marsala. Ha fatto parte del movimento poetico “Antigruppo siciliano”. È stato redattore della rivista “Impegno 80” e di “Spiragli”. Critico, saggista, poeta. Tra i suoi volumi di Poesia: Il flauto del fauno (1981), Il profumo della terra ( 1983), Gli albedi del sole (1988), Exilul utopiei (1990), L’utopia di Hannah Arendt (1991), La contingenza/Lo stupore del tempo (1995), Kairós desdichado (1998), La Soglia dell’esilio (2000), Terminali e Muquenti / paradossi (2005), Tempo spaginato/chi-asmo, Polistampa (2007). Come coautore e “sine nomine” ha pubblicato: Compagni di strada caminando (2003), Marcha Hacker/risata cyberfreak (2005), ‘Elmotell blues (2007). Ha organizzato “Incontri fra i popoli del Mediterraneo” che ogni due anni si sono tenuti a Mazara del Vallo. Gualtiero De Santi è studioso di letterature comparate e di cinema, ma i suoi interessi investono anche altri ambienti, dal teatro alla filosofia alle arti figurative. Ha pubblicato diversi libri, tra cui Sandro Penna (La Nuova Italia, 1982), L’Angelo della Storia (Cappelli, 1988), I sentieri della notte (Crocetti, 1996), Teresa de Jesùs e altri mistici. La scrittura interiore (Pazzini, 2002), Ritratto di Zavattini scrittore (Aliberti, 2002). Per il Castoro ha scritto anche le monografie su Louis Malle (1977) e Sidney Lumet (1987). Nel 2006, con Fermenti, ha pubblicato Le stagioni francesi di Marino Piazzolla. Dirige, per la Marsilio, la collana di Nuovi Quaderni Reboriani. Donato Di Stasi è nato in Lucania, vive a Roma, dove svolge la sua attività di dirigente scolastico. È poeta sperimentale, saggista e critico.
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Critico militante, per la Fermenti Editrice dirige la collana “Minima verba Versi, Prose, Aforismi per un tempo nuovo”. Ha pubblicato con Fermenti, Nel momento della fine, 1996; La caserma di Kant, 1998 (poesia). Saggistica: Frammenti di lucido delirio, mito, sogno, follia in Marino Piazzolla, 2002. Germana Duca Ruggeri è nata a Ancona e vive a Urbino. Ha pubblicato: distanzainstanza, poesie in lingua (Arti Grafiche della Torre 1999); Ex ore, poesie in neo-dialletto urbinate (Marsilio 2002); Tessere, racconti e cronache (Manni 2004). Sono apparsi su riviste suoi interventi su Elsa Morante, Dolores Prato, Paolo Volponi, Laura Battiferri, Carlo Bo. Luciana Floris si è laureata all’Università di Cagliari e ha conseguito un dottorato in Storia della Filosofia alla Sorbonne di Parigi, dove ha vissuto per qualche anno. Attualmente vive e lavora a Firenze dove insegna filosofia. Giornalista pubblicista, ha collaborato a diversi quotidiani tra cui “Il manifesto” e ad alcuni programmi per la RAI. Finalista al premio Italo Calvino nel 1989, ha ricevuto il premio nazionale di narrativa “I delfini del Tirreno” nel 1992. Oltre a racconti e saggi apparsi in varie riviste e volumi collettivi, ha pubblicato Isole di terra, di pietra, d’aria (Empirìa, 1999), il saggio filosofico Lo specchio magico. Il tema della parola nel pensiero di Martin Heidegger (Zonza, 2004) e il romanzo La doppia radice (Il Maestrale, 2005 – “Premio Livio Paoli” per la narrativa). Giovanni Fontana (Frosinone 1946), architetto, poeta, scrittore di teatro e autore di romanzi sonori, è invitato ai più importanti festival internazionali di nuova poesia e di arti elettroniche in Europa, nelle Americhe, in Oriente. Sulla poesia sonora ha pubblicato diversi saggi in Italia e all’Estero, tra cui il volume La voce in movimento (con allegato cd, Ed. Harta performing & Momo, 2003). Ha curato per la rivista «Il Verri» il cd Verbivocovisual. Antologia di poesia sonora 1964-2004. Ha fondato la rivista di poetiche intermediali «La Taverna di Auerbach» e l’audiorivista «Momo». Gemma Forti (Roma 1944), poetessa e scrittrice, vive a Roma. Ha compiuto numerosi viaggi di lavoro in diverse parti del mondo, venendo a contatto con