All'Archimede n. 7-8

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trimestrale n. 7 e 8 / 2015

Associazione Culturale Archivio Carlo Montanaro Direttore responsabile Carlo Montanaro registrato presso il Tribunale di Venezia al n. 2/2014 il 18/01/2014 ISSN 2421-5791

L’appassionato solitario


Indice

complemento degli spettacoli di arte varia (il mitico varietà...). Poi, dal primo novembre 1905 al Ridotto, sala allora specializzata in spettacoli di marionette, iniziò una 3 programmazione cinematografica Visionando regolare, mentre venticinque 5 L’appassionato solitario giorni dopo si inaugurò il San 10 L’album dell’appassionato solitario Giuliano (o Zulian) il primo spazio appositamente attrezzata, dagli ex ambulanti fratelli Roatto, per le immagini in movimento. Da allora si progettarono, aprirono e chiusero nella città di Venezia più di cento luoghi dedicati alla Decima Musa. Non tutti, Ci sono leggende metropolitane ovviamente in contemporanea. sull’esistenza e sulla consistenza I primissimi come in tutto il delle sale cinematografiche mondo, erano molto piccoli, dei veneziane. Si è arrivati di recente ad pianoterra tipo magazzini riattati. ottenere un cambio di destinazione Poi man mano che la richiesta d’uso in supermercato (luogo dedito aumentava, si identificavano per antonomasia al commercio) superfici sempre più grandi, fino a partendo dal presupposto che per stabilizzarsi, con l’ epoca sonora, andare al cinema “si comperava” il in venti/venticinque locali. Con biglietto... E, per quanto dopo veti teatri quasi totalmente riconvertiti L’ASSOCIAZIONE CULTURALE ed insistenze, alla fine il restauro (Rossini), importanti restauri “ARCHIVIO CARLO MONTANARO” conservativo sia incontestabilmente (san Marco), nuovi insediamenti di pregio, quello che intristisce è che Fino alle progressivo L’Associazione Culturale “Archivio (Giorgione). si è costituita in data 24 marzo 2010 FOTO E ILLUSTRAZIONI continui a mancare, a Venezia, una chiusure degli anni 70/80. Una Carlo Montanaro” può ricevere presso il notaio Paolo Chiaruttini di sala donazioni attrezzataedicontributi medie dimensioni storia complessa cheCarlo varràMontanaro la pena liberali non Venezia ed è stata registrata al Copertine Archivio dove tenere eventi di ogni genere. ripercorrere. soggetti a IVA ai sensi dell’art. 4 n. 127015. tutte le altre illustrazioni sala polivalente dove633/72. proporre 2 e 4 del DPR E che qui, continuando a provare Con il decreto 114 del 23 settembre Una commi appartengono all’ Archivio Carlo e musica, proiezioni e di Banco San Marco, di Montanaro recuperareelaa presumibili periodicità fonti de di 2013, in base alla legge regionale 5 prosaL’IBAN (gruppo Banco Popolare S.C. convegni, comizi e balletti. Il Cinema ALL’ARCHIMEDE settembre 1984, n. 50, art. 41, i fondi pubblico dominio. abbiamo AGItalia, 9 VE)sogno è Teatro realizzato di un e le raccolte documentarie pensato di celebrare in primis IT86H0503402022000000001192, imprenditore della carta, il tipografo appartenenti all’Archivio Carlo attraverso la traccia di un amante ma si può operare anche tramite Montanaro di Venezia sono Giuseppe Scarabellin, avrebbe del cinematografo degli anni PAYPAL sito dichiarati di interesse locale. potuto essere collegandosi restaurato ealassunto ‘30, che finita la visione in sala www.archiviocarlomontanaro.it. L’Associazione Culturale in gestione principalmente dalla e replicata l’attenzione con L’Archivio Carlo Montanaro ha “Archivio Carlo Montanaro”, Biennale insieme al Comune e con l’acquisto di riviste specializzate, 94072930277 come Codice Fiscale. ha sede legale in San Polo 896, l’ausilio della Regione, oltre che con si è poi cimentato in un tagliaarchiviocarlomontanaro@gmail.com 30125 Venezia, il concorso del Ministero dei Beni incolla atto a replicare il sogno facebook archiviocarlomontanaro telefono +39 041 5231299 Culturali, appartenendo alla comunità di celluloide: l’appassionato cellulare +39 347dal 4923009. dov’è collocata anche la redazione veneziana a partire 1916, senza solitario. Nel testo il tamburino di ALL’ARCHIMEDE. alterarne il progetto costruttivo. (il termine che identifica la ALL’ARCHIMEDE è ilva periodico L’Associazione sta predisponendo Per tornare alle leggende, allora pubblicità degli spettacoli nei dell’Associazione Culturale Archivio LA FABBRICA DEL VEDERE, detto che la prima proiezione quotidiani) del Gazzettino di Carlo Montanaro, è stampato in proprio la sua sede operativa (spazio pubblico cinematografica in città venne Venezia di venerdì 10 febbraio e poi diffuso, non scaricabile, e/o espositivo, biblioteca, videoteca, realizzata da una équipe dei fratelli 1939, con la programmazione di nel sito archiviocarlomontanaro.it. fototeca, laboratorio, emeroteca, Lumière il 9 luglio 1896 al Teatro dodici cinematografi insieme alla Copyright ©Associazione Culturale archivio cartaceo, raccolta di oggetti Minerva (già San Moisè). Che segnalazione dell’inaugurazione Archivio Carlo Montanaro e, e memorabilia - collezione Trevisan, successivamente e per circa un del Cinema Savoia, che nel ove indicato, dei singoli autori. Montanaro, D’Este -) decennio furono i palcoscenici dopoguerra diventerà Savona, per in Cannaregio, 3857 anche di altri teatri (Rossini, trasformarsi, infine, nell’attuale cap 30121 Venezia, Goldoni, Malibran) ad ospitare Hotel Bisanzio. Chiuso il 26 giugno 2018 telefono +39 041 5231556. eventi cinematografici inizialmente

