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Il club investigativo e il Caso della Dama Rossa
ILARIA SORRENTINO, 1cc
Capitolo 5
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Il club investigativo
31 maggio 1978
Era l’una di notte e i ragazzi stavano seduti nella taverna di Susanna in un silenzio agghiacciante. Sui loro volti era ancora visibile il terrore lasciato dalle fiamme, come una bruciatura che non vuole sanarsi. Il giorno prima avrebbe dovuto essere perfetto: erano andati al lago e avevano fatto un pic-nic. Poi però c’era stato quell’incendio. Nessuno ricordava, o non voleva ricordare, come era potuto accadere. Susanna continuava a scrivere sul suo diario, incapace di guardare negli occhi i suoi amici. La colpa non era solo di Ethan. Avevano partecipato tutti a quella cosa. Avevano bruciato tutti quella casa. Tutti erano colpevoli e sapevano che la verità sarebbe venuta a galla. Era questione di giorni. E ora tutti loro vivevano nel terrore, sapendo in cuor loro di essere colpevoli. 31 maggio 2018
Beth e Tom erano seduti sul divano della taverna di lei, uno accanto all’altra. Stavano aspettando Jim e Jane per parlare di quello che stava succedendo. Beth aveva detto a sua madre di aver organizzato un pigiama party, come facevano quando erano piccoli, per non farla preoccupare, e suo padre sarebbe tornato tardi dal lavoro. Incrociò lo sguardo preoccupato di Tom e le ritornò in mente quando l’aveva baciata nella casa. Appoggiò la testa sulla sua spalla e lui le mise un braccio sulla spalla. “Fa ancora male la caviglia?” Beth gli rispose annuendo. “Vado a prenderti del ghiaccio”. Tom si alzò, salì le scale e si
diresse verso la cucina. Tornò qualche istante dopo, con in mano un sacchetto pieno di cubetti ghiacciati. Con delicatezza prese il piede di Beth, come se fosse fatto di cristallo e rischiasse di rompersi da un momento all’altro, e vi posò sopra il ghiaccio. “Va meglio?” Beth annuì, diventando rossa. Il campanello della porta suonò e Tom andò ad aprire, e Beth si rimproverò immediatamente per essere arrossita. Jane e Jim entrarono e lui occupò la poltrona blu come al solito. Tom chiuse la porta della taverna e ritornò a sedersi di fianco a Beth, appoggiandole un braccio sulla spalla. Jim, sorpreso, si rese conto di provare un’insolita emozione: la gelosia. Possibile che fosse geloso? Insomma Annabeth gli piaceva da una vita. Il suo sorriso, la sua allegria, la sua vivacità. Avrebbe dovuto essere felice per lei. Eppure non ci riusciva. La gelosia è il peggiore dei mali, capace di distruggere tutto con un soffio. Incrociò per un attimo il suo sguardo con quello di Beth. Fu come se una freccia lo avesse colpito in pieno petto. Un dolore che non si decideva a passare e gli annebbiava la mente. Poi Annabeth si schiarì la voce e cominciò a parlare: “Nello studio di tuo padre abbiamo trovato questi” e gli porse il fascicolo rosso e la scatola di fiammiferi. Jim li prese e le loro dita si sfiorarono. Le sue mani erano fredde per via del ghiaccio che si reggeva sulla caviglia. Jim gli stava per chiedere che cosa si fosse fatta, ma poi lei riprese a parlare: “Si tratta di un incendio di una casa ai margini del bosco. Io e Tom ci siamo andati e....” Annabeth si fermò quasi come se fosse incerta di quello che stava per dire, ma Tom la precedette: “Abbiamo visto l’assassina di tuo padre, e per poco non uccideva anche noi”. “Come fate a sapere che era lei l’assassina?” Tom e Beth si guardarono. Beth lo supplicò con uno sguardo. Sperava invano che lui non avrebbe detto niente, ma era giusto che Jim sapesse la verità: “Jim, la sera dell’omicidio, noi eravamo lì. Abbiamo visto quella donna, la stessa che c’era nella casa, sparare a tuo padre.” Jim diventò bianco. Annabeth si alzò dal divano e si inginocchiò a fianco a lui, prendendogli la mano. Jim si sottrasse subito dalla presa: “Voi eravate lì quella sera? Avete visto quella donna sparare, e non avete fatto niente? Potevate salvare mio padre! Avrebbe potuto essere ancora vivo! Ancora qui con me!”