i nostri
Cani
Anno 61 num. 1 gennaio 2015
FRANCESCO DEI POINTERS Geniale e schivo, “Franco” Ravetta diede nuovo impulso alla razza facendole raggiungere ancor più prestigiosi traguardi. Grande in un’epoca di grandi sapeva unire genialità e modestia di Claudio Machiavelli
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a vissuto la storia facendone un po’, da protagonista come tanti avrebbero voluto, in silenzio come molti non ne furono o ne saranno capaci. Ecco perché Francesco Ravetta fu ed è nei giorni e lo sarà negli anni a venire un grande. Ha avuto in eredità dalla vita il pointer come passione riuscendo ad impreziosirla con l’intelligenza e rendendola unica attraverso una generosità che volle sempre lasciare semisegreta. Se lo confidavano, sottovoce, nella chiesa di San Gaudenzio, un tempo comune oggi unico agglomerato con Cervesina, alla destra del Po, sulla confluenza con lo Staffora, i molti venuti a salutarlo. E tutti avevano gli occhi lucidi, come accade quando si ascoltano le parole di un sacerdote che benedice la persona a cui vogliamo bene ed abbiamo dato da tempo la nostra stima. Aveva scelto il silenzio, sulle vicende della vita, sui successi coi suoi strepitosi campioni e su quella sua salute verso cui, forse, negli ultimi tempi aveva perduto un po’ della volontà di raggiungerla. Mai però aveva abbandonato l’entusiasmo per il pointer. Capivi il suo amore e la sua ammirazione per la razza dagli occhi che si accendevano di una luce particolare, poi dalle parole che scandiva misurate e precise in quel suo dialetto dell’Oltrepò parente dell’emiliano e di quello di Lombardia. Erano gli anni di un’Italia che ogni anno superava la crescita del precedente, stava illuminando persino le campagne più sperdute dove fino a poco tempo prima dominava il lume a petrolio e allungava di oltre duecento chilometri ogni anno le sue autostrade. Un’Italia che aveva contribuito ad inventare e portare al trionfo la Coppa Europa come segnale di un ponte fra i popoli quando di Europa nella politica se ne balbettava appena. Anni lontani ed eroici non per il ricordo che ha sempre una sua ferocia o la nostalgia che nasconde spesso il piacere malinconico di essere tristi ma le realizzazioni. Si cominciavano a ricostruire le razze e Francesco Ravetta c’era. Da protagonista. Persino suo malgrado perché a lui interessava la razza non le luci di una ribalta che in quella sua spontanea saggezza delle genti di campagna sapeva fugare. Frequentò giovanissimo i campi di prove ed i terreni di caccia convinto che entrambi dovessero essere, per il pointer un universo unico. Ammiratore di Filippo Rautiis titolare del Lucaniae e di tanti campioni, ne perfezionò le tecniche di allevamento e proiettò ancor
più lontano gli orizzonti del pointer. Fu così che seppe superare quella linea di demarcazione d’Inghilterra oltre cui molti allevatori e tanti presunti tecnici gridavano che c’era solo il deserto del pointer e l’assenza del pensiero. Importò fra gli altri dalla Danimarca Bogas Tino ed impresse un nuovo impulso alla razza, un’accelerazione alla macchina pointer che molti ritenevano già galoppasse al massimo. Gli archivi dell’ENCI, gli albi d’oro dei più importanti traguardi della grande cerca raccontano meglio di chiunque altro, la storia di Francesco Ravetta, di Clastidium Islo, Clastidium Mirco e tanti, tanti altri suoi campioni e capistipite. I nomi suscitano vicende per noi meravigliose ma che lui considerava usuali invitando con un gesto, signorile e lieve, a tacere a quanti glielo ricordavano. Ci sentivamo non di frequente, ci vedevamo un tempo spesso, poi, per le solite vicende della vita, un po’ meno. Ma la stima era all’inizio grande poi gli anni, gli incontri e le circostanze l’hanno continuamente impreziosita fino a quando…
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