Visionando...

Insegna per “carta da involto” acquaforte 260 x 214 mm Fabrica di Biasio Burlini Ochialer sopra la fondamenta dell’Osmarin a San Provolo in Venezia all’Archimede.

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L’appassionato solitario

ALL’ARCHIMEDE

Anno II n. 7 e 8 luglio - dicembre 2015

REDAZIONE Direttore: Carlo Montanaro Direttore editoriale: Giovanni Montanaro Comitato di redazione: Neda Furlan Luisa Pagnacco

TABULA GRATULATORIA Accademia di Belle Arti di Venezia, presidente Luigino Rossi, direttore Carlo Di Raco Daniela Adamo Michele Alassio Luigi Alberotanza Chiara Augliera Lisa Balasso Loredana Balboni Pasinetti Francesco Barasciutti Antonella Barina Etta Lisa Basaldella Camillo Bassotto Lucia BassottoGuido, Davide Beggio Bruno Bozzetto Marie Brandolini con Beatrice Rosemberg Tinto Brass Gian Piero Brunetta Sandro Busetto Massimo Canella con Maria Luisa Rosso Canella Daniele Capra Gabriella Cardazzo Paolo, Angelica Cardazzo Rosa Cardona con la Filmoteca de Cataluna… Laura Carlotta Gottlob Piero Casarin con Marina Bassotto Casarin Clarenza Catullo Guido Cecere Centro Tedesco di Studi Veneziani (direttore Sabine Meine) Luisa Cerasuolo Paolo Cerchi Usai Gian Francesco Chinellato

