4 minute read

Il carcere ai tempi del Covid

Attualità

15

Advertisement

Giulia Burigotto, 5bb

Il carcere ai tempi del Covid

Dopo le rivolte di marzo/aprile la situazione in carcere sembra essere passata in secondo piano, ma le grandi carenze sono rimaste. Nel mese di agosto sono stati registrati in totale 287 casi di detenuti positivi, diminuiti a 152 nel mese di ottobre, divisi in 41 istituti (71 solo a San Vittore, 55 a Terni, 12 a Benevento) e circa 200 di agenti penitenziari, tre ricoverati, il resto in quarantena. In queste settimanetuttavia l’Osapp ha denunciato un incremento del 600% dei contagi, causata dalla mancata distribuzione di dispositivi di protezione individuale per i detenuti e dal mancato rispetto di alcune norme durante i colloqui con i famigliari, dove non mancherebbero scambi di effusioni e di contatti fisici. A fronte di ciò si sono adottati diversi provvedimenti per salvaguardare la salute della popolazione penitenziaria: a 2 mila detenuti attualmente in semilibertà è stato concesso di dormire a casa senza rientrare in cella e ad altri 3mila, soprattutto a quelli a cui mancano meno di 18 mesi da passare in carcere, di scontare il resto della pena nel proprio domicilio, attraverso l’uso del braccialetto elettronico e accertamenti. Nell’ istituto San Vittore è stato allestito uno specifico reparto per la cura del covid-19 e in tutta Italia sono stati distribuiti più di 1600 dispositivi cellulari per rendere possibili video-colloqui tra i detenuti e le famiglie, per evitare rapporti diretti, incrementare la corrispondenza telefonica e favorire la didattica a distanza. È innegabile il tentativo di non escludere il sistema penitenziario dal difficile progetto di contenimento del virus in tutto il Paese ma, così come succede per scuole e aziende, non si può rimediare a decenni di cattiva politica in pochi mesi. Già ad agosto i braccialetti elettronici operativi erano molto meno di quelli promessi, in quanto misura costosa e di difficile applicazione; nelle carceri permane un tasso di sovraffollamento molto alto (su 50.472 disponibile ne sono occupati 54.868), a cui si aggiunge la mancanza di istituti penitenziari femminili (4 in tutto il territorio nazionale), affiancati invece da 43 sezioni per donne ubicate all’interno di carceri maschili, dove si trovano il 75% delle detenute; solo il 27,2 % dei detenuti è iscritto a corsi scolastici, che spesso si tengono nella stessa fa-

Attualità 16

scia oraria di altra attività, costringendo quest’ultimi a saltare la scuola; una percentuale inferiore al 30% è occupata in mansioni poco professionalizzanti, la maggior parte commissionate dall’ Amministrazione penitenziaria, e solo l’1,5% lavora per datori esterni; finora sono stati segnalati 47 suicidi, 9 dei quali si riferiscono a giovani di età compresa tra i 22 e i 28 anni e 30 a individui di età inferiore ai 50; numerose sono le segnalazioni riguardo violenze e pestaggi a Monza, San Gimignano, Torino, Palermo, Milano, Melfi, Santa Maria Capua Venere e Pavia, a cui si aggiungono due casi riaperti di violenze e di abbandono terapeutico a Ivrea e Siracusa. Nella lunga lista di deceduti appare anche una lunga serie di morti da accertare, spesso legate alle rivolte della primavera passata. Tante sono le testimonianze di punizioni aggressive e oppressive attuate dagli agenti dopo l’accaduto, accompagnate da segnalazioni e lesioni omesse dai referti medici. E mentre le nuove formazioni neofasciste infestano le strade distruggendo negozi, occupando edifici, e gridando indisturbati il loro odio, all’interno di quell’alto muro di cemento che separa il cittadino dal detenuto, delle persone vengono private dei loro diritti. Persone che si alzano in piedi per reclamare, ma le cui gambe vengono spezzate da colpi di manganello. Persone che nella vita hanno scelto di sbagliare o ne sono stati obbligati, ma che ora vengono privati della possibilità di redimersi, il colmo per un Paese fondamentalmente cristiano. Persone che lo Stato non ha interesse a rieducare, che lo Stato non ha mai avuto interesse a educare. Sono dell’opinione che sia necessaria una riforma che vada a coinvolgere ogni istituzione statale, in primis la scuola: gli studenti devono essere incentivati a conoscere direttamente questo tipo di realtà e di coltivare un profondo sentimento di legalità e di giustizia che trascenda sterili lezioni di educazione civica dove vengono esplicati principi fondamentali che di fatto non vengono rispettati. Negli anni passati in effetti nella nostra scuola si è provato a promuovere un progetto del genere, invitando durante la settimana di sospensione un detenuto del carcere di Bollate e il cappellano del carcere minorile Cesare Beccaria, tuttavia questi due incontri sono inseriti in contesti assai diversi da quelli che possiamo trovare ad esempio a Monza e a Milano San Vittore (per non citare Rebibbia, Regina Coeli e Poggioreale). Per una reale comprensione di quel mondo che a noi rimane precluso bisogna attraversare

Attualità 17

i corridoi di quegli edifici, vedere con i propri occhi le condizioni igieniche e sanitarie, ascoltare testimonianze sincere e libere da qualsiasi condizionamento esterno, contare interminabili minuti che sembrano non passare mai, guardare attraverso sbarre e sentirsi animali in cattività. Avere la possibilità di cambiare le cose, di rendere giustizia, di conoscere, è un diritto. Ricordatevelo.

This article is from: