PREMESSA
Care lettrici e cari lettori, vi immagino con il libro aperto tra le mani, gli occhi puntati sulle prime parole e la curiosità nel cuore.
Ho scritto questo romanzo proprio pensando a voi, a uno a uno, e a voi lo indirizzo perché i personaggi della storia sono degli adolescenti che vi somigliano per i loro comportamenti e per le esperienze che fanno.
È in un grande condominio che vivono i ragazzi e le ragazze che troverete nella narrazione e, credo come voi, stanno imparando a crescere e a maturare, ma la ribellione alle regole e il desiderio di trasgredire si annidano nei loro pensieri e nel modo di agire, generando spesso situazioni avventurose, talvolta dannose.
Non amate forse anche voi insorgere contro le regole che vi vengono date in famiglia, a scuola, nel rione e nella società tutta?
Non fronteggiate pure voi i genitori e anche altri adulti quando mettono dei limiti a ciò che volete fare?
E allora vi innervosite, l’umore si incupisce straripando nella sensazione di essere una vittima, oppure rispondete in modo aggressivo, talvolta vi chiudete nel mutismo, vi sentite incompresi e soli e spesso cercate un mezzo per fare a modo vostro unendovi agli amici più cari.
Non rispettare le regole può sembrare, soprattutto durante l’adolescenza, affascinante proprio perché rischioso e fa sentire i giovani liberi dalle imposizioni degli adulti e capaci di affrontare la vita.
Sono ribelli, quanto e più di voi, i personaggi del romanzo, che si influenzano l’un l’altro e non sopportano il controllo degli adulti, che invece provano a proteggerli.
Le regole hanno una grande importanza e rispettarle genera comportamenti adeguati e una giusta convivenza civile.
È questo il messaggio di fondo che ho provato a trasmettervi mentre scrivevo il romanzo, perché davvero credo che ogni norma rispettata porti a buoni risultati personali e collettivi e che aiuti a vivere in sicurezza le tante esperienze che desidera fare ogni ragazza e ragazzo. Leggere questo romanzo e riflettere sulla trama può aiutarvi a crescere e a maturare ed è per questo che alla storia narrata seguono delle esercitazioni e degli approfondimenti su alcune importanti tematiche.
E ora tocca a voi, cari adolescenti, iniziare questa avventura da vivere attraverso la lettura.
L’autrice
INDICE Premessa 3 Capitolo 1 Faccio ciò che voglio 5 Capitolo 2 Il Gigante 10 Capitolo 3 Social h 24 14 Capitolo 4 La sfida 20 Capitolo 5 Domande importanti 28 Capitolo 6 Una brutta giornata 35 Capitolo 7 Un bus per nemico 39 Capitolo 8 Incontro a due 47 Capitolo 9 Riunione a scuola 52 Capitolo 10 Uso e abuso 59 Capitolo 11 Crescere non è facile 62 Capitolo 12 Troppe emozioni 67 Capitolo 13 Parliamone 76 Capitolo 14 Una festa eccezionale 83 Capitolo 15 In fuga 91 Capitolo 16 Peppino è un genio 98 Capitolo 17 Un’idea eccezionale 105 Focus – Chi sono gli adolescenti 111 – Il futuro dei nostri adolescenti 114 Attività 117 Regoliamoci 125
Faccio ciò che voglio
Sono gemelli Lucio e Chiara, cresciuti nel pancione della mamma l’uno di fronte all’altra, con le manine che si sfioravano.
Sono nati a distanza di pochi minuti, prima lui e poi lei. Lucio ha iniziato a urlare riempendo la sala parto con degli strilli acuti. Chiara invece ha emesso un vagito appena sussurrato, poi un altro e mentre le facevano il bagnetto si è addormentata.
Essere gemelli di solito significa avere un’unione speciale, dare e ricevere una protezione scambievole, capirsi con un solo sguardo per trovare complicità e sostegno.
Così è stato anche per loro durante l’infanzia, ma adesso Dora, che è sempre stata una madre molto attenta, guarda Lucio e Chiara che discutono mentre fanno colazione e il battibecco diventa sempre più incalzante.