Cineteca del Friuli (Piera Patat con Livio Jacob) Cineteca Italiana (Matteo Pavesi, Luisa Comencini) Cinit, Cineforum Italiano Gabriele Coassin Piero Costa Roberto Crovato Gianni Da Campo Denis, Giovanna De Cet con Pietro Scapin Maria Teresa De Gregorio Graziela Daldin Elisabetta Di Sopra Pino Donaggio Angelo Draicchio Claudio Emmer Gianpaolo, Fiorenzo Fallani - Center for the Arts Ermanno Tito Ferretti Neda Furlan Paolo Garlato Gibba Paolo Gioli Federica Gonzato Igor Imoff IstitutoLuce/Cinecittà (Roberto Cicutto, Maria Gabriella Macchiarulo) Franco Jesurun con Giuliana Carbi Mario Lanfranchi Eric Lange Marie-Hèlène Lehérissey Méliès Sandro Manoni Beatrice Martin Starewicz Mestiere Cinema Laura Minici Zotti Paola Marzari per Antonio Gabriele Mazzotta Piero Mesorin Alessandro Molin Angelo Montanaro Giovanni Montanaro Carlo Naccari con Giorgia Margherita Naim Marilena Nardi Ferruccio Nordio Roberta Novielli con il nonno Francesco Genovese Pierluigi Olivi Paolo Ongaro Pier Maria Pasinetti Flavia Paulon Vittorio Pavan & Archivio Camerafoto

Manuela Pellarin Ettore Perocco Paola Perugino Paolo Pigozzo Antonio Pintus con Ilaria Gino Piva Alberto Prandi Roberta Reeder Riccardo Redi Enrico Ricciardi David Robinson Rotary Club Venezia Mario Ruspoli Antonello Satta Gilberto Scarpa David Shepard Angelo Schwarz Orlando Sinibaldi con Carla Giovanni Soccol Macha Starec Duilio Stigher Angelo Tabaro Testolini (Alessandro e Stefano Bettio) Piero Tortolina Alberto Toso Fei Roberto Vascellari Manuel Vecchina Venezia Viva (Silvano Gosparini, Nicola Sene) Claudio Vinale Norman Witty Giuseppe Zanotto Philippe Zimmermann Sara Zucchi Valerio Zurlini E a tutti coloro che hanno sostenuto l’Archivio Carlo Montanaro e contribuiscono all’attività espositiva e di studio della Fabbrica del Vedere Stagisti Luca Antoniazzi Corinna Boato Alessio Calanda Riccardo Calvi Assunta Di Martino Caterina Fabris Alberto Gerotto Paola Granello Giulia Lazzaretto Ilenia Savegnago Gloria Zantedeschi

Una domanda che mi pongo con frequenza riguarda i materiali contenuti nelle case spesso ricche o quanto meno borghesi, di una città antica, con abitanti mediamente anziani, come Venezia. Ovvero: dove vanno a finire, libri, oggetti, apparecchiature, macchine, una volta che gli interni vengono ristrutturati o, molto più semplicemente, una volta che il pater familias o la mater familias lasciano questa terra. L’idea dei

mercatini periodici dovrebbe sopperire alla scomparsa sia dei rivenduglioli che anche dei veri e propri antiquari. Maria Adriana Prolo, fondatrice del Museo Nazionale del Cinema di Torino e infaticabile ricercatrice di testimonianze del passato, proprio da un antiquario veneziano aveva comperato negli anni ‘50, utilizzando per il pagamento la “cessione del quinto” (una anticipazione sulla sua futura pensione) il grande Mondo Novo settecentesco laccato di verde, l’importante apparecchiatura del precinema, ancor oggi tra le testimonianze più importanti presenti nell’istituzione. Ma oggi, si diceva, le cose sono di molto cambiate. Non ho che vaghi ricordi dei veri rivenditori-riciclatori (“robiveci”) dell’usato fino al più banale, tanto

da esser nominati anche “straseta”, non tanto degli ambulanti che al grido di “strasse ossi roba vecia da vender” passavano, sacco di juta sulle spalle, periodicamente sotto casa, ma di quelli con tanto di bottega/deposito/magazzino. Riciclatori di materiali d’arredo, sedie, tavoli, madie, cassapanche, camere da letto, ma anche lenzuola, asciugamani, vestiti. E ancora oggettistica varia, quando gli accessori non erano fatti di materiali artificiali con una serialità appena nobilitata in superficie ma, consistenti e massicci, erano lavorati uno per uno e connotati in stili dalla lunga ipotesi di vita. La popolazione veneziana sempre meno numerosa e l’idea della discarica sempre più presente anche nelle scelte abitative hanno fatto progressivamente chiudere quei luoghi oscuri e polverosi. Ricordo, adolescente, una fila di saracinesche abbassate in campo san Giovanni e Paolo. Locali ora caffè ed agenzia funebre, allora fori chiusi da un metallo arrugginito che appariva sempre più sfarinato, tanto da risultare, a tratti, bucato fino a rivelare tra altri materiali affastellati che si riuscivano ad intravedere, il bordo di una scatola metallica che dava l’impressione di un contenitore

