Ecole Sarah. Nel paese del riso e del sorriso

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Fotografie

Testi

ENRICO FORMICA

MARIA VASSALLO

Nel paese del riso e del sorriso

ECOLE SARAH

Andranovolo

Madagascar



La prima volta che incontrammo Franca e Francesco, con Sarah, fu nel 2004 a Pont-Saint-Martin. Il loro ufficio “trasudava” di Madagascar! Parlando della Grande Isola, sul viso di Franca compariva quel sorriso di mamma premurosa che, ancora oggi, l’accompagna quando parliamo delle nostre esperienze laggiù. Francesco, uomo alto ed austero, con la sua pipa in bocca, iniziò il racconto del loro trentennale lavoro di volontariato in Madagascar. Le sue parole appassionate catturarono immediatamente la nostra attenzione. Eravamo ammirati ed ammaliati da quanto avevano fatto per la popolazione malgascia. “Il Madagascar è il paese del non senso” ci diceva Francesco. “La bellezza nobile e rigogliosa di quella terra contrasta con la miseria assoluta in cui vive tanta gente. Le loro fatiche sono alleviate da quanto l’isola restituisce loro in emozioni. Come si fa a non essere rapiti da un’isola in cui le stelle del cielo sembrano poter essere accarezzate, in cui le infinite sfumature del verde delle risaie si specchiano nel rosso intenso della sua terra, dove le miriadi di colori dei fiori e dei frutti sembrano canditi dolci e colorati, pronti per essere assaporati? E che dire della povertà, genuinità e sconcertante semplicità della sua gente? Ti costringe ad immergerti in quel mare di volti, negli sguardi dei loro bambini, i cui sorrisi, come grandi onde, ti rapiscono portandoti al largo…, lontano dal nostro mondo occidentale!” Francesco s’interruppe improvvisamente, posò la pipa, guardò Sarah che era ammaliata dal suo racconto e con un’espressione di uomo sereno le disse: “Il Madagascar, per noi due, è il paese del riso e del sorriso.” Aldo e Marina Bergoglio DEDICATO A FRANCA E FRANCESCO GRASSELLI


ECOLE SARAH Nel paese del riso e del sorriso

Progettazione, ideazione e gestione editoriale: POETICA del TERRITORIO Châtillon, Valle d’Aosta Tel +39 3451749062 – info@poeticadelterritorio.com www.poeticadelterritorio.com Testi: © Maria Vassallo Fotografie: © Enrico Formica - www.enricoformica.it Le foto di pagina 5 e 7 e le foto n. 1, 43, 71, 99 e 105 sono di © Alessandro Gaia, Associazione Progetto Sarah Onlus Progetto grafico: Enrico Formica POETICA DEL TERRITORIO © 2017 ALL RIGHTS RESERVED È vietata la riproduzione totale o parziale di fotografie, testi e cartine con ogni mezzo, elettronico o meccanico senza l’autorizzazione scritta degli autori. ISBN 978-88-941172-7-1

Impaginazione, fotolito e stampa: Tipografia Valdostana, Aosta Finito di stampare nel mese di Settembre 2017

GLI AUTORI

RINGRAZIAMENTI

Maria Vassallo

Quest'opera è frutto di altruismo, solidarietà e generosità di tante persone. Ringraziarle tutte singolarmente è impossibile, ma ciascuna di esse sa quanto è stata e quanto continua ad essere importante per la realizzazione del Progetto Sarah. Doveroso, però, è ricordare alcune famiglie che ci hanno dato la possibilità di operare fin da subito o in corso d'opera, in modo concreto e tangibile, in ricordo di Umberto, Edo, Manuela, Flavio, Maria, Fabio, Paolo e Sandro. A loro come a tutti quelli che ci hanno aiutato, che ci stanno e che continueranno a farlo un grande GRAZIE!

Fondatrice, nel 2010, insieme al senatore Cesare Dujany e a Enrico Formica, dell’Associazione culturale Poetica del Territorio, promuove e realizza ricerche storiche, testi divulgativi, mostre e percorsi finalizzati alla conoscenza dei luoghi e della loro storia. Coordina con Enrico Formica le attività editoriali dell’Associazione (Edizioni Poetica del Terrritorio) nella convinzione che la forza della conoscenza sia il vero motore dello sviluppo locale. www.poeticadelterritorio.com/pubblicazioni Enrico Formica Già graphic designer, illustratore e pittore iperrealista, ha proseguito la sua attività utilizzando i mezzi tecnologici, la fotografia, sempre però conservando nei suoi scatti la radice pittorica dell’immagine. Dal 1976 e ininterrottamente fino ad oggi ha prodotto lavori su commissione (ritratti d’ambiente, lifestyle, still-life, riproduzioni d’arte) per agenzie pubblicitarie, aziende, enti, editori nazionali e internazionali, riservando tuttavia molto spazio alla ricerca e alla sperimentazione. Sono più di 280 le pubblicazioni editoriali di pregio illustrate con il suo lavoro fotografico, realizzato in prevalenza in grande e medio formato analogico. Ha messo a punto una personale tecnica di ripresa orbicolare utilizzando apparecchiature particolari e di sua progettazione che permettono di osservare in un unico fotogramma a 360° l’ambiente circostante, sempre senza alcuna manipolazione successiva. www.enricoformica.it

Famiglia Assereto Famiglie Civitate Famiglia Pent Elisa Rolli Famiglia Rossi Famiglia Santi Famiglia Squillari Famiglia Vastadore


Andranovolo

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MARIA VASSALLO

Madagascar

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ECOLE SARAH . Nel paese del riso e del sorriso

TEMA DI SARAH Domenica 11 febbraio 2007

LA MONDIALITÀ nte La nostra società è ormai definita “globale” ed è sempre più frequente n le il fenomeno dell’immigrazione, ma a volte è difficile convivere con sto altre culture, bisognerebbe rispettarsi perché si arricchisce in questo modo la società.

Io sono sicurissima del fatto che ciò sia vero, infatti se tutte le culture re potessero vivere insieme su questo mondo, uno solo per così tanta gente, e, in pace e armonia, potremmo imparare cose nuove e meravigliose sullee altre etnie e anche elargirne noi verso gli altri. Conosceremmo così usi e costumi di altri popoli, tradizioni e modi di vivere e fare, che magari oggi troviamo strani, a volte addirittura assurdi se confrontati con i nostri; ma solamente in questo modo potremmo imparare anche ad amarli e a cancellare tutti i pregiudizi che si affollano nei nostri cuori e nelle nostre menti. Già pregiudizi, stereotipi… sono questi che rovinano la nostra società e la nostra mente, facendoci pensare a cattiverie nei confronti di gente che il piu’ delle volte è solamente più sfortunata di noi. Persone che magari vivono in paesi scossi dalla guerra, o che purtroppo non possiedono ancora un’economia sviluppata e quindi costretti ad andare in altri paesi, magari facendo i lavori più umili: ili: perché odiarli per questo? Perché odiare persone che stanno nuovamente subendo ciò che è successo sso ai nostri nonni o bisnonni? Non riusciamo più a parlare di “ieri”, ormai si pensa solo più al “domani”, i” il nostro! t ! A volte alla gente con la pelle nera vengono rivolti sguardi malevoli, come per chi ce l’ha gialla o rossa, e quando questo succede, io mi vergogno del colore della mia pelle, che si è sempre sentita predominante. Come vorrei che fossimo nati con la pelle dello stesso colore, un mix di tutte quelle esistenti e con un cervello di egual misura, perché vedo spesso che molte persone ne sono prive. Mi ricordo che da piccola a volte a Natale chiedevo la pace nel mondo, oppure con i braccialetti della fortuna, ma questo non si avverava mai, eppure continuavo ad insistere e a sperare. È così che bisognerebbe sempre comportarsi a questi riguardi, ma nessuno lo fa… Ora, penso che nonostante i più grandi sforzi la pace nel mondo non verrà mai, forse in futuro ma non in quello più prossimo. Sarà che mi sto arrendendo alla fatalità degli eventi, ma io chi sono per cambiare le sorti dell’umanità? Bisognerebbe “contagiare” con questo pensiero così grande ed importante molte altre persone, ma spesso è come se le loro orecchie si rifiutassero di ascoltare. Continuare ad insistere forse però è la miglior cosa, perché si sa, la speranza è l’ultima a morire.

Sarah Bergoglio 4


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Sarah, il nostro mondo

ASSOCIAZIONE

PROGETTO SARAH ONLUS

A

nzi, il mappamondo in cui la terra ha il colore dei capelli dorati della nostra bambina e il mare il colore azzurro intenso dei suoi occhi. Sorvolando il Madagascar non può sfuggire questo accostamento cromatico che si materializza in ogni area della grande isola, tra gli altipiani e le valli interne, sempre attraversate da copiosi corsi d’acqua. Terra e acqua si contendono lo spazio, così come i contadini, a loro volta, strappano alla foresta o alla savana zolle da coltivare e trasformare in risaie. Saranno quindi i colori di Sarah, che purtroppo non è più con noi, a guidarci in questo viaggio che trova nel Madagascar la meta inconsapevolmente cercata dai nostri itinerari interiori, dal nostro affannoso bisogno di dare un senso all’esistenza. Affrontiamo il lungo viaggio che da Asti ci porta nel sud del Madagascar, fino al Tropico del Capricorno, con la determinazione di chi si sente annichilito dagli eventi funesti e vuole ottenere un riscatto, per riconciliarsi con la vita e riprendere il volo.

Andiamo lì per capire, per vedere i mille volti della miseria e misurarci con gli aspetti più brutali della vita. Sarah ora è lì, tra quei bambini che aveva visto nelle immagini, sporchi, poveri e affamati, ma incredibilmente sorridenti. Nel suo progetto di vita, Sarah sentiva l’attrazione per quel mondo, sapeva di potersi dedicare ai più deboli, donare la sua esuberanza e le migliori energie alla causa dei bambini più sfortunati. Ora tocca a noi prendere il testimone, farci portavoce e assumere le responsabilità di realizzare e portare a buon fine quel suo sogno. Non siamo soli. Abbiamo scoperto una quantità di persone pronte a collaborare, ad aiutarci, a trasformare il sogno in realtà. Ed è con questa rassicurante certezza che ci avviciniamo ad Andranovolo, villaggio sconosciuto, nascosto tra le foreste della regione sud-orientale del Madagascar. Sappiamo che i bambini del villaggio ci accoglieranno con il più grande sorriso di cui sono capaci e presto diventeranno la nostra nuova, grande, meravigliosa famiglia! Aldo e Marina

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Progetto Sarah, con la collaborazione sul territorio astigiano di Amici di Progetto Sarah, opera in Madagascar e precisamente ad Andranovolo, un villaggio del Comune di Vohitrindry, nel distretto di Vohipeno. Un poverissimo villaggio nel sud-est della grande isola a 730 km dalla capitale Antananarivo. Siamo operativi dalla morte di Sarah Bergoglio che, all’età di 12 anni, il 16.02.2007 è volata in cielo a causa di una embolia, provocata da un aneurisma alla vena iliaca. Sarah aveva già, da diversi anni, due bimbe malgasce come sorelline aiutate a distanza dalla sua famiglia, tramite gli amici della O.N.G. FIHAVANANA di Aosta. Sarah aveva già espresso ai suoi genitori, con fermezza e risolutezza, quella che sarebbe stata la sua vita: “Aiutare bambini in Madagascar” – come diceva – “sfortunati solo di essere nati nella parte sbagliata del mondo!” Progetto Sarah Onlus porta avanti la sua volontà, con la partecipazione dei suoi genitori e di tante magnifiche persone dal cuore grande! www.progettosarah.org progettosarah@gmail.com


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Il progetto INSIDE 400° © "Edizioni Poetica del Territorio" è uno sguardo sul mondo; prende in considerazione città e aree geografiche di particolare attrazione visiva, vuoi per la naturale bellezza dei luoghi, vuoi per la ricchezza di edifici storici, per la presenza di espressioni artistiche di particolare pregio, per lo svolgimento di manifestazioni di richiamo turistico. INSIDE 400° propone un repertorio di immagini realizzate principalmente con la tecnica della fotografia orbicolare, attraverso la quale possiamo immergerci nella realtà che ci circonda e vedere anche ciò che sfugge all’occhio umano con uno sguardo. L’autore delle immagini orbicolari si pone in un punto da cui si apre un ampio campo visivo, dove gli angoli non costituiscono un ostacolo ma implementano i volumi rappresentati. Questa tecnica consente di riprodurre, in un unico fotogramma, tutto quello che si può osservare compiendo un giro completo su se stessi; permette di “girare l’angolo” di volta in volta e vivere emozioni, scoprire scorci diversi che permettono di “rivisitare” città, regioni e comprensori da angoli visuali nuovi e inconsueti.

La collana INSIDE 400° è realizzata in parte con la tecnica fotografica orbicolare, comunemente conosciuta come 360°. Le immagini di questo tipo sono stampate su quattro ante, come da pagina 40 a 49, da 64 a 73, da 88 a 97 e da 124 a 133. Queste si aprono a finestra come nel disegno qui riportato.