realtà molteplici. Pur occupandosi di scrittura sin da giovanissima, ha pubblicato con la casa editrice Fermenti: Zeffiro Cortese (1996, con proprie illustrazioni e prefazione di Dario Bellezza); Finestra in alto (1997, copertina e tavole di Sergio Ceccotti); Gli occhi della genziana (2000, nota introduttiva di Stanislao Nievo e copertina di Umberto Mastroianni, una storia in versi che attraversa il Novecento; vincitrice del premio per la poesia “Fiore di Roccia 2001”), il lungo racconto La casta pelle della luna (2002, Fermenti), Candidi Asfodeli Vezzose Ortiche (2004, Fermenti, prefazione di D. Di Stasi e copertina di M. Cossyro; raccolta di poesie 1998-2003). Ha partecipato come coautrice “sine nomine” a Marcha Hacker - risata cyberfreak (2005, Promopress). È inserita in diverse antologie poetiche (Geometrie
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e l’Altro Novecento, voll. IV, V e VII), nella Storia della letteratura italiana contemporanea (2003, a cura di N. Bonifazi, Edizioni Helicon) e nell’almanacco I Limoni, oltre che su quotidiani e riviste. Promotrice ed ideatrice di vari progetti artistico-culturali, si sono occupati della sua attività letteraria nomi significativi della critica e della cultura. Zeno Fortini è nato nel 1939 a Barchi – tra Fano ed Urbino – ma si è formato nel capoluogo feltresco nella cui università si è laureato con una tesi in storia. È poeta da sempre: da quando negli anni giovanili “parodiava” argutamente Omero e satireggiava le donne, croce e delizia della sua vita, sino all’aureo periodo di “Ad Libitum”, rivista “militante” che l’ha visto tra i redattori e per i cui tipi ha pubblicato la sua prima raccolta, Paura di dire, nel 1968. Sarebbero venuti in seguito La ripresa (1980), Io, Neno e la Leonarda (1980) che è sino ad oggi il suo risultato migliore, Fiore della notte (1989) e la raccolta di composizioni satiriche L’Italia in rima, nel 1987. È anche autore di 14 racconti (1992) e di Lei (1998), che comprende anche un breve romanzo. Massimo Giannotta si occupa di editoria, letteratura e teatro. Collabora con diverse Case editrici e riviste. Dirige la collana di letteratura di mare ‘Il narvàlo’ dell’Editrice IRECO. Segue alcuni settori del Sindacato Nazionale Scrittori. Vive e lavora a Roma. Maria Lenti è nata ad Urbino e vive tra questa città e Roma. studiosa di letteratura ed arte. Già docente, è stata deputata (1994-2001) al Parlamento italiano per Rifondazione Comunista. Ha pubblicato raccolte poetiche: Un altro tempo (1972), Albero e foglia (1982), Sinopia per appunti (1997) - 2°-, Versi alfabetici (2004). Poesie in edizioni d’arte: Il gatto nell’armadio, poemetto, nell’antologia FaraPoesia a cura di A. Ramberti (2005), sette poesie nell’Almanacco Odradek, a cura di F. Muzzioli e M. Lunetta (2006). E racconti: Passi variati (2003), tre racconti “spuntati” dal suo impegno parlamentare; Giustina, Nostromo sull’81, Neve, Anni sessanta, Due ritmi una voce (due racconti: Carte e Il signore dei fiori finti), Le ore di Monella in volumi e riviste dal 2001 al 2006. Francesco Lioce svolge la sua attività di ricerca presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Roma Tre. Si interessa prevalentemente della poesia italiana del secondo Ottocento, del Novecento e della Scapigliatura. Ha curato per conto di Salerno Editore, nel 2007, il romanzo Candaule di Roberto Sacchetti. Sta curando un altro romanzo di Sacchetti che verrà pubblicato da Fermenti, in collaborazione con la Fondazione Piazzolla. Mario Lunetta, nato a Roma nel 1934 è poeta, narratore e critico. Molto presente nel dibattito letterario militante su quotidiani e riviste, ha pubblicato oltre cinquanta volumi. Con Fermenti sono usciti di recente: Lettera morta, Doppio Fantasma. Tradotto in vari paesi d’Europa e negli Stati Uniti è stato presidente del Sindacato Nazionale Scrittori.
