FASHION MAGAZINE N 3 2023

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FORMA

SOGNO GLOBALE

EDIZIONI ECOMARKET SPA Poste Italiane S.P.A. –Spedizione in abbonamento postale –D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N.46) Art. 1, Comma 1 Lom/Mi/1769 WOMEN IN TECH Non c'è trasformazione senza gender equality 32 GOLDEN GOOSE Il ceo espone i driver di una crescita annunciata 6 EXPORT BOOM Le mete migliori per il made in Italy 61 COSTI DI ACQUISIZIONE Come conferire il tocco vincente al marketing mix 20 Cover: BALMAIN ANNO 54 - N° 3 - 12 EURO Autunno 2023
STRATEGI A, INNOVAZIONE E MERCATI
DARE
AL
Il valore profondo dell'heritage europeo
MADE IN ITALY PESERICO.COM @PESERICO_OFFICIAL

AUTUNNO

Features Contents

5 EDITORIALE INTERVISTE

6 SILVIO CAMPARA/GOLDEN GOOSE «Sentimenti, sostenibilità, scalabilità: così le nostre sneaker saranno le più amate al mondo»

8 COIN/UGO TURI

«Apriremo nei centri medio-piccoli per creare poli di aggregazione»

STRATEGIA

12 DIGITAL EXCELLENCE SUITE

6

GOLDEN GOOSE: ANCHE LE SNEAKER FANNO CULTURA

L'a.d. Silvio Campara descrive il piano di crescita del marchio, in cui potrebbe rientrare anche una quotazione in Borsa

12

ALLA DIGITAL EXCELLENCE

SUITE IL FUTURO È GIÀ QUI

Relatori del fashion luxury e del digitale hanno fatto il punto sull'innovazione all'evento organizzato a Milano da Fashion

Tra online e offline un nuovo format per parlare di fashion tech

20 SALGONO I COSTI DI ACQUISIZIONE

Brand a caccia di nuovi clienti: ecco il mix per centrare il bersaglio

29 CAREERS

Rivoluzione Kering, da Gucci a McQueen. Who's next?

INNOVAZIONE

32 POWER WOMEN IN TECH

Rivoluzione digitale: ora tocca (anche) alle donne

38 TRACCIABILITÀ

Trasparenza al centro in vista di passare al digitale

43 GIOVANI STILISTI E MATERIA PRIMA Tessitori, filatori, talenti emergenti: tutti accomunati dal fattore R

50 FORMAZIONE La scommessa delle scuole: forgiare i designer green del futuro

20

COME SALVAGUARDARE IL CONTO ECONOMICO

Salgono i costi per acquisire nuovi clienti: le aziende cercano il giusto mix strategico dopo il boom dell'e-commerce

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DONNE IN PRIMA LINEA NELLA DIGITAL REVOLUTION

La gender equality è ancora un miraggio, ma qualcosa sta cambiando. Nelle parole delle protagoniste opportunità e ostacoli

61

I NUOVI SBOCCHI DELLA MODA BELLA E BEN FATTA

71

LO STILE PRAGMATICO FA BENE AL MERCATO?

I negozianti tracciano un bilancio delle vendite estive: listini alle stelle e budget stabili spingono le proposte affordable

53 FRA TECNOLOGIA E TRADIZIONE Maglieria: l’imperativo è superare i confini

56 DESIGNER TO WATCH Arriva la post-sportswear generation

MERCATI

61 UNA RICERCA DI CONFINDUSTRIA Moda bella e ben fatta: nel mondo oltre 30 miliardi di export potenziale

67 NUOVE RETAIL DESTINATION

Hong Kong pronta a riprendersi il titolo di città dello shopping

71 VENDITE DONNA SS23

Sempre meno i marchi aspirazionali. Con il silent luxur y si apre una nuova era

87 UPCOMING TREND

Soft hues

96 SATOSHI KUWATA/SETCHU

Il samurai della moda made in Italy: «Cerco la reazione chimica tra Oriente e Occidente»

98 MARYLIN FITOUSSI

«Fate come Emily, giocate con la moda. La vita è troppo breve per indossare abiti noiosi»

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Uno studio di Confindustria fa da bussola per navigare nei mercati con un potenziale ancora inespresso per le eccellenze italiane 2023

Dare forma al sogno globale

Viviamo giorni, settimane e mesi in cui l’Europa sembra sospesa in un’improbabile realtà parallela. Mentre da un lato una nuova, cruenta guerra solca crudelmente il suolo continentale, dall’altro la spensieratezza della stagione vacanziera finge alacremente di poter negare la nuova realtà, che continua ad avvitarsi in una perniciosa spirale, con una costante e calamitosa escalation. L’ordine mondiale in vigore dal secondo Dopoguerra è in palese discussione, ma le élite occidentali non sembrano essersene accorte. Come muoversi allora da imprenditori del made in Italy, in uno scenario che presenta più di qualche incognita fondamentale? La buona notizia è che l’heritage culturale europeo - di cui l’immaginario collettivo del lusso globale oggi si nutre e di cui siamo i primi produttori, a tutti i livelli della filiera, in una moltitudine di settori e per una impareggiabile vastità di mercati - anche nel momento della minaccia esistenziale per il continente da cui scaturisce non perde di attrattività. Anzi. Forse proprio la precarietà del nostro modello dà ancora più il senso di un valore intrinsecamente prezioso. Più tramonta la capacità di essere un vero polo industriale di massa, con le difficoltà dell’industria automobilistica come più tangibile simbolo della debolezza strategica europea, e altresì si conferma lo spessore risibile del nostro peso geopolitico, per non dire militare, più acquisisce preminenza nel nostro posizionamento competitivo la capacità di dare forma agli stili di vita più disparati, forgiati secondo archetipi esteticamente anche antitetici, ma sempre contraddistinti da una netta vocazione all’alto di gamma. Il mondo che oggi rivendica una sempre maggiore

autonomia dall’egemone americano è lo stesso che, essendosi enormemente arricchito negli scorsi decenni, non desidera altro che dare forma, con eleganza, a un proprio primordiale, ma potentissimo istinto e vagito di dignità. Nel mentre gli stessi americani, il cui modello è forse politicamente affaticato, ma economicamente nient’affatto afflitto dall’endemica erosione che ci attanaglia, sono più che mai sensibili alle sirene del nostro lifestyle. Si prospetta dunque la necessità di saper leggere l’entità intera del nostro retroterra culturale non solo delle gemme italiane, ma del continente tutto, per poter servire una domanda mondiale che si prefigura sterminata. Se sapremo investire in cultura, mantenendo il savoir faire manifatturiero-artigianale e implementando strategie di business flessibili e lungimiranti, potremo prosperare anche in un mondo che sta assumendo contorni multipolari e di crescente turbolenza.

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Marc Sondermann m.sondermann@fashionmagazine.it
EDITORIALE

sostenibilità, scalabilità: così le nostre sneaker saranno le più amate al mondo»

Sono questi gli elementi chiave - concreti e di strategia - che secondo il ceo del brand, in capo a Permira, hanno determinato il successo "out of the box" dell’azienda che, dopo aver toccato i 501 milioni di euro di fatturato nel 2022, continua a crescere anche quest’anno, grazie agli opening del Forward Store, allo sviluppo di progetti sostenibili con lo Yatay Lab e al lancio di nuovi prodotti, con un focus sulle borse

«È un cambio di passo. Il business oggi non si basa più sul desiderio, ma sui sentimenti. Il vero potere di un brand non è quello di vendere, ma di raccontare storie e fare cultura. Questo significa disegnare una pagina nuova e investire su nuove figure. Gli artigiani, gli addetti alla vendita, chi esegue le riparazioni nei nostri Forward Store sono dream maker e co-creator, tutti giovani e motivatissimi, molto apprezzati dai clienti che noi chiamiamo lover, perché credono nei valori e nelle potenzialità di Golden Goose». In attesa che il 2 ottobre vada in scena a Parigi il nuovo capitolo del progetto Haus of Dreamers che mescola arte, musica, architettura e moda, Silvio Campara, ceo del brand specializzato in sneaker e controllato dal 2020 dal fondo Permira, parla del piano di crescita che attende Golden Goose. Progetti molto concreti, in cui potrebbe rientrare anche una quotazione in Borsa (di cui da tempo si parla, ma che non è mai stata ufficializzata), e strategie “evoluzionarie” (perché il termine disruptive è ormai troppo di moda), dopo che l’azienda ha chiuso il 2022 a quota 501 milioni di euro, un ebitda del 30% e un network di negozi diretti salito a quota 200. «Ma il numero di cui vado più fiero - dice l’a.d. - è che la parte incrementale di fatturato è stata ottenuta per il 50% da clienti già esistenti. Perché per noi non esiste futuro, senza la certezza di avere un passato solido».

Cosa prevede il futuro?

Continueremo a crescere anche quest’anno, andando avanti con i Forward Store a Milano, il nostro retail concept incentrato sui servizi di repair, remake, resell e recycle, che presto lanceremo anche online. Uno sviluppo inevitabile, visti gli incredibili risultati ottenuti: nel primo

Silvio Campara inizia la carriera nel negozio di Milano di Alexander McQueen, per poi diventare direttore commerciale di Armani Asia. Nel 2013 entra in Golden Goose, dove è nominato ceo cinque anni dopo. Attualmente è anche il secondo azionista della società, dietro al fondo Permira che dal 2020 ne controlla la maggioranza

«Anche se molti la vedono come la sneaker con la stella, Golden Goose ormai è una piattaforma, che mette al servizio del mercato il suo know-how»

anno stimavamo di fare 2/3mila riparazioni in un anno e ne abbiamo realizzate 16mila: di queste il 38% non riguardava neppure prodotti Golden Goose ma di altri marchi, spesso posizionati del settore lusso, che però non valorizzano questo genere di servizio. Ne abbiamo approfittato noi: di quel 38%, infatti, quasi il 20% è finito col diventare nostro cliente. È la dimostrazione che fare le cose per se stessi è li-

mitativo e non potenzia il rapporto con il consumatore. Vogliamo realizzare progetti e fare innovazione per tutti e con tutti. Questa è anche la logica che guiderà lo Yatail Lab, una piattaforma di co-action, impegnata nella ricerca e nello sviluppo di materiali e prodotti circolari.

Cosa farete precisamente?

A settembre inaugureremo a Erba il nuovo laboratorio, dotato di sofisticati strumenti e tecnologie, frutto della collaborazione con la Coronet di Umberto De Marco. Insieme abbiamo dato vita a questa newco, di cui controlliamo il 40%, che non si limita a produrre sneaker sostenibili, ma fa innovazione: inventa e sperimenta nuovi processi e nuovi materiali con la più bassa impronta ambientale, che prima testeremo sulle Golden Goose, verificandone la scalabilità, e poi metteremo a disposizione di tutti i player del lusso. Perché il nostro Lab non si limita a creare prodotti, ma è un luogo dove l’esigenza di una maggiore circolarità si trasforma in soluzioni tangibili.

Come proseguirà invece in ambito retail il vostro percorso di sostenibilità?

In prospettiva, tutti i nostri negozi avranno una connotazione legata alla sostenibilità. Certo, non tutti potranno essere dei Forward Store, perché per questo concept ci vogliono superfici ampie, che non riguardano tutte le nostre location, ma ci piacerebbe che il servizio di raccolta del prodotto, momentaneamente disponibile in una trentina di punti vendita, fosse attivo in tutti gli store. Magari nasceranno corner, con l’unica finalità di offrire un servizio di re-making, senza vendita. Siamo in fase di ideazione: di sicuro continueremo a investire sui Forward Store: dopo Milano, Dubai e New York, è stata la volta di Parigi. Ma prevediamo altre aperture, anche perché si stanno rilevando un affare, che genera fatturato. Prendiamo il caso

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«Sentimenti,
ANDREA BIGOZZI INTERVISTA
DI

di Milano: dopo il primo anno da quando ha riaperto con il nuovo format la sua redditività al metro quadro è aumentata del 30% e in più abbiamo acquisito nuovi clienti.

Anche la creazione di Haus, l’hub creativo di Marghera, nato per dare spazio alla creatività della vostra community, finirà con rivelarsi un affare, oltre a creare empatia?

Per un'azienda aiutare i talenti a formarsi conta molto di più che avere un ritorno economico nel breve periodo. Il cuore di Haus sarà la nostra Academy, dove si insegnerà ai giovani l’arte del fatto a mano. È un processo in cui troveremo nuovi talenti e questo ci avvantaggerà.

Davvero, secondo lei, i giovani che si affacciano al mondo del lavoro saranno interessati a coltivare il loro talento manufatturiero?

Certo che sì, anche perché realizzare una Golden Goose è un lavoro straordinario, che richiede quattro ore e mezzo e unisce capacità di riflessione, creatività e anche istinto. Quando nel 2018 abbiamo lanciato le co-creation, che solo l’anno scorso hanno fruttato 48 milioni di euro, ci siamo inventati - e l’abbiamo formata - la figura professionale degli "Sneakers Makers": veri e propri artisti, che vanno in giro per

il mondo a realizzare su richiesta dei clienti personalizzazioni ai nostri prodotti. E sa una cosa? Siamo letteralmente sommersi dalle richieste per questa posizione ed è anche per questo che ci è venuta in mente l’idea dell’Academy.

Quindi lei dice: siano in una posizione favorevole per la forza finanziaria e possiamo permetterci di scalare la formula offrendo il nostro know-how ad alti marchi: allora Golden Goose non è semplicemente un marchio, ma una piattaforma…

Assolutamente sì, solo che in pochi se ne sono accorti. Anzi per la maggior parte continuano a vederci come “la sneaker con la stella”.

Questa definizione le sta stretta?

È una conseguenza del fatto che il 90% del fatturato deriva dalle scarpe da ginnastica. Al mio arrivo Golden Goose era un brand lifestyle, che realizzava il 60% del business con l’abbigliamento. E' stata una mia scelta concentrarmi sulle sneaker, in base alla convinzione che ogni look parte dalle scarpe come primo acquisto. Questa percentuale ci sta benissimo, ma sappiamo che il potenziale inespresso è altissimo.

1. Come per le sneaker, l'obiettivo della collezione di ready to wear è quella di fornire ai clienti capi effortless e senza tempo da indossare in ogni occasione.

2. Uno dei dream maker Golden Goose in azione.

3. Il Forward Store di via Cusani a Milano promuove servizi di Repair-Ramake-Resell-Recycler. Nel primo anno con il nuovo format la resa al metro quadro del negozio è cresciuta del 30%.

4.

Dove, per esempio?

Penso all’abbigliamento. La nostra collezione fatta di capi essenziali, riletti in chiave di eccellenza, su cui siamo tornati a investire da qualche stagione, è destinata a crescere. Ma è sul mondo degli accessori che nutro grandi aspettative, in particolare delle borse in pelle. A novembre ci sarà un lancio molto importante per noi, vedrete. Anche con le borse puntiamo a posizionarci in quel segmento, ancora vuoto, che sta sotto l’extra lusso.

Per riportare in auge il lifestyle delle origini sarà necessario un direttore creativo. O si può farne senza?

Il modello Marathon della capsule collection Sunmi

12 milioni

Le sneaker del brand vendute negli ultimi 10 anni

Solo sentire la parola mi vengono i brividi… Abbiamo una chief designer officer molto giovane, visto che ha poco più di 30 anni come del resto il 70% delle persone che lavorano con noi, che si occupa di tutto, tranne che delle scarpe. E poi c’è il chief brand officer, a capo di tutto l’universo sneaker. Il suo è un ruolo chiave: sviluppa sia la parte di narrativa e di racconto, sia quella di prodotto. Passa più tempo per strada in giro per il mondo, in cerca del contatto con la gente, che in ufficio a dettar legge. No, decisamente non abbiamo bisogno di un direttore creativo, così come non abbiamo bisogno di un ceo. Io preferisco definirmi un Chief Emotional Officer, altrimenti Golden Goose che love brand sarebbe?

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Il Rendering dello Yatay Lab di Erba.
4

«Con Coin apriremo nei centri

per fare da polo di aggregazione. Excelsior a Milano? Lo faremo in house»

I piani di sviluppo dei grandi magazzini raccontati dal nuovo ceo. «Amplieremo la rete di negozi, ma il focus sarà su spazi più piccoli rispetto al passato». Più attenzione alla clientela giovane e alle contaminazioni shopping e servizi. E sull’operazione di Piazzale

Cordusio il manager dice: «Pronto nel 2024 con una shopping experience differente»

DI ANDREA BIGOZZI

«Nel 2022 il business (300 milioni di euro, ndr) è tornato a essere molto vicino ai livelli 2019, che per la nostra insegna era stato un anno record, mentre il risultato di esercizio è stato addirittura migliore. Prevediamo una significativa crescita delle vendite anche per quest’anno, intanto andiamo avanti con le ristrutturazioni dei negozi più importanti e contemporaneamente valutiamo possibili opzioni di sviluppo del nostro network, preferendo i centro città ai centri commerciali. E poi c’è il grande progetto di Piazzale Cordusio a Milano, che si concretizzerà nel 2024, ma la nostra squadra è già in azione». Ugo Turi è da poco più di sei mesi il ceo di Coin, gli storici grandi magazzini italiani che stanno vivendo un’importante trasformazione come dimostrano i numeri: 30 milioni di visitatori, 9 milioni di scontrini emessi, più di mille brand in portfolio.

Cosa prevede il piano di sviluppo?

In questo momento di crisi dei piccoli dettaglianti, vogliamo proporci come alternativa al negozio di prossimità, non solo sul piano commerciale ma anche su quello sociale. Partendo dal format lanciato per il negozio di Firenze all’ex Loggia del Grano nei prossimi tre anni porteremo l’insegna Coin nei centri di citta di provincia dove non siamo attualmente presenti. I dati dei negozi di Vicenza e Sassari, che crescono a doppia cifra abbondante, rafforzano la nostra strategia. Prevediamo una decina di nuovi opening, puntando su location di forte visibilità, con metrature inferiori rispetto a quelle che ci hanno contraddistinto in passato e che, come nel caso di Firenze, rispecchino le nuove abitudini di consumo, offrendo non solo abbigliamento, accessori e bellezza, ma anche ristorazione e portando avanti collaborazioni con

alcune eccellenze del territorio, che possano portare la loro offerta all’interno del nostro punto vendita.

Quindi l’attuale contesto macroeconomico e l’inflazione non faranno mettere in stand-by gli investimenti? No, anche perché i negozi ristrutturati sono quelli che registrano risultati sopra la media e attirano clienti più giovani, che sono un nostro obiettivo. Ma questo è legato anche al fatto che il brand mix sta cambiand. I marchi più amati dalle nuove generazioni chiedono di rientrare nella nostra selezione e poi stiamo ampliando e diversificando sempre più l’offerta. Recentemente l’inserimento di una vasta gamma di gioielli maschili è stata un successo.

L’era dei grandi formati è finita? Pensiamo che per il format Coin 1.000/1.500 metri quadrati siano sufficienti. La maggior parte dei negozi più ampi li stiamo riconvertendo in Execelsior, che è la nostra insegna più evoluta. Como,

per esempio, lo abbiamo ristrutturato di recente, mentre il restyling di Verona, in corso, è un intervento molto importante.

A proposito di Excelsior, si avvicina un momento molto importante: nel 2024 aprirete a Milano. Che aspettative avete?

Abbiamo preso uno spazio molto importante in piazzale Cordusio, con ingresso su via Tommaso Grossi, che sarà pedonalizzata e diventerà una sorta di prosecuzione di Galleria Vittorio Emanuele. Si tratta di 4mila metri quadrati lordi e 2.800 netti: ci saranno spazi per lo shopping, ma anche un bistrot e tanti servizi. Sarà il nostro fiore all’occhiello e ci stiamo già lavorando. Ci occuperemo direttamente del buying: il nostro team di 5 professionisti guidato da Giovanni Pace è già al lavoro. 

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1
medio-piccoli
INTERVISTA Ugo Turi COIN
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1. La nomina di Ugo Turi come a.d. di Coin è dello scorso febbraio e segue quella a presidente di Marco Marchi di Liu Jo. 2. L’interno di uno store Coin. 3. La facciata di Coin Excelsior a Triestre.

A FATHER AND SON TALE

Pierce Brosnan & Paris Brosnan
antonellifirenze.com

Un nuovo format per parlare di fashion tech

Un evento fisico a porte chiuse con relatori di alto livello del fashion luxury e del digitale, da seguire anche come video su YouTube

Un ulteriore tassello si è aggiunto agli eventi organizzati da Fashion per approfondire le tematiche del digitale e della tecnologia. Con la Digital Excellence Suite abbiamo lanciato un format innovativo, snello, selettivo e - non ultimo - omnicanale, come lo è il mercato. Una tavola rotonda a porte chiuse, organizzata all’Hotel Principe di Savoia di Milano alla presenza di top speaker dei marchi del lusso e partner tecnologici, che è stata poi veicolata su YouTube, sia con un video riassuntivo, che con una serie di approfondimenti sugli interventi dei principali relatori. In primo piano tematiche di attualità come il conto economico di aziende e retailer, il conversion rate e le leve dell’engagement, con il valore aggiunto, in apertura, di un’analisi a tutto tondo su fashion & luxury, le sue trasformazioni e i suoi mercati di riferimento tra Occidente e Oriente. La metodologia è quella di sempre: andare dritto al cuore di un settore in rapida e a volte imprevedibile evoluzione, estrapolando dagli interventi di relatori di primissimo livello informazioni e spunti utili non solo per fare il punto della situazione, ma anche per cogliere i primi segnali di un futuro di cui si stanno già delineando i contorni. Intanto c’è da segnare una data imminente, quella del 10 ottobre, con una nuova puntata della nostra Ceo Roundtable, intitolata Top of Tech & Italian Acceleration: a Palazzo Mezzanotte, dalle 13.30 alle 18.30, si definiranno insieme ai responsabili dei top brand e di realtà tecnologiche di spicco gli asset strategici per emergere in scenari competitivi. 

UN’ANALISI

DI PWC ITALIA

Per lusso e digitale

nuove frontiere tra Oriente e Occidente

Con Nicola Giorgi e Fabio Castignetti di PwC Italia un excursus su un mercato dove il 40% è fatto dal 10% dei consumatori, i giovani avanzano con prepotenza interpretando in modo nuovo la parola qualità e l’Asia presenta ancora molte potenzialità a chi ha i mezzi e la visione per coglierle

«Il 40% del mercato è fatto dal 10% dei consumatori. Un tempo si parlava di un acquirente maturo, ma oggi il ruolo di Millennial e Gen Z, soprattutto in Asia, è cruciale»

Dove ha senso investire e dove invece risparmiare per far quadrare i conti dell’omnicanalità, mentre i costi di acquisizione dei clienti on e offline continuano a crescere? E quali sono i nuovi orizzonti digitali da esplorare tra Oriente e Occidente? A queste domande, lanciate dal nostro direttore e ceo Marc Sondermann, hanno dato risposte in apertura della Digital Excellence Suite di Fashion Nicola Giorgi e Fabio Castignetti, rispettivamente senior advisor e partner della società di consulenza PwC Italia. Come ha sottolineato Giorgi, nel lusso è in corso una polarizzazione: «Ormai il 40% del mercato è fatto dal 10% dei consumatori - ha affermato - e se un tempo il profilo prevalente era quello di un acquirente maturo, oggi i Millennial e la Gen Z stanno entrando con prepotenza, specie in Asia». Secondo il senior advisor di PwC Italia, il quadro distributivo sta a sua volta cambiando: i luxury brand si focalizzano su retail diretto e B2C e la prospettiva è di un ridimensionamento, forse addirittura di una parziale estinzione, del wholesale. Ma c’è dell’altro, ossia il profondo cambiamento della figura del cliente finale, che approda all’acquisto, soprattutto online, magari dopo aver navigato su social e motori di ricerca, mentre nel fisico cerca non più venditori, ma manager a tutto tondo, con una conoscenza delle tecnologie informatiche. A livello di prodotto, è davanti agli occhi di tutti l’ascesa del quiet luxury: proposte meno urlate e meno legate alla stagionalità, durevoli in nome della tendenza a comprare meno ma meglio. Due consumatori su tre si dicono interessati a capi con contenuti di sostenibilità e c’è un buon 70% circa che sarebbe disposto a pagare di più, secondo PwC Italia, per avere un capo sostenibile. A proposito di prezzi, nell’high luxury imperversa la tendenza al ritocco verso l’alto, «al punto che l’entry price di una borsa tra le più costose di Chanel equivale ormai a quello di una bag di Hermès». A questo proposito, in una recente intervista la ceo di Chanel, Leena Nair, ha spiegato che dietro a questi incrementi ci sono diversi fattori: la volatilità valutaria, i costi in salita di materie prime e manodopera e la complessità di realizzazione di prodotti che richiedono anche 180 passaggi per essere completati.

12 STRATEGIA SCENARI OMNICHANNEL E MULTICOUNTRY
TRA OFFLINE E ONLINE
DIGITAL EXCELLENCE SUITE

Tornando a parlare di sostenibilità, Giorgi ha precisato che i fattori Esg e la coscienza sociale sono fra i trend che modelleranno il lusso: un mercato il cui valore, secondo la società di consulenza, dovrebbe salire a 444,7 miliardi di dollari nel 2025, dai 325,4 del 2022, ipotizzando nei quattro anni un cagr (tasso di crescita composto annuale) dell’11%. Fra le tendenze anche l’impiego dell’intelligenza artificiale generativa e il metaverso, visto come strumento di interazione con i clienti, sfruttando le tecnologie della realtà virtuale e aumentata. Intanto le geografie mutano: «Si va da un’Europa che beneficia del ritorno del turismo cinese, a uno scenario americano soft per motivi macroeconomici - ha specificato l’esperto di PwC Italia -. Giappone e Corea hanno mercati interni solidi e risentono positivamente dei viaggi a corto raggio dei cinesi. Asia e Cina diventano sempre più importanti per il business dell’alto di gamma». Nonostante le recenti preoccupazioni in seguito alla crisi di Evergrande, il mercato cinese del lusso è previsto in crescita a un 2022 e il 2025. Alla fine del periodo il Grande Paese diventerà il maggiore cliente, con il 25% del mercato, e l’Asia sarà protagonista, se si tiene anche conto anche del 10% del Giappone e del 16% del resto del continente.

Overall Luxury Market Outlook

Il mercato globale sta crescendo grazie alla fine delle restrizioni, a forti flussi turistici, alla graduale riduzione dell’inflazione e ad una ripresa della confidenza in EU

Overall Luxury Market Outlook

Il mercato globale sta crescendo grazie alla fine delle restrizioni, a forti flussi turistici, alla graduale riduzione dell’inflazione e ad una ripresa della confidenza in EU

Market Size ($ billion)

Overall Luxury Market Outlook

Il mercato globale sta crescendo grazie alla fine delle restrizioni, a forti flussi turistici, alla graduale riduzione dell’inflazione e ad una ripresa della confidenza in EU

«In Cina la mentalità è differente dalla nostra: occorre avvalersi di partner locali, integrare nell’offerta prodotti del luogo e stabilire collaborazioni»

Tra le specificità della Cina emerge la scarsa penetrazione online del lusso, tranne nel caso dei cosmetici, ma il fatto che i giovani stiano educando gli anziani allo shopping digitale apre nuove prospettive. Da non sottovalutare, poi, che il tasso di penetrazione è in aumento nelle città Tier 2

Fabio Castignetti

PwC Italia

«La Cina è un’area sterminata - ha osservato Fabio Castignetti - e occorre pertanto essere specializzati, dall’e-commerce al marketing, fino al client engagement». «Basti ricordare - ha aggiunto - che Amazon è entrato con una quota di mercato del 10% e dopo dieci anni è uscito del tutto». È necessario inmedesimarsi in una mentalità differente dalla nostra, avvalersi di partner locali e/o integrare nell’offerta prodotti del luogo o, ancora, stabilire delle collaborazioni, per esempio con i designer locali. Il 70% delle transazioni avviene “same day delivery” e

Ecommerce Superpower

Facile, divertente e significativo: il Fil Rouge dei trend digitali nel mercato cinese

Fonte:

Be “local”

Aumentata propensione dei consumatori cinesi all’acquisto su siti locali (es. TMall vs Amazon ), di brand locali e anche collaborazioni di brand europeri con designer cinesi.

China-speedgratification

Le infrastrutture civilistiche garantiscono una rapida copertura del territorio. Quelle digitali, un rapido assorbimento delle innovazioni presenti nel mercato

Digital Silk Road Theory

Tutti i brand espongono i propri prodotti sui siti cinesi. Tmail offre un servizio di Hotline per avere supporto live da altre persone per capire quali sono i prodotti di tendenza in quel momento

Viene enfatizzato il concetto di crescita economica ed impatto sostenibile. Sono state create che calcolano il footprint del tuo ordine al momento del checkout

Community Group Buying

I repost sui social media rappresentano la maggiore opportunità di conversione Collab tra brand diversi per creare merchandising da fotografare e collezionare guidano il traffico

WeChat, come ha ricordato Castignetti, «non è un semplice social network ma una galassia di piattaforme, che sostituisce i nostri Facebook, Skype, Instagram, Google Search e Amazon. Non si può inoltre usare la stessa logica e creatività delle nostre campagne promozionali». Un ruolo strategico, a questo proposito, è legato al fenomeno delle dirette live, tramite le quali è possibile raggiungere ricavi per miliardi in sole otto ore. La scelta di un influencer piuttosto che di un altro può fare un’enorme differenza. Cruciale il servizio di assistenza alle vendite: avviene prevalentemente via digital e WeChat si muove attraverso account personali. «La polarizzazione verso il mondo social - ha puntualizzato il partner di PwC Italiapermette di fare praticamente di tutto: integrazione con il Crm locale, ma anche conclusione della vendita, segmentazione della clientela e creazione di anagrafiche». Fare business nel rispetto della legge in Cina è complicato: «Basti pensare al fatto che il framework normativo della privacy dà molto spazio all’interpretazione e poca chiarezza». Il rischio è di incorrere in sanzioni o addirittura nel blocco delle operation: «Bisogna capire quali sono i vincoli di riferimento», ha concluso Castignetti. 

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Global
2024E 2021 20192020 2022E2023E 2025E 2022E-2025E +11.0% Source: Euromonitor, Frost & Sullivan, Desktop research, PwC analysis Luxury Market Share by Region China The US Europe Japan Rest of Asia Rest of World 2022E 22% 24% 27% 9% 14% 4%
Luxury
Global Luxury Market Size ($
2024E 2021 2019 2020 2022E 2023E 2025E +11% 2019-2020 -9.5% 2020-2021 +13.2% 2022E-2025E +11.0% CAGR Source: Euromonitor, Frost & Sullivan, Desktop research, PwC analysis Luxury Market 22% 24% 27%
billion)
Global Luxury Market Size ($ billion) 2024E 2021 20192020 2022E2023E 2025E +11% 2019-2020 -9.5% 2020-2021 +13.2% 2022E-2025E +11.0%
Frost & Sullivan, Desktop research, PwC analysis Luxury Market Share by Region China The US Europe Japan Rest of Asia Rest of World 2022E 2025E 22% 25% 24% 22% 27% 23% 9% 10% 14% 16% 4% 4% 4
Source: Euromonitor,
70% Consegne effettuate nello stesso giorno 495 ml Pagamenti con riconoscimento facciale 29 k Brand presenti su TMall da 90 paesi 1.5 GtC Riduzione emissioni entro il 2035 14 bn Utili derivanti da cross-brand merchandising 50% Delle transazioni mondiali
Fonte: PwC Italia
Euromonitor, Frost & Sullivan, Desktop research, PwC analysis

Tecnologia sì, ma quale?

In ballo c’è il conto economico

È il momento di fare piazza pulita dei sistemi legacy, che appesantiscono il business senza portare reali benefici, ragionando non solo in termini di risparmio immediato sui costi, ma anche di ricaduta positiva e duratura sul business aziendale

DI CARLA MERCURIO

Conto economico aziendale: la tecnologia quanto incide e come ottenere un ritorno concreto, a fronte di investimenti anche molto significativi? Se ne è discusso nel panel composto da Irene Rossetto (country manager di Big Commerce), Fabio Tucci (e-commerce manager di Canali), Ilaria Duchini (e-business director di Primadonna) e Giacomo Viglietta (head of It di Philipp Plein). «Bisogna sganciarsi da sistemi legacy, incapaci di evolversi e che magari hanno pricing fissi legati ai ricavi», ha sottolineato Marc Sondermann. «Superare le vecchie tecnologie che appesantiscono dal punto di vista della maintenance è una priorità», ha ribadito Irene Rossetto a nome di Big Commerce, piattaforma di e-commerce omnichannel b2b e b2c, di tecnologia open SaaS e parte di Mach Alliance, arrivata in Italia due anni fa e basata su microservizi, api first, cloud based e headless. «Quelli che definirei monoliti - ha affermato - vendono qualsiasi soluzione, magari anche dieci o 15 prodotti a cascata. Noi facciamo l’opposto, essendo verticali sul commerce e sull’omnicanalità. Le vecchie piattaforme tendono inoltre a “chargeare” in base al fatturato di un’impresa, cosa che penalizza crescita e margini aziendali». Rossetto ha ricordato che in due anni BigCommerce ha lanciato sette mercati europei, con l’Italia al secondo

posto dopo il Regno Unito. «Non facciamo tantissime cose ma una molto bene, giocando di apertura con il resto dei partner tecnologici - ha sintetizzato la manager -. Con un approccio agile, veloce e flessibile permettiamo ai clienti di rafforzare l’engagement sui clienti e creare customer experience di successo, tutto ciò grazie alla modularità». L’intervento di Fabio Tucci di Canali è partito dalla considerazione che i tempi d’oro del Covid sono lontani e ora si è rientrati in una fase fisiologica di normalità, con i pro e i contro del caso. «Diventa più costoso acquisire clienti - ha precisato Tucci -. Occorre lavorare sulla customer retention, guardare ai big customer e continuare a mantenere valore nel cuore delle nostre revenue, anche digitali». L’e-commerce manager di Canali ha poi parlato delle opportunità offerte dalla nuova tecnologia, che chiaramente va metabolizzata dall’azienda e dai suoi percorsi: «Siamo passati a una soluzione innovativa per il mercato europeo, Vtex, in grado di offrire tutti i plus di una moderna tecnologia, SaaS, composabile, headless, eccetera - ha spiegato -. Sta andando abbastanza bene. Pur con le difficoltà legate al nuovo, essendo un po’ sulla frontiera, siamo fiduciosi sul fatto che avremo ottimi ritorni da questo investimento, cercando appunto di non pesare troppo sul conto economico dell’e-commerce». «La tendenza - ha affermato Ilaria Duchini di Primadonna - è guardare il conto economico nella struttura base, costiricavi, senza valutare le reali conseguenze delle scelte fatte. Se basiamo la scelta solo su quanto costa una piattaforma o su quanto è possibile risparmiare, rischiamo di perdere chance che poi non si traducono in un risparmio di costi ma in un mancato introito, restando indietro». Il conto economico «non è da analizzare su base annua, ma sull’evoluzione e sulla capacità di rimanere al passo con i tempi». Nei progetti di replatforming o simili, ha puntualizzato la manager, ci si trova a chiedersi chi debba

«Andare oltre i cosiddetti monoliti e le vecchie tecnologie, che appesantiscono dal punto di vista della maintenance, è una priorità nel mercato che cambia»

occuparsi della gestione. «Abbiamo le risorse in casa o dobbiamo basarci verso l’esterno? - ha domandato -. E se andiamo verso l’esterno quali sono i costi? Non parliamo meramente del costo al mese, ma del servizio che avrò. Perché esternalizzando se si trova il giusto partner si vince, ma il partner non corretto implica lunghissimi tempi per l’adeguamento e ciò va a impattare sulla prima riga del conto economico, quella del fatturato». Secondo Giacomo Viglietta di Philipp Plein, «non si può più ragionare a compartimenti stagni, ma occorre chiedersi che ricadute abbia l’introduzione di una nuova tecnologia sull’azienda e sul conto economico cross dipartimento». Purtroppo «ci sono dipartimenti che hanno dei loro budget e loro conti economici, ma che ragionano solo per se stessi. Bisogna invece capire che una spesa fatta male lato Crm può avere fortissimi impatti sull’intero ecosistema aziendale». Viglietta ha fatto un esempio concreto: «Rinnovare i processi a livello di Plm, inteso come software, ci ha permesso di ridurre del 15% i resi lato e-commerce. Quindi dov’è il conto economico, di chi è quel budget? È della produzione, che è l’owner del Plm, come software, o è dell’e-commerce, che ha guadagnato perché la produzione ha fatto un investimento? Non si può più ragionare per dipartimenti». Sondermann ha infine posto l’accento sull’AI, «che ha riacceso la fantasia dei mercati finanziari». Ma come le aziende possono usarla nel day-by-day? Ilaria Duchini ha posto l’accento sulla differenza tra AI generativa, ancora in fase sperimentale, e predittiva, ormai entrata nelle prassi aziendali. A questo proposito Irene Rossetto ha citato un progetto di Big Commerce: «Il fatto che siamo aperti ai partner tecnologici in modo scalare ci ha permesso di lavorare con uno dei nostri partner tecnologici per un cliente del fashion luxury, che è andato sul mercato creando un percorso di engagement incredibile per il cliente: risultato, un +3% di conversion rate e un +30% di aumento del carrello medio». «Con l’AI - ha concluso - la scelta vincente può essere partire con tecnologie che danno la possibilità di fare facilmente one click install».