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Sommario

P R I M A PA R T E

IL VIAGGIO Introduzione

Madagascar: luci e ombre

Capitolo I

La regione Imerina

Capitolo II

Verso le terre dei Betsileo

Capitolo III

La foresta del sud-est

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S E C O N D A PA R T E

ECOLE SARAH ANDRANOVOLO Capitolo IV

Andranovolo

Capitolo V

Ecole Sarah, molto più di una scuola

Capitolo VI

Le altre scuole sostenute da Progetto Sarah

Capitolo VII

L’assistenza sanitaria

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Prima Parte

IL VIAGGIO


ECOLE SARAH . Nel paese del riso e del sorriso

Ambohimanga ANTANANARIVO Bezanozano Merina Ambatolampy

Betsileo

Morarano Antsirabè Tanala Ambositra

Antambahoaka Antaimoro Antaifasy MANANJARY

FIANARANTSOA Ambalavao Ikongo MANAKARA IHOSY

VOHIPENO Ifatsy

Andranovolo FARAFANGANA

Manakara

Matitanana

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Tr o p i c o d e l C a p r i c o r n o

Ankasomassi Tananabo

Ifatsy

Vohitrindry Andranovolo

f

Farafangana

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Tanjomoa VOHIPENO

Lakanoro


INTRODUZIONE

Madagascar: luci e ombre

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l Madagascar è stato uno degli ultimi territori scoperti e popolati dall’uomo. Dalla sua separazione dal continente africano, la grande isola, situata tra il canale di Mozambico e l’oceano Indiano, è rimasta inviolata e vi si sono diffuse specie vegetali e animali originali, endemiche, che ne fanno un vero santuario della natura.

Un paradiso naturalistico I primi abitanti che vi giunsero dall’Indonesia e dalla Malesia, circa 2000 anni fa, trovarono un paese coperto da foreste e popolato da animali mai visti altrove: lemuri, numerose specie di rane e camaleonti, tartarughe, uccelli e farfalle, il fossa, principale carnivoro dell’isola. Unico esemplare degli Ungulati è il lambo, cinghiale malgascio che vive prevalentemente nelle foreste dell’est e dell’ovest. Il suo corpo è ricoperto di setole giallastre e rossastre. Flora e fauna conservano tuttora un fascino discreto, lontano dalla spettacolarità della savana africana. Certamente un mondo prodigioso si svela allo sguardo attento dei naturalisti che sanno apprezzare l’originalità delle forme e la varietà delle specie che caratterizzano il Madagascar. Nella foresta è facile imbattersi in un

I LEMURI Tra i Primati si distinguono due grandi sottogruppi: Le Proscimmie o Lemuridi e gli Antropoidei. Le Proscimmie sono le più primitive e hanno conservato il muso allungato, gli occhi laterali, il cervello molto piccolo e fino a tre paia di mammelle. Inoltre hanno il volto coperto di peli. Diurni o notturni, di taglie molto differenti (dalle dimensioni di un topolino a quelle di un ragazzino), i Lemuri malgasci si sono ramificati in una cinquantina di specie adattate alle diverse regioni naturali. La natura ha prodotto forme estremamente variegate, dall’Aye Aye, al Lemur Catta attraverso una vasta gamma di taglie, colori e caratteri somatici. Il nome dei Lemuri evoca quello che gli antichi romani attribuivano agli spettri dei morti che tornavano a tormentare i vivi. L’aspetto di alcuni lemuri notturni, i cui grandi

branco di lemuri, attenti e curiosi, pronti a giocare, arrampicarsi e saltare con agilità straordinaria, nonostante la lunga e bellissima coda ad anelli che contraddistingue il Lemur catta, per esempio.

occhi colpiscono l’immaginazione, ha dato luogo a questa denominazione. Le specie notturne riposano durante il giorno nelle cavità dei tronchi, nel fogliame e ne escono all’imbrunire. Si spostano saltando da un ramo all’altro, superando fino a 5 m di distanza. I Lemuri Indri si distinguono per la taglia (fino a 70 cm di lunghezza) e per il moncone di coda lungo solo 3 cm. Vivono nel cuore della foresta e sono riconoscibili per il grido, modulato come un lamento che può essere sentito a più di 2 km. Per questo motivo sono chiamati cani della foresta. Numerose leggende sono fiorite intorno al rapporto tra uomini e Lemuri Indri. Una di queste racconta che un certo Koto venne attaccato da uno sciame di api mentre si arrampicava su un albero alla ricerca di miele. Fu salvato da un Indri che lo prese sul suo dorso e lo riportò a terra. Da quel momento questo lemure è stato chiamato Babakoto, il padre di Koto.

Il mondo vegetale è ricco di varietà eccezionali per la originalità di forme e colori, talvolta per la loro stranezza: l’albero di fuoco, conosciuto come flamboyant, nella foresta decidua secca del nord-ovest; l’albero del viag-

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ECOLE SARAH . Nel paese del riso e del sorriso

viene ampiamente ripagato dopo averne scoperto il fascino. Così chi si è avventurato in questa grande isola compresa tra l’Africa e l’Asia, con i suoi 587.000 kmq di superficie e 1.600 km di lunghezza da nord a sud, attraversata dal Tropico del Capricorno, sente il bisogno di ritornarvi più volte, anche solo per conoscerne la varietà straordinaria dei paesaggi. Pur non elevandosi oltre i 3000 m di altitudine, il rilievo montuoso costituisce lo scheletro rugoso e accidentato del Madagascar, con faglie ed erosioni favorite da un clima tropicale che varia da secco a umido. Le valli, ampie e profonde, sono percorse da fiumi e torrenti. Nelle regioni orientali,

giatore, il ravinala, simbolo del Madagascar e diffuso sui pendii disboscati dell’est; l’elegante palma della foresta orientale e infine l’umile pervinca, sempre più richiesta dai produttori di farmaci dell’Europa. Pur non essendo originario del Madagascar, il baobab con le sue sette varietà, tra cui la specie nana, disegna il paesaggio con le sue forme uniche e sorprendenti. La diversità malgascia rappresenta una risorsa non solo scientifica, naturalistica, bensì un patrimonio a cui attingere ad uso alimentare, farmaceutico e in generale per migliorare il benessere dell’uomo. Terra rude e talvolta nuda, la grande isola richiede uno sforzo di ambientazione che 1.

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1. Camaleonte 2. Lemur catta 3. Farfalle 4. Bambini nella discarica di Akamasoa, periferia di Antananarivo

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA:

Madagascar, un sanctuaire de la nature e Antananarivo et l'Imerina, Philippe Oberlé Editeur, 1981, Antananarivo.

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P r i m a Pa r t e . I L V I AG G I O

i corsi d’acqua, ricchi di pesci endemici, di piante acquatiche e insetti rari, scorrono su formazioni rocciose che li costringono in rapide, cascate e strettoie, cercando un’uscita verso il mare e da qui attraversano la zona costiera ampia e pianeggiante. In occasione dei cicloni, la portata aumenta a dismisura, provocando enormi danni alla popolazione.

Un paradiso disperato In una terra così ricca di risorse naturali e paesaggistiche, il contrasto tra tanta bellezza e la povertà diffusa è facilmente percepibile. Solo il 15% dell’isola è collegata alla rete elettrica; alcuni riescono a sopperire con qualche pannello solare o con gruppi elettrogeni là dove ci sono i mezzi. Si contano circa 24 milioni di abitanti con un PIL pro capite di 400 dollari all’anno. Nei periodi di grande siccità centinaia di migliaia di persone soffrono la fame per mancanza di riso, quando il raccolto è esaurito e la nuova coltura non è ancora giunta a maturazione. Altrettanto drammatico è il bilancio dopo il passaggio dei cicloni che annualmente minacciano il Madagascar con il luttuoso corredo di case distrutte, di interi villaggi sommersi e soprattutto dei raccolti perduti. Per sfuggire a questa prospettiva la gente cerca rifugio e fortuna (?) nelle città, specialmente nella capitale dove le opportunità sembrano più possibili. Inevitabilmente migliaia di senzatetto si ritrovano lungo le strade, in giacigli di cartone o in tuguri di legno. Le istituzioni governative intervengono con lo sgombero forzato, incendiando le dimore improvvisate, spingendo questa massa di diseredati verso la periferia della città, nei pressi delle discariche.

Così diventa “normale” la ricerca di cibo o di oggetti da recuperare tra i rifiuti fumanti. Cani, maiali e persone si contendono ciò che li può sfamare. Disperazione, miseria e malattie mietono incessantemente molte vittime; tra questi, molti sono bambini. Nelle campagne, le calamità naturali o i conflitti tribali costringono la popolazione a trasferirsi altrove, sovente alle porte delle città dove le persone si ritrovano senza terra, senza risaie e senza occupazione. Famiglie intere cercano di sopravvivere con mezzi di fortuna oppure si dedicano ai lavori più umili come la produzione di carbone di legna che poi vendono sui bordi delle strade. Per svolgere questo lavoro nel quale

sono coinvolti tutti i componenti della famiglia occorre vivere nei boschi, lontani dai centri abitati, in minuscole capanne di frasche, nella totale promiscuità e nell'assoluta mancanza di servizi di ogni genere. I bambini, allontanati dai loro villaggi di origine, perdono i contatti con i coetanei, con la scuola e con il mondo in cammino. Crescono in ambienti insalubri, senza un futuro che possa riscattarli, isolati e abbandonati a se stessi. L'unica speranza è la possibilità che vengano individuati da qualche missione umanitaria capace di assistere i bambini e le loro famiglie, come sempre più spesso accade in Madagascar. 4.

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CAPITOLO I

La regione Imerina

D

alla capitale Antananarivo fino a Andranovolo si attraversano regioni differenti e in ciascuna di esse s’incontrano esemplari botanici di grande interesse. Nella regione Imerina, intorno alla capitale e particolarmente in prossimità delle antiche residenze reali, le colline sacre sono ricoperte da foreste basse e intricate con tappeto erbaceo discontinuo. Tipiche di queste foreste sono le piante tambourissa e weinmannia dai colori rosa e rosso.

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A nord e a nord-ovest di Antananarivo, nella regione dei grandi altipiani, le foreste occupano zone più ampie e sono i residui di una forestazione molto abbondante che ricopriva gran parte del suolo. All’inaridimento del clima si è aggiunto un disboscamento indiscriminato per ottenere legname da costruzione e carbone che ha distrutto quasi totalmente il patrimonio boschivo. Negli ultimi anni dell’Ottocento vennero

5. Sambaina. Risaie nel cuore della regione Imerina

introdotti il pino e l’eucalipto che ad oggi costituiscono le piante più diffuse negli hautsplateaux, la regione centrale del Madagascar caratterizzata da un vastissimo altopiano solcato da valli fluviali. La brughiera si è sostituita alle foreste. Vi crescono piante a piccole foglie perlopiù odorifere, tra queste la vofotsy da cui si ottiene un infuso molto apprezzato da tutti i malgasci per le virtù benefiche (diuretico e leggermente tonico).


P r i m a Pa r t e . I L V I AG G I O

Nel cuore del Madagascar, la provincia Imerina offre un clima temperato e un territorio armonioso e vario. Il rilievo degli hauts-plateaux, modellato dal lavoro di innumerevoli generazioni, è scandito da piccole e grandi valli coltivate a riso che colorano il paesaggio con mille sfumature di verde e di giallo. I villaggi, sui fianchi delle colline, sono tinteggiati di rosso, come la terra e i mattoni utilizzati per costruire le case. Qua e là boschetti, canneti e orti interrompono il disegno regolare e costante delle risaie. Altrove le colline sono coperte da foreste di pini e di eucalipti; declivi più scoscesi raggiungono i torrenti impetuosi che, solo in prossimità delle pianure costiere, rallentano la loro discesa e diventano lenti e maestosi. Ma l’Imerina è soprattutto terra di contrasti: nella stagione delle piogge l’acqua inonda le risaie e minaccia i villaggi le cui case restano chiuse nel silenzio.

Nella stagione secca, dopo il raccolto del riso, la campagna è desolante. Buoi e zebù brucano i radi ciuffi di erba secca e cespugliosa; la terra coltivata è grigia e spoglia, le montagne esibiscono il loro aspetto roccioso, nudo e incombente. L’inverno è la stagione degli antenati: i cortei funebri di retournements, le esumazioni dei morti, percorrono la campagna lungo le strade che portano alle tombe. Allegria e malinconia si mescolano nei caratteri di un popolo che non dimentica i propri avi, anzi li venera e li “festeggia” con grandi banchetti, musica e danze. La presenza costante di uomini e donne con i loro immancabili bambini, lungo le strade che collegano la campagna con i villaggi e i piccoli e grandi centri urbani, crea un’immagine di allegria e di vitalità. Profondamente legati alla terra dei propri antenati, i malgasci sono molto ben radicati

nella propria area di appartenenza e vivono con naturalezza il rapporto strettissimo tra città e campagna.

