Employer Branding. Il Caso Otis

F

e d e r i c a

F

i o r i n i

EMPLOYER BRANDING IL CASO OTIS

COLLANA EMPLOYER BRANDING

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FERRARA Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Studio Comunicazione pubblica, della cultura e delle arti (immagine, musica, spettacolo)

Employer Branding Il Caso OTIS

Relatore: Mario Catani

Laureanda: Federica Fiorini

Sessione di laurea (autunnale II appello) anno accademico 2008/2009

INDICE

INTRODUZIONE

p.

Capitolo primo L’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

p.

1.1 Strategia e organizzazione 1.2 Variabili e strutture organizzative 1.3 L’Azienda Capitolo secondo IL BUSINESS E LE RISORSE UMANE

p. p. p.

p.

2.1 La gestione delle Risorse Umane 2.2 Le Risorse Umane e le strategie aziendali Capitolo terzo EMPLOYER BRANDING

p. p.

p.

3.1 Il concetto di Employer Branding 3.2 Il processo di Employer Branding 3.3 La comunicazione aziendale per fidelizzare i dipendenti attraverso il Brand Capitolo quarto IL CASO OTIS

p. p. p.

p.

4.1 Il Gruppo OTIS 4.2 People strategy 4.3 Gli strumenti di Employer Branding

p. p.

CONCLUSIONI

p.

BIBLIOGRAFIA

p.

I

INTRODUZIONE L’obiettivo di questo lavoro è di evidenziare l’importanza strategica delle risorse umane all’interno dei sistemi organizzativi. Al centro del pensiero delle aziende, è sempre stato l’uomo a rappresentare la risorsa fondamentale. Reperire e fidelizzare le persone che potevano realizzare obiettivi di business, è sempre stato il fine delle politiche di gestione del personale, almeno per quanto riguarda la teoria. Oggi, invece, l’approccio dei sistemi organizzativi è quello di puntare al capitale umano, ma di farlo utilizzando strumenti concreti.

A causa di diversi fattori, come l’aumento della mobilità geografica che influenza i percorsi di carriera e l’utilizzo delle nuove tecnologie che facilitano le comunicazioni e rendono più confrontabili le realtà aziendali di tutto il mondo, le imprese stanno attuando considerevoli sforzi, sia nel campo della “retenction” (mercato interno) che in quello del “recruiting” (mercato del lavoro).

Le aziende hanno compreso quanto sia fondamentale valorizzare le risorse

umane

e

fidelizzarle,

per

portare

un

valore

aggiunto

all’organizzazione. Lo sviluppo futuro delle imprese quindi, dipenderà proprio da quanto esse investiranno nei loro dipendenti, attuali e potenziali. Per riuscire ad incrementare la produttività aziendale, le persone dovranno essere motivate e felici di quello che fanno.

Partendo dalla definizione di organizzazione, delle varie parti che la compongono e dell’importanza di costruire un strategia

mirata alla

realizzazione della propria missione, si arriva al concetto di risorsa umana.

Nel secondo capitolo viene dedicata una particolare attenzione alla gestione delle risorse umane. La gestione si potrà definire efficace quando, non si limita solamente alle necessità retributive e amministrative, ma sarà in grado di valorizzare le risorse, motivarle ed attivare strumenti

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che assicurino alle persone una sintonia con gli obiettivi aziendali, per consentirne il raggiungimento.

All’interno del terzo capitolo si passa dal concetto di risorsa umana, a quello di talento. Il talento è il superamento della risorsa umana, la cui caratteristica è sempre stata quella di un qualcosa che si consuma.

Considerare

le

persone

come

talenti

significa,

invece,

prendere

consapevolezza che le persone possiedono capacità e potenzialità e hanno quindi la forza di trasformare l’azienda come un qualcosa che vada oltre un sistema che gestisce risorse umana da consumare. E’ importante considerare le persone sotto il profilo umano, considerarle dunque umani con delle risorse e non risorse umane.

Oggi le aziende hanno bisogno di attirare nel loro interno le menti più brillanti e capaci e devono riuscire a trattenerle. Per fare questo devono quindi mettere in atto una vera e propria strategia, con il fine di costruire un ambiente di lavoro che sia il più attrattivo possibile, sia nei confronti del personale interno che per i talenti esterni: è così che arriviamo finalmente al concetto di Employer Branding.

Nel quarto capitolo viene analizzato il case history OTIS. Dal racconto della nascita di OTIS, multinazionale americana nel settore ascensoristico, si continua con l’analisi della sua people strategy, per concludere con la descrizione degli strumenti di employer branding utilizzati da questa grande Compagnia.

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Capitolo primo L’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

1.1 Strategia e organizzazione Che cos’è l’organizzazione?

“L’organizzazione è quel tipo di cooperazione tra uomini, che è consapevole, deliberata, finalizzata.” (Barnard, 1938) “Un’organizzazione è una coalizione di gruppi di interesse stabili che determina dei fini attraverso un processo di negoziazione, la struttura della coalizione, le sue attività e i suoi risultati risentono fortemente dei fattori ambientali”.

(Scott, 1985).

Sintetizzando un’organizzazione è: un’attività finalizzata, svolta da più parti di un insieme coordinato.

I componenti di una qualsiasi organizzazione aziendale sono sempre gli stessi e, solamente la loro corretta gestione ed il giusto equilibrio tra loro, permettono al vertice aziendale di riuscire a raggiungere l’obiettivo prefissato.

Organizzare significa sostanzialmente mettere chi lavora in azienda nelle condizioni di “dare il massimo con il minimo sforzo”, questo perché in tale modo è possibile raggiungere l’obiettivo che qualsiasi azienda si pone e cioè avere il massimo del profitto, progredendo nel corso degli anni.

Organizzare significa anche saper di poter contare su un’azienda pronta a cambiare direzione di marcia, a seconda delle differenti richieste di mercato. Organizzare significa mettere le persone giuste al posto giusto, facendo in modo che possano svolgere le proprie funzioni nel miglior modo e con il massimo dell’efficienza.

3

Ogni azienda ha una propria identità e quindi una propria organizzazione, esistono organizzazioni simili ma non uguali.

Un tassello fondamentale di un’organizzazione aziendale sono le procedure aziendali.

La combinazione di più procedure permette di capire come l’azienda gestisce le proprie attività e come esse si relazionano tra loro.

Le procedure rappresentano le attività che la singola area o funzione deve eseguire per adempiere alle proprie specifiche, sono inoltre composte anche dai mansionari (il “chi fa che cosa” all’interno di un’organizzazione).

Le procedure servono soprattutto a regolare i rapporti tra le funzioni aziendali e a stabilirne quelli di responsabilità.

Le procedure determinano quali azioni devono compiere le singole aree aziendali e le funzioni che operano nell’area stessa, che favoriscono quindi

il

collegamento

tra

le

diverse

parti

di

cui

si

compone

l’organizzazione.

Tale affermazione richiama uno dei capisaldi della teoria sistemica: ogni sistema si caratterizza per essere formato da parti integranti rispetto ad uno scopo. L’organizzazione è stata definita da alcuni sociologi (Parson e Luhmann) come un insieme di parti integranti dipendenti ed interagenti sulla base di schemi predefinibili ed in funzione del perseguimento di un proprio equilibrio. Lo sforzo dunque della scuola sistemica è stato quello di analizzare e descrivere le parti, nonché le loro relazioni e le reciproche influenze tra sistemi diversi e tra sistemi ed ambiente.

All’interno di un’organizzazione possono coesistere più meccanismi di coordinamento.

In conclusione affermiamo che, per la progettazione organizzativa, è importante rilevare il grado di coerenza tra contenuti del lavoro, caratteristiche dell’organizzazione e meccanismi adottati. E’ ovvio che, più l’organizzazione e il lavoro si complessa, più si passerà a meccanismi basati sulla standardizzazione degli input e degli output, rendendo

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marginali

gli

altri,

perché

non

applicabili.

L’inefficacia

di

molte

organizzazioni spesso dipende dall’incapacità di dotarsi di meccanismi di coordinamento adeguati al mutare del contesto, sia interno che esterno.

L’organizzazione aziendale si basa sostanzialmente su due parole: •

Organizzare

•

Gestire

L’organizzazione si può considerare una pluralità di individui che si ripartiscono

compiti

(procedure),

mansioni

(Mansionari)

e

attività

(organigramma) per il raggiungimento di un fine comune. L’organizzazione aziendale deve essere un sistema flessibile che deve avere la capacità di adattarsi alle situazioni e che deve essere sempre definito, controllato e gestito dal vertice aziendale.

Ogni passaggio del ciclo lavorativo è importante per il risultato finale, ma è altrettanto evidente che vi sono alcuni momenti topici che ne determinano più di altri l’esito.

Ricostruire le competenze. Per ogni processo lavorativo è possibile individuare

le

attività

necessarie

alla

sua

realizzazione

e,

successivamente, andare a individuare le competenze necessarie per svolgere quelle attività. Attraverso queste analisi si individuano inoltre i ruoli professionali, le loro caratteristiche e le eventuali necessità di formazione.

Valutare l’ambiente di lavoro. Per ogni fase di un processo lavorativo è possibile individuare i fattori di rischio e di nocività ad essa collegati.

Analizzare i comparti produttivi. Si possono mettere a confronto le caratteristiche produttive di organizzazioni operanti nello stesso comparto, confrontarle e ottenere le principali caratteristiche del comparto stesso.

Saper produrre bene e a bassi costi, non è però sufficiente a competere sui mercati e a conferire longevità all’azienda. L’elaborazione di un piano consente all’azienda di presentarsi sul mercato con un progetto chiaro e delineato in modo esplicito, al fine di evitare l’improvvisazione.

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L’azienda deve avere una strategia aziendale. Con il termine strategia aziendale si intende: “l’interazione esistente o desiderata tra l’azienda e l’ambiente dove essa opera, è l’insieme dei mezzi, obiettivi con cui l’impresa cerca di realizzare la propria missione”.

La strategia di un’organizzazione è costituita da un insieme di scelte che definiscono: -

quali prodotti/servizi per quali mercati;

-

quale concorrenza e quali vantaggi competitivi;

-

quale utilizzo e combinazione delle risorse;

-

quali punti di forza e come ottimizzarli;

-

quali punti di debolezza e come affrontarli;

-

quali alleanze attivare.

Gli ambiti di elaborazione di una strategia sono quindi tre: -

di prodotto e di mercato;

-

di organizzazione interna;

-

di cooperazione con altre organizzazioni.

Il comportamento strategico di un’organizzazione può orientarsi a: -

difendersi dai cambiamenti

strategia difensiva

-

adattarsi ai cambiamenti

strategia adattiva

-

anticipare i cambiamenti

strategia proattiva

In una strategia difensiva l’ambiente è vissuto come fonte di imprevisti; la gestione è prevalentemente orientata alla produzione, i prodotti e i processi sono altamente standardizzati, non esiste la cultura della pianificazione a lungo termine, le decisioni strategiche riguardano soprattutto i prezzi.

In una strategia adattiva l’ambiente è vissuto come fonte di minaccia/opportunità a cui bisogna in qualche modo adeguarsi, i processi produttivi diventano più flessibili e si differenziano i prodotti. Nelle decisioni strategiche si dimostra interesse per le azioni di ricerca e di marketing, appare la cultura della pianificazione a lungo termine e si avviano processi di decentramento produttivo.

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In una strategia proattiva l’ambiente è vissuto come fonte di occasioni competitive, è presente una costante ricerca di nuovi business e un’ampia gamma di prodotti, differenziati in modo da rispondere alle esigenze di mercato. Le decisioni strategiche si diffondono in più funzioni, si

ricercano

alleanze

strategiche

vantaggiose

e

si

stabilizza

la

pianificazione a lungo termine.

Ogni

organizzazione

si

caratterizza

per

il

posizionamento

strategico, cioè per il fatto di riuscire a selezionare potenziali bisogni e offrire prodotti o servizi adeguati alla soddisfazione dei bisogni stessi.

All’interno di qualsiasi azienda è presente una strategia a livello di impresa; una visione strategica deve esserci, in quanto l’improvvisazione non assicura la sopravvivenza dell’impresa, anzi, ne mina l’esistenza. In molti casi però, questa chiarezza strategica è assente, nel senso che le organizzazioni, pur ipotizzando di rivolgersi a determinati target, in realtà si indirizzano solo parzialmente alle tipologie scelte o, addirittura possono rivelarsi altri i destinatari dei prodotti/servizi.

La coerenza strategica, cioè quella caratterizzata da risposte efficaci tra bisogni selezionati e

prodotti offerti, oltre che a risultare

indispensabile per determinare il successo di mercato, implica una forte connessione con le scelte organizzative. Ad esempio, scegliere di posizionarsi su un mercato dove è determinante la continua innovazione, comporterà investimenti di risorse, economiche e umane nel settore della ricerca e sviluppo invece, in un mercato più “tranquillo” dal punto di vista dell’innovazione, si potrà limitare il “costo” per la ricerca.

Pertanto, accanto alla definizione della missione e dei valori aziendali, diventa centrale e necessario il processo di pianificazione strategica al fine di creare condivisione con tutte le persone che lavorano in azienda e di orientare il loro comportamento verso il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Per riuscire a realizzare una strategia efficiente occorre analizzare l’ambiente esterno ed interno all’azienda, con il fine di individuare le minacce, le opportunità e quindi i punti di forza e debolezza dell’impresa.

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Perché una strategia sia efficace deve essere esplicita e consapevole, orientata al futuro, ed orientata al valore. L’impresa che possiede una strategia, un modello di interazione esistente tra la propria azienda e l’ambiente in cui opera, riesce a raggiungere un vantaggio competitivo di successo e duraturo.

L’impresa non attua una pianificazione strategica se si limita a guardare nel futuro per valutarne gli accadimenti e per cercare di adattarsi passivamente: la pianificazione strategica consiste invece nel prevedere il futuro per decidere le proprie azioni.

Chi elabora la strategia deve compiere una delle più difficili ed importanti funzioni; quella di pensare agli anni a venire. Chi la programma deve avere “forma mentis” volta al futuro e deve avere delle idee innovative.

La pianificazione, o piano aziendale, può essere quindi definita come il sistema operativo attraverso il quale l’azienda stabilisce i suoi obiettivi e le azioni per conseguirli. Gli obiettivi possono essere definiti come risultati futuri, con la previsione di realizzarli entro un determinato tempo.

Le fasi della pianificazione che devono essere seguite sono: 1. determinare gli obiettivi da realizzare nel medio - lungo periodo; 2. scegliere le politiche più idonee a conseguire gli obiettivi prestabiliti; 3. analizzare la struttura organizzativa; 4. elaborare piani e programmi; 5. controllare i risultati ottenuti confrontando gli andamenti effettivi con quelli ipotizzati.