STRATEGIA SCENARI OMNICHANNEL E MULTICOUNTRY 14
SGANCIARSI DA PERCORSI OBSOLETI
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Irene Rossetto Big Commerce Ilaria Duchini Primadonna Fabio Tucci Canali Giacomo Viglietta Philipp Plein

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Il retail integrato spazza via le inefficienze

Lo store fisico e l’e-commerce ormai sono due facce della stessa medaglia, perché i servizi che un tempo erano appannaggio dell’online devono ritrovarsi anche nell’offline. In primo piano da un lato l’automatizzazione e velocizzazione dei processi, dall’altro una user experience avanzata

Se il mercato della moda e del lusso è tornato a crescere, parte del merito arriva dai punti vendita. Lo ha confermato Mario Davalli, country manager Southern & Eastern Europe di Cegid, dal suo osservatorio fatto di oltre 1.000 brand clienti in più di 75 Paesi. «Il mercato del retailha detto - si è ripreso, tant’è che abbiamo superato il numero di scontrini emessi nel 2019». «Certo - ha aggiunto - il numero dei negozi è diminuito in assoluto, ma quelli attivi performano di più proprio grazie all’e-commerce, ormai integrato al 100% con lo store fisico. Tutti i servizi che prima erano prerogativa dell’online, ora le persone devono trovarli nell’offline». Gli investimenti in digitalizzazione nel retail si indirizzano sostanzialmente in due direzioni per i brand, engagement della user experience e automatizzazione, tenendo presente la sostenibilità economica: il tema dell’abbattimento dei costi di gestione dell’attività retail non va trascurato. «Oggi se un’azienda sostiene un investimento IT non può pensare di rientrare in tre anni, ma se lo deve ripagare in tempi più rapidi», ha chiarito Davalli, sottolineando che Cegid sta proponendo ai clienti servizi molto semplici da usare, che mettono in primo piano flessibilità e sicurezza e tengono in seria considerazione il tema del Roi. «Sono sempre di più le realtà attente a questi aspetti - ha confermato -. Penso al tema dell’automatizzazione dei processi, che non riguarda solo l’intelligenza artificiale, ma è semplicemente far fare ai software cose che prima facevamo noi. Tutti i retailer stanno lavorando sull’ottimizzazione degli stock e la circolarità del cliente: ogni piattaforma deve essere in grado di portare il dato richiesto dal venditore, senza che lui debba fare il giro tra i diversi sistemi informativi dell’azienda». Una figura che dal post Covid è uscita rivoluzionata è l’area manager, «che prima aveva 30/40 punti vendita da seguire, distribuiti su almeno quattro regioni, ed era sempre in auto. Oggi gli stessi compiti di prima li svolge tramite app». Cegid, ad esempio, ha lanciato una piattaforma volta ad automatizzare le varie attività: direttamente dall’azienda si definiscono la strategia visual e

le operazioni da svolgere in store, compresi aspetti non strettamente consumer come i corsi sulla sicurezza, e si spediscono i messaggi. «Si tratta di un’opzione scelta da diversi nostri clienti, tra cui Pvh - ha concluso Davalli - che ha portato a un notevole ritorno sull’investimento già del primo anno, risparmiando su costi e inefficienze». A nome del Gruppo Artsana (il cui marchio principale è Chicco) ha parlato il retail & digital director Marco Orseniga, ricordando che il brand Chicco, uno storico punto di riferimento nel mondo bimbo, è presente in contemporanea su molteplici canali: wholesale tradizionale ed evoluto, diretto ed e-commerce. «Il primo tema per noi - ha puntualizzato Orseniga - è dare un ruolo specifico a ognuno di questi canali, evitando la competizione sul prezzo e riducendo i costi di acquisizione del traffico sul consumatore». Nell’attività retail diretta, ad esempio, «cerchiamo di dare il più possibile risposte al consumatore, risolvendo le sue incertezze legate all’esperienza di essere genitore. Questo crea un meccanismo di fiducia verso la marca, che si può valorizzare anche in altri canali». Un approccio crosschannel che prevede una visione olistica e probabilmente anche ambiziosa della tecnologia, ma che il retail & digital director di Chicco non esita a definire come un buon investimento: «La tecnologia costa, ma se è performante ripaga». Dai grandi numeri di Artsana al lusso di Kiton, che si focalizza da sempre su un’esperienza d’acquisto memorabile per i clienti. A rappresentare il brand alla tavola rotonda il vice presidente Michele Galetto. «Stiamo costruendo intorno a un prodotto eccellente e fatto in Italia, con materie prime di pregio, un ecosistema in cui ogni touchpoint abbia un suo obiettivo specifico - ha chiarito - per trasferire al meglio l’esperienza

dei nostri punti vendita anche nel canale digitale. Questa è una delle sfide più grandi per un brand hardcore ready-towear come Kiton, che non ha cappellini o portachiavi da vendere online. Il nostro focus, anche nell’e-commerce, è ciò che sappiamo fare: la sartoria». Entro l’anno prossimo è atteso un rinnovamento a livello grafico, ma soprattutto di experience digitale, del sito di Kiton: «Penso a un tool come il Car Configurator di Lamborghini, molto popolare e utilizzato in Rete, capace di mostrare sul web tutta la nostra disponibilità di prodotti e quello che possiamo fare, per guidare il traffico nei negozi del marchio». Già individuati gli alleati ideali per migliorare l’esperienza digitale e il coinvolgimento del clienti: gli e-tailer. «Lavoriamo da tempo con realtà come Mr. Porter e Mytheresa, con cui realizziamo capsule speciali e offriamo alcuni servizi importanti per i clienti. Stiamo concentrandoci inoltre sul Crm, sempre in un contesto selettivo». Anche per le aziende più legate al lifestyle il confine tra online e offline si assottiglia: la sfida è coniugare heritage e innovazione, come ha ribadito il retail director di Harmont & Blaine, Luciano Pallaro. «La nostra è una tipica media realtà italiana con un grande focus sul prodotto - ha spiegato -. Come tanti, abbiamo dovuto passare a un approccio digital-centrico, partendo l’anno scorso con un progetto ambizioso e ampio in tal senso. Con Cegid stiamo lavorando a introdurre numerosi elementi di innovazione, che porteranno a un rifacimento della parte e-commerce, del Crm e della loyalty. La parte fisica deve essere portata a livello 3.0, visto che nel post Covid alcuni servizi sono diventati da opzionali a indispensabili». «Il lifestyle, l’atmosfera resort, l’italianità, il colore - ha concluso Pallaro -. Sono questi i valori che vogliamo portare nel digitale. L’universo fisico va traghettato in questo contesto, per trasmettere l’idea che Harmont & Blaine è sempre Harmont & Blaine». 

17 STRATEGIA SCENARI OMNICHANNEL E MULTICOUNTRY
«Se un’azienda sostiene un investimento IT non può pensare di rientrare in tre anni, se lo deve ripagare in tempi più rapidi»
Marco Orseniga Artsana Michele Galetto Kiton Luciano Pallaro Harmont & Blaine

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Il conversion rate, una sfida

quasi da

scienziati

C’è ancora chi divide in silos il conto economico di wholesale, retail e online, quando invece serve un approccio seamless ai canali. Solo un piano “rotondo”, studiato nei dettagli a livello di experience e servizio, gratifica il consumatore e traina il tasso di conversione

I segreti e le strategie del conversion rate sono stati al centro di uno dei momenti di confronto della Digital Excellence Suite di Fashion. A volte non bastano un prodotto azzeccato, un marketing incisivo e un prezzo corretto per portare il consumatore a finalizzare l’acquisto: serve un piano scientifico a tutti gli effetti e su tutti i touchpoint, mettendosi sempre dalla parte del cliente. Ne è consapevole Luca Lambertini, head di Pagolight Web all’interno di Pagolight, realtà del buy now pay later, frutto dell’esperienza di Compass (gruppo Mediobanca, con 14 milioni di clienti nel database) e della fintech Soisy. «La nostra - ha esordito - è un’evoluzione del buy now pay later standard, in quanto offriamo la possibilità di dividere l’importo degli acquisti in negozio e online fino a 5mila euro, dilazionati fino a 24 mesi, mentre le solite tempistiche arrivano ai 12 mesi. Siamo molto flessibili ma con le spalle larghe, affidabili sia per i clienti che per i merchant (la salvaguardia dei loro margini è sempre al centro) e con un prodotto multicanale». La rateizzazione può essere addebitata anche in conto corrente, aggirando le diffidenze relative

alla carta di credito: una formula richiesta, secondo i dati raccolti da Soisy, dal 75% dei clienti ove possibile. «Personalizziamo l’offerta, scegliendo l’opzione dei costi a carico del cliente finale o del merchant», ha concluso il manager, anticipando che Pagolight si sta proiettando dall’Italia al mercato europeo. Dal mondo dell’arredo e del design Roberto Boselli, chief information officer di Lifestyle Design Holding (tra i molti brand in portfolio Poltrona Frau) ha portato alla ribalta la case history di una realtà nata con il prodotto, che negli ultimi anni si è cimentata anche nel retail, «tanto che oggi solo a Milano possiamo contare su una ventina di negozi, che ci avvicinano al nostro cliente finale, e che negli ultimi anni abbiamo acquisito due retailer, in Italia e negli Usa». Il cliente non è solo il consumatore finale ma anche l’interior designer: «Andiamo con i nostri progetti all’interno delle abitazioni, in una forte contaminazione fra design e fashion». Il digitale è per Boselli un canale necessario per configurare il prodotto, le varianti e i prezzi. «L’arredo è difficile da acquistare online - ha precisato l’executive - ma chi va in negozio ormai si è già fatto un’idea prima di accedervi, grazie al digitale. Si può dire che il consumatore ci è entrato in casa, facendoci crescere anche quando i punti vendita erano chiusi per il Covid». L’impegno del gruppo è «conoscere meglio il cliente finale tramite progetti di Crm, con la personalizzazione come priorità». Sulla stessa lunghezza d’onda il Digital director Matteo Margini, che però ha avvertito: «Per avere risultati bisogna rompere un paradigma, quello di pensare che l’ecommerce abbia la profittabilità più alta, continuando a dividere in silos il conto economico del wholesale, del retail e dell’online». «Vedo ancora troppa competizione tra i diversi canali distributivi, occorre invece un’armonia»,

ha rimarcato, sottolineando che a livello tecnologico è fondamentale investire sulla qualità dell’esperienza, per renderla il più possibile simile a quella fisica. Sinergia, agilità tra canali, fluidità sono dunque indispensabili per fare centro. «L’azienda è un ecosistema - ha osservato Stefania Ferrari, digital & marketing manager di Driade - e dobbiamo sforzarci di pensare in maniera “rotonda”, facendo in modo che i canali siano sinergici tra loro e il racconto sia coerente non solo sul prodotto, ma sul progetto che sta dietro. Altrimenti non c’è sinergia». Fondamentale evitare distonie: «La shopping experience deve essere la stessa, al di là del fatto che il consumatore compri online, vada in un negozio monobrand o in uno store multimarca». Si dice Fornasetti, infine, e si pensa a una storia made in Italy che fa sognare il mondo, illustrata dal chief digital officer Carlo Torrani: «Non condividiamo solo un prodotto ma dei valori tra arte e design, rivolgendoci a una community». Un paio di anni fa Fornasetti ha avviato un piano di presenza internazionale in forma diretta, che ha prodotto uno sviluppo di business e awareness. «Adesso siamo concentrati sullo studio approfondito delle persone a cui ci rivolgiamo, consumatori generici ma anche professionisti, che dobbiamo conoscere meglio - ha rivelato Torrani -. Il loro comportamento è cambiato con la pandemia, prendendo una direzione diversa da quella prevista». La sfida si può vincere con un Crm all’altezza, «entrando nella concretezza dell’omnichannel attraverso un’organizzazione complessa, in grado di dare al consumatore l’esperienza che si aspetta».

18 STRATEGIA SCENARI OMNICHANNEL E MULTICOUNTRY
SERVE UN PIANO SU TUTTI I TOUCHPOINT
«La nostra è un’evoluzione del buy now, pay later, studiata per garantire vantaggi per i clienti e per i merchant, i cui margini vanno salvaguardati»
Luca Lambertini Pagolight Web Stefania Ferrari Driade Roberto Boselli Lifestyle Design Holding Matteo Margini Digital director Carlo Torrani Fornasetti

Il rebus dell’engagement

Si investe su produzioni fotografiche e visive sempre più sofisticate, tra creatività e analisi di costi e benefici

DI ALESSANDRA BIGOTTA

Senza engagement non c’è business, né online, né offline. Le leve per farlo scattare sono tante e sempre più sofisticate, in base alle testimonianze di Priscilla Foschi e Giulia Ghiazza (co-fondatrici di Ephoto), Fabio Castignetti (partner di PwC Italia), Luciano Pallaro (retail director di Harmont & Blaine) e Alessandro Pacetti (global DtC director di Vibram). Un ruolo decisivo viene giocato da visual e produzioni fotografiche, come sottolineato da Foschi e Ghiazza, che hanno ripercorso l’iter di Ephoto (Gruppo Triboo). «In dieci anni siamo passati da foto, video e storytelling di impianto tradizionale alla tridimensionalità, che abbiamo abbracciato mettendo in primo piano tempi e costi di realizzazione», ha detto Priscilla Foschi e Giulia Ghiazza ha aggiunto: «Ci consideriamo un “partner esteso” per i clienti. Li supportiamo con i progetti e identificando i partner giusti per le varie iniziative, che spaziano dai virtual try-on all’archivio». Progetti che devono essere «cuciti addosso» al brand, come ha precisato Castignetti

L’ECCESSIVA VISIBILITÀ PUÒ NUOCERE Esporsi va bene, ma non troppo

Sono passati i tempi in cui per un marchio bastava una foto per lasciare il segno. Ora siamo di fronte a un’overdose di contenuti veicolati su media e social

Battute finali della Digital Excellence Suite con Gianpaolo Pavan (head of Digital & Ecommerce di Borbonese), Dennis Valle (brand marketing advisor di Santoni), Antonio Comelli (head of Customer Success di Thron) e con Nicola Giorgi (senior advisor di PwC Italia) che ha tirato le fila di queste testimonianze e, più in generale, del convegno. Filo conduttore degli interventi la consapevolezza che nell’era della moltiplicazione dei contenuti imporsi all’attenzione del consumatore è un’impresa difficile e le insidie sono dietro l’angolo. Come ha affermato Pavan di Borbonese, «le foto di prodotto destinate all’e-commerce vengono condivise con distributori e marketplace, le cui caratteristiche sono diverse. Diventa necessario controllare cosa arriva al mercato, perché le immagini riprese

di PwC Italia, precisando inoltre che «in uno scenario non omogeneo i piani di investimento devono essere corretti sotto ogni aspetto, anche quello economico». «Il consumatore deve cogliere l’unicità del marchio, circondato da competitor anche grandi, ed è da questa consapevolezza che nasce il nostro progetto di loyalty e Crm», ha affermato Luciano Pallaro di Harmont & Blaine. L’importante è essere tecnologici, ma anche empatici. «Oggi il consumatore non assume importanza perché sceglie un brand, ma è lui stesso a dargli importanza», ha ricordato Alessandro Pacetti di Vibram, marchio sinonimo di elevate prestazioni nel settore calzature, frutto di un’azienda storica. «Occorre coinvolgerlo in attività di valore - ha sottolineato - come la nostra campagna Repair If You Care, veicolata tra gli altri su Google, i social di Meta e TikTok, e studiata per educare le persone al riutilizzo e alla riparazione delle scarpe, coinvolgendo riparatori, calzolai e personalizzatori come il giovane Jacopo De Carli, forse il restauratore di sneaker più famoso d’Italia». Da poche settimane è attivo il nuovo sito del brand «e altre sfide sono in dirittura d’arrivo», ha preannunciato Pacetti. 

dall’e-commerce possono finire sui social o altrove, ritoccate o scontornate, arrivando a danneggiare il brand». Per presidiare in modo ottimale le immagini e tutto quanto ruota intorno la griffe ha ottimizzato il suo Dam (Digital Asset Management). «Inoltre tutti i nostri prodotti - ha anticipato il manager - verranno presto taggati Nfc (Near Field Communication) e sarà possibile accedere al loro passaporto digitale con lo smartphone». Di software Dam e Pim (Product Information Management) per gestire su qualsiasi canale o sistema i contenuti e le immagini di prodotto si occupa Thron. «Garantiamo che l’informazione organizzata di un marchio esista in un’unica versioneha chiarito Antonio Comelli - riducendo il rischio che siano trasmessi su diversi canali contenuti non aggiornati o non consistenti». In parallelo, vengono raccolti dai dispositivi dati e storici di navigazione, in grado di

rivelare i percorsi dei clienti nei vari touchpoint e le loro specifiche preferenze. «Comunque la verità - ha osservato Dennis Valle di Santoni - è che per differenziarsi ognuno deve seguire la propria strada, trovandosi di fronte a mercati diversificati. Ci concentriamo su immagini, produzioni, testi e copy, ma attenzione: quello che non va mai perso di vista è il senso di contatto con i clienti». «Nell’attuale bulimia di immagini - ha concluso Nicola Giorgi di PwC Italia - non bisogna dimenticare mai che il messaggio non è nella quantità ma nella qualità, come sosteneva Umberto Eco. Se, per esempio, dopo aver visto una sfilata il consumatore non coglie la differenza tra un pantalone da 50mila euro e uno di minor valore, lo show non è valso l’investimento». Giorgi è convinto che la strada da seguire sia una sola: unire un front end molto umano e un back end automatizzato.

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Alessandro Pacetti Vibram Luciano Pallaro Harmont & Blaine Priscilla Foschi Ephoto Fabio Castignetti PwC Italia Giulia Ghiazza Ephoto Nicola Giorgi PwC Italia Antonio Comelli Thron Dennis Valle Santoni Gianpaolo Pavan Borbonese

SALGONO I COSTI DI ACQUISIZIONE Ricalibrare gli investimenti

Come valorizzare i dati propri

Brand a caccia di nuovi clienti: ecco il mix per centrare il bersaglio

Visto che i costi per le campagne digital salgono esponenzialmente e le limitazioni legate alla privacy incombono, i player della moda cercano soluzioni efficaci per ampliare la platea di riferimento. Dall’investimento sui motori di ricerca a quello sui social, dalla spesa in awareness ai loyalty program fino alle acquisizioni offsite, il mantra è l’omnicanalità: il cliente va intercettato ovunque si trovi, online come offline, e conquistato con strategie mirate

Come conquistare nuovi clienti in un contesto in cui i costi di acquisizione sono diventati altissimi? Come garantirsi la profittabilità del canale e-commerce, senza mandare in perdita il conto economico? Sono domande che sempre più oggi le aziende della moda si pongono, soprattutto dopo che la scorpacciata dell’e-commerce negli anni recenti è stata assimilata e le crescite a

In vista del 2024, quando Google dismetterà i cookies, le aziende si affrettano a cavalcare le potenzialità della piattaforma

due o tre cifre non sono più all’ordine del giorno. Adesso ccorre dare slancio ai numeri portando a bordo nuovi clienti, mentre in parallelo si devono fidelizzare quelli già acquisiti, tenendo presente che oggi il termine a cui fare riferimento sempre più è “commerce”, ossia un unicum che racchiude insieme il mondo dell’online con quello del retail (si veda a questo proposito il report sulla nostra Digital Excellence Suite da pagina 12). Un universo in cui il consumatore si muove con fluidità tra un canale e l’altro e

va quindi intercettato ovunque si trovi, nella sua personalissima journey. Indiscutibilmente le campagne pay per click, di cui Google detiene il monopolio, sono tra quelle con la redditività più alta, perché colgono un intento già espresso dal consumatore. Tuttavia i costi delle search sono aumentati esponenzialmente, come conferma Giulio Salvucci, global e-commerce & digital transformation director di Geox: «Il traffico su questo motore di ricerca ha visto negli ultimi due anni aumenti costanti e significativi, alla luce dell’aumentata competizione tra le aziende che hanno cominciato a puntare sul digitale». Oggi, aggiunge Nicola Antonelli, chief marketing officer di LuisaViaRoma, «in Italia si transa online l’11% del totale e negli Usa siamo a oltre il 15%; ciò vuol dire che ci saranno sempre più aziende che faranno del digital il loro canale principale e aumenteranno il loro investimento in marketing, che

VALENTINA SALA

Digital & omnichannel director

Gruppo Miroglio

«In passato abbiamo lavorato molto sulla fidelizzazione, ora il tema dell’acquisizione di nuovi clienti è centrale nella strategia di tutti i marchi a livello trasversale»

si concentra principalmente sul mondo Google, l’universo Meta e TikTok. Questo farà giocoforza aumentare i prezzi». Purtroppo, aggiunge, «oggi non c’è molta concorrenza e Google copre oltre l’80% delle ricerche online». Tuttavia, puntualizza Fabrizio Viacava, digital director che vanta in curriculum il ruolo di chief digital officer di Etro e cariche apicali in realtà come Costa Crociere e Tod’s, «bisogna tenere presente che il mondo dei cookies sta per essere eliminato da Google a partire dal 2024 e quindi verrà meno la facilità con cui oggi si tracciano i clienti. Per questo tutti si stanno affrettando a cogliere le chance offerte attualmente dalla piattaforma». Intanto Meta starebbe rivedendo le regole sulla privacy e si è parlato di recente dell’ipotesi di una versione di Facebook e Instagram in Europa senza pubblicità ma a pagamento, norma mirata a rispondere alle direttive europee sulla priva-

20 INNOVAZIONE DIGITAL MARKETING

cy, che limitano la raccolta di dati nel Vecchio Continente. Occorrerà dunque trovare ulteriori approcci al marketing digital, altrettanto validi. Le possibilità di agganciare nuovi shopper tuttavia non si esauriscono con i canali online: per i brand della moda la sfida per mantenere un conto economico sano è saper calibrare le chanche offerte dal marketing e dall’advertising (non solo digital) e da un servizio impeccabile al cliente, facendo sempre più leva sul Crm che, se gestito in maniera mirata, è una miniera di informazioni preziosissima sul consumatore, nonché una leva per ampliare la propria audience. Come spiega Irene Rossetto, country manager di Big Commerce, piattaforma di e-commerce omnichannel b2b e b2c di tecnologia open SaaS e parte di Mach Alliance. «I merchant del comparto devono adottare strategie di acquisizione di clienti che definiscano il miglior mix di mezzi di comunicazione e strumenti di coinvolgimento, attraverso il targeting e il raggiungimento dei consumatori con customer journey online e offline». Le strategie di marketing omnichannel devono quindi consentire di intercettare le persone dove si trovano, ottimizzare i feed di dati su tutti i canali social e di mercato, sfruttare le tecnologie più innovative come l’intelligenza artificiale e il live shopping broadcast. Tramite l’advertising e la promozione è possibile targhettizzare quanti già conoscono il brand e stanno valutando i prodotti,

«Ogni settimana analizziamo i trend dei costi di acquisizione per rimanere sempre in target, ribilanciando eventualmente gli investimenti»

offrendo programmi reward e fedeltà, iniziative di referral, offerte e promozioni esclusive e sconti sugli acquisti. Nel giusto mix proposto da Rossetto rientrano ovviamente anche le politiche di acquisizione digitale, come la Seo organica e a pagamento, le promozioni e gli annunci sui social media e quelli display. Last, ma decisamente not least, c’è il servizio ai clienti, che deve essere impeccabile: ciò vuol dire avere un solido team di assistenza, essere disponibili H24 e reattivi in tutti i fusi orari, agire in base ai feed back degli utenti, offrendo loro la migliore experience. «Perché i clienti felici sono i migliori ambasciatori di un marchio», conclude Rossetto. Purtroppo, come sostiene Fabrizio Viacava, il punto dolente della moda è il Crm, di cui tutti parlano, ma che ancora in molti non sanno gestire. «Il Customer Relationship Management studia i dati, perché se non li si conosce non si possono mettere in atto azioni stra-

Nelle foto a sinistra e sotto, immagini di Google (1.), TikTok (2.) e Instagram (3), le piattaforme dove si concentrano prioritariamente gli investimenti in marketing digitale delle aziende della moda

tegiche. Un’azienda per esempio dovrebbe in primis avere chiaro qual è il customer lifetime value dei propri clienti nel database, indicatore importantissimo che consente di sapere se i clienti già attivi del brand svilupperanno fatturati di qualità e che permette di capire quanto si può di investire nella conquista di nuovi acquirenti». «Quando misi in piedi il Crm di Etro, nel 2018 - racconta Viacava - emerse che i nominativi nel database valevano tre volte quelli generici: un’informazione importantissima per il marchio». Occorrono dunque strategie volte a dialogare con i consumatori già attivi, lavorando sulla loro segmentazione, tenendo in considerazioni i diversi mercati e i differenti periodi dell’anno. In parallelo è necessario rimpolpare il database, senza però immagazzinare tonnellate di informazioni di nuovi prospect, ma collezionando quelli giusti, che possano realmente in un arco di

Un tempo in tema di lead generation si ragionava in base al last click. Oggi occorre invece misurare gli investimenti full funnel

tempo sostenibile diventare clienti del marchio. Quale l’approccio migliore lato advertising online? «In questo momento – conclude Viacava - con un budget limitato andrei in maniera mirata su Google Search, perché ha il monopolio nel mondo occidentale e richiede solo l’acquisto di parole chiave. Se invece volessi puntare sui contenuti, allora sceglierei TikTok. Bisogna considerare comunque che anche sui social i costi sono aumentati, soprattutto su TikTok, dove tra l’altro la creazione di video di qua-

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NICOLA ANTONELLI Chief marketing officer LuisaViaRoma

lità è sicuramente più onerosa». Nel Gruppo Miroglio, che racchiude una galassia di marchi come Motivi, Elena Mirò, Fiorella Rubino per citarne alcuni, il tema dell’acquisizione di nuovi clienti è diventato un capitolo importante nella strategia di tutti i brand a livello trasversale, racconta Valentina Sala, digital & omnichannel director del gruppo, che nel 2022 ha registrato una crescita delle vendite online del 25%, con una penetrazione del 7% sul giro di affari totale. «In passato - spiega - abbiamo lavorato molto sulla fidelizzazione, creando livelli e servizi volti a generare valore tra le consumatrici fedeli. Ora vogliamo allargare il mercato in maniera proattiva, senza aspettare che le clienti arrivino in modo organico». Quindi ogni marchio del gruppo ha una quota di nuove acquirenti da produrre ogni anno, calcolata su una metrica precisa che fa parte del budget e che tiene conto di aspetti quali i costi di acquisizione e il customer lifetime value. «Bisogna comunque tenere presente che il mercato non sempre aiuta a mantenere il balance e tuttavia, proiettandoci verso un ciclo di vita più lungo e lavorando in parallelo sulla retention, lo schema sta in piedi», tiene a precisare Valentina Sala. La strategia in atto, aggiunge, deve penetrare fino alla singola unità di negozio: «Ogni punto vendita ha un target di nuova clientela da conquistare perché, se non si arriva fino all’ultima unità, difficilmente si riesce a raggiungere l’obiettivo. Per questo non puntiamo più solo sulla conversione pura, ma anche sull’importanza di spiegare il marchio, illustrare il programma loyalty e dare vantaggi anche solo per poter acquisire il contatto». Il concetto di fondo comune a tutte le attività di Miroglio è l’omnicanalità, dove un canale fa da assist all’altro e viceversa, in modo che si aumenti il valore della cliente. «Non a caso la consumatrice che acquista su entrambi i nostri canali compra tre volte di più», sottolinea Sala, introducendo un concetto importante: «Un tempo in tema di lead generation si ragionava in base al last click, ossia l’ultimo click era quello a cui veniva attribuita la vendita; oggi occorre misurare gli investimenti full funnel, ossia su tutti i canali, con un mix che tenga conto di

Il negozio fisico rappresenta un importante strumento di acquisizione di nuovi clienti, in un’ottica di omnicanalità. Importante, da questo punto di vista, portare la tecnologia digitale in store. Sopra, uno store Geox. Di recente il brand ha lavorato per digitalizzare l’esperienza di registrazione nel punto vendita, possibile ora con una app su tablet. Nella foto sotto: l’iPad, supporto imprescindibile nelle boutique Motivi.

GIULIO SALVUCCI

E-Commerce & digital transformation director Geox

«Prima del Covid si poteva competere sul traffico generalista. Ora ci stiamo spostando sempre più sulla valorizzazione dei dati di prima parte»

un mondo in cui i contatti dei consumatori sono milioni, per cui l’utente ha bisogno di un x numero di contatti prima di passare alla fase di “non conosco il marchio” a quella di “acquisto il marchio”». Certo, conclude, «è complicato provare ad attribuire il risultato a tutto l’universo del marketing, ma ci stiamo provando, perché abbiamo bisogno di razionalizzare gli investimenti, sapendo che, se il costo per click aumenta, dobbiamo mirare a raggiungere più persone lavorando anche a livello di awareness, investendo su stampa, billboard, video e campagne televisive». Per un player come LuisaViaRoma, che genera online il 90% del suo giro di affari (250 milioni di euro nel 2022), la preferenza per quanto riguarda gli investimenti va ai canali digitali, anche se non vengono trascurate altre formule di engagement, come racconta il chief marketing officer Nicola Antonelli. «Il nostro fatturato - puntualizza - è realizzato per il 20% in Italia e per

l’80% all’estero, con una distribuzione eterogenea tra i Paesi; per questo cerchiamo di calibrare la spesa legata al marketing in funzione delle dinamiche dei singoli mercati. Ogni settimana facciamo delle analisi dei trend del costo di acquisizione, ribilanciando eventualmente gli investimenti per rimanere in un costo target, che ci permette di essere competitivi sul mercato. E se Google

Diventa sempre più strategico usare i dati di prima parte dell’azienda, per cercare audience affini da intercettare

è il canale imprescindibile per chi si presenta nel mondo digitale, c’è tutto l’universo dei social, Meta e TikTok in primis, che affrontiamo con campagne su cluster specifici, dal momento che andare su quelli generici oggi è molto costoso e produce un Roi molto basso. Ciò è legato anche alla maggiore attenzione alla privacy da parte di Apple e alla nuova policy dei cookies, che ha già portato a uno step di maggior con-

INNOVAZIONE
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DIGITAL MARKETING

trollo, per cui oggi le piattaforme hanno meno dati di un tempo. La filosofia dunque è usare i dati di prima parte nostri, autorizzati dall’utente, e poi andare a intercettare audience simili a quelle già presenti nel nostro database».

In tema di social non ci sono solo Meta e TikTok; le alternative sono tante, ma non hanno uno sviluppo orizzontale su tutti i mercati come le altre. Nel Medio Oriente e in parte anche negli Stati Uniti, rimarca Antonelli, si usa Snapchat, che conta diversi milioni di utenti; Pinterest, che in Europa (Francia esclusa) non ha mai fatto numeri paragonabili ad altri social, in molti Paesi è di ispirazione ed è molto utilizzata nel mondo dell’arredamento e della cerimonia.