Antananarivo Al centro dell’isola sorge Antananarivo, la capitale del Madagascar che riassume in sé la storia dell’etnia Merina e dell’intera nazione. Si espande sulle colline prospicienti le ampie pianure quasi interamente occupate da risaie. Si sviluppa quindi su vari piani di livello ed è attraversata da innumerevoli scalinate. Elle se dresse et se drape dans le ciel et les nuages comme dans un lambe. È una città di scale e sentieri, di salite e tornanti, di vertigini e d’imprevisti. Nei mesi invernali un mantello di nebbia copre la campagna e si dissolve ai primi raggi del sole mattutino, quando si rischiara la collina regale da cui emerge il Palazzo della Regina, simbolo della città. Da

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ECOLE SARAH . Nel paese del riso e del sorriso

questo stesso punto, all’imbrunire, dall’alto della città antica, è grandioso lo spettacolo delle risaie, scintillanti come specchi d’acqua tra le sfumature di porpora e d’argento. Fu il re Radama I che regnò tra il 1810 e il 1828 a stabilire la sede del regno nell’attuale capitale. La città antica occupava la sommità della collina, attorno al Rova (abitazione del re), protetta da alte falesie e profondi fossati. Sette porte davano accesso alla città che veniva chiusa facendo rotolare un grande e pesante disco di pietra. 6.

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Le case in legno o in giunco, dai tetti alti e spioventi coperti di paglia, si affacciavano su stretti passaggi. I muri delle case erano costruiti con spesse assi fissate l’una all’altra con corteccia e fibre. Tre pertiche sostenevano la falda del tetto. L’interno era composto da una sola stanza di circa 6 x 4 m, utilizzata sia come cucina sia come sala da pranzo, camera da letto e granaio. Stuoie ricoprivano pareti e pavimento. Il pasto si preparava su un focolare in pietra nell’angolo nord-ovest della stanza;

nell’angolo opposto a nord-est, considerato sacro, si onoravano i mani degli antenati. Le case erano orientate sull’asse nord-sud; una porta si apriva, oppure una finestra, verso ovest, il lato meno esposto al vento. Suppellettili e mobilio erano in legno e giunco. Presso le case vi era un granaio per conservare il riso. Sotto il regno di Radama I l’antico centro storico di Tanà (abbreviazione di Antananarivo) si sviluppò ampiamente al di là della cinta muraria: un passaggio fu creato nella


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6. Ambohimanga. Ingresso al Rova. Sullo sfondo la roccia dei sacrifici

roccia di Ambatovinaky, ovvero “roccia tagliata”. Lo stesso re fece costruire passerelle per l’attraversamento dei fiumi che tuttora bagnano la città. Il re Radama fu anche l’artefice dell’alfabetizzazione della popolazione malgascia e favorì la fondazione di scuole. Furono però i missionari inglesi che nel 1829 gettarono le basi della grammatica e dell’ortografia della lingua nazionale. La missione fondò il Collegio protestante di Andohalo dove studiò la regina Ranavalona III.

Pochi anni più tardi, nel 1824, i pastori protestanti Jones e Griffith iniziarono la traduzione della Bibbia che venne stampata in malgascio nel 1827. Ai missionari inglesi si deve anche la costruzione delle case in mattoni crudi, prototipo di casa Imerina, con le colonne in facciata di pietra e di mattoni che sostengono un’elegante veranda. La regina Ranavalona I che inizialmente aveva accolto con entusiasmo i cambiamenti suggeriti dalla cultura europea, nella prima

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IL REGNO IMERINA Secondo la tradizione, fu il re Ralambo nel XVI secolo a dare al suo regno il nome d’Imerina, Ambaniandro, ovvero paese elevato, sotto il sole. Le origini della popolazione Merina risalgono al X secolo quando navigatori indonesiani approdarono sulle coste del Madagascar e in seguito s’inoltrarono nelle zone montuose del centro dell’isola. Il nuovo popolamento che ne derivò praticava la pesca e la coltivazione del riso. Distribuiti nei villaggi, i Merina riconoscevano un re equivalente a un capo tribù o clan sotto il quale si raggruppavano alcuni villaggi. Sulle colline di Tanà, nel XVIII secolo, si erano formati quattro piccoli regni prevalentemente in conflitto tra loro fino alla riunificazione compiuta dal re di Ambohimanga, Andrianampoinimerina. Restano di questo periodo le tracce delle fortificazioni, i fossati e le porte in pietra ed alcuni villaggi. All’interno delle mura, le abitazioni in terra o in legno di canne erano costruite intorno al kianja, al rova e alle tombe degli antenati. Il kianja era la piazza, il luogo delle riunioni e delle cerimonie dove il re teneva il kabary, il discorso. Il rova era l’abitazione del re, anch’essa in terra o in legno, molto simile alle capanne dei suoi sudditi, recintata da una palizzata in legno. Accanto al rova e quindi sulla sommità del villaggio trovavano posto le tombe del fondatore del villaggio e dei suoi discendenti, onorati e venerati dalle generazioni successive.

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In alcuni di questi insediamenti i defunti hanno preso il posto dei viventi: ad Ambohimalaza su una ventina di abitazioni si contano circa 300 tombe. Il riso e lo zebù hanno sempre avuto un ruolo centrale nella vita quotidiana. Accanto alle case venivano eretti dei silos per conservare il riso oppure delle cavità tronconiche scavate nel suolo e chiuse con una lastra rotonda di pietra. Gli zebù che dovevano essere sacrificati in occasione di feste e cerimonie venivano chiusi e ingrassati in profonde fosse, come si può vedere nella cinta muraria di Ambohimanga. Nel corso del XIX secolo si diffuse la consuetudine di costruire i tamboho, alti muri di protezione fino a 5 m di altezza e con uno sviluppo di parecchie centinaia di metri, per conto di grandi proprietari terrieri. Il tamboho era diventato uno status symbol, un segno di ricchezza. Lo spazio interno era occupato generalmente dalle case di abitazione, gli alloggiamenti per la servitù, qualche orto, i recinti per i buoi e la tomba di famiglia. Meno costosi della pietra, i mattoni venivano usati ampiamente per la costruzione delle tombe. Le pietre, invece, erano insostituibili nel caso delle pierres levées, monoliti di granito alti fino a 5 m, fissati profondamente nel terreno. Nelle aree degli hauts-plateaux, è facile imbattersi in questi monumenti che fanno parte integrante del paesaggio; venivano eretti per ricordare un defunto o per commemorare un avvenimento. In caso di soldati dispersi in guerra, i parenti innalzavano una pietra in loro memoria. I re

erigevano les pierres levées per ricordare una vittoria, un’alleanza con i popoli vicini o fatti significativi del proprio regno. Il fondatore di un nuovo villaggio elevava una pietra, simbolo della presenza protettrice dei mani degli antenati. I villaggi fortificati venivano spesso attribuiti dal re a membri della sua famiglia o a personalità che si erano distinte nelle guerre, facendone delle vere e proprie signorie. Dodici di questi villaggi che si ergevano sulle colline, alla fine del XVIII secolo, vennero definiti dal re Andrianampoinimerina dodici colline sacre. Dodici è un numero speciale: 12 furono i re dell’Imerina, 12 le colline sacre, 12 le spose del re, 12 i talismani e, alla festa nazionale, fino a pochi anni addietro, si sparavano 12 colpi di cannone. Le colline sacre conservarono a lungo il loro prestigio, soprattutto quando custodivano le tombe reali. Ancora oggi la credenza popolare attribuisce loro alcune proprietà e i malgasci vi si recano in pellegrinaggio per esprimere voti, per sacrificare animali, per raccogliere un po’ di terra sacra. Rappresentarono l’unità politica dell’Imerina e la continuità della tradizione e della dinastia regale. Dall’alto di ciascuna di esse il panorama abbraccia vaste distese di risaie fino ad Antananarivo dove il Palazzo della Regina si staglia netto e inconfondibile. Da un punto di vista paesaggistico, le colline sacre sono la testimonianza di quel che doveva apparire fino a poco più di cento anni fa la regione Imerina, tutta verde e coperta di boschi, una sorta di reliquia sacra, giunta a noi per volontà del re che esercitava il diritto di deforestazione.


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metà dell’Ottocento, impedì l’arrivo di nuovi missionari che avrebbero potuto minacciare la fede degli antenati e l’ordine sociale: nel 1835 vietò ai suoi sudditi di praticare il Cristianesimo e un anno dopo cacciò i missionari dal paese. Seguirono anni di persecuzione violenta e sanguinaria. Solo dopo la morte di Ranavalona I e con l’avvento di Radama II, i missionari poterono tornare a Antananarivo, ripresero il proselitismo cristiano e la costruzione di numerose chiese che ancora oggi caratterizzano l’architettura religiosa della capitale. Cattolici, luterani e anglicani costruirono edifici religiosi un po’ dappertutto, anche nelle più lontane campagne, colorando il paesaggio con gli eleganti campanili bianchi o rossi. Nel 1869 la regina Ranavalona II ricevette il battesimo protestante e proclamò il divieto di culto degli idoli. A poca distanza dalle tombe degli antichi re, nel palazzo del Rova, venne costruito un tempio. La missione cattolica edificò la cattedrale di Andohalo tra il 1872 e il 1878; i norvegesi costruirono il tempio di Ambatovinaky nel 1875, mentre la chiesa anglicana innalzava la cattedrale di Saint-Laurent nel 1889. Cambiamenti si susseguirono incessantemente: la città di legno e giunco si trasformò progressivamente in una città di mattoni e pietre con tetti di tegole, assumendo caratteri talvolta sconcertanti, soprattutto agli occhi degli europei: capitale di montagna, nelle vicinanze dell’oceano Indiano, con clima tropicale e un buon livello di civilizzazione – se comparata con la situazione dell’Africa nello stesso periodo – una monarchia femminile dispotica e infine un Cristianesimo in piena ascesa in convivenza con il culto degli antenati.

JEAN LABORDE Un naufragio portò sulla costa orientale del Madagascar un’imbarcazione proveniente dall’India. Era il 1831 e a bordo della nave vi era un giovane francese, Jean Laborde, che aveva lasciato presto la famiglia per tentare fortuna nelle Indie. Venne accolto da un colono francese, Napoléon de Lastelle, che sfruttava le piantagioni di caffé, di noci di cocco e di canne da zucchero. Costui ne riconobbe le qualità e lo presentò alla regina Ranavalona I che era alla ricerca di un uomo esperto nella fabbricazione dei fucili e della polvere da sparo. Fu così che Laborde installò i suoi stabilimenti a Mantasoa, ricca di acque, ferro e boschi, necessari allo sviluppo della prima industria malgascia. Fece sorgere una nuova città industriale progettandone ogni singolo elemento: dai laboratori e fucine, magazzini, alle risorse di acqua e al canale che garantivano la produzione di energia idraulica, così anche le abitazioni per Laborde stesso e per gli ospiti illustri che avrebbero visitato la città, le case degli operai e delle loro famiglie, secondo criteri urbanistici molto moderni. Laborde chiamò la sua città ideale Soatsimanampiovana, ovvero la bellezza immutabile. Poco rimane del grande complesso, ma il ricordo del personaggio è ancora vivo nella memoria collettiva. Un cannone forgiato nelle fucine di Mantasoa è conservato nel Rova di Ambohimanga. La regina Ranavalona frequentava regolarmente Mantasoa dove ogni novità creava stupore: antilopi, un cammello, scimmie e un ippopotamo provenienti dall’Africa vi-

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7. Antananarivo. Un esemplare di cannone è custodito nel Giardino del Rova

vevano in un parco annesso alla città. Una piscina era riservata al bagno della regina. Feste, fuochi d’artificio, concerti e balli rallegravano la piccola corte che era venuta a formarsi intorno a Laborde che venne nominato seize honneurs, il riconoscimento più alto tra i dignitari di corte. Con la revisione della politica estera, cambiarono anche i rapporti interpersonali della regina Ranavalona che non risparmiò il suo favorito. Laborde dovette abbandonare il Madagascar e rifugiarsi nell’isola di Réunion. Allontanato Laborde, la città industriale di Mantasoa fu irrimediabilmente saccheggiata e distrutta. Dopo la morte della regina Ranavalona I Laborde ritornò in Madagascar e divenne il primo console di Francia. Quando morì, nel dicembre 1878, all’età di 73 anni, la regina Ranavalona II ordinò funerali solenni e i cannoni che egli aveva fatto fondere nelle sue fucine tuonarono in suo onore, mentre veniva sepolto nella tomba che egli si era fatto costruire, Soamandrakizoy, l’eterna felicità.

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L’arrivo delle truppe francesi del generale Duchesne il 1 ottobre 1895 e l’anno successivo del generale Gallieni, investito di tutti i poteri civili e militari, provocarono un profondo capovolgimento nella vita della capitale e del paese. La regina Ranavalona III venne mandata in esilio. La festa del bagno della regina (fandroana) fu soppressa e sostituita dalle celebrazioni del 14 luglio (festa nazionale francese). Il periodo coloniale durò 65 anni.