L’implementazione

all’interno

dell’azienda

deve

avvenire

coinvolgendo tutte le funzioni e le risorse in modo tale che diventi “patrimonio” di tutti. Una volta che con la pianificazione strategica sono state individuate le opportunità di sviluppo e ne sono stati fissati gli obiettivi,

dovrà

nell’analizzare

seguire i

dati

poi

interni

il

controllo

ed

l’implementazione della strategia.

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esterni,

strategico al

fine

che di

consiste

supportare

1.2 Variabili e strutture organizzative Le componenti del sistema organizzativo si dividono in: •

Componenti esterne

•

Componenti interne Le componenti esterne riguardano le variabili ambientali, mentre

fanno parte delle componenti interne le variabili: individuali, sociali, tecniche, istituzionali e organizzative.

Lo scenario in cui le organizzazioni si trovano a dover operare è sempre più complesso, imprevedibile e caratterizzato da continui e rapidi cambiamenti. Ci sono almeno tre fenomeni che rendono turbolento il contesto in cui le organizzazioni devono muoversi: •

il mutamento sociale;

•

le innovazioni tecnologiche;

•

le trasformazioni economiche.

Le trasformazioni socio-demografiche, i nuovi stili di vita, la varietà di valori ed aspirazioni degli individui, sono i principali mutamenti sociali che interessano la vita delle organizzazioni rispetto alla loro mission, agli spazi di business ed agli atteggiamenti delle persone nei confronti del lavoro.

Per ciò che riguarda l’innovazione tecnologica, è evidente che la gestione

delle

informazioni

influenzano

le

scelte

strategiche

di

prodotti/mercati delle stesse organizzazioni.

Le

grandi

trasformazioni

economiche,

come

il

passaggio

dall’economia di scala all’economia della flessibilità, la terziarizzazione, richiedono nuove strategie e strutture organizzative, oltre che a rinnovate competenze professionali.

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Tutto ciò rivela dunque che, persone ed organizzazioni, dovranno affrontare e gestire nuovi e continui cambiamenti, più sfide e meno certezze. Le organizzazioni dovranno sviluppare la capacità di convivere con il cambiamento e con un futuro sempre più incerto, ricco di imprevisti e di minacce, ma anche di opportunità.

Si possono prevedere almeno tre

scenari ambientali in cui

l’impresa vive: -

un ambiente tranquillo;

-

un ambiente incerto;

-

un ambiente turbolento.

In un ambiente tranquillo, mercati e tecnologia sono stabili e la concorrenza non rappresenta una minaccia.

In un ambiente incerto si vengono a delineare significativi processi di innovazione di prodotto, i mercati sono più instabili e si presentano tensioni istituzionale i cui effetti sulla vita dell’organizzazione sono abbastanza imprevedibili.

In un ambiente turbolento l’innovazione tecnologica è così rapida da diventare un fattore competitivo e i mercati presentano una situazione di alta instabilità. La rapidità dei cambiamenti dell’ambiente richiedono alle organizzazioni una rapidità di adattamento strategico ed organizzativo.

Analizziamo ora le variabili individuali. Esse riguardano le caratteristiche di personalità degli individui che lavorano nel sistema, attinenti al comportamento organizzativo (qualificazione professionale, atteggiamenti, aspettative e motivazioni riguardo al lavoro) Es. lavoro come strumento per il soddisfacimento dei bisogni umani o come “espressione della personalità”.

La prestazione lavorativa di un soggetto è funzione della sua capacità e della sua motivazione, mentre la capacità ha a che fare con l’insieme di conoscenze e con le abilità di cui il soggetto dispone. Per ottenere una prestazione eccellente non si può prescindere né dalle capacità né dalla motivazione.

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Tra i numerosi modelli di motivazione al lavoro, i più importanti possono essere classificati in due famiglie: • Modelli orientati al contenuto: analizzano le cause della motivazione e sono di natura descrittiva. Ne fanno parte la Gerarchia dei bisogni di Maslow, il modello E.R.C. ecc…

• Modelli orientati al processo: analizzano i processi motivazionali e sono di natura predittiva. Ne fanno parte la teoria di Aspettativa/Valenza e il Goal Setting (la programmazione degli obiettivi).

LA GERARCHIA DEI BISOGNI DI MASLOW

Fig. 1.1 La piramide dei bisogni di Maslow

Secondo la Gerarchia dei bisogni di Maslow (1964) gli individui tendono a soddisfare in maniera sequenziale diversi livelli di bisogni, e quindi la motivazione ad agire sarà orientata verso il livello di bisogni non ancora completamente soddisfatto (fig. 1.1).

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Maslow classifica i bisogni umani in: 1. Bisogni fisiologici: fame, sete, sonno, sesso. Sono i bisogni primari che gli attori tendono a soddisfare per primi.

2. Bisogni di sicurezza: stabilità, protezione dai pericoli, appropriazione del proprio territorio.

3. Bisogni di appartenenza: socialità, affetto, amicizia, accettazione, amore, gruppi sociali.

4. Bisogni di stima: riconoscimenti di merito alla società o al gruppo al quale appartiene.

5. Bisogni di autorealizzazione: continuo sviluppo di sé stessi.

Il modello di Maslow prevede che gli individui siano motivati a soddisfare i bisogni di un certo livello solo quando i bisogni del livello immediatamente inferiore sono stati completamente soddisfatti. Ad esempio, ci sarà motivazione a soddisfare bisogni di appartenenza solo quando i bisogni di sicurezza sono stati pienamente soddisfatti.

Le organizzazioni economiche permettono di soddisfare bisogni fisiologici e di sicurezza tramite le retribuzioni, bisogni di appartenenza e stima tramite opportune modalità di organizzazione del lavoro, e bisogni di autorealizzazione grazie a mansioni sfidanti e difficili.

Dal modello di Maslow discendono tutti i modelli di motivazione al lavoro orientati al contenuto, tuttavia esso non spiega alcuni aspetti della motivazione e del comportamento. Ad esempio, il modello prevede che un soggetto continui a cercare la soddisfazione di un certo livello di bisogni fino a che tali bisogni non sono stati soddisfatti, non curandosi della possibile frustrazione che la prolungata insoddisfazione di un livello di bisogni può causare.

Il modello E.R.C. (Esistenza, Relazione, Crescita) di Alderfer, si può considerare come uno dei primi arricchimenti alla scala dei bisogni di Maslow (fig. 1.2).

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IL MODELLO E.R.C.

Figura 1.2 Il modello E.R.C. (fonte: L’efficacia organizzativa e le variabili individuali, 2002)

Il contributo fondamentale del modello E.R.C. consiste nell’aver integrato il meccanismo di frustrazione-regressione con quello di soddisfazione-progressione. Ad esempio, un soggetto frustrato al livello dei bisogni di relazione può trovare sollievo nella soddisfazione di bisogni di esistenza; una volta soddisfatti i bisogni di esistenza lo stesso soggetto avvertirà la necessità di soddisfare di nuovo i bisogni di relazione.

Nel modello E.R.C., a differenza di quanto accade nel modello di Maslow, i bisogni non sono in un rapporto gerarchico.

Secondariamente, il modello opera una riclassificazione dei bisogni in tre classi:

-

i bisogni esistenziali, che corrispondono grosso modo ai bisogni fisiologici e di sicurezza di Maslow,

-

i bisogni di relazione, paragonabili ai bisogni di appartenenza e di stima di Maslow,

-

i bisogni di crescita, confrontabili con i bisogni di autorealizzazione del modello di Maslow.

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La visione di Herzberg invece, si differenzia sia da quella di Maslow che da quella di Alderfer. Non è detto che tutti vogliano realizzarsi sul lavoro, così come non è detto che tutti esperiscano un processo individuale di emancipazione. Nelle organizzazioni esistono due categorie di lavoratori: chi desidera l’autorealizzazione e chi desidera certezze procedurali e routine. Di fronte a questa evidente differenza, il problema fondamentale è “come fare in modo che tutto il personale trovi la maggior soddisfazione possibile sul lavoro”.

Herzberg parte da questo quesito per impostare alcune ricerche sui fattori di soddisfazione e insoddisfazione sul lavoro. Arriva quindi a distinguere due categorie di fattori: i fattori igienici e i fattori motivazionali:

-

i fattori igienici. Riguardano le condizioni esterne del lavoro: remunerazione, ambiente fisico e sociale. Questi fattori non sono capaci

in

sé

di

procurare

effettiva

soddisfazione.

Il

loro

miglioramento può determinare solo una minore insoddisfazione; -

i fattori motivazionali. Riguardano

il

contenuto

tecnico

ed

organizzativo del lavoro e la possibilità di crescita di chi lavora.

Questi fattori possono generare reale soddisfazione e possono contribuire all’emancipazione del soggetto.

Secondo Herzberg esistono i “ricercatore di igiene” e “ricercatori di motivazione”. I primi cercano, sul lavoro, solamente sicurezza economica, conforto dell’ambiente fisico e clima sociale gradevole. I secondi invece cercano anche crescita professionale, espressione di sé e autonomia.

Troviamo poi anche le variabili sociali, che sono l’opposto di quelle individuali e riguardano l'insieme delle relazioni interpersonali, le dinamiche di gruppo, le relazioni formali ed informali, che sono fondamento del clima organizzativo. Le variabili sociali comprendono il clima, la cultura, i valori e le persone. Sono le variabili inerenti gli aspetti socio-psicologici del sistema azienda che definiscono gli elementi d'aggregazione, le regole di comportamento e di relazione dei gruppi e

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delle

persone

all'interno

dell'organizzazione

e

verso

l'esterno.

Il

comportamento organizzativo può essere classificato su 3 dimensioni, compresenti e interrelate: -

le attività: qualunque azione umana di tipo esecutivo o di tipo decisionale;

-

le interazioni: qualunque contatto, formale ed informale, tra i diversi membri dell’organizzazione;

-

i sentimenti: qualunque sentimento che le persone sviluppano nello svolgimento

delle

attività

e

delle

interazioni,

andando

a

comprendere sia ciò che la persona “fa” sia ciò che “è” in relazione agli altri e a se stessa.

L'organizzazione è, in generale, un sistema operativo dove le persone interagiscono occupando ruoli formalizzati in vista di realizzare certi scopi e perciò, a seconda della sua complessità, si articola in un certo numero di gruppi che possiamo definire "gruppi formali". Nel gruppo formale i ruoli dei membri non sono determinati dalle loro preferenze, bensì dalle strategie che l'organizzazione adotta per raggiungere i propri fini, infatti nel gruppo formale le relazioni tra i membri sono di tipo strettamente strumentale. Si è notato, però, dai risultati di indagini condotte già negli anni '30 presso gli stabilimenti della Western Electric Company di Hawtorne presso Chicago, che la produttività del lavoro dipende più dalla soddisfazione dei bisogni sociali di ciascun membro del gruppo, cioè dallo sviluppo di relazioni sociali emotivamente gratificanti sul piano

personale,

che

non

dai

meccanismi controllabili

a

livello

organizzativo, come, per esempio, i premi di produzione. Ciò comporta che si sviluppino regolarmente, all'interno delle organizzazioni, anche gruppi informali, che posseggono caratteristiche simili a quelle dei gruppi primari (rapporto face to face, integrazione affettiva tra i membri, sentimento del "noi").

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Le variabili tecniche rappresentano la struttura, i ruoli e i meccanismi operativi dell'azienda e riguardano gli aspetti tecnici e organizzativi.

Le variabili di struttura e ruoli riguardano quindi la struttura (organigramma, collegamenti gerarchici e funzionali tra le posizioni, modello organizzativo globale), la disposizione e il contenuto dei ruoli presenti nella struttura (scopo della posizione, responsabilità, attività, tempi e metodi di lavoro) e il disegno funzionale dell'organizzazione.

Le

variabili

istituzionali

riguardano

la

tipologia

istituzionale

dell’azienda.

Le variabili organizzative, riguardano il modo in cui si correlano tra loro le varie parti dell’organizzazione. Sono normalmente considerate variabili organizzative: •

la struttura organizzativa;

•

i sistemi operativi;

•

lo stile di leadership o, più in generale, la cultura organizzativa.

1.3 L’Azienda L’azienda è un complesso organizzato di persone e di beni che, attraverso una serie coordinata di operazioni, mira al soddisfacimento dei bisogni umani.

Elementi essenziali di qualsiasi azienda, indipendentemente dalle dimensioni e dal tipo di attività svolta, sono:

1. un insieme di persone che forniscono all’azienda le proprie energie lavorative o altre risorse necessarie allo svolgimento dell’attività; 2. un insieme di beni economici che vengono utilizzati nei processi di produzione o di consumo (fattori produttivi a breve e a lungo ciclo di utilizzo);

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3. una struttura organizzativa che coordina uomini e mezzi a disposizione; 4. le operazioni compiute per conseguire il fine aziendale; 5. il fine da raggiungere, è il soddisfacimento diretto o indiretto dei bisogni umani. Il soddisfacimento diretto riguarda l’attività rivolta direttamente a soddisfare i bisogni attraverso il consumo dei beni, quello indiretto invece consiste nell’attività rivolta alla produzione e distribuzione di beni e servizi utilizzati poi dalle unità di consumo.

Tutti i diritti e gli obblighi derivanti dall’attività aziendale vengono riferiti al suo soggetto giuridico: la persona, o l’insieme di persone a cui vanno riferiti i diritti e gli obblighi che derivano dall’attività aziendale.

Non sempre chi si assume i diritti e gli obblighi relativi all’azienda detiene il potere di gestirla, cioè non sempre ne è anche il soggetto economico, colui che di fatto domina l’azienda, che ne indirizza la gestione, effettua le scelte e prende le decisioni rilevanti.

Così, mentre nelle aziende individuali soggetto giuridico e soggetto economico coincidono nella persona del proprietario, nelle aziende collettive il potere decisionale spetta al socio o al gruppo di soci che possono far prevalere la loro volontà.

L’azienda è un sistema perché gli elementi che la costituiscono sono coordinati tra loro per raggiungere uno scopo preciso.

Più precisamente l’azienda è un sistema: •

dinamico, in quanto è soggetto a continui cambiamenti e adattamenti per mantenere il proprio equilibrio;

•

cibernetico, perché è dotato di meccanismi di controllo, che suggeriscono eventuali azioni correttive;

•

aperto, perché ha continui rapporti con l’ambiente esterno. Infatti l’azienda opera in un contesto politico, economico, sociale, culturale e ambientale che ne condiziona l’attività e che al tempo stesso ne subisce l’influenza.

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Le aziende si possono distinguere in: aziende di produzione e aziende di erogazione (o di consumo), la distinzione è basata sul diverso scopo che hanno questi due tipi di aziende.