In Giappone invece va forte Line, imprescindibile per chi vuole andare sul mercato, mentre in Cina ci sono realtà come Weibo,

Occorre conoscere bene il proprio business e, se si spende più del margine per acquisire nuovi clienti, allora la strategia è sbagliata

WeChat, Oasis, Little Red Book e altri. «Noi per la gestione del mercato asiatico abbiamo un team dedicato», spiega Antonelli. E prosegue: «Il vantaggio del nostro lavoro, rispetto al marketing offline, è l’estrema flessibilità, che ci consente una discreta velocità di intervento, per cui tecnicamente è possibile modificare radicalmente il budget con pochi click». A fare sempre più la differenza sono proprio i dati di prima parte, un patrimonio molto importante, che consente di fidelizzare i clienti sul database e, al tempo stesso, di acquisirne di nuovi. Quindi se prima del Covid si poteva competere sul traffico generalista, sul fatto di comprare

Il consumatore va intercettato ovunque si trovi, online come offline. Strategici restano le campagne pubblicitarie e gli eventi, soprattutto dopo le stagioni del lockdown. A sinistra, l’advertisement autunno 2023 di Diesel, scattato nella piazza di Breganze, sede degli headquarters del brand, dove centinaia di membri dello staff sono diventati protagonisti dello shooting. A destra, il grande evento di Moncler in piazza Duomo a Milano del settembre 2022, che ha catalizzato una folla di 18mila spettatori.

spazi e keyword che portassero utenti sui siti, ora il gioco non vale più la candela. Su tale presupposto Giulio Salvucci, global e-commerce & digital transformation director di Geox, ha impostato la sua strategia, lavorando su due direttrici. La prima è stata acquisire nuovi subscriber al programma fedeltà Benefeet, che ha portato ad avere 4 milioni di utenti sul database. La seconda è stata lavorare per offrire a questi clienti un’esperienza più personalizzata, dando messaggi e un’esperienza molto più mirata al singolo, che punti alla conversion. In parallelo si è scommesso sull’acquisizione di contatti offsite, facendo leva su campagne targettizzate su clienti ad altro potenziale di sottoscrizione, che non hanno come finalità l’atterraggio sul sito e la conversione diretta, ma la sottoscrizione al programma loyalty. «Grazie al nostro database

«Il customer lifetime value è fondamentale perché permette di determinare il valore del ciclo di vita di un cliente, che a sua volta aiuta a stabilire quanto un’azienda può spendere per acquisirne di nuovi»

identifichiamo cluster di consumatori dai tratti simili alla nostra utenza e andiamo a intercettarli su canali come Facebook, Instagram o Google con campagne mirate. Un approccio che sta dando risultati straordinari e che consente di avere costi per lead molto competitivi, lavorando in sinergia con le altre campagne. Una scommessa importante, se si considera che fino a due anni fa l’incidenza sul fatturato dei clienti registrati al programma fedeltà sul sito di Geox era del 25%, mentre oggi siamo a circa il 65%», conclude Salvucci. Non c’è insomma un solo approccio per acquisire nuovi clienti, e non c’è un ammontare prestabilito per quanto riguarda gli investimenti in un universo che va dal mass market al luxury. Come spiega Irene Rossetto di Big Commerce, è importante osservare i clienti da vicino e saper reagire con velocità, in un contesto che cambia continuamente. «Fondamentale è la lettura dei propri dati, mentre bisogna assolutamente evitare di copiare quello che fanno gli altri. Occorre conoscere bene il proprio business, il margine del proprio profitto, quali sono i prodotti più venduti, i valori di un carrello medio, perché è lì che si gioca il costo di acquisizione di un cliente. E se si spende più del proprio margine, vuol dire che si sta sbagliando strategia». Servono dunque skill, persone, tecnologie, investimenti. 

INNOVAZIONE DIGITAL MARKETING 24

DOUBLE YOUR PERFORMANCE

A CURA DI ELISABETTA FABBRI

FUSIONI E ACQUISIZIONI IN RIPRESA A Pinault il 30% di Valentino e l'agenzia Caa, Lvmh punta sugli occhiali e Abg sul surfwear

Le M&A della moda non sono andate in ferie e, in attesa dell'autunno, non si arrestano gli annunci di passaggi di mano. Dopo avere comunicato l'acquisto del 30% di Valentino da Mayhoola, per 1,7 miliardi di euro, il maggiore azionista di Kering, François-Henri Pinault, ha rilevato con la holding di famiglia Artémis la maggioranza di Creative Artists

Agency-Caa, agenzia hollywoodiana di talenti che pare sia stata valutata 7 miliardi di dollari e che conta in portafoglio attori come Brad Pitt, Tom Hanks e Salma Hayek (moglie di Pinault). L'altro big francese del lusso Lvmh ha comprato, attraverso il business dell'eyewear Thélios, gli occhiali francesi dell'outdoor di fascia alta Vuarnet dal fondo di investimento Neo Investment Partners. Si tratta del primo marchio di proprietà dell’azienda di Longarone che disegna, produce e distribuisce le montature di marchi del gruppo francese tra cui Dior, Fendi, Celine, Givenchy e Bulgari

A New York Authentic Brands Group-Abg è entrata in possesso di Boardriders, gruppo che controlla realtà del surfwear e activewear tra cui Quiksilver, Billabong, Roxy, DC Shoes ed Element. L’azienda Californiana è stata ceduta dal fondo Oaktree Capital Management per una cifra stimata di 1,25 miliardi di dollari. Whp Global, altro gruppo Usa a capo di brand come Joseph Abboud e Anne Klein, ha invece acquisito il marchio olandese del denimwear G-Star Raw. Si tratta dello stesso gruppo che recentemente ha portato sotto il suo ombrello marchi come Lotto, Joe’s Jeans e Bonobos. Movimenti anche nell'orologeria: a fine agosto Rolex ha annunciato l’acquisizione del suo partner retail Bucherer, aprendo la strada a possibili operazioni analoghe da parte di altri marchi dei segnatempo, per il controllo diretto della distribuzione (tra i più appetibili ci sarebbe Wosg-Watches of Switzerland Group, quotato a Londra). Oltreoceano in agosto ha sorpreso l'annuncio dell'acquisizione, da parte di Tapestry (proprietaria di Coach, Kate Spade e Stuart Weitzman) di Capri Holdings, il gruppo che controlla Versace, Jimmy Choo e Michael Kors: un'operazione da 8,5 miliardi di dollari, che fa pensare alla nascita di un gruppo con dimensioni tali (12 miliardi di dollari, i ricavi combinati) da poter competere con i big francesi. Un'altra holding, la svizzera Richemont, è diventa azionista di controllo delle calzature di alta gamma Gianvito Rossi

Il prossimo deal riguarderà forse le sneaker? Mentre scriviamo si vocifera dell'interesse del fondo di private equity Style Capital (che ha appena ceduto Zimmermann ad Advent International) e di Vam Investments per il marchio Autry

FRASERS SALE IN ASOS E BOOHOO

Fashion e-tailer in difficoltà ma a prezzi interessanti in Borsa

Le trimestrali di alcuni fashion e-commerce quotati mostrano un settore in difficoltà, ma c'è chi, approfittando dei downtrend in Borsa, ha deciso di investire nel settrore. Come il britannico Frasers Group - già azionista di marchi come Mulberry e Hugo Boss, oltre che proprietario di retailer come Sport Direct e House of Frasers - che di recente è salito al 9,1% di Boohoo e al 19,3% di Asos. Boohoo, 18 milioni di clienti attivi, ha chiuso il fiscal year a fine febbraio con un calo dell’11% dei ricavi, un ebitda adjusted quasi dimezzato e una perdita di 1,6 milioni di sterline. Asos, che conta 25,7 milioni di clienti attivi, ha invece chiuso il primo semestre fiscale il 28 febbraio con un ebit rettificato negativo e una perdita rettificata ante-imposte di 87,4 milioni di sterline. Anche un'altra britannica, ma quotata a New York - Farfetch - non brilla. Tra aprile e giugno ha mostrato un calo dei ricavi dell’1,3% a 572

milioni di dollari, un ebitda rettificato negativo per 30,6 milioni (da -24,2 milioni) e una perdita per azione peggiorata da -0,50 a -0,68 dollari. Il business “digital platform”, che include il marketplace farfetch.com, ha visto aumentare il gmv (a 944 milioni di dollari) e i clienti attivi (a 4,1 milioni). Il business “brand platform”, che include Ngg (la holding italiana che include marchi come Palm Angels, Marcelo Burlon, Opening Ceremony, oltre a produrre e distribuire OffWhite) e la partnership per la distribuzione in Europa di Reebok, ha invece subito un calo del fatturato del 42% a 67,4 milioni. Segni meno anche per la tedesca Zalando - leader in Europa, con 50,5 milioni di clienti attivi - che nel bilancio del secondo quarter ha subito un calo del 2,5% dei ricavi, a 2,56 miliardi di euro e dell’1,8% del gmv, a 3,7 miliardi. L’utile netto invece è salito da 14 a 56,6 milioni, dopo che l’ebit adjusted è aumentato dell’87% a 144,8 milioni, rispetto a un anno prima. Per la fine dell'esercizio l'etailer si aspetta un aumento del gmv tra l'1% e il 7% mentre i ricavi potrebbero diminuire entro l'1% o crescere fiono al 4%. Nel 2022 il gmv si era attestato a 14,8 miliardi di euro, mentre i ricavi avevano totalizzato 10,3 miliardi.

ROGER VIVIER CORRE Tod’s: +22% le vendite a sei mesi

Il Gruppo Tod’s ha approvato i risultati dei primi sei mesi del 2023 che mostrano ricavi pari a 569,1 milioni di euro, in aumento del 21,7% rispetto allo stesso periodo del 2022. Roger Vivier è risultato il marchio più in accelerazione, con un +28,4%, seguito da Tod’s (+21,3%), Fay (+19,8%) e Hogan (+14,3%). L’ebit a sei mesi ha raggiunto i 60,3 milioni e l’ebit margin è risultato del 10,6%, dal 3,8% dei primi sei mesi del 2022. Il risultato ante imposte del gruppo è aumentato da 8,1 a 46,4 milioni di euro, mentre l’utile netto è salito a 30,9 milioni, dai precedenti 800 mila euro.

Ricavi oltre quota 100 miliardi nel 2023

L'industria italiana della moda (inclusi tessile, pelle, gioielli, bigiotteria, occhiali e cosmesi) dovrebbe raggiungere i 103,3 miliardi di ricavi per la fine del 2023, in aumento del 4,5% rispetto al 2022, nelle stime pruidenziali diffuse in settembre dalla Camera Nazionale della Moda Italiana (+4% la precedente previsione).

A sostenere il comparto sarà l'export, atteso a 91,5 milioni, in aumento del 6% rispetto al 2022. Intanto, nei primi cinque mesi, i settori core hanno realizzato un +6,5% di vendite all'estero, dove spiccano il +18,8% in Francia (primo buyer straniero), il +18,4% in Cina (quinto maggiore acquirente) e il +18,4% in Giappone (nono). Tuttavia le imprese hanno evidenziato un rallentamento della crescita complessiva, dal +11,4% del primo trimestre al +3% del secondo. La fiducia delle imprese è in calo costante da aprile.

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LE STIME DI CNMI
STRATEGIA NEWS
2022 2023* FATTURATO 98,8 103,3 EXPORT 86,3 91,5 IMPORT 49,0 51,3 SALDO ESTERO 37,3 40,2
Fonte: Camera Nazionale della Moda Italiana Dati in miliardi di euro * Valori stimati Moda italiana in cifre
malo.it

Rivoluzione Kering, da Gucci a McQueen. Who’s next?

Prima l’uscita di scena di Alessandro Michele, a cui succede Sabato De Sarno. Poi il divorzio da Marco Bizzarri, sostituito ad interim da Palus. E ancora: la promozione di Francesca Bellettini e l’addio di Sarah Burton. La holding del lusso è al centro di un importante riassetto

È passato quasi un anno da quando i vertici di Kering annunciarono l’uscita di scena di Alessandro Michele da Gucci. Un vero e proprio terremoto, alla luce della figura carismatica dello stilista e delle straordinarie performance raggiunte nei suoi sette anni di mandato, a cui sono seguite ripetute scosse telluriche. A luglio è arrivata la notizia che in molti aspettavano già otto mesi prima, ossia quella del divorzio dalla società del ceo Marco Bizzarri, alter ego di Michele nel business, con il timone preso ad interim da Jean-François Palus. Mentre a settembre, qualche settimana prima che il nuovo direttore creativo Sabato De Sarno salisse in passerella (anzi, scendesse in strada, visto che per il suo show-debutto del 22 settembre ha scelto le vie di Brera), si sono mosse altre due pedine sullo scacchiere del brand, con il ritorno di Alessio Vannetti (ex worldwide communication director di

Gucci dal 2015 al 2020) in qualità di nuovo executive vice president e chief brand officer, e l’uscita di Susan Chokachi, una degli executive di punta del team dream della doppia G. Ma non è solo Gucci a far saltare i sismografi nella stanza dei bottoni di Kering, secondo polo del lusso al mondo con 20,4 miliardi di fatturato. La casa madre sta cambiando più di una “testa”, sia in ambito strategico che creativo, per dare un boost al gruppo. L’ultima trimestrale è stata un po’ deludente (+2%), con Gucci in stallo, Bottega Veneta flat e Balenciaga che fatica a recuperare terreno e credibilità dopo il brutto affaire della campagna con orsetti sadomaso nelle mani di minori. Unica eccezione Yves Saint Laurent, che continua ad andare a gonfie vele. E, infatti, proprio la ceo di Ysl, l’italiana Francesca Bellettini, si è conquistata sul campo la promozione a Kering Deputy ceo e, in quanto tale, responsabile per

PRADA CHIAMA ROSA SANTAMARIA

MAURIZIO COME CHIEF PEOPLE OFFICER

Arriva da Valentino la nuova chief people officer del Gruppo Prada. Si tratta di Rosa Santamaria Maurizio, che avrà il compito di contribuire alla crescita culturale e allo sviluppo organizzativo del gruppo, garantendo l’evoluzione delle risorse umane. Si tratta di un ruolo sempre più centrale nelle governance delle imprese, che poggia sulla consapevolezza dell’importanza della componente umana per il buon funzionamento aziendale e per ottimizzare la produttività. La manager, che prima di Valentino ha lavorato da American Express per 14 anni, riporterà all’a.d. del Gruppo Prada, Andrea Guerra

Aura Blockchain:

Romain Carrere è il nuovo a.d. e segretario generale

Un nuovo a.d. per Aura Blockchain. Nel consorzio fondato nel 2021 da Lvmh, Gruppo Prada, Cartier (parte di Richemont) e Gruppo Otb – a cui si sono aggiunti nel 2022 Mercedes-Benz Group, H.Moser & Cie. e Maison Margiela - arriva Romain Carrere. Si tratta di una scelta mirata: l’executive vanta oltre 15 anni di esperienza come imprenditore tecnologico, con il ruolo di consulente di startup del Web3 e per aziende interessate ad avventurarsi nell’universo della blockchain, degli Nft e del metaverso. Laureato alla Bentley University e con un master ottenuto

il brand development del gruppo. Ultimo stravolgimento in ordine di tempo è stato quello relativo alla designer Sarah Burton (nella foto), che dopo 13 anni da direttrice creativa di Alexander McQueen e 26 anni di collaborazione con l’azienda (era braccio destro di Lee Alexander, morto suicida nel 2010) ha lasciato il suo posto. Ma probabilmente non finirà qui, se pensiamo ai nuovi equilibri che si stanno delineando. Questa estate il conglomerato del lusso ha reso noto di essere entrato nel capitale di Valentino con il 30% per 1,7 miliardi, nell’ambito di una “partnership strategica” che potrebbe portare alla piena acquisizione entro il 2028. Sicuramente quest’ultima, importante operazione qualche carta in tavola la cambierà.

TOMMASO MARIA ANDORLINI

ALLA GUIDA DI LUISAVIAROMA

Nuovo a.d. per LuisaViaRoma. Al posto di Alessandra Rossi si è appena insediato Tommaso Maria Andorlini, imprenditore fiorentino fondatore dei negozi online e offline Playground, Sotf e della società Ffw, attiva nello sviluppo di siti e-commerce di moda. Secondo rumour, la scelta sarebbe caduta su Andorlini anche perché il fondo Style Capital (che dal 2021 possiede il 40% di LuisaViaRoma) sta valutando l’acquisizione di Playground (9,9 milioni il fatturato 2022). Il fondatore Andrea Panconesi, inoltre, conosce bene Andorlini e il rapporto personale, unito alla facilità logistica di essere basati entrambi a Firenze (mentre Rossi vive a Londra), avrebbe agevolato il cambio ai vertici.

alla Escp Business School, Carrere è stato coinvolto in diverse delegazioni, anche in rappresentanza degli imprenditori francesi al G20 di Tokyo, a riprova del suo impegno per far avanzare l’ecosistema tecnologico globale. In Aura Blockchain prende il posto di Daniela Ott, alla guida del consorzio per due anni. Nel suo nuovo ruolo il manager avrà in primis il compito di offrire soluzioni blockchain all’avanguardia, consentendo ai suoi oltre 25 marchi di navigare senza problemi nell’intero ciclo di vita del prodotto, dall’origine fino al contatto diretto con il consumatore.

29 A CURA
STRATEGIA CAREERS
DI ANGELA TOVAZZI

TIMELESS E ALL-DAY LONG, COSÌ TESTONI CONQUISTA ANCHE LE NUOVE GENERAZIONI

Lo storico brand made in Italy di calzature e accessori vuole ancora una volta lasciare il segno, celebrando l’heritage, valorizzando l’innovazione e creando nuove emozioni a tra la memoria del passato e un futuro da sogno.

Elena Gandolfo, Global Marketing Manager di TESTONI presenta la nuova campagna marketing della FW23 che dimostra la volontà del brand di calzature e accessori per uomo e donna di svelare al mercato, compreso il consumatore più giovane, il suo lato più informale, innovativo e creativo. Ma sempre nel segno del made in italy. Qual è il messaggio della nuova campagna marketing e attraverso quali canali viene veicolata?

La campagna marketing della FW23 è un inno alla piacevolezza della vita e all’espressione del proprio modo di essere. La collezione, che spazia dallo stile formale, da sempre core del brand, a uno più informale, permette al consumatore di esprimere se stesso ed il proprio modo di essere con semplicità, lasciando libertà di abbinamenti tra look eleganti e uno shoewear rilassato e dall’appeal sporty, per una creatività svincolata da dictat di stile del passato. Le immagini raccontano la capacità delle proposte di adattarsi non solo a chi le indossa, al di là del ruolo, ma anche a diverse occasioni e personalità differenti. Gli scatti della campagna rappresentano infatti momenti di vita vissuti con totale disinvoltura in cui ognuno di noi può ritrovarsi. E non a caso abbiamo scelto come location Milano: una città che è diventata un’icona del fashion Made in Italy. L’obiettivo è celebrare l’autentico stile Italiano in tutte le sue espressioni; dove il design e l’architettura moderna si sono integrate alla perfezione ai tesori storico/artistici. Per lanciare la comunicazione a livello internazionale abbiamo utilizzato diversi canali: dalle vetrine dei nostri store che esprimono questo mood, pianificazione stampa e outdoor oltre che attività digitali e social.

In generale, come cambiano le strategie di comunicazione del brand, anche in relazione ai clienti più giovani?

TESTONI vuole puntare anche sui giovani e per farlo dobbiamo parlare la loro lingua. Ciò significa, ovviamente dialogare con loro raggiungendoli con i mezzi digitali a loro più affini: dal web ai social network ma anche offrendo una collezione al passo con i tempi:

siamo fedeli alle nostre origini, ma guardiamo anche al futuro, consapevoli di poter rispondere al bisogno di stile raffinato, elegante, casual; al passo con i tempi. La comunicazione mostra infatti come la nostra collezione possa essere trasversale e adatta al mood di ognuno di noi con le nostre peculiarità e sfaccettature.

Quanto contano oggi per TESTONI i canali social e come ci state investendo? Stiamo lavorando su contenuti sempre più ingaggianti e su attività di influencer marketing comunicando un lifestyle tipicamente italiano e puntando molto sul trasferire all’esterno i nostri pillar: qualità, artigianalità e made in Italy.

Come un brand storico come TESTONI si rapporta a tempi che cambiano molto rapidamente?

Sinonimo di eccellenza, qualità artigianale e manifatturiera italiana, ogni modello TESTONI è caratterizzato da durabilità nel tempo, ma anche stile unico e inconfondibile, che rende la proposta sempre attuale, timeless appunto. La tradizione del brand, lunga oltre 90 anni, si proietta nel presente grazie a modelli in continua evoluzione, fedeli alle loro origini, e guarda anche al futuro attraverso linee e modelli che rispondono alle esigenze del mercato ma mantenendo ben a mente il proprio DNA.

Prodotto di punta della collezione donna

Nella FW23 lanciamo una borsa che riteniamo essere il nostro fiore all’occhiello e che ritroveremo anche nelle collezioni future, si tratta deLa BEATRICE BAG che trae la sua ispirazione dalle cortecce della Pineta, superfici irregolari e suggestive che vengono incarnate in ogni intreccio di questa borsa.

Prodotto di punta della collezione uomo

Una delle lavorazioni iconiche del brand è la costruzione brevettata

Piuma Rapid che, con oltre 200 passaggi, permette di ottenere suola leggera come una piuma, completamente isolata da calore, freddo e umidità. Questo brevetto viene presentato anche su modelli nuovi e contemporanei.

TESTONI for

Rivoluzione digitale: ora tocca (anche)

alle donne

La gender equality nel mondo del digital è ancora un miraggio, anche in un comparto a prevalenza femminile come la moda, ma qualcosa sta cambiando. Dalle testimonianze di alcune women in tech che hanno infranto il tetto di cristallo, ostacoli e opportunità per riplasmare il futuro del settore in chiave più inclusiva e dare una marcia in più alla crescita

Dici “professionista del digitale” e la prima immagine che si impone è sempre quella: un giovane nerd che lavora alacremente nel buio di qualche garage, circondato da dispositivi elettronici e fissato con algoritmi e pixel. E, postilla non secondaria, rigorosamente maschio. Stereotipo ormai superato? Non del tutto. Nella transizione cruciale del post pandemia, con il progresso tecnologico che corre sempre più veloce e la digitalizzazione che sta ristrutturando nel profondo il mindset delle aziende, le donne hanno ancora poca voce in capitolo, sottraendo così importanti risorse per una crescita equilibrata e inclusiva. La fotografia scattata da McKinsey non lascia dubbi: delle persone con un ruolo tech nelle imprese europee solo il 22% è rappresentato dal genere femminile. E tra le posizioni più ricercate, come DevOps engineer e Cloud, la loro quota arriva appena all’8%. Un gap progressivamente più divaricato man mano che si sale verso la sommità della piramide sociale, con poche manager in grado di raggiungere i piani alti del potere e il più delle volte

penalizzate da una significativa disparità salariale con i loro colleghi maschi. In questo scenario ancora asfittico, che spreca valore e talento, l’Italia non si salva: in base all’ultimo “Women in digital” della Commissione Europea, tra i 27 Stati membri il nostro Paese è al terzultimo posto sul fronte della partecipazione femminile all’economia e alla società digitale, davanti solo a Unghe-

Nelle imprese europee solo il 22% delle persone con un ruolo tech è rappresentato dal genere femminile

ria e Romania. Dati eloquenti che confermano come la strada per la gender equality, in un settore tradizionalmente appannaggio dei maschi, sia ancora lunga, minata da radicati cliché e da uno svantaggio di partenza ancora lungi dall’essere colmato. Il problema viene da lontano e scaturisce in primis da convinzioni assiomatiche secondo le quali ambiti come il tech sarebbero più

consoni al genere maschile che a quello femminile, con effetti diretti sul numero di studentesse che scelgono di intraprendere un iter formativo nelle discipline Stem (Science, Technology, Engineering e Mathematics). Restando nell’area europea, dall’indagine di McKinsey emerge che un calo significativo del numero di ragazze focalizzate su questi percorsi si verifica in due momenti: durante la transizione dall’istruzione primaria e secondaria all’università, quando la percentuale crolla di 18 punti, e nel passaggio dall’università al mondo del lavoro, momento in cui scende di ulteriori 15 punti (vedi grafico a destra). Risultato: solo il 22% delle donne specializzate in queste materie riesce a trovare un incarico tech, rispetto al 44% degli uomini. Fondamentale per superare l’impasse sarebbe dunque innanzitutto azzerare quel gap che sin dall’infanzia allontana bambine e ragazze da un futuro nel tech, con riforme strutturali in grado di produrre delle crepe nel sedimento dei pregiudizi. «Alla base non c’è tanto un problema di gender, quanto di formazione», commenta

32 INNOVAZIONE CARRIERE ROSA
POWER WOMEN IN TECH Una priorità per il business Il ruolo della formazione

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Come ricorda l’esperta, basti pensare che in Finlandia (una delle nazioni dove le donne hanno il maggior digital human score insieme a Svezia, Norvegia e Olanda), la riforma avviata nel 2014-2015 con l’introduzione, a tutti i livelli scolastici, di corsi di coding e sulle nuove tecnologie, ha prodotto addirittura un sorpasso, sul fronte delle competenze digitali, tra maschi (70%) e femmine (80%). Sensibilizzare le famiglie su percorsi educativi “alternativi” a quelli tradizionalmente ritenuti adatti per valorizzare presunte attitudini femminili e potenziare l’offerta for-

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Lisa Calatroni

WW Digital, Omnichannel & Go to Market Director

Fendi

Dopo una Laurea in Ingegneria Gestionale presso il Politecnico di Milano, inizia la propria carriera nell’ambito dell’e-commerce, prima in consulenza a Milano e poi da Yoox Net-aPorter a Bologna, dove si occupa del lancio delle piattaforme per alcuni brand di Kering. Nel 2013 entra in VF Corporation presso la sede Emea in Svizzera, seguendo prima l’ecommerce di Timberland e poi passando in Napapijri come Digital & eCommerce Senior Manager. Nel 2018 si trasferisce a Roma ed entra in Lvmh da Fendi come WW Digital & eCommerce Director, ruolo che si evolve velocemente anche negli ambiti Omnichannel, Crm e Data. Dal 2022 aggiunge al proprio scope il Go to Market, con l’obiettivo di coordinare a 360 gradi i piani strategici di lancio delle collezioni online e nel network retail.

mativa in chiave Stem, offrendo anche possibilità di tirocinio, mentoring e coaching, restano dunque prerequisiti indispensabili per ribaltare lo status quo. «In campo tecnologico, come in qualsiasi altro settore, sono convinta che il gender non influisca sui risultati - interviene Irene Rossetto, Country Director Italy di BigCommerce, piattaforma e-commerce Open SaaS leader per marchi B2C e B2B - Fondamentale è creare un ecosistema in cui sia supportato l’accesso alle pari opportunità». Soprattutto nel momento in cui una professionista aspira a salire la scala gerarchica: «Imprescindibili sono le competenze, oltre che le giuste skill che per-

Con una laurea all’Alma Mater Studiorum di Bologna e un master in Bocconi, Alessandra Domizi è entrata a far parte dell’azienda guidata da Diego

Della Valle nel 2019 con il compito di coordinare e accelerare la trasformazione digitale in atto. Precedentemente l’executive ha passato sette anni alla corte di Google, dove ha ricoperto l’incarico di industry manager retail ed è stata responsabile dei settori del fashion & retail in Italia. Ancora prima ha fatto parte della squadra di Nokia, realtà dove è rimasta circa cinque anni, e lavorato in Sony Bmg e Horizons Unlimited.

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Alessandra Domizi Chief Digital Officer Erika Andreetta partner PwC Italy Emea Luxury Community Leader.
Primaryschool capabilities MSc enrollment BSc enrollment PhD enrollment Earlyhigh-school capabilities MSc graduation BSc graduation PhD graduation Any role across tech companies Tech roles across any companies Workforce Tertiary education Primary and secondary education European average, as % of total pool STEM2 pipeline Parity

Ingegnere gestionale, Andreetta entra in PwC Consulting nel 1999. Ha seguito in prima persona processi di internazionalizzazione di importanti gruppi nel mercato cinese ed è stata membro attivo del CindiaDesk di PwC dal 2000 al 2006. Attualmente è impegnata nel supporto ad aziende ad alto potenziale, a sostegno del made in Italy nel mondo, e in progetti di sistema che toccano le filiere produttive e i temi della sostenibilità. Attenta osservatrice dell’evoluzione dei consumatori, per il terzo anno consecutivo ha curato l’iniziativa “Donne e moda”, un’analisi sulla presenza femminile nel mondo della moda e delle mansioni ricoperte dalle donne nelle aziende.

mettono di avere un approccio vincente come team - aggiunge Rossetto - ed è importante che ogni gender abbia accesso alla stessa possibilità di fare esperienza. Non sempre è così». Spesso si genera un circolo vizioso, dove retaggi culturali di impronta patriarcale inibiscono un cambio di rotta. «Nonostante tutto, la presenza femminile in ambito tecnologico è fortemente aumentata e ci auguriamo - dice Rossetto - di poter fare sufficiente massa critica per alimentare l’onda del cambiamento». Paradossalmente, come osserva Eva Panetti, docente di Management all’Università Parthenope di Napoli e collaboratrice del Mit (Massachussets Instituteof Technology), «gli stereotipi più insidiosi sono quelli interiorizzati dalle stesse ragazze, che finiscono con il boicottare una loro possibile ascesa a profili manageriali perché vittime di immagini stereotipate e scoraggianti delle donne in carriera, conside-

rate aride, senza tempo per la famiglia e i figli». Oppure, ancora peggio, viste come persone consumate, che per raggiungere posizioni apicali «hanno dovuto faticare il doppio rispetto ai loro colleghi uomini». Il fatto che tra le ragazze questa percezione persista, la dice lunga su quanta strada ci sia da percorrere per la parità, sebbene - come sottolinea la maggior parte delle manager ed esperte che abbiamo interpellato - molti passi avanti siano stati fatti, anche sul fronte della consapevolezza. Restando in Italia, tra gli obiettivi del Pnrr c’è

Fondamentale è migliorare il work-life balance, alleggerendo le responsabilità di caregiving delle donne

proprio quello di raggiungere la parità di genere entro il 2033, aumentando il numero di protagoniste anche della digital transformation. Conditio sine qua non sarà però fornire loro supporto e flessibilità negli ambienti di lavoro, migliorando il work-life balance e alleggerendo le loro responsabilità di caregiving (una delle prime cause di abbandono delle ambizioni di carriera per le donne), in modo che possano competere “ad armi pari” con la loro controparte maschile, senza avere sulle spalle l’intero carico di incombenze familiari. Uno svantaggio, quest’ultimo, che colpisce le dirette interessate, ma anche le

Docente di Management

Università Parthenope di Napoli

Docente e ricercatrice in Innovazione dei Modelli di Business e Business Planning al Dipartimento di Studi Aziendali e Quantitativi dell’Università Parthenope di Napoli, Eva Panetti collabora anche con il Mit ed è autrice di numerose pubblicazioni in tema di ecosistemi di innovazione, relazioni università-impresa, imprenditorialità, strategie di innovazione regionali e trasferimento tecnologico. È anche autrice del libro “The Dynamics of Local Innovation Systems” (2019), edito da Routledge.

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Eva Panetti
INNOVAZIONE
CARRIERE ROSA

Irene Rossetto Country Director Italia BigCommerce

Veneta, laureata in Scienze della Comunicazione a Trieste e in Scienze dello Spettacolo e Organizzazione Teatrale all’Università Statale di Milano, dopo diverse esperienze nell’ambito del giornalismo e del digital marketing, Irene Rossetto lavora nel mondo delle agenzie orientate alle performance con focus sul mondo B2B, per poi trasferirsi in Danimarca, come Enterprise Sales in Trustpilot. Dopo due anni all’estero fa il proprio ingresso in BigCommerce, in cui gestisce il mercato italiano. L’azienda americana, quotata in Borsa e con oltre 1.300 dipendenti, negli ultimi anni ha istituito una serie di Employee Resource Group per tutelare diversity & inclusion, tra cui uno dedicato alle donne, a persone non binarie e ai loro sostenitori, al fine di difendere diritti come l’uguaglianza retributiva e un sano equilibrio tra lavoro e vita privata.

stesse aziende, che perdono per strada talenti e occasioni per generare valore, in un’ottica più inclusiva e innovativa. Se quella percentuale del 22% di donne attive nel tech salisse almeno al 45% (pari a 3,9 milioni di addette in Europa), il Pil guadagnerebbe fino a 600 miliardi di euro in più entro il 2027, sostengono le analiste di McKinsey. Con risvolti anche qualitativi, in primis grazie a modelli di leadership generalmente «più gentili e meno top-down», come sottolinea Lisa Calatroni, WW Digital, Omnichannel & Go to Market Director di Fendi, e skill sviluppate grazie all’esperienza diretta delle donne, «abituate a essere multitasking, a destreggiarsi tra impegni a casa e in ufficio, a essere efficienti e a non perdere tempo». La capacità di problem-solving e di adattabilità può trasformarsi anzi in valore aggiunto, soprattutto in un campo come quello dell’e-commerce, «un business ormai maturo - dice Calatroniper il quale serve più che mai una certa dose di creatività, per cambiare paradigma e individuare nuovi percorsi». Ancora più cruciale è ragionare in termini di diversity nella progettazione dell’AI, alla luce dei possibili sviluppi futuri, in modo da bilanciare l’attuale squilibrio nella rappresentazione delle donne. «La stragrande maggioranza dei professional, anche nel campo dell’intelligenza artificiale, sono uomini - sottolinea Alessandra Domizi, Chief Digital Officer di Tod’s, dove si registra una presenza femminile pari al 66,2%

dell’organico complessivo, di cui il 58,2% in posizioni manageriali -. Per cui, se è vero che questa tecnologia impatterà su qualsiasi industria e sulla società in modalità che abbiamo appena iniziato a intravedere, ciò implica che rischiamo di sviluppare AI senza alcuna attenzione alla diversità, mantenendo un divario legato alla disparità di genere nei settori tech e dell’innovazione». Negli ultimi anni il ramo legato all’intelligenza artificiale è alla continua ricerca di nuovi talenti, tanto che la richiesta è aumentata di sei volte tra il

Cruciale è ragionare in termini di diversity nella progettazione dell’AI per non alimentare il gap in ambito tech

2016 e il 2022. Eppure, in base ai dati del Global Gender Gap del World Economic Forum, la percentuale di donne che lavora in questo ambito è di circa il 30%, pari a soli 4 punti percentuali in più rispetto al 2016. «Team tecnologici inclusivi non possono che portare alla progettazione di prodotti e servizi tecnologici più inclusivi - conclude Domizi -. La tecnologia è sempre più integrata in ogni aspetto della vita umana e, se non teniamo conto di una prospettiva anche femminile, le aziende perdono l’opportunità di costruire qualcosa di rilevante per una fetta importante di potenziali consumatrici». 