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per pellicola. Periodicamente io ci passavo davanti appositamente, provando ad allargare il foro strattonando per estrarre quell’oggetto. Tentativi alla lunga inutili per la consistenza della massa casuale e incasinata accumulata all’interno ma anche perché temevo fosse impossibile armeggiare più di tanto davanti a quella saracinesca scassata ed arrugginita senza dare nell’occhio. Poi, un certo giorno, ho trovato eretta davanti alle saracinesche una staccionata con tanto di lampadine rosse ai lati, segnale palese dell’avviamento di lavori di ristrutturazione. Non si saprà mai se quell’oggetto che stimolava la mia necessità di scopritore-raccoglitore fosse effettivamente una “pizza”, con, magari, sopravvissuto qualcosa di unico. Procedendo oltre dopo il campo san Giovanni e Paolo, in Barbaria delle Tole, infatti, era collocata l’officina della ditta dei fratelli Roatto che nata, a fine ‘800, per l’assistenza ai fonografi dei quali possedevano

un’esclusiva, aveva ampliato l’attività coadiuvandoli nel ruolo di pionieri del cinematografo cittadino. Dopo almeno due generazioni di ambulantato i Roatto erano


8 passanti almeno in parte stanziali. Sono anni che chiedo e cerco perché, oltre all’officina, viene tramandata l’esistenza, in uno scoperto adiacente, di un “teatro di posa”, una di quelle strutture metalliche vetrate con sistemi interni di tende bianche scorrevoli per diffondere quando eccessivamente diretta, la luce solare, tipiche dei fotografi ottocenteschi e adattate pari pari alla nascente decima musa. Mentre all’interno con ogni probabilità si era anche allestito un laboratorio di sviluppo e stampa dal momento che nei primi anni i cinematografari dovevano saper filmare e poi sviluppare il negativo, stampare le copie e proiettarle. Per attirare il pubblico spesso si piazzavano di domenica mattina con una macchina da presa davanti all’ingresso di una chiesa e filmavano i fedeli che uscivano alla fine di una funzione, mentre un collaboratore consegnava loro un avviso che li invitava in un certo qual cinema al pomeriggio perché si potessero riconoscere sullo

schermo. I Roatto che furono i primi ad aprire un locale stabile con programmazione regolare nel dicembre del 1905 a san Zulian (presto diventato Edison),

9 erano sicuramente in grado di gestire tutte queste operazioni, necessarie per gli ulteriori locali che aprirono in città e per quelli che cominciarono a condurre in altre città del Veneto, arrivando “all’estero”, a Trieste non ancora italiana. Realizzarono, oltre alle attualità, anche film di finzione, come Biagio el Luganegher che rievocava l’origine della riva che rimane a perenne ricordo di un’azione efferata che si perde nelle tradizioni, la temeraria confezione di un tenerissimo “sguazeto” fatto di carne di infante; o come L’anima Santa costruito per promuovere la corretta gestione del denaro su sollecitazione della Cassa di Risparmio. Esilissime le tracce di queste due pellicole del 1907 identificate e documentate dalla ricerca di Fiorello Zangrando e Piero Zanotto, i due carissimi amici storici e divulgatori che tra molti altri interessi legati alla loro professione giornalistica hanno iniziato a raccogliere materiali sulle origini del cinema a Venezia e sui relativi pionieri.