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Anna Malfaiera nasce a Fabriano nel 1926. Si diploma presso la Facoltà di Magistero di Urbino e si trasferisce a Roma dove lavora al Ministero della Pubblica Istruzione. Collabora alle riviste letterarie “Letteratura”, “Galleria” e “Fiera letteraria”, partecipando a letture e varie manifestazioni culturali. Sue poesie appaiono in numerose antologie. Tra le sue raccolte poetiche ricordiamo: Fermo Davanzale (Padova Rebellato, 1961), Lo stato d’emergenza con disegni di V. Trubbiani, Il vantaggio privato (1970), E in tanto dire (1991), a cura di M. Lunetta, Ventisette, Rue de Fleurus (1992), con una nota critica di M. Lunetta, Il più considerevole (1993), con una nota critica di Gramigna. Il suo incontro con il teatro avviene nel corso degli anni 1987-1989. Muore nel 1996. Giovanni Masala è nato a Nuoro nel 1961. Ha iniziato i suoi studi universitari a Sassari e li ha conclusi a Braunschweig (Germania) dove si è laureato col mas-simo dei voti nel 1997 in Romanistik, Germanistik e Pädagogik (titolo di studio corrispondente all’incirca a Lingue e Letterature Straniere e Pedagogia) discu-tendo una tesi di laurea dal titolo: Versuch der Erstellung eines sardischen Grundwortschatzes des traditionellen Alltagsleben (trad. ital.: Approccio metodologico di redazione di un patrimonio lessicale di base della lingua sarda concernente l’ambito della vita quotidiana tradizionale). Parla e scrive correntemente sardo, italiano, tedesco e spagnolo. Dal 1999 è Ricercatore e Lettore di Lingua e Civiltà Sarda, dove dirige l’omonimo Lettorato presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Romanze dell’Università di Stoccarda, presieduto da Prof. Dr. Georg Maag, ordinario di letteratura italiana. Dal 2003 è fondatore (insieme a Titus Gast) e direttore scien-tifico di Sardìnnia, collana dell’istituto di lingue e letterature romanze dell’università di Stoccarda. La collana si propone di richiamare l’attenzione su opere di studiosi e intellettuali contemporanei, prevalentemente di lingua tede-sca, sarda e italiana provenienti dalle discipline scientifiche più svariate, e che abbiano dedicato parte dei loro studi alla Sardegna. Ruth Mezzolani è una giovane studiosa di letteratura, appassionata di scrittrici religiose (Juana Inés de la Cruz, Teresa de Ávila) sulle quali sta al momento lavorando. Risiede a Pesaro, dove frequenta il Corso di Lingue Orientali dell’Università di Studi di Urbino “Carlo Bo” e dove ha seguito - nella sede appunto pesarese - il corso monografico su Marino Piazzolla (tenuto dal docente di Letteratura Italiana, prof. Gualtiero De Santi). Oscar Palamenga è nato a Roma, dove tuttora vive, nel 1967. Docente di materie letterarie, si è specializzato in letteratura teatrale studiando con la prof. Franca Angelini i difficili rapporti che intercorrono tra teatro e televisione. Collabora con alcune riviste letterarie, tra cui “Fili d’Aquilone” e “Chaos e kosmos”, nonché con alcuni quotidiani. È membro dell’associazione culturale di filosofia orientale e arti marziali tradizionali cinesi “Tao Chen”.