Ancora 131 anni per raggiungere la parità

Le performance dell’Italia peggiorano: il nostro Paese si trova al 79esimo posto nella classifica di 140 nazioni

L’ultimo report del Global Gender Gap , introdotto per la prima volta nel 2006 e stilato dal World Economic Forum , lo dice con l’ineluttabilità dei numeri: ci vorranno ancora 131 anni per raggiungere la parità di genere in tutto il mondo. Infatti, nonostante nel 2023 il divario globale di genere si sia ridotto di 0,3 punti percentuali rispetto al 2022, le previsioni indicano che l’anno in cui il gap sarà colmato resta il 2154. Analizzando l’evoluzione nelle quattro aree prese in considerazione (partecipazione economica e opportunità, livello di istruzione, salute e sopravvivenza ed emancipazione politica) si nota che ci vorranno ben 169 anni per raggiungere la parità economica e 162 per quella politica. Nonostante nessun Paese tra le 140 nazioni prese in esame abbia ancora azzerato il gender gap, i primi nove (Islanda, Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda, Svezia, Germania, Nicaragua, Namibia e Lituania) hanno colmato almeno l’80% del loro divario. Per il 14esimo anno consecutivo l’Islanda (91,2%) occupa il primo gradino del podio, seguita da Norvegia (87,9%), Finlandia (86,3%), Nuova Zelanda (85,6%) Svezia (81,5%). Migliorano Germania (81,5%), Lituania (80%) e Belgio (79,6%). Cattive notizie invece per l’Italia, che rispetto all’anno scorso ha perso 16 posizioni, scendendo dal 63esimo al 79esimo posto. «Fare progressi nel colmare il divario di genere è fondamentale per garantire una crescita economica inclusiva e sostenibile - si legge nel report -. A livello di singola organizzazione, la strategia di genere è considerata essenziale per attrarre i migliori talenti e garantire prestazioni economiche, resilienza e sopravvivenza a lungo termine. È dimostrato che gruppi di leader diversificati prendono decisioni più basate su fatti concreti che portano a risultati di qualità superiore. A livello economico, la parità di genere è stata riconosciuta come fondamentale per la stabilità finanziaria e la performance economica». a.t.

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INNOVAZIONE
CARRIERE ROSA

ASPETTANDO LA NORMATIVA

La fashion industry si attiva con il fai da te Evoluzioni digital e mosse dei brand

Trasparenza al centro in vista del passaporto digitale

Le tecnologie vanno verso processi più fluidi, che tengono conto del fattore sostenibilità. Le aziende pensano a un consumatore responsabile dei propri acquisti. In assenza di leggi certe, la regola è il buon senso

FABBRI

La sostenibilità è un tema ampio e complesso, che si va delineando sempre di più attraverso le linee guida dell’Unione europea e coinvolge organizzazioni aziendali, processi e integrazioni di filiera, il retail, fino al post-consumo e al fine vita del prodotto, in un’ottica di circolarità del business. Per darne evidenza va tracciata, così da permettere al consumatore finale e a tutti gli stakeholder (i portatori di interesse) di comprendere meglio il prodotto e il suo impatto ambientale e sociale. «Non è un caso che tra i principali focus delle aziende della moda oggi ci siano la realizzazione del passaporto digitale per i prodotti e il Bilancio di Sostenibilità», osserva Massimo Marconi, Euromed regional geo leader della californiana Centric Software, attiva nelle soluzioni digitali per la moda e il retail e tra i leader nel Product lifecycle managementPlm. «Il lusso - prosegue - lavora già da tempo in questa direzione, è pronto e consapevole anche se ciascun marchio tende a implementare i concetti della sostenibilità a modo suo e quando diventeranno effettive le norme europee serviranno degli adeguamenti. La stessa cultura andrebbe diffusa tra le Pmi». L’Italia, come nota Marconi, si è mossa in anticipo su certi temi, andando persino oltre le proposte europee. La Francia è pioniera sul fronte delle eco-label. La legge Agec del 2022 si occupa infatti di trasparenza sull’impatto ambientale della

moda venduta nel Paese e ai brand chiede di dettagliare le caratteristiche e le qualità ambientali del prodotto in vendita, incluse le informazioni su riparabilità, riciclabilità, possibilità di riuso, uso di meteriali riciclati e di risorse rinnovabili e presenza di microfibre plastiche. «Noi ci stiamo muovendo in più direzioni - precisa il manager -. Come Centric Software ci siamo certificati e abbiamo iniziato un processo di miglioramento, perché noi in primis dobbiamo essere sostenibili e consapevoli. Stiamo inoltre

Passaporto digitale e Bilancio di Sostenibilità stanno diventando una priorità per la moda

implementando delle best practice nei nostri sistemi che attengono alla sostenibilità, inerenti il controllo dei parametri per la sostenibilità nei prodotti e nella supply chain, la qualità di misurazione dei dati fino all’archiviazione, per dare consistenza al Bilancio di Sostenibilità con informazioni quantitative per aggregato». «Da abilitatori - prosegue - mettiamo le aziende in condizione di pensare in ottica sostenibile, quando si tratta di redigere il piano finanziario o pianificare le collezioni. Integriamo anche strumenti per il design, per una scelta responsabile

di materiali, lavorazioni e trattamenti». Il tutto senza perdere di vista i costi: «I dati vanno gestiti, in modo che anche il margine sia sostenibile». «La nostra suite di soluzioni pensa anche alle Pmi - precisa Marconi -. Per esempio permette di reperire parametri medi di sostenibilità tra cui l’indice Higg (standard per valutare la sostenibilità ambientale e sociale lungo la catena di fornitura della moda, ndr), nell’ipotesi probabile che la piccola impresa non riesca a reperirli direttamente dal suo fornitore». Centric Software continua inoltre ad ampliare i campi di applicazione del Plm. Dopo il pricing e il planning, ora è la volta dell’uso dell’Intelligenza Artificiale e degli algoritmi di predittività di prezzo, per il posizionamento e il design “automatico”. «L’idea è rendere il processo produttivo sempre più fluido, grazie al Plm che evolve con il machine learning - anticipa l’esperto -. Puntiamo a velocizzare in modo significativo il lead time, immaginando che in futuro ci saranno sempre più capsule collection e meno main line, a parte il caso del lusso estremo. Così si riducono il rischio di rimanenze e gli sprechi».

Un altro partner tecnologico della fashion industry è la fiorentina Temera, sensibile fin dagli albori alla tematica della tracciabilità. «Dal 2009 ce ne occupiamo a livello di logistica, ma nel 2013 abbiamo iniziato a proiettarci verso le tematiche green - dice il cmo e cdo Guido Mengoni -. Nel 2019 c’è

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stato il lancio di t!Care, dedicato alla mappatura delle forniture di raw material: raccoglie le informazioni sulla materia prima partendo dalla piantagione o dall’animale, da cui derivano badge o tag che vengono serializzati». Un tag Nfc-Near Field Communication può far vivere una nuova experience al consumatore finale, come quella di far “parlare” un T-shirt tracciata. A garantire l’autenticità delle informazioni c’è una blockchain. «Quasi come conoscere la classe energetica degli elettrodomesticinota Mengoni -. C’è però un gap legislativo: l’etichetta energetica così come il nutriscore francese nell’alimentare si rifanno a una legge, l’abbigliamento no. La Commissione Ue dovrà legiferare in materia, fornendo i termini comparativi, diversamente si crea confusione». Nel 2023 Temera ha aggiunto t!Upcycling, che si occupa del riciclo in vista del 2024, quando dovrebbe entrare in vigore una legge europea contro la distruzione di materiali e merci invenduti o resi. La soluzione vuole facilitare lo smaltimento o il riciclo dei prodotti che rientrano in magazzino, sfruttando l’identificazione multi-modale, che prevede l’uso integrato delle tecnologie Rfid e dell’AI con visione artificiale, per il riconoscimento di un oggetto. L’item da riciclare potrà così fornire agli operatori specializzati le informazioni di smaltimento e disassemblaggio, per la reimmissione nella filiera di componenti utili. Anche i prodotti che si riciclano potranno così essere certificati.

Alla Vibram - specialista delle suole per calzature, specie per il mondo outdoor - la minore produzione di scarti e rifiuti è ormai un chiodo fisso, così come la riduzione dei consumi energetici. «L’impatto sull’ambiente dei processi, dei prodotti e delle materie prime deve essere il più possibile ridotto - precisa Marco Guazzoni, sustainability director dell’azienda di Albizzate (Varese) -. Per esempio, da tempo lavoriamo sulla durabilità, in modo che la CO2 equivalente

possa risultare meno impattante: non realizziamo suole usa e getta». Con il Cnr di Milano stanno studiando anche un algoritmo grazie al quale, inserendo una serie di dati, si riesce a conoscere l’Lca-Life Cycle Assessment (metodo standardizzato per l’identificazione degli impatti di un prodotto sull’ambiente e sulla salute) di gran parte della produzione di Vibram. Vibram partecipa poi al Monitor for Circular Fashion, un progetto a cui prendono parte le aziende, il Sustainability Lab Sda Bocconi ed Enel X, per contribuire alla transizione verso modelli di business circolari (vedi box

nella pagina seguente). «Così possiamo interloquire con l’Ue e le Nazioni Unite anche di digital product passport», dice Guazzoni. Un tool per la trasparenza a cui ambire ma difficile da realizzare, secondo il manager: «Uno dei nodi è fornire informazioni al consumatore e al cittadino, senza comunicare “troppo”. Comunque si potrebbe partire da pochi dati, tra cui l’indicazione delle emissioni di CO2, ma in parallelo si dovrebbe pensare di educare i consumatori ad acqui-

sti responsabili». «Spero che la blockchain ci aiuti - aggiunge - perché porta a disporre di dati oggettivi e certificati. La nostra azienda è abbastanza avanti nella tracciabilità esterna, l’ideale sarebbe arrivare alla tracciabilità per lotto, che aumenterebbe la trasparenza e metterebbe in evidenza la qualità del prodotto». La complessità di essere più trasparenti è legata anche al modello di business: chi ha in capo gran parte della produzione può controllare tutto con più facilità. Inoltre, come rammenta Guazzoni, non si è ancora arrivati a standard riconosciuti in via generale, perché tutte le certificazioni sono emesse da aziende private, che hanno messo a punto un proprio metodo e rilasciano un “bollino”. «Il Monitor for Circular Fashionspiega - cerca anche di creare degli standard. A proposito di ambiente e sociale, credo si debba andare per industries: farà gioco l’associativismo. Noi nel nostro piccolo ci siamo mossi collaborando con il certificatore svizzero dei materiali Bluesign». Mettendo in sinergia i punti di forza, hanno dato vita a un know-how condiviso, che ora permette a Bluesign di certificare le calzature. Tornando al passaporto digitale, Vibram sta lavorando sull’ecodesign. Con l’obiettivo di usare il minor numero di materiali diversi, meno assemblaggi possibili e una maggiore riciclabilità nel fine vita ha realizzato la Component Shoe: una calzatura che impiega solo quattro diversi materiali, che chiunque può assemblare a casa propria. Se una componente si rompe è possibile acquistarla singolarmente e sostituirla. Il digital passport potrebbe essere un tag Rfid nella suola, sotto il logo Vibram, che il cliente legge con il telefonino: «Il costo è significativo ma potrebbe abbassarsi nel caso diventasse una strategia di massa». L’etichetta intelligente potrebbe anche essere inserita nella gomma, ma così facendo si complica il riciclo della materia prima. «Con le tecnologie - ammette l’esperto di Vibram - non siamo ancora del tutto pronti e serve più esperienza».

Anche la gestione dei dati inerenti la sostenibilità è complessa. «Noi raccogliamo informazioni come i consumi energetici e gli scarti con Excel e usiamo Sap come Erp (software per la pianificazione delle risorse, ndr) per estrapolarli, ma stiamo valutando l’acquisto di un software ad hoc, che razionalizzi i dati già presenti in azienda e prenda quelli dall’esterno. I sistemi informatici possono essere connessi fra loro dagli integra-

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1. La Vibram Component Shoe usa solo quattro componenti, che si possono facilmente assemblare, riparare e riciclare 2. Due look invernali Save the Duck
2 1
Un tag che traccia le materie prime di una T-shirt può cambiare l’experience del consumatore
Alessandria - Milano - Firenze - Forte dei Marmi - Roma -
- Paris Celebrating 166 years of manufacturing www.borsalino.com borsalino_world
Monte Carlo

INNOVAZIONE TRACCIABILITÀ

tori, ma resta il tema della volontà reale di comunicare un certo dato. Se il terzista dà tutte le informazioni può vedere limitato il suo potere negoziale, dovendo mettere tutto alla luce del sole, anche come realizza i margini. L’ideale sarebbe passare dal capitalismo competitivo a quello collaborativo, così da redistribuire il valore lungo tutta la catena. Le aziende che accumulano capitali dovrebbero in parte condividerli. In questo Vibram dà l’esempio».

Per Save the Duck, marchio di outerwear dalla nascita 100% animal free, la tracciabilità è un tema cruciale su cui focalizza buona parte delle sue attività. «Siamo appena stati ricertificati B Corp (attestato assegnato a chi vanta alti standard nelle performance ambientali, sociali e di governance, ndr) e a breve saremo sotto audit per la Iso14064 (per la rendicontazione e il monitoraggio dei gas a effetto serra, ndr) - racconta Silvia Mazzanti, sustainability manager dell’azienda di Milano -. Sono percorsi complessi ma salutari, che ci tengono sempre sul filo del rasoio e in allenamento, in attesa delle normative che saranno introdotte nei prossimi due anni».

«In vista del digital product passport - anticipa la manager della sostenibilità - stiamo sviluppando un progetto con un partner tecnologico, affinché il consumatore faccia una scelta responsabile e per arrivare meglio al cliente coscienzioso. Potrebbe arrivare al pubblico tra un anno, invece la data dell’en-

EVENTO A PORTE CHIUSE IL 19 SETTEMBRE Temera e il Monitor for Circular Fashion protagonisti a Milano

L’azienda toscana, leader mondiale nel settore fashion luxury e pioniera della tracciabilità, è tra i Partner e Solution Provider dell’Osservatorio

Il 19 settembre, in apertura della fashion week, viene presentata a porte chiuse presso presso SDA Bocconi la stagione 2023 del Monitor for Circular Fashion, il primo osservatorio di ricerca sulla circolarità del comparto moda in Italia diretto da Francesca Romana Rinaldi all’interno del Sustainability Lab SDA Bocconi, powered by Enel X, che vede Temera come uno dei partner di progetto e solution provider.

L’impresa digitale, leader nelle soluzioni IoT per i settori del fashion, del lusso e del retail, è tra i protagonisti di questa presentazione a porte chiuse, focalizzata sulla stagione 2023 del Monitor for Circular Fashion di cui l’azienda italiana, parte della multinazionale brasiliana Beontag, è come si diceva partner e solution provider fin dalla nascita, avvenuta tre anni fa. L’appuntamento del

trata in vigore della normativa è imprevedibile. Basti pensare alla “responsabilità estesa del produttore” per la gestione dei rifiuti tessili: l’Italia ci stava lavorando, la Francia l’aveva già recepita, ma l’Europa ha imposto l’alt, perché vuole che gli Stati trovino una via comune». «In azienda - aggiunge - siamo più pragmatici. Ci muoviamo usando il buon senso e finora non siamo mai andati troppo lontano da quanto richiesto dalle direttive entrate in vigore. Questo succede anche perché siamo coinvolti ai tavoli delle trattative, al fianco dei grandi player». Pensando alla circolarità del business, Save the

Duck sta portando avanti un altro progetto ambizioso. «Con l’Università Bicocca, il Politecnico e la Bocconi vogliamo fare in modo che si torni a imparare a riparare i capi - spiega Mazzanti -. Pensiamo di realizzare con altri player una rete di riparatori, per ora a Milano, da supportare fornendo i pezzi originali di ricambio o soluzioni di recupero del capo. Una delle sfide di domani sarà realizzare un capo monomateriale, così da renderlo facilmente riciclabile. Sia-

19 settembre si svolge in vista del grande evento di chiusura della stagione, fissato per il prossimo 11 ottobre. Come spiega Guido Mengoni (nella foto), Cmo e Cdo di Temera, «abbiamo aderito al Monitor for Circular Fashion da subito, essendo da sempre in prima linea per quanto riguarda le tematiche relative alla tracciabilità. È il primo osservatorio sulla circolarità del comparto moda in Italia e siamo orgogliosi di farne parte». Ma in cosa consiste il Monitor for Circular Fashion? «Si tratta di un progetto multi-stakeholder - spiega Francesca Romana Rinaldi - di cui fanno parte aziende leader del settore moda e attori della filiera, con la Direzione scientifica del Sustainability Lab di SDA Bocconi». L’obiettivo del Monitor è diffondere le buone pratiche nel comparto, valorizzando competenze tecniche, manageriali e scientifiche, in modo da trainare la transizione verso modelli di business circolari. Vengono analizzate le dinamiche evolutive del settore, da qui al prossimo decennio, tenendo presente l’allineamento agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e identificando i principali indicatori qualitativi e quantitativi della circular fashion. Ogni anno viene stilato un Circular Fashion Manifesto e un report da

mo in contatto con altre aziende, perché si potrebbe recuperare il capo per rifare il filo dal tessuto, ma si tratta di processi che necessitano di tempo per evolvere e, per ora, risultano onerosi in termini di tempo e impatto». In merito all’ausilio delle tecnologie per la tracciabilità dice: «Sono contenitori di contenitori. Dobbiamo inserire noi le informazioni e non possiamo interagire con strutture esterne. Lavoriamo tanto sulla documentazione ricevuta dai fornitori, cercando di ottenere quante più informazioni possibili sulle manifatture e sui produttori di materie prime, cercando anche di stabilire contatti diretti con questi ultimi, per dare solidità al nostro percorso». «Le piattaforme - osserva Mazzanti - andrebbero anche pensate in ottica più “internazionale” per chi, come Save the Duck, si appoggia a filiere lontane, distribuendo in 45 diversi Paesi. Per noi è strategico produrre in Cina, perché è la best in class nei capispalla come i nostri e abbiamo due fornitori in India. Siamo consapevoli che si tratta di mondi con usi e normative locali diverse dalle nostre e talvolta con blocchi anche governativi, che impediscono l’accesso ai dati. Però si possono chiedere con cortesia, forti anche del fatto che negli anni abbiamo creato rapporti solidi con i nostri partner. Le tecnologie sono un supporto, ma ciò che conta è soprattutto un elevato valore dei rapporti umani».

presentare a istituzioni e summit, nazionali e internazionali. Per avere l’idea della portata dell’iniziativa, basti pensare che tra i partner ci sono nomi come Tod’s, Ferragamo e Vivienne Westwood, che lanciano quest’anno i loro progetti pilota per i quali Temera ha creato delle esperienze digitali accessibili attraverso un codice QR. Queste offrono interfacce di facile utilizzo, in cui tutte le informazioni raccolte lungo la catena di fornitura sono rese disponibili all’utente finale sotto forma di KPI di sostenibilità. «Lo spirito - sottolinea Mengoni - è di profonda condivisione, partendo come si diceva da un approccio scientifico alla circolarità, grazie alla metodologia di SDA Bocconi, da monte a valle della filiera, per ottenere una mappatura completa dei prodotti e del loro ciclo di vita».

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Una sfida di domani è realizzare un capo di outerwear monomateriale, così da renderlo facilmente riciclabile

Tessitori, filatori, giovani stilisti: tutti accomunati dal fattore

R

In un’epoca phygital e social-dipendente, può passare l’idea che per diventare fashion designer basti essere innanzitutto abili comunicatori e che il resto sia in secondo piano. Ma è dal monte della filiera che giunge un messaggio opposto: agli emergenti la materia prima interessa, eccome. Così aziende storiche del settore e nuovi talenti si incontrano sul terreno comune della ricerca, il “fattore R” che fa la differenza. Anche questa è economia circolare

DI ALESSANDRA BIGOTTA

Si compra online, si progettano capi in 3D, ci si prepara a indossare i visori futuribili Vision Pro di Apple per comandare le nostre azioni con un movimento oculare e si scopre che anche a un salone dedicato ai tessutiemblemi per eccellenza di tattilità - come Milano Unica, fa il proprio ingresso il metaverso, grazie a un progetto realizzato insieme a PwC Italia per rendere più interattiva l’esperienza in fiera. Intanto la sfilata di Louis Vuitton Uomo con la direzione artistica di Pharrell Williams, popstar prestata allo stilismo, ottiene un miliardo di visualizzazioni. In questo scenario, liquido e multiforme, come si rapportano i giovani - che siano stilisti emergenti, futuri uomini prodotto o consumatori - con il mondo di tessuti e filati? Riescono a capirne e apprezzarne il valore, immersi come sono in un contesto phygital e social-dipendente? Abbiamo girato queste domande a tessitori, filatori e altri addetti ai lavori tra cui alcuni nuovi designer, alla ricerca di un punto di congiunzione tra aziende

tessili spesso con una lunga storia alle spalle e new talent che, a sorpresa, delle materie prime vogliono capire tutto: le potenzialità esplorate e inesplorate, i processi produttivi, i luoghi da cui hanno origine.

«Negli ultimi anni - racconta Giorgio Todesco, ceo della divisione Marzotto Wool Manufacturing del Gruppo Marzotto - abbiamo intrecciato collaborazioni con scuole e istituti come il Marzotto Luzzati e il Liceo Artistico Boccioni, entrambi di Valdagno, oltre che con il Ruzza di Padova, il San Micheli di Verona, il Luzzati di Mestre, il Sella di Biella e il Bellini di Novara». «Non solo - precisa -. Diamo la disponibilità degli spazi del nostro stabilimento di Valdagno agli allievi del corso per Fashion Sustainability Manager dell’Its Cosmo e abbiamo sviluppato collaborazioni fattive con altre importanti realtà della moda, dall’Accademia del Lusso al Naba di Milano e Roma, fino allo Iuav di Venezia, allo Iuad sempre nel capoluogo lombardo e al Fit di

New York». L’azienda non si limita a fornire i tessuti agli studenti per realizzare le sfilate di fine anno, ma consente loro di visitare gli impianti, accompagnati da manager ed esperti. «Ragazzi e ragazze - prosegue Todesco - vengono colpiti dalla complessità delle fasi di produzione e ne restano affascinati. La stessa cosa è successa un paio d’anni fa con un giovane fashion designer (Dima Leu, ndr), che ha realizzato una collezione esclusivamente con tessuti Marzotto, prediligendo quelli in lana di ispirazione archivio: ben fatti, solidi, duraturi e dal fascino rétro, hanno dato vita a look worker e spunti gym dagli aspetti lavati, opachi e vissuti». Lo show di presentazione della linea era avvenuto all’interno di un reparto produttivo dell’azienda, dove erano stati fatti gli shooting e le registrazioni video. Una tendenza che, in questo 2023, si è ritrovata nella scelta di Fendi di scegliere come location della sua sfilata durante Pitti Uomo non un giardino o un palazzo, ma la Fendi Factory recentemente inaugurata: un

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I GIOVANI STILISTI E LA MATERIA PRIMA Parola d’ordine sperimentazione Al centro il made in Italy

PRESIDENTE DI CPF-CONSORZIO PROMOZIONE FILATI

Marchio registrato di Cpf-Consorzio

Nella pagina di apertura

Francesco Barberis Canonico di Vitale Barberis Canonico con le stiliste di Cuantico, brand protagonista di una nuova puntata del progetto Heritage & New Talents. Sopra, un bozzetto di Dejin Chen, vincitrice della 14esima edizione di Feel The Contest, abbinata al Lanificio dell’Olivo

polo di eccellenza nel cuore della campagna toscana a Cappannuccia (Bagno a Ripoli) «e soprattutto un luogo speciale - ha detto a margine dello show Serge Brunschwig, chairman e ceo della griffe - che rappresenta il patrimonio e la creatività di Fendi, coltivando le preziose capacità degli artigiani e preservando il Made in Italy», quello con la M maiuscola, che ha bisogno di un ricambio generazionale a tutti i livelli - tecnico, creativo e progettuale - per non perdere il proprio primato. Passando dal Veneto al biellese, una delle realtà più antiche del distretto è Vitale Barberis Canonico, con sede a Pratrivero e 360 anni di storia alle spalle. Legato alla produzione di tessuti pregiati per la confezione di abiti, da tempo il lanificio svolge formazione nelle scuole, sponsorizzandone alcune, ospita in sede futuri designer e si fa promotore di vari progetti, raccolti sotto l’hashtag #VBCTalents. Durante la fashion week di febbraio ha voluto andare oltre, lanciando Heritage & New Talents, iniziativa nata per valorizzare i giovani stilisti nell’ambito della moda femminile. La prima sinergia è scattata con VitoVi, marchio creato nel 2021 da Maria Vittoria Lazzarini Merloni, Vicky per gli amici, che dopo aver conseguito una laurea in Relazioni Internazionali ha lanciato

GIORGIO TODESCO

Ceo

Marzotto Wool

Manufacturing

«La complessità delle fasi di produzione affascina le nuove generazioni»

VitoVi concentrandosi su un capo specifico, il blazer di taglio sartoriale e di ispirazione maschile. «Di rientro da New York - racconta - volevo creare una mia attività. Utilizzavo da tempo le giacche di mio nonno Vittorio, da cui ho preso ispirazione e da lì è nato VitoVi, ossia “da Vittorio a Vittoria”: un brand in cui si incontrano stile disinvolto e femminilità, con produzione nelle Marche e ufficio stile e comunicazione a Milano». Insieme a Vitale Barberis Canonico Vicky Lazzarini Merloni ha realizzato 14 giacche per la FW23/24, utilizzando flanelle cardate, stoffe armaturate che ricordano il corduroy francese e mouliné fantasia. «Cosa accomuna Vitale Barberis Canonico a VitoVi? Gli stessi valori - dice la designer -. Il made in Italy, la qualità, il fatto di essere imprese familiari. Vedo che si cercano sempre più il bello e ben fatto, con il giusto rapporto tra qualità e prezzo. I miei blazer, per ora venduti principalmente online ma con l’idea di rivolgerci a selezionati negozi multibrand, rispondono alle esigenze di un parterre femminile sempre più ampio, che cerca capi slegati dalle tendenze del momento e destinati a durare nel tempo». Con la settimana della moda di settembre Heritage & New Talents giunge alla seconda edizione: viene infatti presentata nella showroom milanese del lanificio, in via Solferino, la colab con Cuantico, marchio monoprodotto di camicie donna d’impronta sartoriale, fondato nel 2021 da Chiara Ciolli (product manager specializzata in Fashion Marketing), Consuelo Canducci (architetto, esperta di comnicazione ed editoria e

Promozione Filati (realtà che aggrega importanti produttori italiani del settore), Feel The Yarn organizza Feel The Contest, concorso per designer emergenti che è anche un osservatorio sul mercato che cambia, come spiega Alberto Enoch, alla guida di Cpf, oltre che ceo dell’azienda Servizi e Seta

Cosa è cambiato nell’approccio dei giovanissimi stilisti alla materia prima?

Negli ultimi anni la cultura della sostenibilità ha determinato una crescente attenzione alla scelta del prodotto, con un focus sui filati con caratteristiche green, senza rinunciare al colore di tendenza o al filo innovativo.

Quali sono le chance che Feel

The Contest, giunto alla 14esima edizione, può dare agli emergenti?

La visibilità sia digitale che fisica, grazie all’effetto traino del marchio Feel The Yarn; l’attenzione da parte di addetti ai lavori, esperti e stakeholder della maglieria; non ultimo, il contatto stretto con le filature. Il vincitore assoluto può realizzare una capsule avvalendosi anche dell’aiuto di esperti del settore moda.

Per fare lo stilista oggi meglio avere approfondite competenze tecniche o essere una star mediatica?

Alcuni brand pensano che la fusione di esperienze da settori diversi possa aprire nuovi territori in cui evolversi. A nostro avviso, la conoscenza tecnica resta fondamentale. I due approcci possono andare di pari passo: spesso è dalla contaminazione che nascono progetti geniali.

A proposito di contaminazioni, avete coinvolto Camera Showroom Milano come partner del concorso…

Il confronto con i responsabili delle showroom milanesi più valide ha portato i vincitori a comprendere le azioni da intraprendere per sviluppare una collezione, venderla e gestire le tempistiche. Hanno anche potuto aggiustare il tiro su alcuni eccessi stilistici, per rendersi riconoscibili e commercialmente interessanti, in un fil rouge dal filato al negozio.

INNOVAZIONE TALENT SCOUTING 44
Alberto Enoch: «Feel The Contest, fucina creativa al centro della filiera»

1. Un tessuto Marzotto per la FW 24/25: la collezione, ispirata alle stoffe iconiche del brand, celebra la durabilità, un valore che i giovani stanno riscoprendo 2. Un modello di Bav Tailor (stilista artefice dell’omonimo brand dal 2015), frutto della sinergia con il lanificio Botto Giuseppe

appassionata di moda e fotografia) e Chiara Apperti (fashion designer e stylist). «Cuantico - sottolineano - valorizza la tradizione, ma tende alla contemporaneità: partiamo da una base classica e aggiungiamo geometrie nuove, vestibilità over, materiali di qualità, cura dei dettagli, tutto rigorosamente made in Italy con i tessuti dei migliori cotonifici del mondo. Realizzare con Vbc una capsule con tessuti lanieri di pregio è stata una sfida interessante, oltre che un privilegio. Il futuro? Uno shop online, che si aggiunge alla presenza in negozi del lusso come Spinnaker, Belmond Cipriani e Sauvage». «Entrambe le iniziative - spiega Francesco Barberis Canonico, direttore creativo del lanificio - sono nate dalla volontà di avvicinare i giovani ai tessuti di qualità, mentre raggiungiamo il traguardo dei 360 anni.

Siamo inseriti nel calendario della moda e lo saremo per le prossime edizioni con progetti diversi e stimolanti, più o meno vicini al nostro mondo». Barberis Canonico è convinto, come Maria

Vittoria Lazzarini Merloni, che formale e sartoriale stiano vivendo una seconda giovinezza: «Si avverte nelle nuove generazioni la volontà di indossare outfit classici, magari rivisitati in chiave contemporanea. E con i tempi che corrono, all’insegna di inflazione e scarsità di materie prime, c’è davvero di che scommettere sulla scoperta o riscoperta di capi di qualità». Sempre nel biellese si trova il quartier generale di Botto Giuseppe, che all’ingresso dello stand a Milano Unica di luglio ha presentato alcuni modelli realizzati da Bav Tailor, artefice dell’omonimo brand dal 2015, con i tessuti della collezione in lana, seta e

VitoVi

mischie «tutte provenienti dalla nostra filiera sostenibile - precisa il ceo Silvio Botto - in cui sono presenti materiali certificati Rws e Cradle to Cradle, dove abbiamo raggiunto il livello Gold, garantendo la tracciabilità dalla fattoria di partenza». «La palette di questi outfit - interviene Bav Tailor - si ispira ai cristalli e alla luna, utilizzando materiali come Slowool per rappresentare la luna bianca, Slowsilk quella color rosa quarzo, il cachemire per evocare il diaspro di sabbia e Slowool Earth che rimanda alla cenere sacra indiana». I modelli saranno venduti attraverso ordini privati, «trasmettendo il messaggio concreto di due realtà consapevoli dell’importanza della sostenibilità», chiarisce Bav, londinese di origine indiana, orgogliosa di portare avanti la tradizione sartoriale dei suoi avi riletta in chiave contemporanea e selezionata dal Camera Moda Fashion Trust per i progetti Together for Tomorrow e Cnmi Designers for the Planet, grazie al suo impegno di “conscious creative”, che l’ha portata nel 2019 a guadagnarsi la finale del concorso Who Is On Next?. «Nell’epoca dell’intelligenza artificiale e del metaverso - riflette - il ruolo del tessuto non si affievolisce, al contrario si rafforza. Utilizzando l’AI si potrà per esempio arrivare a capire tutte le possibilità esistenti per attuare le sperimentazioni sui materiali, a partire dai drappeggi, senza sprechi e senza dover

ricorrere a prototipi inutili, raggiungendo una maggiore precisione nello sviluppo dei modelli. Non vedo il futuro come un autaut tra fisico e digitale: l’intelligenza artificiale può essere un partner per rendere più efficace il lavoro mio e degli altri designer». Nel mondo dei filati una realtà di spicco è Zegna Baruffa Lane Borgosesia: attiva dal 1850 e specializzata in cardati e pettinati di alta gamma 100% made in Italy con le collezioni Baruffa, Chiavazza e Botto Poala, ha un rapporto continuativo e costante con le nuove leve del fashion, tramite collaborazioni consolidate ad ampio raggio, con il Master in Creative Knitwear Design di Accademia Costume & Moda e con il concorso Feel The Contest (vedi box in queste pagine), senza contare gli accordi di formazione e primo inserimento professionale con il Master delle Fibre Nobili e l’Istituto Tecnologico Superiore Tessile Abbigliamento Moda «Il settore in cui operiamo - precisano dal gruppo, a sua volta inserito nel distretto biellese, riallacciandosi alle considerazioni di Francesco Barberis Canonico - sta vivendo un momento particolarmente prospero proprio grazie alla ricettività verso la sostenibilità da parte della Gen Z. Si tratta di consumatori che, nonostante l’età, sono già fortemente consapevoli su questo tema. Quando i giovani aspiranti tecnici o stilisti vengono a trovarci ci colpiscono la loro attenzione sempre maggiore verso la nostra storia, la curiosità nei riguardi della materia prima e della sua evoluzione attraverso i processi di lavorazione e il fatto che attraverso questa fase empirica, fonte di ispirazioni e creatività, mettano a frutto nozioni acquisite e maturate nella teoria».

Tra i materiali della collezione FW24/25 di Baruffa che si avvicinano alle esigenze di un pubblico giovane spicca la gamma Vivo, interamente realizzata con filati sottoposti al trattamento H2Dry, che esaltando la traspirabilità tipica della lana Merino è ideale per capi performanti ma non necessariamente sportivi, versatili nelle occasioni d’uso, senza una stagionalità di riferimento e durevoli. Ma anche la linea Flow - in particolare la novità Atelier, un filato bouclé in lana legato con seta di mano cashmere -, studiata per intercettare la tendenza quiet luxury, è in sintonia con un target di late Millennial e Gen Z.

