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ALDO VIGANÒ

protagonista regista caratterista !

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Aldo Viganò è stato critico cinematografico e teatrale per “Il Secolo XIX”. Scrive per le riviste di cinema “Film D.O.C.” (ora on-line) e “Cinecritica”. Tra le sue pubblicazioni d’argomento cinematografico ricordiamo Dino Risi (1977), Federico Fellini (1981-1995, con C. G. Fava), Western in 100 film (1994), I film di Pietro Germi (1994), Commedia Italiana in 100 film (1995), La Resistenza nel cinema italiano (1995, con M. Manciotti), Storico in 100 film (1997), Claude Chabrol (1997), Sandro Ambrogio: l’ultimo dei “cinéphiles” (2019).

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Vittorio De Sica, attore e regista tutto da riscoprire, è stato l’artefice di una delle carriere artistiche più complesse e sorprendenti del Novecento cinematografico. Da “generico” debuttante in giovanissima età, ad applaudito “primo attore” del teatro di prosa; da acclamato interprete di sketches di varietà, a divo della canzone ben modulata (lo “Chevalier italiano”); da popolare protagonista del cinema degli anni Trenta, al trionfo internazionale come autore del neonato “Neorealismo”. Più tardi, negli anni Cinquanta, De Sica saprà ancora una volta reinventarsi come interprete amato dal grande pubblico, accettando con divertimento ruoli da caratterista e ottenendo negli anni Sessanta, anche come regista, un crescente successo soprattutto internazionale. Una carriera, quella di De Sica, unica nella storia del cinema. Una vita da uomo di spettacolo che questo libro ripercorre in ordine cronologico, raccontando un’irripetibile parabola creativa amata sia dagli intellettuali (come Bertolt Brecht) che dai semplici spettatori. Una filmografia punteggiata da numerosi incontri (da Mario Camerini a Sergio Tofano, da Cesare Zavattini ad Alessandro Blasetti, da Gina Lollobrigida ad Alberto Sordi, da Marcello Mastroianni a Sophia Loren) e premiata per quattro volte alla vetrina hollywoodiana degli Oscar.

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De Sica quando recita ci piace in quanto prende in giro se stesso, ed è nello stesso tempo attore e critico. Anton Giulio Bragaglia Un giovane regista del Berliner Ensemble, allievo prediletto di Bertolt Brecht (Manfred Werkwerth?), mi disse una volta una cosa che mi meravigliò: che il maestro aveva nella sua cineteca il film Buongiorno elefante e lo mostrava ai suoi allievi come un tipico esempio di recitazione epica. Gli attori dovevano imitare il mio modo di eseguire il mio personaggio. Essere allo stesso tempo esecutore del personaggio ed estraneo al personaggio, in un certo modo essere critico di se stessi. E non immergersi completamente nel personaggio. Vittorio De Sica


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RINGRAZIAMENTI Grazie a Andrea Menichelli della Cineteca di Bologna, a Roberto Della Torre della Cineteca Italiana, a Enrico D’Addario e Maria Assunta Pimpinelli della Cineteca Nazionale; a Danila Parodi del Museo Biblioteca dell’Attore di Genova; inoltre a Orio Caldiron; a Nadia Messori, Andrea Poggi, Maria Grazia Assenza e Claudio Bertieri. Grazie soprattutto a Claudia e a Luca


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INDICE

Introduzione I mille volti di un attore che volle farsi regista

p. 9

Capitolo Primo Essere e apparire: la doppia via del successo

p. 11

Capitolo Secondo La carriera di un regista

p. 45

Capitolo Terzo De Sica e Zavattini

p. 61

Capitolo Quarto Il piacere di farsi caratterista a cinquant’anni

p. 96

Capitolo Quinto Lo sguardo e lo stile

p. 160

Conclusione Dalla quantità alla qualità

p. 210


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Note al testo

p. 212

Filmografia completa

p. 214

Televisione: film e partecipazioni

p. 276

Teatrografia

p. 285

Bibliografia

p. 292


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INTRODUZIONE I molti volti di un attore che volle farsi regista Vittorio De Sica, nato a Sora in Ciociaria il 7 luglio 1901 (terzo dei quattro figli - nell’ordine Maria, Elena, Vittorio, Elmo - di Umberto, originario di Cagliari, e della romana Teresa Manfredi) e morto a Neully-sur-Seine in Francia il 13 novembre 1974, è stato un attore prolifico e molto popolare, ma anche un regista dalla carriera con esiti discontinui e difficile da incasellare in un’unica definizione. Le sue due carriere principali, quella dell’attore e quella del regista, alle quali si aggiunsero nel corso degli anni anche quelle di cantante confidenziale, di sceneggiatore e di produttore, si sono sovrapposte raramente: tre volte con ruolo da protagonista negli anni Quaranta e altre tre, poco più di “camei”, in quelli seguenti. In compenso, De Sica è stato interprete, con ruoli più o meno importanti, di 148 film a soggetto e di una ventina di film per la tv; ha firmato la regia di 28 lungometraggi e di 6 cortometraggi (o episodi di opere collettive), partecipato anche a una manciata di trasmissioni televisive, e ha recitato, soprattutto tra gli anni Venti e Quaranta, in decine di spettacoli teatrali. In una delle sue ultime interviste radiofoniche, Vittorio De Sica ebbe modo di dichiarare: «Io come attore sono nato e morto cinque volte»; ma tutta la sua carriera, che dagli inizi degli anni Quaranta alla sua scomparsa si è svolta contemporaneamente davanti e dietro la cinepresa, è stata caratterizzata, oltre che da una lunga serie di successi che lo hanno portato ai vertici di tutto ciò che faceva, anche da non pochi fallimenti. Parlare di De Sica significa innanzitutto tener presente la complessità di un personaggio che ha saputo inventare e reinventare se stesso, accreditando come autentica la sua desiderata origine partenopea e accettando che la vita debba essere continuamente rifondata. Soprattutto, nella consapevolezza che le proprie scelte non possono non tener conto del contesto nel quale hanno potuto, e dovuto, essere fatte. È questo realismo di fondo che ha permesso a Vittorio De Sica di essere protagonista di una delle carriere artistiche più articolate e sorprendenti del Novecento. Da “generico” ad applaudito “primo attore” del teatro di prosa, da acclamato interprete di sketches di un varietà pur anomalo quale fu Za Bum n. 8 a divo della canzone ben modulata (negli anni Trenta lo chiamavano lo “Chevalier ita9


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liano”). Accolto con entusiasmo come una presenza nuova sugli schermi nazionali, sin da una delle sue prime interpretazioni cinematografiche, De Sica è stato per decenni il volto (e la voce) più amata del cinema non solo nazionale. Poi, da regista di se stesso in un pugno di film paralleli alla sua attività teatrale, l’attore di successo divenne uno degli autori più apprezzati del “Neorealismo”, preannunciato da I bambini ci guardano e riconosciuto in tutto il mondo per opere quali Sciuscià, Ladri di biciclette o Umberto D. Con gli anni Cinquanta, quindi, De Sica, che è stato il primo regista italiano premiato con tre Oscar, studiato nelle scuole di cinema di tutti i Continenti, seppe reinventarsi come attore caratterista, diventando popolarissimo e amato dal grande pubblico per le sue interpretazioni al ritmo di cinque o sei film all’anno. Senza per questo, però, rinunciare al suo ruolo di regista anche dopo il tramonto storico del Neorealismo, sapendosi proporre nella nuova veste di autore di film di successo, con personaggi costruiti a tutto tondo da interpreti (soprattutto femminili, ma non solo) che seppero nutrirsi dei suoi insegnamenti come direttore di attori, ora non più presi soltanto dalla strada. Una carriera quella di Vittorio De Sica fatta di “alti e bassi” (per usare un’espressione a lui cara): punteggiata di trionfi ma anche di amare delusioni, connotata com’è da numerose cadute e da ricorrenti rinascite. Una carriera unica nella storia del cinema. Un’esistenza molte volte bruciata nella vitalistica frenesia del giocatore d’azzardo, ma anche protagonista di un’opera sempre attraversata da un autentico amore per gli esseri umani, visti nei loro pregi e nei loro difetti; abitata da personaggi sempre considerati con grande rispetto, davanti o dietro la cinepresa, tanto da indurlo sovente ad assumerne lo specifico punto di vista sulla realtà. Una vita da uomo di spettacolo a tutto tondo, la sua. Una carriera che a molti è parsa impossibile di una complessiva valutazione critica e che per tanti ancora oggi sfugge al tentativo di un’analisi unitaria. Questo libro è anche un tentativo di individuare proprio il principio di unità che attraversa tutto la sua opera di attore e di regista.

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Capitolo Primo ESSERE E APPARIRE: LA DOPPIA VIA DEL SUCCESSO Vittorio De Sica diventa attore sul palcoscenico, lasciando nel cassetto il diploma di ragioneria e rinunciando al posto che era stato di suo padre e che lo attendeva per “diritto ereditario” alla Banca d’Italia. Senza aver frequentato alcuna scuola, egli impara a recitare, dopo una brevissima esperienza filodrammatica, osservando i propri capocomici e i compagni di scena. Impara presto. Entrato in arte come “generico” nella compagnia di Tatiana Pavlova, debutta al suo fianco sul palcoscenico del romano Teatro Valle, scalando ben presto tutti i ruoli previsti allora in una Compagnia. Se nel primo spettacolo come “generico” (Sogno d’amore di Alexander Kosotorov) il giovane De Sica appariva in scena solo al terzo atto «nel ruolo di un cameriere che simboleggiava la Morte», porgendo il copricapo al protagonista (Alberto Capozzi) che andava a suicidarsi1, già nel seguente Miss Hobbs di Jerome K. Jerome era un “secondo brillante” con l’obbligo di frac, ottenendo dalla stampa la sua prima citazione («Divertente il De Sica») e partecipando con lo stesso ruolo (ma la paga elevata a dodici lire) alla tournée in America del Sud. Dalla Pavlova («una grande direttrice», egli ricordò con affetto nelle sue memorie), allieva di Stanislavski, De Sica imparò molte cose riguardo la lettura dei testi e l’impostazione del personaggio, ma (aggiunge lui) «sentivo che avrei avuto bisogno di un direttore che mi insegnasse a parlare italiano», cosa che non poteva certo dargli la precaria pronuncia della russa Pavlova. L’insegnamento di dizione lo ebbe nei due anni seguenti, entrando, dapprima come “secondo brillante” e poi come “attor giovane”, nella Compagnia che Luigi Almirante dirigeva, sino al marzo 1927 insieme a sua moglie Itala e poi, dal 1927 al 1929, con Giuditta Rissone e Sergio Tofano. Con l’esempio di questo direttore e di tali compagni di lavoro, De Sica, pur rimpiangendo ogni tanto il repertorio più impegnato della Compagnia della Pavlova, imparò l’arte dell’attore e cominciò a farsi notare anche dal cinema, che però era ancora muto e gli offriva poche occasioni per emergere. Le cose cambiarono solo quando, ormai elevato al ruolo di “primo attore” nella Compagnia Artisti Associati guidata da Guido Salvini, De Sica e i suoi giovani complici (tra gli altri la Rissone e Umberto Melnati), esibendosi in spettacoli molto lodati dalla critica, ma sovente disertati dal pubblico (erano gli anni in cui iniziavano a sentirsi gli effetti della Grande Depressione e della concorrenza del cinema sonoro), furono notati sul palcoscenico da Mario Mattoli, direttore della compagnia Za Bum n. 8, che li ingaggiò in blocco per il suo fortunato reper11