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Raffaele Piazza, vive e lavora a Napoli. Poeta e critico letterario, collabora a “Il Mattino”, “Poetry wave”, e “La Mosca di Milano”. Ha avuto numerosi riconoscimenti per la sua poesia. Ha pubblicato su molte riviste letterarie, tra cui “Fermenti” e “Anterem”. Marino Piazzolla, nasce a San Ferdinando di Puglia (Foggia) il 16 aprile 1910. Nel 1931 si trasferisce con la sorella a Parigi. Assunto in qualità di segretario e bibliotecario della Società Dante Alighieri, conosce, tra gli altri, Pierre di Nolhoe, Marinetti e Fiumi. Nel 1937 ottiene il diploma di Studi Superiori di Filosofia alla Sorbona, discutendo una tesi su “Le poetiche da Aristotele all’abate Brémond”. Pubblica in francese le due raccolte di versi Horizons perdus e Caravanes. Tornato in Italia nel 1940, dà alle stampe Ore bianche e il poemetto mitologico Pérsite e Melasia. Si dedica all’insegnamento di Storia e Filosofia. Stabilitosi a Roma nel 1945, dirige la rivista “Narciso”. Conosce al Caffè Greco Cardarelli, allora direttore de “La Fiera Letteraria” che in seguito gli affiderà la rubrica “Critica di poesia”.Sono questi gli anni di più intensa attività di critico letterario e d’arte: dai saggi su Penna, Valeri, Bontempelli, Montale, Eliot, Raphael, Michaux, S.J. Perse, agli articoli su Klee, Cézanne, Picasso, Braque ecc. L’assidua collaborazione alla “Fiera” gli dà modo di conoscere i più noti scrittori italiani da Bernari, a Moravia, Govoni, Falqui. In seguito dirige la rivista umoristica “L’Idiota”. Tra le sue opere più importanti: Elegie Doriche (1951, Premio Etna-Taormina per l’opera prima), Le lettere della sposa demente (1952), Esilio sull’Himalaya (1953, Premio Chianciano), Pietà della notte (1957, Premio di poesia Città di Avezzano), Mia figlia è innamorata (1960, medaglia d’oro del Presidente della Repubblica al premio Viareggio di poesia), Gli occhi di Orfeo (1964, premio Tarquinia-Cardarelli), Viaggio nel silenzio di Dio (1973, Premio di poesia Città di Capua), Sugli occhi e per sempre (1979), L’amata non c’è più (1981, Premio Nazionale di Poesia e Cultura “Città di Tagliacozzo”), Il pianeta nero (1985). Gaspare Polizzi, docente a contratto di Storia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Firenze, è studioso di storia del pensiero filosofico e scientifico moderno e contemporaneo, con particolare riferimento alla filosofia e all’epistemologia francesi (G. Bachelard e M. Serres) e alla filosofia naturale tra ’700 e ’800 (G. Leopardi). Tra le sue pubblicazioni in volume si ricordano: Scienza ed epistemologia in Francia (1900-1970), Torino 1979; Forme di sapere e ipotesi di traduzione, Milano 1984; M. Serres, Genesi, Genova 1988; Michel Serres, Napoli 1990; Filosofia scientifica ed empirismo logico (Parigi, 1935), Milano 1993; H. Poincaré, Il valore della scienza, Firenze 1994; Leopardi e la filosofia, Firenze 2001; Tra Bachelard e Serres, Messina 2003; Galileo in Leopardi, Firenze 2007. È redattore di “Iride”, “Insegnare filosofia oggi” e “La Fortezza” e collabora, tra le altre, alle riviste “Nuncius”, “aut-aut”, “Nuova Corrente”, “Antologia Vieusseux”, “Intersezioni”, “Rivista di Storia della Filosofia”.
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Stefania Porrino è nata e ha studiato a Roma: si è laureata in Lettere presso l’Università “La Sapienza” e diplomata in Pianoforte al Conservatorio di Musica “S. Cecilia”. Dal 1982, dopo aver frequentato il Corso di Drammaturgia di Eduardo De Filippo, si è dedicata soprattutto alla scrittura teatrale. Vincitrice di concorso nel 1992, è titolare della cattedra di Arte Scenica al Conservatorio di Musica di Frosinone, dove ha recentemente istituito un corso di Regia del Teatro Musicale. Una ventina di suoi testi, quasi tutti premiati e pubblicati, sono andati in scena principalmente a Roma, ma anche a Viterbo, Forlì, Milano, Salerno, in Sicilia, a New York (dove ha partecipato ad una rassegna di autori italiani) e in Russia (Tilsit). Altri suoi lavori sono stati presentati nell’ambito di Rassegne di Autori italiani, a Roma, nei teatri Quirino, Sala Umberto, Ghione, La Cometa, dell’Orologio e dei Satiri. Dal ’95 ha fatto parte del Gruppo di Ricerca Drammaturgica Teatro Donna con il quale ha