«Dalle analisi di mercato - puntualizzano da Zegna Baruffa Lane Borgosesia - considerando sia le realtà asiatiche di Cina e Corea, sia l’Europa, emerge che molti acquirenti finali

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MARIA VITTORIA LAZZARINI MERLONI Stilista
2 INNOVAZIONE TALENT SCOUTING
«I miei capi? Made in Italy e destinati a durare nel tempo»

1. Un capo di Verguenza, brand che ha vinto la nona edizione di Talents LineaPiù, iniziativa nata nel 2017 per premiare il talento di giovani marchi che si distinguono per l’uso dei filati e la qualità della maglieria. Verguenza è nato in Italia nel 2020 a opera di Sofia Marsili: i capi, apprezzati tra le altre da Chiara Ferragni e Rita Ora grazie al loro mood glamour e rock, sono realizzati da artigiani toscani 2. Un outfit realizzato da Alessia Vittori utilizzando filati di Servizi e Seta, dalla recente edizione di Feel The Contest

altospendenti di queste fasce di età stanno andando alla riscoperta di look senza tempo, classici e di elevata qualità, da affiancare a modelli più legati alla stagionalità e alle tendenze. I filati pregiati fanno parte di un acquisto mirato, di cui non stancarsi mai». Anche il mondo delle showroom entra a far parte del circolo virtuoso che si crea tra materie prime e stilismo di nuova generazione: tra Csm-Camera Showroom Milano e il consorzio Feel The Yarn è scattata un’intesa che offre a chi vince il concorso Feel The Contest la possibilità di creare una capsule collection in maglia, fatta con i materiali di alcune delle filature partner dell’ente organizzatore, avvalendosi della consulenza di Csm. Sul podio della 14esima edizione, in concomitanza con Pitti Filati di giugno, è salita la 27enne Dejin Chen: cinese di nascita ma con studi alla Scuola del Design del Politecnico di Milano, era abbinata al Lanificio dell’Olivo e ha avuto la meglio su altri nove finalisti di provenienza internazionale. «Mi ha colpito la sua passione per i filati e le lavorazioni virtuose in maglia - afferma Gigliola Maule, presidente di Csm e parte della giuria -. Le creazioni di Dejin Chen sono frutto di contaminazioni tra la cultura cinese e la nostra e di conoscenze tecniche che l’hanno portata a realizzare modelli unici». Nel 2022 si era imposta Marie Nardi, un’altra scoperta interessante: «Una giovane designer italiana di madre francese, con una grande attenzione ai dettagli e alla qualità dei materiali, valorizzati da linee eleganti e innovative». «Csm - chiarisce Maule - ha deciso di contribuire a Feel The Yarn perché connettere il nostro mondo con quello dei produttori di filati è importante. Possono sembrare due realtà distanti nella filiera, ma entrambe svolgono un ruolo chiave nella promozione e valorizzazione di prodotti in maglia». «Nonostante l’avanzata della tecnologia - conclude - le

materie prime continuano a essere rilevanti nella parte creativa e i consumatori lo sanno: ne valutano e apprezzano la provenienza e cercano la sostenibilità nei prodotti che acquistano. La moda è un settore in continua evoluzione e per i nuovi fashion designer conoscere approfonditamente tessuti e filati può essere ancora vantaggioso. La comprensione dei processi produttivi, anche e soprattutto sostenibili, non è un fattore secondario e non si improvvisa: solo così gli stilisti possono contribuire a promuovere l’innovazione e l’etica, in un settore che ne sente sempre più la necessità». 

PROGETTO DI RIGENERAZIONE TESSILE PRATESE

Rifò: arriva il primo pop-up a Milano e cresce il servizio di raccolta abiti usati

Niccolò Cipriani aveva 30 anni nel 2017, quando ha co-fondato a Prato il brand sostenibile Rifò, dal termine toscano per dire “rifaccio”. I capi sono realizzati con fibre tessili rigenerate, partendo da indumenti usati in grado di rispettare determinati requisiti (a partire dal tessuto, per il 95% o 100% nello stesso materiale naturale, in particolare cashmere, seta e lana), che vengono sfilacciate tramite macchinari, in modo da ottenere un nuovo filato sostenibile. «Valorizzando in chiave contemporanea e sostenibile l’antica tradizione della rigenerazione tessile pratese - spiega Ciprianipuntiamo a rappresentare un’alternativa al fast fashion, sensibilizzando le persone sui danni dell’industria dell’abbigliamento come la conosciamo ora. Devono capire che è meglio comprare un vestito che duri, fatto con fibre naturali riciclabili, piuttosto che dieci di cattiva qualità. E non dimentichiamo che i nostri prodotti sono realizzati nel raggio di 30 chilometri dal nostro ufficio». «Siamo convinti - aggiunge - che ci sarà sempre più attenzione verso lo storytelling e l’emozione che un indumento riesce a dare. Molti brand continueranno con il greenwashing, ma la speranza è che le persone riescano a fare le dovute distinzioni». Il futuro per Rifò è un ampliamento del servizio di raccolta di indumenti usati, la continuazione del progetto Nei Nostri Panni (basato sull’integrazione sociale degli immigrati, insegnando loro il mestiere di cenciaiolo o filatore) e il primo negozio fisico, per un marchio distribuito finora nell’ecommerce e tramite la showroom di Prato: «Sarà un pop up - anticipa l’imprenditore - che aprirà a dicembre in corso Garibaldi a Milano. Un esperimento che siamo curiosi di vedere come sarà accolto».

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2 1 INNOVAZIONE TALENT SCOUTING

FORMAZIONE E MATERIA PRIMA

Focus sull’eco-sostenibilità

Nuovi orientamenti didattici

La scommessa delle scuole: formare i designer green del futuro

Nel mondo digitalmente evoluto di oggi lo studio delle materie prime non ha perso centralità e anzi rivendica nuovi spazi di approfondimento, con l’obiettivo di rispondere alle nuove istanze eco-sostenibili. Le accademie di moda stanno aggiornando i loro palinsesti e sono pronte a contribuire alla rivoluzione verde

Le radici della creatività partono dalla materia, dall’esperienza tattile e dalle emozioni generate dai tessuti. I giovani designer lo sanno: conoscere tutte le potenzialità dei materiali rappresenta l’abc per poter costruire in futuro il proprio racconto. Una sorta di grammatica di base che oggi però sta diventando più complessa e articolata, alla luce dei nuovi mantra del fashion system, finalmente attento a circolarità, sostenibilità, inclusività. Concetti che stanno rivoluzionando il mondo della produzione, della distribuzione, della comunicazione e giocoforza della formazione, che ha l’importante compito di fornire i prerequisiti per entrare nell’agorà del settore. «Fare moda non significa unicamente esprimere un pensiero creativo con una forte propensione estetica – dice Massimiliano Giornetti, direttore del Polimoda - ma piuttosto sviluppare un approccio culturale incentrato sull’antropologia, la sociologia, che affondi le sue radici nel passato e si

innesti inevitabilmente nel futuro». E il futuro impone di partecipare alla lotta alle emissioni, abbracciare una cultura anti-spreco, limitare gli scarti: un impegno doveroso per la moda, seconda industria più inquinante al mondo. «Per Polimoda - sottolinea Giornetti - è stato prioritario strutturare, all’interno di tutti i corsi, un’educazione trasversale che parta proprio dallo studio della materie prime, animali, vegetali e artificiali, nel rispetto di una attuazione ecosostenibile». Recentemente è stato però introdotto il Master in Textiles From Farm to Fabric to Fashion, realizzato in collaborazione con la guru del trend

forecast Li Edelkoort: «Un osservatorio di ricerca e innovazione rilevante nel panorama internazionale», come tiene a precisare Giornetti. Qui gli allievi partono dall’analisi delle varie fibre, passando per la ricerca di una possibile applicazione a impatto zero, prima di approcciare la filatura, il processo di tintura vegetale, la creazione di nuove superfici tessili, pensate per l’industria di domani. Gli studenti di oggi, nativi-sostenibili, sono i primi a chiedere agli organi di formazione di poter sviluppare competenze specifiche su fibre e stoffe di nuova generazione, al fine di poter avviare progetti responsabili, rispettosi dell’ambiente e delle persone. «Nei nostri percorsi triennali - interviene Matteo Secoli, presidente dell’omonimo istituto con headquarters a Milano e una sede a Novara – non solo abbiamo aumentato le ore dedicate alle tecnologie tessili, ma inserito anche nuovi docenti con specifiche competenze in merito, soprattutto relativamente ai finis-

50 INNOVAZIONE IL RUOLO DELLA FORMAZIONE 1
Un’adeguata cultura tessile apre nuovi orizzonti creativi, soprattutto in chiave eco-friendly

saggi più innovativi che vengono non dalla chimica ma dalla natura». Un intervento che ha avuto «effetti positivi su tutta la didattica» e agli studenti ha aperto orizzonti creativi inediti. Tutte le scuole si stanno attrezzando, implementando programmi già esistenti o introducendo nuove discipline, al fine di garantire un’offerta formativa all’altezza delle istanze green del settore. Come raccontano Olivia Spinelli, coordinatrice e direttrice creativa di Ied Moda Milano, e Andrea Nardi, coordinatore Ied Moda Firenze, anche l’istituto attivo con 11 sedi in tre Paesi (Italia, Spagna, Brasile) sta facendo leva su nuovi corsi per ri-orientare in chiave sostenibile la formazione sulle materie prime. A ottobre partirà il biennio specialistico in Fashion System/Heritage for Future Fashion presso l’Accademia Aldo Galli di Como e a gennaio 2024 lo Ied Roma ospiterà il master in Fashion Design/Learning from nature for a sustainable fashion system. Non solo. Per il livello Postgraduate, sono in cantiere diversi corsi biennali in Sustainable Design ed Ecodesign. Perché, se si vuole davvero sposare la causa dell’eco-sostenibilità e non cadere nella trappola del green washing, è proprio da una approfondita cultura tessile e dalla conoscenza delle soluzioni più innovative al via sul mercato che bisogna partire. In questo le aziende possono dare una mano. Da tempo è stato costruito un ponte tra le scuole di moda e le imprese presenti sul loro territorio di riferimento, anche per favorire un più naturale collocamento professionale delle nuove leve. «L’humus culturale e industriale in cui la scuola è radicata rappresenta

il plus da cui muoversi – sottolinea Massimiliano Giornetti -. Firenze, Prato, Scandicci, Empoli, Santa Croce costituiscono alcuni dei più importanti distretti produttivi del settore al mondo. Per questo collaboriamo attivamente con Filpucci, Lineapiù, Pinori Filati, Beste, Mr Joe, Lanificio dell’Olivo, sia per i percorsi post diploma che per progetti speciali». Tra le novità, una partnership con l’associazione Mohair South Africa, per «accelerare un’applicazione innovativa di questa

SCUOLA E IMPRESE A Carpi si studia maglieria

A Carpi si fa sempre più strutturata l’offerta formativa legata alla maglieria, che ha contribuito all’affermazione di questo distretto nel mondo. Dopo l’edizione pilota del corso di knitwear realizzato insieme a Carpi Fashion System e ForModena per le classi quinte, l’Istituto Vallauri amplia l’iniziativa, coinvolgendo anche le classi terze e quarte, per un totale di 150 studenti. Proprio nell’ottica dell’ampliamento del palinsesto scolastico e del rafforzamento del profilo in uscita dei propri allievi, l’istituto ha deciso di realizzare ex novo un laboratorio dedicato alla didattica della maglieria, con un ricco parco macchine, tra rettilinee e rimagliatrici (nella foto), che verrà inaugurato all’inizio di questo anno accademico.

preziosa fibra». Spesso le realtà produttive diventano partner di percorsi formativi che culminano in capsule collection, presentate a fine anno dagli studenti. È il caso del Secoli fashion show, che ha coinvolto eccellenze come Albini Group, Asai Kasey, Tessitura Grotto, Candiani, Eurojersey, Lectra e Lisa «La relazione e lo scambio con le aziende tessili sono continuativi - conferma Olivia Spinelli di Ied Milano – seppur con gradi di complessità diversa, dalla semplice fornitura di tessuti, spesso rimanenze di magazzino per favorire l’upcycling, al supporto vero e proprio di progetti, svelati negli eventi di presentazione delle tesi finali». In alcuni casi la cultura green maturata nelle aule e a stretto contatto con i produttori si trasforma nella cifra stilistica dei futuri designer. Per fare qualche esempio, nel 2021 Francesco Matera, ex alumno Ied è arrivato primo su 12 finalisti alla Woolmark Performance Challenge e Ilaria Bellomo, diplomata al Polimoda, è stata selezionata da Camera Moda all’interno del Fashion Hub per il progetto Designer for the Planet. I risultati non si misurano però solo dai palmarès. Andrea Nardi di Ied Moda Firenze racconta che sono le stesse aziende del territorio che, dopo aver mandato i propri figli ed eredi a studiare le nuove tendenze tessili, spesso chiedono di avviare sinergie per sviluppare insieme progetti innovativi, proiettati nel futuro. E la parola d’ordine è sempre quella: sostenibilità. 

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1. Uno studente del Polimoda 2. Uno scatto dal Graduate Fashion show di Ied Roma 3. Un outfit presentato alla sfilata-evento “Lo sguardo oltre” dell’Istituto Secoli 4. La campagna lanciata da Cuoio di Toscana per reclutare nuove leve e salvaguardare la manifattura italiana
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DESIGNER E MATERIA PRIMA

Dai nuovi filati alle ultime sperimentazioni La ricerca è un must

Maglieria: fra tecnologia e tradizione l’imperativo è

superare i confini

Il knitwear si reinventa continuamente, grazie ai filati innovativi proposti dalle aziende e alle lavorazioni avveniristiche consentite dalle moderne soluzioni. C’è sempre voglia di sperimentare, raccontano Andrea Adamo, Luca Larenza e Vittorio Branchizio, fautori di costante ricerca

Un lavoro di ricerca che si spinge sempre più avanti, andando a superare confini un tempo ritenuti invalicabili, complici le soluzioni avveniristiche offerte dai moderni macchinari. Ma anche un’attenzione spasmodica alla tradizione, agli interventi manuali effettuati da piccoli laboratori che ancora lavorano come un tempo. Per l’universo della maglieria non ci sono limiti alla creatività e ben lo sanno gli stilisti, che a questo settore hanno rivolto fin dagli inizi la loro attenzione, affascinati dalle potenzialità del filato, un foglio bianco su cui è possibile esprimere la propria creatività. Tra questi c’è Andrea Adamo, che con il suo marchio Andreadamo è approdato alla finale dell’ultimo Andam Prize, «a testimonianza del fatto che anche l’Italia ha una sua new wave di designer con storie rilevanti da raccontare», tiene a sottolineare. «Grazie alla maglieria - spiega - sono riuscito a definire ed esprimere appieno il mio posizionamento nella fashion industry». «Non mi sono limitato alle versioni calate – precisa - ma ho declinato questa tecnica per arrivare a un total look focalizzato sul corpo e le sue forme, approcciandola come fosse un tessuto, da cui riesco a dare vita a numerose categorie di prodotto per svariate occasioni d’uso, non fermandomi al classico day time». Un lavoro che evolve di stagione in stagione, grazie all’utilizzo di nuove shape e tecniche, e che ha proiettato il brand sul palcoscenico

internazionale, dove è presente in 70 negozi con un focus sull’Europa. «Per la SpringSummer 24 - prosegue Adamo - ho voluto dare tridimensionalità alla mia proposta, pur rimanendo body-con. Inoltre ho voluto evolvere il concept insieme sexy e minimal dei miei capi, attraverso l’utilizzo di punti traforati che reinterpretano il pizzo nella maglieria». Alla base di tutto, come si diceva, c’è il filo, esclusivamente made in Italy, che in alcuni casi è il risultato di uno studio effettuato insieme ai fornitori di fiducia per

ottenere il risultato desiderato, conclude il designer. Maglieria come vocazione anche per Luca Larenza, originario di Caserta e oggi di base a Milano. Per lui maglieria vuol dire esprimersi con le finezze, i punti, le lavorazioni e soprattutto il colore, prediligendo tecniche come l’intarsio, lo jacquard o i punti tridimensionali. «Sono stato street

artist per 13 anni e ho maturato una sensibilità particolare per il mondo del colore, unita a un forte amore per l’abbigliamento maschile», sottolinea. Passioni riversate nella collezione eponima, che ha debuttato nel 2011 al Who’s on Next? a Pitti Uomo, dove è rientrato tra i finalisti, guadagnando l’attenzione degli addetti ai lavori. «Nel 2015 - racconta - ho fatto il mio ingresso alla fashion week con il supporto della Camera della Moda, sono arrivate le prime consulenze e poi l’approdo alla finale del Woolmark Prize nel 2016». Nell’arena di Pitti Larenza è tornato di recente, coinvolto dall’azienda cinese Consinee, tra i maggiori produttori di cashmere al mondo, per realizzare una capsule collection esposta nell’ambito di un’installazione, in occasione delle rassegne maschile e dei filati. «Dal momento che mi autoproduco - aggiunge - la mia attività principale è mirata alla ricerca di filati innovativi e laboratori in grado di realizzare le mie creazioni con minimi abbordabili. Mi confronto con piccole realtà che ancora realizzano tutto manualmente, dai ricami all’uncinetto e al tombolo. Ma per il futuro mi piacerebbe trovare un partner che mi possa affiancare». Alla base

53 INNOVAZIONE KNITWEAR EVOLUTION
DI CARLA MERCURIO
Il knitwear evolve anche grazie alle avveniristiche innovazioni nel campo dei macchinari per maglieria
ANDREA ADAMO

FORMARE LA NUOVA GENERAZIONE DI CHANGE MAKER

Una Scuola inclusiva transdisciplinare per raccontare il cambiamento, che punta all’estero. Dal 2022 è anche Società Benefit, per impattare positivamente sulla comunità e sul pianeta.

Dal 1966 IED-Istituto Europeo di Design vanta un modello formativo semplice ma efficace, che coniuga la teoria alla pratica e al know how, portato in aula dai professionisti del mondo del lavoro. Oggi è un Gruppo internazionale che opera in Italia come Società Benefit con un impatto positivo sulla comunità e sul Pianeta, che conta 11 sedi in tre Paesi (Italia, Spagna e Brasile), più di 10mila studenti, oltre 4mila docenti e una rete che sfiora le 500 aziende, con le quali collabora attraverso progetti didattici, di tesi e speciali. Numeri destinati a crescere ulteriormente, grazie a un piano di espansione che in cima alla lista delle priorità ha il Portogallo, dove IED ha partecipato lo scorso marzo a ModaLisboa, unica scuola italiana in passerella e sostenitrice di una borsa di studio, per valorizzare i talenti locali. Ma anche Mumbai e Dubai, dove l’Istituto ha confermato la presenza alla fashion week del prossimo ottobre. Allo stesso tempo continua a candidare ogni anno i suoi migliori talenti della Scuola di Moda, per concorrere ai contest di riferimento su scala internazionale come Mittelmoda International e Woolmark Performance Challenge. Un impegno che non tralascia i principali appuntamenti fashion del calendario italiano, a partire dalla partecipazione a Milano Moda Graduate di Camera Nazionale della Moda Italiana degli studenti Matteo Tomaino, per la categoria Fashion Designer, oltre a Francesco Saverio Matera e Alessio Baldasseroni per la categoria YKK. Al Fashion Graduate Italia di Piattaforma Sistema Formativo Moda, IED partecipa con il fashion show del 26 ottobre - che porta in passerella le capsule collection uomo, donna e genderless dei diplomati in Fashion Design provenienti da tutte le sue sedi italiane - due lecture, in agenda il 17 e il 20 ottobre, e un workshop: Fashion sketch il 19. Fino al 20 settembre inoltre è attivo il bando DESIGNERS IN ACTION! Sustainability Scholarship Program, per concorrere a

una delle 40 borse di studio - ciascuna del valore di € 4.000 - messe in palio da IED e Accademia di Belle Arti Aldo Galli, insieme a Fondazione Francesco Morelli. Il bando è rivolto a giovani sensibili alle questioni ambientali e sociali che, nell’anno accademico 2023/24, desiderano dare il proprio contributo civico su questi temi attraverso la partecipazione o il volontariato, la sensibilizzazione della comunità e la progettazione. Per partecipare a DESIGNERS IN ACTION! Sustainability Scholarship Program, occorre presentare un elaborato a partire dai 17 Goals dell’Agenda 2030 ONU. L’elaborato dovrà spiegare le ragioni per cui il candidato ha scelto uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile e potrà essere realizzato mediante l’utilizzo di testi, disegni, collage, moodboard, illustrazioni, fumetti, fotografie, suoni o brevi video della durata massima di un minuto. Maggiori informazioni su come concorrere al bando o utili per scoprire i nuovi progetti IED su ied.it

IED for
IED@Pitti Uomo 104 IED@Fashion Graduate Italia
IED@ModaLisboa

del lavoro di Luca Larenza c’è la materia prima: «Adoro i filati puri, quindi per l’estivo lino, canapa e cotone e, per l’inverno, cashmere, lana e misti di alpaca/lana che, grazie al pelo lungo, garantiscono un bel risultato negli intarsi e nello jacquard». «Mi piace - conclude - spaziare tra pesi leggeri con finezze 18 o 12, ma anche puntare sulla maglieria più grossa, che faccio realizzare ai ferri in finezza 3 o 5». Non solo lavorazioni manuali, ma anche tanta tecnologia. La maglieria evolve grazie alla ricerca di aziende che dei macchinari ultramoderni hanno fatto il veicolo per spingere sempre più oltre l’innovazione. Un percorso in cui il lavoro dello stilista è imprescindibile per trasformare le potenzialità della macchina in prodotti creativi. Emblematica l’esperienza di Vittorio Branchizio, che racconta: «Dopo essermi imposto nel 2015 al concorso Who is On Next? a Pitti Uomo ho intrapreso la carriera di freelance e, a distanza di pochi anni, sono divenuto direttore creativo della filiale italiana dall’azienda giapponese Shima Seiki. Qui il mio compito è spingere le macchine oltre, farne vedere al mercato le infinite potenzialità, grazie all’abbinamento con le materie prime e attraverso il punto di vista del designer». «Oggi - sottolinea - la tecnologia ha aperto un mondo. Basti pensare che per realizzare un capo è possibile partire da un cartamodello digitale, che permette di avere già la sagoma, consentendo di costruire non solo maglioni ma anche capispalla, borse, pantaloni. Gra-

zie all’abbinamento con la grafica, inoltre, è possibile vedere tutti i piazzamenti in digitale e quindi oggi con sole due o tre prove si può ottenere il capo definitivo, rispetto alle quattro o cinque di una volta. Emblematica è anche la nostra tecnica WholeGarment, che permette di avere un capo completo in 3D senza cuciture, quindi senza alcuno spreco di filato». Tra i tanti esempi concreti di que-

Non solo moderne tecnologie: a vincere sono anche le lavorazioni manuali, emblema del savoir faire italiano

sto lavoro di partnership c’è la capsule The Orbit, presentata allo scorso Pitti Filati, che ha coinvolto oltre a Shima Seiki anche Mic (Manifattura Italiana Cucirini): dieci capi all’insegna della ricerca e dell’innovazione. «Mi piacciono gli effetti tridimensionali», spiega Branchizio, che svolge attività di consulenza per diverse realtà di spicco. «Per

VITTORIO BRANCHIZIO

Un capo disegnato da Vittorio Branchizio nell’ambito della recente partnership con i macchinari di Shima Seiki e i filati di Mic (Manifattura Italiana Cucirini)

questo - prosegue - preferisco usare bouclé, filati garzati, soffiati molto grossi ma leggeri. La maglieria si presta anche a realizzare accessori come borse e zaini, e in prospettiva vedo chance interessanti nell’arredamento e sul fronte degli interni per auto, yacht e aerei». Per tutti il tema della sostenibilità e dall’attenzione agli sprechi è centrale, come già sottolineato da Vittorio Branchizio. «Dalla collezione FW23 - conferma Andrea Adamo - ho introdotto modelli che utilizzano filati prodotti a partire da fibre certificate Ecolabel, derivate da legname proveniente da foreste gestite in modo responsabile. Inoltre per le prossime stagioni è mia intenzione allargare gradualmente il numero di modelli realizzati con filati ecocompatibili Tencel o Ecovero». Dal canto suo Luca Larenza è attento a questo tema da anni: «Già nel 2011 usavo il filato in denim della Pinori estratto da balle di jeans rigenerate - sottolinea - E oggi per molte delle mie creazioni uso filati che contengono fibre riciclate o certificate Goats, cotoni cresciuti senza uso di pesticidi o seta cruelty free».

55 INNOVAZIONE KNITWEAR EVOLUTION
LARENZA
LUCA

Arriva la post-sportswear generation

MORDECAI

Per far braccia sul mercato ha scelto uno stile a metà strada tra silent luxury e urban utility. Mordecai è il nuovo brand italiano di abbigliamento maschile che vede impegnati come soci tre professionisti molto conosciuti nel settore. Il progetto è nato, infatti, da un’intuizione del fashion designer Ludovico Bruno (per dieci anni head of design di Moncler e attuale consulente creativo di Ambush), che in questa startup si è garantito il coinvolgimento di un socio finanziatore, che è anche il produttore della linea, ovvero la Hostage di Vinci, che fa capo alla famiglia Morelli. Anche Riccardo Grassi, che cura la distribuzione internazionale, ha investito direttamente nell'iniziativa. Posizionato nel segmento del lusso entry-level – con piumini, ad esempio, venduti sotto i 1.000 euro, pantaloni tra 270 e 700 euro e capispalla tra 500 e 2.500 euro -, Mordecai ha debuttato con la collezione primavera 2024, con consegna anticipata a ottobre. Investimento iniziale per far decollare la startup: 3 milioni di euro.

DO™

Su di lui hanno già scommesso Massimiliano Giornetti direttore del Polimoda di Firenze, ma anche Attila Kiss, amministratore delegato del Gruppo Florence, che lo hanno supportato nella produzione e nella partecipazione all'ultima edizione di Pitti Uomo, dove Domenico Orefice, ha presentato la collezione A0 24 Moderate, che rappresenta la prima fase di lancio del suo brand DO™. In attesa che la community di supporter si completi con l’ingresso di una showroom multimarca, il marchio DO™ adotterà un modello di vendita direct to consumer attraverso un sito e-commerce incentrato su metaverso e 3D, realizzato da Backdoor Studio. Ma la volontà di attivare una distribuzione wholesale tradizionale è forte, visto il posizionamento prezzo vantaggioso di Do: entry price 90 euro (T-shirt), per arrivare a punti di 1.800 euro per un trench.

Designer Domenico Orefice

Distribuzione

Direct-to-consumer domenicoorefice.com

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@mordecai_studio INNOVAZIONE DESIGNER TO WATCH
Designer Ludovico Bruno
Distribuzione Riccardo Grassi Showroom

MAISON LA PONTE

Dietro al marchio Maison La Ponte ci sono Benedetta Bertolini e Gianandrea Sergi, che hanno deciso di unire business e affetti. Lei è l’anima teorica della coppia, lui la mente pratica. Lei copre, lui scopre. Lei cela, lui svela, lei costruisce e lui distrugge. In un tutt’uno, dove irregolarità si mescola con la simmetria e la geometria con il floreale. Bertolini e Sergi sono complementari per il successo del marchio, che ha già una distribuzione internazionale (curata da Tora Tora), con una stocklist che include Dantone (Milano), Boaz (Seoul), Brand Bazar (Parigi), Different Fashion ( Amburgo) e Blu Boutique (Capri). Massima attenzione ai prezzi retail, assolutamente “etici”, con abiti dai 500 a 1.200 euro e la camiceria compresa tra i 300 e i 600. Tra i best seller anche giacche, (dai 500 ai 800 euro) e pantaloni (250-500 euro).

VIRCILLO

Lorenzo Maria Vircillo, fondatore di Vircillo, dopo essersi occupato di collezioni sia uomo che donna per conto di importanti marchi come Ports1961, Versace Jeans Couture, Just Cavalli, Alcantara, Aigner e Miroglio Group, nel 2023 decide di dare vita a un proprio brand, basato a Milano. Forme e volumi innovativi, ma anche materie prime trattate in maniera non convenzionale sono alla base della linea, che debutta con la FW23. La produzione, 100% made in Italy, è uno dei punti di forza, insieme al pricing: directional blazer intorno ai 2.500 euro, pant 900 euro, top 650 euro, abito circa 3mila euro.

Distribuzione

Distribuzione

Direct-to-consumer

lorenzomariavircillo.com

BE NINA

Un brand di moda sostenibile e artigianale basato in Puglia, ma con una fanbase globale che va da Tokyo a Los Angeles, passando per Londra. Tutto è partito da una collezione upcycled, caratterizzata dal recupero di vecchi uncinetti italianii fatti a mano per tovaglie, centrini e coperte, a cui la fondatrice Sabrina Bonatesta ha aggiunto stampe e finiture costruendo un’estetica surreale e ironica. Sull'eshop diretto si acquistano minidress a 320 euro, T-shirt a 90 euro e bag a 120 euro. On sale anche su una serie di re-seller indie come Waste store (Londra), Sheep Harajuku (Tokyo) e Kathleen Shop (Los Angeles).

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Designer Lorenzo Maria Vircillo Designer Benedetta Bertolini e Gianandrea Sergi Tora Tora Showroom maisonlaponte.com Designer Sabrina Bonatesta Distribuzione Direct-to-consumer howtobenina.it

DA UNA RICERCA DI CONFINDUSTRIA

Una bussola per navigare dove c’è una domanda inespressa

La parola a economisti e brand dinamici

Moda “bella e ben fatta”: nel mondo oltre 30 miliardi di export potenziale

Il fashion allargato realizza all’estero circa l’87% dei suoi ricavi annuali ma può fare di più, come emerge da un report di orientamento per il “bello e ben fatto” italiano. Intanto alcuni brand - più o meno casualmentesembrano già essere nel posto giusto al momento giusto. Perché lasciare un’opportunità alla concorrenza?

DI ELISABETTA FABBRI

Nel 2022 la moda e i settori collegati (tessile, pelle, pelletteria, abbigliamento, calzature, gioielli, bigiotteria, cosmesi e occhiali) hanno totalizzato circa 86 miliardi di euro di vendite all’estero (su ricavi totali che sfiorano i 99 miliardi), in aumento del 20% rispetto al 2021 e del 20,6% rispetto al pre-pandemia, nelle stime di Camera Nazionale della Moda Italiana, che prevede 91,5 miliardi di export per il 2023. Ma il settore può fare di più secondo il Centro Studi Confindustria, che nell’estate ha pubblicato il 12esimo rapporto Esportare la dolce vita - Bello e ben fatto: il potenziale del made in Italy nel panorama internazionale. Il “bello e ben fatto” italiano identifica, nella ricerca, quei prodotti di elevata qualità e distribuiti in tutti i comparti produttivi, rappresentativi dell’eccellenza italiana in termini di design, cura nei detta-

Nel 2022 moda e settori collegati hanno esportato 86 miliardi di euro di prodotti, il 20% in più del 2021

gli, qualità dei materiali e delle lavorazioni. I pilastri portanti sono le 3F di Fashion, Food e Furniture. Per individuare dove esiste una domanda che teoricamente potrebbe essere soddisfatta dalle imprese made in Italy, nel medio periodo, gli economisti hanno considerato gli esportatori esteri con caratteristiche simili a quelli italiani ma che in un dato territorio stanno performando meglio, a parità di condizioni (come il livello di prezzo, la qualità e la distanza geografica). Per quanto riguarda il segmento abbigliamento e tessile casa, nello specifico, è emerso un potenziale di export sfruttabile nel mondo di 18,7 miliardi di euro. Per le calzature sono stati stimati 5,9 miliardi, a cui si aggiungono 3,1 miliardi per i gioielli. Seguono la pelletteria, con 2,2 miliardi e l’occhialeria con 1,1 miliardi (vedi infografica in questa pagina). Alla F di Fashion mancherebbero dunque all’appello oltre 30 miliardi di export e la ricerca di Confindustria entra nel dettaglio, indicando dove sarebbe opportuno muoversi a seconda

Il potenziale di export della moda in sintesi

e tessile casa

Fonte: Centro Studi Confindustria e Fondazione Manlio Masi su dati Un-Comtrade, Banca Mondiale, Cepii e Istat

delle singole merceologie. Nell’ambito dei mercati avanzati, vestiti e homewear dovrebbero puntare in primis agli Stati Uniti (5,1 miliardi di euro il potenziale sfruttabile), alla Corea del Sud (1,83 miliardi) e al Giappone (1,83 miliardi). Considerati tutti i settori presi in esame dallo studio (711 categorie di prodotto) abbigliamento e tessile casa rappresentano il principale settore, per poten-

ziale in valore. I principali competitor dell’Italia in questo ambito sono Cina e India, che giocano un ruolo predominante nell’export in tutti e tre i Paesi citati. Anche le calzature dovrebbero investire negli Usa (2,26 miliardi di potenziale) oppure in Corea del Sud (285 milioni) e in Germania (280 milioni). I tre focus della pelletteria, se parliamo di possibile domanda aggiuntiva, dovrebbero

61 MERCATI EMERGENTI E CONSOLIDATI
Pelletteria
Calzature Occhialeria Gioielleria-oreficeria Totale Potenziale sfruttabile (mln euro) Mercati avanzati 1.538 15.674 4.474 880 2.038 73.846 Potenziale sfruttabile (mln euro) Mercati emergenti 664 2.977 1.431 210 1.015 21.788 Potenziale sfruttabile (mln euro) Mondo 2.202 18.651 5.905 1.090 3.053 95.634
Abbigliamento

essere gli States (257 milioni), il Sud Corea (213 milioni) e il Giappone (208 milioni). Per l’occhialeria dopo gli Usa (520 milioni) vengono il Paese del Sol Levante (90 milioni di euro) e l’Australia (43 milioni). I gioielli dovrebbero invece darsi più da fare in Regno Unito (496 milioni di euro), Svizzera (454 milioni) e Stati Uniti (391 milioni). Come osservano i ricercatori, «nei mercati avanzati la posizione dell’Italia è più consolidata, i consumatori presentano un’elevata compatibilità con la struttura dell’export italiano

I Paesi emergenti hanno una minore compatibilità con l’export italiano ma un alto potenziale di crescita

(domandano in larga parte beni che l’Italia è in grado di offrire) ma, allo stesso tempo, hanno un potenziale sfruttabile leggermente più basso rispetto ai mercati emergenti, visto che si tratta di mercati maturi». Negli emerging si osserva invece che la maggior parte ha dimensioni economiche ridotte e una minore compatibilità con l’offerta italiana, «ma il nostro Paese - si legge nel report - presenta un ampio potenziale ancora non sfruttato, che potrebbe far registrare tassi di crescita dell’export molto significativi». Nel caso di abiti e tessile casa e delle calzature la Federa-

Il margine sfruttabile nei Paesi avanzati...