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torio di rivista, con prosa e musica. Con i primi successi popolari sulla scena, interpretando personaggi fatti apposta per attrarre un pubblico prevalentemente borghese, per il trentenne De Sica venne anche il tempo del successo sullo schermo (Gli uomini che mascalzoni...), curiosamente con il personaggio di un proletario (“un meccanico”, lo definiva il suo regista Mario Camerini) il quale gli aprì le porte di un divismo che richiedeva soprattutto capelli impomatati e abiti eleganti, quali quelli che per tutti gli anni Trenta sfoggiò ancora, sia a teatro che al cinema, il “sorridente” Vittorio De Sica. I personaggi con i quali nel corso degli anni Trenta De Sica trionfò sono caratterizzati da alcune costanti significative, tendenti a confinare la parte del giovane di origine popolare solo in alcuni film di Camerini, ma promuovendolo socialmente in numerose altre occasioni, nelle quali egli ricoprì di preferenza il ruolo del ricco borghese (Darò un milione, Pazza di gioia), del nobile (Il signor Max, Manon Lescaut), del professore (Tempo massimo) e soprattutto dell’artista più o meno scapestrato, che si concede anche qualche intermezzo canoro (Amo te sola, Napoli d’altri tempi, Hanno rapito un uomo, Le due madri, Castelli in aria, Finisce sempre così), sempre più richiesto dal pubblico. Poco alla volta, però, questi ruoli, frettolosamente etichettati nell’unica casella dei “telefoni bianchi”, portarono in primo piano una componente specifica della recitazione di Vittorio De Sica: quella del doppio, del personaggio dalla doppia vita. Cioè, quella dell’interprete che trascorre senza difficoltà alcuna, anche all’interno dello stesso personaggio, a comportamenti, ruoli sociali e stati d’animo molto diversi tra loro; dettati ora dalle circostanze, ora dalle situazioni e ora anche dall’opportunismo. E qui gli esempi diventano molteplici, riguardando gli sdoppiamenti ricco / autista (Gli uomini che mascalzoni...), segretario / tenore (La canzone del sole), investigatore / innamorato (Lisetta), milionario / barbone (Darò un milione), don giovanni / marito (Ma non è una cosa seria), giornalaio / aristocratico (Il signor Max), attore / nobile (Hanno rapito un uomo); sino a quello povero / ricco (Ai vostri ordini, signora!), violinista / principe (Castelli in aria) e milionario / anonimo contabile (Pazza di gioia). Tutti ruoli che non solo appartenevano alla tradizione - sia teatrale, sia cinematografica - di quei tempi, ma che portarono in primo piano una delle caratteristiche fondamentali di De Sica attore. Vale a dire, quella dell’interprete che non si identifica mai completamente nel personaggio, ma ne prende sempre una certa distanza, anche perché in fin dei conti lo spettatore non doveva mai dimenticare che egli stava recitando. Fingeva cioè di essere un altro. Era un attore. E proprio per questa sua caratteristica, che non a caso piacque molto anche a Bertolt Brecht, conservata ed esaltata anche da protagonista, egli passò a essere sullo schermo uno dei più richiesti caratteristi del cinema (non solo italiano), diventando poi, a partire dagli anni Quaranta, uno dei più amati e ricercati maestri di recitazione. Aprendogli la via del passaggio dall’altra parte della cinepresa. 12


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1917 - IL PROCESSO CLÉMENCEAU regia di Alfredo De Antoni (due episodi: Iza bimba e Iza donna) soggetto: dal romanzo L’affaire Clémenceau di Alexander Dumas fils - sceneggiatura: Alfredo De Antoni e Giuseppe Paolo Pacchierotti - interpreti: Francesca Bertini (contessa Iza Dobronowska), Gustavo Serena (Pierre Clémenceau), Alfredo De Antoni (Costantino Ritz), Lido Manetti (principe Sergio Stolikine), Nella Montagna (contessa Matilde), Vittorio De Sica (Clémenceau ragazzo) - durata: 107’ In carcere, Pierre Clémenceau scrive un memoriale per il suo avvocato difensore. Diventato un apprezzato scultore, egli viene introdotto nel bel mondo, dove conosce l’eccentrica contessa Iza, profuga russa, di cui s’innamora. Complice una scultura, i due iniziano a frequentarsi; ma la zia di Iza, pur in miseria, vuole per lei un matrimonio all’altezza del suo rango. Così Iza finisce con l’accettare l’assidua corte del principe Stolikine, la cui prodigalità porta anche Iza e sua zia alla rovina. Il successo intanto arride a Clémenceau. Iza e Pierre si ritrovano e si sposano. Iza diventa ogni giorno più capricciosa. Nonostante la nascita di un figlio, spende e spande. Pronuba la zia, Iza ritrova anche il principe di cui diventa la chiacchierata amante. Quando Pierre ha le prove del tradimento, le cose precipitano. Un duello mortale. Iza con la zia a Bruxelles e Pierre a Roma. I due coniugi si ritrovano a Parigi, dove Pierre, esasperato dalla incostanza di Iza, infine la uccide. Vestito da collegiale, il sedicenne De Sica esordisce sullo schermo nel ruolo di Pierre Clémenceau ragazzo, il quale annuncia alla madre di aver vinto il primo premio a scuola, proclamando poco dopo la propria vocazione a diventare scultore. Presentato da un compagno di classe al padre (il celebre scultore Tommaso Ritz), il giovane Pierre inizia così i suoi studi artistici. A questo punto, sul filo delle memorie dal carcere di Clémenceau, il protagonista diventa adulto e Gustavo Serena prende il posto di Vittorio De Sica, il quale nel film appare pertanto solo in tre scene: l’annuncio nella sartoria della madre del premio ottenuto, l’enunciazione della propria vocazione artistica nel parco con le statue e la presentazione allo scultore Ritz nel suo atelier. De Sica ricorda così le circostanze che portarono al suo debutto nella Settima Arte: «Bencivenga, che era il regista [sembra che De Sica si sia confuso: il napoletano Edoardo Bencivenga era stato il regista della prima versione cinematografica, nel 1912, del romanzo di Dumas fils, mentre il regista del film con la Bertini del 1917 che lo vede esordiente, sembra che sia stato Alfredo De Antoni - ndr] , aveva preso simpatia con mio padre e con me, perché io andavo in casa Bencivenga a cantare le canzoni napoletane accompagnato al pianoforte da papà. E allora gli dicemmo: “Caro Bencivenga, qui non ci sono i soldi per pagare le tasse a sto ragazzo”. E lui: “Gli faccio fare una parte in un mio film, la parte di Clemenceau ragazzo, e così gli danno i soldi per pagare le sue tasse”. E così 13


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mi vestirono da collegiale, io aprivo una porta, tremavo tutto e dicevo “mamma!” diverse volte e mi dettero dodici lire. Per un interesse proprio amministrativo ho cominciato l’arte cinematografica»2. 1927 - LA BELLEZZA DEL MONDO regia di Mario Almirante soggetto e sceneggiatura: Pier Angelo Mazzolotti - interpreti: Italia Almirante Manzini (Diana Altieri), Renato Cialente (il conte Reni), Guglielmo Barnabò (il fazendero brasiliano), Nini Dinelli (Manuelita), Vittorina Benvenuti, Luigi Almirante, Gino Sabbatini, Vittorio De Sica - durata: 78’ Il giovane conte Reni si imbarca su un transatlantico per l’America. Sulla nave Reni s’innamora della bella Diana Altieri, attrice di una compagnia teatrale in tournée. Ma le cose si complicano perché anche un ricco imprenditore brasiliano corteggia la donna. La sparizione di una collana fa ricadere la colpa su Reni, il quale pur di rimanere vicino all’amata accetta a Rio un umile lavoro. Alla fine si scopre che il furto è stato organizzato dal fazendero brasiliano ed eseguito dal cagnolino di Diana; ma si rivela anche che tutta la storia è il frutto della fantasia letteraria di uno scrittore di romanzi. Il film fu girato quasi completamente a bordo del transatlantico “Principessa Mafalda”, durante la traversata oceanica della compagnia teatrale AlmiranteFiori in tournée in America Latina nel 1926. Poi le riprese furono fatte anche nel teatro “Cervantes” di Buenos Aires. Alla tournée prese parte anche Vittorio De Sica, il quale però del film non parla nella propria autobiografia. All’uscita sugli schermi, La bellezza del mondo (il titolo è quello del romanzo che lo scrittore scrive a bordo della nave) non ottenne buon esito e la critica lo definì un film costruito su «una trama quanto di più cretino e inverosimile è stato scritto da un... cinematografaro», con una interpretazione «semplicemente teatrale» e con una parte tecnica «addirittura primordiale»3. 1928 - LA COMPAGNIA DEI MATTI regia di Mario Almirante soggetto dalla commedia Se no i xe mati no li volemo (1926) di Gino Rocca - sceneggiatura: Camillo Bruto Bonzi - interpreti: Vasco Creti (Momi Tamerlan), Alex Bernard (Piero Scavezza), Carlo Tedeschi (Bartolo Cioci), Elena Lunda (Irma Tamerlan, seconda moglie di Momi), Lili Migliore (Ginetta, figlia di Momi e della prima moglie di Bardonazzi), Giuseppe Brignone (Sioria), Vittorio De Sica (prof. Rosolillo, amante di Irma) - durata: 110’ 14


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Il conte Bardonazzi muore giovane, lasciando le sue cospicue sostanze a coloro che continueranno la sua vita di baldoria. Passano gli anni e gli ultimi suoi tre compagni ormai sono invecchiati, tanto che il nuovo amministratore della fondazione Bardonazzi ritiene che non ci siano più le condizioni per lasciar vivere la “Congregazione dei matti”. Spaventati dalla prospettiva, i sopravvissuti cercano di reagire riprendendo gli usi di gioventù. Ma Pietro muore (per le conseguenze di una allegra scorribanda) con il ricordo del figlio caduto in guerra. Momi perde la ragione dopo di aver scoperto la propria giovane moglie tra le braccia dell’amante, e finisce in manicomio. Bartolo rimane solo a godersi i soldi rimasti. Mentre la figlia di Momi trova forse l’amore con l’amministratore della Congregazione. Mario Almirante, fratello di Luigi, mette in scena la fortunata commedia di Gino Rocca con sfarzo scenografico e accentuandone le componenti melodrammatiche. Sperduto tra i bravi tre vecchi protagonisti, cui si aggiunge il loro coetaneo Sioria, il giovane De Sica boccheggia nel tratteggiare il personaggio sgradevole dell’amante della seconda moglie del vecchio Momi Tamerlan, nonostante si lasci credere innamorato della di lui figlia. Anche se i suoi ridicoli baffi sono meno “cinesi” di quelli che affiorano dal ricordo di De Sica, il suo terzo e ultimo film muto risulta un disastro, che fa irritare il solerte produttore Pittaluga. De Sica ricorda così, non senza ironia, questa sua prova: «L’avvocato Besozzi allora direttore degli studi cinematografici di Torino di proprietà di Pittaluga m’invitò a prendere parte in un film tratto dalla commedia di Rocca Se no i xe mati no li volemo. Ero troppo innamorato del mio mestiere di attore di prosa per aspirare a diventare attore del cinema muto. Non credevo al cinema e non mi piaceva. Besozzi insistette e, dato che in quei giorni non avevamo prove, accettai anche perché mi pagavano cento lire a posa. Girai quattro giorni, ma il mio personaggio era odioso. Interpretavo il giovane bellimbusto che circuiva la moglie del protagonista della commedia, un uomo già cinquantenne e innamoratissimo di sua moglie. La donna cedeva alla mia corte assidua e il marito ci sorprendeva in un palco durante un veglione. Era il carnevale e il povero vecchio mascherato da pagliaccio aprendo la porta del palco vedeva me che baciavo lascivamente sulla bocca sua moglie interpretata da Elena Lunda, una delle più belle donne che io abbia mai incontrato durante la mia lunga carriera di attore di cinema. Per l’edizione italiana baciavo la bocca, per le edizioni straniere baciavo il seno della Lunda. Oltre il personaggio oltremodo odioso e che incontrava le antipatie di tutti i pubblici, italiani e stranieri, il truccatore De Rossi m’aveva appiccicato un paio di baffi che partivano troppo in alto dalle narici sino agli angoli della bocca, sì da sembrare cinese. Fu per la mia carriera di divo dello schermo un inizio disastroso. Pittaluga giurò di non scritturarmi più, per tutta la vita - me lo disse l’avvocato Besozzi - tant’è vero ch’io potei tornare al cinema soltanto alla sua morte»4. 15


