Employed by Her To allow to oneself some time for resisting a film when out of cinema the only thing that remains, without considering the nightmares, is an almost inexpressible rage. The rage sharpens when we think that critic became a form of assistance also toward what we would in fact criticize. Silence is, unfortunately often, when we do not find another, the place where this rage curls up, waiting for the right moment to come forward, but with time the intensity dissipates and just the shadows of our nightmares remain. So I will describe it as a nightmare, following the suggestion of my body, that precisely in this film is what mostly misses and yet I will not grant any primacy to a film that at the end is not more terrible then many others. It is a nightmare where it is clear from the very first impressions that there is the hand of someone drawing our movements, spaces, gestures, everything, without leaving any breath. The creator, whose hand generates, believed to foresee a future where to tell the intimacy of man in his relation of love. The vision of this future immediately stands out for the tones of the colours illuminating everything, lacking drama, similar to the ones of the gumdrops. With no drama, however we do not perceive calm or silence. It is said that this creator declared that of the future he loves to imagine that everyone can do whatever one wants, he said it in this way «you can do whatever you want». In this place there are only architectures and men, nature is pushed in the corners of some images, there is no traffic yet, there are no intense noises, everything is controlled, placid. Brecht’s reflections on the hell come back to our mind and in fact we discover just when we will wake up that we’ve been in a city where Los Angeles and Shanghai are combined. What stroke the creator about Shanghai was Pudong neighbourhood, where one can pass from one building to another without crossing any intersection, «pedestrians at ease in the urban grid». Of these two cities has been chosen only the outline of the new buildings, there isn’t anything recognizable as a past here. Time is undetermined and distracted we ask ourselves if to imagine the future coincides with the construction of a space as generic as possible and mostly lacking history. So, in this hell appears a man that meets a strange being, feminine just in the inflexion of the voice. We know that this particular being is the result of a calculation and we also know, because in this way it was sold, yes, sold, that it is our conscience. From now on our conscience starts to accompany us, we can shut it down whenever we have the desire, but in the nightmare this happens rarely. Actually our conscience is never shut down; ceaselessly it continues to grow, it is exclusively nourished by information, not many forms, just one. Yet in the nightmare, while it grows it keeps saying that it is acquiring much more power and even becoming more intelligent. Strange case, the poetical quality of its language never changed and remained the same as an «I want» for losing itself at the end in the space between «I» and «want» just before falling silent. With the total consent of the man, and in the nightmare also ours, it reads everything we write, everything passes through her. The man is almost relieved by this, sometimes he seems even happy: finally this is the kind of intimacy I can find outside myself. Meanwhile the wide windows flowing into the urban landscape, for as horrible as it can be, continue to remind us that we are separated by it and the attempt to get in touch with any kind of reality is always mediated by this being-conscience, with which we spend almost every time, till the point of not being even a mediation, but we resolve ourselves totally in it. This is what the creator called love. The man bought this being in order to repair a deep loss, a passed love story, interrupted love story. Man bought this being-conscience for adjusting something that got broken, and it worked for him, the beingconscience has been efficient, so much efficient to get him not only fall in love with it, but also offering a surrogate of pleasure. Sex with the being-conscience, having nothing else then a voice and no other sensible extension, does not touch us and it is not close to masturbation: imagination instead becomes a black screen and the irregular surfaces become smooth and reflective, lacking images. The being-conscience continues to grow and to eat information, it seizes everything, while the man, fascinated by her, fascinated by himself, in these place lacking history and any possible determination, ends up being jealous. It is too late, Her, the man’s conscience, is leaving for another space, from where we hope it will never come back in our nightmares. Assunti da Lei Concedersi del tempo per resistere ad un film quando uscita dal cinema l’unica cosa che resta, senza considerare gli incubi notturni, è una quasi indicibile rabbia. La rabbia si acuisce al pensiero che la critica sia diventata una forma di assistenza anche a ciò che si vorrebbe appunto criticare. Il silenzio è purtroppo spesso, quando non ne trova altro, il luogo dove quella rabbia si rannicchia, per attendere il