Mercato principalePotenziale sfruttabile

zione Russa è al primo posto per potenziale sfruttabile tra i mercati emergenti (603 e 231 milioni di euro rispettivamente). Va ricordato però che l’invasione russa dell’Ucraina ha costretto i Paesi Ue ad adottare misure straordinarie di embargo commerciale nei confronti della Russia. Al secondo posto, per entrambi i settori, vengono gli Emirati Arabi (223 e 121 milioni rispettivamente) e al terzo il Kazakistan (190 e 106 milioni). Nel segmento della pelletteria invece il primo Paese emergente per potenziale sfruttabile è la Cina (104 milioni), seguita dall’Arabia Saudita (93 milioni) e dagli Emirati Arabi Uniti (58 milioni). Nel caso dell’occhialeria, ci sono margini di espansione soprattutto in India (18 milioni), Brasile (10 milioni) e Vietnam (8 milioni). Per quanto riguarda i gioielli al primo posto c’è la Cina (288 milioni), seguita da Qatar (81 milioni) e Repubblica Dominicana (54 milioni). Caso per

caso, come allertano gli economisti dell’Ufficio Studi, vanno verificate le opportunità ma anche i rischi a seconda dei singoli mercati e settori. «L’effettivo avvicinamento al potenziale dipende dalla competitività del Paese esportatore nel suo insieme e dalla capacità delle imprese di saper cogliere le opportunità che si presenteranno» Intanto le nostre vendite all’estero hanno dimostrato di reggere a eventi come la pandemia, la crisi energetica, l’inflazione e gli squilibri geoeconomici. «Il nostro export resiste perché abbiamo un marchio Made in Italy riconosciuto in tutto il mondo, come dimostra la ripresa post-Covid», dichiara Ercole Botto Poala, presidente di Confindustria Moda e ceo dell’azienda tessile Successori Reda, a commento dell’analisi di Confindustria. «Gli Stati Uniti - aggiunge - rimangono il primo mercato e benché sia considerato maturo, credo sia stato “scalfito” solo in superficie: ci sono ancora molti consumatori locali che devono essere “educati” sul vero made in Italy e non solo nel caso della moda». Della Cina dice: «Prima

62 MERCATI EMERGENTI E CONSOLIDATI
1. Una proposta della limited edition Agl x Kristen McMenamy 2. Un negozio Damiani aperto di recente nel Cdf Haikou International Duty Free Shopping Complex, ad Haikou, sull’isola di Hainan 3. Saks Fifth Avenue a New York
2 3
(mln euro) Stati Uniti 257 Corea del Sud 213 Giappone 208 Stati Uniti 5.096 Corea del Sud 1.833 Giappone 1.826 Stati Uniti 2.264 Corea del Sud 285 Germania 280 Stati Uniti 520 Giappone 90 Australia 43 Regno Unito 496 Svizzera 454 Stati Uniti 391
Fonte: Centro Studi Confindustria e Fondazione Manlio Masi su dati Un-Comtrade, Banca Mondiale, Cepii e Istat
Pelletteria Abbigliamento e tessile casa Calzature Occhialeria Gioielleria-oreficeria

...e nei mercati emergenti

Pelletteria

Abbigliamento e tessile casa

Calzature

Occhialeria

Gioielleria-oreficeria

1. Un cappello Superduper, marchio che sta investendo su Usa e Giappone 2. Le borse Il Bisonte realizzano già oltre l’80% dei ricavi fra Giappone e Corea

patto che l’industria della moda ha in ambito ambientale. «Sul tema dell’innovazione - aggiunge - ritengo che la questione sia più complessa. Siamo tutti consapevoli che stiamo vivendo una nuova rivoluzione industriale, quella digitale, che è molto complessa per una filiera di piccole-medie imprese come la nostra. Trovare una chiave di lettura affinché questa rivoluzione non sia subita passivamente dalla nostra industria è fondamentale per la nostra sopravvivenza»

Di certo le iniziative di singoli marchi della moda sulle rotte individuate da Confindustria non mancano. Nella prima metà del 2023 Etro ha aperto una nuova boutique al Wushang Mall di Nanchang, in Cina e

o poi diventerà il primo mercato mondiale, quindi non possiamo che continuare a investire, per cercare di spiegare il valore aggiunto dei nostri prodotti. Serve però una strategia comune, perché non possiamo pensare di vivere di rendita sul made in Italy: dobbiamo costantemente alimentarlo e divulgarlo, soprattutto alle nuove generazioni di consumatori». Servono inoltre investimenti strategici, per non perdere posizioni in fatto di competitività. «Sostenibilità e innovazione - spiega Botto Poala - sono le due aree dove abbiamo un gap rispetto ai Paesi concorrenti. Sulla sostenibilità dobbiamo lavorare tutti insieme per far sì che in Europa non prevalgano posizione ideologiche, che possano mettere in ginocchio la nostra filiera, ma posizioni pragmatiche che portino a risultati reali sull’im-

Negli Usa molti consumatori non sono ancora educati sul vero made in Italy non solo in ambito moda

presso il Kingdom Center di Riyadh, in Arabia Saudita. Nell’estate Valextra ha aperto a Kyoto, in Giappone, Casa Valextra: uno spazio esperienziale in una ex casa da tè che unisce pezzi iconici del design italiano ad altre proposte espressione dell’artigianato di Kyoto e che include la nuova offerta lifestyle del brand (svuota tasche, portapenne, copertine per agende, portagioie e astucci per matite). Fra Sol Levante e Corea il marchio di borse e accessori Il Bisonte realizza oltre l’80% delle sue vendite. «Il nostro target attuale in queste due aree - afferma il ceo

Luigi Ceccon - è mantenere le posizioni, mentre le priorità di crescita ora riguardano gli Usa e l’Europa». Il gruppo fiorentino prevede di chiudere il 2023 con ricavi pari a 75 milioni di euro, dai 71 milioni del 2022, derivanti per il 72% dal retail, per il 12% dal wholesale e per il resto dall’e-commerce. Il Bisonte che conta ormai 50 monomarca in Giappone, ha iniziato a sviluppare il mercato statunitense nel 2020 e nel 2022 è cresciuto del 206% rispetto all’esordio. La performance beneficia della presenza in department store come Saks Fifth Avenue, Bergdorf Goodman e Neiman Marcus, oltre a un network di 110 negozi multibrand. Nel West Village di New York, il brand conta anche con un negozio monomarca, che nel 2022 ha registrato un incremento di fatturato del 87% rispetto al 2021. Pure Agl, che nel 2023 compie 65 anni di attività, pensa a stelle e strisce. «Gli Usa oggi sono il primo mercato per fatturato e da settembre iniziamo a essere presente da Saks Fifth Avenue, a New York - raccontano dal marchio di calzature -. In agosto abbiamo inaugurato il nuovo showroom nella Grande Mela, ispirato a quello di Milano, ideato dallo studio Glen Sestig». A proposito di export potenziale

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2 1
e Istat (mln euro) 18 10 8 288 81 54 Mercato principalePotenziale sfruttabile
Fonte: Centro Studi Confindustria e Fondazione Manlio Masi su dati Un-Comtrade, Banca Mondiale, Cepii
Cina Arabia Saudita
Federazione
Emirati Arabi
Kazakistan Federazione Russa Emirati Arabi Uniti Kazakistan India Brasile Vietnam Cina Qatar Repubblica Dominicana 104 93 58 603 223 190 231 121 106
Emirati Arabi Uniti
Russa
Uniti

FOXTOWN FACTORY STORES: DOVE L’EXPERIENCE

È UN VALORE DI SEMPRE E IL PRESENTE È GIÀ GREEN

Dal 1995, anno della fondazione da parte di Silvio Tarchini, sono stati quasi 58 milioni i visitatori del centro di Mendrisio, dove si incontrano qualità, prezzi accessibili, servizio, ampia offerta di brand ed entertainment. Un polo commerciale di respiro internazionale, in crescita, in prima linea nelle sfide dell’omnichannel e dell’ambiente.

Essere pionieri, ieri come oggi: è questo il principio ispiratore di FoxTown Factory Stores, tempio del lusso a prezzi competitivi con sede a Mendrisio, a 7 chilometri dal confine italiano, che nel 2025 festeggerà i suoi primi 30 anni di attività. Pioniere è stato il fondatore, Silvio Tarchini, nato in Svizzera nel 1944 e fondatore del Tarchini Group, che dopo esperienze lavorative tra Europa e Argentina ha messo a frutto il suo approfondito know how nel settore immobiliare e real estate per lanciare, il 4 novembre 1995, quello che è diventato il primo outlet center del Sud Europa, con prezzi ridotti dal 30% al 70% tutto l’anno. E pionieristico è l’approccio che ha accompagnato FoxTown in tutti questi anni, con l’idea di offrire al pubblico non una semplice destinazione di shopping ma un’experience, un termine che qui è sempre stato un mantra, molto prima che diventasse di moda. Da 40 store nel 1995 FoxTown è arrivato ad oggi a oltre 160 su una superficie di vendita che sfiora i 40mila metri quadri, con una proposta merceologica differenziata tra i più prestigiosi brand dei settori lusso, fashion, home decor, sport e lifestyle, per un totale di più di 250 marchi. A FoxTown Factory Stores si va dunque alla ricerca dell’acquisto

perfetto e lo si trova, ma c’è molto di più per divertirsi, rilassarsi, coccolarsi e beneficiare di servizi di alto livello: nove punti di ristoro tra bar e ristoranti, la sartoria, l’agenzia viaggi, l’ufficio turistico, il guardaroba, l’ufficio cambi, il tax-free. Non sorprende che dal 1995 a oggi siano stati quasi 58 milioni i visitatori da 158 Paesi vicini e lontani, al ritmo di più di 3 milioni l’anno, attratti anche dal programma loyalty FoxPrivilege e dalla possibilità di avvalersi di consulenti di immagine e personal shopper. Sono arrivati non solo da Svizzera e Italia, ma anche dal resto d’Europa e, sempre più, da Medio Oriente, Stati Uniti, Asia e resto del globo. E per chi non può recarsi di persona a Mendrisio, c’è la possibilità di una shopping experience digitalizzata: basta contattare i brand aderenti alla formula Shopping da Casa via mail o Whatsapp, richiedere un appuntamento virtuale o ricevere cataloghi digitali ad hoc, finalizzando poi l’acquisto in pochi passaggi. Superato brillantemente il periodo del Covid, FoxTown Factory Stores ha chiuso il 2021 con un fatturato in crescita del 19,2% sul 2020 e, sempre in confronto con il 2020, lo scorso anno ha messo a segno un +29%, progredendo dell’8,5% sul 2021. Intanto il mall si è evoluto e continua a farlo. Nel giugno 2022, grazie a un investimento di

oltre 10 milioni di franchi, è stato inaugurato l’ampliamento del polo commerciale firmato dall’archistar ticinese Mario Botta, che ha riqualificato un immobile già esistente vicino alla stazione di Mendrisio San Martino, puntando sulla sostenibilità grazie a materiali di recupero come il legno proveniente dalla tempesta Vaia. A proposito di ecosostenibilità, FoxTown incentiva gli spostamenti green grazie a un collegamento diretto tra la stazione ferroviaria di Mendrisio San Martino e il mall, offrendo a chi arriva in treno un ulteriore sconto del 10% sul prezzo outlet nei negozi aderenti all’iniziativa Green Ticket. Ma l’intera struttura pensa all’ambiente: nel 2022 il Gruppo Tarchini ha varato il terzo impianto fotovoltaico ed entro la fine della stagione invernale 2023/2024 è prevista la messa in funzione di una centrale di teleriscaldamento con legna dei boschi del Canton Ticino. Non mancano impianti di raffreddamento con gas ecologici e di illuminazione a Led nelle aree comuni. Il prezioso contributo del Gruppo Tarchini, a livello ambientale, consente di produrre autonomamente e a impatto zero il 98,49% dell’energia necessaria all’intero centro, abbattendo drasticamente le emissioni di Co2, nell’ottica di uno sviluppo consapevole, dove non c’è business senza etica.

FOXTOWN for

1. Un department store della catena giapponese Isetan Mitsukoshi

2. Il monomarca

Etro aperto in maggio presso il Kingdom Center di Riyadh, in Arabia Saudita

3. Un look donna Berwich per la primavera-estate 2024

di calzature in Germania, per Agl si tratta di un mercato storico dove si sta riposizionando attraverso una distribuzione più selezionata. Per catturare l’attenzione del consumatore locale Agl sta per realizzare una limited edition in esclusiva per Lodenfrey, in concomitanza con l’Octoberfest (un mocassino/pantofola in tre colori). La capsule collection Agl x Kristen McMenamy che viene distribuita in esclusiva presso alcune insegne selezionate, arriverà anche da Unger ad Amburgo. Quanto alla Federazione Russa, «prima della Guerra era il terzo mercato di Agl e non l’abbiamo abbandonata, così come continuiamo a seguire l’Ucraina. Siamo da Tsum a Mosca e da The Icon e Sanahunt a Kiev per esempio. Inoltre abbiamo appena assunto una nuova figura dedicata all’Eastern Europe». La label è anche già presente in un altro dei mercati della ricerca di Confidnustria, il Kazakistan (da Saks Fith Avenue ad Almaty) e negli Emirati

Arabi Uniti (da Harvey Nichols a Doha). Dalle calzature ai cappelli, nei prossimi sei mesi Superduper ha in progetto di raddoppiare la presenza sia negli Stati Uniti che in Giappone. Il fondatore e direttore creativo del brand fiorentino, Matteo Gioli, spiega: «Crediamo fortemente che la penetrazione di mercato per il nostro marchio sia data dall’ampliamento del lavoro con i grandi partner del territorio, ma soprattutto da nuovi independent accounts, che credano nella filosofia del brand e crescano negli anni al nostro fianco». Il prodotto Superduper, come specifica il fondatore, ha molte “facce” e può essere letto in diversi modi a seconda dei mercati, centrando il gusto di categorie di consumatori anche molto di-

stanti fra loro. Le vendite si concentrano su 6/7 modelli, che poi vengono assortiti con referenze diverse. «Gli statunitensi - nota Gioli, cercano il cappello per la fuga dalla città mentre quello giapponese è un utente che vive la città pensando all’outdoor». A Martina Franca (Ta) Berwich sta facendo progetti per Stati Uniti, Far East e Medio Oriente. Massimo Gianfrate, direttore commerciale del marchio in capo alla I.Co. Man 2000 precisa: «Per quanto riguarda il mercato Usa, concretizzeremo a breve un servizio di quick service sul pronto moda, focalizzandoci sui prodotti ad alto potenziale per l’area. In Far East il brand sta mettendo a punto una strategia che punta anche sulla comunicazione per i mercati giapponese e coreano, cosi da consolidare la propria presenza localmente. Nel medio periodo auspichiamo di stringere un accordo con un partner locale per penetrare con un progetto retail il Middle East (Emirati Arabi Uniti), ragione principale dell’apertura del flagship di Milano». Da queste tre aree di sviluppo emerge l’interesse dei consumatori per la qualità «intesa come sintesi di eccellente manifattura, corretta vestibilità e tessuti di pregio». Per centrare la domanda si procede con il taylor made e capsule mirate, a seconda del mercato di riferimento. «Abbiamo fatto della customizzazione una leva strategica da diverso tempo - conclude Gianfrate

-. Questo è possibile perché siamo un brand che gestisce al suo interno tutte le fasi della produzione».

Dall’Ufficio Studi di Confindustria elencano una serie di altri strumenti che si potrebbero attivare, per far diventare effettivo l’export potenziale. La sostenibilità in primis, ma anche la distribuzione. Il bello e ben fatto andrebbe promosso sulle vetrine digitali esistenti e su altri canali sarebbe da incentivare la costituzione di reti di nicchia, per le eccellenze rare. Sono da auspicare nuovi marketplace italiani e lo sviluppo in Europa di competenze all’avanguardia in ambito digitale. Anche le relazioni internazionali contano: andrebbero rinsaldati i legami fra Ue e Usa; le imprese italiane dovrebbero poter beneficiare al meglio della Regional Comprehensive Economic Partnership (l’accordo di libero scambio tra una serie di Stati dell’Asia-Pacifico); bisognerebbe spronare l’Ue a predisporre nuovi trattati di libero scambio o a estendere il perimetro di quelli esistenti. Occorrerebbe anche far leva sulla riconoscibilità del made in Italy, incentivando le Pmi a presentare marchi propri, anziché operare su filiere di subfornitura. Va inoltre favorita la crescita di reti e consorzi per rafforzare la presenza delle Pmi sui mercati internazionali. In parallelo con queste mosse non bisognerebbe mai abbassare la guardia nella lotta alla contraffazione. 

65 MERCATI EMERGENTI E CONSOLIDATI
1 2 3
All’estero funzionano custiomizzazione e capsule mirate, a patto di controllare la produzione

NUOVE RETAIL DESTINATION

L'ex colonia britannica si rilancia

Parla Angelica Leung di Invest Hong Kong

Hong Kong pronta a riprendersi il titolo di città dello shopping

Nella metropoli cinese si stanno per ultimare nuovi complessi del lifestyle, intrattenimento, cultura e retail. Per i brand può essere attraente, viste le molteplici opzioni distributive e le infrastrutture. Oltre all'assenza di dazi e Iva e al fisco favorevole

Con la riapertura delle frontiere, dopo i prolungati lockdown, Hong Kong vede il ritorno dei visitatori internazionali e la ripresa dei consumi di alta gamma e lusso accessibile. Ora che nuove location duty-free cinesi come Hainan sembrano voler metterla in ombra, l'ex-colonia britannica punta a movimentare il traffico con nuove destinazioni dedicate allo sport, all'intrattenimento, a un'ampia offerta culturale, senza trascurare lo shopping di moda e le esperienze gourmet. Lo spiega a Fashion Angelica Leung, responsabile della divisione Consumer products di Invest Hong Kong, dipartimento governativo degli investimenti diretti esteri della Regione Amministrativa Speciale.

Come stanno andando i consumi di lusso e lusso accessibile a Hong Kong?

Con la riapertura completa delle frontiere, si registra un forte ritorno dei visitatori internazionali a Hong Kong. Solo nel mese di aprile 2023, il valore delle vendite al dettaglio totali ha superato i 30 miliardi di dollari di Hong Kong (circa 3,6 miliardi di euro). Il valore delle vendite di gioielli, orologi e regali di valore è aumentato del 75%, mentre l'abbigliamento ha registrato una crescita quasi del 40%, rispetto allo stesso periodo del 2022.

Può tracciare un profilo del consumatore tipo?

Hong Kong è una location eccellente, perché un marchio può raggiungere un'ampia gamma di potenziali consumatori, con po-

chi store in posizioni strategiche. I negozi di Hong Kong beneficiano del transito di una popolazione di residenti sofisticata, con una forte capacità di spesa e di un buon bacino di persone con un elevato patrimonio netto che risiedono in città o vi si recano di frequente.

Quali merceologie vanno per la maggiore, considerando la moda in senso ampio?

Molte categorie stanno ottenendo buoni risultati, in particolare i gioielli per il dailywear, le borse e gli accessori, nonché gli articoli per lo sport e il benessere. Un altro segmento di nicchia in rapida crescita è quello degli accessori per l'elettronica, come i gadget per i telefoni cellulari o gli smartwatch.

Come si sta muovendo Hong Kong, per tornare a essere una destinazione primaria dello shopping?

Stiamo vedendo alcune imponenti infrastrutture commerciali che stanno per essere completate. Sorgerà un mega complesso del lifestyle, intrattenimento e retail vicino all'aeroporto internazionale di Hong Kong, oltre a nuovi centri commerciali e grandi magazzini che apriranno nella zona di Kai Tak, dove si trovava il vecchio aeroporto. Nella stessa area sorgerà un nuovo parco sportivo, che potrà ospitare fino a 50mila persone, nello stadio principale. Le strutture del Distretto Culturale di West Kowloon, tra cui due musei di livello mondiale, spazi aperti, luoghi multifunzionali per lo spettacolo e un centro dedicato all'opera cinese, sono già in funzione, mentre altri spazi commerciali sono in preparazione. Queste nuove destinazioni stanno attirando un diverso profilo di visitatori continentali e internazionali, che vengono a Hong Kong per la forte offerta culturale, gli eventi, le mostre e le eccitanti esperienze gastronomiche, oltre che di shopping.

Come pensa di attirare i marchi di moda internazionali?

Hong Kong offre molti vantaggi commerciali che i marchi di moda, accessori e beauty possono trovare interessanti. In primo luogo, presenta decine di centri commerciali ben

e il nuovo

gestiti e curati, con un eccellente traffico, infrastrutture e supporto promozionale. Di solito i brand scelgono un centro commerciale centrale per il loro primo negozio a Hong Kong. Vi sono poi molti quartieri lifestyle che offrono intrattenimento, ristorazione e vendita al dettaglio ai residenti e ai dipendenti degli edifici adibiti a uffici. Poiché la città ha un'alta densità di popolazione, alcuni quartieri possono avere una popolazione lavorativa o residenziale di decine di migliaia di persone. Abbiamo anche una buona infrastruttura logistica, per far arrivare merci di alto valore da tutto il mondo. Esistono società di logistica dedicate allo stoccaggio e al trasporto di articoli di lusso, sia per la vendita al dettaglio che per le piattaforme di e-commerce. Inoltre Hong Kong non ha dazi doganali e imposte sul valore aggiunto, il che semplifica l'intero processo distributivo. Anche il nostro sistema fiscale è semplice e non troppo oneroso. Molti marchi scelgono di stabilire la loro sede regionale a Hong Kong, con un supporto di back office per le finanze, il marketing e la logistica, e spesso hanno i loro negozi gestiti direttamente o collaborano con una società di vendita al dettaglio: entrambe le opzioni sono comuni. I negozi gestiti direttamente spesso significano una migliore comunicazione con i clienti e l'accesso ai sistemi di gestione delle relazioni con i clienti. Inoltre, se i marchi svolgono già attività di sourcing in Asia, la creazione di un ufficio dedicato a Hong Kong per incontrare i fornitori, partecipare alle fiere e gestire i pagamenti potrebbe essere un'iniziativa commerciale intelligente.

Che caratteristiche deve avere un fashion brand italiano per avere successo a Hong Kong?

Il consiglio migliore è visitare la città e dare un'occhiata alle ultime opportunità. Per una discussione preliminare invitiamo i marchi nei nostri uffici di Milano. Ci sono molti modelli di business che possono essere presi in considerazione e saremmo lieti di condividere le ultime statistiche e tendenze. Il nostro è un servizio gratuito di assistenza alle aziende che desiderano esplorare le opportunità commerciali in Asia. 

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MERCATI CINA
Angelica Leung progetto Kai Tak Sports Park vicino al vecchio aeroporto di Hong Kong

CAMERA SHOWROOM MILANO

CSM è un’associazione autonoma, libera, apolitica ed indipendente.

CSM è dedicata a tutti gli showroom multibrand di Milano più rappresentativi del fashion e con una forte vocazione internazionale.

CSM ha tra i suoi obiettivi fondamentali l’esigenza, resa ancor più forte dalla recente situazione congiunturale, di fare squadra.

CSM ha concretizzato, grazie alla collaborazione con Confartigianato Moda, importanti attività durante le Fashion Week di Milano:

ARTISANAL EVOLUTION + CSM MEETS SUSTAINABILITY

CSM - PERCHÈ SENZA UNA VISIONE COMUNE, NON ESISTE FUTURO!

CAMERA SHOWROOM MILANO

ringrazia

1ST FLOOR

999 SHOWROOM

ARETE’ SHOWROOM

ASESTANTE SHOWROOM

BOIOCCHI SHOWROOM

BRERAMODE

CASILE & CASILE

CONTINUO

DANIELE GHISELLI SHOWROOM

DMVB SHOWROOM

ELISA GAITO SHOWROOM

FATTORE K MILANO

GARAGE MARINA GUIDI

MANNERS

MANUEL MENCARELLI SHOWROOM

MODERN SWOWROOM

PANORAMA MODA

PERCORSI OBBLIGATI

PROGETTO MILANO

RENZO VESENTINI MILANO

S5 SHOWROOM

SD SHOWROOM

SHOWROOM A. FICCARELLI

SHOWROOM DUNE

SHOWROOM JE T’AIME

SHOWROOM PAPAVERI

SPAZIO 38

SPAZIO COLTRI

SPAZIO LIBERTY

STUDIO 360 SHOWROOM

STUDIO POGGIO

STUDIO TATO SOSSAI

STUDIO ZETA

STYLE COUNCIL SHOWROOM

THE PLACE SHOWROOM

ZAPPIERI

CAMERA BUYER ITALIA W ooo

DROP STUDIO: IL LUSSO COME TRAGUARDO E NUOVO PUNTO DI PARTENZA

Il calzaturificio pugliese porta in Italia la tecnica della vulcanizzazione in autoclave per luxury sneakers 100% made in Italy, interamente realizzate a mano.

Ci sono traguardi che si tagliano solo per arrivare oltre e poter proseguire con un nuovo passo. Le sneakers vulcanizzate in autoclave, novità assoluta di Drop Studio, rappresentano questo per l’azienda pugliese capitanata da Leo Ricco, classe 1985, 18 anni di attività nel settore calzaturiero e della moda: un punto d’arrivo dal quale ripartire. Un risultato a coronamento di diversi anni di progettazione, ricerca, test che permettono oggi al calzaturificio di Barletta di proporsi ai propri clienti del mercato del lusso come partner unico in Italia a poter garantire una tecnologia fino a ieri praticata solo fuori dai confini nazionali. «Non acquistiamo il fondo dai suolifici – spiega Ricco – ma lo costruiamo internamente, a mano, lavorando la gomma cruda. La scarpa finita viene poi passata in autoclave, un apposito forno di ultima generazione, che letteralmente incorpora il fondo alla scarpa». Una tecnica di lavorazione che sostituisce quella tradizionale a stampi, e che Drop Studio pionieristicamente porta in Italia, proprio nel distretto pugliese, dove oggi si concentra la produzione delle maggiori firme di calzature. A questa lavorazione particolare, dopo cinque anni di studio e progettazione, di recente l’azienda ha deciso di dedicare un nuovo spazio produttivo all’interno della propria struttura, ampliando il sito produttivo di Barletta, che oggi si estende su 1.200 metri quadrati ed è stato significativamente ribattezzato Drop Studio Dreams Factory. «Abbiamo concluso i lavori di ampliamento solo a fine marzo di quest’anno – precisa l’imprenditore – anche se la produzione del vulcanizzato in autoclave era già stata avviata a gennaio, e stiamo realizzando le prime produzioni per alcune griffe nostre clienti. Sin dall’inizio siamo stati letteralmente sommersi da richieste di collezioni e questo

conferma la nostra visione». Drop Studio, azienda giovane e dinamica, è fortemente orientata al mondo fashion e concentra la propria produzione in particolare sulle sneakers, con un occhio di riguardo anche a tutto il mondo del casual, potendo contare su un know-how costruito con anni di esperienza nella commercializzazione e successivamente anche nella progettazione, sviluppo e produzione di calzature per brand di lusso e target di medie dimensioni. La creazione di un sito produttivo di calzature vulcanizzate in autoclave, interamente realizzate a mano, è l’ultimo progetto di Leo Ricco e si rivolge al mondo del lusso come risposta all’esigenza di qualità, unicità e personalizzazione. «Grazie alla lavorazione a mano, tutta svolta nei nostri stabilimenti, ogni stagione produciamo design nuovi, difficilmente replicabili, che vanno incontro agli standard stilistici delle griffe per cui lavoriamo». La qualità a 360

gradi della produzione è garantita anche dalle certificazioni ISO 9001, GRS (Global Recycle Standard), Ecolabel che siglano l’attenzione al dettaglio in ogni fase della produzione. A questo si aggiunge il rispetto per l’ambiente come valore etico. «Accompagniamo il cliente nella scelta di materiali green per calzature sostenibili adatte a ogni occasione – ricorda il Ceo – per le quali, su richiesta utilizziamo materie prime naturali e componenti ecosostenibili che abbinati alla costruzione del fondo realizzato completamente in gomma naturale, ci permettono di realizzare calzature certificate». Un percorso di produzione molto impegnativo, ma che ha premiato Drop Studio in termini di leadership nell’innovazione: è la prima volta, infatti, che in Italia è possibile ottenere un prodotto vulcanizzato in autoclave totalmente ecosostenibile, personalizzato e interamente realizzato a mano.

Sede produttiva: Barletta, in via dell’Unione Europea, 69

Showroom: Milano, viale Gian Galeazzo, 31.

DROP STUDIO for
Nella foto il processo di vulcanizzazione in autoclave

Lo stile pragmatico fa bene ai multimarca?

Ora lo store fisico va meglio dell'e-shop

Sempre meno

i

marchi

aspirazionali.

Con il silent luxury si apre una nuova era

Con i listini alle stelle e budget stabili, i multibrand italiani per far quadrare i conti puntano sui prodotti entry price delle griffe del super lusso, ma quelle per cui il consumatore è disposto a tutto sono sempre meno (Prada, Gucci, Saint Laurent, in testa). Si punta su alternative più pragmatiche, come Ami Ralph Lauren ed Elisabetta Franchi, che incarnano uno stile senza esagerazione. Chi resta escluso da questo brand mix? I marchi contemporary e alcuni player del lusso, che hanno alzato troppo i prezzi senza essere hype

DI ANDREA BIGOZZI

Per questa stagione, ma non è detto che la novità non venga confermata anche in futuro, nel nostro sondaggio sulle vendite di moda donna della primavera-estate 2023 ci sono due classifiche dei brand best seller: una ad appannaggio esclusivo delle griffe del lusso, l’altra che contempla i marchi con posizionamento premium-lusso accessibilecontemporary. Uno sdoppiamento a nostro avviso reso necessario dall’aumento dei prezzi che, pur avendo interessato in maniera generalizzata tutto il settore (condizionando l’andamento delle vendite, che per meno di un terzo degli intervistati sono cresciute), ha raggiunto livelli record tra i big brand dell’alto di gamma, che continuano a ritoccare al rialzo i loro listini (prodotti entry price inclusi) per mantenere intatta la loro esclusività durante i periodi di inflazione. Risultato, mai come in questa stagione - è il parere di molti dei 40 retailer intervistati - si era creata una divisione così netta tra i prodotti del lusso irraggiungibile, almeno per i clienti italiani, e

tutti gli altri. Impossibile dunque fare confronti e paragoni tra aziende che ormai giocano due partite diverse (almeno dal punto di vista del pricing, perché sul fronte della qualità il divario non è così ampio). Da una parte si confrontano realtà “aspirazionali”, che facendo leva su clienti emotivamente legati al loro marchio continuano per far scattare gli aumenti di listino: di questa classifica il leader di stagione nell’abbigliamento è Prada, seguito da Gucci e Saint Laurent, con Loewe e Loro Piana in grande ascesa. Dall’altra aziende con un rapporto qualitàprezzo compatibile con le loro proposte, che rispondono alle esigenze del consumatore reale (casi come Elisabetta Franchi, Dondup, Ermanno Scervino e Max Mara, tra gli italiani, e Ami, Ralph Lauren e Zimmermann tra gli internazionali) e il cui successo non passa più solo dalla capacità di offrire un buon prodotto, ma dall’intercettazione di un consumatore non più soddisfatto dall’esclusività del lusso. La tattica di elevare

Come sono andate le VENDITE DONNA della primavera-estate 2023?

34% HANNO MANTENUTO GLI STESSI LIVELLI DI UN ANNO FA

34% SONO CALATE

32% SONO CRESCIUTE

71
24
SONO CALATE MERCATI BUYERS' SURVEY
%
Tutti i dati sono aggiornati al 31 agosto
2023
LORO PIANA

LA PAROLA AI RETAILER MULTIBRAND

Qual è stato il marchio BEST SELLER SS23 di womenswear nel segmento extra lusso?

1 Prada

2 Gucci, Dior

3 Saint Laurent

4 Etro, The Row

E il brand che nel segmento LUSSO ACCESSIBILE PREMIUM ha venduto di più?

1 Elisabetta Franchi

2 Ami, Ralph Lauren

3 Dondup, Ermanno Scervino

4 Max Mara, Zimmermann, Blumarine

Tra gli ACCESSORI di alta gamma chi ha vinto?

1 Saint Laurent, Fendi

2 Prada, Dior

3 Celine, Loewe

C’è un marchio donna OLTRE NOMI GIA’ AFFERMATI da segnalare?

Tra gli altri Maison Miara

Yasuhira, Angelica Montini Studios, Made For A Woman, No/Faith Studios, Norma

Kamali,Charo Ruez Ibiza, Savette, Rotate, Setchu, Armarium, Coperni, Des Phemmes, Remain, Hui Milano, Fuzzi, Benedetta Bruzziches

E invece chi ha performato nel segmento più ACCESSIBILE?

1 Jacquemus, Autry

2 Saint Barth

3 Orciani

Qual è la MERCEOLOGIA che ha venduto di più nella donna?

1 Abiti eleganti per il quotidiano (in particolare tailleur)

2 Borse, Abiti per la cerimonia e le occasioni

3 Pantaloni, Giacche

4 Sneakers

5 Calzature classiche e sandali

72 MERCATI BUYERS' SURVEY
Loewe Saint Barth Elisabetta Franchi
Remain
Un tailleur Max Mara
Prada

il prezzo per creare desiderio pare stia diventando meno efficace. «Si avverte una crescente disaffezione da parte del cliente al segmento extra-lusso», dicono i dettaglianti e gli effetti si stanno già manifestando: dalla classifica dei brand extra lusso sono usciti o sono in netto calo realtà fino a poco tempo fa gettonatissime (tra cui Givenchy, Bottega Veneta), mentre stanno esplodendo commercialmente nomi con un target price più favorevole - vedi Ami e JW Anderson, per non parlare di Jacquemus e dei suoi accessori -, che potrebbero comodamente occupare i piani alti di entrambe le classifiche dei best seller: lusso (come percepito dai clienti, specie i più giovani) e lusso accessibile (per i listini più a portata di mano). Come detto, griffe come Prada, Saint Laurent e Gucci, ma anche Miu Miu, Loewe, Celine e Valentino si confermano i big brand capaci di fare la differenza nelle vendite di una stagione. Tuttavia il prezzo dei loro prodotti inizia a condizionare lo shopping dei clienti, visto che secondo i dettaglianti sono i loro entry price che performano meglio commercialmente e questo trova riscontro sui dati dello scontrino medio che, nonostante gli aumenti dei prezzi al pubblico, si colloca nella parte più bassa della forchetta tra i 500 e i 1.000 euro. «Il prezzo ha iniziato a condizionare in maniera incisiva le vendite proprio da questa

SILENT LUXURY che ruolo ha in negozio?

57% È IL TREND CHE FUNZIONA DI PIÙ

43% NON RILEVANTE

stagione - conferma Federico Giglio di Giglio Palermo e Giglio.com -. Forse i primi segnali di questa attenzione da parte del consumatore si erano visti anche l’autunno-inverno precedente, ma una cosa è certa: quella spensieratezza e quell’entusiasmo che si erano registrati post Covid e che avevano portato il consumatore a sorvolare su certi aumenti di prezzo, adesso non ci sono più». Prezzi alle stelle che, inevitabilmente, hanno forti ripercussioni su due aspetti del mestiere di buyer, che i nostri sondaggi cercano sempre di approfondire: i budget e il brand mix. Budget che per la prossima PE24 sono per i nostri intervistati stabili o in calo: un trend che, affiancato con quello in crescita dei prezzi, fa sì che i negozianti debbano tagliare sui marchi che funzionano meno per investire più risorse su quelli che performano meglio e che hanno aumentato i listini sensibilmente (la media è del 15%). Una politica di budget che sta portando anche alla revisione dell’offerta. Perché se da un lato c’è l’esigenza di confermare, nonostante il caro prezzi, i brand che garantiscono vendite sicure, dall’altra è sempre più diffusa la necessità di individuare alternative commercialmente interessanti con marchi solidi, con cui portare avanti partnership win-win. «Ho la sensazione - riflette Gino Cuccuini di Cuccuini Boutique - che rispetto alle strategie com-

merciali degli anni Ottanta, quando un negozio lavorava in maniera approfondita con 10/15 fornitori, forse il numero potrà salire nel caso di insegne grandi. Credo però che l’epoca delle stocklist sterminate sia in esaurimento, ora che l’e-commerce sembra ridimensionarsi e il punto vendita fisico tornare prioritario». La revisione del brand mix è un

Il CARO PREZZI...

