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La sinistra italiana: un progetto in crisi
POLITICA LA SINISTRA ITALIANA
UN PROGETTO IN CRISI
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FRANCESCO VACCARO, 5aa “Sono di sinistra se, di fronte alla solitudine di un’anziana malata, mi accorgo che anche la mia vita perde qualcosa; sono di sinistra se le rinunce di una famiglia di quattro figli rendono la mia più povera; sono di sinistra se vedo un bambino che muore di fame, e in quel momento è mio figlio, mio fratello piccolo”. Con questa citazione del discorso di Walter Veltroni in occasione dell’ultimo congresso dei Ds nel 2007 inizio il mio ultimo articolo in questo bellissimo Giornalino, che riguarda la mia passione più grande: la politica. I miei cinque lettori che nel corso di questi anni hanno letto i miei articoli avranno già intuito il mio orientamento “a sinistra”, orientamento che non ho mai nascosto, anzi ne vado fiero. Ma proprio per questa mia appartenenza a sinistra sento la necessità di scrivere quello che purtroppo non funziona da dieci anni ormai nella sinistra italiana. E con “sinistra italiana” intendo tutti i partiti che si richiamano a quella posizione politica, dai più radicali ai più moderati, ma soprattutto il PD, che, piaccia o meno, è il polo di questa area politica, per retaggio e radicamento sul territorio. La sinistra ha ormai perso i valori che più dovrebbe sottolineare, e che invece sono scomparsi o messi in sordina nella comunicazione politica di questi partiti: lavoro, giustizia, istruzione, welfare in genere. In particolare sono tre i problemi della sinistra italiana: il primo è interno; il secondo è ideologico; il terzo è politico. Con il termine “interno” mi riferisco al modo di organizzarsi della sinistra al proprio interno e tra i vari partiti che la compongono. Il problema che secondo me attanaglia la sinistra sotto questo aspetto è la frammentazione e la mancanza di leadership: se facciamo un confronto tra la sinistra e la destra emerge chiaramente che la prima è costellata da una miriade di partiti che ciclicamente ogni quattro o cinque anni nascono e muoiono attorno al leader di turno. Si tratta di una tendenza cronica alle scissioni: puntualmente una parte interna ad un grande partito (leggasi
PD), in dissenso rispetto ad una decisione assunta dalla segreteria, decide che è il momento di fare le valigie e di andarsene per esprimere in maniera autonoma le proprie idee. Si tratta evidentemente di una forma particolare di masochismo: da sempre infatti le scissioni si concludono con un fallimento, sia per chi l’ha attuata, in quanto vede il proprio partito inchiodato a cifre miserevoli (2-3%), sia per chi l’ha subita, in quanto deve operarsi per riassorbire l’emorragia, seppur minima, di voti. E questo peraltro fa perdere appetibilità politica alla sinistra stessa: una fazione politica che periodicamente vive delle scissioni interne e guarda sempre al proprio ombelico mostra una forte instabilità e poca credibilità agli occhi dell’elettorato che simpatizza a sinistra, che scivola verso altre aree politiche o direttamente verso l’astensione. In pratica a sinistra c’è un fenomeno esattamente opposto a quello a destra: mentre la destra esprime leader molto forti e ha una struttura gerarchica ben precisa, a sinistra regna il personalismo e i piccoli gruppi interni, che anziché favorire l’azione del leader gli mettono i bastoni tra le ruote. Ne sono un esempio le due scissioni più recenti che il PD ha subito: quella di Renzi con Italia Viva e quella di Calenda con Azione. Ora, diciamocelo con franchezza: Renzi ha fatto la scissione per poter contare di più in Parlamento, e con Conte ci è riuscito alla grande; Calenda invece ha estremizzato (ironico per uno moderato come lui) il suo no ai 5 Stelle e oggi coglie ogni occasione buona per lanciare bordate al partito che comunque lo ha lanciato politicamente. Entrambi poi hanno lanciato le loro operazioni per conquistare “l’elettorato di centro”: quella dell’elettorato di centro è una favola, una sorta di terra promessa che probabilmente non esiste; lo dimostra il fatto che esistono il centro-sinistra e il centro-destra. I partiti che hanno ambito al centro si sono dovuti confrontare con un forte immobilismo politico e con un elettorato troppo variegato al suo interno per essere posto sotto un unico progetto politico. Veniamo al secondo problema della sinistra di oggi, forse il più importante: quello ideologico. È da un po’ di tempo che i partiti di sinistra non sanno più chi essi siano. Dai tempi di Berlusconi ormai la sinistra individua i propri valori “in negativo”: in pratica, essi stabiliscono i valori di turno a seconda dell’avversario emergente a destra. C’è Berlusconi, quindi bisogna assolutamente sostenere il conflitto di interesse e il giustizialismo; c’è Salvini, quindi bisogna sostenere lo “ius culturae” e lo “ius soli” . Queste proposte politiche non sono sbagliate in sé, ma lo diventano se non sono sostenute in maniera organica e coerente e se sono unicamente dettate dalla necessità di presentarsi come l’anti-destra e non come la sinistra; sembra un gioco di parole, ma non è affatto la stessa cosa. Ideologicamente oggi la