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Già Radama I, temendo la conquista da parte degli Europei, non aveva mai voluto migliorare la strada che dalla costa conduceva a Antananarivo, tanto che il trasporto delle merci veniva effettuato a spalle e i viaggiatori utilizzavano la filanzana, una sedia portata a mano da gruppi di quattro persone. Si percorrevano in questo modo 40 km al giorno attraversando torrenti su tronchi d’albero. L’amministrazione coloniale francese provvide immediatamente alla costruzione

8. Antananarivo. La collina del Rova vista da Ambaturuka


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di strade carrozzabili, aperte a colpi d’ascia per penetrare nella foresta. La charrette divenne il mezzo più usato per trasportare merci da un punto all’altro dell’isola e finalmente nel 1903 ebbe inizio il servizio automobilistico. I lavori per la costruzione della ferrovia iniziarono nel 1901 e la prima linea che collegava Brickaville con Tanà fu pronta nel 1909, mentre da Tamatave a Brickaville il trasporto era effettuato sulle acque del canale Panga-

lanes. Anche questa tratta venne servita dalla ferrovia a partire dal 1913. Una linea di tranvai collegava Antananarivo con Alarobia, e nel 1924 il tunnel Hubert Garbit, lungo 100 m, metteva in comunicazione il quartiere di Mahamasina con il mercato di Analakely. Dieci anni più tardi venne realizzato il collegamento aereo con la Francia, con scalo a Broken Hill in Rhodesia (attuale Zambia). Nel 1948 Antananarivo contava 160.000

abitanti e il parco macchine era composto da circa 8.500 automobili che si mescolavano ai carri trainati da buoi, ai pousse-pousse e ai calessi. Negli anni ‘60 e ‘70 la città ha conosciuto un nuovo sviluppo: nelle vicinanze del lago Anosy sono nate le sedi dei ministeri, a Ivato l’aeroporto e l’Università, l’hotel Hilton nel 1970, il complesso scolastico di Ampefiloha, la cité des 67 hectares (nuovo quartiere), l’ospedale Ravoaliangy Andrianavalona.

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CAPITOLO II

Verso le terre dei Betsileo

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cendendo verso sud, sui plateaux e soprattutto nei dintorni di Ambatolampy e di Antsirabè, il paesaggio si colora di giallo per la presenza di una specie di mimosa, l’acacia dealbata, originaria dell’Australia. La pianta, molto resistente al fuoco, invade spontaneamente le aree incolte e rappresenta una risorsa essenziale di legna e carbone. A parte qualche esemplare di aloe dai bei fiori rossi e di orchidee dai grandi fiori bianchi, le ampie vallate sono invase da risaie a perdita d’occhio, al prezzo di enormi fatiche e di un meticoloso lavoro muscolare umano. Nelle aree montuose del centro-sud, gli incendi ripetuti e incontrollati, allo scopo di rinnovare rapidamente la crescita dell’erba da pascolo, hanno alterato irrimediabilmente i caratteri spontanei della vegetazione. Proseguendo il viaggio, la strada nazionale s’inoltra nelle terre dei Betsileo, una grande etnia proveniente anch’essa dalle regioni asiatiche. Principalmente risicoltori, sin dal loro arrivo in Madagascar, si stabilirono sugli hautsplateaux dell’interno, costruendo villaggi fortificati su alture facilmente difendibili. Tra XVIII e XIX secolo i Betsileo erano raggruppati in quattro regni indipendenti, in lotta tra loro e separati da valli profonde e massicci montuosi. Finirono per essere compresi

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nei possedimenti Merina e nel nuovo stato coloniale all’epoca della conquista francese. Le abitazioni betsileo anticamente erano costruite con la fibra vegetale per il popolo e in legno per i nobili e i personaggi importanti. Attualmente la casa tipica è costruita in terra secca, sempre orientata in senso nordsud, come nella tradizione, per proteggerla dalle correnti fredde che interessano l’altopiano in tutte le stagioni dell’anno. Generalmente si compone di due vani e un grenier. Le famiglie più agiate costruiscono case in mattoni, con colonne e loggiati che corrono lungo la facciata della casa. Le balaustre sono sovente in legno lavorato. I Betsileo sono abili artigiani: i fabbri creano lampade, forgiano vanghe per la lavorazione delle risaie, coltelli, falcetti e asce. Altri sono rinomati per le sculture in legno: ornano finestre e porte con disegni geometrici intagliati, riprodotti sulle pierres levées, sulle palizzate che chiudono le aree funerarie e sui megaliti che si trovano nei pressi delle tombe. Sovente anche gli utensili della cucina sono scolpiti, come i mortai per il riso, per i pimenti, oltre a cucchiai, piatti e saliere. I Betsileo tessono i lamba, particolarmente pregiati quelli in seta locale, assai costosi, utilizzati per la sepoltura dei morti. Nella zona orientale della provincia si producono i sarimbo, lamba dai colori molto vivaci ot-

9. Tsarasaotra. Lungo la strada per Ambositra 10. Ampandrambato. Paesaggio betsileo 11. Morarano. Vasto altopiano dedicato alla produzione orticola

tenuti dalla corteccia d’albero. L’artigianato, come dappertutto nel mondo, tende a scomparire; tuttavia l’economia del turismo ha fatto rinascere l’attenzione per i prodotti tipici locali e nella città di Ambositra numerosi atelier offrono oggetti betsileo e zafimaniry (etnia particolarmente dedita all’intaglio del legno): sedie e cofanetti in legno di rosa, mobili in palissandro, statue, pedine degli scacchi e così via. Nella regione Betsileo il confine tra mondo dei vivi e mondo dei morti è molto labile se non inesistente. Dappertutto, nelle vicinanze dei villaggi o degli insediamenti isolati, sorgono tombe in pietra, di solito sulla sommità delle colline o in zone incolte, o ancora in grotte naturali e negli anfratti rocciosi chiusi con pietre. Generalmente la tomba betsileo è formata da un locale sotterraneo su cui si appoggia una costruzione quadrangolare in pietra da 2 a 6 m di lato per un 1 o 2 m di altezza. Si accede al locale sotterraneo attraverso una galleria in pendenza, larga 1 m e lunga da 8 a 10 m, riempita dopo ogni sepoltura. Il pavimento della stanza si trova quindi a 4 - 6 m sotto il livello del suolo. Una lastra di pietra chiude l’ingresso. Le salme sono deposte su letti di pietra, avvolte nel lamba. In questo ambiente, per successive deposizioni, possono trovarsi centinaia di corpi.


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Fianarantsoa La capitale della regione Betsileo è Fianarantsoa, nata da un piccolo insediamento che venne scelto dalla regina Ranavalona I nel 1830 per costruirvi una città che in tutto ricordava la capitale Antananarivo. I vecchi quartieri si arrampicano su una collina piuttosto scoscesa, alla base della quale vi è una piazza dove s’innalza la cattedrale. La città si è sviluppata su numerose colline e su un’ampia pianura dove oggi si svolge la vita commerciale. Come a Tanà, anche qui vi è una stazione ferroviaria da cui partono treni per la costa est, fino a Manakara. Un evento straordinario ha segnato la storia della città: nel 1873 la regina Ranavalona II si recò in visita solenne a Fianà, occasione nella quale annunciò la promulgazione del Codice composto da 118 articoli, insieme di leggi applicabili ai Betsileo. Tra i diritti riconosciuti a questo popolo compariva la libertà religiosa. Il primo sacerdote cattolico residente in città fu Père Finaz che diede impulso alla diffusione di centri missionari : gesuiti, protestanti francesi, anglicani, missioni norvegesi, padri italiani, fratelli delle scuole cristiane, suore di San Giuseppe di Cluny. Furono costruite chiese, scuole e vennero innalzati templi facendo di Fianarantsoa una città dal forte carattere spirituale. Uscendo dalla città, in direzione sud-est, il paesaggio cede il passo alle risaie terrazzate fino a raggiungere la splendida piana di Ambalavao. La città è rinomata per la fabbricazione del papier antaimoro (vedi pag. 60), ma l’attrazione più grande è data dalle maestose montagne che formano il Massiccio dell’Andringitra. Alcuni lo hanno definito deserto di pietra: rocce spezzate dal gelo, sovrapposte e inclinate, disseminate di cascate e piccoli ru-

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scelli dove cresce una vegetazione arbustiva. Bellezza selvaggia ed armoniosa allo stesso tempo! Salendo le pareti rocciose dell’Andringitra, nella foresta pluviale di Antsinana, riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, si raggiunge il Pic Boby (Pic d’Imarivolanitra), a 2658 m, la seconda montagna del Madagascar per altitudine. É stato costituito un parco nazionale che vanta una elevatissima biodiversità, con oltre 100 specie di uccelli, più di 50 mammiferi, tra cui 13 di lemuri, 55 specie di rane e oltre 1000 piante. Il Massiccio dell’Andringitra costituisce l’anello di congiunzione tra la foresta pluviale che si espande a ovest e la foresta della costa sud-orientale.

12. La città di Fianarantsoa vista da Point de Vue 13. Lavorazione del papier antaimoro 14. Fianarantsoa. La città antica 15. Tanala-Ampano. Comune rurale nei pressi di Fianarantsoa 16. Morafeno. Catena dell’Andringitra

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CAPITOLO III

La foresta del sud-est

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el cuore del sud-est, la foresta umida e accidentata separa la zona popolata dai Betsileo dalla pianura costiera che si affaccia sull’oceano Indiano. Padroni della foresta sono i Tanala, popolazione poco conosciuta, che preferisce i luoghi aspri e inospitali dove generalmente i villaggi sono sparsi e talvolta le capanne del tutto isolate. Bravi cacciatori, ottimi camminatori, i Tanala percorrono la foresta per raccogliere il miele depositato dalle api in appositi cilindri di legno collocati sulla cima degli alberi. Coltivano il riso su terreni disboscati e in seguito, dopo due o tre anni, il caffè. Il lavoro dei campi è svolto con pochi mezzi e senza l’aiuto degli animali. I bovini sono rari in questi ambienti boschivi e piovosi. Grandi conoscitori degli alberi e delle piante medicinali, i Tanala sanno utilizzare le loro proprietà per curare le malattie. La foresta del sud-est è molto ricca di felci giganti e piante erbacee che formano il sottobosco al di sopra del quale si allungano alla ricerca della luce alberi dal fusto alto fino a 25 - 30 metri. Liane intricate si aggrovigliano ai rami formando un tutt’uno inestricabile. Non vi sono animali pericolosi. È l’ambiente ideale per lemuri, cinghiali, ricci, fossa, vari uccelli, camaleonti, insetti, farfalle e serpenti non velenosi.

L’attraversamento della foresta presenta comunque difficoltà a causa del calore, dell’umidità, delle paludi e degli insetti che la popolano. Sanguisughe e vermi popolano il suolo della foresta umida, insieme ad alcune varietà di molluschi terrestri (lumache) e a una dozzina di specie di scorpioni. I ragni si differenziano in 400 specie diverse tra cui il ragno Nephila Madagascariensis, di grandi dimensioni e con zampe lunghissime. Le loro tele hanno fatto pensare a uno sfruttamento industriale per la produzione serica. Nel passato, i lamba regali furono tessuti con questo materiale. Nelle acque dolci proliferano crostacei, gamberi e granchi; nel mondo degli insetti, il Madagascar vanta decine di migliaia di specie, anche se non tutte originarie dell’isola. Tuttavia, il clima, il rilievo e la vegetazione così variegata hanno permesso a molte specie di diversificarsi all’infinito. Come non ricordare l’Anofele, la zanzara responsabile della diffusione drammatica del paludisme o malaria? Anche le libellule, in parte endemiche, con i loro colori blu e rosso, popolano le rive dei torrenti della grande foresta. Locuste e cavallette in alcuni periodi si spostano con voli di milioni di esemplari, formando nubi

17. Ranomafana. Il Parco nazionale di Ranomafana protegge la foresta pluviale

dense che possono spostarsi per centinaia di chilometri abbattendosi rovinosamente sulle colture, sui villaggi e sulle città. Coleotteri, farfalle, testuggini, rane, camaleonti e serpenti costituiscono una grande tesoro naturalistico in gran parte ancora inesplorato. La pratica del tavy (taglia e brucia) ha considerevolmente ridotto la superficie e la densità della foresta. Inoltre i Tanala costruiscono le loro abitazioni con la corteccia degli alberi oppure con le canne di bambù appiattite e intrecciate. Le capanne sono sollevate da terra tramite pilotis di circa 25 cm di altezza per proteggerle dalle inondazioni. Il pavimento è in legno, salvo nella zona del focolare che si appoggia sulla terra nuda. Dalle osservazioni lasciate dai visitatori europei della seconda metà dell’Ottocento si evince che nulla è cambiato negli ultimi 150 anni. Nel cuore della foresta vengono effettuate le sepolture, lontano da sguardi indiscreti, in grotte o cavità naturali, oppure nei kibory, tombe collettive costruite in prossimità di massicci rocciosi, curati e protetti dalle intemperie. Presso i Tanala, le reliquie hanno ancora oggi un valore taumaturgico: alla morte di un re si prelevava il canino inferiore destro e lo si poneva nella cavità di un dente di coccodrillo, appositamente scavato. Sono i lamboharana, idoli a cui si rivolgono i Tanala segue a pag. 54 >>

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18. Antsiranana. Scorcio di foresta

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19. Imbasy. Abitanti della foresta

LA FORESTA DI RENÉ CATALA Proseguendo il viaggio in direzione sud-est s’incontra la foresta lussureggiante, vero paradiso dei naturalisti. René Catala nella Revue de Madagascar (1936) la descrive così: Sin dall’inizio si avverte un senso di raccoglimento in questo ambiente di cose millenarie e ci si sente piccoli e deboli sotto queste volte imponenti. Sopraffatti da tanta generosità, i miei Tanala (popolazione della foresta), che sembrano più minuti che mai, tacciono… Ho l’impressione che essi si trovino a loro agio da quando calpestano un suolo della grande foresta. La nostra piccola colonna cammina in silenzio, attenta alle asperità del sentiero che sale, alle grosse radici che lo ingombrano, alle rocce appuntite che vi affiorano. In ogni istante, è un motivo d’incantamento per i miei occhi. La ricchezza della vegetazione, piena di vigore ed esuberanza, crea un’infinità di decori che nessuna descrizione può evocare, ma se ne trova la potenza prodigiosa nelle illustrazioni di Gustave Doré, nell’Inferno di Dante. Ben presto arriviamo a un piccolo torrente che corre sotto massi franati e che lascia vedere una graziosa piscina, più in là una ridente cascata, più lontano una pozza d’acqua scura. Liane senza fine, sospese tra un albero e l’altro, ridiscendono nel torrente fino a toccare l’acqua, poi rimontano più lontano e più in alto. Nel groviglio delle liane qualche orchidea occhieggia, mossa dal vento o da un simpatico lemure. Che c’è di più elegante, sui bordi dei torrenti, delle felci arborescenti, fragili e robuste allo stesso tempo, spinte dall’acqua? E si resterebbe per ore ad ammirare le cime di questi giganti della foresta

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annodati dalle liane come pennoni delle barche. Tempio dalle mille colonne, pur essendo sempre liane e alberi, la loro disposizione, inesauribile fantasia della natura, è costantemente rinnovata: la foresta malgascia è talmente variegata, gli elementi che la compongono così numerosi, il loro disordine così armoniosamente complicato, che la memoria non può ricordare più particolareggiato un dettaglio o un altro.