Mai avrebbe immaginato che tra i gemelli si sarebbero scatenate tante piccole battaglie giornaliere. Forse è l’adolescenza, pensa Dora, oppure è il loro carattere così diverso a generare malintesi.
Si vogliono bene, lei lo sa, si difendono reciprocamente se è necessario e hanno anche una forte intesa, ma si scontrano troppo spesso fomentando stupidi bisticci.
Frequentano entrambi la terza media, sono nella stessa classe e la scintilla, questa mattina, è scattata a causa della verifica di grammatica che dovranno fare alla seconda ora.
– Ieri hai ripetuto i complementi? – domanda Lucio alla sorella.
– Perché me lo chiedi? – risponde lei che alle sette del mattino già sta chattando con qualcuno.
– Oggi c’è la verifica.
– Lo so – e Chiara continua a muovere le dita di entrambe le mani con velocità supersonica.
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Capitolo 1
– Ma a quest’ora sei già immersa nel telefonino? Ti sembra normale? – domanda la madre che non approva.
– Scusa mamma, ma è un’amica a cui devo assolutamente rispondere.
– Credi che non lo sappia che accendi il cellulare appena ti svegli? – prosegue Dora.
– In verità lo tengo sempre acceso, anche di notte – specifica la figlia.
– E allora sbagli tantissimo – replica Dora.
– Scusate se vi interrompo, ma io ho un problema più importante da risolvere – si intromette Lucio.
– Qual è il problema? – domanda Chiara.
– Non vorrei prendere un brutto voto.
– E allora?
– Lo sai cosa ti vorrei chiedere.
– Se è quello che penso non contare su di me.
– Brutta scema.
– Ieri invece di andare in palestra potevi studiare.
– Io faccio ciò che voglio ma tu che sei la mia gemella potresti salvarmi.
– Non ti aiuto e basta – urla Chiara. – Sono stanca di farmi riprendere dall’insegnante che ha pure ragione.
– Sei un’egoista…
– E tu sei antipatico e sei anche un somaro – e Chiara riprende a chattare dopo l’arrivo di una nuova notifica.
– Durante il periodo del Covid, quando facevamo la didattica a distanza, però mi aiutavi – continua a lamentarsi Lucio.
– Quello è stato un momento particolare però ora bisogna studiare sul serio.
– Adesso smettetela e andate a prepararvi – interviene Dora. Chiara esce in fretta dalla cucina e corre in bagno per mettere il mascara e un leggero velo di fard. Se non fosse scattata, Lucio avrebbe occupato il bagno e lì sarebbe rimasto per dispetto fino a pochi minuti prima di uscire.
È prepotente Lucio, anzi lo è diventato da un po’ di mesi. Prima
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andavano sempre d’accordo, chiacchieravano e giocavano insieme e tutto filava liscio. Ora non più.
E dalla porta socchiusa sente la madre che parla con il fratello.
– Perché ieri non hai studiato? – domanda Dora.
– Lo sai che alla fine faccio solo quello che voglio e io non voglio studiare perché non mi piace.
– “Faccio ciò che voglio” puoi dirlo ai tuoi amici ma non ai tuoi genitori perché tu devi fare le cose giuste, quelle che ti servono per crescere in modo sano e per costruirti un buon futuro.
– Ok boomer, incominciamo con le solite prediche… – e Lucio alza le spalle.
– Questo “ok boomer” è un’altra delle vostre stupidaggini.
– Non è una scemenza, ma è il nostro modo di chiamare chi ha più di trent’anni e non capisce nulla di ciò che noi desideriamo veramente.
– Chi te l’ha detto?
– Gira sui social.
– Lasciamo stare questo argomento e ritorniamo al tuo studio.
– Devo andare a scuola – cerca di svicolare lui.
– Sarò brevissima, lo so che non ami lo studio ma non ti giustifico e neanche mi garba che frequenti la palestra per allenarti nella boxe.
– Mi fa sentire forte.
