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di spalle al pubblico e guardano le ballerine. In piazza del Popolo c’è lo schermo con la videotrasmissione dell’opera e Ronconi sceglie di inquadrare non le ballerine bensì tutto il Pedrotti. Quindi se si era in piazza del Popolo si vedeva il Pedrotti, mentre nel Pedrotti c’era il pubblico seduto che vedeva dei cantanti seduti i quali a loro volta vedevano le ballerine che ballavano, e in fondo c’era lo schermo che proiettava la piazza del Popolo con il pubblico che guardava lo schermo con la proiezione dell’opera all’interno del Pedrotti12. Un vero e straordinario corto circuito del cervello. Mi dissi: “Questo è un uomo intelligente”. E da quel momento non mi sono perso uno spettacolo di Ronconi.

Il cortocircuito si produce anche nella mente del giovane Calcagnini, costretto da quell’esperienza a rivedere e ricollocare idee e assiomi sul teatro. La meraviglia, la novità, la scoperta derivate dalla visione di quello spettacolo non attenevano all’idea di regia, ma ancora a quella di spazio. Il viaggio a Reims di Ronconi era un esempio straordinario (nell’accezione proprio di fuori dal comune) di straordinaria sapienza e intelligenza organizzativa dello stesso, anche al di là dei limiti propri della messa in scena dell’opera lirica che, ancora in quegli anni, imponeva ai protagonisti di essere totalmente cantanti e quasi per nulla attori. Infatti, mentre questi erano sul palco intenti a seguire le direttive del direttore d’orchestra, quello che succedeva intorno risultava contemporaneamente depistante ma drammaturgicamente congruo e dotato di senso. Altro elemento che aveva affascinato lo studente dell’ultimo anno di Accademia era la perfetta coesione tra rigore filologico e utilizzazione dei mezzi multimediali. Ogni personaggio era vestito, pettinato e truccato alla perfezione rispetto al tempo in cui Rossini aveva collocato la storia, tanto da sembrare “uscito dalle stampine dell’epoca”, come ricorda Calcagnini. In mezzo ed intorno a loro si muovevano le telecamere della televisione, i finti fotografi e i veri fotografi. “Aver organizzato uno spazio dove coabitavano tutti questi elementi, compreso il direttore d’orchestra, mi sembrava veramente un’avventura notevole, specialmente in quegli anni di totale inerzia registica”. Affascinato ed anche un po’ disorientato, Calcagnini si chiedeva che tipo di teatro fosse quello di Ronconi, qualcosa di moderno o forse di antico? Non c’erano risposte, solo il rendersi conto che lo spettacolo a cui aveva assistito sfuggiva a qualsiasi catalogazione preordinata. 12  “A Pesaro mi era stato chiesto di fare Il viaggio a Reims in una serata che avrebbe dovuto poi essere ripresa dalla televisione e anche registrata per farne un disco. Di solito cosa si fa quando si registra un disco da un teatro? Si dissimulano i microfoni, si occulta tutto quello che è l’apparato tecnico, si cerca di dare allo spettatore [...] la sensazione che tutto si svolge per lui, mentre nella realtà tutto è condizionato dalla posizione dei cantanti, che a sua volta è condizionata dalla posizione dei microfoni [...]. Ebbene, io ho fatto esattamente il contrario. Poiché la ripresa televisiva e la registrazione discografica erano parte della commissione, ho pensato di far svolgere la rappresentazione nell’auditorium, che è il luogo più appropriato alla registrazione, in modo che diventasse essa stessa parte dello spettacolo. [...] Lo stesso per la televisione: siccome l’auditorium era piccolo, era necessario trasmettere all’esterno, nella piazza. [...] Però dal momento che servivano delle telecamere per portar fuori lo spettacolo, abbiamo arricchito questa possibilità facendo in modo che le telecamere stesse diventassero parte dello spettacolo: naturalmente rapportando queste possibilità all’argomento dell’opera, ossia utilizzandole per inventare un allestimento che si svolge contemporaneamente in due luoghi. Con un gruppo di personaggi da una parte e l’incoronazione del re a Reims dall’altra”, cfr. L. Ronconi, Inventare l’opera. L’Orfeo, Il viaggio a Reims, Aida: tre opere d’occasione alla Scala, Milano, Ubulibri, 1986, pp. 15-16.

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