72% HA INFLUITO MOLTO SULLE VENDITE

24% HA INFLUITO MA NON IN MODO RILEVANTE

4% NON HA INFLUITO

73
10 CORSO COMO - Milano BONVICINI - Montecatini Terme CLAN UPSTAIRS - Milano ARTENI - Tavagnacco (Ud) AGNETTI - Macerata

obiettivo strategico anche di insegne blasonate, che hanno la fortuna di lavorare con i big brand. «I budget per i grandi non si toccano - conferma Vinicio Ravagnani, che in questo 2023 festeggia i 40 anni della sua insegna Vinicio, fondata nel 1983 -. Ma rivedere gli equilibri all’interno del negozio è fondamentale, in quanto insistere troppo sul lusso lascia fuori una fetta troppa ampia di clientela. Scegliere su chi puntare non è facile: per quanto mi riguarda, cerco di non farmi condizionare da aspetti come le novità del momento o il

1 Appuntamento

seguito sui social, focalizzandomi sulla concretezza dell’offerta. In questo momento punto molto su The Attico, ma anche su Alexandre Vauthier, Alexandra Rich e Blumarine, che sta davvero risalendo. Le collezioni costano il giusto e sono fresche». «Le nostre vetrine restano incentrate sul lusso, ma accanto a brand come Dior, Celine, Miu Miu, Saint Laurent, Loewe, Fendi o Valentino ogni stagione l’attività di “surf” fra i trend si intensifica», gli fa eco Licia Bonesi di Coltorti, che ha un lungo elenco di marchi indie consigliati con successo alle clienti durante la SS24: Totême, The Row e Khaite per l’abbigliamento, Savette per gli accessori, Valextra per le borse «e poi c’è la grande riscoperta di Alaïa», commenta l’head of buying del retailer, che dopo l’ingresso del nuovo socio di maggioranza, il coreano Nhn Commerce, festeggerà nel 2024 i 90 anni di attività con un re-naming. Tutti brand, quelli citati da Bonesi, con uno stile pulito, tessuti interessanti e un forte focus sui volumi, che sono il perfetto esempio del fenomeno commerciale del momento, il silent luxury. Un trend fatto di look basici seguito praticamente da tutti brand, dove nessun logo blasonato è in bella vista e tutto è privo di ostentazione, almeno finché non si va a vedere il cartellino del prezzo. «Personalmente - è il parere di Andrea Vietti, la cui famiglia da tre generazioni è titolare dei multimarca ad Arona e ora

anche in diverse location in Svizzera - penso che il silent luxury sia più un’opportunità culturale che commerciale, perché questo genere di estetica introduce le nuove generazioni al tema della qualità e della semplicità, ma spegne la frenesia dello shopping. Poi penso che tutto questo rigore e pulizia che si sono affermati così prepotentemente rispecchino in un certo senso una demotivazione-depressione del consumatore, che oggi non entra più in un negozio per acquistare una sneaker o una felpa sulla scia di un post su Instagram». Una visione, quella del giovane buyer, condivisa da diversi colleghi dettaglianti, che infatti rispondendo al nostro sondaggio hanno ammesso di attendere con ansia la fashion week di settembre a Milano, caratterizzata da numerosi cambi di direzione creativa, in particolare quello di Gucci, brand di grande rilevanza per il settore del wholesale, che ha già dimostrato in passato di saper innescare la scintilla alla voglia di shopping. In questo quadro, in cui il consumatore italiano è poco motivato ai nuovi acquisti e molto attento ai prezzi, i saldi estivi hanno funzionato bene e per la maggior parte degli intervistati sono cresciuti rispetto all’estate 2022, che però era andata molto meglio nel periodo di prezzo

TECNOLOGIA

74
MERCATI BUYERS' SURVEY
VALTELLINI - Rovato (Bs) MANTOVANI - San Giovanni Valdarno COLOGNESE 1882 - Montebelluna (Tv) NUGNES - Trani CANEPPELE - Trento
conoscenza
best
che migliorano
OMNICANALITÀ o
diretta della clientela: quali sono le
practice
l’in-store customer?
E DIGITALE: in
state investendo?
quale ambito
*
personalizzato instore
Riparazioni sartoriali
Messaggi via mail o Whatsapp per conoscere in anticipo le novità in negozio
Servizi omnicanale * Risposte multiple * Risposte multiple
2
3
4
1 Esperienze immersive 2 Nuovo gestionale
Restyling totale del sito
Social, raccolta dei dati per la profilazione dei clienti
Utilizzo AI/ CHATGPT
3
4
5

pieno. Ma c’è anche una terra di mezzo, tra le vendite full price a inizio stagione e quelle fatte a sconto in epoca di saldi ed è quella occupata dal second hand, che tradizionalmente funziona di più con le app, ma che sembra essere sdoganato anche dai retailer nei loro negozi fisici. A dimostrarlo ci sono la collaborazione annunciata a inizio estate da Giglio. com con Vestiaire Collective e le partnership tra Lampoo e alcuni multimarca associati a Camera Buyer Italia. Una svolta, quella di evangelizzare la propria clientela all’acquisto di capi pre-loved, che lascia perplessi alcuni imprenditori e non solo, perché sul mercato dell’usato a funzionare di più sono i brand più richiesti anche sul mercato del nuovo. «Abbiamo preso in considerazione di offrire questo genere di servizio - ammette Vinicio Ravagnani - perché è evidente che si tratta di un fenomeno rilevante, ma poi ci siamo chiesti se davvero valga la pena cedere la cosa più preziosa che abbiamo, i nostri clienti, a potenziali competitor in cambio di un voucher». «Anche noi avevamo valutato un pro-

58% STABILE 38% IN CALO 4% IN AUMENTO

getto second hand - commenta Giacomo Vannuccini di Tricot Boutique a Chianciano Terme - ma abbiamo rinunciato. Questo è il momento in cui di controllare il mercato, non di aprirlo». Per questo è più gettonata tra i dettaglianti l’idea di valorizzare il proprio servizio di sartoria (tra i più apprezzati dai clienti), che deve puntare sulla perso-

RINGRAZIAMO PER IL CONTRIBUTO

nalizzazione più che sulle riparazioni, un po’ sullo stile del format lanciato da Golden Goose e in linea con lo spirito di circolarità che promette di farsi largo nel futuro. Un futuro che, per quanto riguarda i wholesaler, è molto instabile. La FW 23/24 è partita senza troppi scossoni, ma sulla scia dell’entusiasmo registrato un anno fa (e che ora non c’è più) erano stati fatti ordini con grande ottimismo. «Forse troppo», ammette Giulio Felloni, titolare di Felloni a Ferrara e presidente di Federazione Moda Italia, che aggiunge: «Sarà il momento della verità. Ora c’è il timore di aver comprato troppo, sicuramente avremo un grande assortimento». L’eccesso di merce è anche la grande preoccupazione dei big retailer multimarca, che lavorano molto all’estero tra e-commerce e B2B. «In giro c’è troppa merce - commentano i più preoccupati -. I mercati esteri sono in sofferenza e alcuni, come la Corea, praticamente fermi. Questo non consente la continuità degli acquisti a condizioni pre-esistenti di mark-up».

10 Corso Como Milano - Adani Boutique Modena Agnetti Macerata - Arteni Tavagnacco (Ud) - Biffi Boutiques Milano, Bergamo - Bonvicini Fashion Gallery & Stores Montecatini Terme (Pt) - Boutique Cinzia Abano Terme(Pd) - Boutique Stella Asiago (Vi) - Caneppelle Boutique Trento - Cenere GB Bassano del Grappa (Vi) - Clan Upstairs Milano - Colognese 1882 Montebelluna (Tv) - Coltorti Ancona, Macerata, San Benedetto del Tronto, Jesi - Cuccuini Livorno, Pistoia, Massa Carrara, Forte dei Marmi (Lu), Punta Ala (Gr), Porto Cervo (Ss), Madrid - Deflorio dal 1948 Noicattaro (Ba) - Divo Boutique Santa Maria a Monte (Pi), Pontedera (Pi) - Felloni Ferrara - Filippo Marchesani-Marchesani Vasto e Cupello (Ch) - Giglio Palermo - Giordano Boutique Pompei (Na) - Julian Fashion Milano Marittima (Ra), Lido degli Estensi (Fe), Rimini, San Marino - Laura Pessina Monza - L’Incontro Modena - Leam Roma - Mantovani San Giovanni Valdarno (Ar) - Marcos Mondovì e Prato Nevoso (Cn), Zero Verbier (Svizzera) - Michele Inzerillo Palermo - Modes Milano, Portofino (Ge), Forte dei Marmi (Lu), Porto Cervo (Ss), Forte Village-Santa Margherita di Pula (Ca), Cagliari, Trapani, Favignana (Tp), St. Moritz, Parigi - Moras Boutique Intimiano (Co) - Noha (Brindisi) - Nugnes Trani (Bt) - Papillon Corigliano Calabro (Cs) - Porrini Moda e Casa Besozzo (Va) - Spinnaker Sanremo (Im), Portofino (Ge), Santa Margherita Ligure (Ge) - Tricot Boutique Chianciano Terme - Tufano Moda Pompei (Na) e Scafati (Sa) - Valtellini Rovato in Franciacorta (Bs) - Vietti Arona, Lucerna, Crans-Montana, Zermatt

75
NOHA - Brindisi
Come sarà il vostro BUDGET di moda femminile per la SS24?
SPINNAKER - Sanremo JULIAN FASHION - Milano Marittima DIVO - Santa Maria a Monte (Pi)
24SETTEMBRE 22OTTOBRE 19NOVEMBRE

CENTRO TESSILE MILANO: OFFERTA, INNOVAZIONE, SERVIZIO, CON AL CENTRO IL CLIENTE

Nato negli anni d’oro della moda, il polo commerciale leader nella distribuzione all’ingrosso B2B, legata al fashion business, è cresciuto costantemente nel tempo, basandosi su diversità di offerta, competenza, condivisione, costante attenzione alle evoluzioni del mercato e accoglienza. Il 24 settembre, in piena fashion week, è in programma nella sede alle porte di Milano una sfilata-evento.

Quella del Centro Tessile Milano - realtà unica nel panorama italiano della distribuzione all’ingrosso di moda, aperta esclusivamente agli addetti ai lavori - è una formula che ha dimostrato la sua validità nel lungo periodo e continua a farlo: fondato nel 1984 a Cernusco sul Naviglio, in posizione strategica alle porte del capoluogo lombardo, raccoglie oggi 190 consorziati, suddivisi in 20 padiglioni su una superficie di 140mila metri quadrati, con ben due chilometri di vetrine. Le parole d’ordine sono qualità, servizio, innovazione, attenzione al prezzo e personalizzazione: ciò significa che ogni azienda segue una propria politica di acquisto e vendita e, spesso, propone collezioni proprie che vengono presentate anche con il sostegno di campionari. L’offerta viene continuamente rinnovata grazie a flash, riassortimenti e consegne veloci, ma un punto fermo è una creatività trasversale, caratterizzata da contenuti di valore, dal sartoriale al pronto moda. Il Ctm prende il meglio della flessibilità tipicamente italiana, nelle proposte e nel servizio, e di una dimensione sempre più sfaccettata e internazionale, come spiega in questa intervista Donatella Vertua, consigliere e consorziato del Centro Tessile Milano.

Il Centro Tessile Milano è una struttura unica nel suo genere: quali sono le sfide di questi anni post pandemia?

Già durante i difficili mesi della pandemia, ma anche dopo, non abbiamo mai smesso di muoverci per essere protagonisti del cambiamento. Grazie alle azioni coese delle aziende associate ci siamo focalizzati su diverse priorità: comprendere appieno dove investire a livello globale, inquadrando la giusta direzione in cui inserirci tra l’incertezza geopolitica e le riprese economiche in atto, non sempre omogenee; riallinearci con le richieste dei nostri clienti (ossia i buyer e i punti vendita), alla luce della mutazione dei modelli di consumo e dell’inflazione galoppante; non ultimo, elaborare strategie a tutto tondo, anche nel marketing fisico e digitale. Un obiettivo comune è la crescita, nelle aree geografiche in cui le aziende consorziate sono già presenti e anche in quelle di nuova penetrazione.

Domenica 24 settembre

è una data speciale per voi… Non è solo la prima domenica di apertura di Centro Tessile Milano nella stagione autunnale, ma il giorno in cui organizzeremo un grande evento: una sfilata che vedrà protagonisti alcuni marchi del polo commerciale, che presenteranno in anticipo le proprie collezioni FW 23/24. Teniamo molto a questo show, che si svolgerà nel momento clou della settimana della moda milanese e sarà sapientemente raccontato da Jo Squillo, che con la sua istrionica competenza illustrerà i must have della nuova stagione.

Quali sono i servizi più apprezzati di Centro Tessile Milano?

Tutto è servizio al Ctm. Siamo una struttura ben articolata, che amalgama nei suoi spazi espositivi la totalità dell’offerta del settore tessile-abbigliamento: tessuti, abbigliamento uomo, donna e bambino, accessori, arredamento negozi e relative attrezzature e, non ultimo, l’arredo tessile. Le realtà inserite nel Centro Tessile Milano, oltre a godere di una posizione geografica privilegiata, sono sostenute da un supporto costante da parte del consorzio, che garantisce una sicurezza ineguagliabile degli spazi espositivi, una manutenzione ineccepibile e un affiancamento costante, che permette di gestire anche le emergenze in relazione alle congiunture economiche, in questi tempi a dir poco volatili. Una leva importante è il marketing, anche attraverso i social: sia come Ctm, sia per le realtà commerciali associate, vogliamo generare la massima brand awareness.

Cosa significa la parola eccellenza per il vostro distretto commerciale?

Dare alla clientela di operatori del settore articoli nuovi e in linea con un mercato, quello del fashion, in continua trasformazione. Ma c’è molto altro. Siamo costantemente aperti ai cambiamenti e a fare sistema, per affrontare le inevitabili impasse che si possono incontrare. Il nostro imperativo è non crollare mai ma crescere all’unisono, con un occhio sempre attento alle evoluzioni del mercato.

CTM for

IL PROGETTO PREVEDE INVESTIMENTI ANCHE SUI MONOBRAND ZEGNA E LADOUBLEJ

Dell’Oglio: «A marzo 2024 pronto il rilancio di Parisi Taormina»

«Il piano industriale c’è, è sostanzioso e con la collezione SS24 sarà sotto gli occhi di tutti» ha raccontato l’imprenditore palermitano che si appresta a trasformare i negozi acquisiti a inizio 2023 in quattro “botteghe speciali”, con spazio anche all’artigianato locale. «Quella che proporremo sarà un’esperienza autoctona»

Anche CBI entra nella marketplace economy: arriva Thebs.com

A marzo del 2023 Mario Dell’Oglio, che guida la omonima catena di boutique a Palermo, ha assunto il controllo dell’insegna Parisi basata a Taormina. L’imprenditore in questi mesi ha portato avanti l’attività dei quattro store appena rilevati (tre multimarca e un monomarca Zegna) «registrando risultati di vendita positivi», ma non ha mai smesso di lavorare a un progetto di rilancio, che prenderà il via a partire dalla stagione SS24 con un network di negozi potenziato: a Taormina ci saranno quattro multimarca (due da donna e due da uomo) per i quali è ancora incerto se verrà mantenuta l’insegna Parisi o se si passerà a Dell’Oglio. Confermato il monomarca Zegna a cui si aggiunge, novità di stagione, quello de LaDoubleJ. Si riassume così il nuovo corso, a livello retail, di Parisi con un articolato progetto che si pone l’obiettivo di rendere la storica insegna multimarca della lo-

calità resort come un punto di riferimento per una clientela internazionale a caccia di un’experience autoctona. «Questo non significa che non ci saranno più le grandi griffe – tiene a precisare Dell’Oglio – ma nel brand mix che proporremo nelle nostre “botteghe uniche” ci sarà un’attenzione crescente a oggetti e prodotti dell’artigianato locale, impossibile da trovare altrove». «Non solo la merce ma tutto, dal concept alla cerimonia di vendita - prosegue - deve essere in perfetta sintonia con la cornice di Taormina e con le esigenze della clientela internazionale sempre più innamorata della sicilianità». Il cronoprogramma è già partito e Dell’Oglio sa che arrivare all’appuntamento fatidico con marzo 2024, quando negli store sarà consegnata la collezione SS24 non sarà facile. «La prospettivadice l’imprenditore, in passato presidente della Camera dei Buyer è di arrivare pronti almeno al 70% per arrivare con tutti i negozi a regime prima dell’estate. Dei quattro spazi dedicati all’attività multimarca, il più grande proporrà una sala riservata alle vendite private, mentre gli investimenti riguarderanno anche lo staff, destinato a raddoppiare. «I lavori di ristrutturazione e “riprogrammazione” dei negozi sono già partiti - conclude Dell’Oglio -, lo store di Porta Messina, quello più visibile, è già stato rinnovato dal punto di vista architettonico, ma con l’anno nuovo sarà ulteriormente resettato in linea con la nostra nuova visione retail. Era importante dare un segnale di cambiamento». Lavori in corso anche sul fronte e-commerce: attualmente lo store online di Parisi è in standby, a breve si deciderà se rilanciarlo o integrarlo in quello di Giglio. (an.bi.)

Nell’attuale “marketplace economy” CBI-Camera Buyer Italia non voleva più essere un semplice spettatore, ma un protagonista. Per questo un anno fa, tramite la società veicolo Top Retailers, l’associazione che rappresenta il network di luxury boutique italiane ha acquistato la piattaforma italiana finora conosciuta come ikrix. com, che d’ora in poi sarà thebs.com, dove Thebs è l’abbreviazione di The Best Shops, storico marchio di proprietà dell’associazione. Un cambio di nome e di identità che per CBI significa un traguardo importante. Non a caso il suo presidente Giacomo Santucci, parlando dell’iniziativa non esita a definirla «il nostro primo, vero progetto di business, che crea opportunità di fatturato e marginalità per gli associati». Di fatto è un’alternativa, seria, agli attuali modelli online, con un focus speciale sul tema dell’engagement e sull’interattività. Si procederà per gradi, intanto la nuova identità di thebs.com verrà integrata e traslata sulla maggior parte degli asset digitali, seguendo una serie di fasi di sviluppo volte a creare una stretta connessione fra il canale online e quello fisico. (an.bi.)

PRIMA IL MAGASTORE IN SVIZZERA, POI IL REBRANDING CON EVENTO A PARIGI Coltorti: con Nhn commerce i sogni

di crescita diventano realtà. E nel 2022 fatturato a quota 70 mln

Coltorti, 70milioni di euro di fatturato nel 2022, nel 2024 celebrerà i 90 anni di attività con un rebranding, che sarà annunciato a febbraio nel coros di un esclusivo evento alla fashion week donna di Parigi, e l’apertura, prevista nel quarto trimestre di quest’anno, di un nuovo store di 600 metri quadrati ad Andermatt in Svizzera. Dietro il piano strategico, ricco di opportunità, c’è il cambio di assetto societario già attivo da inizio 2023 (ma annunciato lo scorso luglio), che vede Nhn Commerce, distributore globale e licenziatario di marchi nel settore fashion e beauty in Corea, come nuovo socio di maggioranza. In cabina di regia il nuovo amministratore delegato Riccardo Bilancioni, già managing director della società e, nel segno della continuità, Maurizio Coltorti, che rimane amministratore e socio con una rilevante quota di minoranza. L’Italia resta al centro del progetto, attraverso i negozi storici e gli uffici di via Spiga a Milano, recentemente ampliati. «Previsti - assicura il nuovo ceo – significativi investimenti, che andranno principalmente in una direzione: rafforzare il modello di business omnichannel, creando nuove sinergie tra i negozi fisici e lo store virtuale». (an.bi.)

78 MERCATI RETAIL MULTIBRAND
Da sinistra, Yoon-sik Lee, Maurizio Coltorti e Riccardo Bilancioni

Antonelli Firenze al raddoppio in soli due anni. E l’ascesa continua

Presente in 650 door al mondo, di cui circa 200 in Italia, il brand realizza il 70% del giro di affari all’estero, principalmente in Europa e Russia. Grandi le aspettative negli Usa

Il tempo della riscossa per Antonelli Firenze è scoccato poche stagioni fa, dopo il Covid, quando l’a.d. Marco Berni insieme a Enrica Antonelli, sua madre nonché presidente dell’azienda, hanno deciso di «aggredire il mercato, puntando sull’innovazione con un prodotto giovane, rivolto a una fascia più ampia di consumatrici». Una scommessa riuscita, spiega il manager, che guida la realtà di Castelfiorentino nata negli anni Cinquanta: «I rischi assunti ci hanno ripagato e oggi la collezione ha un’identità più forte, grazie a una collezione donna dal gusto fresco, moderno e contemporaneo, con un livello di prezzi medio alto». A riprova, Berni cita i numeri: «Dal 2021 al 2023 faremo il +100% del giro di affari, passando da 10 a 20 milioni di euro, con un target di ebitda di circa il 19%. E c’è spazio per crescere, dal momento che i risultati della campagna vendite estiva ci proiettano verso i 25 milioni nel 2024, con un ebitda di oltre il 20%». Presente con la collezione in 650 door al mondo, di cui circa 200 in Italia, Marco Antonelli puntualizza: «La progressione è dovuta per il 30% ai nuovi clienti, ma sono quelli già esistenti ad averci dato le maggiori soddisfazioni. Parliamo di realtà come Tsum a Mosca, KaDeWe e

Breuninger in Germania, Podium a Riga, Gruppo Rinascente in Italia, solo per citarne alcune». Il fatturato, per la precisione, è coperto per il 30% dalla clientela italiana, il 30% dall’Unione Europea, il 27% dalla Russia, dove sono presenti tre monomarca a Mosca, con due aperture previste in Kazakistan la prossima stagione. Grandi le aspettative negli Usa, che vale il 9% del giro di affari, dove è stato da poco siglato un accordo con un’agenzia di New York, con focus sui grandi department store. Per il futuro Antonelli valuta l’opzione retail, «con un progetto articolato che dovrebbe prevedere una serie di aperture ragionate». Per quanto riguarda l’e-commerce, invece, al momento è un no: «Riceviamo molte richieste, tuttavia preferiamo lasciare il gioco in mano ai clienti fisici, che vendono anche tramite i loro siti». (c.me.)

FORTE DELL’EXPERTISE DI GIODUE

Anna Maria Paletti evolve nel segno della sostenibilità

Creare una linea giovane e dallo stile pulito, ma con una marcia in più. Con questi presupposti nel 2018 Anna Maria Paletti ha lanciato il marchio di moda donna che porta il suo nome. Una label che fa capo all’azienda bresciana Giodue, nata per soddisfare le esigenze di molte donne di coniugare eleganza e semplicità con un’offerta fatta di gonne, pantaloni, abiti, camicie, felpe, maglie e giacche. Capi realizzati esclusivamente in Italia nei laboratori dell’azienda con tessuti naturali, in vendita a una media di 250/300 euro sell out. Distribuita tra Italia, Spagna, Stati Uniti, Germania e Svizzera, Anna Maria Paletti punta ad ampliare ulteriormente il mercato domestico e quello internazionale. Dalla sua ha l’expertise di Giodue, realtà nata alla fine degli

PER LE BORSE DI EUTERPE

Dopo l’esordio online è il momento di puntare al wholesale

Nato quasi per gioco nel 2021, il marchio di borse Euterpe è stato inizialmente venduto solo tramite il canale online aziendale, con riscontri inaspettati in termini di vendite, cresciute stagione dopo stagione. Ora è il momento di scommettere sul brick and mortar a partire dalla primavera-estate 2024, prima stagione di campagna vendita per il marchio. Obiettivo per questo primo step, come racconta l’a.d. Roberta Cavallaro, è stato posizionare la label, che si colloca nel segmento entry to luxury con un focus sul retail di abbigliamento medio-fine, principalmente in Italia. In particolare, chiarisce Cavallaro, «abbiamo sviluppato un progetto dedicato alla Rinascente, dove siamo presenti in anteprima con la FW23 negli store di Milano Duomo, Roma e Firenze e abbiamo numerosi progetti in cantiere per il prossimo semestre, che non possiamo ancora svelare». Sviluppata su un numero ristretto di modelli, la collezione si caratterizza per l’immagine cool, «concepita per accompagnare le consumatrici in ogni momento delle giornata», racconta l’a.d. Una proposta che nasce per offrire una borsa di qualità a prezzi accessibili, realizzata con pellami bovini lavorati in Italia, provenienti da aziende certificate, nel rispetto dell’ambiente. (c.me.)

anni Settanta con la confezione di camicie di taglio sartoriale per brand del pronto moda, poi passata a produrre per note firme del fashion. Un business a cui a inizio 2000 si sono aggiunte linee proprie, come Camiceria Sartoriale Milano e 003 e il nuovo progetto Anna Maria Paletti, per un fatturato totale di circa 5 milioni di euro. Al timone, oggi come ieri, c’è il fondatore e ceo Giovanni Paletti, affiancato dalla figlia Anna Maria e dal genero Andrea Romei, che si occupano rispettivamente delle linee donna e uomo. Fiore all’occhiello di Giodue è la gestione interna del ciclo produttivo, che garantisce l’ottimizzazione dei costi e il controllo di tutte le fasi di lavorazione. Nel 2021 il gruppo si è trasferito nei nuovi stabilimenti di Verolanuova, in provincia di Brescia, risultato di un progetto di riqualificazione del patrimonio edilizio nel rispetto della sostenibilità. Presto lo stabilimento vedrà l’installazione di un impianto fotovoltaico per ridurre la carbon footprint dell’azienda. (c.me.)

79
OBIETTIVO 25 MILIONI NEL 2024
MERCATI AZIENDE

La moda a km zero di Rosso35 a quota 900 multibrand

Conosciuto per la sua eleganza naturale e senza eccessi, prodotto da laboratori nel Nord-Italia, il marchio di womenswear continua la sua espansione, puntando sul wholesale Rosso 35 alza l’asticella e conquista nuove posizioni. Il brand di womenswear attivo dal 2006 e guidato da  Luca e  Paola Signorelli - seconda generazione della famiglia che negli anni Settanta fondò l’azienda genovese  Silky - si prepara infatti a una nuova fase di sviluppo. Come racconta Luca Signorelli, la collezione sta ricevendo ottimi consensi soprattutto all’estero, che oggi genera l’80% del giro d’affari. A trainare le vendite sono mercati come Germania, Francia, Belgio, ma anche Far East e Stati Uniti. «Nel 2023 – informa l’imprenditore - gli Usa hanno messo a segno un +20%, grazie anche a nuove collaborazioni, come quella con Saks». Con effetti positivi sull’intero fatturato, che a fine anno dovrebbe assestarsi intorno ai 15 milioni, dai 13 dell’anno precedente. «La campagna vendita SS2024 ci ha dato molte soddisfazioni -

aggiunge Signorelli - tanto che ci aspettiamo un ulteriore incremento del 10%». Ormai il parco clienti è arrivato a contare 900 multimarca a livello internazionale, di cui 150 in Italia, confermando il ruolo chiave del wholesale nel business model della label. L’azienda ha all’attivo anche un flagship Rosso35 nel cuore di Brera a Milano (in via Pontaccio) e supporta l’e-commerce del marchio attraverso i canali digitali dei propri clienti multibrand. «A febbraio 2023 - spiega Luca Signorelli - abbiamo inaugurato un nuovo website per dare ulteriore visibilità alla collezione e indirizzare le consumatrici verso i rivenditori online che la commercializzano. Un’operazione riuscita, con molti accessi, che permette di salvaguardare l’identità di marca e la coerenza nei prezzi, senza entrare in competizione con i nostri wholesaler». a.t.

D.G. Group porta l’insegna Jijil all’estero: si parte da Dubai

Il 2023 rappresenta un anno clou per Manzoni 24, il brand in-house della storica azienda milanese Condorpelli, guidata dai fratelli Sergio e Alessandro Zanini (nella foto). È infatti pronta al debutto la nuova showroom direzionale in via Pizzi, in zona Ripamonti a Milano, che su una superficie di oltre 1.000 metri quadri accoglierà tutte le collezioni del brand, dalla donna (core della produzione)all’uomo, introdotto circa due anni fa, fino alla capsule in piccole taglie, prima esplorazione nel childrenswear. «Intorno alla linea maschile, che sta andando molto bene – commenta Sergio Zanini – stiamo costruendo una distribuzione ad hoc, che ha preso avvio da Stati Uniti e Francia, con l’obiettivo di estenderla progressivamente ad altri Paesi dove siamo presenti anche con la donna». L’85% del fatturato viene realizzato all’estero, in tutta Europa, Asia, Usa e nel blocco ex Csi, attraverso una rete di oltre 800 multimarca. «Risultati interessanti vengono anche daii Paesi arabi», dove l’azienda è in trattative per aprire due monomarca all’interno di altrettanti shopping mall: spazi retail che andranno ad aggiungersi a quello già attivo in via Manzoni 24 (che dà il nome al marchio) a Milano, attualmente in fase di restyling. «Riapriremo - spiega Zanini - con un concept completamente rinnovato, con le collezioni donna e uomo distribuite su due livelli». La distribuzione diretta riceverà un boost anche dalla nuova piattaforma e-commerce, pronta da fine settembre. «Puntiamo a raggiungere i livelli di fatturato del periodo prepandemico – conclude Zanini -. Siamo sulla buona strada, con una crescita che nel 2023 segnerà un +20%». a.t.

Jijil è pronta al grande salto. Già attiva da molti anni con il proprio flagship store ad Andria, che ha dato i natali al brand 12 anni fa, il marchio di D.G. Group si prepara a portare la propria insegna fuori dai confini nazionali. Si parte da Dubai, dove la label aveva già mosso i primi passi grazie a un corner da Galeries Lafayette e a una collaborazione con un multibrand nel Dubai Mall. Proprio con il debutto in quest’ultima location Jijil inizierà la sua avanzata retail, arrivando ad aprire, tra gennaio 2024 e marzo 2025, un totale di quattro negozi. Lo step più importante sarà però l’opening nel Dubai Festival City Mall con il nuovo concept store, che andrà a contrassegnare anche le successive inaugurazioni. Le altre due sono in agenda al Dubai Hills Mall al Palm Jumeirah Mall. Gli investimenti però non si concentreranno solo sulla metropoli degli Emirati Arabi. Come racconta il direttore commerciale Riccardo Leonetti, ll’intenzione è di aumentare la quota export dal 40% al 60% entro l’inizio del 2027. A fare da traino saranno key-market come la Russia - «un’area che dalla SS2024 è in grande ripresa» -, tutto il Medio Oriente e il Portogallo, «dove lavoriamo benissimo», oltre a mercati minori come Grecia, Cipro e Polonia. Nonostante l’accelerazione sull’estero, anche l’Italia giocherà un ruolo di rilievo. Attualmente, oltre che attraverso il monomarca di Andria, Jijil è distribuita in circa 300 multibrand (sono invece 150 fuori dal nostro Paese) e ormai il terreno è fertile per piantare nuove bandierine. «Abbiamo l’importante progetto di aprire sei store –anticipa Leonetti – e la prima città del nostro viaggio sarà sicuramente Milano».

80 MERCATI AZIENDE
Dall’offline all’online Manzoni 24 accelera con gli investimenti
GLI STATES CORRONO A +20% A sinistra, Luca Signorelli. Sotto, un outfit Rosso35 per la SS2024

Da Napoli a Taipei: espansione retail per il Gruppo Piquadro

La strategia punta anche sul travel retail, con l’opening all’aeroporto di Francoforte. Palmieri: «Aperture strategiche sotto ogni punto di vista»

Il Gruppo Piquadro dà il via all’ultimo quarter del 2023 con molti progetti al via nel campo del retail. A inizio settembre hanno aprono i battenti quattro nuove boutique, due per il marchio Piquadro, una per The Bridge e una “bi-brand” per entrambi i marchi. «Siamo molto fiduciosi per queste nuove aperture, assolutamente strategiche sotto ogni punto di vista», commenta Marco Palmieri, presidente e amministratore delegato del Gruppo Piquadro. Lo store Piquadro a Francoforte è posizionato all’interno del Terminal 1, Area Non-Schengen dell’aeroporto, con un focus sempre più mirato sul travel retail. Il secondo è il punto vendita The Bridge a Bologna. Lo spazio, situato nell’edificio dell’Archiginnasio (che ospita anche l’antico Caffè Zanarini), si articola su due piani affacciati su piazza Galvani, nel cuore della città. In più è stata avviata una nuova boutique a insegna Piquadro in via Filangieri 20 a Napoli e un bi-brand Piquadro-The Bridge nel department store Uni-president di Taipei. Quest’ultimo, declinazione del format ormai rodato sia con negozi full price che con outlet, rappresenta un nuovo, importante passo nella penetrazione dell’Estremo Oriente da parte del gruppo, già presente con tre negozi Piquadro a Taiwan e nove della Maison Lancel in Cina.

YC WHYCI, LA LINEA MADE IN ITALY DI LT.BO, CONTINUA A CRESCERE

Il marchio di womenswear, fondato nel 2013, prosegue la sua espansione spingendo sui mercati esteri e potenziando la rete di monomarca. Alle boutique di Milano e Portofino si è aggiunta quella di Castelfalfi.

