Ludolinguistica 2. Imparare una lingua con giochi di parole.

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Prefazione Il linguaggio, occorre dirlo? È una cosa seria. La spinta a comunicare attraversa l’intera biomassa e si è perciò arrivati a pensare che, insieme al raggiungimento e al mantenimento dell’equilibrio con l’ambiente, l’omeòstasi, e insieme alla riproduzio­ ne, quella spinta, quel bisogno di comunicare, sia parte del corredo indispensabile e costitutivo di un essere vivente. Ma comunicare vuol dire sottomettersi alla logica implacabile della trasmissione di informazioni, dunque alla necessità di farsi capire e di capire sfidando i disturbi del canale in cui viaggia il messaggio. E in ciò c’è la radice del potersi sbagliare, ma anche del trarre in inganno, di cui Umberto Eco ha voluto fare un tratto dirimente tra ciò che è semiotico e comunicativo e ciò che non lo è. Certo è che la capacità di ingannare scende, per dir così, assai in basso nella scala evolutiva, fino all’astuto polipo e a furbissimi virus. Dai bassifondi della biomassa la spinta al comunicare vediamo che va facendosi sempre più complessa nei suoi mezzi, nelle sue “lingue”, e nei suoi orizzonti di senso a mano a mano che ci spostiamo con l’osservazione verso specie di vita sociale complessa e di apparato cerebrale più potente, più ricco di memoria, progettualità, intelligenza, fino a rag­ giungere i mammiferi superiori, le grandi scimmie e la specie umana. Tra gli umani, nel loro comunicare, intervengono e, è il caso di dire, giocano diversi fattori: la pluralità di semiotiche che essi sono capaci di sviluppare, ap­ prendere e gestire; la straordinaria capacità e potenza di significazione del loro più tipico linguaggio, il linguaggio verbale fatto di verba, “parole”; la lunghezza della fase infantile, che tocca certo i bimbi, ma anche gli adulti, spinti dalle cure parentali a “bambineggiare”, e si ricordi che paízein, etimologicamente “bambi­ neggiare”, era il verbo per “giocare” nel greco antico ed è sopravvissuto e vive nel neogreco. L’intreccio di questi fattori altamente specifici fa sì che tra gli umani le possibilità di inganno intenzionale, di menzogna e di manipolazione giocosa di atteggiamenti e parole celebrino i loro fasti1. E non sorprende quindi che lo sfruttamento di giochi di parole non sia sfuggito all’acuta attenzione e alle sot­ tigliezze classificatorie dell’antica arte retorica greco-latina2 gareggiante con le classificazioni della moderna enigmistica. È ben vero: alla capacità di parola gli umani devono nozze, tribunali ed are, come nell’antichità classica avevano compreso Aristotele e gli epicurei, ma è vero pure che la parola è strumento della nostra libertà ed è dunque piegabile anche a mali usi. Ce lo ricorda con vena pessimistica un gentile poeta italiano dei nostri anni, Lucio Mariani: […] scrivere e legger parole servì solo a iniziare falsari, a ordire tradimenti a imitare vortici e venti ad uso del poeta e di altri bari….

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17/02/20 10:53


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