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1932 - DUE CUORI FELICI regia di Baldassarre Negroni soggetto: dalla commedia Geschäft mit in Amerika di Paul Franck e Ludwig Hirschfeld - sceneggiatura: Hans H. Zerlett e Max Neufeld - riduzione italiana: Aldo Vergano e Raffaello Matarazzo - interpreti: Rina Franchetti (Anna Rosi), Mimi Aylmer (Clara Fabbri), Vittorio De Sica (mister Brown), Umberto Melnati (ingegnere Carlo Fabbri), Loli Pilotto (Nina, la cameriera), Giorgio Bianchi (un amico di Fabbri al night) - durata: 78’ Una casa automobilistica americana manda in ispezione in Italia il figlio di Brown, il presidente. Il giovanotto viene invitato a cena dal titolare dell’agenzia romana della ditta, ma poco prima del suo arrivo la moglie del padrone di casa esce arrabbiata per un alterco coniugale che riguarda il suo cane Bibi. A causa di un equivoco, il nuovo venuto scambia per la moglie la segretaria del suo ospite, il quale è costretto ad accettare la situazione. Il ritorno della moglie ingarbuglia le cose, tanto più perché ora costei finge di essere la segretaria del marito. In cerca di una compagna, Brown corteggia entrambe le donne. Alla fine, tutto si chiarirà con soddisfazione collettiva. Quasi un’operetta, nella quale cantano tutti (con in primo piano Loli Pilotto nella vivace caratterizzazione della cameriera ubriaca). Per la prima volta al cinema, canta anche De Sica (con gli altri accanto al pianoforte, da solo per una canzone dedicata alle donne, in birreria). Pur imprigionato in un personaggio schematico e costretto a parlare con l’impaccio di un invadente accento yankee, De Sica se la cava. Il personaggio di Mr. Brown deriva direttamente dalla rivista Za Bum n. 8 che proprio in quell’anno stava aprendo a De Sica e ai suoi compagni (tra cui la Rissone e Umberto Melnati) la via del successo popolare. In questo suo primo film sonoro (rifacimento italiano del tedesco Ein Bisschen Liebe für Dick diretto da Max Neufeld), De Sica mostra ancora qualche difficoltà recitativa (molto meglio, favorito forse anche dal personaggio drammaturgicamente più mosso, funziona Melnati), ma proprio in quello stesso anno Mario Camerini seppe valorizzare in modo compiuto l’ormai trentenne astro in ascesa: sia come attore, sia come cantante. 1932 - GLI UOMINI CHE MASCALZONI... regia di Mario Camerini soggetto: Aldo De Benedetti e Mario Camerini - sceneggiatura: Aldo De Benedetti, Mario Camerini e Mario Soldati - interpreti: Vittorio De Sica (Bruno), Lya Franca (Mariuccia), Cesare Zoppetti (Tadino, suo padre), Aldo Moschino (conte Piazzi), Pia Lotti (Gina), Gemma Schirato (la vedova), Anna D’Adria (Letizia), Tino Erler (Mario Castelli), Maria Montesano (la donna delle caramelle) - durata: 63’ 16


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Gli uomini che mascalzoni (1932)

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Milano, nei giorni attuali. Lo chauffeur Bruno usa l’auto di lusso del proprio datore di lavoro per fare colpo sulla commessa di profumeria Mariuccia. Quando la conduce in una gita ai laghi, incontra però per caso la moglie del suo padrone e deve riaccompagnarla a casa, lasciando Mariuccia da sola e senza soldi. Sulla via del ritorno, Bruno ha un incidente, in conseguenza del quale viene licenziato. Umiliata e offesa, Mariuccia non vuole più vederlo, ma quando scopre la verità lo perdona. Per la coppia, nascono nuovi equivoci e bisticci. La loro storia amorosa prosegue alla Fiera di Milano ed entra in crisi al Luna Park; infine, viaggia verso l’happy end sul taxi del padre di Mariuccia. Ricorda De Sica nelle sue memorie: «Durante la lunga stagione teatrale con Za-Bum n. 8 venne da me Mario Camerini a offrirmi una parte in un suo film, che avrebbe avuto inizio a Milano e alla Fiera. Ma trovava degli ostacoli presso la Direzione della Cines. Mi sottoposi a un provino che Camerini (dopo aver rinunciato a gonfiarmi le gote) decise di mandare a Roma alla Cines. Tutti contrari tranne Emilio Cecchi che era allora il Direttore consulente artistico della Cines. Camerini poté quindi iniziare le riprese di Gli uomini che mascalzoni... con me protagonista. Il film fu accolto con grande entusiasmo anche perché il cinema italiano rinunciava così a quelle pellicole dove il protagonista era un eroe o un grande passionale tragico. (...) Avevo allora trentun anni, ma in Francia al film dettero il titolo Vent’anni: ho sempre dimostrato molto meno della mia età»5. De Sica è il protagonista assoluto (con Lya Franca) di questo “piccolo” film girato per gli interni negli stabilimenti Cines e per gli esterni ad Arona e alla Fiera di Milano. Il film è stato presentato alla 1a Mostra del Cinema di Venezia, 1932: unico film a soggetto italiano, insieme a Due cuori felici, e fu accolto con riserva, come testimonia tra gli altri anche Giovanni Caledoli, il quale in Venti anni di cinema a Venezia, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1952, scrisse tra l’altro: «I valori peculiari (del film) furono poco compresi dalla critica del tempo; piacque del film la spontaneità, la gaiezza, l’amabile spirito, cioè l’aspetto più propriamente comico». E ancora oggi queste “amabilità”, “spontaneità” e “gioia di vivere” la propria giovinezza risultano essere le qualità maggiori del film che aprì le porte del cinema a Vittorio De Sica. L’attore, già allora abbastanza noto per i suoi dieci anni di vita sul palcoscenico, sfrutta al meglio la propria simpatia coniugata su una via di mezzo tra la caratterizzazione dell’intraprendente mascalzone (quello che insegue le ragazze in bicicletta, con il berretto in testa) e il giovanotto un po’ imbranato nella sua giacchetta troppo stretta e con quel modo già tutto “desichiano” di ostentare qualità di conquistatore. Con cravatta o papillon sotto il sorriso smagliante e un naso effettivamente un po’ troppo grosso, De Sica dà vita a un personaggio insieme divertente e commovente, che ben riesce a interpretare lui ciociaro, cresciuto a Napoli - l’attivismo e la voglia di lavorare di quella Milano dall’intenso traffico automobilistico, con i suoi negozi sempre aperti, caratterizzata dalla frenesia industriale e consumistica della sua Fiera Campionaria, che proprio in quegli anni veniva rilanciata in grande stile. 18


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1932 - LA SEGRETARIA PER TUTTI regia di Amleto Palermi soggetto: dalle riviste Za-Bum n. 8 di Dino Falconi e Oreste Biancoli - sceneggiatura: Mario Mattoli e Amleto Palermi - interpreti: Vittorio De Sica (un gagà), Umberto Melnati, Giuditta Rissone, Arturo Falconi, Camillo Pilotto, Amelia Chellini, Checco Rissone - durata: 85’ Oggi irreperibile anche negli archivi delle maggiori cineteche internazionali, il film sembra che sia la versione quasi letterale di quattro sketches di successo tratti dagli spettacoli (Le lucciole della città, Le nuove lucciole, Tredes Corn, Soldati 900) della rivista Za Bum n. 8, per la quale Mario Mattoli aveva scritturata tutto la compagnia teatrale di cui faceva parte De Sica. Compagnia scoperta e rilevata (salvandola dal probabile fallimento) da Mattoli a Milano nel 1931 e da lui portata in poco tempo a un clamoroso successo nazionale. 1932 - LA VECCHIA SIGNORA regia di Amleto Palermi soggetto: Amleto Palermi - sceneggiatura: Amleto Palermi e Orsino Orsini interpreti: Emma Gramatica (la signora Maria), Arturo Falconi (il fiaccheraio Zaganella), Anna Maria Dossena (Bianca, la nipotina), Memo Benassi (Joe), Nella Maria Bonora (la sua amante), Camillo Pilotto (il commissario), Vittorio De Sica (il fine dicitore) - durata: 90’ Una nobildonna ridotta sul lastrico da rovesci finanziari vende caldarroste nei pressi di una osteria malfamata, ma mantiene la nipote in un collegio di lusso. Quando la nipote le comunica che il padre del giovane, il quale intende sposarla, vuole conoscerla, l’anziana signora organizza, con l’aiuto di un cocchiere rimastole fedele, un incontro nel palazzo patrizio che era stato suo. Incontro al quale potrà partecipare solo all’ultimo momento, perché arrestata per un traffico di banconote false organizzato dai frequentatori della vicina osteria. Anche questo film, nel quale De Sica canta Zagané Zagané, risulta non più reperibile. Nelle recensioni che ci sono giunte si legge tra l’altro: «Attrici come la Gramatica vanno lasciate libere di fare quello che credono, secondo il loro stile; ma forse sarebbe stato possibile evitare negli altri interpreti quella tendenza a strafare, che fa pensare ai convenzionalismi e agli artifici da palcoscenico»6. Nelle sue memorie, De Sica cita il film (vagamente ispirto alle stesse fonti letterarie dell’hollywoodiano Signora per un giorno) come se fosse stato girato anche prima di Due cuori felici e di Gli uomini che mascalzoni...