Le aziende di produzione attuano processi produttivi di beni e servizi da cedere a terzi sul mercato, attraverso atti di scambio. Esse soddisfano i bisogni umani in modo indiretto, in quanto i beni e i servizi realizzati vengono utilizzati dalle unità di consumo alle quali ceduti. Il loro scopo fondamentale è quello di conseguire un lucro.

A loro volta, si distinguono in aziende di produzione diretta e aziende di produzione indiretta: quelle di produzione diretta attuano un processo di trasformazione delle materie prime, in modo da ottenere dei beni che saranno poi venduti sul mercato, quelle di produzione indiretta, invece, sono quelle che non attuano un processo di trasformazione materiale dei beni, ma accrescono l’utilità e l’attitudine a soddisfare i bisogni di beni preesistenti. Fra le aziende di produzione indiretta rientrano le aziende bancarie e assicuratrici.

Le aziende di erogazione hanno come scopo il soddisfacimento diretto dei bisogni dei loro membri. Sono esempi di aziende di erogazione le famiglie, gli enti territoriali come lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni e gli enti privati aventi finalità culturali, religiose e assistenziali.

Per raggiungere i propri fini le aziende impiegano un complesso di persone che, utilizzano le risorse materiali e immateriali, progettano, dirigono ed eseguono le operazioni di gestione.

L’azienda di produzione è dunque una comunità, nella quale individui con motivazioni, compiti e responsabilità diversi cooperano per conseguire risultati di comune interesse.

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Capitolo secondo Il Business e le risorse umane

2.1 La gestione delle Risorse Umane La gestione del personale possiamo definirla come il processo articolato che riguarda l’acquisizione delle risorse umane in azienda, la loro amministrazione, valutazione, sviluppo, la loro retribuzione ecc…è un tema importante ed interessa tutte le organizzazioni.

Gestione del personale significa guardare le persone, che hanno come riferimento un’attività, secondo un’ottica di pianificazione, reclutamento, selezione, assunzione, formazione e addestramento, valutazione del potenziale, amministrazione, retribuzione, comunicazione e clima. É chiamata anche GRU, Gestione delle Risorse Umane e si riferisce all’insieme delle prassi che influenzano i comportamenti e le prestazioni dei dipendenti.

La GRU si articola in molte attività e per massimizzare la loro influenza sui risultati aziendali, è necessario valutarle complessivamente, considerando la strategia sottostante (fig.2.1).

Figura 2.1 La prassi di gestione delle risorse umane (fonte: Gestione delle risorse umane, Apogeo)

Come risulta dalla figura, le attività comprendono: l’analisi e la progettazione; la determinazione dei fabbisogni di risorse umane

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(pianificazione del personale); la ricerca dei potenziali collaboratori (reclutamento); le decisioni di assunzione (selezione); l’erogazione di formazione ai dipendenti, (formazione e sviluppo); la gestione delle ricompense (retribuzione); la valutazione e la gestione delle prestazioni e la creazione di un ambiente sicuro e di un clima favorevole (relazioni interne). É emerso da studi recenti che una valida GRU consente di migliorare le prestazioni organizzative, contribuendo alla soddisfazione dei clienti e dei dipendenti, incrementando la produttività e favorendo lo sviluppo di una reputazione positiva dell’azienda, nella sua comunità di riferimento.

L’attenzione dedicata alla gestione del personale non è ancora omogenea in tutte le aziende.

Ci sono, ad esempio, aziende per le quali gestire il personale significa solamente una semplice applicazione delle norme che riguardano il rapporto di lavoro. Queste aziende si limitano all’indispensabile, fanno cioè tutto quello che non potrebbero fare a meno di fare e che è richiesto dalle norme di legge o di contratto. (es. retribuzioni, versamento dei contributi ecc…).

Ci sono poi altre imprese che possiamo definirle più avanzate, in quanto si interfacciano in modo diverso con le persone che lavorano al loro interno. Per queste aziende, fare gestione del personale significa considerare le persone in quanto tali, aventi quindi altre necessità oltre a quelle meramente retributive e amministrative. Le iniziative che vengono prese nei loro confronti però, sono comunque iniziative poco coinvolgenti, poco partecipative, quasi come se le persone e l’azienda fossero due entità da tenere ben distinte e non ci fosse un collegamento stretto fra la gestione delle persone e il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa.

Entrambi

i

modelli

di

aziende,

non

sembrano

tenere

in

considerazione che negli ultimi tempi i fattori di competitività si stanno sempre più allineando. Quello che fa davvero la differenza in termini di competitività del prodotto o del servizio, finisce per essere il modo in cui

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quel prodotto/servizio è stato realizzato e garantito al cliente e tutto questo dipende sempre di più dal modo di lavorare delle persone. È dunque per questo motivo che sta prendendo sempre più piede una terza categoria di imprese: quelle in cui le politiche aziendali e le attività della gestione del personale sono in stretto collegamento con gli obiettivi di competitività e di sviluppo dell’azienda stessa.

In queste aziende, dunque, ci si innova nella gestione del personale e si attivano strumenti nuovi in modo da assicurare sempre alle persone un collegamento stretto e una sintonia continua con gli obiettivi aziendali per consentirne il raggiungimento.

Queste sono le imprese “eccellenti” nella gestione del personale, questa eccellenza la si riscontra sia nella qualità del prodotto percepita dal cliente finale, sia in termini di soddisfazione e motivazione delle persone che lavorano in quell’azienda.

A questo punto possiamo affermare che gestire il personale significa integrare le esigenze dell’organizzazione e le esigenze degli individui. Il modo in cui si realizza questa integrazione dipende dalla qualità dell’organizzazione e dalle caratteristiche dell’individuo. Gestione del personale non vuol dire gestire le persone, quanto piuttosto gestire i comportamenti delle persone e quindi, di conseguenza, mantenere, sviluppare e motivare comportamenti che derivano dal livello di integrazione che l’azienda è riuscita a realizzare tra sé e le persone che lavorano al suo interno. La motivazione può essere definita come l’insieme dei fattori o “motivi” che stanno alla base del comportamento, lo sollecitano e lo orientano in determinate direzioni. In generale tutti i comportamenti sono motivati, cioè presuppongono un motivo (bisogno) che spinge all’azione e perseguono un piano (soddisfazione del bisogno.)

Non esiste un modello ottimale per la gestione delle risorse umane, ma esistono diversi modelli funzionali al comportamento che ci si attende dalle persone. Vediamone alcuni esempi.

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In una situazione in cui il comportamento che viene richiesto alle persone è di tipo passivo, la persona fa tutto quello che le è chiesto di fare, ma non di più. Questo è il modello burocratico - prescrittivo, nel quale il risultato non dipende da quanto le persone mettono di sé nel fare le cose, ma unicamente da come le fanno.

Secondo il modello gerarchico - paternalista invece, il risultato non dipende solo dal rispetto delle regole, ma dal fare secondo le indicazioni del capo: in questo caso il comportamento atteso è improntato prevalentemente all’impegno e il giudice è colui che dà le indicazioni di lavoro. Viene infatti chiamato paternalistico proprio perché il potere non è più attribuito all’organizzazione, ma sta nelle mani del capo. Questo è un modello che può diventare assolutamente negativo, quando il capo gestisce tutto in funzione del suo potere, senza collegamento con gli obiettivi e i risultati aziendali.

Infine esiste una terza situazione in cui il risultato dipende dall’iniziativa personale che le persone capaci mettono nel lavoro.

La capacità delle persone di avere iniziativa è una delle aspettative dell’azienda e il modello gestionale della risorsa è quello professionale: il potere non sta più esclusivamente nell’organizzazione o nel capo, ma nella competenza professionale delle persone, ed è questa che ne determina la legittimazione e lo sviluppo.

Il terzo modello sta diventando, oggi, per le imprese che ricercano qualità, flessibilità, e competitività, il modello di riferimento per la gestione del personale. Il fattore umano è diventato “il fattore chiave di successo”, si parla così di “centralità delle risorse umane”.

2.2 Le Risorse Umane e le strategie aziendali Come ben sappiamo, è in atto un passaggio dal modello meccanico di organizzazione ad un nuovo modello organizzativo di tipo organico.

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Il modello meccanico di organizzazione si basa sui seguenti principi: •

tutto è razionalmente e scientificamente predefinibile, cioè chi fa cosa, come e quando;

•

esiste sempre un unico modo migliore per eseguire un’attività o risolvere un problema: one best way;

•

l’efficienza è l’unica strategia organizzativa perseguibile: maggior risultato possibile con il minor utilizzo possibile di risorse;

•

per funzionare al meglio occorre dividere in modo netto i processi di governo da quelli di trasformazione, dicotomia tra i pochi che decidono e i molti che eseguono.

La terziarizzazione della società e gli altri mutamenti in atto rendono l’ambiente sempre più dinamico e turbolento e richiedono alle risorse umane capacità di governo dell’imprevisto e competenze di problem solving a livello diffuso.

Il modello organico fa infatti riferimento ai principi di razionalità limitata dell’organizzazione del lavoro e si basa sui seguenti principi: •

non importa prevedere ogni attività aziendale, ma individuare una minima specificazione di strutture e centri di responsabilità in relazione ad obiettivi specifici;

•

è necessaria una cultura dei risultati e non più una cultura dell’esecuzione, anche a livello di sistemi di controllo;

•

il personale aziendale deve, ad ogni livello, essere in grado di comunicare efficacemente, risolvere problemi e decidere, solo in questo

modo

sarà

possibile

affrontare

la

complessità

e

l’innovazione.

I due modelli organizzativi si riferiscono chiaramente a due diversi stili di gestione delle risorse umane:

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•

il modello meccanico ha come obiettivo quello di governare il rapporto di lavoro, riguarda quindi le posizioni, le retribuzioni e le relazioni industriali;

•

il modello organico ha come obiettivo quello di valorizzare i soggetti in funzione dello sviluppo organizzativo.

La gestione delle risorse umane richiede sempre di più la capacità di integrarsi con altre funzioni aziendali e quindi flessibilità e adattabilità degli strumenti e delle strategie.

Il sistema di gestione del personale deve essere coerente con gli obiettivi aziendali ed integrarsi con gli altri sistemi operativi (strategia, struttura organizzativa, sistema di divisione del lavoro ecc…)

Oggi più che mai le organizzazioni avvertono il bisogno di coerenza e armonia tra queste dimensioni, in modo tale da poter meglio governare la contingenza e la turbolenza del contesto.

Occorre che le aziende, per affrontare al meglio le sfide competitive del mercato, si impegnino al meglio in un’attenta pianificazione strategica, che le consenta di sopravvivere e prosperare.

La gestione strategica è il processo attraverso cui un’organizzazione decide come affrontare le sfide competitive che la riguardano.

Le persone oggi, nel fare scelte professionali, elaborano una propria strategia esistenziale, all’interno della quale attribuiscono al lavoro uno spazio e un ruolo specifico. È possibile quindi delineare tre tipologie di comportamento verso il lavoro: 1. una strategia totalizzante, in questo caso il lavoro viene vissuto come fine: si vive per lavorare e ci si aspetta dal lavoro la soddisfazione di tutti i bisogni individuali, economici, di sicurezza, di prestigio e di autorealizzazione; 2. una strategia strumentale, per cui il lavoro viene visto principalmente come mezzo: si lavora per vivere e per procurarsi i mezzi necessari

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al soddisfacimento di bisogni legati a dimensioni diverse da quella professionale; 3. una strategia riequilibratrice, per cui lavoro e non lavoro acquistano significati differenziati ma equilibrati, nell’ottica di un nuovo universo valoriale.

Se in tutte le organizzazioni quindi convivono diversificati bisogni dei soggetti e obiettivi organizzativi, esistono, estremizzando, due strategie di gestione delle risorse umane:

o una strategia orientata esclusivamente ai bisogni dell’organizzazione; o una strategia orientata sia agli scopi organizzativi che a bisogni delle persone.

Nel caso di una strategia orientata ai bisogni dell’organizzazione, il lavoratore è visto come colui che vive il lavoro nella sua accezione strumentale e di cui l’impresa può disporre in modo tecnocratico, al pari di tutte le altre risorse.

Nel secondo caso il lavoratore è visto come un cliente/utente a cui si deve “vendere” l’organizzazione, e da cui ci si aspetta motivazione e iniziativa nei confronti del lavoro, attraverso la soddisfazione dei suoi bisogni. In questo caso il buon funzionamento organizzativo dipende dalla soddisfazione e dalla identificazione delle persone con il lavoro e con l’azienda.

Sempre più le organizzazioni avranno bisogno di lavoratori motivati e il loro lavoro sarà visto sempre meno come merce di scambio. Tanto più si ridurrà la differenza tra obiettivi dell’organizzazione e degli individui, tanto più l’organizzazione sarà efficace.

Per ciò che concerne i modelli di gestione del personale, prendiamo in considerazione due temi: la valutazione del personale e le politiche di sviluppo professionale/retributivo.

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La valutazione delle persone è costantemente presente in azienda dal primo all’ultimo momento di vita al suo interno, anche se non viene esplicitata.

I momenti focali della valutazione aziendale sono: •

l’assunzione e il posizionamento all’interno dell’organizzazione;

•

la verifica del rendimento (valutazione delle prestazioni);

•

la programmazione di ruoli, carriere e sviluppo del personale (valutazione del potenziale).

A questi si aggiunge un momento di valutazione organizzativa, volta ad assegnare ai diversi ruoli aziendali il giusto peso in termini di attività, autonomia e riconoscimento retributivo (valutazione dei ruoli).

La valutazione del personale è importantissima e, verificando il raggiungimento di obiettivi e compiti assegnati, permette di ripianificare le attività, stimolando la crescita e la motivazione delle persone.

Il processo di valutazione presuppone chiarezza su alcuni aspetti: •

chi valutare? (i responsabili, tutti i collaboratori, ecc…);

•

cosa valutare? (i comportamenti, i risultati, la crescita professionale ecc…);

•

come valutare (in maniera individuale o collegiale, dall’alto verso il basso e/o viceversa ecc…);

•

con quale frequenza fare la valutazione? (occasionale, periodica, continua ecc…)

•

come utilizzare i risultati della valutazione?

Il fine ultimo della valutazione è quello di “misurare” le persone rispetto alle attività che svolgono e in rapporto agli altri colleghi che lavorano con loro, per impostare una politica meritocratica dalla quale far

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scaturire piani di carriera e politiche retributive, in linea con le strategie aziendali.

Analizziamo, una per volta, le diverse forme di valutazione.

“La valutazione delle prestazioni” (VDP) è un processo attraverso il quale un’organizzazione, per allineare le attività dei collaboratori alle proprie strategie e priorità di business e il coinvolgimento, comunica ai propri collaboratori: -

quali risultati individuali e di team si attende da ciascuno, e

-

quali comportamenti e competenze si vuole siano agiti e migliorati, esplicitando le priorità, individuando i criteri di misura più adatti, e verificandoli durante l’anno per definire eventuali cambiamenti e azioni di rinforzo. Attraverso la VDP l’organizzazione comunica al collaboratore il livello di performance ottenuto, ne discute con lui le ragioni, ne trae le premesse per definire piani di miglioramento, e trasmette al collaboratore il livello di apprezzamento complessivo ed eventuali ipotesi di sviluppo professionale.