Trecce di carta e non certo di pellicolab anche se permane un filo sempre più sottile di speranza per una loro casuale sopravvivenza.. Ritrovamenti

fortunosi di celluloide ne avvengono in continuazione nel mondo. Ma, ammesso e non concesso che proprio di pellicola

(o pellicole) si trattava, chissà in quale discarica sia poi finita quella scatola metallica insieme a chissà quanto altro strano o prezioso (storicamente parlando) materiale. Ricordo infine, qualche anno dopo, alla fine degli anni ‘60, agli inizi della mia carriera cinematografica, le spedizioni in cerca di elementi di arredo da affittare e, soprattutto, di stracci, fondamentali per nascondere (impallare) dettagli scenografici esuberanti o non consoni, presso l’ultimo riciclatore che, ufficialmente, era venditore di gomene, carrucole e materiali marittimi. Romeo Serafin occupava un grande spazio semicoperto alla sinistra della Chiesa del Redentore alla Giudecca. E in mezzo a tutti gli strafanti assurdamente o inutilmente accumulati ricordo due sacche di tela bianca da

marinaio che contenevano delle misteriose pizze cinematografiche che non si potevano maneggiare per tentare un riconoscimento e per le quali lui chiedeva cifre per me all’epoca importanti. Mentre fu un regalo una statuetta di gesso dipinto leggermente sbeccata, di Larry Semon nelle vesti di Ridolini, marchiata Vitagraph, la casa di produzione delle comiche, forse perché, contrariamente alla prassi, pretesi di non intascare la percentuale sul noleggio: lo presi come un complimento, ma un veneziano esperto praticone della produzione che incrociai mi disse una volta che non ero un “affidabile” professionista perché non mi mettevo percentuali in tasca (in realtà affermava “no ti robi”...). Un altro contatto diventato impraticabile è quello con gli addetti all’igiene urbana che nell’oggi, con la raccolta differenziata, suonando quotidianamente il campanello di casa son ridiventati per semplificare “spazzini”. Un tempo ho provato a comperare materiali compatibili con il cinema che mi dicevano di trovare periodicamente. Soprattutto pellicole di 8 millimetri, perchè altri oggetti non me li hanno mai proposti. E mi son riempito di schifezze per tentare di creare quel rapporto privilegiato che doveva farmi eleggere tra i possibili compratori di più importanti tesori. Ma a quanto pare o trasferiti e defunti di un certo momento storico nulla avevano posseduto di “visivo”, o io ho offerto troppo poco se, esclusi i primi due o tre carichi di filmati di “vacanze” di “viaggi” e di “matrimoni”, insieme a cartoni animati silenziati (privati della colonna sonora) e con il colore totalmente degradato e comiche raramente integrali e quasi mai stampate dignitosamente, altre chicche non hanno trovato la

via di casa mia. Il vero colpo di fortuna non è mai arrivato e i materiali ritrovati li ho sempre pagati quanto meno il giusto, proporzionatamente alle mie possibilità. Analogo discorso per i libri

che al di là dei rari frutti di generosità amicale, anche quelli son sempre stati comperati a cifre “di mercato”. Anzi spesso ricomperati a quelle cifre non avendo io sufficientemente memorizzato l’entusiasmo del primo ritrovamento. Con i primi “doppi” ho costruito una piccola biblioteca che è rimasta a San Servolo, l’ultima sede del mio impegno lavorativo in Accademia. Assume così la connotazione

dell’eccezionalità il reperto che viene in parte pubblicato in questo numero doppio di ALL’ARCHIMEDE. Uno strano, eccentrico, divertente atto d’amore sconfinato verso la X Musa. Che identifica scenari che nemmeno il cinema, salvo frammenti isolati, ha mai voluto ricostruire raccontando di se stesso: la solitudine dell’appassionato. E’ possibile concepire un’epoca in cui il cinema esisteva solo al cinema? Un’epoca in cui non esisteva la TV, non esistevano videocassette o DVD, non esistevano i computer, non esisteva il Web, non esisteva il cellulare, non esisteva lo smartphone? E in quell’epoca al di la dell’esercizio della memoria cosa poteva fare l’appassionato se non comperare le innumerevoli riviste periodiche che diffondevano acriticamente, ma esaltando l’esistenza e l’essenza del nuovo Olimpo, fatto di persone apparenti, irraggiungibili, forse nemmeno materiali dal momento che imperava l’epiteto di divo, o divino? Moltissimi i giornaletti specializzati spesso di vita breve stampati in rotocalco con colorazioni monocrome marroncino, blu, viola, e quant’altro con rari tentativi di tricromia reinventata (Cinema Illustrato, Eco del Cinema, Film e variabili infinite sul tema nei titoli). Che offrivano le trame dei film, la biografia/tarocco -inventata da solerti e fantasiosi press-agent- dei divi, gli annunci delle produzioni in corso, e i bandi dei concorsi indetti periodicamente tra i lettori per scoprire nuovi volti soprattutto al femminile. Giornaletti di alta tiratura ma di bassa qualità tipografica. Che non invogliavano più di tanto al collezionismo. Ma che, anzi, almeno nel nostro caso, pretendevano una


10 voglia di rielaborazione. Voglia fatta di “taglia” e “incolla”, di costruzione di collage che, oltre a indicare film in particolare (soprattutto americani) a tratti accomunavano personalità, e singole carriere d’attore o di attrice, ma anche grappoli di volti, piccoli, medi, grandi, maschili e femminili. Il periodo storico -con sfondamenti tra il prima e fino addirittura ad una fotonotizia del 1957- è la metà degli anni ‘30, quando il divismo è al massimo e ancora non ci sono avvisaglie dell’embargo che avrebbe presto bloccato i film d’oltreoceano. C’è qui e là il tentativo di riprodurre autonomamente (ricalcando per trasparenza) i tratti i visi dei divi più amati, tra i quali si arriva ad annoverare... il Duce. Perché gli anni son quelli e il ritagliare riguarda anche qualche fasto del regime come la nascita dell’Impero con la conquista di Addis Abeba. Vicino ad uno schizzo con l’effige del Capo del Governo, il disegno di una biblioteca ideale mostra i dorsi di una Enciclopedia Treccani, di una Storia d’Italia, delle vite di GIACOMO CASANOVA o di RODOLFO VALENTINO, dei tomi rilegati del periodico LA DIFESA DELLA RAZZA vicino alle annate di riviste come FILM, CINEMA ILLUSTRATO, L’ECO DEL CINEMA, FILM METRO GOLDWIN MAYER. Strano trovare le testate di giornali ritagliati e incollati. Come se la voglia di raccogliere riuscisse a superare la necessità della parziale distruzione necessaria alla gestione di una sorta di sogno. Nei ritratti ricalcati appare una firma con diverse variabili: Gava Giovanni, Gava Moro Giovanni Guido, Guido Gava. Che il tutto si svolga a Venezia, lo confermano i nomi di alcuni cinematografi (Rossini, Malibran

11 -con varietà-, Olimpia, Massimo), la scomparsa del Patriarca La Fontaine sostituito dal Cardinale Piazza (1935), la visita di Charlie Chaplin che arriva in treno alla stazione di Santa Lucia e attraverso il Canal Grande per raggiungere l’Hotel Danieli (1936), la costruzione del Palazzo della Mostra del Cinema al Lido (1936/37). Ma era Guido o Giovanni Gava l’appassionato solitario? Probabilmente si, anche se Gava potrebbe essere il diminutivo di un più complesso ma più tipicamente veneziano Gavagnin. Una persona che all’improvviso doveva essersi trovato nella condizione di aver molto tempo a disposizione senza poter, nel contempo, approfittare di questa opportunità per frequentare le sale cinematografiche. E che quindi non ha trovato altro sistema per sentirsi vicino alla sua passione dominante, ai suoi amori ai suoi divi di celluloide. Così li ha trasformati in divi di carta, appropriandosene fisicamente, tagliando ed incollando. E che si tratti di un maschietto lo si può capire dall’attenzione particolare alle attrici femmine e dalla citazione anche di qualche nudo. Qualche chiappa e qualche seno, niente di più, ma abbastanza per l’epoca. Nonchè almeno per un Concorso di volti nuovi dove, tra le selezionate, troviamo una abitante del Lido, Miranda Crivello, via Lazzaro Mocenigo 6. E sarebbe bellissimo sapere che fine hanno fatto, insieme a quelli

campionatura significativa. Proponendo un viaggio in un mondo che non c’è più ma che non va dimenticato. Il cinema è stato il primo evento universale che, per indotto, ha fatto nascere la messmedialità. Mai prima, infatti, nemmeno con la fotografia e con i relativi approfondimenti di carta stampata, erano esistite forme di comunicazione dedicate ad un pubblico tanto grande ed indifferenziato. L’immagine in movimento era comprensibile da tutti. E non raccontava solo storie inventate ma riproduceva anche la quotidianità del vivere,