20. Cascata del fiume Namorona 21. Tolongoina. Il corso del fiume Namorona 22. Loharano. Foresta di mangrovie

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18. Antsiranana. Scorcio di foresta

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19. Imbasy. Abitanti della foresta

LA FORESTA DI RENÉ CATALA Proseguendo il viaggio in direzione sud-est s’incontra la foresta lussureggiante, vero paradiso dei naturalisti. René Catala nella Revue de Madagascar (1936) la descrive così: Sin dall’inizio si avverte un senso di raccoglimento in questo ambiente di cose millenarie e ci si sente piccoli e deboli sotto queste volte imponenti. Sopraffatti da tanta generosità, i miei Tanala (popolazione della foresta), che sembrano più minuti che mai, tacciono… Ho l’impressione che essi si trovino a loro agio da quando calpestano un suolo della grande foresta. La nostra piccola colonna cammina in silenzio, attenta alle asperità del sentiero che sale, alle grosse radici che lo ingombrano, alle rocce appuntite che vi affiorano. In ogni istante, è un motivo d’incantamento per i miei occhi. La ricchezza della vegetazione, piena di vigore ed esuberanza, crea un’infinità di decori che nessuna descrizione può evocare, ma se ne trova la potenza prodigiosa nelle illustrazioni di Gustave Doré, nell’Inferno di Dante. Ben presto arriviamo a un piccolo torrente che corre sotto massi franati e che lascia vedere una graziosa piscina, più in là una ridente cascata, più lontano una pozza d’acqua scura. Liane senza fine, sospese tra un albero e l’altro, ridiscendono nel torrente fino a toccare l’acqua, poi rimontano più lontano e più in alto. Nel groviglio delle liane qualche orchidea occhieggia, mossa dal vento o da un simpatico lemure. Che c’è di più elegante, sui bordi dei torrenti, delle felci arborescenti, fragili e robuste allo stesso tempo, spinte dall’acqua? E si resterebbe per ore ad ammirare le cime di questi giganti della foresta

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annodati dalle liane come pennoni delle barche. Tempio dalle mille colonne, pur essendo sempre liane e alberi, la loro disposizione, inesauribile fantasia della natura, è costantemente rinnovata: la foresta malgascia è talmente variegata, gli elementi che la compongono così numerosi, il loro disordine così armoniosamente complicato, che la memoria non può ricordare più particolareggiato un dettaglio o un altro.

20. Cascata del fiume Namorona 21. Tolongoina. Il corso del fiume Namorona 22. Loharano. Foresta di mangrovie

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LA SAVANIZZAZIONE I contadini malgasci accendono fuochi (feux de brousse) per dissodare i terreni e prepararli alle nuove coltivazioni, per distruggere le parti secche delle graminacee e facilitare la crescita delle nuove piante. Il fuoco ha una grande incidenza sulla vegetazione e sulle caratteristiche del suolo. Si parla, infatti, di savanizzazione, vale a dire la trasformazione di intere regioni boschive in savana. I fuochi, se proprio necessari, dovrebbero essere accesi all’inizio della stagione secca, quando la materia vegetale morta non è ancora troppo asciutta, in modo che il fuoco non resti a lungo nel medesimo posto e non penetri nel resto della foresta. Il fuoco “precoce” e controllato, insieme a un governo razionale del bestiame, l’equilibrio tra semine e rotazioni possono in parte aiutare il paese a preservare il suo patrimonio boschivo.

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Il fenomeno interessa particolarmente la foresta pluviale. Henri Humbert denunciò già nel 1927 (Mémoires de l’Académie Malgashe) l’allarme per la distruzione progressiva delle foreste, in parte dovuta alla presenza di uno strato argilloso latéritique - che per altro dà la colorazione rossa alla terra - originato dalla composizione delle rocce ricche di silicati alluminosi che formano il sottosuolo. In condizioni naturali la foresta si espande nel corso di lunghissimi periodi geologici e contribuisce essa stessa alla formazione del suolo su cui cresce. Ma quando, a causa dell’eliminazione totale della vegetazione, il suolo è nudo, le piogge monsoniche asportano l’humus e lo strato superficiale. La terra rossa si trasforma in una crosta sterile più simile al mattone che alla terra vegetale. Il fuoco di brousse periodico, il tavy, e lo sfruttamento abusivo sono le grandi cause della distruzione dell’antico manto vegetale,

sostituito dalla prateria o savana o ancora temporaneamente dalla savoka, terreno arbustivo tipico del Madagascar. Ciò significa, dal punto di vista scientifico, la scomparsa di innumerevoli specie che non esistono in nessuna altra parte della Terra. Dal punto di vista economico, significa la perdita di una ricchezza naturale preziosa non solo per i materiali e le risorse che fornisce, ma anche per la funzione di potente condensatore, regolatore delle precipitazioni atmosferiche e della circolazione dell’acqua, a protezione dei pendii dall’erosione e le valli dalle alluvioni troppo violente.

23. Famiglia di carbonai lungo la strada nazionale n. 7 24. Tavy, tecnica del taglia e brucia 25. Ankasomassi. Foresta

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26. Kepaka. Feux de brousse 27. Lahoarano. Altopiano del fiume Namorona

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per invocare la protezione ai mani degli antichi re. Gli stessi re, quando andavano in guerra, indossavano sul petto le reliquie dei loro antenati. Nella cultura locale sono anche evidenti alcuni elementi di origine araba, tra cui il gioco degli scacchi, samantsy. L’asperità del suolo dovuta a grandi massi rocciosi che corrono parallelamente alla costa est formando alte falesie da un lato e gole profonde tra valli strette e ripide a ovest ha permesso alle popolazioni del Massiccio dell’Ikongo di vivere appartati nella foresta con rari scambi con le regioni confinanti. Fu proprio la morfologia dell’area che permise ai Tanala di respingere a lungo i tentativi di conquista perpetrati prima dalla regina Rana-

valona I e in seguito dai colonizzatori francesi. Questi ultimi vi riuscirono solo grazie al tradimento di un Tanala che guidò i soldati francesi fino alla sommità della montagna coperta da una fitta nebbia. Da quel 10 ottobre 1897 nella grande foresta e nei territori che occupano altri 500 km fino a Port-Dauphin non vi furono più conflitti.

La montagna di Ambondrombe Nella regione dei Tanala, la montagna di Ambondrombe che raggiunge 1936 m di altitudine, tra Ambalavao e Fort-Carnot, è conosciuta e temuta in tutto il Madagascar. È il regno delle ombre, la casa dei morti, il rifugio delle anime


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erranti. Nessun malgascio desidera salirvi, il suo accesso è fady, tabù. La sommità del monte normalmente è nascosta da nuvole scure e tenebrose. Si tratta di un grande e spoglio massiccio roccioso che domina la regione dei Tanala. I suoi fianchi sono coperti dalla fitta e intricata vegetazione della foresta vergine, ormai rara in Madagascar. La sua posizione, spartiacque tra il bacino idrografico afferente al canale del Mozambico e quello che dirige le acque verso l’oceano Indiano, ne fa un luogo dove i vapori si condensano in fitte nebbie che non si dissolvono mai, tanto che è chiamato fumée des ombres, il fumo delle ombre. Per i malgasci l’Ambondrombe è la foresta sacra; gli indigeni non la bruciano nè la

tagliano. Nessuno osa penetrare nel suo labirinto. Gli alberi parlano e possono uccidere!

Verso Mananjary e Manakara Da Fianarantsoa alla costa est una ferrovia attraversa l’intera foresta per raggiungere la stazione di Manakara con un tragitto di 163 km movimentato da salite e discese emozionanti, passaggi in galleria e su un numero elevatissimo di ponti. In molti tratti la ferrovia costeggia torrenti che scendono da picchi vertiginosi formando cascate spumeggianti. Gli alberi della foresta, coperti da licheni, protendono i loro rami sul vuoto, mentre le radici s’insinuano tra le rocce.

In basso, nella pianura verdeggiante, le risaie circondano piccoli villaggi di capanne. Lungo la ferrovia si alternano coltivazioni di thè e di caffè, e nelle diverse stagioni, ogni sorta di frutto tropicale: banane, leches, mango, avocado, e così via. I sentieri si inoltrano nel cuore della foresta tra boschetti di bambù e gole profonde fino a raggiungere i punti di caduta delle cascate, tra le più belle del Madagascar. Gradualmente il rilievo montuoso si addolcisce e la pianura costiera si presenta con la luce e il vento dell’oceano. Ad Ambila, la ferrovia attraversa la città, tra le bancarelle del mercato ortofrutticolo e le strade trafficate da mezzi di trasporto

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di ogni tipo. Ovunque grandi cesti di leches, banane, ananas, cocco e mango aspettano di essere caricati sui camion diretti ad Antananarivo. Tra Ambila e Manakara si susseguono in file regolari e per vari chilometri piantagioni di palme. Manakara è una città costiera affacciata sull’oceano Indiano e tagliata in due parti dal canale Pangalanes sul quale venne costruito un porto marittimo e una stazione fluviale, oggi lasciati in abbandono. Il villaggio di pescatori si trasformò negli anni ‘30, con la costruzione della ferrovia e della stazione Côte Est, in una elegante cittadina di mare, capoluogo di distretto nella provincia di Farafangana. Il canale Pangalanes, progettato durante il periodo coloniale, è stato un importante

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28. Ambila. La ferrovia “Côte Est” attraversa la cittadina 29-30. Il treno della foresta collega Fianarantsoa con Manakara sull’Oceano Indiano

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fattore di sviluppo per la costa orientale del Madagascar. La via d’acqua, lunga circa 600 km, sfrutta la rete naturale di laghi e fiumi, correndo parallelamente alla costa con profonditĂ differenti: il tratto settentrionale, da Toamasina a Vatomandry, ha acque profonde ed è ancora navigabile per i collegamenti commerciali e turistici; nel tratto mediano,

tra Mahanoro e Mananjary, possono transitare piccole imbarcazioni. Nell’ultimo tratto, fino a Vohipeno, il canale si restringe e consente il passaggio di canoe e gommoni che, nella zona di Manakara, trasportano turisti o vengono utilizzati dalla popolazione locale che si muove tra i villaggi di pescatori che si susseguono sulle rive del canale.

31-33. Manakara. La stazione ferroviaria 34. Biancheria stesa ad asciugare sulla spiaggia di Farafangana 35. Litorale di Manakara

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Attualmente il trasporto su ruote tende a soppiantare la via navigabile. La costa sud-orientale è ricca di terre fertili irrigabili da cui si ottengono ottimi prodotti agricoli destinati all’esportazione: agrumi, banane, caffè, garofano, pepe e vaniglia. Il popolamento di quest’area risale a tempi remoti, quando indonesiani, arabi, mercanti cinesi e infine i coloni francesi raggiunsero l’isola dall’oceano Indiano.