La VDP ha lo scopo dunque di misurare e apprezzare il contributo offerto e/o i risultati ottenuti dal titolare di una determinata posizione aziendale.

Le aziende non possono non valutare, quindi la VDP è uno strumento necessario. Per sapere cosa veramente l’azienda vuole da noi, cosa sa davvero di noi e per dirle cosa noi vogliamo da lei, occorre parlarsi.

La VDP è necessaria perché è etica ed inoltre perché è efficace essendo un modo concreto per:

-

trasmettere ai dipendenti i valori e gli stili gestionali desiderati;

-

assicurarsi che conoscano strategie e priorità aziendali;

-

verificare la chiarezza del ruolo di ciascuno e trasmettergli obiettivi e priorità sui propri;

27

-

programmare le attività dei collaboratori e ridefinirle se necessario;

-

verificare con loro come l’efficacia del lavoro può esser misurata;

-

definire con loro come migliorare le loro competenze e risultati;

-

ascoltare le loro esigenze e proposte, anche su come li gestiamo;

-

prendere decisioni coerenti sugli sviluppi retributivi e di carriera;

-

rinsaldare la motivazione ed il patto di alleanza con l’azienda;

La VDP potenzia e rafforza dunque gli importanti principi che caratterizzano una sana gestione aziendale e porta l’organizzazione a responsabilizzarsi e ad affrontare le sue proprie contraddizioni.

“La valutazione del potenziale” tende ad analizzare i possibili ulteriori sviluppi professionali e organizzativi che un lavoratore può avere all’interno di un’organizzazione.

Il fine della valutazione è quello di “misurare” le persone rispetto alle attività che svolgono, per impostare una politica meritocratica dalla quale far scaturire piani di carriera e politiche di retribuzione in linea con le strategie aziendali.

Tutte le persone hanno delle potenzialità che non vengono pienamente espresse all’interno di un’organizzazione. Queste possono non interessare all’organizzazione o, al contrario, possono essere molto importanti sia qualitativamente che quantitativamente. È fondamentale per l’azienda scoprire se il potenziale di una persona è in linea con i propri sviluppi organizzativi e professionali, per questo occorre monitorare e valorizzare il personale.

La valutazione del potenziale può servire per diversi scopi: a gestire i percorsi di crescita professionale delle risorse, valorizzando coloro che possono crescere a ruoli di crescente responsabilità, oppure può servire a gestire delle tavole di rimpiazzo, anticipando possibili fenomeni di turnover utilizzando le risorse interne, prima di rivolgersi al mercato esterno,

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quest’ultimo scopo è sicuramente più conveniente per l’azienda e più motivante per i collaboratori.

“La valutazione dei ruoli aziendali” determina il valore relativo di ogni ruolo in relazione agli altri esistenti nell’azienda e permette di apprezzare il valore del lavoro che viene fornito, in modo coerente con le strategie aziendali.

Un ruolo aziendale è caratterizzato da una serie di attività e di risultati attesi che l’organizzazione ha nei suoi confronti, con lo scopo che vengano gestite e risolte determinate problematiche.

Perché un ruolo organizzativo venga ricoperto con efficacia, la persona incaricata deve possedere un profilo professionale idoneo per ciò che riguarda le conoscenze e le attitudini.

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Capitolo terzo L’EMPLOYER BRANDING

3.1 Il concetto di Employer Branding Minchington (2005) definisce l’employer brand come

“the image of your organization as a ‘great place to work’ in the mind of current employees and key stakeholders in the external market.” (l'immagine della vostra

azienda, come un “gran posto in cui lavorare”

nella mente dei dipendenti attuali e negli stakeholders del mercato esterno).

L’employer

branding

è

una

strategia

di

identificazione

e

comunicazione dei valori che caratterizzano la gestione delle risorse umane presso un’organizzazione. Con questa tecnica l’organizzazione mira a dimostrare che essa è un luogo ideale dove lavorare.

L’employer branding consiste dunque nell’insieme delle tecniche dirette alla costruzione di un’immagine aziendale forte, attraente e distintiva, per diventare “ideal employer”, cioè un datore di lavoro ideale, sia per il mercato del lavoro (i potenziali candidati) sia per i dipendenti attuali. E’ una pratica di comunicazione che, coinvolgendo molteplici funzioni aziendali, quando è realizzata correttamente, rafforza la percezione del valore dell’azienda, sia verso il mercato interno, sia verso l’esterno. Per questo motivo è centrale l’interazione tra le diverse funzioni aziendali, in special modo HR, Marketing e Comunicazione, per sviluppare politiche di attraction (nei confronti dei potenziali collaboratori) e retention (nei confronti di coloro che già collaborano con l’azienda) efficaci e affinché queste componenti aziendali collaborino per raggiungere l’obiettivo comune.

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L’elemento principale d’attenzione è il brand aziendale, che è ben presente nella mente dei candidati, così come in quella dei propri dipendenti ed ha bisogno di essere coltivato attraverso un processo lungo e costante.

Il brand è influenzato da vari fattori: •

dalle esperienze di coloro che già lavorano in quell’azienda;

•

dall’opinione prevalente (i rumors) del mercato del lavoro;

•

dal posizionamento dell’azienda presso i potenziali candidati (ad esempio, la partecipazione career day o ad incontri dedicati all’azienda in ambito di studio o di lavoro);

•

dall’immagine trasmessa attraverso campagne di comunicazione;

•

ecc…

All’interno delle aziende oggi, la situazione è diversa rispetto al passato.

Se una volta le imprese potevano concedersi “il lusso” di scegliere i migliori talenti, ora non è più così, sono i talenti a scegliere l’azienda in cui lavorare. Il mutamento culturale ha trasformato i criteri di scelta: le persone sono spesso attratte più da beni immateriali (cultura aziendale, valori, stile manageriale, opportunità di crescita e carriera, responsabilità sociale d’impresa,…) che dai benefici materiali (benefit, stipendi elevati,…).

Da qui è nata l’esigenza per le organizzazioni di adottare nuovi approcci e strategie nella gestione delle risorse umane, a partire dall’Employer Branding: politiche dirette alla costruzione e comunicazione di una corporate identity (l’immagine aziendale) forte, attraente, distintiva e coerente con l’identità d’impresa.

Tutte le aziende devono partire dal medesimo presupposto: le persone, siano essi dipendenti o potenziali lavoratori, meritano la stessa attenzione che l’azienda pone nei confronti dei propri clienti. Perché le politiche di employer branding diano il risultato atteso, è necessario che

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l’azienda si impegni, nei confronti dei loro dipendenti, a rafforzare la percezione del valore dell’azienda, come un luogo desiderabile in cui esser fieri di lavorare.

Quanto più il brand è chiaro, unico, vero, tanto più esso riuscirà a suscitare

emozione,

desiderio

di

appartenere

a

quella

azienda.

L’emozione genera motivazione e questa, a sua volta, attiva, indirizza e sostiene i comportamenti organizzativi nel corso del tempo: le risorse sono motivate quando si riconoscono nella cultura aziendale come rispondente alle aspettative qualitative che la rendono unica e distinta dai competitors.

In sintesi possiamo affermare che: Cultura, comunicazione e motivazione, sono le parole chiave del processo di employer branding.

Al centro della filosofia dell’employer branding c’è la convinzione che l’azienda debba definire e implementare le proprie strategie di marketing, per il recruitment e la fidelizzazione della forza lavoro, con lo stesso impegno con cui lo fa per il cliente. Con la consapevolezza che come si può perdere un cliente per una promessa non mantenuta, allo stesso modo si può perdere la fiducia del proprio dipendente, deludendo le aspettative o le promesse a causa di un’inefficace attività di employer branding.

Il nuovo modello consiste nell’iniziare a considerare i candidati come possibili acquirenti, chiamati a scegliere il proprio posto di lavoro.

Quindi non è l’azienda in posizione di forza che seleziona unilateralmente ma, soprattutto a fronte di candidati di talento, esiste una scelta reciproca che nasce da un confronto tra vantaggi e svantaggio che la scelta implica per i due contraenti (azienda e lavoratore). Per comprendere a pieno questo concetto occorre introdurre il tema del “Patto non scritto” tra lavoratore e datore di lavoro.

Le persone entrano in relazione con l’azienda attraverso un contratto che può essere inteso sia in termini tecnico-giuridici che psicologici.

Il contratto giuridico stabilisce il tipo di rapporto formale che regola le relazioni tra lavoratore e impresa. Consiste in due soggetti che si

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scambiano la promessa di prestazioni corrispettive: l’individuo presta il lavoro richiesto e l’impresa corrisponde la retribuzione pattuita.

Il contratto psicologico, invece, riguarda la relazione che la persona stabilisce con l’organizzazione: corrisponde all’insieme di idee, aspettative e convincimenti circa le condizioni di lavoro che si incontreranno in azienda

e

alle

possibilità

di

sviluppo

ad

esse

connesse.

A

contraddistinguere il rapporto tra lavoratore e impresa è, di fatto, anche uno scambio di tipo psicologico: entrambi hanno delle aspettative che si possono sintetizzare in quello che viene comunemente definito come contratto psicologico, che non è riconducibile ad alcuna fattispecie giuridica. Tra individuo, impresa e, in un certo senso l’intera collettività esiste un patto spesso implicito, ma che riveste una grande importanza in quanto determina in larga parte il legame fra questi soggetti. Il contratto psicologico va quindi a colmare quel vuoto che c’è nella relazione tra organizzazione ed individuo. Nella lettera del contratto di assunzione vengono esplicitati gli elementi oggettivi del rapporto (remunerazione, orari, mansioni, ecc…), ma difficilmente trovano spazio altri aspetti, quali ad esempio l’impegno e il rispetto, il clima e la piacevolezza dei rapporti di collaborazione, che sono invece basilari per entrambi i contraenti.

La funzione rassicurante del contratto psicologico ha delle conseguenze su entrambe le parti che lo stipulano, sul versante del lavoratore, contribuisce ad aumentare la motivazione e la fiducia nei confronti dell’organizzazione presso cui opera, mentre sul versante dell’organizzazione, funge da meccanismo di autocontrollo da parte dei dipendenti, che sono spinti a non trasgredire il codice non scritto a prescindere dall’esistenza di un sistema di controllo e di sanzione attivato dalla direzione aziendale. È dunque evidente l’importanza di questi aspetti informali, sia dal punto di vista di chi eroga una prestazione lavorativa, il singolo individuo, sia da parte di chi la riceve: l’impresa. Non possono esserci discrepanze tra quanto è atteso dal lavoratore e quanto è disposta ad offrire l’azienda, e viceversa, i contributi che ciascuno riceve devono essere equi.

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3.2 Il processo di Employer Branding Il processo di employer branding comprende diverse fasi e ha come fine ultimo quello di migliorare il posizionamento dell’azienda, presso il target ritenuto ideale del mercato del lavoro.

La prima fase è l’ Employer Brand Analysis

Per prima cosa occorre identificare qual è l’attuale reputazione di cui gode azienda all’interno del mercato del lavoro, quindi approfondire cosa più contraddistingue l’azienda come corporate identity.

Si cercherà di comprendere sia la cultura, i valori aziendali, sia gli obiettivi di business uniti al modo in cui l’azienda si prefigge di raggiungerli: vision e mission aziendale. È molto importante, al fine di sviluppare una funzionale strategia di employer branding, considerare anche ulteriori elementi.

Ad esempio, bisognerà cercare di capire, sia l’idea che si sono fatti i giovani talenti in merito all’azienda, ma anche come gli attuali dipendenti considerano la propria azienda. Si tratta di indagini quali-quantitative sia interne che esterne che permettono di:

• valutare la coerenza tra l’immagine aziendale percepita dal neo assunto in fase iniziale di recruiting e quella percepita dopo la sua assunzione; • comprendere se la promessa fatta durante la fase di recruiting è stata realmente mantenuta; • capire quali sono desideri che il neo assunto vorrebbe vedere realizzati all’interno del proprio ambiente di lavoro, al fine di ridurre il rischio di fenomeni di turn-over; • la disponibilità dei dipendenti a condividere gli obiettivi e i valori aziendali • il grado di fiducia che viene dimostrato nei confronti dei prodotti o servizi forniti dall’azienda;

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• il senso di appartenenza all’azienda; • il livello di soddisfazione nei confronti del proprio lavoro e la fiducia nelle prospettive di crescita professionale; • lo spirito di iniziativa; • la disponibilità a promuovere l’azienda all’esterno; • il desiderio di rimanere in azienda nel futuro.

Le informazioni ottenute dalle analisi interne verranno poi confrontate con quelle ottenute da analisi quantitative rivolte al target e cioè ai potenziali employees ai quali l’azienda rivolge particolare attenzione.

Occorre valutare quali siano, secondo le persone intervistate, i principali fattori EVP (Employer Value Proposition): l’essenza di ciò che l’azienda può offrire al suo target di riferimento. La EVP consiste in tutto ciò che le persone ricevono nell’ambito del rapporto di lavoro, da esso deriva dunque la risposta alla domanda: “Quali sono le ragioni che dovrebbero spingere un talento a lavorare in questa azienda?” La EVP va costruita e comunicata al target di riferimento in modo efficace, in modo che risulti in sintonia con esso e si distingua dalle proposte della concorrenza. La EVP rappresenta il cuore dell’employer branding, in quanto raffigura cosa un datore di lavoro debba offrire e debba associare al proprio brand, con l’obiettivo di raggiungere i propri obiettivi di branding di breve e lungo termine.

Una EVP ben strutturata attira le persone di talento e le stimola a dare il meglio di sé, legandole emotivamente al lavoro e all’impresa. In sintesi, comunicare una EVP vincente significa assegnare un brand all’azienda, con lo scopo di attirare i candidati migliori, appartenenti al target identificato.

L’analisi permetterà, anche, di identificare quali siano le principali aziende concorrenti e, ancora, quali siano i canali maggiormente utilizzati dagli intervistati per raccogliere informazioni sulle offerte di lavoro e sul profilo employer dell’azienda.

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L’insieme di queste informazioni, raccolte attraverso le analisi interne ed esterne, aiuteranno a identificare quali sono i principali competitors e forniranno infine un quadro sintetico sull’attuale employer brand positioning ed aiuteranno a comprendere meglio se l’azienda possiede o meno una buona brand personality: presupposto fondamentale per un’efficace strategia di employer branding.