dell’appassionato solitario, i sogni di Miranda Crivello che aveva provato ad entrare alla fine degli anni ‘30 nel mondo della celluloide. Ho trovato questo insieme di collages da Claudio, che vende libri, opuscoli, cartoline, stampe riviste e quant’altro di stampato in campo santa Maria Nova. E che conferma gli interrogativi dai quali son partito: dove finiscono, nel caso specifico, libri e pubblicazioni d’epoca, nel momento in cui viene smontata un’abitazione veneziana. Di materiali interessanti Claudio me ne ha proposto e veduto, soprattutto depliant promozionali di apparecchiature fotocinematografiche. Ma non ho mai trovato da lui nulla di veramente raro. Gli album rilegati artigianalmente che in parte son citati nella pagine seguenti sono sette. quattro della misura 29 x 40 (1 verticale) e tre della misura 37,5 x 50 (1 verticale). Ne abbiamo selezionato una

fino a documentare eventi drammatici come le guerre che hanno sconvolto il XX° secolo. L’appassionato solitario, non potendo probabilmente almeno per un periodo della sua vita più frequentare le sale cinematografiche, si è ricreato, ripercorrendoli, i suoi film amati. E a noi è ora concesso di diventare brevemente suoi compagni di strada. Sugli antiquari, sui rivenduglioli, sugli “straseta”, sui fratelli Roatto, sulle sale cinematografiche di Venezia sarà opportuno ritornare presto a ragionare.


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L’ASSOCIAZIONE CULTURALE “ARCHIVIO CARLO MONTANARO”

Insegna per “carta da involto” acquaforte 260 x 214 mm Fabrica di Biasio Burlini Ochialer sopra la fondamenta dell’Osmarin a San Provolo in Venezia all’Archimede.

si è costituita in data 24 marzo 2010 presso il notaio Paolo Chiaruttini di Venezia ed è stata registrata al n. 127015. Con il decreto 114 del 23 settembre 2013, in base alla legge regionale 5 settembre 1984, n. 50, art. 41, i fondi e le raccolte documentarie appartenenti all’Archivio Carlo Montanaro di Venezia sono dichiarati di interesse locale. L’Associazione Culturale “Archivio Carlo Montanaro”, ha sede legale in San Polo 896, 30125 Venezia, telefono +39 041 5231299 dov’è collocata anche la redazione di ALL’ARCHIMEDE. L’Associazione sta predisponendo LA FABBRICA DEL VEDERE, la sua sede operativa (spazio pubblico e/o espositivo, biblioteca, videoteca, fototeca, laboratorio, emeroteca, archivio cartaceo, raccolta di oggetti e memorabilia - collezione Trevisan, Montanaro, D’Este -) in Cannaregio, 3857 cap 30121 Venezia, telefono +39 041 5231556.

L’Associazione Culturale “Archivio Carlo Montanaro” può ricevere donazioni e contributi liberali non soggetti a IVA ai sensi dell’art. 4 commi 2 e 4 del DPR 633/72. L’IBAN di Banco San Marco, (gruppo Banco Popolare S.C. AG 9 VE) è IT86H0503402022000000001192, ma si può operare anche tramite PAYPAL collegandosi al sito www.archiviocarlomontanaro.it. L’Archivio Carlo Montanaro ha 94072930277 come Codice Fiscale. archiviocarlomontanaro@gmail.com facebook archiviocarlomontanaro cellulare +39 347 4923009. ALL’ARCHIMEDE è il periodico dell’Associazione Culturale Archivio Carlo Montanaro, è stampato in proprio e poi diffuso, non scaricabile, nel sito archiviocarlomontanaro.it. Copyright ©Associazione Culturale Archivio Carlo Montanaro e, ove indicato, dei singoli autori. Chiuso il 26 giugno 2018

FOTO E ILLUSTRAZIONI Copertine Archivio Carlo Montanaro tutte le altre illustrazioni appartengono all’ Archivio Carlo Montanaro e a presumibili fonti di pubblico dominio.



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