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1933 - IL SIGNORE DESIDERA? regia di Gennaro Righelli soggetto: Aldo De Benedetti - sceneggiatura: Aldo De Benedetti e Duilio Coletti - interpreti: Vittorio De Sica (Martino), Dria Paola (Mirella), Ada Dondini (zia Clarice), Cesare Zoppetti (direttore del magazzino), Francesco Amodio (Tobia, il contadino), Pino Locchi (il bambino) - durata: 84’ Un ladruncolo di borsette e portafogli in un grande magazzino viene scoperto da una commessa, la quale, invece di denunciarlo, riesce a ricondurlo sulla retta via. Ancora un altro film oggi irreperibile, ma di cui sul Corriere della Sera (29 novembre 1933) Filippo Sacchi, certificando l’ormai raggiunta notorietà di De Sica, scrive: «Direttore e produttore si sono affidati solo alla presenza di De Sica (...). Il risultato è che questo, benché abbia momenti tra i migliori che conosciamo di lui (...), nel complesso appare meno sicuro di sé, meno comunicativo, meno ricco di quel facile e simpatico affiatamento che è, anche sullo schermo, la sua nota dominante». 1933 - UN CATTIVO SOGGETTO regia di Carlo Ludovico Bragaglia soggetto: liberamente tratto dalla commedia The Devil to Pay di Frederick Lonsdale - sceneggiatura: Carlo Ludovico Bragaglia e Fulvio Palmieri - interpreti: Vittorio De Sica (Willy), Irina Lucacevich (Dora), Laura Nucci (Mary, la divetta del varietà), Giuditta Rissone (Susanna, sorella di Willy), Amelia Chellini (la zia di Dora), Egisto Olivieri (lo zio di Dora), Guglielmo Barnabò (il padre di Willy e Susanna) - durata: 63’ Un giovanotto scapestrato s’innamora di una bella straniera e per questa rompe il fidanzamento con una fanciulla di nobili origini. La relazione con la straniera prosegue tra incomprensioni, gelosie e litigi, ma infine si conclude con i fiori d’arancio. In questo remake di un film del 1931 (The Devil to Pay) di George Fitzmaurice, con Ronald Colman e Loretta Young, tratto dalla commedia di un autore inglese (Frederick Lonsdale, 1881-1954) già due volte (Alla prova, 1930-31 e Aria nuova, 1931-33) portato sulle scene da Vittorio De Sica, si dice che egli canti anche Sono tre parole, Mezz’ora con voi e Ma la mamma lo sa..., mentre la struttura drammaturgica di base sembra essere stata rispettata, anche se la cosa è impossibile da verificare, essendo il film considerato definitivamente perduto. Restano solo alcune recensioni tra cui quelle tra loro contrastanti di E. M. Margadonna (Illustrazione italiana, n. 43, 22 ottobre 1933): «De Sica mi è parso pericolosamente proclive ad una leziosaggine che finirà prima o poi per nuocer20


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Gli uomini che mascalzoni (1932)

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gli» e di Filippo Sacchi (Corriere della Sera, 7 ottobre 1933), in cui si legge tra l’altro: « Astro del film è De Sica, che tiene con naturalezza lo schermo, trovando quasi sempre il tono giusto. Un’interpretazione che nulla lascia a desiderare in fatto di garbo e scioltezza. Quanto alla direzione di Bragaglia giova riconoscere che, tra i tanti film del genere, questo è uno dei meglio tagliati, dei meglio inquadrati, registicamente più vivi». 1933 - LA CANZONE DEL SOLE regia di Max Neufeld soggetto e sceneggiatura: Giovacchino Forzano - interpreti: Vittorio De Sica (Nino Paladino), Lilian Deitz (Frida), Giacomo Lauri Volpi (se stesso), Umberto Melnati (l’impresario Bardelli) - durata: 85’ Affascinata dalla voce del tenore italiano Lauri Volpi, una ragazza tedesca va in treno sino a Venezia per incontrarlo. Qui, si presenta cantando “Santa Lucia” al suo segretario, credendo che sia il celebre cantante, e questo asseconda il suo errore al fine di poterla corteggiare. Insieme, i due giovani vanno a Roma, dove fanno i turisti al Colosseo e s’innamorano. Poi, si trasferiscono, sempre in automobile scoperta, a Napoli e a Capri. Lei vorrebbe che lui cantasse, ma lui rinvia ogni volta. A Capri, li raggiunge anche un impresario che vorrebbe scritturare il tenore. La sostituzione di persona è scoperta. La ragazza fugge e va a Verona, dove all’Arena Lauri Volpi canta in Il trovatore. Ma, quando il segretario e l’impresario raggiungono la ragazza, la vicenda viaggia ormai velocemente verso il lieto fine. Girato a Berlino in due versioni (italiana e tedesca), con lo stesso cast di attori protagonisti. Io ho visto solo la versione tedesca, con Erhard Siedel nel ruolo che era stato di Umberto Melnati.

Capelli impomatati e consueto sorriso smagliante, Vittorio De Sica gigioneggia alquanto, forse approfittando del fatto che si trova a dover parlare in tedesco. Probabilmente mal diretto da un regista che conosce poco l’italiano, egli calca soprattutto sulle modalità teatrali del suo personaggio, risultando divertente solo quando fa ricorso al suo tedesco di matrice scolastica. Per il resto, il film rimane confinato entro i limiti programmatici di una pellicola turistica, con accompagnamento lirico affidato alla voce del tenore Giacomo Lauri Volpi.

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1933 - LISETTA regia di Carl Boese soggetto: dal romanzo Das Blumenmädchen vom Grand-Hotel (La ragazza e il diamante) di Eberhard Frowein - sceneggiatura: Robert A. Stemmle e Oreste Biancoli - interpreti: Elsa Merlini (Lisetta), Renato Cialente (Eduard G. Swalt), Vittorio De Sica (Fritz Peter), Memo Benassi (Herrman, il maggiordomo), Gianfranco Giachetti (papà Hoppe) - durata: 84’ Uno ricco scapolo, Swalt, s’innamora di una povera fioraia e, non volendo essere amato per i suoi soldi, la mette alla prova affidandole un prezioso diamante con l’impegno di restituirglielo a richiesta. Contemporaneamente, incarica un giovanotto senza arte né parte di seguirla e riferire. A causa di una serie di equivoci, la fioraia viene scambiata in un grande magazzino per una miliardaria americana e diventa amica di chi la sta pedinando. Viene anche scritturata come attrice di varietà. Ne consegue che, quando Swalt le chiede la restituzione del gioiello e di sposarlo, la ragazza si è ormai innamorata di chi non l’ha persa mai di vista. Il film è la versione italiana di un film girato a Berlino in doppio audio. Un film curioso, con Benassi che fa il maggiordomo del romantico Cialente, con Elsa Merlini protagonista canterina e come al solito ricca di smorfie d’epoca e con un De Sica con indosso una giacca troppo stretta e con in testa un berretto proletario che a tratti ricorda l’aspetto e il comportamento del protagonista di Gli uomini che mascalzoni.... Magrissimo e con il naso molto pronunciato, De Sica dà nel complesso buona prova di sé, anche se la sua recitazione risulta ancora un po’ legnosa. Il personaggio è comunque già ben definito, comprendendo anche l’idea del doppio (e quindi la riflessione sul recitare) che gli sarà sempre più congeniale come attore. 1934 - TEMPO MASSIMO regia di Mario Mattoli soggetto e sceneggiatura: Mario Mattoli - interpreti: Vittorio De Sica (prof. Giacomo Benti), Milly (Dora Sandri), Camillo Pilotto (Antonio, il maggiordomo), Amelia Chellini (zia Agata), Enrico Viarisio (Alfredo Martinelli), Anna Magnani (Emilia, cameriera di Dora), Nerio Bernardi (Bob Huerta), Checco Rissone (un ciclista). Mario Mattoli (il signore furibondo) - durata: 76’ Timido e introverso, accudito a olio di fegato di merluzzo dalla ricca zia Agata, il professor Giacomo Benti, esperto di botanica, si vede piovere addosso una ragazza, mentre in barca sta pescando nel lago vicino alla villa dove abita. La paracadutista ha molti amici e un sedicente fidanzato, che trascorrono la notte a casa del professore, il quale, affascinato da lei, impara a bere e fumare, compone una canzone e s’improvvisa sportivo. Quando la zia lo disconosce, 23


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Giacomo accetta di mettersi a lavorare, facendo anche l’uomo-sandwich, ma sempre senza successo. Sino a che, scoperto che la ragazza sta per sposare un farabutto, corre a impedirne le nozze e la rapisce ancora in abito da sposa. Con baffi e barbetta, De Sica incontra per la prima volta al cinema Mario Mattoli, il regista che con Za-Bum n. 8 lo aveva consegnato, sul palcoscenico, al grande successo popolare. Il personaggio è chiaramente costruito per lui e modellato sulla sua versatilità. È timido e un po’ impacciato in tutta la prima parte, nella quale però un ricciolo ribelle gli scompiglia “ammiccante” la curata pettinatura. Diventa un cantante confidenziale con Dicevo al cuore di Marf (Mario Bonavita) e Vittorio Mascheroni, quando scopre di essere innamorato della donna, Milly, che gli è letteralmente piovuta tra le braccia dal cielo. Quindi, anche disposto a tutto per conquistare l’amata: a convertirsi al jazz e a improvvisarsi per lei sciatore, rompendosi inevitabilmente le ossa, o corridore ciclista, per rivalità con chi (Enrico Viarisio) gli è stato indicato in malafede come un rivale in amore. E, infine, dopo di essersi rasato e di essere tornato a mettersi la brillantina sui capelli, De Sica si fa protagonista di una corsa con più mezzi di locomozione (citazione voluta di comiche del muto e anticipazione inconsapevole di Il laureato) per giungere in tempo a portare via la sua bella dall’altare e baciarla sotto lo sguardo compiaciuto dell’onnipresente maggiordomo Camillo Pilotto. Un film vivace anche se un po’ pasticciato, nel quale De Sica, giovane e accattivante, sfrutta abilmente le proprie esperienze teatrali e il proprio guardaroba per la scena: compreso l’uso dei suoi tanti abiti, sia signorili, sia popolari. Tra doppiopetto, tuta da sci, maglia da ciclista e abiti da lavoro, la sua cifra visiva è però sempre quella dell’eleganza, che non sfigura mai anche sullo sfondo fisico e dialettale milanese, favorito dalla complicità di Milly. 1935 - AMO TE SOLA regia di Mario Mattoli soggetto: dalla commedia Il gatto in cantina di Nando Vitali - sceneggiatura: Mario Mattoli, Giacomo Gentilomo, Curt Alexander e Gherardo Gherardi - interpreti: Vittorio De Sica (Giovanni Pagano), Milly (Grazia), Enrico Viarisio (avv. Piccoli), Giuditta Rissone (Carlotta, sua moglie), Ada Dondini (donna Giuditta), Carlo Ninchi (Cesare Baldi), Renato Cialente (Sandro, il barone) - durata: 72’ Firenze 1848. Al caffé, un compositore napoletano scrive per i liberali l’inno dei Volontari e s’innamora di una ragazza, pupilla di un commissario della polizia austriaca. Arrestato e espulso dalla città con foglio di via, il compositore trova il successo a Milano, ma per amore torna in compagnia di un amico donnaiolo a Firenze. Qui ritrova la ragazza che crede sposata. I due litigano per un poco. Ma quando il compositore parte per la guerra d’indipendenza, i giovani si riconciliano. 24