La seconda fase: Employer Brand Building

Questa fase riguarda la costruzione dell’immagine aziendale, con l’obiettivo di differenziare la propria offerta dagli altri concorrenti. È importante, a questo punto, comprendere a quale segmento di mercato ci si vuole rivolgere, in funzione degli obiettivi prefissati.

In questa fase si cercherà di valutare le precedenti scelte di comunicazione, sia corporate, che quelle già effettuate nell’ambito del recruiting, facendo riferimento, in modo particolare, al tipo di informazioni che l’azienda trasferisce, ad esempio attraverso il proprio sito web.

Tutto questo servirà a definire una campagna di comunicazione del marchio che valorizzi l’immagine della società come luogo di lavoro.

L’azienda dovrà rendere appetibili i valori e le opportunità che vuole offrire e dovrà definire ciò che vuole essere come luogo di lavoro, cercando di differenziare la propria offerta da quella degli altri competitors.

Questa è la fase, che possiamo definire creativa, dell’intero processo di sviluppo dell’employer branding (employment advertising) nella quale viene definita la cosiddetta employer brand promise. Sarà, quindi, definita una linea visuale, coerente con l’identità ed i valori dell’azienda, da utilizzare nel processo di creazione del materiale di comunicazione (employer branding toolkit): brochures, house organ, newsletter, posters, web sites, ecc.

Questa fase dovrà essere accompagnata da una precisa analisi dei contenuti e dalla definizione di uno slogan (claim) attraente da inserire nel materiale da diffondere.

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La terza fase: Employer Brand Communication Consiste nel capire in che modo comunicare la propria immagine ai dipendenti attuali e ai potenziali candidati.

Retention e recruitment rivestono la stessa importanza. Un’azienda deve essere sicura che il messaggio che si sta rivolgendo ai potenziali dipendenti sia coerente con il clima aziendale esistente. Per attrarre e assumere giovani talenti, le aziende dovranno utilizzare gli stessi strumenti di marketing con la stessa cura con cui gestiscono le politiche di marketing rivolte ai propri clienti. L’immagine comunicata dovrà, in sintesi, essere coerente e capace di esprimere la cultura aziendale. Se un’azienda mostrerà incoerenza tra l’immagine trasmessa di sé e l’immagine reale, potrà magari anche attrarre i talenti migliori, ma non avrà mai la capacità di mantenerli.

Si dovrà sviluppare una comunicazione interna efficace, che porti i dipendenti ad essere soddisfatti di lavorare in quella determinata realtà e che sia in grado di trasmettere loro senso di appartenenza nei confronti dell’azienda.

Gli strumenti di comunicazione interna devono essere in grado di rafforzare l’immagine fra i dipendenti. Può essere, per esempio, un ottimo metodo per rinforzare il brand tra i “dipendenti”, lo sviluppo delle politiche di riconoscimento del valore dei singoli lavoratori, oppure anche il miglioramento di programmi di erogazione di benefit può rappresentare un efficace metodo per attirare l’attenzione intorno all’ambiente di lavoro interno. Ad esempio: permettere ai cani di entrare in ufficio, offrire sconti per entrare nelle palestre, fornire più giorni di vacanze, fare un piccolo omaggio ai dipendenti il giorno del loro compleanno, sono tutte politiche che possono rinforzare l’immagine che si ha intenzione di sviluppare.

L’azienda dovrà anche gestire gli aspetti della comunicazione esterna necessari al raggiungimento del proprio target. Sarà quindi necessario l’elaborazione di una vera e propria strategia di contatto che permetta di raggiungere facilmente il proprio target.

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Un marchio diventa credibile ed è in grado di catturare le emozioni dei candidati se è supportato anche da storie (story telling). Senza il supporto di esempi di vita reale in azienda come luogo di lavoro, qualsiasi strategia adottata diventa superflua.

La quarta fase: Employer Brand Monitoring La fase finale corrisponde a quella del monitoraggio e del controllo dell’efficacia di quanto sviluppato nelle fasi precedenti: dal piano di sviluppo e costruzione dell’employer brand, al processo di comunicazione dello stesso. Un primo feedback lo si può ottenere dal numero dei CV ricevuti, ma ciò ovviamente non basta a fornire una indicazione di efficacia, bisogna individuare quanti dei CV ricevuti sono in linea con il target ricercato.

Grazie a delle indagini che verranno condotte dall’azienda, (es.

Benchmarking Analysis), si potranno raggiungere i seguenti obiettivi: 1. studiare le valutazioni di alcuni segmenti target del mercato del lavoro, al fine di migliorare le proprie strategie di employer branding; 2. monitorare

costantemente

l’evoluzione

delle

percezioni

dei

segmenti target sulle attuali offerte di lavoro e sul brand aziendale; 3. conoscere il livello di notorietà del corporate brand ed il posizionamento dell’employer brand sui segmenti di mercato individuati; 4. conoscere chi sono i competitors diretti 5. valutare l’efficacia delle azioni di employer branding grazie all’utilizzo di strumenti di valutazione in grado di fornire informazioni sull’evoluzione

del

posizionamento

segmenti di mercato identificati.

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dell’employer

brand

sui

Questo significa: •

conoscere la propria posizione come Best Employer Of Choice (cioè azienda maggiormente preferita come luogo di lavoro);

•

conoscere la propria posizione come Strong Company (cioè azienda maggiormente capace di integrare in maniera coerente le diverse forme di comunicazione: corporate branding ed employer branding).

Il clima aziendale, l’aria che si respira nei luoghi di lavoro, diventa

un fattore sempre più importante. Le società che “coccolano” e “corteggiano” i dipendenti, sono al primo posto della classifica annuale Great place to work, che misura i migliori ambienti di lavoro, anche se magari proprio in queste, l’orario di lavoro è molto più lungo del normale.

Il benessere sul luogo di lavoro migliora la produttività, per questo la gestione del clima aziendale sta diventando un settore su cui puntare, tanto che nascono figure professionali assunte proprio per questo.

Ad occuparsi della “felicità” dei dipendenti è infatti l’ufficio Employer branding. Per molte aziende, trovare i ‘talenti’ e riuscire a mantenerli nel proprio organico, è diventato un problema.

L’employer branding serve proprio ad aumentare la capacità di attrazione da parte delle imprese. Per accaparrarsi questi professionisti, fra le aziende si scatena una vera e propria competizione.

Non è un caso che gli strumenti dell’employer branding siano proprio quelli del marketing. Si tratta in effetti di creare, per le aziende, un’identità attraente, un brand, un marchio. L’employer branding agisce sia all’esterno dell’azienda, corteggiando e tentando di “accaparrarsi” i candidati migliori, sia all’interno, indagando sul grado di soddisfazione dei dipendenti motivandoli e fornendo input per migliorare il clima aziendale.

Anche se l’obiettivo è quello di migliorare l’immagine dell’azienda, pubblicità ed employer branding però non sono la stessa cosa. La

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differenza con il marketing è che l’employer branding non può non essere veritiero, deve essere sincero.

Non può far passare un ambiente di lavoro come ottimo, se poi non è così, perché il suo obiettivo non è solo quello di attrarre i candidati più promettenti, ma far sì che poi questi restino in azienda, cercando quindi di fidelizzarli.

Non

bastano

slogan

accattivanti,

né

originali

campagne

pubblicitarie, se non sono convalidate dai fatti.

Concetti

importantissimi,

come

employer

branding,

se

non

concretizzano realmente i loro obiettivi, rischiano di diventare solamente parole fumose e vacue, con cui si attuano strategie tutt'altro che partecipative.

Ecco perché un marchio riconoscibile e apprezzato dai consumatori non si traduce automaticamente in un brand appetibile per i lavoratori.

Un esempio è il caso di Coca-Cola, che qualche anno fa, grazie ad un’apposita indagine, scoprì di avere una bassa capacità di attrarre i candidati.

Seguirono una riorganizzazione del lavoro in azienda e molti sforzi per migliorare il brand. Il risultato? Oggi Coca-Cola Italia è al terzo posto fra i Great place to work! (la classifica annuale dei migliori ambienti di lavoro).

Peter Sheahan, esperto nell’analisi dei trend economici e generazionali, afferma:

“Se c’è difformità nel modo in cui trattate i dipendenti e nel modo in cui trattate i clienti, il vostro business è in pericolo”.

“Senza la fiducia interna dei dipendenti non è possibile neanche ottenere la fiducia dei clienti.”

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Se l’azienda non investe per incrementare le competenze ed il benessere delle proprie risorse umane, non sarà mai in grado di acquisire affidabilità verso i propri dipendenti, sia interni che esterni.

In molte organizzazioni, soprattutto in quelle di grandi dimensioni, le regole e le procedure aziendali, sono arrivate a vivere di vita autonoma, svincolate dagli obiettivi per i quali erano state inizialmente pensate. E’ importante comprendere che, regole e procedure, devono essere asservite al conseguimento di precisi risultati, se questo non accade, sarà necessario rimettere in discussione le regole. È fondamentale che ci sia coerenza tra i comportamenti della Direzione e i valori enunciati.

Alcune realtà aziendali, per accattivarsi le aspettative della clientela e dei propri dipendenti, perdono di vista il proprio DNA e quindi il proprio fine.

I dipendenti si rendono conto della tangibile discrepanza tra i valori tanto decantati dal menagement e i reali atteggiamenti nei loro confronti.

Diventano così demotivati nello svolgere la loro quotidiana attività e, a volte può anche capitare che perdano la stima e la fiducia nei confronti della loro azienda, la quale dovrebbe invece far di tutto perché questo non si verifichi mai.

Ecco che i dipendenti, non essendo più soddisfatti, trasmettono, non necessariamente in maniera volontaria, questo malessere anche all’esterno, che viene recepito immediatamente come un aspetto negativo dai clienti, sia quelli già fidelizzati che i potenziali.

La comunicazione dall’interno verso l’esterno passa principalmente attraverso i dipendenti. Nella maggior parte dei casi emerge il fatto che i dipendenti ritengono di essere poco e male informati sulla loro azienda.

Per tale motivo essi sono restii, oppure non sono proprio in grado di svolgere un ruolo informativo nei confronti dei contatti esterni.

Affinché i dipendenti possano essere dei buoni comunicatori verso l’esterno è necessario che essi siano ben informati, che vengano convinti attraverso azioni di comunicazione interna ed esterna coerenti fra loro e

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che siano motivati nel parlare e nel trasmettere informazioni che riguardano la loro organizzazione, questo avviene se si è sviluppato un adeguato senso di appartenenza.

Tre semplici indicazioni per attivare questo prezioso canale di comunicazione verso l’esterno: informazione, convinzione e motivazione, obiettivi che vanno di pari passo con l’attività di comunicazione dell’organizzazione.

“É impossibile guadagnare la fiducia del cliente se non si guadagna la fiducia del dipendente.”

Ma se questo non si è verificato, significa che è arrivato il momento di guardarsi dentro, di farsi un esame di coscienza, capire dove si ha sbagliato e in che modo migliorarsi.

Per fare questo, bastano 4 strumenti fondamentali:

1.

Analisi – L’azienda deve programmare ciò che intende fare,

partendo dalla Vision e Mission aziendali: deve capire qual è la propria Mission, trasformarla in obiettivi e questi ultimi in progetti specifici. In linea con questo, sarebbe opportuno creare annualmente la “Politica della qualità”, che conterrà i valori chiave con il quali l’azienda vuole identificarsi e che trasmetterà poi a tutto il personale.

2.

Formazione –

Organizzare corsi di formazione specifichi per

determinate aree ma non solo, con il termine formazione si intende anche stabilire riunioni periodiche con i propri collaboratori, con il fine di confrontarsi, pianificare una specifica attività e raccogliere suggerimenti e idee in merito.

3.

Comunicazione – Trasmettere a tutti i dipendenti e collaboratori

esterni i valori aziendali, ma anche le iniziative del Gruppo, le eventuali acquisizioni, le novità, i nuovi assunti, le nuove nascite, i casi di eccellenza, insomma trasmettere qualunque informazione che serva a

42

motivare, galvanizzare i dipendenti e a creare sempre più il senso di appartenenza nei confronti dell’impresa nella quale si sta lavorando.

4.

Ascolto – Affinché la comunicazione vada a buon fine e abbia

successo, bisogna sapere se il messaggio è stato recepito, ma soprattutto se è stato compreso correttamente quindi, deve esserci un “feedback”. La comunicazione è sempre circolare, perché c’è sempre una risposta, altrimenti sarebbe unidirezionale e non si chiamerebbe appunto, comunicazione. È importante quindi ascoltare i nostri interlocutori, capire se hanno recepito i nostri messaggi, se li hanno interpretati nel modo corretto e, accogliere anche i loro suggerimenti, i loro sfoghi ed eventualmente, le criticità che hanno riscontrato nel messaggio.

3.3 La comunicazione aziendale per fidelizzare i dipendenti attraverso il Brand Il coinvolgimento delle risorse umane a tutti i livelli organizzativi, la valorizzazione del potenziale, la tutela dei talenti, diventano elementi centrali attorno ai quali si costruiscono organizzazioni efficienti in grado di soddisfare clienti esterni sempre più esigenti, grazie a dipendenti soddisfatti, realizzati e motivati.

Espressione di questo appare nel “marketing interno”. Dedicarsi al marketing interno significa, innanzitutto, considerare la gestione e l’ottimizzazione delle risorse umane come finalità a sé stante e non come uno dei mezzi posti al servizio dell’azienda per raggiungere gli obiettivi di redditività.

Da qui nasce il marketing interno, quale complesso di attività volto a comunicare con tutto il personale, formarlo e motivarlo affinché offra al cliente un servizio di qualità capace di distinguere l’azienda dalle altre concorrenti.

Diventa

quindi

fondamentale

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coinvolgere

l’intera

organizzazione aziendale e migliorare la comunicazione interna, sia essa top-down che botton-up, e rafforzare la motivazione del personale.

Top down riguarda le informazioni che dall'alto (manager, dirigenti) arrivano verso il basso (dipendenti, collaboratori), con il fine di diffondere gli obiettivi a tutti coloro che fanno parte dell’azienda.

Botton-up riguarda il feedback, cioè il ritorno della comunicazione dal basso verso l'alto.

La soddisfazione interna diventa, allora, uno dei presupposti della customer satisfaction e della redemption dei propri clienti, che si concretizzerà in un ritorno di immagine e di profitto.

Il marketing interno parte da un principio: la persona è l’autore potenziale del progresso dell’azienda, quindi il suo contributo va riconosciuto e stimolato. Viene definito come: “l’insieme delle attività atte ad aumentare l’identificazione ed il senso di appartenenza dei dipendenti, rispetto alla propria azienda ed a migliorare l’immagine dei suoi prodotti e servizi, oltre che dell’intera organizzazione”.