– Eravamo arrivati a un compromesso: potevi praticare questo sport che non piace né a me né a tuo padre solo se ti impegnavi nello studio – chiarisce la mamma – E se non porterai buoni voti, chiudi con il pugilato.
– Guarda che con questi pugni potrei spaccare il mondo – dice il figlio con orgoglio.
– Sai anche che sono contraria a ogni forma di violenza e ti abbiamo cresciuto trasmettendoti valori diversi.
– Boomer, è finita la predica? Posso andare? – e Lucio sbuffando si dirige verso la sua camera.
È un figlio ribelle Lucio, ed è anche affascinato dalla forza fisica di cui si vanta, riflette Dora mentre ripone nel lavello le tazze e
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ricorda quando tre mesi prima suo marito Enzo è dovuto correre in commissariato perché Lucio e altri suoi amici si erano presi a botte con un gruppo di teppistelli che non erano del quartiere. Una vergogna per Enzo Altiro sentirsi dire dal brigadiere: “Lo controlli di più il suo ragazzo perché anche se appartiene a una buona famiglia non ci vuole nulla a deviare e magari fra un paio d’anni andrà girando con il coltello in tasca e diventerà uno dei tanti sbandati che vediamo nei telegiornali”.
Quando erano tornati a casa il papà aveva chiesto il motivo di quella rissa e si era sentito rispondere che era volato uno schiaffo e poi non si era capito più niente.
– Devi sempre capire cosa ti succede intorno e non devi farti trascinare come se facessi parte di un branco di pecoroni – aveva detto Enzo.
– E invece mi sono lasciato trascinare, rassegnati perché non hai un figlio perfetto e se c’è da menare, io meno.
– Lo sai che la prima regola nella vita è avere rispetto degli altri? – aveva replicato il padre.
– Io sono giovane e preferisco divertirmi a modo mio.
– Ma da chi hai imparato queste cose?
– Noi del gruppo siamo tutti così.
– E siete fatti male, anzi malissimo.
Lucio era rimasto in punizione per diverse settimane, niente amici, niente palestra, niente cellulare, ma il castigo l’aveva reso ancora più insofferente e aggressivo.
Le punizioni ormai non servono più, pensa Dora, bisognerebbe dedicare più tempo ai nostri figli, ragionare con loro su ciò che fanno e soprattutto avere pazienza aspettando che diventino maturi.
Arriva il saluto dei ragazzi che escono, prima quello di Chiara, poi quello frettoloso di Lucio. Si affaccia alla finestra e li osserva.
La figlia procede a passo svelto con un’amica, il figlio invece si trattiene con un gruppetto di ragazzi che abitano nel loro stesso condominio e come sempre arriverà in ritardo a scuola.
Dora infila il giaccone e si appresta a uscire per andare a la-
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Belli e ribelli
vorare. Scende le scale di corsa e, mentre cammina, si convince che dovranno subito escogitare qualcosa per far crescere il loro ragazzo con dei valori giusti.
Ha tredici anni, tra poco ne avrà quattordici, non è più un bambino ma non è neanche un adulto. Bisognerà parlargli spesso e spingerlo a riflettere su ciò che fa, altrimenti combinerà solo dei guai e lei è terrorizzata da questa eventualità.
E anche Chiara incomincia a farla preoccupare per l’uso eccessivo del cellulare, addirittura quando sta in casa manda messaggi a lei, al padre o al gemello per comunicare qualsiasi sciocchezza e non le pare per niente normale questo comportamento.
A scuola va bene ma persino quando studia è sempre attaccata allo smartphone a cui ha messo una password per avere la sua privacy, ha detto la ragazza, e lei non sa con chi si sente, con chi chatta e cosa posta nei social.
C’è tutto un mondo che la figlia nasconde nel telefonino.
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Il Gigante
È un grande condominio quello in cui vivono i gemelli, ventiquattro famiglie distribuite negli appartamenti dei sei piani del palazzo, e c’è un andirivieni continuo per le scale e anche nel parco che circonda il caseggiato.