. Jim si alzò e corse fuori. Jane che fino a quel momento era rimasta a guardare, gli corse dietro, senza degnare del minimo sguardo Tom e Beth. Beth rimase lì, inginocchiata, il viso tra le mani e le lacrime che le rigavano il viso. Tom le poggiò una mano sulla spalla. Lei si rialzò e lo guardò. I suoi occhi violetti erano rossi e le sue guance erano rigate di lacrime. La treccia si era sciolta, e ora i capelli corvini le ricadevano sulle spalle. Tom l’abbracciò. “Tom ha ragione lui. Avremmo potuto fare qualcosa quella sera. Potevamo chiamare qualcuno, avremmo potuto salvarlo, avremmo…” “Beth. Non è colpa nostra se è morto. L’unica cosa che possiamo fare ora, è stare vicino a Jim e risolvere questo mis-
tero.” La mattina dopo, Jim si svegliò con un gran mal di testa per via di tutte quelle ore passate a piangere. Stava per uscire e andare a scuola, quando qualcuno suonò il campanello. Aprì la porta e si ritrovò davanti Beth con il suo zainetto verde militare sulle spalle e un giubbino di jeans. Gli sorrise e gli disse: “Hai già fatto colazione?” Reggeva in mano un sacchettino bianco, dal quale proveniva un dolcissimo profumo di biscotti. Lei glieli porse e si incamminarono verso la scuola, costeggiando il lungo lago. Jim aprì il sacchettino “Biscotti al cioccolato, i miei preferiti!”. Jim ne addentò uno. “Jim... volevo chiederti scusa per ieri. Lo so che ora non servono a niente e che avrei dovuto fare qualcosa per tuo padre quella sera. Ero spaventata, sono stata una codarda…” “Beth non sei mai stata una codarda e mai lo sarai. Hai avuto paura e hai reagito come avrebbero fatto tutti. Non è colpa nostra quel che è successo a mio padre. È colpa di quella donna e noi dobbiamo trovarla.” Annabeth gli sorrise e gli rubò un biscotto al cioccolato dal sacchettino: “Hey, quelli sono i miei biscotti!” Lei gli fece una linguaccia, e addentò il biscotto. Arrivarono davanti alla scuola: era un edificio con mattoni a vista e grandi porte di vetro, davanti c’erano dei gradini di pietra e un muretto. Si sedettero e finirono di mangiare. Non appena finirono, Jane e Tom li raggiunsero davanti al muretto. Lo sguardo di Jim si incrociò con quello di Tom: due sguardi carichi di gelosia. Tom distolse lo sguardo, e si sedette accanto a Beth sul moretto, dandole un bacio sulla guancia. Annabeth sentì le guance diventare rosse e un sorriso ingenuo comparirle sul viso. “Andiamo in classe, si sta facendo tardi” disse Jim alzandosi e accelerando il passo. Annabeth non riusciva a capire cosa gli stava succedendo. Si incamminò al fianco di Jane e le chiese: “Jane sai che cosa gli è preso a Jim così all’improvviso?!” “Beth solo una stupida non lo capirebbe.” Durante le lezioni, la testa di Beth era dappertutto tranne che in classe. Continuava a pensare alla sera prima, alla donna sulla scala e a ciò che era successo; pensava a Jim che le diceva di non ritenerla una codarda, e che un momento dopo se n’andava infastidito. Pensava continuamente alle parole di Jane: “Solo una stupida non lo capirebbe”. Forse era veramente stupida. Tutti i pensieri le si mescolavano nella testa. Doveva fare ordine. Prese il suo blocco da disegno e cominciò a disegnare tutto quello che le era successo. Fece decine di disegni in bianco e nero: il primo piano della donna, dove l’unico particolare colorato erano i suoi occhi glaciali; i pupazzetti sul pavimento e la facciata della casa divorata dalle fiamme. Quando finì l’ultima ora, raccolse disordinatamente i fogli e corse fuori dall’aula. Era già con la testa a casa a lavorare sul caso, quando Tom la raggiunse, facendola sobbalzare. “Scusa non volevo farti spaventare. Volevo parlare di ieri sera.” “Secondo me ci deve essere qualcosa che collega l’omicidio con l’incendio. Qualcosa che riguardava anche lo sceriffo. E poi