L’individuo assume sempre più importanza all’interno dell’azienda e non è più visto solo come un semplice dipendente. Infatti, se le aziende hanno sempre avuto l’obiettivo di fidelizzare il cliente esterno, oggi diventa per loro prioritario stabilire un nuovo accordo con il cliente interno, cioè con il dipendente, il quale acquista il suo posto di lavoro e il ruolo organizzativo, dando in cambio la sua prestazione professionale.

Nasce un rapporto diverso tra azienda e dipendente, perché oltre a quanto stabilito nel contratto di lavoro, il dipendente deve essere organizzato, disciplinato e controllato, inoltre il dipendente va capito, motivato e orientato. È solamente così che si realizza il passaggio da un lavoratore subordinato, che “ha l’obbligo di lavorare”, a un dipendente-cliente che “gradisce lavorare” e che quindi è più disponibile nel fornire il suo apporto professionale, a raggiungere la realizzazione degli obiettivi: ad essere “fidelizzato” al sistema in cui è inserito.

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“Fidelizzare” un dipendente come un cliente non significa solo “trattenerlo” in azienda, ma motivarlo a un più maturo e completo contributo professionale che sia, allo stesso tempo, proficuo per l’azienda e gratificante per lui.

Significa cioè creare le condizioni per un continuo e consapevole “rinnovo” della scelta fatta al momento dell’assunzione, dando per scontato che la non-riconferma da parte del dipendente stesso, può costituire un grave danno per l’azienda, in alcuni casi ancora più grave della perdita di un cliente. Il marketing interno deve quindi armonizzare i bisogni dell’azienda con quelli dei dipendenti, i quali possono trovarsi nella necessità di “comperare” ciò che viene loro offerto.

Il marketing interno costituisce un rilevante tassello della nuova politica di gestione della risorsa che si fonda sulla opportunità o necessità di far “collaborare” in modo più attivo e responsabilizzato le persone alla vita dell’azienda. Questo è un punto fondamentale: se le aziende si giocano il futuro sulla ricchezza delle loro risorse umane, oltre a perfezionare le tecniche di selezione e formazione, occorre che sappiano anche utilizzare al meglio e di più, l’intelligenza di tutte le persone che lavorano in azienda, che abbandonino la rigida divisione delle mansioni e si lascino alle spalle la cultura meramente burocratica e gerarchica.

Lo strumento più efficiente che può permettere all’azienda di fidelizzare i propri dipendenti è: la comunicazione interna.

Le tecniche di comunicazione interna sono fondamentali nel contesto organizzativo dell'impresa e hanno il fine di trasmettere a tutto il personale la mission e gli obiettivi dell’impresa e di comunicare le fasi del cambiamento, ad esempio eventuali acquisizioni, fusioni ecc…Ma non solo, uno dei compiti della comunicazione interna è anche quello di assicurare che tra i dipendenti si crei un clima piacevole, dove ognuno possa lavorare serenamente. È fondamentale trasmettere, comunicare e convincere i dipendenti riguardo alla qualità dei prodotti e dei servizi che l’azienda offre, affinché

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essi possano comunicarla all’esterno e quindi convincere, a loro volta, i potenziali clienti.

Pensare di ricorrere alla comunicazione interna solo nei momenti di cambiamento, di ristrutturazione aziendale, di acquisizioni, o nei momenti di crisi, è un errore.

In un’ottica di miglioramento del clima aziendale e di sviluppo del senso di appartenenza/fiducia, le iniziative che permettono a tutti di conoscere le scelte aziendali, che semplificano le procedure operative e che eliminano i tempi morti nei processi comunicativi e decisionali, hanno come effetto la diminuzione di incomprensioni e di contrasti.

Oggi le aziende sono entità complesse, che necessitano di una forte integrazione e diffusione di linguaggi, valori e cultura.

Quando si vuole mettere in atto un piano di comunicazione, è indispensabile analizzare diversi elementi:

1. Analisi dello scenario 2. Individuazione degli obiettivi 3. Definizione del target 4. Scelta della strategia 5. Scelta dei contenuti 6. Scelta delle attività e degli strumenti di comunicazione 7. Ascolto del target 8. Misurazione dei risultati

1 - Analisi dello scenario Quale scenario?

Ogni problema va contestualizzato. È importante definire o riconoscere lo scenario dal quale i nostri messaggi prendono vita e quello nel

quale

dovranno

agire.

Inserire

adeguatamente

la

nostra

comunicazione in uno scenario appropriato, contribuisce a rafforzare

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l’immagine dell’emittente ed offre maggiori garanzie di successo della sua penetrazione.

2 - Individuazione degli obiettivi Cosa vogliamo ottenere?

È una delle fasi più critiche, ma anche più stimolanti del processo di creazione di un processo di comunicazione, in quanto costringe ad isolare ed incanalare in una particolare direzione il mix di intenzioni, che hanno prodotto appunto, l’esigenza della comunicazione.

Nella costruzione di un piano di comunicazione è fondamentale che gli obiettivi del piano siano coerenti con gli obiettivi dell’organizzazione. Al contrario, si rischia di produrre dissonanze cognitive, dovute alla mancata coincidenza tra l’immagine dell’organizzazione percepita attraverso il piano di comunicazione e l’immagine che la gente costruisce attraverso il contatto diretto con l’organizzazione.

Bisogna ricordare inoltre, che non esiste il cosiddetto “obiettivo 4 stagioni”; la scelta dovrà cadere su pochi e mirati obiettivi, chiari e condivisi.

L’obiettivo deve essere il più possibile cut to fit, cioè confezionato su misura, in relazione allo scenario precedentemente individuato, ed agli scopi prefissi.

Inoltre sarà importante distinguere se il nostro obiettivo tende alla sola divulgazione di informazioni o alla modifica di comportamenti; questo sarà uno degli elementi determinanti per la scelta degli strumenti comunicazionali più adeguati.

La comunicazione interna, oltre agli obiettivi “macro” come: condivisione, mission, miglioramento del clima aziendale, diffusione nuovi valori, può avere obiettivi più concreti e misurabili. Può avere scopi informativi di base (ad es. comunicazioni di servizio), operativi (di supporto ai processi organizzativi), formativi (soprattutto per i nuovi arrivati), “politici” (fra cui rientrano anche i comportamenti che l’azienda si aspetta

47

dai suoi dipendenti), divulgativi (per es. il nuovo logo, i messaggi chiave..) o a volte persino ludici.

3 - Definizione del target A chi?

Il pubblico di riferimento non è mai un agglomerato unico ma necessita di una accurata scomposizione categoriale in relazione ai diversi ruoli giocati nei diversi contesti.

Bisogna “dare un volto” al nostro pubblico, studiarne profilo e abitudini e capire esattamente a quale pubblico voglio far arrivare il mio messaggio.

Non bisogna dimenticare che il pubblico è composto da individui, che hanno di sé una definita e precisa percezione e nei confronti dei quali restano valide anche tutte le leve motivazionali e persuasive.

A chi si rivolge la comunicazione interna?

Un tempo era facile rispondere a questa domanda: ai dipendenti.

Ora che viviamo nell’era dei collaboratori a progetto, dei consulenti, del personale a termine, ecc.. a persone che spesso fisicamente lavorano in città e magari nazioni distanti, è giusto comunicare anche a loro obiettivi, andamento, successi? Se i mezzi odierni consentono un facile raggiungimento di persone dislocate sul territorio, si pongono questioni delicate di privacy e riservatezza. Una mail che gira può arrivare a chiunque: anche alla concorrenza, ai fornitori o ai clienti.

4 - Scelta della strategia Come?

Una volta correttamente definiti scenario ed obiettivo, è necessario definire la nostra strategia di comunicazione, cioè il mezzo attraverso il quale possiamo cominciare a concretizzare i nostri intenti.

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La scelta della strategia consiste cioè nella traduzione dell’obiettivo in azioni e strumenti di comunicazione, permettendo di valutare e selezionare in modo adeguato tecniche e strumenti di comunicazione.

L’oggetto della strategia contenuta in un Piano di comunicazione è, in altre parole, la comunicazione intesa sotto un duplice profilo: quello per cui le informazioni si dotano di un senso e quello per cui questo senso è tale in relazione a un destinatario.

Nella scelta della strategia possiamo seguire alcuni principi-cardine:

-

Principio d’esistenza: una strategia di comunicazione deve essere scritta per essere conosciuta ed accettata da tutti i soggetti coinvolti, sia nell’organizzazione sia fuori.

-

Principio di continuità: una strategia di comunicazione deve durare

affinché

possa

costruire

la

personalità

dell’organizzazione.

-

Principio di differenziazione: una strategia di comunicazione deve caratterizzare l’organizzazione rispetto alla concorrenza.

-

Principio di chiarezza: una strategia di comunicazione deve essere semplice e comprensibile.

-

Principio di realismo: una strategia di comunicazione deve adattarsi alle diverse forme e ai diversi mezzi di comunicazione.

-

Principio di declinazione: una strategia di comunicazione deve presupporre corrispondenza tra ciò che l’organizzazione dice e ciò che fa.

-

Principio di accettabilità interna: una strategia di comunicazione deve

essere

accettata

prima

di

tutto

dal

personale

dell’organizzazione perché quest’ultimo ne veicola buona parte dei messaggi.

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5 - Scelta dei contenuti Il messaggio

Ci sono molti modi per dire la stessa cosa. Spesso è proprio la modalità che abbiamo scelto di utilizzare a garantire l’accettazione o meno del messaggio.

Un messaggio troppo forte, anziché essere convincente, può talmente disturbare il ricevente da sortire reazioni contrarie, se non di completo rifiuto. Viceversa, un messaggio troppo debole può passare completamente inosservato, o addirittura svilire il significato dell’oggetto della comunicazione.

Lo stile utilizzato deve inoltre adattarsi al pubblico che abbiamo scelto come nostro riferimento e confacersi alle sue aspettative. La scelta potrà quindi cadere su differenti stili, (formale, informale, tecnico o narrativo ecc…).

La validità del messaggio dipende cioè dalla capacità di adattarlo alle diverse forme e ai diversi mezzi di comunicazione, ed il suo livello di credibilità è direttamente proporzionale alla coerenza che esso garantisce rispetto alle nostre scelte strategiche.

Anche in questo caso, ecco alcuni principi-cardine: -

Credibilità: il messaggio deve essere coerente con le reali capacità dell’organizzazione;

-

Riconoscibilità: il messaggio deve essere visibile, chiaro, individuabile

senza

difficoltà,

perché

è

presupposta

la

responsabilità d chi lo firma; -

Capacità informativa: il messaggio deve contenere tutte le informazioni che permettono la partecipazione del pubblico, evidenziando sia gli aspetti positivi, sia negativi di quanto proposto;

50

-

Capacità persuasiva: il messaggio deve saper convincere il pubblico dei vantaggi conseguenti alla sua partecipazione ad una specifica attività;

-

Chiarezza: il messaggio deve essere compreso senza difficoltà;

-

Obiettività: essendo un messaggio firmato da un’azienda, non dovrebbe essere “schierato”;

-

Tempestività: il messaggio deve contenere risposte pertinenti e circostanziate;

-

Accessibilità: il messaggio deve arrivare a tutto il pubblico cui è rivolto sia fisicamente sia cognitivamente parlando;

Anche la “fonte” del messaggio è estremamente importante.

Credibilità, competenza, affidabilità, gradimento, persuasività, sono tutte doti ed elementi da considerare nella scelta del veicolo che dovrà diffondere il messaggio al pubblico.

Infine, cercare sempre di creare coinvolgimento. Coinvolgere ogni possibile partner interno ed esterno attraverso un ascolto attivo e partecipativo, questo si rivelerà per l’azienda come una grande opportunità di reperire utili informazioni, conoscere diversi aspetti del problema e quindi migliorare la capacità decisionale.

6 - Scelta delle attività e degli strumenti di comunicazione La programmazione e realizzazione

Costruire un Piano di comunicazione significa realizzare una mappa intelligente, ragionata e interrelata, di ciò che si dovrebbe fare, da parte di chi e quali risorse utilizzare.

In altre parole, come concretamente poter operare, quali tempi e quali condizionamenti si prevedono, quante e quali persone saranno interessate, quali mezzi e materiali utilizzare.

La scelta degli strumenti è condizionata da una serie di elementi, quali:

51

-

l’accessibilità e la facilità d’uso dei mezzi di comunicazione

-

l’attrattività del messaggio diffuso

-

la velocità di diffusione del messaggio

-

gli ambienti in cui deve essere diffuso il messaggio e la rapidità con cui deve essere recepito.

È ora quindi il momento di pianificare le attività, i mezzi ed i tempi per concretizzare il messaggio.

Anche in questo caso può essere opportuno seguire un percorso strutturato, che tenga conto delle diverse variabili coinvolte in questa fase come, ad esempio:

-

la scelta del canale in grado di meglio raggiungere il nostro target (se

in

un’azienda

esistono

già

strumenti

tradizionali

di

comunicazione interna, è bene non abbandonarli ma integrarli ai nuovi, quindi sì agli house organ, newsletter, bacheche, rassegne stampa, e circolari…ancora meglio se trasportate o rese disponibili anche in formato digitale.)

-

la determinazione e la gestione del budget assegnato al progetto

-

l’individuazione e l’organizzazione delle risorse interne coinvolte nel progetto

-

la scelta dei fornitori

-

la definizione dei tempi di realizzazione

-

l’acquisto degli spazi

-

la realizzazione dei supporti fisici del messaggio

-

la divulgazione del messaggio

Per ogni singola azione vanno previsti tempi di realizzazione e scadenze. Sia per la produzione/realizzazione che per la diffusione. Per es. stabilire un invio periodico di mail ogni lunedì va bene o si rischia che venga cestinata in mezzo allo spamming accumulato nel weekend? La frequenza dei post appesi in bacheca oppure in un eventuale blog interno

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che cadenza dovrebbe avere, settimanale o giornaliera? Esistono periodi critici per l’azienda nei quali è bene sospendere o intensificare la comunicazione?

7 e 8. Ascolto del target misurazione dei risultati Cos’è successo?

Ogni iniziativa di comunicazione deve essere progettata e realizzata in maniera da contenere uno strumento di verifica dei risultati.

La grande forza della comunicazione è il feedback. Ora che tutto è stato eseguito come si era progettato, bisogna imparare ad individuare, riconoscere ed ascoltare gli effetti del messaggio: -

L’informazione è stata recepita correttamente?

-

I comportamenti o gli atteggiamenti hanno subito significative modifiche?

-

Le risorse ed i mezzi utilizzati si sono dimostrati adeguati?

Ogni elemento che si riuscirà ad individuare come risultato, positivo

o negativo, della comunicazione attuata, costituisce un significativo indice di riferimento per la formulazione di nuovi programmi e delle strategie.

Un efficace monitoraggio di tutto il processo comunicativo e dei suoi risultati, la modifica dei comportamenti, in relazione ai risultati rilevati, costituiscono gli strumenti e le modalità attraverso i quali tutta l’organizzazione potrà arricchirsi di un patrimonio di conoscenze davvero prezioso ed insostituibile.