YC WHYCI è una linea Made in Italy, con sede produttiva a Gallarate, nata nel 2013. YC WHYCI è sinonimo di un brand di womenswear, specializzato in collezioni capaci di nobilitare filati e fibre e caratterizzato da proposte capaci di durare nel tempo: un marchio altamente esclusivo, che si rivolge a una clientela di fascia alta. LT.BO è la società proprietaria di YC WHYCI. La famiglia al timone di LT.BO ha un forte heritage nella moda: Paolo Turri, founder e ceo, nel 1988 rilevò con la madre l’azienda, nata negli anni ’40 dal nonno. La moglie di Paolo, Elena, ha contributo a internazionalizzare il brand,

espandendosi nei mercati del Giappone, degli Stati Uniti e dell’Europa. Conoscendo molto bene i tessuti ed i filati, LT.BO crea collezioni che si sposano bene con i gusti dei vari mercati. In tutti i processi produttivi si avverte una forte attenzione all’ambiente, riducendo al minimo i trasporti e realizzando collezioni con materiali tecnici e fibre naturali. A ulteriore conferma dell’esclusività delle collezioni e dei target

Brooks Running punta sull’innovazione green

Con il modello Ghost 15 Green Silence l’azienda di calzature Brooks Running segna una tappa importante nella transizione verso l’obiettivo delle zero emissioni di carbonio per il 2040. Uno dei modelli più amati dai runner a livello mondiale si propone ora presentando una quantità maggiore di tessuti tinti in pasta e di materiali riciclati, in termini di peso, rispetto a qualsiasi altra scarpa della gamma Brooks. Il brand si è posto infatti fra gli obiettivi green quello di incorporare il 50% di materiale riciclato o di origine biologica in tutti i componenti utilizzati nella sua linea di prodotti entro il 2030. Sforzo che sta portando a ridurre le emissioni di gas serra del 5% rispetto al precedente modello di Ghost 15, equivalente a sei bottiglie di plastica. La proposta ecofrendly è disponibile da questo mese in esclusiva nei punti vendita Cisalfa

ai quali si riferiscono spiccano gli opening di alcuni monomarca YC WHYCI nelle location più elitarie del mercato italiano. Nel 2017 è stato avviato il monomarca in Via Fiori Chiari a Milano, nel cuore pulsante di Brera, ma va menzionata anche l’apertura di un altro monomarca a Portofino, perla della riviera ligure e meta del jet set internazionale. Continuando la sua espansione retail verso luoghi esclusivi, focalizzandosi su una clientela sofisticata, YC WHYCI ha deciso di inaugurare la sua terza boutique monobrand in Toscana, nel borgo Medievale di Castelfalfi. Lo spazio si trova all’ingresso del borgo, sulla via principale che porta al castello, e si affaccia su strada con tre vetrine.

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YC WHYCI for
POKER DI OPENING
MERCATI AZIENDE

VCS Verified & Certified Steps:

«Una

di sostenibilità per le aziende calzaturiere»

La presidente dell'associazione di categoria racconta come per tutte le aziende del settore la sostenibilità è ormai un pilastro su cui costruire la strategia di crescita. «Serviva un certificazione aziendale che garantisse i partner di filiera»

Da quali considerazioni nasce VCS Verified & Certified Steps?

La sostenibilità è ormai uno degli asset imprescindibili per le nostre aziende. Il consumatore si è evoluto e ha posto il rispetto per l’ambiente e l’ecocompatibilità nei processi quali punti determinanti nell'acquisto di un prodotto. Nel nostro comparto serviva una certificazione che riuscisse a soddisfare i bisogni delle imprese, in base alle richieste del cliente. È nato dunque VCS Verified & Certified steps, il primo marchio di certificazione per il calzaturiero registrato da Assocalzaturifici, concesso alle imprese che intraprendono un percorso di valutazione, misurazione e miglioramento delle performance riguardo ai principali aspetti della sostenibilità aziendale, secondo gli standard riconosciuti a livello internazionale.

Vi avvalete di partner qualificati: cosa ci può dire a tale proposito?

Per ottenere la certificazione le aziende devono intraprendere un iter verso alti standard di sostenibilità, in cui sono coinvolti partner ad alto valore tecnologico aggiunto, quali il CIMAC, laboratorio specializzato nei test per l'industria calzaturiera e la moda, che assicura la qualità e l’eccellenza del prodotto e la conformità agli standard globali. CIMAC misura la qualità, la sicurezza e valuta la performance, assistendo inoltre il cliente lungo il percorso di sostenibilità e offrendo informazioni e soluzioni personalizzate per il raggiungimento della certificazione VCS. Inoltre, per ottenere il marchio al termine del percorso occorre superare una verifica di certificazione, affidata ad ICEC-Istituto di Certificazione della Qualità per l’industria conciaria. La certificazione ha validità triennale ed è subordinata a una verifi-

ca annuale di mantenimento. Da citare anche Spin 360, società di consulenza che supporta le aziende e le istituzioni nell’implementazione di modelli di business innovativi.

Che passaggi bisogna superare?

L'azienda viene guidata passo dopo passo da consulenti qualificati e accreditati, che aiutano a definire gli obiettivi e attuare interventi mirati per raggiungerli, coinvolgendo la filiera ove necessario. VCS si basa su standard internazionali e linee guida per la responsabilità sociale d’impresa, la due diligence, lo sviluppo sostenibile, il miglioramento degli impatti ambientali e sociali nella gestione aziendale, nelle pratiche di acquisto e lungo la filiera. Le aziende possono misurare, gestire e migliorare le performance con un’autovalutazione (Self Assessment) e una valutazione dei fornitori significativi (Tier-one assessment).

VCS ha quattro declinazioni...

Sì, perché si tratta di uno schema che lavora sui processi interni, la tracciabilità della filiera, la raccolta e l’organizzazione delle informazioni, l’attivazione di un sistema di procedure di miglioramento e avanzamento rispetto ai più diffusi parametri e standard internazionali sulla sostenibilità. Lo schema è composto da quattro elementi: l’armonizzazione dei requisiti in materia di sostenibilità, il tool di supporto, la consulenza alle aziende e il riconoscimento di mercato attraverso la certificazione. Dall’analisi delle fonti internazionali sui prin-

cipali argomenti che compongono la sostenibilità ne sono stati desunti 10: diritti umani, pratiche del lavoro, ambiente, pratiche commerciali leali, questioni legate ai consumatori, coinvolgimento delle comunità, tracciabilità, benessere animale, gestione sostanze chimiche e infine politiche, indicatori, obiettivi (Esg), per analizzare tutti gli aspetti della sostenibilità e della responsabilità sociale.

Che ruolo ha la tecnologia nel progetto?

Abbiamo un software, fruibile online, che supporta le aziende nel misurare, gestire e migliorare le performance in merito ai requisiti citati. Imprese che, anche con il supporto di un consulente, migliorano gli indici di sostenibilità e possono richiedere di essere certificate. Il processo di certificazione è effettuato da un ente terzo certificatore indipendente. La certificazione e il rilascio del marchio VCS sono un riconoscimento formale del livello di sostenibilità raggiunto dall’impresa.

Perché oggi è tanto importante essere certificati, anche nel calzaturiero?

VCS ha un grandissimo valore in un mercato che guarda sempre di più a beni sostenibili, prodotti da realtà attente alle politiche green. La sostenibilità è un pilastro su cui costruire una solida strategia d’impresa. Non è più solo un desiderio o un approdo, ma un punto di partenza per le aziende del settore che investono in ricerca, in modo da garantire standard altamente ecocompatibili per la filiera produttiva. Inoltre sempre più consumatori sono disposti a pagare un plus sul prodotto finale, purché questo sia green: la combinazione tra green e made in Italy è assolutamente performante.

La certificazione appare sul prodotto in vendita? E come viene comunicata?

VCS non è una certificazione di prodotto, ma una certificazione aziendale. L’azienda produttrice certificata VCS potrà apporre la certificazione secondo le proprie strategie di marketing e posizionamento rispetto alla filiera di riferimento: brand o canali retail.

Quante sono le aziende già certificate VCS? E quali sono i costi?

Grazie alla sinergia con il Politecnico Calzaturiero del Brenta, alcune aziende del distretto stanno concludendo il primo step che porterà alla certificazione. I costi, variabili in base alla tipologia di impresa, si esprimono nella licenza d’uso del tool VCS, ovvero il software, che deve essere accompagnata da un affiancamento gestito dal network di consulenti accreditati VCS. La certificazione VCS va intesa come un processo di miglioramento continuo in tutti gli ambiti della sostenibilità, uno strumento indispensabile per le aziende che mettono al centro della loro strategia di crescita la responsabilità sociale e ambientale. 

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INTERVISTA

LAVARE SENZA SPRECARE ACQUA

E SENZA PRODOTTI CHIMICI: L’ESPERIENZA DI PAIMA CON BIOFILTER ® DI IAFIL

È il primo impianto che permette la depurazione e il successivo riutilizzo dell’acqua per il lavaggio di capi di maglieria senza l’utilizzo di sostanze di sintesi. Con la sola applicazione di un software alle macchine tradizionali.

«Anni fa un prodotto era buono perché era “con”: additivi, ammorbidenti, igienizzanti. Oggi bisogna essere “senza” per garantire più leggerezza sull’ambiente». Parole di Stefano Salvaneschi, presidente di Iafil, Industria Ambrosiana Filati, a proposito di Purowashing®, nuovo sistema di lavaggio senza chimica, senza detergenti né ammorbidenti siliconici, brevettato dall’azienda. «Purowashing®spiega Salvaneschi - è composto da sfere da inserire nella lavatrice e da un filtro, Biofilter®, un impianto di depurazione e riciclo dell’acqua per lavatrici industriali». «Volevamo che i filati biologici certificati GOTS, prodotti da Iafil, restassero tali lungo tutto il ciclo di manifattura della maglia, lavaggio compreso, e pertanto non entrassero in contatto con prodotti chimici», chiarisce Sergio Sala, ingegnere responsabile del reparto R&S di Iafil. «Nel 2018 - prosegue - abbiamo brevettato le sfere Washing Balls® e Brushingballs®, per lavare le maglie senza detergenti e ammorbidirle senza siliconi, semplicemente inserendole nel cestello di una normale lavatrice industriale». Le sfere contengono una terra rara, un magnete permanente: «Girando nella lavatrice - sottolinea Sergio Sala - sviluppano ossigeno e liberano

bicarbonato, che deterge. Agiscono in acqua fredda, con risparmio di energia; non richiedendo risciacquo e consentono anche risparmio di acqua. Con il Covid abbiamo aggiunto alle sfere gli ioni d’argento (noti igienizzanti) e il grafene, un multistrato che riesce a contenere una grande quantità di ioni d’argento positivi: sono nate così le Silver Grafene Washing Balls®, per sanificare e non solo lavare». È datato 2022 il brevetto di Biofilter®, «un impianto a circuito chiuso per far sì che la stessa acqua impiegata per il lavaggio venga riciclata e non buttata: in Iafil stiamo utilizzando l’acqua recuperata da circa due anni, provvedendo semplicemente a qualche rabbocco per la piccola parte che evapora». Il filtro, come sottolinea Sala, si

aggancia a qualsiasi lavatrice industriale («Noi lavoriamo in partnership con Electrolux») e non richiede alcuna modifica meccanica alla macchina: «Viene solo variato il software. Il filtro cattura gli sfridi di lavorazione e le microplastiche, tutti metabolizzati dai batteri aerobici e anaerobici presenti nelle sfere grigie che contiene. Purowashing® rifiuta l’utilizzo di prodotti chimici: se venissero impiegati i batteri morirebbero, l’acqua non si ripulirebbe e tutto il ciclo non sarebbe in equilibrio». Iafil produce Biofilter® in varie misure, da quello più piccolo che depura 2mila litri di acqua al giorno ai grandi impianti, che depurano 100mila litri di acqua al giorno: gli impianti sono tutti in rete, controllabili e modificabili nei funzionamenti da remoto.

IAFIL for
Biofilter®, l’impianto di depurazione da 100.000 litri/giorno.

Da sempre la nostra azienda è attenta al tema della sostenibilità - a raccontare la vocazione green della propria impresa è Alessandro Marabini, alla guida di Paima insieme alle sorelle Alessandra e Paolaabbiamo installato pannelli fotovoltaici sui tetti già quindici anni fa, utilizziamo illuminazione a led e biotecnologie per la riduzione dell’inquinamento delle acque di scarico. Ma non ci siamo fermati qui. Con la certificazione Gots - che garantisce l’utilizzo di sole fibre naturali coltivate secondo i principi dell’agricoltura biologica, senza l’uso di pesticidi né OGM - copriamo tutti i filati utilizzati in produzione. Infine, con la nostra presenza sulla piattaforma Re.Verso, portiamo avanti un programma di rigenerazione dei filati e degli scarti di produzione, in un’ottica di economia circolare. Su richiesta del cliente, utilizziamo filati riciclati e cerchiamo sempre di proporre soluzioni all’insegna della riduzione dell’impatto ambientale dei processi produttivi. Ecco perché ci siamo interessati fin da subito alle proposte Iafil». Quello che nel 1964 fu fondato dai genitori Italo e Maria Marabini con il nome Maglieria Osimana come un piccolo atelier di famiglia specializzato nella produzione di articoli in maglia si è trasformato in una struttura all’avanguardia nella produzione di maglieria di qualità 100% made in Italy, partner di prestigiose maison di moda. La combinazione di macchinari a elevata tecnologia e lavoro artigianale fanno della realtà industriale di Osimo, in provincia di Ancona, una raffinata interprete della creatività dei designer che a lei affidano la realizzazione dei capi; in definitiva, un punto di riferimento per i brand mondiali del lusso, in dialogo aperto con il proprio territorio. Oltre alla forza lavoro interna l’azienda infatti si avvale di una fitta rete di terzisti tutti italiani, concentrati per la maggior parte nell’area marchigiana.“I brevetti di Iafil hanno attirato il nostro interesse con le sfere Washing Balls® per lavare le maglie escludendo dal processo

l’utilizzo di detergenti – prosegue Marabini – e non appena questa tecnologia è stata disponibile abbiamo avviato i primi esperimenti per testarne l’efficacia. L’obiettivo era riuscire a ottenere la stessa mano delle maglie che per trent’anni avevamo ottenuto grazie ai prodotti chimici, di cui ormai conosciamo bene le ricette. La difficoltà iniziale nell’utilizzo delle sfere risiede nell’individuare i tempi e le temperature corrette per un lavaggio in

assenza di sostanze detergenti di sintesi. Abbiamo controllato e continuiamo a controllare costantemente l’impianto dell’acqua, per accertarne la purezza: i risultati sono stati incoraggianti e così abbiamo inserito anche Biofilter®, l’impianto per il riciclo dell’acqua più recentemente brevettato da Iafil. Abbiamo messo in funzione l’impianto in un primo tempo nel reparto campionature e oggi l’abbiamo trasferito nel reparto produzione: è la prima macchina che permette di riutilizzare l’acqua dopo averla depurata, consentendo di ridurre notevolmente i costi, ma anche e soprattutto l’impatto ambientale, senza penalizzare in alcun modo la resa produttiva e senza che si rendano necessarie modifiche strutturali alle macchine. Semplicemente, l’acqua viene prelevata dalla vasca del filtro, accanto alla lavatrice e a lei collegata a circuito chiuso”. Una scommessa vinta, nella cura dell’ambiente

Biofilter®, l’impianto di depurazione da 2.000 litri/giorno presso Paima

HUES SOFT

Che si tratti di accessori o di interi look, i colori delicati e soft segnano la nuova stagione primavera-estate. Libere da troppi fronzoli, le collezioni privilegiano le tinte neutre, mentre le forme si fanno più semplici e lineari tanto nei mini-dress, che scivolano con leggerezza sul corpo, quanto nei tailleur, dal piglio decisamente rilassante. Protagonista è anche il denim, in una versione più ripulita e austera rispetto al passato.

A CURA DELLA REDAZIONE

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1 GIANNI CHIARINI 2 ANFINY
TESTONI
PLAN C
CRUNA
LARDINI
COCCINELLE

Polar glow

All'insegna della totale libertà di esprimersi e di vestirsi, si fanno strada silhouette ampie e protettive mentre la palette diventa più tenue, fino a raggiungere la purezza quasi glaciale del bianco. Parole d'ordine naturalezza, funzionalità e la voglia di prendere le distanze dallo chic come lo abbiamo inteso finora.

1 DUNO

2 CAMPOMAGGI

3 EUTERPE

4 PESERICO

5 SIMONETTA

6 COLMAR

7 KANGRA

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MADE IN ITALY Flagship Store via Manzoni 24 Milano I manzoni24.it

Metropolitan swag

Si assottiglia il confine tra lavoro e tempo libero, mood cittadino e vacanziero. I capi più formali e costrittivi restano chiusi nell'armadio, che invece si apre a giacche morbide, possibilmente senza bottoni, lunghe camicie da portare al posto dei classici spolverini e abiti multioccasione, a proprio agio sia a bordo piscina che nel bel mezzo di una metropoli. Non si torna indietro: il comfort è un diktat.

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1 FENDI 2 SAFIRA 3 PINEIDER 4 MALO 5 IL GUFO 6 MANZONI 24
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7 BERWICH

Black swan

Il nero non è un colore né triste, né monotono. Almeno non per gli stilisti, che per l'autunno-inverno - ma anche per la prossima primavera-estate - ne hanno fatto un punto di forza a livello cromatico, sia per il menswear che per il womenswear. Una tendenza destinata a dominare gli outfit più eleganti e chic, ma anche quelli informali e facili, dalla maglieria al denim.

RE_HASH

ANTONELLI FIRENZE

FLOWER MOUNTAIN

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5 REBELLE

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GENNY PRINCESS PAUL&SHARK

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Desert bloom

Tra echi coloniali, suggestioni rétro, geometrie e fluide morbidezze, la scommessa è mantenere l'equilibrio estetico nel guardaroba, puntando su una tavolozza in cui dai colori neutri del deserto sbocciano a sorpresa fantasie romantiche. Un gioco di contrasti in cui ad avere la meglio è la creatività.

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7 120% LINO

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CATERINA LUCCHI GOLD SUNS D.A.T.E. ROSSO 35 3JUIN ROY ROGER'S
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Pure bravado

Il mare, il viaggio, il piacere del tempo libero e dell'evasione: quali migliori compagni di avventura di un paio di jeans, una tuta, un pantalone comodo? Nel guardaroba non devono mancare borse capienti e pratiche valigie. E per l'aperitivo smart, via libera al completo all white, con il mini bolero e i tacchi alti.

1 JECKERSON 2 GUESS 3 XACUS 4 VALEXTRA 5 GENNY 6 DON THE FULLER 7 PIQUADRO 1 2 5 4 6 7 93

Embedded ribbons

Il quiet luxury imperversa, è vero, ma questa espressione non significa appiattimento. Resta in auge il piacere delle superfici mosse, delle tinte accese per brillare di giorno e di sera, delle grandi e piccole disegnature floreali, geometriche o appena accennate. Tocco finale, accessori a tutto colore: non c'è spazio per la monotonia.

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1 CHIARA BONI 2 CIESSE PIUMINI 3 BE980 4 MISSONI 5 AGL 6 DORIA 1905
1 2 5 6 3 94
7 AVANT TOI

UNA SOLUZIONE PLM PENSATA PER LE PMI DELLA MODA: INTERVISTA CON GIULIA GENTILI DI CENTRIC SOFTWARE ITALIA

Conosciamo da vicino una soluzione in cloud flessibile e a costi accessibili per i marchi della moda che sognano in grande: intervista con Giulia Gentili, esperta di centric software.

Aumentare l’innovazione, accelerare il timeto-market e migliorare la collaborazione, ottimizzando al contempo i margini di prodotto e promuovendo la sostenibilità: sono questi alcuni deimotivi per cui le aziende scelgono Centric Software, la soluzione leader nel settore per la gestione del ciclo di vita del prodotto (PLM). Le soluzioni PLM tradizionali sono spesso costruite per grandi aziende internazionali con ampi budget e non rispondono alle esigenze delle piccole e medie imprese. Ecco perché Centric Software ha creato Centric SMB, una soluzione PLM progettata specificamente per le aziende che necessitano di un’implementazione rapida ad un prezzo accessibile.

Centric SMB è ideale per le PMI che desiderano strutturare la propria attività per una crescita futura. Consentire a tutti gli utenti di avere accesso agli stessi dati sempre aggiornati permette di accelerare lo sviluppo del prodotto, ridurre i costi e aumentare visibilità e margini, garantendo qualità e conformità. Oggi intervistiamo Giulia Gentili, Sales Manager SMB in Italia, che lavora al fianco delle aziende di moda per aiutarle a raggiungere i loro obiettivi strategici.

Da quanto tempo lavora in Centric Software per la divisione SMB?

Ho deciso di entrare in Centric Software nel febbraio del 2022 e ho visto subito il potenziale di una soluzione preconfigurata basata sulle best practice del settore e specificamente pensata per le PMI. Più in generale, ammiro il modo in cui Centric Software considera l’innovazione un suo valore fondamentale che le permette di far crescere esponenzialmente una base clienti straordinaria.

Con così tante soluzioni PLM in circolazione, cosa rende Centric diversa?

Noi non ci limitiamo a fornire una soluzione PLM, ma mettiamo a disposizione anche le nostre conoscenze e l’enorme esperienza acquisite nel settore. Abbiamo realizzato progetti con oltre 750 brand in più di 50 Paesi. Centric PLM è l›unica soluzione completamente configurabile presente oggi sul mercato e favorisce anche lo sviluppo di un modello di business ecologico ed etico. La nostra piattaforma user-friendly è la chiave per una rapida adozione da parte degli utenti e, quindi, per un rapido ROI. Infine, Centric SMB può contare su aggiornamenti automatici annuali gratuiti che tengono conto dei feedback e delle esigenze dei nostri clienti.

Quale consiglio darebbe alle piccole e medie imprese che stanno pensando di adottare una soluzione PLM?

Va innanzitutto ricordato che la trasformazione digitale è un percorso. Essendo il PLM ormai riconosciuto come la base da cui tutti gli altri sistemi sono alimentati, alle PMI mi sento di suggerire di delineare le loro sfide attuali ed inserire il PLM tra i primi progetti di questo percorso. L’alternativa oggi è rimanere fermi, e sempre più indietro. Contrariamente all’opinione comune, vorrei inoltre segnalare che non è essenziale disporre di conoscenze informatiche approfondite o di un team IT per la sua implementazione ma è fondamentale identificare il giusto partner

Inquadra il QR code per scoprire i segreti di un’implementazione PLM impeccabile!

CENTRIC SOFTWARE for
Giulia Gentili SMB Sales Manager di Centric Software

INTERVISTA

Il samurai della moda made in Italy: «Cerco la reazione chimica tra Oriente e Occidente»

Il designer, nato in Giappone ma radicato a Milano e vincitore all’Lvmh Prize, racconta il legame stretto tra la sua moda, le città dove ha vissuto, i brand per cui ha lavorato (e sono molti), la scultura, la pesca e i colleghi che ammira di più (tutte donne)

DI ANDREA BIGOZZI

Satoshi Kuwata non ha vinto l’Lvmh Prize 2023 a caso: è un designer che per anni ha lavorato per diversi marchi, tutti di riferimento. Prima di fondare il suo di brand, Setchu, si è misurato anche con la sartoria maschile di Savile Row. Satoshi sembra essere dotato del "tocco di Re Mida", ma il suo superpotere deriva da un principio base: disegnare abiti che si adattino al corpo e a una forma specifica, senza averne una. «Può sembrare complesso, ma è semplice - dice -. I capi di Setchu hanno una vita propria, sia bidimensionale che in 3D. Perché un oggetto 2D può essere manipolato sul corpo, per creare un indumento tridimensionale».

Givenchy, Gareth Pugh, Edun e persino Kanye West sono i suoi ex datori di lavoro. Cosa ha imparato da queste esperienze?

DIRETTORE RESPONSABILE E A.D.

Marc Sondermann (m.sondermann@fashionmagazine.it)

CAPOSERVIZIO

Alessandra Bigotta (a.bigotta@fashionmagazine.it)

REDAZIONE

Andrea Bigozzi (a.bigozzi@fashionmagazine.it)

Elisabetta Fabbri (e.fabbri@fashionmagazine.it)

Carla Mercurio (c.mercurio@fashionmagazine.it)

Angela Tovazzi (a.tovazzi@fashionmagazine.it)

REALIZZAZIONE GRAFICA

Nadia Blasevich (n.blasevich@fashionmagazine.it)

Carlo Maraschi (c.maraschi@fashionmagazine.it)

COLLABORATORI

Mariella Barnaba, Annalisa Betti, Cristiana Bonzi

PUBBLICITÀ E PROMOZIONE

Barbara Sertorini (b.sertorini@fashionmagazine.it)

Laura Pianazza (l.pianazza@fashionmagazine.it)

SPECIAL PROJECTS

Matteo Ferrante Veneziani (m.veneziani@fashionmagazine.it)

Givenchy mi ha insegnato come funziona una casa di moda, guidata da un grande gruppo. Con Gareth Pugh ho capito quanto è faticoso per un designer indie restare a galla e collaborare con Edun è stato una corsia preferenziale su come produrre un marchio sostenibile.

Invece Savile Row cosa le ha lasciato? Lì ho realizzato l'importanza dell'artigianato e non solo. Uno dei miei capi mi spiegò che il lavoro del sarto è simile a quello dello scultore: anche lui modella un corpo umano, ma lo fa con la stoffa e non con il marmo.

Quando ha finalmente capito che era il momento di avere un marchio suo? Non c'è stato un "momento X", si è trattato di un’evoluzione. Come quando senti dentro di te che devi fare una cosa e non sai esattamente cosa succederà, ma sai che è la cosa giusta.

ASSISTENTE DI DIREZIONE / UFFICIO TRAFFICO

Valentina Capra (v.capra@fashionmagazine.it)

AMMINISTRAZIONE

Cristina Damiano (c.damiano@fashionmagazine.it)

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L’emblema di Setchu è la giacca Origami: un mix tra un kimono e un blazer. Scelta stilistica o culturale?

È la fusione di due archetipi, la cultura orientale e quella occidentale. È ciò che Setchu significa: un incontro, una reazione chimica.

Chi sono i suoi stilisti preferiti?

Tutti i designer che ho incontrato tramite Lvmh sono molto talentuosi. Rei Kawakubo è sempre, e da sempre, la designer più giovane. Silvia Fendi sa quanto è divertente disegnare. Miuccia Prada, che dire: vorrei essere lei. Maria Grazia Chiuri conosce esattamente quello che le donne vogliono. Ecco, una cosa è certa: di questi tempi mi appassiona e mi interessa di più il lavoro delle stiliste donne.

Ha vissuto in tante città, tutte diverse: una fotografia per ognuna di loro… Kyoto, dove sono nato, è la salvaguardia del mio heritage, un luogo di vera tranqullità. Parigi è tutta moda e chiccheria e i treni della metropolitana aprono le porte troppo presto. A Milano ogni cosa è nascosta: nel weekend la gente scappa e la città resta vuota. Londra è un bel mix di culture ed è lì che cucinano il miglior pollo con le spezie caraibiche che abbia mai mangiato. New York, la città che non dorme mai, è la modernità. Ma quanti topi!

Le nuove priorità dopo l’Lvmh Prize? Trovare uno spazio dove lavorare e far crescere il brand. Il mio appartamento di Milano è troppo piccolo per contenere tutto!

Un incarico da direttore creativo: è tra gli obiettivi della sua carriera? Non in questo momento. Il mio brand è ancora un bebè e ha bisogno di ogni minima attenzione. Non posso e non voglio distrarmi.

Qual è il suo sogno più grande come fashion designer?

Guidare la mia azienda, mentre partecipo a una battuta di pesca, la mia vera passione, nel bel mezzo di un fiume africano, in Bhutan o in Gabon…godendomi appieno il meglio di entrambe le esperienze. 

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MHART: SOLUZIONI LOGISTICHE PER IL MONDO FASHION

Fondata nel 2016, Mhart è una boutique company specializzata nell’handling di magazzino, con un focus specifico sull’industria della moda e del lusso. La sua mission? Progettare soluzioni che assistano le strategie commerciali, di sviluppo e di penetrazione dei brand.

Viviamo in un mondo che si muove sempre più veloce, capace di generare cambiamenti epocali a ogni svolta tecnologica. Le nostre abitudini di vita sono legate e interconnesse a ogni evoluzione, al punto che non ce ne rendiamo più quasi conto. Automazione, connessioni rapide, macchine intelligenti, intelligenza artificiale: ci siamo progressivamente adeguati a nuovi modi di interagire con servizi e prodotti, adattandoci alla velocità e manifestando esigenze sempre più sofisticate.

Anche il nostro modo di percepire le cose si è evoluto. Le emozioni ci guidano, creano legami con ciò che ci circonda e influenzano le nostre preferenze verso prodotti ed esperienze d’acquisto. In questo scenario, fatto di movimento, velocità e desiderio, la logistica è l’elemento necessario che rende applicabili

le strategie commerciali. È con questa visione di una logistica centrica, efficace, puntuale e veloce che nel 2016 viene fondata Mhart, una boutique-company specializzata nell’handling di magazzino con un focus specifico sull’industria fashion/luxury. Il suo obiettivo principale è progettare soluzioni che assistano le strategie commerciali, di sviluppo e di penetrazione dei brand. Nuovi livelli di eccellenza e affidabilità nella gestione degli ordini, nella movimentazione della merce e nella cura dei prodotti sono gli obiettivi che si possono raggiungere grazie alle tecnologie sviluppate da Mhart e alla loro applicazione funzionale. Questi permettono non solo di preservare l’esperienza di acquisto del cliente finale, ma anche di potenziarla ulteriormente.L’esperienza progettuale di Mhart e le sue best-practice consentono alle aziende del settore lusso di soddisfare

le aspettative di una clientela sempre più esigente, a prescindere della modalità di acquisto preferita. Non limitandosi a un approccio generalista, Mhart analizza i processi ed elabora i dati, ideando sistemi sulla base delle reali esigenze del cliente. Questo si traduce in progetti per sistemi di movimentazione merce process-driven e non product- driven.I progetti Mhart sono future ready: ideati per proiettare l’orizzonte logistico del cliente a supporto della crescita e delle strategie del business con efficacia e flessibilità.

Forte di un’esperienza ormai consolidata, l’azienda si afferma come leader nello specifico segmento in cui opera. We Run Fashion: in un mondo che corre sempre più veloce, Mhart è l’attore che permette alla moda di accelerare ulteriormente. Sintonizza la propria comunicazione con quella del mercato, con la velocità che lo contraddistingue.

MHART for

A colloquio con Marylin Fitoussi, costume designer famosa per gli outfit eclettici e audaci della serie Emily in Paris. Il segreto del suo successo? «Avere insegnato alle persone a esprimersi liberamente, mescolando e accostando i capi secondo il proprio estro. E pazienza se a volte l’abbinamento non è proprio indovinato»

Le Tv sono diventate quasi dei magazine su cui generazioni di consumatori trovano ispirazione: merito dei costumisti?

Il mio obiettivo con Emily in Paris non era fare una sfilata di moda. Volevo creare un personaggio smart e frizzante, con uno stile eclettico e audace. Avevo bisogno di essere un passo avanti ed evitare le mode, le vie facili. E la gente lo ha capito molto prima delle riviste.

Come spiega l’enorme successo degli outfit sfoggiati nella serie dalla protagonista, Emily Cooper (alias Lily Collins)?

Perché hanno insegnato alle persone a esprimersi, a liberare la mente, per mescolare e abbinare i capi e sentirsi belle, felici e sicure di sé. E pazienza se l'insieme a volte non è proprio indovinato: non si va in prigione.

Per lei è stata una vera consacrazione… Il mio messaggio è semplice: la gente dovrebbe divertirsi con la moda, perché la vita è troppo breve per indossare abiti noiosi.

Come si trasforma un capo in un'icona?

È una nuova era nella moda: tutto ruota attorno allo stile individuale, che vuol dire indossare abiti di marchi di livello alto e basso, stilisti classici ed emergenti, capi del mondo del lusso e del mass market, infrangendo ogni regola. Questa è la chiave di Emily, e alla fine non si sa mai quale dei capi diventerà un’icona.

Trova ispirazione nei trend di stagione?

Seguo il mio istinto, i vestiti mi raccontano una storia, mi danno un'emozione. Ho bisogno di innamorarmi di un capo, il brand non conta. Non sono schiava delle tendenze e rimango fedele a me stessa.

C’è qualche marchio che preferisce?

Più che di label sono appassionata di artisti e del loro processo creativo. Perciò Alexander McQueen e John Galliano da Dior erano per me una fonte inesauribile di ispirazione. Amo Vivienne Westwood, Balmain e i giovani nomi Charles de Vilmorin, Pressiat , Weinsanto, Pierre-Louis Mascia, Vaillant, Rowen Rose, Juana Martín. Inoltre ho scoperto di recente alla fiera Tranoï un designer sudafricano che si chiama Rich Mnisi.

Quanto peso hanno nelle sue scelte i capi vintage e i marchi sostenibili?

Ho iniziato dieci anni fa mescolando abiti vintage con abiti second hand: da allora è il mio marchio di fabbrica. Poi, dalla seconda stagione di Emily in Paris, quando ho incontrato Philippe Guillet dell'atelier Renaissance, laboratorio di riciclo di haute couture, ho aggiunto anche capi upcycled. La maggior parte dei giovani designer con cui lavoro si occupa di riciclo e moda sostenibile. Nomi come Kevin Germanier, Jeanne Friot, Inconnu.

Cosa consiglierebbe a un giovane che volesse seguire le tue orme?

Disobbedisci. Non mollare mai, sii appassionato, persevera e attieniti alla tua idea creativa, ma abbi una visione. Pensa fuori dagli schemi, sii sempre impegnato, leggi, guarda, impara.

Come evolverà lo stile di Emily e dei suoi amici nella quarta serie?

Voglio solo fare quello che non ho già fatto. Non c'è un “di nuovo”. C'è solo il passo successivo, ma dipenderà anche dalla visione di Darren Star, creatore e sceneggiatore della serie. Penso tuttavia che Emily manterrà il suo impenitente stile colorato ed eclettico, con un tocco francese.

Di recente è stata a Milano per l’incontro organizzato dalla casa di produzione The Dark Candy, che fa incontrare costume designer e marchi di moda. È stato utile?

Marylin Fitoussi (in alto) svolge il lavoro di costume designer da 32 anni. È divenuta nota al grande pubblico grazie al successo della serie Emily in Paris su Netflix (sopra, la locandina): tre stagioni, in attesa della quarta. Di recente è stata scelta come fashion editor per la campagna SS24 del salone

Che tipo di competenze sono richieste a una costumista?

Essere una costume designer non vuol dire scegliere vestiti per il red carpet, vuol dire storytelling. Aiutiamo il regista a creare la sua visione, a raccontare la sua storia e gli attori a costruire il proprio personaggio. Occorre essere pazienti e diplomatici, quasi degli psicologi, perché si ha a che fare con personalità forti, attori, registi, a volte il tuo stesso team.

The Dark Candy è stata la prima a interessarsi del mio punto di vista sulla serie. I fondatori, Valentina De Giorgi e Sakis Lalas, conoscono bene l'industria della moda e il mondo del cinema. Al meeting organizzato a Milano hanno curato un'ottima selezione di designer e sto pensando a una collaborazione con tutti loro per la prossima stagione, perché sono molto creativi, proprio nello spirito di Emily in Paris. Mi piace lavorare così: incontrare di persona gli stilisti, ascoltare le loro storie e conoscere la loro filosofia, la loro personalità e il loro dna. 

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«Fate come Emily, giocate con la moda. La vita è troppo breve per indossare abiti noiosi»
Ph © Florent Le Roux

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