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Il secondo incontro cinematografico tra De Sica e Mattoli avviene sotto il segno retrospettivo della Storia, ma si sviluppa con i toni romantici e sentimentali che ben si addicevano all’attore, il quale aveva allora trentaquattro anni. De Sica interpreta qui per la prima volta un personaggio che appartiene a un’epoca passata. Nel corso del film, canta una romanza napoletana e compone all’impronta un inno patriottico. Capelli ondulati con riga a sinistra e ogni tanto un ricciolo ribelle che gli cade sulla fronte, la sua recitazione è languida come si conviene al romantico personaggio, ma sortisce anche un’interpretazione molto efficace. Sempre al servizio di un film, che - approfittando probabilmente della lontananza storica - fa ampio uso delle inflessioni dialettali. Nella colonna sonora si odono il napoletano, il milanese, il fiorentino. De Sica resta fedele nel tempo al suo primo amore, mentre questa volta il ruolo del donnaiolo è assunto da Carlo Ninchi. 1935 - DARÒ UN MILIONE regia di Mario Camerini soggetto: dal racconto Buoni per un giorno di Giaci Mondaini e Cesare Zavattini - sceneggiatura: Mario Camerini, Cesare Zavattini, Ivo Perilli - interpreti: Vittorio De Sica (Gold), Assia Noris (Anna), Luigi Almirante (Blim), Mario Gallina (cav. Primerose, direttore del circo), Franco Coop (banditore del circo) durata: 76’ Coppa del Ministero delle Corporazioni alla Mostra di Venezia 1935. Due tentativi di suicidio falliscono contemporaneamente. Finiscono in acqua un milionario che per noia si è gettato dal suo yacht e un barbone affamato. Il primo dice al secondo che sarebbe disposto a dare un milione a chi facesse un gesto generoso e spontaneo nei suoi confronti. E il barbone lo comunica subito alla stampa, la quale spara in prima pagina la notizia. Si scatenano così una gigantesca caccia all’uomo e una forsennata gara ad aiutare quello che potrebbe essere il milionario. Costui, intanto, conosce una ragazza che ama i cani e lavora in un circo. Ben presto se ne innamora, sotto le mentite spoglie del barbone. Lo sdoppiamento di persona continua sino a che lui, commosso dalla disinteressata generosità della ragazza, la porta sul suo yacht e le chiede di sposarlo. Tratto da un racconto di Cesare Zavattini, il secondo film del felice sodalizio tra Camerini e De Sica sposta il centro narrativo dal realismo sentimentale di Gli uomini che mascalzoni..., verso i toni onirici della favola sociale, che - complice Zavattini - anticipano già qualcosa di ciò che sarà più tardi Miracolo a Milano. Alle prese con il personaggio di un milionario annoiato, che inizia a conoscere il mondo travestito da barbone, De Sica sviluppa qui come attore i temi a lui già molto cari del doppio, delle risorse drammaturgiche in esso contenute e delle 25


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ricadute che questi temi hanno sulle sue modalità recitative. Il resto, lo fa soprattutto Camerini inserendo nel film sequenze da cartone animato (il gioco delle ombre dietro alle lenzuola stese ad asciugare al sole) e utilizzando con molta libertà un montaggio che rinvia esplicitamente al cinema muto. Affiancato per la prima volta dalla bella Assia Noris, la cui voce miagolante andava molto di moda negli anni Trenta, De Sica riprende qui molte movenze della sua esperienza teatrale, ma sa anche valorizzare al meglio la propria fotogenia, caricandola di una tonalità melanconica che nel corso del film va lentamente a sparire, sino a far trionfare appieno il suo più accattivante sorriso. 1936 - NON TI CONOSCO PIÙ regia di Nunzio Malasomma soggetto: dalla commedia omonima di Aldo De Benedetti - sceneggiatura: Aldo De Benedetti e Fritz Eckardt - interpreti: Elsa Merlini (Luisa Malpieri), Vittorio De Sica (dott. Alberto Spinelli), Enrico Viarisio (Paolo Malpieri), Ninì Gordini Cervi (la dattilografa) - durata: 65’ Per vendicarsi del marito che non vuole comperarle un’auto nuova, Luisa approfitta del fatto di averlo trovato tra le braccia della dattilografa per fingere di non riconoscerlo più. Chiamato dal marito, interviene un giovane psicologo, che lo convince ad assecondare la donna in ogni cosa. La situazione si complica con l’arrivo imprevisto di una zia di Luisa e con il fatto che costei si ostina a riconoscere nello psicologo suo marito. Tra equivoci e scambi amorosi, la cosa va avanti sino a che Luisa decide di rinsavire di colpo. Ancora il trasferimento sullo schermo di una commedia di Aldo De Benedetti, che fa scrivere a Enrico Roma (Cinema illustrazione, 19 febbraio 1936): « Il compito di giudicare questa commedia spetta al critico drammatico e non a quello cinematografico. Dicono che questi trasferimenti dal palcoscenico allo schermo, scrupolosamente fedeli, siano commercialmente redditizi. Non discuto. Gli interpreti sono bravissimi, come ogni sera nei teatri in cui agiscono, dinnanzi a folle plaudenti». Ma, indipendentemente dai suoi lapalissiani debiti teatrali, Non ti conosco più offre anche a De Sica e a Viarisio l’occasione di una saporita performance cinematografica; mentre la vera protagonista della commedia resta Elsa Merlini che sembra divertirsi molto a fare la finta pazza, nella sua lussuosa casa accudita da tre persone di servizio. Accanto a un Viarisio molto convincente, De Sica fa appello alla sua ormai lunga esperienza sulla scena, finendo con l’innamorarsi in modo improvvido della propria “paziente”, con la quale si esibisce anche al pianoforte in un duetto sulle note della canzone di Bixio e Cherubini Dammi un bacio e ti dico di sì.

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1936 - LOHENGRIN regia Nunzio Malasomma soggetto: dalla commedia omonima di Aldo De Benedetti - sceneggiatura: Aldo De Benedetti, Nunzio Malasomma e Fritz Eckardt - interpreti: Vittorio De Sica (Alfredo Martelli), Giuditta Rissone (Marianna, sua moglie), Sergio Tofano (Giulio, il socio), Mimì Aylmer (Lia), Luigi Almirante (Edmondo) - durata 78’ In una casa di campagna, dove vivono in vacanza due soci e la moglie di uno di questi, una coppia di amici annuncia l’imminente arrivo di Lohengrin: un cugino che vive in Sud America e che ha fama d’irresistibile dongiovanni. Mentre gli uomini considerano questa intrusione un fastidioso incomodo, le donne sono eccitate e fanno preparativi per la sua migliore accoglienza. La casa viene completamente rinnovata. Ne nascono gelosie, ripicche e illusioni. Ma anche profonda delusione, quando l’ospite arriva e si rivela essere un ometto occhialuto e con pancetta prominente. Malasomma firma un film piacevole e scorrevole, ben fotografato e ottimamente interpretato da tutti: protagonisti e comprimari. Come si dice fosse già stato a teatro, dove Lohengrin venne replicato per più stagioni dal 1933 al 1935, il punto di forza della commedia sta nella coppia Tofano - De Sica. Vestiti in modo molto simile e con movenze al limite della farsa, i due attori danno vita a un esilarante gioco del doppio, gareggiando in bravura e in simpatia nel costruire un controcanto recitativo di primissima qualità alle smanie di arredatrice di Giuditta Rissone, alla quale viene affidato anche il compito di sottintendere le segrete pulsioni erotiche che allora non potevano essere rese più esplicite. Lohengrin è forse il film che meglio di ogni altro sa restituire il fascino attoriale che dovevano avere sul palcoscenico il giovane Vittorio De Sica e tutta la compagnia di Sergio Tofano, il quale compete qui alla pari con il suo primo attore: anzi, sopravanzandolo a tratti in virtù di quel suo stile di comprimario o di caratterista, che ancora per molti anni risulterà sorprendentemente moderno. 1936 - MA NON È UNA COSA SERIA regia di Mario Camerini soggetto: dalla commedia omonima di Luigi Pirandello - sceneggiatura: Mario Soldati e Ercole Patti - interpreti: Vittorio De Sica (Memmo Speranza), Elisa Cegani (Gasparina Torretta), Umberto Melnati (Vito Lamanna), Assia Noris (Loletta Festa), Elsa De Giorgi (Elsa Rossi Bellini), Mario Ferrari (Magnasco), Vivi Gioi / Vivien Diesca (la maestrina) - durata: 78’ Un giovane ricco e attraente passa da una storia d’amore all’altra, ma quando si parla di matrimonio si tira sempre indietro: anche a costo di essere coinvolto in un duello o di ricevere un colpo di pistola dal fratello dell’ultima fidanzata. 27


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Uscito di clinica, il giovanotto decide allora di sposarsi (“ma non è una cosa seria”), con la gentile proprietaria della pensione dove sovente risiede, al fine di tenersi lontano dalle tentazioni e dalle rivalità. Il programma, però, non funziona. Le donne continuano a cercarlo. E nel corso di una trasferta in campagna, finalizzata a parlare con un altro pensionante della possibilità di annullare il matrimonio perché non consumato, il dongiovanni impenitente scopre di amare, ricambiato, la propria “finta” moglie. L’incontro di De Sica con questo testo di Luigi Pirandello avviene prima al cinema che a teatro, dove lo interpretò solo nei primi anni Quaranta. L’entrata in scena del protagonista è cinematograficamente memorabile: prigioniero della camicia che sta per infilarsi dalla testa, lo si riesce a vedere in faccia solo dopo l’intervento in suo aiuto dell’ultima amante (Assia Noris). Viene così alla luce un personaggio doppio che non a caso dialoga con se stesso allo specchio e che non sa mai decidere che cosa vuole davvero fare nella vita, almeno sino a che verrà definitivamente (?) sedotto dalla verginità della sua accondiscendente pensionante. Nel ruolo del donnaiolo, De Sica sceglie soprattutto il tono della passività. Si lascia infatti sempre sedurre; senza prendere mai lui l’iniziativa. E, anche se questo un poco lo disumanizza, sta però proprio in ciò il fascino maggiore del personaggio offertogli (ed è la terza volta) da Mario Camerini. Nota: nel ruolo della maestrina che abita nella pensione, appare Vivi Gioi che i pettegolezzi mondani dicevano essere allora l’amante di De Sica e che, certo non per caso, si firma nel film con l’ammiccante pseudonimo di Vivien Diesca: palese anagramma del cognome di colui che l’anno seguente sarebbe diventato il marito dell’attrice Giuditta Rissone, con la quale De Sica faceva Compagnia dal 1927. 1936 - L’UOMO CHE SORRIDE regia di Mario Mattoli soggetto: tratto dalla commedia omonima di Luigi Bonelli e Aldo De Benedetti - sceneggiatura: Luigi Bonelli e Aldo De Benedetti - interpreti: Vittorio De Sica (Pio Fardella), Assia Noris (Adriana Piazza), Umberto Melnati (ing. Dino Santini), Enrico Viarisio (comm. Ercole Piazza), Paola Borboni (contessa Clelia), Luisa Garella (Edvige, sua nipote) - durata: 72’ Rimasto vedovo con una figlia caparbia e capricciosa, un ricco industriale vorrebbe sistemarla anche per riavere la propria libertà. Dopo il quarto rifiuto del matrimonio combinato, in suo soccorso arriva il giovane Pio che accetta di sposare la ragazza in cambio di un’ingente dote. Con pazienza e tolleranza (e qualche divagazione narrativa), la “bisbetica” sarà domata: sino all’inevitabile bacio finale. 28


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Darò un milione (1935)