53

Capitolo quarto Il caso OTIS 4.1 Profilo OTIS OTIS nasce nel 1854 quando Elisha Graves Otis, un intraprendente meccanico, diede dimostrazione alla platea del Crystal Palace di New York che l’ascensore sicuro era una realtà: tagliando l’unica fune della piattaforma che lo sosteneva. Questa, scese di pochi centimetri, e poi si fermò: il rivoluzionario freno di sicurezza aveva funzionato.

Il commento dell’indenne pioniere della moderna tecnologia ascensoristica fu “All Safe Gentlemen!”, Siamo tutti al sicuro signori!

Quell’uomo fu il fondatore di OTIS (fig. 4.1).

Fig. 4.1 Elisha Graves Otis mostra la sua invenzione

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È con questa invenzione che OTIS diede avvio all’industria degli elevatori. L’invenzione di Elisha permise agli edifici, e all’immaginazione degli architetti, di arrampicarsi verso il cielo, dando forma alle nostre città.

Il primo ascensore venduto da OTIS era dotato del freno di sicurezza, che consentì l’inizio dell’utilizzo degli elevatori da parte delle persone.

155 anni dopo, OTIS Elevator Company, è orgogliosa di essere l’azienda ascensoristica leader a livello mondiale.

Da quel giorno, sicurezza e innovazione sono state, e sono tutt’ora, le linee guida dei centri di ingegneria OTIS. Ogni 5 giorni, l’equivalente della popolazione mondiale viene trasportata, in tutta sicurezza e tranquillità, a bordo di ascensori e scale mobili OTIS. OTIS

è

leader

mondiale

nel

settore

della

produzione

e

manutenzione di ascensori, scale e tappeti mobili, è presente da oltre 150 anni sul mercato globale e fa parte del gruppo UTC - United Technologies Corporation -, una compagnia diversificata con una lunga storia di innovazione, nel settore aerospaziale, dell’aviazione, elicotteri, controllo del clima, sistemi di sicurezza, celle combustibili ed ascensori.

Con sede a Farmington, nel Connecticut, OTIS conta oltre 64.000 dipendenti, offre prodotti e servizi in più di 200 nazioni, ha un parco di 1.6 milioni di impianti in manutenzione e 133 mila nuovi ascensori e scale mobili venduti nel 2008.

Quattro centri di ingegneria in Europa (Gien, Madrid, Cassina, Breclav), sono dedicati alla progettazione e sviluppo delle più moderne soluzioni per il trasporto verticale. Diverse realtà, guidate dagli stessi principi:

sicurezza,

qualità,

innovazione,

efficienza

energetica

e

compatibilità ambientale.

OTIS in Italia

In Italia, OTIS è presente con quasi 2000 dipendenti, una copertura capillare di tutto il territorio nazionale che garantisce un’assistenza

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commerciale e tecnica per l’installazione di ascensori e scale mobili in nuovi edifici e per la manutenzione e l’ammodernamento di impianti esistenti.

Le Filiali e Unità Operative posso contare sul costante supporto dei reparti della sede centrale, un team di persone dedicate alla ricerca di nuovi strumenti organizzativi e nuove soluzioni per il prodotto e alla risoluzione

delle

problematiche

dei

processi

di

installazione

e

manutenzione.

Sicurezza, etica e qualità sono i valori su cui si fonda la società, le persone e la loro professionalità, il suo patrimonio.

Tutti i dipendenti del Gruppo, ogni giorno, lavorano con l’obiettivo di garantire un servizio eccellente, tempestività e flessibilità al cliente. I continui investimenti nella formazione interna hanno l’obiettivo di garantire la Sicurezza a tutto il personale e agli utenti che utilizzano gli impianti OTIS. Principio n. 1: Safety first! La Sicurezza prima di ogni cosa. Questo è il principio a cui s’ispira ogni dipendente.

All Safe, Every One, Every Job, Every Day. Non è soltanto un motto, ma una pratica di vita quotidiana.

OTIS si impegna costantemente a diffondere, attraverso il programma Service Excellence, la cultura della Soddisfazione del Cliente.

Tutti i funzionari, supervisori e i tecnici, sono altamente specializzati.

Pronte risposte, interventi rapidi, ricerca costante di proposte e soluzioni per il cliente, sono le linee guida del Servizio OTIS: il call center, OTIS LINE, è attivo 24 ore su 24 e garantisce l’intervento in qualsiasi caso di emergenza, 365 giorni all’anno.

I valori di OTIS

La politica degli investimenti nell’innovazione tecnologica, nei metodi di Qualità, nel miglioramento dei processi produttivi e gestionali e

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la condivisione di un codice di Etica, sono la vera forza della leadership di un gruppo in costante evoluzione.

Il punto di forza della Compagnia sono le persone, la loro esperienza, il loro impegno, guidato da solidi principi: •

La SICUREZZA in OTIS viene prima di tutto. Milioni di persone nel mondo utilizzano, ogni giorno, ascensori, scale e tappeti mobili OTIS, senza avere alcun dubbio sulla sicurezza degli impianti che stanno utilizzando, questo costituisce un tratto distintivo per il Gruppo. La sicurezza, per OTIS, è imprescindibile ed è intrinseca in tutti i prodotti e in ogni azione quotidiana delle persone. Un importante obiettivo per l’Azienda è quello di eliminare ogni possibile incidente e rendere, di conseguenza, il luogo di lavoro esente da ogni rischio o pericolo.

Tutto il personale tecnico infatti è costantemente coinvolto in processi di formazione e aggiornamento, dedicati all’utilizzo dei presidi di Sicurezza, al riconoscimento delle situazioni di pericolo, alle azioni necessarie per operare in sicurezza ed alla prevenzione degli infortuni. Ispezioni periodiche da parte di team di specialisti, garantiscono la rispondenza delle diverse attività alle procedure aziendali.

A testimonianza dell’attenzione continua rivolta al tema della

Sicurezza OTIS Italia, nel 2009, è divenuta partner della Campagna Europea sulla prevenzione dei rischi sul luogo di lavoro.

•

ETICA: fai sempre la cosa giusta. in OTIS è un modello di leadership: l’importantissimo codice di etica, condiviso con tutto il personale, guida quotidianamente il comportamento di tutti, nei rapporti con clienti, fornitori e colleghi. I successi nel mercato, sono frutto solo della qualità dei prodotti, dell’organizzazione e della professionalità

di

tutto

il

personale.

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È

proprio

con

un

comportamento etico e onorevole, che OTIS può ottenere la fiducia dei propri clienti. Tutti i fornitori e ogni dipendente, al momento dell’assunzione, riceveranno il codice di Etica in forma cartacea, con la funzione di guidare ed aiutare le persone nel riconoscere i dilemmi etici più comuni e per prepararli su come fronteggiarli.

Ogni dipendente avrà inoltre la possibilità di rivolgere quesiti, sollevare questioni, chiedere aiuto oppure addirittura segnalare un caso reale ed ottenere risposte, senza dover necessariamente coinvolgere il proprio superiore. Tutto questo è possibile ed attuabile, grazie ad Ombudsman/ DIALOGO, il canale di comunicazione sicuro e riservato, creato per rendere chiare e comprensibili le comunicazioni tra i dipendenti e la dirigenza. Il programma DIALOGO funziona esclusivamente tramite l’invio e la ricezione di domande e risposte scritte. Nel caso in cui venga rivolta a DIALOGO una problematica molto complessa, questa verrà inoltrata ad un Ombudsman, colui che ha il compito di risolvere questioni complesse, come, ad esempio, questioni legali o che richiedono un processo di verifica. Ombudsman/Dialogo è un programma riservato, (l’identità della persona che solleva una questione rimane anonima), neutrale (non rappresenta né i dipendenti, né la dirigenza) e indipendente (opera separatamente dalla dirigenza).

Grazie a questo canale è quindi possibile apportare miglioramenti a qualsiasi livello aziendale.

•

QUALITÀ E AMBIENTE L’ambiente è un patrimonio di tutti. OTIS, da sempre attenta a questa tematica, ha realizzato un piano di abbattimento dei fattori di inquinamento ambientale che rispetti e, per quanto possibile, riduca a ZERO i valori stabiliti dalla legge. Questo atteggiamento ha portato al conseguimento della certificazione UNI EN ISO 14001.

OTIS Italia è certificata Partner CasaClima, una delle più importanti agenzie italiane per la sostenibilità dello sviluppo edilizio. Infatti,

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progetta e produce prodotti ad elevata compatibilità ambientale, in termini di riduzione del consumo energetico ed utilizzo di materiali che non generano residui contaminanti. Non soltanto quindi prodotti più efficienti, ma anche “Amici dell'Ambiente”.

Il mercato dei nuovi impianti è soprattutto nell’edilizia residenziale che predilige edifici bassi con pochi piani e criteri costruttivi sempre più vicini alla sostenibilità ambientale e al risparmio energetico. I clienti ricevono notevoli vantaggi, derivanti da una maggiore durata dei prodotti, da un maggior risparmio energetico e da un minore impatto ambientale. Tra le soluzioni verdi di OTIS, il fiore all’occhiello

è

il

rivoluzionario

Gen2,

l’ascensore

amico

dell’ambiente: un impianto ad alta efficienza energetica che assicura un risparmio del 50% rispetto ai sistemi tradizionali.

Esistono altri programmi di qualità orientati al miglioramento continuo dei processi e dei servizi: Service Excellence (Eccellenza nel Servizio), ascoltare sempre il cliente e chiedersi costantemente cosa si può fare per migliorare e il metodo ACE - Achieving Competitive Excellence - che parte dal coinvolgimento di tutte le persone, per individuare le opportunità di miglioramento, definendo le priorità e le soluzioni per l’ottimizzazione dei processi. Attraverso ACE, ogni dipartimento OTIS: ingegneria, vendite e servizio, misura le proprie prestazioni e definisce gli obiettivi per il miglioramento continuo.

Vorrei evidenziare L’Eccellenza nel Servizio: il modo in cui le persone del Gruppo pensano ed agiscono. Non significa soltanto “risolvere un problema” o eseguire la manutenzione ordinaria, eccellenza nel servizio significa “il sorriso” della voce al telefono, la risposta pronta ad una richiesta e lo stimolo a migliorare continuamente. Significa come si lavora e ci si rapporta con le altre persone, con i clienti e con chi ogni giorno viene trasportata. Ogni persona rappresenta il biglietto da visita dell’Azienda. Ogni dipendente è un ambasciatore di OTIS e deve

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contribuire al raggiungimento della missione aziendale: essere primi nel servizio, primi nei prodotti e primi nelle performance.

Per raggiungere tutti gli utenti in modo semplice e immediato, OTIS ha identificato i 12 principi che rappresentano questo programma: Pensa alla Sicurezza prima di ogni cosa

Rispondi prontamente alle richieste dei clienti

Visita il tuo cliente ogni volta che ti trovi nel suo edificio

Mantieni quello che prometti con puntualità

Rimani calmo quando un cliente ti esterna una lamentela

Preparati in vista di un incontro con il cliente

Pensa a te stesso come parte dell’organizzazione del cliente in ogni progetto in cui si lavora Ricorda che sei il biglietto da visita dell’Azienda

Domandati cosa vuole il cliente

Ciascuno è responsabile del proprio apprendimento e della propria crescita professionale

Non accettare alcun compromesso sulla qualità del lavoro

OTIS è una squadra, si vince o si perde tutti insieme

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4.2 La People Strategy OTIS è prima di tutto un patrimonio di persone e sono proprio loro a costituire la risorsa più importante per il Gruppo.

Coerentemente con la politica aziendale, da sempre fondata sui principi di Etica, Sicurezza e Qualità, OTIS effettua importanti investimenti in formazione interna e nello sviluppo di programmi di qualità, volti a raggiungere l’eccellenza e l’innovazione nei prodotti e nei servizi, la soddisfazione del cliente e la leadership nel mercato.

Con il termine “formazione” si intendono le attività finalizzate a produrre apprendimento nelle persone che lavorano nell’azienda e per l’azienda, un apprendimento indispensabile per conseguire risultati sempre migliori, da parte di tutta l’organizzazione.

Per realizzare apprendimento nelle organizzazioni, occorre sviluppare conoscenze e capacità che devono essere condivise, si devono quindi creare le condizioni favorevoli per realizzare un collegamento fra apprendimento individuale e trasferimento al gruppo e all’organizzazione. La formazione è dunque un’attività che ha come fine primario la distribuzione strategica dell’apprendimento, nell’organizzazione.

La formazione interna è in continuo sviluppo, non solo per garantire la migliore assistenza al Cliente, ma per la crescita dei talenti in Azienda, infatti non è solo un mezzo per far crescere professionalmente gli utenti interni ma anche per coinvolgere le risorse, renderle partecipi sulle novità del Gruppo e motivarle, per trasmettere loro Senso di appartenenza all’Azienda. È dal primo giorno di lavoro che le persone sviluppano la consapevolezza di appartenere ad un grande Gruppo.

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I valori aziendali, gli obiettivi che si prefigge continuamente l’azienda, la nascita dei nuovi prodotti e tante altre iniziative inerenti al Gruppo, vengono sempre comunicate ai dipendenti, prima ancora di essere presentate al mercato esterno. I dipendenti devono condividere i valori dell’azienda, devono essere convinti dell’importanza che questi rivestono all’interno dell’organizzazione, insomma, devono essere loro a credere nell’azienda e ad avere fiducia nei suoi confronti prima ancora dei potenziali clienti, perché sono proprio i dipendenti ad essere i primi portatori d’immagine dell’azienda.

OTIS

sposa

la

filosofia

secondo

cui

una

comunicazione

convincente, volta ad evidenziare l’importanza dei valori aziendali e capace di motivare i dipendenti, è in grado di apportare notevoli benefici all’intera organizzazione.

L’obiettivo della comunicazione interna è quello di diffondere, a tutte le risorse, indipendentemente dal ruolo, una maggiore conoscenza dei valori aziendali, per accrescere la fiducia dei dipendenti nei confronti dell’azienda stessa.

Le risorse interne sono il miglior passaparola per raggiungere in modo efficace l’ambiente esterno. OTIS ha attivato un processo di comunicazione articolato in una pluralità di iniziative destinate a tutte le risorse umane, con il fine di coinvolgerle e, in alcuni casi, di renderle le vere protagoniste delle storie del Gruppo.

OTIS, non si limita a parlare dei valori aziendali, li vive quotidianamente.

In un ambiente di lavoro in cui ognuno è incentivato a sviluppare le proprie abilità, gli individui di talento che hanno grande spirito di iniziativa e che sanno accogliere la sfida, sono la chiave del successo del Gruppo.