Gli Antaimoro Nella regione del sud-est vivono diverse etnie con molti caratteri comuni, in particolare gli Antambahoaka e gli Antaimoro. Questi ultimi vivono principalmente nella pianura costiera tra Mananjary e Vohipeno. Come gli Antambahoaka, gli Antaimoro discendono da popolazioni islamiche, approdate sulle coste dell’oceano Indiano dopo aver conosciuto ed essersi stanziati nelle Isole Comores. Gli Antaimoro erano organizzati in diversi regni; tra questi uno dei più importanti fu il regno di Ivato (nei pressi di Vohipeno) dove il re Ndratomambe stabilì la capitale nel XVI secolo, e dove esiste tuttora una tomba collettiva dei re Antaimoro. Le tombe degli Antaimoro, recintate con una palizzata, sono collocate sulla sommità delle colline che per questo motivo non vengono disboscate. I morti appartenenti allo stesso clan riposano avvolti in teli, in una grande fossa divisa gerarchicamente in settori destinati ai capi villaggio, agli uomini, alle donne, ai bambini e alle bambine. La salma del defunto viene lavata, unta con olio di cocco, vestita con gli indumenti migliori e ricoperta con un telo. Viene quindi trasportata nella grande salle, la capanna adibita ad uso comunitario, e qui per due o

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tre giorni si recano per l’ultimo saluto tutti gli altri membri del clan. Costoro portano riso e denaro in dono alla famiglia del defunto. Per l’occasione generalmente si macella uno zebù. Infine la salma viene portata nella tomba del clan di appartenenza. Al di fuori dei clan, la vita degli individui è molto difficile: coloro che non possono vantare alcuna appartenenza sono esclusi da tutto perché considerati inferiori. All’interno del clan vigono regole condivise che coinvolgono la vita del singolo e della famiglia di cui fa parte. Le donne sposate, in caso di vedovanza, ritornano nella famiglia di origine. La nascita di un bambino è un evento straordinario nella vita della coppia: la donna, generalmente molto giovane, al suo primo parto deve dichiarare sotto giuramento il nome del padre del bambino; entrambi i genitori perdono il proprio nome e diventano per tutti il padre e la madre di...., assumendo quindi il nome del primogenito. Tutto il clan partecipa alla scelta del nome del nascituro. I maschi, sin dalla nascita, hanno un’importanza maggiore rispetto alle bambine. I bambini, intorno ai 7 anni di età, sono sottoposti alla circoncisione; alle bambine vengono forati i lobi delle orecchie per poter sfoggiare gli orecchini. Le ragazze inoltre indossano il lamba. Per gli Antaimoro, il lamba può avere diversi colori, ma non ha disegni, soltanto righe orizzontali. Le donne, a qualsiasi età, portano un caschetto fatto in casa (sachombouri) con il sisal raccolto lungo i bordi delle risaie. Gli Antaimoro sono conosciuti come astrologi e veggenti. Per questa virtù numerosi antaimoro vennero chiamati a corte e consultati su questioni molto importanti. Agli Antaimoro si deve la trascrizione della lingua malgascia in caratteri arabi. I pre-

ziosi manoscritti, sara-be, erano scritti con la punta di bambù su una carta prodotta secondo un antico procedimento: la corteccia degli alberi, bollita, seccata e lisciata, fino ad assumere la forma e la consistenza di un foglio, veniva piegata e cucita in quaderni a cui si aggiungeva una rilegatura in pelle di zebù. Attualmente, un laboratorio di Ambalavao ripropone il papier antaimoro arricchito con motivi floreali e destinato alla decorazione oppure alla confezione di abat-jour, oggetti molto apprezzati anche in Europa. Gli antichi manoscritti trattano vari argomenti: dalla storia degli Antaimoro, la loro genealogia, le controversie fra i vari clan, le conoscenze astrologiche, la divinazione e i sortilegi, fino alle preghiere e le formule magiche per curare le malattie, magie bianche e nere, comunicare con gli spiriti. Alcuni esemplari di sara-be sono conservati in Francia, presso la Biblioteca Nazionale. Nel 1904 vennero pubblicati i testi tradotti in francese. Oltre alla terminologia specifica del Corano, vi si riscontrano espressioni tipiche del Madagascar. Alcuni manoscritti sono tuttora conservati gelosamente dai katibo, custodi dei libri sacri antaimoro. I katibo sono tenuti a rispettare alcune regole: non devono mangiare carne di maiale, astenersi dall’uso di alcol, sottoporsi a lavaggi rituali prima di toccare i preziosi manoscritti, non devono toccare sangue, né cibarsi di animali dissanguati da altri, devono indossare un abito lungo e un copricapo del tipo chéchia chiuso da un turbante. I veggenti o maghi preparavano charmes e amuleti la cui efficacia era famosa in tutta l’isola. La tradizione vuole che l’idolo regale, ody, Rakelimalaza, fosse originario delle rive del Matitanana, il grande fiume che attraversa il territorio Antaimoro.


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36. Manakara. Spiaggia di Antsary 37. Farafangana. Spiaggia di Amboanio

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38. Manakara. Trou du Commissaire. Tra l’Oceano Indiano e il canale Pangalana 39. Ankazoharaka. Palme da cocco 40. Analabe. Villaggio di pescatori sul canale Pangalana

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36. Manakara. Spiaggia di Antsary 37. Farafangana. Spiaggia di Amboanio

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38. Manakara. Trou du Commissaire. Tra l’Oceano Indiano e il canale Pangalana 39. Ankazoharaka. Palme da cocco 40. Analabe. Villaggio di pescatori sul canale Pangalana

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Seconda Parte

ECOLE SARAH ANDRANOVOLO

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CAPITOLO IV

41. Andranovolo. Sin dalle prime luci del giorno le donne si recano al fiume per lavare la biancheria e prendere l’acqua.

Andranovolo

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l nome del villaggio contiene nella composizione di rano (acqua) e di volo (alberi) gli elementi descrittivi del paesaggio. Andranovolo è nato sulle rive del grande fiume Matitanana, come numerosi altri villaggi, e del fiume è al contempo succube e beneficiario. La vita quotidiana si svolge sulle rive, tra i canneti e le piccole spiagge che aprono il varco, dal fiume al villaggio, alle piroghe cariche di pesci, ai bambini felici di sguazzare nell’acqua limacciosa, alle donne che vanno a prelevare acqua per tutti gli usi con i loro secchi dai mille colori. A fine settimana, poi, le rive si ricoprono di biancheria stesa ad asciugare, di intere famiglie intente alle operazioni di igiene personale. Le coiffures, lunghe e complesse, si fanno davanti alla capanna, sedute sulle stuoie, intrecciando le ciocche di capelli corvini ricci e lunghi, raccogliendo le treccine in forme eleganti ed elaborate. Qualcuno stira la biancheria - anche questa operazione viene fatta sulla stuoia - utilizzando il ferro a carbone. Nel frattempo le giovani madri accudiscono i propri bambini e allattano i più piccoli. Verso sera, al tramonto, mentre gli zebù riprendono il cammino verso i recinti dove passeranno la notte, i maialini vengono riportati nel loro stallaggio, le donne accendono il fuoco di legna per preparare il pasto serale, l’immancabile riso e gli ortaggi di contorno. Gli uomini, utilizzando l'angady kely sorta di

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zappetta dai mille usi, costruiscono canali per la coltivazione del riso, attività economica fondamentale per la sopravvivenza della comunità e che occupa gran parte del tempo e delle energie di ciascuna famiglia. Anche la vegetazione cresce rigogliosa grazie alla vicinanza del grande fiume. Gli alberi da frutta sono numerosi, profumati e maestosi. Alla fine di novembre e per tutti i mesi invernali è l’albero di leches a sorprendere con le sue chiome punteggiate di rosso, i grappoli di piccoli e gustosissimi frutti di cui sono ghiotti tutti gli abitanti del villaggio (ne restano tracce ovunque…). Nella stessa stagione le vie e le piazze sono cosparse di stuoie su cui i chiodi di garofano vengono messi ad essiccare. Altrove è il riso a occupare gli spazi aperti. Ogni stagione ha i suoi frutti: banane, noci di cocco, ananas, mango, papaya, passion fruit, frutto del pane, corasol, cœur de bœuf, caffè, cannella, the, sakai e ortaggi. In questo meraviglioso mondo vegetale, ricchezza inesauribile, anche i piccoli animali da cortile traggono semi e polpa per la loro sopravvivenza. Così è facile imbattersi in vivaci nidiate di galline, anatre e tacchini nelle strade fangose di Andranovolo. I numerosi vantaggi che derivano dalla vicinanza del Matitanana hanno purtroppo risvolti estremamente pericolosi per la salute:

l’acqua del fiume, utilizzata per i giochi dei bambini, per l’igiene personale e per la cottura dei cibi, è infestata da batteri micidiali che causano alcune volte la morte. La bilharziosi è una malattia ad evoluzione letale che si contrae con il semplice contatto con l’acqua dei fiumi, dei laghi e delle risaie. I bambini la contraggono giocando nell’acqua. Dalle zone umide e paludose, dove vivono e si moltiplicano numerose varietà di zanzare, deriva la malaria o paludisme. Per non parlare delle alluvioni che a cadenza annuale colpiscono la zona e causano gravissimi problemi alle abitazioni, alle attività economiche e alle persone. Il fiume è ricco di pesce che viene venduto fresco nei mercati e lungo le vie che attraversano i villaggi. Ma la presenza di caimani rende ogni attività pericolosa e insicura. Infine l’acqua, che scorre in alvei naturali, spesso diventa un ostacolo alla viabilità e alle comunicazioni, costringe a lunghi tratti di strada da percorrere a piedi prima di incontrare un ponte, sovente in assi di legno, talvolta fatiscenti e insicuri. Quindi, l’isolamento che ne deriva rappresenta un elemento costante della vita quotidiana e si traduce in povertà materiale e culturale. Come Andranovolo, numerosi altri villaggi si sviluppano lungo il fiume con uno schema urbanistico piuttosto regolare. Le capanne sono disposte in ordine sparso tra la riva e la


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42. Mahasoa. I chiodi di garofano vengono messi ad essiccare su grandi stuoie stese per terra. Un profumo intenso si spande per tutto il villaggio.

strada sterrata che collega tutti i centri abitati. All’interno del villaggio si aprono ampi spazi aperti e liberi; in uno di questi generalmente si trova la maison du riz, un vero e proprio granaio sospeso su pali di legno con piani di appoggio a circa due metri da terra. Una grande stuoia copre il pavimento della capanna; qui viene conservato il riso e messo a disposizione della comunità. La vita diurna si svolge essenzialmente sulla strada e nei campi; solo i bambini e i ragazzi che frequentano la scuola trascorrono parte della giornata negli edifici scolastici. Il trasporto di beni e persone avviene in vari modi: sul fiume con piroghe primitive (tronco d’albero scavato) e si trasporta ogni tipo di merce, anche il legname da costruzione. Per ottenere più spazio, le piroghe vengono legate l’una all’altra in modo da formare una grande zattera. Sulla terra, e quindi sulle piste, i mezzi di trasporto sono i più svariati: dal carretto trainato a mano, anche da tutta la famiglia, con le piccole ruote che costringono a chinarsi a terra per spingerlo, alla carriola, alla bicicletta, al motorino e infine qualche auto e raramente qualche camion. Più frequentemente la gente si sposta a piedi portando sulla testa (le donne) cesti colmi di frutti, di ortaggi, animali e stuoie. Un po’ ovunque nei pressi delle capanne le donne lavorano il sisal, una fibra

naturale che cresce lungo le risaie e che, essiccata e colorata, viene lavorata a mano per confezionare cappelli, borse, cesti e stuoie. Due giorni alla settimana, il lunedì e il venerdì, una fiumana inarrestabile si dirige al mattino presto nella direzione della cittadina di Vohipeno, sede del mercato. Qui, ogni luogo, chiuso o aperto, ogni strada, ogni spiazzo è occupato da merce in vendita, manufatti e animali vivi, ortaggi, frutta e ogni bene scambiabile. Nel villaggio, il ritmo di vita è più lento. Lungo la via principale si aprono chioschetti in legno e paglia che offrono pochi cibi cotti, granaglie, riso e legumi. Più facilmente le mercanzie vengono disposte in bell’ordine sulle stuoie stesse, direttamente sul ciglio della strada. Non mancano tuttavia le tracce della modernità: ovunque si trovano i punti vendita delle compagnie telefoniche Telma e Orange per la telefonia; sui tetti di paglia brillano al sole i piccoli pannelli solari per ricaricare telefoni e smartphone. Domenica! Già al primo apparire del sole una miriade di bambini vestiti a festa con i loro genitori si dirige verso la Chiesa. Voci alte e cristalline innalzano la lode a Dio e ringraziano per la vita che è stata donata, pur tra tanta penuria e tanti disagi! Il tempo libero è occupato dal gioco della tombola che si svolge nei pressi di un cro-

cicchio di strade, all’ombra di grandi alberi frondosi. Per gli amanti del cinema, un chioschetto è adibito a sala proiezione. Su una lavagnetta, il film del giorno. La povertà è diffusa, le strade polverose e acquitrinose, le abitazioni in legno e paglia che mal sopportano la pioggia e le inondazioni. Spesso sono abitate dall’intero nucleo familiare composto dai genitori e da un numero elevatissimo di bambini. Il tasso di natalità è tra i più alti del mondo, così come la mortalità infantile colpisce ogni anno circa 45 bambini su mille. Manca totalmente il sistema fognario d’altra parte servirebbe a poco visto che non vi è impianto idrico nelle capanne e solo in qualche pozzo è possibile approvvigionarsi di acqua. I gabinetti nelle capanne sono rari. Quei pochi esistenti si trovano intorno alle abitazioni delle famiglie che mandano i figli all'Ecole Sarah. Nel complesso scolastico, infatti, i bambini imparano e acquisiscono l'abitudine all'uso degli orinatori e dei gabinetti. L’acqua arriva al villaggio tramite pozzi costruiti nel tempo da varie associazioni. Tuttavia, gli ostacoli si incontrano già nella fase progettuale, poiché bisogna ottenere il consenso degli anziani e dei capi villaggio che sovente si oppongono, appellandosi ad antiche credenze, a superstizioni oppure semplicemente per non ferire l’orgoglio locale.