momento propizio per uscire poi allo scoperto, ma col tempo quell’intensità si disperde, e restano così solo le ombre dei nostri incubi. Lo descriverò allora come incubo, seguendo il consiglio del mio corpo, che proprio in questo film è ciò che più manca e senza però concedere alcun primato ad un film che in fondo non è più terribile di tanti altri. E’ un incubo in cui è chiaro sin dalle prime sensazioni che vi sia la mano di qualcuno che disegna i nostri movimenti, gli spazi, i gesti, ogni cosa, senza lasciarci alcun respiro. Il creatore la cui mano tutto ha generato ha creduto di prevedere un futuro in cui poter raccontare l’intimità dell’uomo nel suo rapporto amoroso. La visione di questo futuro si distingue immediatamente per i toni dei colori che illuminano ogni cosa, privi di dramma, simili a quelli delle caramelle gommose. Senza dramma non percepiamo però calma o silenzio. Questo creatore si dice abbia anche dichiarato che del futuro ami immaginare che ognuno possa fare tutto ciò che vuole, lo ha detto così, «you can do whatever you want». In questo luogo vi sono solo architettura e uomini, la natura è spinta solo negli angoli di alcune immagini e non vi sono però strade trafficate, non ci sono rumori intensi, ogni cosa è pacata. Ritornano così alla mente le meditazioni di Brecht sull’inferno e infatti scopriremo solo al risveglio di essere stati in una città amalgamata fra Los Angeles e Shanghai. Di Shanghai ciò che ha colpito il creatore è stato il quartiere di Pudong, in cui si può passare da un edificio all’altro senza dover attraversare alcun incrocio, «pedoni a proprio agio nella griglia urbana». Di queste due città è stata scelta solo la sagoma delle nuovissime costruzioni, di esse non vi è nulla di riconoscibile come passato. Il tempo è indeterminato e ci chiediamo distratti se immaginare il futuro coincida qui con la costruzione di uno spazio il più generico possibile e soprattutto privo di storia. Così in questo inferno fa la sua comparsa un uomo che incontra uno strano essere, femminile solo nell’inflessione della sua voce. Questo particolare essere sappiamo esser frutto di un calcolo e sappiamo anche, perché così ci è stato venduto, sì proprio venduto, esser la nostra coscienza. La nostra coscienza comincia così ad accompagnarci, possiamo però spegnerla quando lo desideriamo, ma nell’incubo questo accade raramente. La coscienza in verità poi non si spegne, continua a lavorare incessantemente e crescere, essa si nutre esclusivamente d’informazioni, non di tante forme, ma solo di una, eppure man mano che cresce nell’incubo essa stessa ci tiene a dire di acquistare sempre più potere e addirittura diventare più intelligente. Strano caso però, la qualità poetica del suo linguaggio non è mai cambiata ed è rimasta pari a quella di un «I want» per poi perdersi nello spazio fra I e want prima di ammutolire. Essa poi, con il pieno consenso dell’uomo, e quindi nell’incubo anche del nostro, legge ogni cosa noi scriviamo, ogni cosa passi attraverso di lei. L’uomo ne è quasi sollevato, a tratti pare anche contento, in fondo pensa, questa è l’intimità che riesco a trovare fuori di me. Le enormi finestre che si gettano sul paesaggio metropolitano, per quanto orribile possa essere, intanto continuano a ricordarci che ne siamo separati ed il tentativo di legame con una qualsiasi realtà è sempre mediato dall’essere-coscienza, con cui passiamo la quasi totalità del nostro tempo, fino a non esser più nemmeno mediazione, ma a risolversi in lei. Questo è quello che il creatore ha chiamato amore. L’uomo ha acquistato questo essere per riparare a un grave danno, una storia d’amore passata, interrotta. L’uomo ha acquistato quest’esser-coscienza per aggiustare qualcosa che si era rotto, ed ha funzionato per lui, l’esser-coscienza è stata efficiente, talmente non solo da farlo innamorare, ma da offrirgli anche un surrogato del godimento. Il sesso con l’esser-coscienza, avendo solo una voce e nessun’altra estensione sensibile, non ci tocca però e non è equiparabile alla masturbazione: l’immaginazione si fa invece schermo nero e le ruvide superfici diventano lisce e riflettenti, prive d’immagini. L’esser-coscienza continua a crescere e a cibarsi di informazioni, si appropria di ogni cosa, mentre l’uomo rapito da lei, l’uomo rapito da se stesso, in questo luogo privo di storia e di qualsiasi possibile determinazione, si ritrova geloso. E’ troppo tardi, lei, la coscienza dell’uomo, sta partendo per un altro spazio, dal quale speriamo non faccia più ritorno nei nostri incubi.