sinistra sostiene i diritti nelle sue forme più svariate, ai quali dedica quasi tutta la sua comunicazione politica nei congressi e alle elezioni: quelli delle donne, quelli dei migranti, quelli della comunità LGBTQ+ e così via. Anche qui, proposte assolutamente sacrosante, ma siamo davvero sicuri che la sinistra sia solo o principalmente questo? La risposta è storicamente no: come afferma Veltroni nella citazione ad inizio articolo, la sinistra è nata per dare voce agli ultimi, agli esclusi, alle classi sociali più deboli all’interno di uno Stato borghese che di queste classi gliene importava ben poco. La sinistra è nata con l’obiettivo di garantire una uguaglianza sostanziale a tutti e per ottenere per le persone al gradino più basso della società quella dignità che in quanto esseri umani meritano. I diritti difesi dalla sinistra sono quindi diritti universali: diritto al lavoro, diritto all’istruzione, diritto di essere chi si vuole, oltre ogni particolarismo. Attenzione, non sto dicendo assolutamente che i diritti sopra citati non siano importanti, ma che non possano essere l’unico argomento della comunicazione politica della sinistra. L’elettorato della sinistra, il suo interlocutore privilegiato col quale comunicare, dovrebbe essere quindi composto dalla fascia dei poveri, dalla classe operaia e anche dalla medio-piccola borghesia, quella che è perennemente oppressa dalle grandi multinazionali. Oggi invece si assiste a un vero paradosso: nelle grandi città i partiti della sinistra vincono, ma con i voti del centro, delle classi più ricche, e non con i voti delle periferie, che prive del loro naturale centro politico di riferimento sono nelle mani del populismo più becero. Anche la comunicazione è cambiata: spesso ormai la sinistra è autoreferenziale, con un atteggiamento arrogante e spocchioso, a volte addirittura di censura nei confronti di chi non si conforma al pensiero dominante, come se fosse l’unica depositaria della verità e di ciò che è giusto. Abbiamo più una sinistra “da salotto”, lontana dai grandi comizi e dai congressi a tema dei partiti comunista e socialista della Prima Repubblica. Veniamo infine ad un problema minore del precedente ma comunque molto importante: il problema politico. Una buona ideologia infatti non è niente se non è accompagnata da altrettante buone scelte politiche: alleanze, elezioni, nomine governative, attività parlamentare. Le scelte politiche sono quelle che danno forma all’ideologia e la concretizzano nella realtà, declinandola in vario modo in base alle circostanze particolari del momento. Bene, proprio su questo versante la sinistra italiana dà il peggio di sé: programmi elettorali puntualmente disattesi, alleanze fatte e disfatte a seconda della convenienza, leggi elettorali ad hoc per limitare la vittoria della destra pronosticata dai sondaggi, parlamentari che se ne vanno e ritornano a piacimento. Lo so cosa
starete pensando: “Si, ma questo lo fa tutta la politica italiana, anche la destra”. È assolutamente vero, ma la sinistra ha, rispetto alla destra, un problema davvero fastidioso: la smania di andare al potere. Il PD in particolare è diventato il partito di governo per eccellenza: esso, in un modo o nell’altro, riesce sempre a piazzare nelle nomine più importanti (come quella di Presidente della Repubblica) uomini che facciano riferimento al centro-sinistra; e questo quando il consenso elettorale èaltalenante e il PD non vince alle elezioni. Spengo subito l’entusiasmo dei lettori di destra che stanno leggendo queste parole: dal 2006 al 2018 il PD non avrà sempre vinto, ma è sempre stato almeno seconda forza politica del Paese, quindi è più che legittimo che esso voglia esercitare il consistente consenso che comunque riesce ad ottenere alle elezioni. E poi, se Atene piange, Sparta non ride (anzi). Quello che è meno legittimo è questa volontà di fare sempre e comunque parte della maggioranza parlamentare: stare in minoranza, oltre che garantire un minimo di avvicendamento democratico, permette anche di riorganizzarsi e di non dovere sempre sacrificare le proprie posizioni per il governo del Paese. Lasciamo che siano anche gli altri ad andare al governo: questo è salutare all’interno di una democrazia liberale come la nostra e permette un clima di fiducia nei confronti delle istituzioni e una certa credibilità per la sinistra. Inoltre, stando all’opposizione si può vigilare sull’operato della maggioranza, oltre che presentarsi come una alternativa a questa. Ma quindi, vi starete chiedendo, a che serve questo articolo? Questo articolo non è, né vuole essere, una critica arcigna fine a sé stessa, anzi, ho voluto individuare quelli che, a parer mio, sono i punti deboli della sinistra italiana oggi con l’ottica di una persona che nella sinistra ci crede ancora molto e che vuole che torni ad essere vincente. Io sogno uncentro-sinistra basato sull’europeismo, ma un europeismo critico e consapevole, come quello del presidente del Parlamento europeo Sassoli, non quello rose e fiori di +Europa secondo cui tutto va bene così com’è. Io sogno uncentro-sinistra basato sul riformismo, non quello di centro, che mira a “tirare a campare”, ma quello di tradizione socialista, ossia quello delle riforme ampie e organiche per incidere davvero nel Paese. Io sogno un centro-sinistra dei deboli e degli ultimi, che vanno cercati nelle loro case, nel loro ambiente e accompagnati verso un futuro migliore. Infine, io sogno uncentro-sinistra pragmatico, che sappia fare i conti con la realtà e flessibile, che non vuol dire assolutamente una sorta di nuovo trasformismo, ma accettare gli stimoli provenienti da realtà che non siano necessariamente di sinistra in senso stretto, rifiutando il dogmatismo ideologico. E io sono convinto che uncentro-sinistra così descritto sia assolutamente possibile e realizza-
bile, con una grossa scorta di pazienza e buona volontà. Voglio chiudere questo articolo, e il mio percorso in Etcetera, con un messaggio per tutti: non abbiate mai paura di esprimere la vostra opinione, sia essa di sinistra o di destra, “mainstream” o anticonformista. Ma soprattutto, nonostante le delusioni che a volte può dare, coltivate sempre un interesse per la politica, la più bella delle passioni: è vero, spesso ci delude e ci sembra lontana dalla realtà, ma è gratificante lottare per le proprie idee e impegnarsi per la propria comunità e il proprio Paese. Ad maiora ragazzi!