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43-46. Il fiume Matitanana è una grande risorsa. Gran parte della vita quotidiana si svolge sulle sue rive.

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47-50. La pesca nelle acque del fiume garantisce un importante apporto all’alimentazione, una integrazione all’economia agricola. I bambini che frequentano l'Ecole Sarah nel tempo libero aiutano i genitori e i fratelli piÚ grandi.

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51. Ambanobe. Sulla strada che da Vohipeno conduce a Ifatsy si susseguono piccoli mercati “a km 0�

52-55. Lungo la via principale che attraversa il villaggio di Andranovolo si svolge il commercio al minuto di generi alimentari

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56-59. Le abitazioni, piccole ed essenziali, ospitano tutta la famiglia per consumare i pasti e per il riposo notturno.

60. Risaie al tramonto

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71. Lakanoro. Piroghe per il trasporto di persone e merci sul fiume Matitanana 72. Tsarinetso. Il cuore del villaggio con le “maisons du riz”. È giorno di mercato. Solo i bambini più piccoli sono rimasti a casa. 73. Le bambine, nel tempo libero, trasportano acqua con i secchi sulla testa. 74. Il mercato settimanale di Vohipeno

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61. Lakanoro. Piroghe per il trasporto di persone e merci sul fiume Matitanana 62. Tsarinetso. Il cuore del villaggio con le “maisons du riz”. È giorno di mercato. Solo i bambini più piccoli sono rimasti a casa. 63. Le bambine, nel tempo libero, trasportano acqua con i secchi sulla testa.

65-68. Il mercato si raggiunge anche dopo due o tre ore di cammino con le ceste sulla testa. Solo i più fortunati arrivano con il "taxibrousse".

64. Il mercato settimanale di Vohipeno

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69. Si vende tutto ciò che è autoprodotto. Nelle borse di sisal si trasportano chiodi di garofano da vendere al mercato. La quantità è stabilita dal barattolo-misurino. 70. Il ponticello che porta a Andranovolo. 71. Dopo aver lasciato i figli davanti alla scuola i genitori vanno al lavoro.

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72. Le donne si recano al pozzo del villaggio per approvvigionarsi di acqua. 73-75. La vita domestica si svolge soprattutto all’aperto, su grandi stuoie stese davanti alle capanne.

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76-79. Con il sisal, pianta erbacea spontanea che cresce lungo i bordi delle risaie, le donne tessono stuoie, confezionano cappelli, borse e cesti.

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80-82. Il lavoro in risaia. La penuria di mezzi impone l’uso degli zebÚ per la preparazione del terreno da coltivare. 83. Il trapianto del riso.

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84-85. I contadini malgasci usano l’“angady� per rompere le zolle e girare la terra. 86-87. Tutti lavorano in risaia. I bambini che non vanno a scuola raccolgono le spighe di riso rimaste nel campo.

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88. Il grande viale alberato di Andranovolo porta al villaggio e alla scuola; mette in comunicazione i villaggi disposti sulla riva destra del fiume Matitanana. In primo piano, un maestoso albero di leches. 89-92. Altre strade del villaggio.

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93-95. Nei giorni di festa: relax, raccoglimento e sport.

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96. Riunione dei capi-villaggio a Vohipeno. Dopo i "kabary" (discorsi) una bevuta collettiva di "toka", bevanda alcolica ottenuta con la distillazione della canna da zucchero.

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CAPITOLO V

Ecole Sarah, molto più di una scuola

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ono trascorsi dieci anni dalla creazione della scuola voluta dai genitori di Sarah. La scelta di costruire una scuola venne subito sostenuta da molti che, riuniti nell’Associazione Progetto Sarah, condivisero sin dall’inizio gli obiettivi, i programmi dei fondatori e i sogni di Sarah. L’edificio scolastico sorge nel cuore del villaggio di Andranovolo, alle spalle della chiesa e all’interno di un complesso di strutture costruite e/o riattate in base all’esigenza di Progetto Sarah. Ne fanno parte: la cucina, due mense, la scuola di cucito e il dispensario medico. Queste ultime due realtà, insieme ad alcune camere adibite all’ospitalità dei volontari, si trovano nell’unico complesso preesistente e ristrutturato da Progetto Sarah. La scuola, entrata in funzione nell’autunno del 2008, si compone di dodici aule, servizi igienici, uffici e direzione. Un grande cortile permette ai bambini di giocare e intrattenersi durante la ricreazione e svolgere le attività all’aria aperta. Un impianto fotovoltaico produce l’energia necessaria al funzionamento dell’intero complesso e l’acqua piovana è raccolta da una grande cisterna adiacente alla scuola. L’organizzazione didattica prevede un ciclo di sette anni: scuola dell’infanzia e scuola primaria. Vi accedono i bambini di Andrano-

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volo e dei villaggi vicini. La selezione spetta alla Direttrice scolastica che, secondo le linee guida indicate dall’Associazione Progetto Sarah, ha l’obbligo di accogliere prima di ogni altro i figli delle famiglie più bisognose! In parole povere… i più poveri tra i poveri. Le famiglie pagano un piccolissimo importo per l’iscrizione e/o collaborano con la consegna di alimenti per la mensa durante l’anno scolastico, come è stato deciso, di concerto con le suore, per responsabilizzare le famiglie sul valore che la scuola deve avere per i loro figli e quindi per tutta la comunità. Non si tratta di assistenzialismo fine a se stesso, ma di una collaborazione con la popolazione fruitrice del servizio. La costruzione della scuola ad Andranovolo ha voluto dare la possibilità a molte famiglie poverissime che vivono nei villaggi circostanti di fornire almeno l’istruzione di base ai propri figli, pagando una retta simbolica e con la certezza che all’Ecole Sarah i bambini riceveranno una preparazione didattica nettamente superiore rispetto a quella offerta da altre strutture scolastiche della zona. Nei villaggi rurali, lontani dai centri urbani, le tradizioni locali sono molto radicate e spesso in contrasto con le novità che giungono dall’esterno. Anche la scolarizzazione offerta dai progetti umanitari e di solidarietà che provengono da paesi europei,

97. Novembre 2016. Festa nel cortile dell’Ecole Sarah.

talvolta, è vista con diffidenza e sospetto; fortunatamente si comincia a intravedere una collaborazione preziosa con le famiglie che danno il giusto valore al lavoro di volontariato nell’interesse della comunità. Le suore di San Giuseppe di Aosta che gestiscono e realizzano il Progetto Sarah sul posto sono quindi un ponte tra gli intenti dei fondatori italiani e i bisogni della popolazione locale. Le suore, originarie del Madagascar, offrono i loro servizi sia nella direzione della scuola che nella gestione del dispensario, e in generale nei rapporti con le famiglie i cui figli frequentano l’École Sarah. La scolarizzazione, intesa non solo come istruzione, bensì come formazione, in questo paese è fondamentale per dare ai bambini la prospettiva di sviluppo e la possibilità di crescere in maniera sana nel corpo e nella mente, oltre a imparare a farsi carico dei problemi e a cercare soluzioni. Gli insegnanti, dopo nove anni di attività, formano un team collaudato; essi abitano in una casetta costruita da Progetto Sarah proprio per loro, adiacente alla scuola. La loro presenza costituisce un segno di appartenenza e di fiducia nei confronti dell’intera comunità di Andranovolo. L’attuale capienza dell’edificio scolastico garantisce la possibilità di studiare a un numero crescente di bambini.


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Nell’anno in corso (2016/2017) i bambini che frequentano la scuola sono quasi 300, distribuiti in questo modo: 51 nella scuola dell’infanzia, 57 nella classe 12°, 48 nella 11°, 42 nella 10°, 49 nella 9°, 28 nella 8°, 17 nell’ultima classe. I bambini che usufruiscono della mensa scolastica sono 240; i bambini aiutati a

distanza da famiglie italiane, attualmente, sono circa 190. Le due mense o cantine, costruite recentemente all’interno del complesso scolastico, offrono un pasto caldo in un ambiente accogliente e sereno. Il Progetto Sarah è sempre in progress: per l’anno venturo si prevede la costruzione di

un centro sportivo nel cortile della nuova Casa delle suore, al riparo finalmente dalle ripetute esondazioni del fiume Matitanana. Il campo polivalente (per giocare a calcio, pallavolo e pallacanestro) sarà dedicato al Centro Sportivo Swimming della Polizia di Alessandria, in prima linea nel sostegno delle iniziative, sin dal 2007.

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98-102. I bambini arrivano molto presto a scuola. Aspettano nel grande cortile l’inizio delle lezioni.

103-106. Due mense scolastiche offrono un pasto caldo. 107. Dopo il pasto i bambini lavano piatti e scodelle.

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108-110. Scuola di cucito. Suor Germaine e suor Patrizia insegnano il ricamo e il cucito alle ragazze del villaggio.

111. Le bambine diventano adulte molto presto. Sin dalla più tenera età, dopo la scuola, devono occuparsi dei fratellini più piccoli e delle faccende domestiche: tra queste, la pilatura del riso è l'attività principale. 112. Novembre 2016. Le mamme assistono alla Festa annuale dell’Ecole Sarah.

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CAPITOLO VI

Le altre scuole sostenute da Progetto Sarah

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el distretto di Vohipeno si contano altre scuole fondate e gestite dalle missioni cattoliche, a cui il Progetto Sarah offre contributi e sostegno di vario tipo: Liceo di Vohipeno, Scuola Saint Paul nel villaggio di Tanantsara e le scuole di foresta a Ifatsy, a Ankasomassi e Tananabo.

re in sposa le ragazze in tenerissima età (dai 12 ai 13 anni) e di farne delle mamme inconsapevoli, senza alcuna possibile alternativa. Il distretto di Vohipeno conta circa 70.000 abitanti distribuiti in sette comuni, il più lontano dal capoluogo si trova a 25 km. Ciascun comune dispone di una scuola pubblica per

l’insegnamento primario e sono anch’esse molto frequentate. Le scuole missionarie generalmente sono considerate migliori e più affidabili per disciplina e serietà e per il reclutamento degli insegnanti che devono garantire requisiti professionali e morali piuttosto elevati.

Il Liceo di Vohipeno I ragazzini che completano il loro ciclo di studi all’Ecole Sarah possono proseguire presso il Liceo di Vohipeno, gestito dalle Suore di San Vincenzo. Ai più meritevoli l’Associazione Progetto Sarah paga le tasse d’iscrizione; a coloro che conseguono buoni risultati e la promozione alla classe successiva viene pagata anche la retta mensile. Nell’anno in corso (2016/2017) sono 55 gli ex-allievi dell’Ecole Sarah che frequentano il Collége. L’obiettivo dell’Associazione Progetto Sarah è quello di accompagnare i giovani al conseguimento del titolo di studio (Bac) con il quale poter accedere all’Università oppure entrare dignitosamente nel mondo del lavoro. Per le ragazze, la permanenza nella struttura scolastica ha anche altri risvolti, non proprio secondari. L’impegno nello studio e la frequenza della scuola le allontanano, almeno parzialmente, dall’ambiente del villaggio dove è ancora viva la consuetudine di manda-

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LA DIFFICOLTÀ DELL’ INSEGNAMENTO LEGATO ALLA CULTURA TRADIZIONALE ORALE La cultura malgascia, prima della colonizzazione e della conseguente francesizzazione del Madagascar, si basava sulla oralità. Dappertutto nell’isola si ricordano e si utilizzano tuttora, nei discorsi e nelle celebrazioni, proverbi e detti popolari. La vitalità di un’antichissina tradizione, il kabary malagasy, una vera arte oratoria che permette di giocare all’infinito (e per ore intere) con la ricchezza della lingua, ne è testimone. Ovviamente anche la didattica privilegia l’oralità: i maestri scrivono la lezione sulla lavagna e invitano gli allievi a leggerla e ripeterla in coro. I libri sono molto rari e l’uni-

co sussidio alla portata di tutti è il quaderno su cui vengono ricopiate le lezioni e su cui è possibile esercitarsi. L’apprendimento prevalentemente mnemonico si ripercuote inevitabilmente sull’autonomia di pensiero. L’istruzione, soprattutto quella superiore, in Madagascar è ancora un sogno per molti giovani: gli studenti universitari, per pagarsi le rette, lavorano come insegnanti nelle scuole primarie e secondarie – per altro sono molto richiesti per far fronte alla popolazione scolastica in continua crescita – oppure come guardiani notturni nelle grandi città.


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113-114. Biblioteca e Aula d’Informatica al Liceo di Vohipeno. 115-116. Giochi e sussidi didattici nella Scuola Saint Paul di Tanantsara.