quei due peluche… magari l’anziano, quel giorno, non era solo. Magari i suoi nipoti erano lì. O magari li ha lasciati qualche senzatetto che si è approfittato della casa abbandonata”. A Tom scappò una piccola risatina. “Cosa c’è da ridere?! Io sto parlando seriamente.” “Io non intendevo del caso ma… ” Lo vide diventare rosso per la prima volta nella sua vita. “Tom, penso che sia meglio concentrarci sul caso ora, poi ne riparliamo.” Lui annuì. Non dissero altro per il resto della strada. Quando Beth raggiunse casa sua, fu quasi contenta di chiudersi la porta alle spalle e di vedere i suoi genitori. Come tutti i sabati, sua nonna era lì in cucina ad armeggiare con i fornelli, dando vita a dei profumi e dei sapori squisiti. Lasciò lo zaino per terra e ne tiró fuori solo il suo blocco da disegno. Corse in camera sua mentre la madre le gridava che tra cinque minuti sarebbe stato pronto il pranzo. Chiuse la porta dietro di sé. La sua cameretta aveva le pareti verde acqua. Sulla sinistra c’era un armadio bianco, al centro il letto e, a destra della porta, una scrivania con qualsiasi tipo di libro ammassato. Sul lato sinistro c’era una grande finestra con le tende azzurre. Liberò la scrivania, appoggiando i libri sul letto, e prese i suoi disegni. Cominciò a studiare quel fascicolo e a trascrivere tutto quello che ricordava della sera dell’omicidio, ma fu interrotta dal richiamo di sua madre. Jane rientrò a casa e come ogni giorno la sua cagnolina le fece le feste. Lei però la superò con un piccolo salto e si diresse in camera sua. Era arrabbiata e non sapeva neanche perché. Si chiuse in camera e pianse con la faccia sul cuscino. Annabeth aveva appena finito lo schema dei suoi appunti sull’omicidio. Scese di corsa nella taverna e liberò la bacheca, dove li riordinò tutti scrupolosamente. Dopo un’oretta terminò, soddisfatta del suo lavoro. Si sedette sul divano e delle scatole nell’angolo della taverna attirarono la sua attenzione. Le prese e cominciò a svuotarle. Erano piene dei suoi vecchi blocchi da disegno. Ma una di queste, invece, era piena di diari. Erano di vario colore, intestati con l’anno. Ne prese uno e lesse il titolo: “Il club investigativo, anno 1976”. Lo aprì con curiosità e lesse: “Oggi, 22 dicembre 1976, è stato fondato il club investigativo. Io, Susanna Rossi, mi impegno ad appuntare tutte le nostre avventure nel modo più dettagliato possibile, senza tralasciare nessun particolare.”. Quelli erano i diari di sua madre. Ma cos’era quel club investigativo? Poi vide nella scatola una foto incorniciata: ritraeva tutti i membri. Erano in riva al lago, il tramonto alle spalle illuminava i loro volti. Annabeth riconobbe sua madre con i capelli neri ricci raccolti in una coda, accanto a lei il padre di Tom e la madre di Jim. Sul lato sinistro c’era una donna che assomigliava a Jane, e Beth intuì che fosse sua madre. Infine, c’era un ragazzo con gli stessi capelli rossi di Jim: lo sceriffo. Qualcosa scattò nella testa di Beth: forse il club c’entrava con quello che era accaduto allo Sceriffo e alla casa bruciata. Magari sua madre aveva appuntato qualcosa nei suoi diari. Cercò fre-
neticamente il diario del 1978, ma niente. Non c’era niente. I diari si fermavano al 1977. Di colpo, si accorse di un ultimo diario in fondo alla scatola. Aveva la copertina blu e sopra spiccava un titolo argentato: “1979”. Se c’era il diario dell’anno successivo, doveva per forza esistere quello del 1978. Forse sua madre lo teneva da qualche altra parte o magari non lo aveva lei. Afferrò il telefono e scrisse a Tom: “Hey, ho scoperto una cosa. Ci vediamo tra 10 minuti al parco. È urgente.”
Susanna finì di scrivere quello che era accaduto quella sera sul suo diario rosso e, alle due di notte del 31 maggio, seppellì il diario. Lanciò un ultimo sguardo al punto dove l’aveva seppellito. Sospirò, allontanandosi velocemente, affidando tutti i suoi segreti alla terra.