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Sorriso stampato sotto i sottili baffetti neri e l’immancabile chioma impomatata, Vittorio De Sica riprende, al fianco di Viarisio e di Melnati, il personaggio che aveva già portato sul palcoscenico in loro compagnia, non aggiungendovi di fatto nulla di nuovo, ma garantendogli una recitazione sobria e sorniona (con quella sua postura vagamente “obtorto collo”), lasciando questa volta gli immancabili gigionismi ad Assia Noris e ai suoi due colleghi. Tra un sorridente silenzio e l’altro, trova anche modo di infilarci una canzone, cantando al pianoforte per lo smemorato Viarisio parole e musica di Bixio: Se mi parlano di te... Mattoli registra sulla pellicola, con molta discrezione, un valido esempio di quello che era la recitazione teatrale di quel tempo, non aggiungendovi nulla di nuovo, ma servendo al meglio questa libera e superficiale rilettura di La bisbetica domata di Shakespeare. 1937 - QUESTI RAGAZZI regia di Mario Mattoli soggetto: dalla commedia omonima di Gherardo Gherardi - sceneggiatura: Aldo De Benedetti e Mario Mattoli, dialoghi di Gherardo Gherardi - interpreti: Vittorio De Sica (Vincenzo), Paola Barbara (Giovanna), Giuditta Rissone (zia Lucia), Enrico Viarisio (Giangiacomo Pastori) - durata: 68’ Due giovani, destinati sin da ragazzi dalla loro bizzarra zia a sposarsi, scoprono in viaggio di nozze di non amarsi. Decidono allora di dire alla zia la verità, ma al dunque non osano: sia per la tenerezza che suscita in loro l’idillio tra la zia e il medico condotto, sia per la gelosia che lui prova per la corte insistente che a lei fa un dongiovanni da strapazzo. Finisce che si scoprono innamorati e riprendono ora con convinzione il viaggio di nozze interrotto. All’origine del film c’era la commedia di Gherardi già portata sulle scene teatrali nelle stagioni 1933-1935 dalla compagnia Sergio Tofano, Giuditta Rissone e Vittorio De Sica, e proprio riferendosi a questa edizione lo stesso Gherardi scriveva (Cinema, 25 dicembre 1936): « Devo riconoscere che la Rissone e De Sica, che sono i due interpreti principali della commedia e anche del film, hanno molto contribuito [al felice esito della pellicola], perché avevano nel sangue la logica dei personaggi originali e ne hanno conservato intatto il mondo spirituale». Ma pochi giorni dopo Filippo Sacchi commentava sul Corriere della Sera del 4 febbraio 1937, a proposito di questo film oggi non più reperibile: «Gli stessi personaggi, le stesse situazioni, trasportati sullo schermo con la stessa prospettiva che avevano sul palcoscenico, si appiattiscono e si affievoliscono, e il risultato è poco ispirato: precisamente perché qui c’era qualcosa da esprimere e non bastava, come in altri recenti saggi di teatro filmato, risolvere la situazione con qualche lazzo in carrellata o qualche fetta di esterno incastrata nell’azione». Mentre due giorni dopo Sandro De Feo rincarava la dose su Il Messaggero: «La sentimenta30


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le ironia e il dolce filosofare in sordina dei personaggi, che facevano il pregio della commedia, nel film sono andati quasi perduti (...). La regia di Mattoli è un po’ stanca e la recitazione pure: De Sica è il migliore (...)». 1937 - IL SIGNOR MAX regia di Mario Camerini soggetto: Amleto Palermi - sceneggiatura: Mario Camerini e Mario Soldati - interpreti: Vittorio De Sica (Gianni, il giornalaio/Max Varaldo), Assia Noris (Lauretta Campo), Rubi Dalma (donna Paola), Umberto Melnati (Riccardo), Adonella alias Lilia Dale (Pucci), Virgilio Riento (Peppe, giornalaio) - durata: 84’ Coppa del Ministero della Cultura Popolare alla Mostra di Venezia 1937 per “la migliore regia italiana”. Il giornalaio di un edicola romana in via Veneto vive a casa dello zio tramviere, ma è irresistibilmente attratto dal gran mondo. In partenza per le ferie sulla nave da crociera tra Napoli e Sanremo, viene scambiato per un nobile e lui sta al gioco, corteggiando sotto falso nome una dama dell’alta società.. Fa così la conoscenza anche della istitutrice della sorellina della nobildonna. Quando l’istitutrice lo rincontra in veste di giornalaio, ne è attratta; ma anche insospettita dalla somiglianza con l’accompagnatore della sua padrona. Tra incontri al Grand Hotel, partite di bridge, uscite a cavallo e viaggi in treno, la doppia tresca del giornalaio continua, con la complicità del collega nell’edicola e con il silenzio dello zio. Infine, disgustato da quel mondo fatuo e dal modo in cui viene trattata la ragazza che inizia ad amare, il giornalaio torna al suo lavoro e annuncia per la gioia della famiglia il suo prossimo matrimonio con la fedele ragazza, che nel frattempo si è licenziata. Ma, anche su consiglio dello zio, egli decide di non rivelare nulla alla sua futura moglie della doppia esistenza che ha vissuto. Considerato da molti il capolavoro della sua lunga collaborazione con Camerini, Il signor Max vede Vittorio De Sica portare alle estreme conseguenze il gioco del doppio già presente nei loro due film precedenti e riproposto sovente anche in seguito. Qui, lo spartiacque tra vita quotidiana e recitazione, tra verità e apparenza, sparisce ormai quasi completamente per lasciare solo il posto alle virtù dell’attore, che insieme interpreta due personaggi antitetici e il desiderio di riscatto sociale in un mondo considerato ingiusto. Un’interpretazione sempre sul filo del rasoio, quella di De Sica giornalaio e aristocratico, vista con divertita ammirazione dal collega Virgilio Riento e con paterna complicità dallo zio Giovanni Barrella; ma soprattutto spiata con amorevole preoccupazione da Assia Noris, la quale, pur non credendo che De Sica sia contemporaneamente due persone, si lascia ingannare dalla sua capacità recitativa, sino al punto di dargli uno schiaffo quando questi, dopo averla baciata in veste di signor Max, le confessa 31


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in treno di essere Gianni il giornalaio. Quella tendenza, che è stata e sarà sempre (o quasi) presente nei film di Vittorio De Sica, di portare sullo schermo contemporaneamente il personaggio e l’attore che lo interpreta, trova in Il signor Max la sua sublimazione, mettendo a profitto la lunga frequentazione teatrale dei commediografi anglosassoni, da Oscar Wilde in poi, specialisti nel dar vita sul palcoscenico a personaggi doppi; ma anche traducendo in compiuta forma narrativa la sua naturale tendenza, come attore, di essere sempre dentro e fuori del personaggio, senza mai (o quasi mai) identificarvisi completamente. E questa sua operazione attoriale sul doppio, trova in Camerini un complice, capace di farla vivere su un personalissimo sfondo realistico. 1937 - NAPOLI D’ALTRI TEMPI regia di Amleto Palermi soggetto: Amleto Palermi e Ernesto Murolo - sceneggiatura: Cesare Giulio Viola, Ernesto Murolo e Amleto Palermi - interpreti: Vittorio De Sica (Mario Esposito Perla), Emma Gramatica (Maddalena Errante), Elisa Cegani (Maria Piermarini), Assia Noris (Ninetta), Olga Vittoria Gentilli (zia Bettina), Giuseppe Porelli (cav. Barracchi), Enrico Glori (Maurizio Piermarini) - durata: 92’ Napoli inizio Novecento. Un giovane commesso di bottega, autodidatta, compone canzoni che nessun editore vuole ascoltare. Una vecchia guardarobiera, però, lo aiuta e lo protegge: dapprima, procurandogli un pianoforte per le sue composizioni e poi introducendolo presso la casa del marchese Piermarini, dove ottiene un grande successo che gli apre le porte della notorietà. Il compositore s’innamora, ricambiato, della figlia del suo protettore, ma la differenza di classe è troppo accentuata per evitare che si dicano addio. Durante la festa di Piedigrotta, lui si consolerà con la ragazza del popolo, Ninetta, che gli ha sempre voluto bene. Nelle sue memorie, Vittorio De Sica ricorda che il padre Umberto era solito accompagnarlo nelle visite agli amici benestanti, dove egli si esibiva in un ampio repertorio di canzoni napoletane. E ricorda anche come questa abitudine trovò sbocchi meritevoli durante la Grande Guerra, quando «ogni domenica, accompagnato al piano da mio padre, io andavo a cantare delle canzoni napoletane nei vari ospedali militari di Roma, ai feriti di guerra. Uno di essi ormai dimesso dall’ospedale e assunto in qualità di fattorino tramviario, riconoscendomi non volle farmi pagare il biglietto. È l’unico guadagno ch’io ricevetti nella mia carriera di cantante dicitore»7. Certo di quel tempo dovette ricordarsi nel girare questo elegante film musicale che lo vede nuovamente al fianco di Emma Gramatica ed esibirsi al pianoforte in un pugno di canzoni cantate con voce flautata. Orgoglioso del proprio successo, in particolare con le donne, De Sica ha sullo schermo un ottimo rapporto con la Gramatica, ma anche con tutte le altre sue colleghe, confermando con la sua recitazione, ora sentimentale e ora tesa a sottolineare che al suo personaggio il suc32


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Il signor Max (1937)

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cesso era dovuto, il pieno raggiungimento della maturità proprio nel ruolo del primo attore giovane, con il quale, in quei tardi anni Trenta, stava spopolando sia a teatro, sia al cinema. 1938 - LA MAZURCA DI PAPÀ regia di Oreste Biancoli soggetto: Oreste Biancoli e Dino Falconi - sceneggiatura: Giacomo Debenedetti e Carlo Borghesio - interpreti: Vittorio De Sica (Stefano San Mauro), Umberto Melnati (Ambrogio Peretti), Elsa De Giorgi (marchesina Lucia) - durata: 88’ Cinquant’anni di vita parallela di due amici, uniti dalla convinzione che le novità non possono durare. Stefano, che da tenente nel 1898 diventa poi generale, è tutto dedito al dovere e alla famiglia; Ambrogio è un giovane scapestrato che conduce una vita fatua e sregolata, ma che alla fine riuscirà a ricongiungere Stefano e suo figlio, il quale si è innamorato della figlia di una sua vecchia fiamma. Dai Café Chantant di fine Ottocento alla Belle Epoque, dalla guerra d’Africa al cinema, alla radio e all’aviazione. Come invecchiare nel segno del “dura minga”. Un’operetta per Vittorio De Sica, il quale trova anche modo di cantare un paio di canzoni (Bimba mia non mi resistere e Come quelli d’oggi). Tutto nasce dallo sketch Dura minga scritto da Biancoli e Falconi e interpretato da De Sica e Melnati nella rivista Za Bum n. 8: uno in divisa militare e l’altro in frac, entrambi con baffi e un monocolo (sull’occhio destro De Sica, su quello sinistro Melnati). Diluito nei decenni, lo sketch diventa un affettuoso ritratto dei tempi che furono. I due amici si sfidano anche a duello. Melnati corre la cavallina e diventerà produttore cinematografico (salvato da De Sica da alcuni truffatori); mentre De Sica si sposa e diventa presto vedovo con un figlio che, crescendo, guida l’aereo e fa l’autore alla radio. Un film simpatico e delicato. Come già Una segretaria per tutti, una testimonianza filmata del fascino che doveva avere la rivista diretta da Mario Mattoli. Un documento storico del modo di recitare “moderno” di De Sica (e Melnati) negli anni Trenta, ma anche della sua predilezione a interpretare parti da vecchio, come nel finale di questo film dove è contemporaneamente il generale San Mauro e suo figlio, anticipando la moltiplicazione per tre (nonno, padre e figlio) che De Sica, attore e regista, firmerà con Maddalena... zero in condotta. 1938 - HANNO RAPITO UN UOMO regia di Gennaro Righelli soggetto: Gennaro Righelli - sceneggiatura: Aldo De Benedetti e Alessandro De Stefani - interpreti: Vittorio De Sica (l’attore cinematografico), Caterina Boratto 34


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(granduchessa Sonia), Maria Denis (amichetta dell’attore) - durata: 76’ Una granduchessa russa, al fine di evitare il matrimonio organizzatole dai parenti, finge di essersi già sposata con un attore cinematografico. Le cose però si complicano almeno sino a quando il finto sposo, che nel frattempo si è innamorato davvero della nobildonna, mette fine alla recita, liberandosi dell’invadente amichetta e diventando a tutti gli effetti un marito “autentico”. Sui giornalì dell’epoca si parlò molto bene di questo film ancora una volta costruito sul tema della doppia personalità e interpretato con sicurezza da De Sica; ben servito, si legge, dalla regia leggera e variata di Righelli. Ma purtroppo anche delle copie di questo film sembra che si siano ormai perdute le tracce. 1938 - PARTIRE regia di Amleto Palermi soggetto: dalla commedia omonima di Gherardo Gherardi - sceneggiatura: Gherardo Gherardi, Amleto Palermi, Giacomo Debenedetti - interpreti: Vittorio De Sica (Paolo Veronda), Maria Denis (Anna Diana), Giovanni Barrella (Anteo Diana), Cesare Zoppetti (Marsani), Silvana Jachino (Mimì), Carlo Romano (Giulio), Luigi Almirante (Baldassarre, il nonno) - durata: 74’ Il napoletano Paolo sogna solo di poter partire per un lunga vacanza, ma non ha soldi e, quando per caso li trova in una borsa abbandonata, decide di restituirli al legittimo proprietario: un industriale milanese. Accusato ingiustamente di furto, il giovanotto si trova costretto a lavorare per quel proprietario di un’impresa agricola che pur è rimasto impressionato dalla sua onestà. Paolo cerca invano di farsi licenziare con un comportamento indolente o strampalato; ma tutto ciò che fa sembra portare solo vantaggi all’azienda. Decide allora di corteggiare la figlia del padrone, nonostante questa sia già fidanzata. La conseguenza è che se ne innamora davvero, ricambiato. Tanto vale allora sposarsi e lavorare sul serio. Nel film ci sono anche cinque canzoni cantate da Vittorio De Sica, anche se poi non inserite nel suo repertorio discografico: Madonnina e Partire di D’Anzi, Malinconie della città di D’Anzi e Briareo, Cantiam! Beviam! Beviam! di Nisa e Mignone, Serenata della notte di Goletti e Cram. In questo film, nel quale si fa uso dei dialetti e si utilizza il trasparente per le scene d’azione in auto, De Sica ritrova al suo fianco Maria Denis e torna a duettare con un Luigi Almirante truccato da vecchio. Il suo personaggio è un po’ sempre il solito: cioè, quello di un giovanotto scapestrato che ama cantare (accenna anche Oh 35


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mia bella madunina in milanese) e che piace alle donne, siano esse dattilografe o proprietarie; e si permette anche una parentesi drammatica tra i contadini, nel corso di una tempesta che lo obbliga a rifugiarsi in una loro casa. Partire è un film un po’ squadernato sul piano estetico e anche su quello narrativo, ma ancora una volta il personaggio di De Sica funziona, grazie anche alla sua capacità di essere sempre simpatico, senza però mai strafare o gigioneggiare. Modalità recitative ormai consolidate, che indussero Corrado Pavolini a scrivere su Il Lavoro Fascista del 2 ottobre 1938 che «l’interpretazione di Vittorio De Sica è tra le sue migliori, per finezza e disinvoltura, anche nei riguardi canori». 1938 - LE DUE MADRI regia di Amleto Palermi soggetto: Amleto Palermi e Ernesto Murolo - sceneggiatura: Giacomo Debenedetti, Ernesto Murolo, Amleto Palermi - interpreti: Vittorio De Sica (Salvatore Amadio), Maria Denis (Mariuccia), Renato Cialente (Michele Ferrante), Bella Starace Sainati (mamma Rosa Novaro), Lydia Johnson (Kiki Valeri, la vera madre) - durata: 87’ Salvatore, un giovanotto cresciuto in un piccolo paese laziale (San Biagio), lavora come barbiere, circondato dall’amore materno della contadina che lo ha allevato. Quando i suoi quadri, dipinti a tempo perso, vengono notati da un mecenate di passaggio a San Biagio, egli riceve l’invito di esporre in una galleria romana. Qui, il giovanotto incontra per la prima volta la sua vera madre, ex-cantante di varietà, che lo vorrebbe con sé. Mal sopportando la vita della città, egli accetta però di partire con l’amico Michele per la guerra civile spagnola, dove è ferito. Tornato al paesello, sposa la ragazza che ha sempre amato. Alla nascita del loro primo figlio, Salvatore ritrova accanto a sé le sue due madri. Pur disturbato dall’invadenza di un’onnipresente musica melodrammatica, il film di Palermi ha i suoi momenti migliori nella descrizione della vita a San Biagio: il negozio di barbiere, la vita con la madre adottiva, la dichiarazione fuori tempo alla ragazza con cui è cresciuto, la rivalità in amore con l’amico Michele. Poi, il film si sperde con l’arrivo del protagonista in città, per ritrovare un po’ di brillantezza nella telefonata con la madre, che non sa come tenere la cornetta. Tutta la parentesi della guerra di Spagna sembra messa lì solo come omaggio al regime fascista. Non si capisce perché e con chi si sta combattendo. Per fortuna poi il melodramma riprende il sopravvento e il film viaggia felicemente verso un finale di riappacificazioni collettive. De Sica dimostra ancora una volta la sua capacità di dare il meglio di sé nelle sequenze più sentimentali, nelle quali ritrova accanto a sé la brava Bella Starace Sainati, che da anni era nella sua compagnia a teatro 36


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1938 - L’OROLOGIO A CUCÙ regia di Camillo Mastrocinque soggetto: dalla commedia omonima di Alberto Donini - sceneggiatura: Mario Soldati e Renato Castellani - interpreti: Vittorio De Sica (capitano Corrado Ducci), Oretta Fiume (Paolina), Laura Solari (Elvira), Lamberto Picasso (conte Scarabelli), Guglielmo Barnabò (sergente MacNeill), Checco Rissone (Narciso) - durata: 82’ Elba 1815. Mentre Napoleone sta preparando il suo ritorno in Francia, all’isola attracca la nave del capitano Ducci, proveniente dalla Giamaica. All’Elba si svolge, intanto, l’intrigo poliziesco che vede un banchiere intenzionato a darsi da fare per poter trasportare il proprio oro in un orologio a cucù e per riuscire a dare in moglie la figlia al potente conte Scarabelli. Della ragazza, però, è innamorato anche Ducci che ne organizza la fuga. Ne consegue che quando il conte viene trovato morto nell’orologio, i sospetti della polizia cadano un po’ su tutti, compresa l’amante del conte, almeno sino a che un fanatico bonapartista non ne confesserà il delitto. La ciurma del capitano Ducci lo libererà. Evidentemente alla ricerca del modo di uscire dal cliché del nobile dai capelli impomatati, personaggio del quale temeva di diventare prigioniero, De Sica si scompiglia i capelli e accetta il ruolo poliziesco-avventuroso del lupo di mare che allo sbarco all’Elba si trova suo malgrado invischiato in un intrigo politico, con cadavere annesso. È però questa la componente più debole di un film che ben presto preferisce abbandonare anche la via dell’aneddoto storico per imboccare quella della vicenda amorosa tra il bel capitano e la giovane educanda, promessa sposa dal padre ad un losco aristocratico. E su questo terreno - con sguardi languidi, giri di valzer e gesti protettivi - De Sica torna a giocare nel campo che gli è più congeniale: con risultati un po’ scialbi, ma dall’esito sicuro. 1939 - AI VOSTRI ORDINI, SIGNORA... regia di Mario Mattoli soggetto: dalla commedia Dejeuner du soleil di André Birabeau - sceneggiatura: Oreste Biancoli e Mario Mattoli - interpreti: Elsa Merlini (Manon Vatteaux), Vittorio De Sica (Pietro Haguet), Giuditta Rissone (Evelina Watron), Enrico Viarisio (Paolo Vernisset), Achille Majeroni (l’attore), Luigi Pavese (il maître d’hotel), Lauro Gazzolo (cameriere), Ernesto Almirante (Lorot, impiegato del notaio) - durata: 70’ In rovina finanziaria a causa di un’eredità mancata, Pietro Haguet accetta di essere scritturato come finto cliente per l’inaugurazione di un albergo di lusso e poi come accompagnatore della ricca Manon Vatteaux. Quando la situazione diventa insostenibile, Pietro finge di avere un’amante nella persona di una collega del finto 37


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lavoro, ma proprio allora scopre di essere davvero innamorato di Manon e che anche lei lo è di lui. Liberatisi di un fidanzato che smascherano come truffatore, i due escono felici insieme, senza sapere che Pietro ha ritrovato l’eredità perduta. Giunta al quinto appuntamento, la collaborazione di De Sica con Mario Mattoli, sortisce il loro capolavoro. Un film semplice e garbato, ambientato a Parigi come la commedia da cui è tratto. Ma anche un film delicato sul tema della finzione, che diventa di fatto una metafora del lavoro dell’attore. Con i capelli ingrigiti dal tempo e dai dispiaceri, De Sica recita a meraviglia il ruolo che gli è stato assegnato; almeno sino a quando questo ruolo si rivela essere troppo simile alla realtà. Da qui, il desiderio di fuga, che lo tiene lontano da Parigi per dei mesi, ma anche, sempre da qui, il bisogno di farvi ritorno. Cioè, di rincontrare la donna che ama (la Merlini), anche perché ha ormai scoperto che il suo amore per l’altra (Giuditta Rissone, sua vera moglie) era solo una finzione. È proprio questa ambiguità tra l’essere e l’apparire che ancora una volta riesce al meglio nella recitazione di De Sica, ottenendo il risultato di rendere veri anche i sentimenti che emergono e si esprimono in quel mondo di finzione (toilettes e abiti eleganti, servitori, saloni lussuosi, soldi gettati al vento), nel quale i personaggi vivono, facendo finta di esistere. 1939 - CASTELLI IN ARIA regia di Augusto Genina soggetto: dalla novella Tre giorni in paradiso di Franz Franchy - sceneggiatura: Alessandro De Stefani, Augusto Genina, Franz Franchy - adattamento: Renato Castellani e Mario Soldati - interpreti: Lilian Harvey (Annie Wagner, detta Mimì), Vittorio De Sica (Riccardo Pietramola), Otto Tressler (mr. Forster), Hilde von Stolz (la cantante), Fritz Odemar (Walter), Carla Sveva (la guardarobiera) durata: 96’ Girato a Cinecittà nelle versioni italiana e tedesca, con gli stessi interpreti principali. La guardarobiera di un teatro di Vienna vince alla lotteria un viaggio in prima classe in Italia e sul treno incontra un suonatore di violino che, fingendosi un principe, si offre come guida di un viaggio che va da Venezia a Firenze, sino a Napoli, con escursione a Capri. Nei giorni della vacanza insieme, i due vivono come in un sogno e s’innamorano, senza dirselo. Finalmente, potranno dichiararsi questo amore, quando ritornati a Vienna entrambi sapranno rivelarsi reciprocamente la propria vera identità. Il tono è quello di un’operetta che si svolge nel clima fantastico del romanticismo amoroso. Lilian Harvey ha molte occasioni per ballare e De Sica canta un paio di canzoni accompagnandosi al piano (Una sola parola) o con l’eco della grotta 38


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I grandi magazzini (1939)