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117. Anche i più piccoli frequentano la scuola di foresta. 118. La ricreazione nella Scuola Saint Paul di Tanantsara.

Nell’area tra Manakara e Vohipeno stanno nascendo centri di cultura e religione islamica, moschee e scuole, che convivono con realtà missionarie protestanti e di altre sette. L'esigenza di sopravvivere e di essere aiutati ha fatto capire a tutte le parti in campo che l’istruzione dei loro figli, da qualsiasi parte la si veda, deve essere lo scopo finale di tutte le religioni e culture.

La Scuola Saint-Paul Nel villaggio di Tanantsara, sulle rive del fiume Matitanana e a circa mezz’ora di strada da Andranovolo, la scuola Saint-Paul ha una storia esemplare: voluta e costruita da Padre Emeric, sostenuta dalla famiglia O’Brian, era destinata inizialmente ai bambini del villaggio, considerato tra i più poveri e arretrati della zona, tanto che nessuna famiglia dei dintorni vi mandava i propri figli. Senonché, gli sforzi di Padre Emeric, mirati a farne una scuola di qualità, con insegnanti selezionati per capacità e motivazione, ebbero risultati inaspettati. I bambini degli altri villaggi cominciarono a frequentare la scuola con grande soddisfazione di tutti coloro che vi avevano investito energie e competenze e soprattutto avevano creduto nell’integrazione. Così è accaduto il

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miracolo: gli stessi frequentano il complesso scolastico Ecole Sarah ad Andranovolo.

Le scuole di foresta: Ifatsy, Ankasomassi e Tananabo L’Associazione Progetto Sarah sostiene materialmente anche un’altra realtà che non cura solo l’educazione e l’istruzione, ma persegue specialmente fini sociali. Ifatsy, nel cuore della foresta, a tre ore di pista dissestata e quasi impraticabile dal capoluogo Vohipeno, è un villaggio rurale immerso nella campagna profonda, dove le Suore Ospedaliere della Misericordia gestiscono un complesso scolastico frequentato da circa 200 bambini, il preventorio e il dispensario. Qui, i bambini di Sœur Agnèse trovano accoglienza, assistenza sanitaria e alimentare, e soprattutto calore e affetto. Su 14.000 abitanti della foresta, 10.000 sono bambini, in gran parte abbandonati a se stessi, malati e denutriti. Le missionarie visitano regolarmente i villaggi e individuano i casi più disperati che vengono accolti nel centro. Ankasomassi e Tananabo sono dei piccoli villaggi situati ad una distanza doppia e tripla rispetto a Vohipeno. Si raggiungono inoltrandosi ulteriormente nella regione dove sono state costruite le scuole di foresta, ultimo avamposto della istruzione scolastica.

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119-122. Scuole di foresta a Tananabo, Ankasomassi e Ifatsy. Grandi capanne in legno sono adibite ad aule scolastiche. 123. Ankasomassi. Gli allievi consumano il pasto al riparo di una tettoia.

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124. Novembre 2016. Festa dell’Ecole Sarah

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125. Ankasomassi. Insegnanti, allievi e genitori. 126. Ifatsy. Gli scolari della scuola primaria.

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119-122. Scuole di foresta a Tananabo, Ankasomassi e Ifatsy. Grandi capanne in legno sono adibite ad aule scolastiche.

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123. Ankasomassi. Gli allievi consumano il pasto al riparo di una tettoia.

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124. Novembre 2016. Festa dell’Ecole Sarah

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125. Ankasomassi. Insegnanti, allievi e genitori. 126. Ifatsy. Gli scolari della scuola primaria.

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127-130. Ifatsy. Preventorio. I “bambini di Sœur Agnèse” si preparano per la notte.

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CAPITOLO VII

L’assistenza sanitaria

Dispensario di Andranovolo L’Associazione Progetto Sarah sostiene anche ogni attività missionaria volta a migliorare le condizioni di vita della popolazione del villaggio di Andranovolo. La cura delle malattie che ancora sono diffuse nei villaggi del sud-est è affidata ai dispensari locali e all’Ospedale di Vohipeno. Le Missioni cattoliche hanno creato una rete di assistenza pressoché capillare per garantire il primo soccorso e la somministrazione di farmaci. Nuovamente attivato dall'Associazione Progetto Sarah, il dispensario di Andranovolo è entrato a far parte di questa rete. Padre Emilio Cento, gesuita cuneese che ha dedicato la vita ai poveri e agli ammalati del Madagascar, chiamò nel 1981 le suore di San Giuseppe d’Aosta che aprirono, con il suo aiuto, il dispensario. La popolazione di tutto il distretto, che poteva contare solo sull’ospedale pubblico di Vohipeno per le emergenze, ne trasse un grande vantaggio. Tanta era la necessità di un centro sanitario che al lunedì - ricorda suor Lucie - si presentavano fino a 250 - 350 persone per essere curate e assistite. Vi si recavano malati di malaria, diarrea, bronchite, asma, sifilide e malnutrizione, soprattutto i bambini e i disabili.

Purtroppo le difficoltà e i costi dello sdoganamento dei medicinali provenienti dall’Italia obbligarono le suore a chiudere temporaneamente questo piccolo ma importante dispensario medico che venne fortunatamente riaperto nel 2009 con la fattiva collaborazione del Progetto Sarah.

Ospedale di Henintsoa L’ospedale di Henintsoa si trova nei pressi di Vohipeno e offre servizi sanitari alla popolazione dell’intero distretto. Collaborano con la struttura alcuni partner italiani: volontari di strutture ospedaliere, associazioni e ong, tra cui soprattutto la Fihavanana della Valle d'Aosta. Venne costruito nel 2000 dallo stesso Padre Emilio Cento ed affidato nel 2001 alle cure delle Suore Ospedaliere della Misericordia, tra cui Suor Lea, vero motore dell'intero complesso. L’ospedale Henintsoa è l’unica struttura della zona in cui si possano effettuare interventi chirurgici: può accogliere 50 pazienti e dispone di una sala operatoria, una maternità, una pediatria, una sala radiologica ed ecografica, un servizio ambulatoriale, una foresteria, la casa delle suore e una chiesa. L’assistenza di base è fornita da due medici malgasci, da personale di origine locale e dalle suore che si alternano tra assistenza

e cucina. L’attività chirurgica e specialistica è affidata alle missioni di medici volontari. Le Suore della Misericordia operano anche a Ifatsy dove, oltre alla scuola e al centro di accoglienza dei bambini di Sœur Agnèse, è stato aperto un dispensario frequentato particolarmente dalle mamme e dai loro piccoli bisognosi di cure.

Foyer di Tanjomoha Opera lazarista fondata nel 1986 a Vohipeno, il Foyer di Tanjomoha rispondeva inizialmente all’esigenza di assistere i disabili e fornire loro una formazione professionale di cucito e di falegnameria. Nel tempo il Centro ha visto moltiplicarsi le attività e gli ospiti delle varie strutture: oltre ai giovani disabili fisici e mentali si sono aggiunti orfani e bambini poverissimi, giovani provenienti dai villaggi paria, malati indigenti o affetti da tubercolosi. Inoltre il Foyer ha creato e gestisce due scuole e tre mense; persegue un programma di rilancio agricolo (canali d’irrigazione, drenaggio delle risaie, scavo di pozzi e organizzazione di piccole aziende da destinare ai giovani), di ricostruzione post-ciclone (distribuzione di sementi di riso a crescita rapida a 20.000 famiglie e di ortaggi a 17.000), e infine di ricostruzione di case tradizionali per i più

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131-132. Dispensario di Andranovolo. Un paziente viene trasportato all’ospedale Henintsoa di Vohipeno. 133-134. Ospedale Henintsoa. Reparto Maternità. Una bimba sofferente per malnutrizione e... un parto felice.

indigenti. Per un totale di 450 persone accolte nel Centro, 2.000 - 2.500 vengono aiutate quotidianamente o settimanalmente per i bisogni primari. Il Foyer di Tanjomoha, opera della Famiglia di Saint Vincent de Paul, dal 2000 è diretto da Padre Emeric Amyot d’In-

ville, con la collaborazione di Padre Prosper, anch’egli lazarista. L’Associazione Progetto Sarah collabora con il Foyer commissionando prodotti artigianali per l’uso scolastico (sedie, banchi) ed acquistando sementi per i contadini.

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135. Dispensario di Andranovolo. Le Suore di San Giuseppe di Aosta offrono l’assistenza infermieristica alla popolazione dei dintorni. Le malattie piÚ diffuse sono la bilharziosi e la malaria.

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136. Dispensario di Ifatsy. Le mamme sottopongono i loro bambini al controllo pediatrico e alle vaccinazioni.

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137-140. Il Foyer di Tanjomoha offre assistenza ai disabili e formazione professionale ai giovani.

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LE SUORE DI SAN GIUSEPPE DI AOSTA Le suore di San Giuseppe giunsero ad Aosta nel 1831 dopo 17 giorni di cammino da Lione dove avevano riorganizzato la congregazione che aveva subito le persecuzioni e i martìri del periodo rivoluzionario francese. Da Lione le suore raggiunsero altre località della Francia e si stabilirono in numerosi paesi

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europei e, in seguito, anche in altri continenti. Là dove si insediavano, le suore creavano congregazioni indipendenti l’una dall’altra poiché stabilivano un rapporto di dipendenza diretta dal vescovo della diocesi in cui operavano. Tra le tante, la Congregazione di Chambéry, nel 1821, inviò alcune suore a Torino per collaborare con la marchesa Giulia Falletti di Barolo. Sorsero così altre congregazioni di suore di San Giuseppe nelle diocesi piemontesi e in quella valdostana.

Ad Aosta, il vescovo monsignor Evasio Agodino le chiamò perché si occupassero dell’educazione delle fanciulle e dell’assistenza ai malati. Dal 1965 la Congregazione di Aosta opera in molte aree del mondo: Romania (1993), Burkina Faso (2008), Costa d’Avorio (1991) e Madagascar (1965). In quest’ultimo paese sono nate 20 comunità. Fu padre Giustino Béthaz, missionario valdostano, in accordo con il Cardinale di Antananarivo, monsignor Jérôme Rakotomalala, a chiedere, nel 1965, la collaborazione delle suore


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di San Giuseppe di Aosta. Madre Alessia Cavagnet inviò cinque suore: Egidia, Cesarina, Melania, Luciana e Pia che, insieme a padre Béthaz, si dedicarono alla fondazione della prima missione di Analamahitsy, nella periferia della città. In poco tempo, numerose giovani malgasce scelsero di seguire la vocazione religiosa diventando a loro volta, dopo un’adeguata formazione in Italia, suore di San Giuseppe di Aosta. La Casa Regionale ha mantenuto la sua sede sulla collina di Analamahitsy dove ora sorge

un complesso scolastico di prim’ordine nel panorama cittadino. Sempre nella capitale si trovano il Noviziato, il Collège Saint-Michel e La Carrière, centro di accoglienza per persone indigenti. La Congregazione conta 13 scuole attivate in Madagascar per circa 12.000 alunni, dalla scuola dell’infanzia al liceo. Le suore operano nei dispensari, negli ospedali e nelle prigioni; distribuiscono latte e viveri, sono impegnate in attività sociali: centri famiglia, agricoltura, for-

mazione professionale e soprattutto nei servizi per i poveri. Le missioni sono distribuite nella fascia centrale del Madagascar e formano una rete di solidarietà e di assistenza estremamente preziosa per la popolazione malgascia e per tutti coloro che sono coinvolti nelle attività missionarie: Antananarivo (otto comunità), Andriampamaky, Ihazolava, Mahamanina, Camp Robin, Tanambe, Tsiroamandididy, Antsirabè, Mananjary, Tsiatosika, Vohilava, Andranovolo, Ambila.

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141. Antananarivo. Casa regionale delle Suore di San Giuseppe di Aosta ad Analamahitsi. 142-146. Andranovolo. La vita in Missione

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“Ecole Sarah. Nel paese del riso e del sorriso” prende le mosse da un evento tragico a cui non sembra possibile porre rimedio, a meno che ci si aggrappi all’idea folle e geniale di far rivivere la figlia amatissima in un’attività costruttiva e generosa dove incanalare energie e progetti futuri. Così, a distanza di dieci anni, Aldo e Marina, con l’aiuto di tanti sostenitori del Progetto Sarah, hanno trovato la forza e il coraggio di ripensare a questo periodo di grande lavoro e coinvolgimento emotivo e di farne un bilancio affidandone la visibilità ad un’opera editoriale. La pubblicazione, dedicata alla scuola fondata in un poverissimo villaggio del Madagascar, è un meraviglioso reportage fotografico realizzato con la tecnica e la sensibilità artistica di Enrico Formica che ama definirsi autore d’immagini perché alla tecnologia antepone lo sguardo dell’uomo che si avvicina ad un mondo difficile ed estremamente delicato e fragile, quale è il Madagascar. Il racconto del viaggio verso le terre del popolo Antaimoro, nelle foreste del sud-est dell’Isola rossa, ci porta nel minuscolo villaggio di Andranovolo, sulle rive di un grande fiume, dove troviamo una bella scuola frequentata da una miriade di bambini sempre pronti al sorriso.

30,00 Euro


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