È periferico il quartiere in cui si trova il Gigante, così gli inquilini chiamano quel palazzone appena tinteggiato di verde, e nel rione abitano persone trasferitesi dalla città, altre da qualche paese vicino e poi ci sono quelli nati e vissuti sempre in zona.
Il Gigante troneggia sulla strada statale e, visto da lontano, incute soggezione perché sembra che le persone, entrando lì, vengano inghiottite dalla sua imponenza, ma in realtà è una struttura tranquilla e anche dotata di molti comfort.
C’è un’aerea adibita al parcheggio delle auto, sul retro uno spiazzo coperto al pianterreno dove spesso i ragazzi si ritrovano e poi c’è un campetto per giocare a calcio o a basket e c’è pure un’oasi di verde con panchine, giostre e altalene per intrattenere i bambini.
Gli Altiro hanno acquistato una casa al secondo piano prendendo un mutuo che durerà trent’anni, ma solo così potevano comprarla perché Enzo fa l’operaio in fabbrica e Dora la cassiera in un supermercato.
Era appena finita la costruzione quando sono andati in quel condominio, i gemelli avevano due anni, e si sono trovati subito bene.
In pochi mesi sono stati venduti quasi tutti gli appartamenti a giovani sposi che poi hanno avuto dei figli con i quali Lucio e Chiara sono cresciuti.
Si sono trasferiti nel Gigante anche Giovanni Minori e la moglie Lilli quando hanno adottato Michele. Proprio in quel fabbricato per loro è iniziata una nuova vita e hanno stretto nuove amicizie.
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Michele e gli altri ragazzi del condominio infatti si conoscono dall’infanzia, molti di loro frequentano pure la stessa scuola e formano un bel gruppo, a volte però un po’ troppo chiassoso, soprattutto di sabato pomeriggio quando si riuniscono sotto gli archi.
A vigilare su quell’alveare sempre in movimento c’è Peppino, il custode. I due figli, ormai grandi, lavorano all’estero e lui vive al pianterreno con la moglie, ma durante il giorno si trattiene nella guardiola che sta nei pressi del cancello.
Da molti anni quella è la sua postazione, da cui controlla ciò che succede nel palazzo e nel parco. Ha una vista da lince e nulla gli sfugge, anche grazie alle telecamere sistemate in punti strategici.
Sa sempre tutto di tutti: chi entra e chi esce, se tra i ragazzi c’è qualche discussione che potrebbe degenerare in una lite, gli amori che nascono e muoiono nel giro di poche settimane, a volte di pochi giorni, oppure quando qualcuno parcheggia male e ostruisce l’uscita a un’altra macchina. Se c’è da dare una mano per scaricare la spesa oppure per qualche lavoretto di manutenzione, lui è sempre disponibile perché ha un buon carattere.
È una sicurezza Peppino, che individua e blocca persone estranee al condominio, indaga e solo dopo adeguati accertamenti permette loro di entrare. Gli vogliono tutti bene, gli adulti che lo considerano un amico e persino gli adolescenti che vengono puntualmente sgamati quando combinano dei guai.
È proprio con loro che il custode ama intrattenersi per essere aggiornato, anche se non accetta che stiano sempre con gli occhi affondati nel cellulare e la testa proiettata in altri mondi.
Lui sa persino quello che succede di notte perché ha il sonno leggero e dal letto riconosce il rumore di un’auto che arriva, di una moto che torna, le voci bisbigliate e i passi dei vari condomini.
Quando era giovane, leggeva romanzi gialli che prendeva in biblioteca comunale e si allenava a scoprire chi fosse il colpevole prima che venisse rivelato nella trama. Avrebbe potuto fare il poliziotto per le sue capacità, magari anche il detective di un’agenzia investigativa, ma il suo sogno era fare il calciatore e poiché aveva talento come attaccante era arrivato a giocare in serie B.
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Belli e ribelli
La carriera sportiva però era finita troppo presto perché un giorno ha avuto un incidente. Un’auto lo ha investito mentre guidava la moto e lui, catapultato a terra, si è fratturato entrambe le gambe e le ossa del bacino.