realizzato diverse pubblicazioni e messe in scene sotto il patrocinio del Comune di Roma. Per la RAI ha scritto lo sceneggiato radiofonico in cinque puntate L’Isolano: Ennio Porrino, uomo e musicista (regia di Lucio Romeo, 1988) e la sceneggiatura del film Tu madre, tu Sardegna, di cui ha firmato anche la regia (protagonista: Massimo Foschi, 1990). Ha debuttato nella narrativa con Il romanzo del Sentire - da Atlantide a noi, Edizioni Bastogi 2003. Con la stessa casa Editrice è stata inclusa nella raccolta antologica Novelle per il terzo millennio (2005) e nel primo volume della Letteratura Italiana con un profilo biografico e uno studio critico curati da Lia Bronzi (2007). Con Fermenti ha pubblicato Fotogrammi del tempo a Stonehenge (2005). Massimo Raffaeli è nato nel 1957. Filologo e critico letterario, scrive sul quotidiano “il manifesto” e su numerose riviste specializzate. Ha curato testi di autori italiani (Carlo Betocchi, Alberto Savinio, Massimo Ferretti, Primo Levi) e versioni di scrittori francesi (fra cui Zola, Artaud, Céline, Crevel, Genet, Duvert). Parte della sua produzione è raccolta nei volumi El vive d’omo (Scritti su Franco Scataglini) (Transeuropa, 1998), Appunti su Fortini (L’Obliquo, 2000) e Questa siepe (Il lavoro editoriale, 2000), Il canto Magnanimo. A colloquio con Umberto Piersanti (peQuod, 2005), Don Chisciotte e le macchine. Scritti su Paolo Volponi (peQuod, 2007). Sta curando, per conto della Fermenti Editrice, l’edizione di Essere & non avere di Giuseppe Guglielmi, vincitore del Premio letterario “Feronia” - Città di Fiano - Sezione Fondazione Marino Piazzolla Edizione 2007. Aldo Rosselli, nato a Firenze nel 1934, è autore di racconti: Episodi di guerriglia urbana (1972), Una limousine blu notte (1984), La mia america e la tua (1995); di romanzi: Il megalomane (1964), Professione mitomane (1971), La trasformazione (1977), Zefiro (1982); di saggi sulla letteratura angloamericana. Nel volume La
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famiglia Rosselli (1983), con presentazione di Sandro Pertini e prefazione di Alberto Moravia, ha narrato le vicende della propria famiglia. Kikuo Takano, che muore nel 2006, viene considerato uno dei principali rappresentanti di una tendenza importante della poesia giapponese del dopoguerra, è conosciuto e antologizzato in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Cina e Italia. Takano è stato in Italia diverse volte, nel 1998, al festival Moto Perpetuo di Pescocostanzo, nel 2000, nel 2001, nel 2004 a Castelbasso. Ha scritto: La trottola (Koma) (Tokyo, Nakamura-shoten, 1957), L’esistenza (Sonzai) (Tokyo, Shicho-sha, 1961), Tenebre come tenebre (Yami o yami to shite) (Tokyo, Shicho-sha, 1964), Raccolta di poesie di Kikuo Takano (Tokyo, Shichosha, 1971), Per incontrare (Deau tame) (Tokyo, Shicho-sha, 1995). Ha scritto anche molti testi per canto e musica corale. In Italia: L’anima dell’acqua (Roma, Empìria, 1996, a cura di Yasuko Matsumoto e Massimo Giannotta), Secchio senza fondo (Roma, Fondazione Piazzola, 1999, a cura di Paolo Ragazzi e Yasuko Matsumoto), Nel cielo alto, poesie scelte (Milano, Mondadori Oscar poesia, 2003 a cura di Paolo Lagazzi e Yasuko Matsumoto), L’infiammata assenza (Venezia, Edizioni del Leone, 2005, a cura di Yasuko Matsumoto e Renato Minore). È presente in:Sei budda di pietra, antologia di poesia giapponese contemporanea (Roma, Empirìa, 2000).
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La Fondazione, che opera nella Regione Lazio, ha per oggetto la costituzione di un museo per la raccolta delle opere di Marino Piazzolla e la loro conservazione e diffusione nonché l’istituzione di premi letterari per la FONDAZIONE MARINO PIAZZOLLA narrativa, poesia, saggistica, studi di filologia, la pubbliIl presente volume è stato pubblicato in parte con cazione di testi inediti in materia di scienze umanistiche il contributo della Fondazione Piazzolla - Roma e la costituzione di borse di studio a favore di studiosi e artisti italiani e stranieri. www.fondazionemarinopiazzolla.it Si rivolge a tutti senza preclusioni di natura ideologica fondazionepiazzolla@libero.it e confessionale. Rientrano nell’oggetto sociale tutte le attività che comunque si ricolleghino allo scopo della Fondazione.