e-FARCORO 2-2016

Page 8

primo piano 6 tà che non ha tempo da perdere e vuole realizzare tutto subito e in fretta: un destino che strategie ossessivamente affermative, d’immagine e da record a ogni costo del mondo sportivo, indicano benissimo. Per questo da noi cultura rima sovente e bene con «scocciatura»: poco redditizia a livello di ritorno d’immagine. Vuoi mettere le manifestazioni sportive rispetto a quei patetici manipoli di bambini che si ostinano a cantare in coro, che amano proporre repertori raffinati e non le canzoni dello Zecchino d’oro, che credono nel valore socializzante del far musica insieme? Che vada bene, fanno soltanto un po’ di tenerezza. Nulla piú. Da qualche tempo si è insinuata in coloro che non praticano il canto corale (e sono la maggioranza) la convinzione che esso sia un’attività riservata a una classe ristretta, fatta di iniziati, di appassionati, di fanatici della polifonia. Ciò spiegherebbe il perché, a causa di questa idea sbagliata, le attività corali in Italia, siano economicamente poco sostenute dalle istituzioni e figurino al fondo della lista delle priorità. Al contrario, le attività sportive godono di un’attenzione di gran lunga maggiore. Può essere per lo spettacolo che esse offrono o per gli ideali che inculcano nei giovani che le praticano, come il lavoro in équipe, la salute fisica, la volontà di riuscire? Nonostante sia ormai stato dimostrato con argomentazioni scientifiche alla mano, come l’esperienza corale non rappresenti soltanto un importante elemento di aggregazione ma anche e soprattutto un fatto culturale che ha peso nell’esistenza e nella formazione dell’individuo, sembra che alla nostra classe dirigente questa realtà non susciti alcun interesse, non sia meritevole di alcuna attenzione. Mai come oggi, invece, il verbo «educare» è stato un termine a parole cosí sacro e nei fatti un’utopia tanto irraggiungibile. Ciò che soprattutto preoccupa in questi ultimi tempi è il progressivo distacco tra cultura media e interesse alla musica nella maggioranza delle persone che seguono senza un particolare impegno le vicende quotidiane della vita nazionale. Nessuno, certo, è disposto a negare l’importanza dell’educazione musicale, salvo poi sentirsi pienamente autorizzato a non interessarsene. È un fenomeno inarrestabile, quando vi concorrano - come sta

avvenendo nella nostra società - la desuetudine per mancanza di una forza stimolante (ecco la funzione primaria della scuola!) e quindi l’indifferenza, che finirà magari per divenire intima insofferenza. Sul piano dei riconoscimenti ufficiali, la forma sarà pur sempre rispettata. E, senza intenderne la grandezza e l’incommensurabilità, i grandi creatori della musica continueranno a suscitare rispetto, compresi Palestrina, Monteverdi e Bach. Ma, al riparo dell’ufficialità, quali saranno i veri rapporti di identificazione? Tentare oggi di educare alla musica un ragazzino di quindici anni, già refrattario a ogni tipo di espressione musicale che non sia quella che gli viene dai modelli circostanti, è una pia illusione. Dalla scuola materna s’ha da cominciare, altro che storie! Con metodo, intelligenza, sensibilità. Nel bambino la sensibilità si risveglia dalle sensazioni che egli riceve. Piú tardi le riceve, meno sviluppate risulteranno le sue capacità musicali. L’educazione al suono e alla musica deve essere attiva, vivificante per influenzare lo sviluppo delle capacità dell’individuo. Educare alla musica e con la musica. A quattro anni può essere già tardi per formare l’orecchio musicale. Autorevoli studi di psicologia hanno dimostrato come le attitudini mentali del bambino siano le piú idonee per un apprendimento precoce della musica. Fin da quando vive nel grembo materno, egli assorbe tutto ciò che il mondo circostante gli trasmette e ne fa tesoro, una volta nato, nel momento della rielaborazione e della verifica cognitiva di ciò che ha appreso. Orecchio e voce sono due elementi legati indissolubilmente fra loro. Coltivando la voce si migliora anche la qualità uditiva dell’orecchio. Per questa ragione la pratica corale è un fattore importantissimo nel processo educativo del bambino. Essa deve diventare prassi comune dell’iter didattico non un qualche cosa di episodico o, peggio ancora, di eccezionale. «Le prime abitudini», sosteneva Rousseau, «sono le piú forti». Come può esservi familiarità con la musica se non la si pratica fin dalla piú tenera età? L’educazione musicale, come ogni altra disciplina, è un processo naturale che si svolge e progredisce in virtú di esperienze dirette effettuate in ambito scolastico. Nel nostro paese si pretende invece che a undici anni, con il vuoto musicale

L’educazione al suono e alla musica deve essere attiva, vivificante, per influenzare lo sviluppo delle capacita’ dell’individuo.


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.