È rimasto fermo per la degenza1 diversi mesi, è ingrassato, i muscoli hanno perso tono e si sono afflosciati, e quando ha ripreso a camminare accusava pure una leggera zoppia.
Fisioterapia e ginnastica non gli hanno ridato le prestazioni che possedeva prima e nemmeno la grinta e quando gli hanno offerto la possibilità di lavorare come portiere in quel condominio ha dovuto accettare, anche se a malincuore. Due figli adolescenti e una moglie da mantenere lo hanno costretto a mutare la rotta dei suoi desideri e le ambizioni di una brillante carriera sportiva sono svanite.
Nel tempo però il nuovo lavoro ha cominciato a piacergli, lì dentro si sente un’autorità con un ruolo che è a metà strada tra il detective Sherlock Holmes e il commissario Montalbano. Fuma la pipa come Holmes, è calvo come Montalbano e ha preso l’intuito di entrambi.
Continua a leggere romanzi noir e se c’è qualcosa nel palazzone che non va lui lo fiuta e lo scopre, come quella volta in cui Lucio e il suo amico Daniele per scherzo riempirono le cassette della posta di lettere anonime su cui era scritto che di notte ci sarebbe stata una rapina in uno degli appartamenti.
I due ragazzini non pensarono alla telecamera che registrava e furono pure fortunati perché il circuito quel giorno non funzionava, ma il custode incominciò subito a cercare degli indizi.
Fu una burla davvero idiota, le famiglie si chiusero in casa terrorizzate, nessuno riuscì a dormire e qualcuno volle persino avvisare i carabinieri che fecero qualche giro di perlustrazione ma, non trovando nulla di sospetto, andarono via.
Peppino però, il mattino successivo, anche senza la registrazione, sapeva già chi era stato a prendersi gioco dei condomini e mentre Lucio e Daniele stavano andando a scuola, il custode lì fermo. 1 il periodo di malattia.
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– Siete stati voi a fare questa scemenza? – chiese brandendo la lettera anonima.
– No – rispose Lucio.
– Sono sicuro che menti – insistette il custode.
– Perché accusi proprio noi? – domandò con candore Daniele.
– Lucio, dov’è la medaglietta che è appesa al tuo braccialetto?
– Eccola – ma il ragazzo mostrando il braccialetto di cuoio non la trovò.
– E invece sta nella mia mano.
– Come è possibile?
– Nel mettere la lettera nella cassetta dei Piscopo si è sganciata…
– Chi ti dice che è mia?
– Perché solo tu tifi per questo calciatore che tra l’altro secondo me è un disastro.
– Una medaglietta non significa niente – protestò Daniele.
– Vi siete comportati malissimo – ribatté il custode.
Lucio si arrese e subito dopo anche Daniele; il fatto venne riferito ai genitori e nel pomeriggio, per riparare, andarono di casa in casa a chiedere scusa per ciò che avevano fatto.
E, dopo quel pellegrinaggio in cui i due si mostrarono alle varie famiglie mortificati e pentiti, il custode li fece entrare nella guardiola e offrì loro dei tranci di un’ottima pizza preparata dalla moglie.
La pace era fatta.
I ragazzi del condominio sanno che prima il custode era un bravo calciatore, conoscono tutta la sua storia e più di una volta gli hanno chiesto di allenarli e di organizzare delle partite.
Lo hanno persino pregato di diventare il loro mister, ma lui si limita a raccontare ciò che ha fatto quando giocava nella B e non va oltre.
Loro però continuano a insistere, la richiesta spesso diventa pressante, allora Peppino scuote il capo, fa un tiro dalla pipa e puntualmente risponde: “Forse un giorno… poi si vedrà”.
Proprio non ce la fa a ritornare su un campo di calcio, anche solo per allenare quei ragazzi che gli sono simpatici e che ha visto crescere. Si è rassegnato a ciò che gli è successo, ma il cuore è ancora segnato da una profonda ferita che forse non si rimarginerà mai.
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