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azzurra di Capri (Ecco la felicità). De Sica si muove con partecipe sensibilità in questa favola a lieto fine, ma la sua interpretazione non aggiunge nulla di nuovo alla sua carriera, che ancora una volta utilizza con sapienza il tema del doppio. Il film piacque più in Germania che in Italia. Nota: Ho potuto vedere il film, in una copia che ne contiene solo la seconda metà, nel monco16mm, alquanto disastrato soprattutto nel sonoro, che è conservato alla Cineteca di Bologna. 1939 - I GRANDI MAGAZZINI regia di Mario Camerini soggetto: Mario Camerini e Ivo Perilli - sceneggiatura: Mario Camerini, Ivo Perilli, Mario Pannunzio, Renato Castellani - interpreti: Vittorio De Sica (Bruno Zecchi), Assia Noris (Lauretta Corelli), Virgilio Riento (Gaetano), Enrico Glori (Bertini, il capo del personale), Luisella Bechi (Emilia), Andrea Checchi (Maurizio, marito di Emilia) - durata: 85’ Presentato alla Mostra di Venezia 1939 La vita all’interno dei sette piani dei Grandi Magazzini. Gelosa di Anna, la commessa Lauretta prende “in prestito” un completo da sci per andare in montagna con l’autista Bruno, con il quale si fidanza. Scoperta, viene ricattata dal capoufficio con scopi sessuali. Bisticci di coppia, mentre la migliore amica di Lauretta scopre di essere incinta e si riconcilia con il marito. Intanto, Bruno, insospettito da strani pacchi con indirizzi sbagliati, scopre che il losco capo del personale gestisce un’associazione a delinquere di cui fanno parte anche Anna e suo fratello. Inseguimento in macchina. Denuncia alla polizia. Ringraziamenti della direzione. Ora Lauretta e Bruno possono finalmente sposarsi. Con I grandi magazzini si completa quella che in modo un po’ approssimativo è stata definita la “pentalogia piccolo-borghese” di Camerini e De Sica. Un “ciclo” iniziato a Milano in esterni e concluso negli studi di Cinecittà in una scenografia interamente ricostruita. Lo stile di Camerini progressivamente si “americanizza” e la recitazione di Vittorio De Sica si adegua alle convenzioni di una commedia in stile hollywoodiano. Quello che ne sortisce è un film decisamente piacevole da vedere. Aperto da un De Sica che esagera (allo scopo di impressionare l’assicurazione) le conseguenze fisiche di un incidente in macchina avuto in compagnia del Direttore, I grandi magazzini si conclude con una scena che lo vede nuovamente ferito dopo la violenta colluttazione con il losco direttore del personale. Nel film ci sono alcune scene che esaltano le qualità attoriali di De Sica. Quel suo accusare Lauretta di avergli rubato in ascensore il portafogli che poi ritrova nella fodera della giacca. La conversazione notturna con la ragazza, mentre sono in attesa del “treno della neve” che li porterà verso un amoroso weekend, gesti40


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to da Camerini con una bella ellissi narrativa. Il suo latente sospetto di essersi innamorato di una ladra, almeno sino all’agnizione finale che il regista risolve con la bella inquadratura delle due coppie (Lauretta / Bruno ed Emilia / Maurizio) riprese dall’interno della vetrina dei Grandi Magazzini in compagnia dell’amico Gaetano, che ancora una volta sottolinea (“quanto mi piace quella!”) il passaggio della butirrosa signorina Alice. I grandi magazzini è un film che, sin dai nomi dei due protagonisti, ammicca alle opere precedenti della “pentalogia”, costituendone una sorta di antologia, sempre più professionale. Autocitazioni d’immagini, ma anche di temi musicali (Parlami d’amore Mariù) e di battute di dialogo: compresa quella che rovescia l’autodefinizione del protagonista di Gli uomini che mascalzoni.. («Io sono un bravo ragazzo») in quella che il capo del personale usa per sé al fine di concupire Lauretta: «Sono una persona seria, non sono un ragazzo». 1939 - FINISCE SEMPRE COSÌ regia di Enrique T. Susini soggetto e dialoghi: Gherardo Gherardi, da una novella di Robert Dieudonnè sceneggiatura: Enrique T. Susini e Darol Fischbacker - interpreti: Vittorio De Sica (Alberto Miller), Nedda Francy (Elisabetta), Roberto Rey (Renato), Noëlle Norman (Maritza Kalmay), Pina Renzi (sig.ra Kalmar), Assia de Busny (Florika Esnea), Ernesto Calindri (un cameriere) - durata: 68’ Un musicista di provincia, che suona l’organo in chiesa e ha la passione dei fiori, invia gli spartiti delle sue canzoni a un ex compagno di conservatorio, il quale se ne impadronisce per un’operetta che sta portando in scena a Budapest. Convinto da una ragazza che lo ama ad andare in città per promuovere la propria musica, il provinciale scopre e smaschera il plagio, fa un duello con un critico che il suo amico aveva insultato, dichiara il suo amore alla cugina, ora moglie dell’amico. Infine, decide di tornare al paesello, avendo capito che l’amico è in crisi creativa, ma che la moglie continua ad amarlo. Un musical internazionale per Vittorio De Sica. Un film girato a Cinecittà da un regista argentino, ambientato in Ungheria con tanto di telefoni bianchi e interpretato da un cast di attori provenienti da diversi paesi. Con baffetti sottili e rado pizzetto, De Sica canta con voce garbata tre canzoni firmate da Giovanni D’Anzi (nell’ordine, Chi non sa, Conoscete quel tenore, Cuore innamorato), fa il poeta villico e sentimentale, cade anche nel lago durante una gita in barca. L’involucro cinematografico è quello di un musical che guarda verso Hollywood. La vicenda è esile e poco coerente. Le donne fasciate in abiti da sartoria e con la voce un po’ stridula. Elegantemente vestito da sera in città e felice di andare in bicicletta in campagna (nell’ultima inquadratura anche con moglie e prole), De Sica non brilla in modo 41


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particolare, ma costruisce con distratta professionalità il proprio personaggio determinato a farsi valere nel mondo dell’editoria musicale, anche se felice di ritornare infine alla serenità del suo paesello. 1940 - MANON LESCAUT regia di Carmine Gallone soggetto: dal romanzo omonimo dell’abate Antoine-François Prévost - sceneggiatura: Guido Cantini - interpreti: Alida Valli (Manon Lescaut), Vittorio De Sica (Renato Des Grieux), Lamberto Picasso (visconte Des Grieux), Giulio Donadio (marchese De Brienne), Dino De Luca (sergente Lescaut), Jole Voleri (Musetta), Lilia Dale (Denise), Andrea Checchi (Marius), Aroldo Tieri (segretario di De Brienne) - durata: 92’ Mentre rientra in collegio, Manon incontra il cavaliere Des Grieux. Il colpo di fulmine è osteggiato dalla ricca famiglia di lui e da un marchese, di cui Manon diventa l’amante. Quando i due giovani tornano insieme, il marchese manovra affinché lei sia mandata nelle colonie penali americane. Qui, la raggiunge Des Grieux che, dopo di aver ferito in duello il figlio del governatore invaghitosi di Manon, fugge con lei verso la jungla, dove Manon muore di febbre tra le sue braccia. Sorprendentemente irreperibile nelle maggiori cineteche italiane, il film si è fatto notare per i suoi sfarzosi costumi e per le lussureggianti scenografie, ottenendo anche recensioni molto positive da parte della rivista Cinema (n. 87, 19 febbraio 1940), dove Giuseppe Isani scrive: «Il film si muove in modo veramente eccellente e raggiunge momenti di vera poesia come nelle ultime scene nella Luisiana, dove la regia di Gallone è veramente mirabile e la recitazione della Valli e di De Sica è fra le più perfette». Ma questo Manon Lescaut è noto soprattutto come il film che, a suo dire, convinse De Sica a passare dall’altra parte della cinepresa. Scelta a proposito della quale De Sica scrive in modo eccezionalmente sgarbato nelle sue memorie8: «A parte il fatto che Alida Valli era Manon, e pesava allora, da quella ragazzona sana e fiorente che era, sessanta e più chili, nella scena in cui Des Grieux porta sulle braccia Manon morente, abbandonai dopo la dodicesima ripresa il corpo di Alida che pesantemente crollò sul selciato. Non ero nello stato d’animo di continuare un Des Grieux molle, cliché, ovviamente fragile, senza uno scatto umano, né virile. Esternai a Carmine Gallone più volte questo mio dubbio sul personaggio che lui voleva io eseguissi così. Mi ricordo che alla fine del film, viaggiando insieme con lui per andare a trovare le nostre famiglie che svernavano a Cortina d’Ampezzo (Emi aveva allora due anni), feci notare a Gallone quali erano le mie preoccupazioni sul personaggio di Des Grieux che lui aveva voluto così, fiacco e inerte. Alla prima del film, Filippo Sacchi, il critico di un giornale milanese (Corriere della Sera, ndr) scrisse: “Peccato che il Des Grieuz di De Sica risulti 42


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esageratamente inerte e debole”. M’irritò questa critica, in quanto era giusta, e se Gallone avesse dato ascolto ai miei modesti suggerimenti, la mia interpretazione avrebbe avuto un esito diverso. Fu questa la spinta che mi decise ad affrontare la regia cinematografica». 1940 - PAZZA DI GIOIA regia di Carlo Ludovico Bragaglia soggetto: C. L. Bragaglia, dal film Due cuori e un’automobile di Joe May - sceneggiatura: C. L. Bragaglia, Aldo De Benedetti, Maria Teresa Ricci - interpreti: Vittorio De Sica (conte Corrado Valli), Maria Denis (Liliana Casali), Umberto Melnati (Aroldo Bianchi), Paolo Stoppa (Alvaro Montero, capo reparto del negozio “Do-re-mi”), Enzo Biliotti (Peppino, il maggiordomo), Rosetta Tofano (Rosetta, sua moglie) - durata: 63’ Un contabile che ha vinto alla lotteria un’automobile “Topolino” dà un appuntamento al buio per trovare un compagno per una vacanza sulla Riviera ligure. Si presenta una commessa, che a causa di un malinteso lo prende per il milionario casualmente presente all’incontro. Costui sta al gioco e si finge il contabile. I due iniziano il viaggio in Riviera, inseguiti dal contabile e dal collega geloso della commessa, nonché preceduti dal maggiordomo del milionario. L’equivoco continua quando quest’ultimo, fingendosi un ladro, s’introduce con la commessa e il contabile nella propria villa, dove infine tutto si chiarisce con l’happy end preparato dall’innamoramento reciproco dei due giovani. Con questo remake di un film franco-tedesco del 1931, Vittorio De Sica riprende la sua predilezione per i personaggi dalla doppia personalità. Questa volta, il nobile danaroso si finge per gioco un povero impiegato, s’innamora della ragazza ingenua, si sdoppia nel personaggio di un pericoloso avventuriero con tanto di pistola, per ritornare infine nei propri panni di ricco proprietario di una villa con servitori al seguito. La trama favorisce il gioco del doppio, rendendolo anche triplo, e in questo gioco De Sica si muove perfettamente a proprio agio, sia in abito borghese, sia in veste da camera, sia in frac. Maria Denis è l’ingenua onesta, e Umberto Melnati e Paolo Stoppa caratterizzano con colore i propri personaggi di contorno. Il film si concede anche una divagazione onirica, quando l’automobile su cui viaggiano i due giovani che si stanno innamorando, si trasforma, nel loro sogno, in una carrozza tirata da quattro cavalli.

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Maddalena... zero in condotta (1940)

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ALDO VIGANÒ

TUTTODESICA

protagonista regista caratterista !

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© Edizioni Falsopiano - 2021 via Bobbio, 14 15121 - ALESSANDRIA www.falsopiano.com Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri Per le immagini di questo libro: Archivio Falsopiano Prima edizione - Dicembre 2021


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