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Atto finale
L’EDITORIALE ATTO FINALE
GIACOMO LONGONI, 5bb Care lettrici, cari lettori, in questi ultimi giorni di liceo ho pensato alle cose improrogabili che avrei dovuto fare prima del suono dell’ultima campanella. La lista a dir la verità era così lunga che non sono riuscito neppure a scriverla tutta. Nel frenetico svolgersi delle ultime settimane le interrogazioni sommative, la stesura dell’elaborato hanno catalizzato tutte le mie attenzioni. Conclusi quelli, ho avuto poco tempo – ma mi è bastato – per salutare tutte quelle persone con le quali ho condiviso svariati momenti in questi ultimi cinque anni. Alcune forse le ho viste per l’ultima volta. Poi c’era EtCetera. Come salutarla? A chi tra voi è come me in quinta o comunque ormai un veterano tra queste mura scolastiche è noto che è consuetudine per i maturandi miei colleghi del giornalino scrivere un articolo strappalacrime una volta giunti alla fine dei cinque anni, articolo completo di un continuo susseguirsi di “resto perché”, “vado perché”. Si tratta di una rivisitazione, tutta nostra, dell’interior monologue di joyciana memoria… Non ho validi motivi per restare e comunque non vorrei mai che qualcuno tra i miei docenti, leggendo l’editoriale – cosa tuttavia alquanto improbabile -, ci creda davvero. Quanto al “vado perché” sbobinerei una serie infinita di considerazioni che sono certo a pochi interesserebbero. Quindi come salutare EtCetera? Come congedarsi dai quattro/cinque affezionati e carissimi lettori che non hanno mai tralasciato un solo mio editoriale? Quando ormai due anni fa in questo stesso luogo da cui sto scrivendo ora pensai all’argomento del mio primo editoriale da Caporedattore mi venne in mente di spiegare che cosa per me volesse dire “EtCetera”, perché mai un giornalino scolastico dovesse chiamarsi così, cercando di fornire un mio (non richiesto) punto di vista. Alla fine scartai quest’opzione e ne feci uno sullo speaker della House of Commons inglese, quell’assatanato che urlava “Order!” con inaudita veemenza all’indirizzo dei colleghi casinisti, ricordate? Bene, dopo tutto questo tempo voglio riprovarci. Perché “EtCetera”? Che cosa, “EtCetera”? Ancora, “EtCetera”? “E le altre cose”, traduco per i non latinisti. Sì, ma che cose? “Racconto storie raccolte fra mari immani, mari immani/Ancora un po’, ancora un poco/Racconto storie di navi tra i vari fari, vari fari/ Prendo fiato, ho poco fiato, perdo fiato”.
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Così il magistrale Murubutu, peraltro non scostandosi molto dallo stile dell’interior monologue sopra citato, canta in “Diario di bordo”. Narra ciò che ha potuto ammirare e vivere sulla propria pelle in un viaggio immaginario collocabile forse in età tardo medioevale che lo ha condotto dalla Patagonia alla Nuova Scozia, dall’Artide all’Antartide e in molti altri luoghi ancora. Se dovessi dare una definizione completa di EtCetera prenderei in prestito queste parole. Le famigerate “altre cose” sono quell’esperienze, quei pensieri, quelle idee che maturano in terre lontane, dentro e fuori di noi. È il non detto, ciò che se detto si teme possa perdere valore o, al contrario, assumerne così tanto da sconvolgere e scandalizzare chi ascolta. Le “altre cose” sono quelle paure che non abbiamo il coraggio di confessare e, più concretamente, progetti bizzarri o iniziative a cui nessuno ha pensato prima. EtCetera esce ogni mese con l’intento di render conto ai lettori di quegli “immensi mari” solcati ogni giorno da chi vi scrive e dei “vari fari” di chi, in preda alla noia, alla tempesta o a chissà cos’altro, cerca un riferimento sicuro a riva. È un grande diario di bordo in cui ciascuno, se ha piacere, può collaborare e scrivere qualcosa. EtCetera si alimenta della diversità, perché sa che le “altre cose” sono fuori da noi ma in qualche modo ci appartengono, sono parole e pensieri di altri che, una volta condivisi, diventano nostri. È un modo, forse banale, per arricchirsi vicendevolmente e scoprire che non c’è nulla che non ci riguarda. Sul diario di bordo non si riportano le cose che si sono viste ma le cose come le si sono viste. Ecco la dimensione soggettiva di EtCetera che è la sua grandezza. A chi, come peraltro recentemente accaduto, ci accusa di non dare a tutti lo stesso spazio ricordo che, avendo un senso il nostro stesso esistere solo se ci si rapporta ad una diversità saremmo
da ostracizzare immediatamente dal Majo e subire un processo per alto tradimento. In questi due anni ho avuto la fortuna di guidare un gruppo unito, determinato, che, unico tra i diversi gruppi del liceo, ha continuato a lavorare nonostante l’avvento della pandemia. A volte quando mancavano un po’ le forze ci siamo spronati a vicenda ma del resto anche nel racconto di Murubutu si dice: “Prendo fiato, ho poco fiato, perdo fiato”… Il Majo può contare su questo giornale e deve andarne fiero perché costituisce – sarei felice di essere smentito e contraddetto – l’unico laboratorio di democrazia e cittadinanza interno alla scuola pensato da e per gli studenti. Ne ho avuto prova io stesso in questi ultimi due anni. Lascio la redazione alla guida saggia di Luca Saracho, che già conoscete e che avrete modo di apprezzare più di quanto già non facciate ora. Inizio i dovuti ringraziamenti chiamando in causa il mio predecessore, Filippo Vergani, per i preziosi consigli elargiti in questi anni, soprattutto all’inizio di questa mia esperienza. Ringrazio ancora tutti, redattori, vignettisti, impaginatori, correttori bozze. Ci tengo anche a esprimere a nome della redazione un ringraziamento ai Rappresentanti d’istituto che si sono sempre resi disponibili alla condivisione di EtCetera sulle loro piattaforme e, da ultimo, alla Presidenza. Ad Majo-ra, semper!