L’azienda crede che il talento, l’impegno e la dedizione debbano essere ricompensati con remunerazioni competitive, che le responsabilità debbano essere continuamente aumentate e che vi debba sempre essere l’opportunità di prospettare nuovi orizzonti di carriera.

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OTIS rispetta i propri dipendenti, facendo ogni giorno tesoro del loro punto di vista e delle loro uniche esperienze. Crede nell’importanza di trattare le persone con correttezza, senza alcuna eccezione. Questo atteggiamento, non è solo una cosa giusta ed etica, ma mette in evidenza il meglio delle proprie persone e di conseguenza mostra il meglio ai propri Clienti.

4.3 Gli strumenti di Employer Branding Il Dipartimento Marketing & Comunicazione del Gruppo OTIS Italia, con il fine di coinvolgere e motivare le risorse interne, ha avviato un piano di comunicazione caratterizzato dall’utilizzo di diversi strumenti, realizzati in modo tale da rendere il brand aziendale più attraente e appetibile per tutto il personale.

I più importanti strumenti di employer branding sono: la Politica della Qualità, la Newsletter, i comunicati stampa, l’Employee Survey e il Kit per i nuovi assunti.

La POLITICA DELLA QUALITÀ è uno strumento che racchiude i valori su cui si fonda l’azienda, è rivolto a tutti gli utenti interni, ed è anche un mezzo per far conoscere ai clienti esterni la mission aziendale.

Ogni anno, in occasione della “nascita” della nuova politica di qualità, vengono organizzati dei meeting interni, per comunicare, diffondere e riaffermare i valori dell’azienda a tutto il personale.

Il manifesto della Politica della Qualità (fig. 4.2) viene appeso in tutti gli uffici e firmato dalle persone di ogni singolo dipartimento, tale azione vuole affermare la condivisione degli obiettivi aziendali, da parte di ogni singolo lavoratore.

Le persone sono le prime portatrici dell’immagine aziendale.

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Fig. 4.2 Manifesto Politica della qualità 2009

La NEWSLETTER mensile OTIS Ambassador (Ambasciatore OTIS) è un’iniziativa pensata per diffondere all’interno del Gruppo le esperienze di successo e i casi di eccellenza di ogni singolo individuo (fig.

4.3).

“Raccontateci le vostre storie, diventerete ambasciatori della nostra cultura aziendale: l’orgoglio di appartenere ad un grande Gruppo!”

Questo è lo slogan racchiuso nel form creato per raggiungere tutti i dipendenti, anche coloro che non possiedono un indirizzo e-mail.

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Fig. 4.3 Poster Otis Ambassador

Ma di che cosa possono raccontare gli OTIS Ambassadors?

•

L’eccellenza nella soddisfazione del cliente: lettere ricevute dai clienti, reclami risolti prontamente, le forniture importanti, lavoro in team con il cliente.

•

Storie di successo nella Sicurezza o rispetto dell’ambiente.

•

L’Etica: pilastro della cultura aziendale.

•

OTIS è una grande squadra: lavoro in team, nuovi assunti e loro inserimento, programmi di formazione.

•

Nuovi progetti e nuovi prodotti.

•

Processi, procedure, applicazioni.

•

Metodi per la qualità- ACE.

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La presenza di elementi grafici, piacevoli e colorati, impreziosiscono la comunicazione e rendono la newsletter coinvolgente ed attraente per i lettori finali.

OTIS Ambassador è un canale di comunicazione che vuole diffondere la cultura aziendale, a tutti i livelli dell’organizzazione, i valori del Gruppo, condividere i casi di Eccellenza, le nuove iniziative, ma non solo, OTIS Ambassador è la voce delle persone di OTIS e dà loro la possibilità di diventare protagonisti, raccontando le loro storie più significative.

La peculiarità di OTIS Ambassador è data dal fatto che questa newsletter non vuole contenere solo ed esclusivamente notizie inerenti all’attività lavorativa o rimarcare solamente l’importanza dei valori sui quali si fonda la società ma, attraverso la sezione “OTIS Life, Live at OTIS” vuole dare spazio alle storie che caratterizzano la vita personale dei dipendenti e collaboratori di OTIS, come ad esempio: la nascita di un figlio,

il

matrimonio,

la

laurea

di

un

dipendente

conseguita

in

contemporanea allo svolgimento dell’attività lavorativa, e via dicendo.

Viene dato ampio spazio alle persone, ecco perché mette in primo piano le fotografie degli ambasciatori e dei protagonisti delle storie che vengono raccontate. E’ un modo per valorizzare i dipendenti, offrendo loro una “vetrina” nella quale esporre i loro migliori “prodotti” da condividere con i colleghi, la ricompensa sarà una grande soddisfazione personale!

OTIS Ambassador si è confermato come un efficace strumento, soprattutto dal punto di vista umano, in grado di riuscire a “portare a bordo” le persone e di alimentare in loro il senso di appartenenza.

Per premiare le storie più belle, quelle che più hanno colpito nel segno, OTIS ha deciso di personalizzare alcuni capi di abbigliamento riprendendo il logo OTIS Ambassador e mantenendo la coerenza grafica con la newsletter, per rafforzare la corporate image.

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I COMUNICATI STAMPA, costantemente diffusi dall’azienda, vengono pubblicati da diverse testate giornalistiche.

Rappresentano uno strumento con una duplice valenza: la prima è quella di rafforzare il brand dell’azienda nei confronti dei clienti finali, la seconda quella di rafforzare il senso di appartenenza al gruppo da parte tutti i dipendenti.

Fig. 4.4 Premiazione Filiale Otis di Lecce, La Gazzetta del Mezzogiorno, 27 Ottobre 2009

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I

comunicati

vengono

realizzati

anche

in

occasione

delle

premiazioni alle filiali sulla Sicurezza: “Safety Best In Class” (fig. 4.4).

A testimonianza dell’attenzione che da sempre OTIS rivolge al tema della Sicurezza e della Salute, l’Azienda premia le filiali OTIS che raggiungono un numero rilevante di giorni lavorativi senza infortuni sul lavoro.

Il dipendente che acquista il quotidiano locale vede all’interno l’articolo pubblicato e si rende conto di lavorare per una grande azienda, questo sviluppa in lui sentimenti di orgoglio e di appartenenza.

La

reputazione

dell’azienda

viene

divulgata

attraverso

il

passaparola, e questo porta continuamente alla valorizzazione della corporate identity.

L’EMPLOYEE SURVEY (fig. 4.5) è il sondaggio (promosso da UTC, con cadenza biennale) per misurare il livello della soddisfazione di tutti i dipendenti a livello globale. È disponibile on line, per tutti coloro che hanno l’accesso ad internet e in forma cartacea per gli altri utenti, in entrambi i casi viene mantenuto l’anonimato.

Fig. 4.5 Poster Employee Survey

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Le risposte di tutti sono fondamentali e contribuiranno alla definizione di un piano d’azione, in una prospettiva di progresso e miglioramento continuo del Gruppo OTIS. Per questo l’azienda estende l’invito ad ottenere la massima partecipazione ed una maggior trasparenza nella valutazione, per contribuire a rendere OTIS, un’Azienda più interessante e motivante.

Partendo dai suggerimenti ricevuti dalle persone, l’azienda è riuscita ad apportare diverse migliorie, in molte aree dell’organizzazione.

Questi miglioramenti si possiamo attribuire all’impegno, al lavoro e al feedback sincero di ognuno, durante il sondaggio dei dipendenti.

La partecipazione dei dipendenti al sondaggio è necessaria per valutare i progressi dell’Azienda, identificare i punti di forza e le opportunità di miglioramento.

OTIS è una squadra, ed è solo grazie all’impegno di tutti i componenti che si possono raggiungere i successi: sono le persone che rendono OTIS una delle migliori aziende in cui lavorare.

Principio N.12: OTIS è una squadra, si vince o si perde tutti insieme!

IL Kit per i nuovi assunti viene consegnato a tutti i dipendenti il primo giorno lavorativo.

Quando un dipendente viene assunto è necessario, prima di tutto, trasferirgli le informazioni necessarie per conoscere la realtà aziendale, della quale è entrato a far parte. È necessario, quindi, predisporre per i neo assunti, un booklet informativo che spieghi: la struttura organizzativa, le caratteristiche e la storia dell’azienda e i prodotti che produce e vende.

Ma non solo, è importantissimo rispondere anche a domande semplici, ma fondamentali nell’attività di tutti i giorni ad esempio: le modalità di utilizzo della mensa, il funzionamento del badge ecc.

Queste informazioni dovrebbero, di norma, essere trasferite nel momento del colloquio di assunzione ma, in realtà questo non accade

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quasi mai e il dipendente deve cercare questo tipo di informazioni da solo, chiedendo l’aiuto di qualche disponibile collega.

Per questo OTIS ha pensato di promuovere ai dipendenti, fin dal primo giorno di lavoro, motivazione e senso di appartenenza, realizzando un Kit di benvenuto consistente in una valigetta/borsetta, contenente tutta la documentazione che abbiamo citato sopra.

Il percorso di accoglienza dei neo assunti predispone anche la disponibilità immediata di un servizio di posta elettronica creato appositamente per il dipendente e l’accesso alla rete e all’intranet aziendale, che viene messa a disposizione di tutto il personale, per dar la possibilità di mettere a punto informazioni e scambiarsi documenti.

Sarebbe bello se ogni dipendente, dal momento dell’assegnazione della postazione di lavoro, appena acceso il computer, trovasse: nella propria posta elettronica un messaggio di benvenuto, sulla scrivania alcuni strumenti utili per il proprio lavoro come la lista dei numeri di telefono, la calcolatrice, un blocco per gli appunti, una chiavetta USB e anche il dizionario del linguaggio aziendale, con la spiegazione dei termini maggiormente utilizzati nell’attività quotidiana, ad es. DAL, DQSA, ecc…

Con questi piccoli gesti, il neo assunto si sente fin da subito preso in considerazione, è gratificato da questo atteggiamento ed acquisisce, già dal primo giorno, la consapevolezza che sta lavorando per un importante Gruppo.

Un’altra iniziativa di comunicazione interna intrapresa da OTIS nell’intento di facilitare l’integrazione dei nuovi assunti nella struttura aziendale, con l’obiettivo di sviluppare la soddisfazione ed il senso di appartenenze

all’azienda

del

personale

neo-inserito,

a

fronte

dell’attenzione loro rivolta, anche in termini di completezza di informazioni fornite.

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CONCLUSIONI In questo elaborato si è voluta affrontare un’analisi di gestione delle risorse umane, per arrivare ai metodi strategici di employer branding e come questi possano costituire un fattore di successo per qualsiasi azienda.

A chiusura di questo lavoro, incentrato soprattutto sull’employer branding, è emerso che le esigenze degli individui sono cambiate rispetto al passato, essi infatti ricercano sempre di più la coerenza tra i propri valori e quelli dell’organizzazione. Ecco perché l’azienda si impegna a coinvolgere e motivare il dipendente attraverso l’identificazione nei valori aziendali. Per fare questo utilizza per i propri collaboratori, gli strumenti di branding che venivano in precedenza destinati ai clienti.

Costruire un brand che sia coerente con la strategia aziendale e differenziato dalla concorrenza, diventa una politica fondamentale per il successo dell’azienda. E’ importante far percepire il brand, non solo ai dipendenti attuali ma anche agli stakeholder, con il fine di costruire una collettività che si rispecchi nei valori del corporate brand.

L’Employer branding funziona tutte le volte che l’azienda è in grado di “far innamorare” i suoi attuali e possibili collaboratori, attraverso quello che fa. Quando è il brand che attrae, fidelizza e innamora, allora possiamo dire che l’employer branding funziona veramente.

Le vere campagne di employer branding sono quelle che mettono ciascuno in condizioni di riconoscerle all’interno dei valori aziendali e che, soprattutto, mettono in condizione il singolo di ricollegare il pezzetto che fa lui, con l’intero che fa l’azienda.

Tra le aziende che si impegnano in una comunicazione efficace di employer branding vi è, come abbiamo visto nel quarto capitolo, il Gruppo OTIS. La retention dei migliori talenti è per la Compagnia un obiettivo concreto. Il Gruppo ha intrapreso diverse azioni interessanti di employer

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branding, con il fine di coinvolgere le risorse umane e renderle la chiave strategica del business aziendale. È ovvio che, come in ogni attività di comunicazione efficace, alle parole devono seguire i fatti.

A volte capita però che l’azienda perda di mira il proprio fine senza nemmeno accorgersene. Succede infatti che, tutte le belle parole che vengono ripetute continuamente durante le riunioni o che vengono veicolate

all’interno

di

comunicazioni

interne,

non

vengano

poi

concretizzate da alcun fatto. Così il dipendente se ne accorge, perde fiducia e stima nei confronti della sua azienda e, non appena capita l’occasione, se ne và.

Un investimento maggiore nell’attività di comunicazione non è sufficiente, da solo, a rafforzare l’identità aziendale, ma è necessario che vi sia la massima coerenza interna ed esterna, tra tutti i fattori che la costituiscono.

Purtroppo, in Italia, siamo ancora un po’ indietro nell’applicazione di queste politiche, rispetto all’estero.

In alcune realtà capita che si pianifichino investimenti in merito alle attività di employer branding, solo nel momento in cui l’azienda attraversa un periodo positivo e fiorente a livello economico. Ma, dal momento in cui la ripresa di mercato si arresta, allora si bloccano anche queste attività di comunicazione e marketing, purtroppo sono infatti i primi costi ad essere eliminati dall’azienda.

Accade ciò perché nella cultura italiana, questo tipo di attività vengono considerate, molto spesso, come una spesa superflua.

Ma in realtà è proprio nei periodi di crisi che bisognerebbe investire in comunicazione e nelle attività di marketing e quindi di employer branding, proprio per cercare di risollevarsi da una situazione economica negativa e per acquisire competitività nel mercato esterno.

Non dimentichiamo quindi che: talento, attrarre, innamorare, fidelizzare, gratificare, vantaggio competitivo, significano: Employer Branding.

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RINGRAZIAMENTI Desidero innanzitutto ringraziare il Professor Mario Catani per i preziosi consigli e per le numerose ore dedicate alla mia tesi.

Inoltre, vorrei ringraziare Simona Armichiari ed Elisa Cattaneo per gli importanti suggerimenti utili all’elaborazione del Case History OTIS. Desidero ringraziare di cuore i miei genitori e mio fratello per essermi stati vicino in ogni momento e per il grande aiuto che mi hanno dato in questi anni.

Paolo… che con amore e pazienza… c’è sempre stato.

Un grazie a tutti i miei amici per avermi sempre sostenuto in questo mio percorso di studi.

Ed infine Grazia, per la pazienza e i tanti sorrisi che mi ha regalato durante l’impaginazione di questa tesi.

… e grazie anche a me!

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